Blog CI La rivoluzione delle ICT e la civiltà del ventunesimo secolo 18 NOVEMBRE 2014 | di Fausto Giunchiglia 0 0 Le grandi crisi coincidono sempre con grandi trasformazioni. Lo sapeva bene Karl Polanyi, che scrisse, appunto, “The great transformation”[1]. Il testo del pensatore ungherese esordiva con una frase indimenticabile: “La civiltà del diciannovesimo secolo è crollata”. Beh, si moltiplicano gli indizi che anche quella del ventesimo secolo non sia proprio messa in buona salute, e non serve chiederlo a noi accademici per rendersene conto: è chiaro a tutti che le nuove generazioni vivranno in un mondo ben diverso da quello conosciuto dai loro genitori e persino nonni; un mondo multipolare, dove il posto fisso è sempre più raro e dove cresce il divario (in primis reddituale) tra chi sa declinare le sue competenze anche in chiave tecnicoscientifica, e chi no. Per Polanyi, la vera chiave di volta del diciannovesimo secolo era stato il mercato autoregolato: “fu quest’innovazione a dare origine a una civiltà specifica”. Ma il mercato autoregolato (e con esso le istituzioni liberali, la base aurea e così via) non sarebbe stato possibile senza la Rivoluzione industriale. Che, scrive, “fu solo l’inizio di una rivoluzione tanto estrema e radicale quanto mai una rivoluzione poté infiammare la mente dei settari”. La Rivoluzione industriale, a sua volta, ebbe imprescindibili fondamenta tecnologiche: basti pensare a invenzioni come la filatrice multipla di Hargreaves, il telaio meccanico idraulico di Arkwright, la macchina a vapore di Watt. Iniziò una nuova era, quella delle macchine, e ne tramontò una vecchia: quella, lunga millenni, iniziata con la Rivoluzione dell’agricoltura. converted by Web2PDFConvert.com L’eredità della Rivoluzione industriale non è andata persa. Le nazioni che per prime ne furono investite rimangono (seppur tra costanti difficoltà) ai vertici del benessere globale: il Regno Unito e l’Europa occidentale, il Nord America, l’Australia e il Giappone. Tuttavia oggi è in corso una nuova rivoluzione, che con tutta probabilità avrà un impatto altrettanto profondo: la Rivoluzione delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (ossia, per usare il popolare acronimo inglese, delle ICT). Al pari della Rivoluzione industriale, anche la Rivoluzione delle ICT non avrebbe avuto luogo senza innovazioni tecnologiche come internet o i telefoni cellulari. Tuttavia essa ha un impatto profondo, dirompente e a volte devastante, su ogni aspetto del vivere umano, persino il più intimo. Se ne è accorto un acutissimo scrittore come l’americano Jonathan Franzen, che nei suoi saggi parla di “allegro tecnocorporativismo” e “consumismo tecnologico”, e vede nei romanzi di qualità un modo per preservare “la cognizione del fatto che ogni miglioramento ha sempre un prezzo”. Personalmente non condivido molte delle idee di Franzen. In quanto ingegnere e ricercatore di scienze dell’informazione, mi trovo dall’altra parte della barricata, per così dire. Eppure l’autore de “Le correzioni” mette il dito nella piaga. Perché è vero che né la società né la gran parte dei singoli individui sono attrezzati ad affrontare gli effetti a largo spettro della Rivoluzione delle ICT. Ed è altrettanto vero che quest’ultima ha un prezzo, soprattutto per chi la subisce anziché guidarla. Finché il cambiamento tecnologico si è limitato agli aspetti più superficiali della nostra vita, come accadeva negli anni Novanta con i primi siti internet, le prime mail e i primi sms, si parlava trionfalmente di “autostrade dell’informazione” e di nuovi “mondi virtuali”; quando però le ICT, che pure consentono di realizzare bellissime cose, si sono addentrate sempre più nel nostro vivere quotidiano, toccando i nervi sensibili dell’esistenza… allora sono iniziati i dolori. Abbiamo scoperto, con amarezza, che internet aiuta anche a delocalizzare i posti di lavoro e a rendere ancora più sfuggenti i capitali internazionali; che un bambino in una chat converted by Web2PDFConvert.com room può fare brutti incontri, e che i social media possono rendere virali le mode più deleterie; che un attacco di hacker può bloccare un intero paese, come è accaduto all’Estonia nel 2007, e che i prodotti tecnologici di consumo possono rivelarsi, per citare ancora una volta Franzen, dei “grandi alleati del narcisismo”. La Rivoluzione delle ICT sta cambiando il mondo. Senza di essa non ci sarebbe stata la globalizzazione, l’elezione di Obama, la Primavera araba, e probabilmente neanche la crisi finanziaria scoppiata nel 2008. Chiariamo: non sto dicendo che la Silicon Valley sia stato l’epicentro ultimo di ogni cambiamento verificatosi dal 1982 (quando Time nominò il computer “machine of the year”) ai giorni nostri. Però essa sta senza dubbio trasformando in maniera profonda le nostre vite. E sta contribuendo a costruire la civiltà del ventunesimo secolo. Ora spetta a noi farci avanti, “cavalcare” questa rivoluzione, e indirizzarla nel modo giusto. Con noi intendo, ovviamente, noi italiani. La nostra creatività, il nostro ingegno, la nostra cultura millenaria costituiscono elementi di forza straordinari, e una base solida per partecipare (e contribuire) al cambiamento. Basta volerlo. [1] In Italia, edito da Einaudi per traduzione di Roberto Vigevani; le citazioni seguenti sono state estrapolate da tale edizione. Tag: Fausto Giunchiglia, ICT, innovazione, rivoluzione industriale, Trento RISE CONTRIBUTI 0 PARTECIPA ALLA DISCUSSIONE Scrivi qui il tuo commento INVIA COSA DICE IL PAESE ACCEDI Completa la registrazione converted by Web2PDFConvert.com