La tempesta nello stivale
La tempesta nello stivale
Vincenzo Comito
Lo scontro di potere alle Generali, la caduta del faraone Geronzi, la crisi Unicredit. E poi: la Fiat
che se ne va, i francesi che vengono alla conquista di Parmalat, Edison, Bulgari, Fondiaria e
Alitalia... Cosa sta succedendo davvero al sistema delle (grandi) imprese italiane?
Cosa sta veramente succedendo di questi tempi al sistema delle grandi imprese italiane?
All’improvviso sembra che si sia scatenata una tempesta molto importante e non prevista da
nessuno, almeno nelle dimensioni che essa ha assunto di recente.
Elenchiamo soltanto i fatti principali. Negli ultimi mesi le turbolenze legate al caso Fiat, ben lungi
dall’essersi esaurite, con la concreta minaccia ora, tra l’altro, del trasferimento del quartier
generale dell’auto negli Usa, poi l’assalto francese ad alcune società nazionali, da Edison a
Parmalat, dalla Fondiaria-Sai a Bulgari e alla stessa Alitalia, la crisi Unicredit con l’estromissione
di Profumo e le incertezze di orientamento strategico della banca che ne sono seguite, infine
l’aspra battaglia per il potere che è in corso alle Assicurazioni Generali e che sembra almeno per
il momento concludersi con la sconfitta di Geronzi e la sua estromissione dalla presidenza,
sembrano all’improvviso contribuire, messe insieme, a destabilizzare un quadro che appariva ai
più, sino a poco tempo fa, abbastanza tranquillo e sotto controllo.
C’è qualcosa che possa legare tutti questi fatti apparentemente così diversi tra di loro? Il
collegamento sembra rappresentato dalla crescente difficoltà del sistema imprenditoriale
nazionale, e più in generale del sistema paese, sostenuti tra l’altro da regole e comportamenti
arcaici, a reggere ulteriormente il passo con la marcia prepotente del resto del mondo, di fronte in
particolare all’avanzare della crisi e a un ulteriore, forte, sviluppo dei processi di globalizzazione,
in assenza totale, contemporaneamente, di politiche pubbliche all’altezza della situazione.
Vedendo le cose in altro modo, gli antichi equilibri che governavano la situazione non sembrano
più reggere anche perché sembra venuto meno il potere dei controllori e dei garanti di ultima
istanza; questo sia a livello economico, dove la forza di Mediobanca-Generali mostra da tempo la
corda, sia a livello politico, dove anche la presa di Berlusconi e del suo sistema di governo
sembrano in difficoltà – come mostra ora la caduta di Geronzi, prezioso alleato del presidente
del consiglio –, anche se essa ha comunque in ogni caso contribuito a far degenerare una realtà
già abbastanza precaria.
Ne deriva, di conseguenza, una grande incertezza di orientamenti, una debolezza conseguente
delle singole imprese, un tentativo di risposte individuali alla situazione.
Poi, ogni singolo accadimento presenta, accanto a delle cause comuni, anche dei suoi tratti
specifici. Ma, nel complesso, si può dire che quello che sta accadendo può essere collocato in
due caselle solo formalmente distinte tra di loro, dal momento anche che i protagonisti dei singoli
affari si intrecciano di frequente con gli attori degli altri casi.
Da una parte, bisogna mettere in effetti gli avvenimenti relativi alla Fiat – in particolare ora con il
minacciato spostamento del quartier generale dell’auto da Torino a Detroit e il tentativo di
imporre anche da noi il modello statunitense di relazioni industriali – e quelli dell’assalto
francese ad alcune importanti imprese nostrane. Tali due fatti segnano direttamente, quale che
saranno gli sbocchi finali delle varie avventure, l’incidenza sempre più pressante dei processi di
globalizzazione sul nostro sistema industriale, nel primo caso con la fuga almeno parziale dal
paese, nell’altro con l’arrivo di capitali esteri pronti ad approfittare delle nostre debolezze.
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Dall’altra parte, gli ultimi due accadimenti, invece, sembrano piuttosto il frutto di una profonda
divisione di opinioni tra i variopinti gruppi di potere che cercano di governare da noi le cose su
come affrontare gli stessi processi di internazionalizzazione e la dislocazione in atto dei rapporti
di forza a livello di paesi, di settori, di gruppi di interesse, che essi comportano.
Nel caso di Unicredit, così, si sono tra l’altro scontrate da una parte delle forze che guardavano
in positivo agli stessi processi di internazionalizzazione e alle sue conseguenze, cercando di
diventare delle protagoniste di un gioco peraltro difficile, dall’altra quelle invece che guardavano
ai propri interessi di bottega di breve termine.
Nel caso poi della disputa interna alle Generali, si sono misurate di nuovo due concezioni del
potere, con un management e una parte dell’azionariato schierato a difesa di una omologazione
piena dei comportamenti di gestione della compagnia assicurativa agli standard, più o meno
validi, prevalenti a livello internazionale, con gli interessi economici diretti dell’impresa e del
rendimento del suo capitale messi in primo piano, mentre dall’altra si collocavano Geronzi e i
consiglieri di amministrazione della compagnia assicurativa più vicini a Berlusconi, che vedevano
invece la società come portatrice di una strategia cosiddetta “di sistema”, formalmente cioè di
sostegno alle grandi imprese nazionali, nella sostanza invece di supporto agli interessi di un
variegato gruppo di potere, che mira a mantenere la presa sui propri affari privati e possibilmente
ad estenderli il più possibile.
Del resto, all’epoca, anche la gestione Cuccia di Mediobanca-Generali sembrava in apparenza
votata al sostegno delle grandi strutture private e del loro sviluppo imprenditoriale, mentre in
realtà essa si concentrava sulla difesa delle grandi famiglie e del mantenimento del loro potere
sulle imprese. Accadeva così che il sistema aiutasse, ad esempio, la famiglia Pirelli a mantenere
il controllo del gruppo omonimo pur controllando a un certo punto soltanto lo 0,7% del suo
capitale sociale complessivo.
Quale sia l’esito complessivo delle lotte in corso ci sembra evidente che la salute dell’economia
italiana ne uscirà comunque ulteriormente indebolita. D’altro canto e su di un altro piano, i guai
giudiziari che toccano invece da qualche tempo la Finmeccanica e Telecom Italia mostrano che le
spinte degenerative hanno già raggiunto negli ultimi anni livelli preoccupanti.
Per approfondire
Nella nostra inchiesta sulle grandi imprese
, lo stato
italiane
di salute dei grandi gruppi visti da
vicino
Sì
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