SCRITTORI SARDI
Opera pubblicata con il contributo della Regione Autonoma della Sardegna
Assessorato della Pubblica Istruzione, Beni Culturali,
Informazione, Spettacolo e Sport
ANTONIO BACCAREDDA
VINCENZO SULIS
BOZZETTO STORICO
a cura di
Simona Pilia
introduzione di
Giuseppe Marci
CENTRO DI STUDI FILOLOGICI SARDI
/ CUEC
SCRITTORI SARDI
coordinamento editoriale
CENTRO DI STUDI FILOLOGICI SARDI
/ CUEC
Antonio Baccaredda
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
ISBN 88-8467-279-1
CUEC EDITRICE © 2005
prima edizione maggio 2005
CENTRO DI STUDI FILOLOGICI SARDI
PRESIDENTE Nicola Tanda
DIRETTORE Giuseppe Marci
CONSIGLIERI Marcello Cocco, Mauro Pala, Maurizio Virdis
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Stampa Grafiche Ghiani, Monastir (Ca)
ANTONIO BACCAREDDA
E L’OTTOCENTO LETTERARIO SARDO
Il 25 maggio del 1800, al termine di un processo politico nel
corso del quale erano stati violati tutti i diritti della difesa,
Vincenzo Sulis viene condannato al carcere perpetuo per la
colpa di lesa maestà.
Ben al di là della controversa figura del capopopolo
cagliaritano, quell’avvenimento con cui si apre il nuovo
secolo ha un chiaro valore simbolico. Significa che i sovrani sabaudi, sbarcati un anno prima nell’isola dalla quale i
piemontesi erano stati cacciati nel 1794, avevano praticamente portato a termine il processo di normalizzazione e
riassunto le redini del governo.
Per i quattrocentomila abitanti della Sardegna1 si schiude
uno scenario di oppressione (talmente grave da portare a
ribellioni, come quella di Thiesi contro il duca dell’Asinara,
cui fece seguito un feroce intervento della truppa), di miseria (dovuta alle ricorrenti carestie, la peggiore delle quali si
verificò nel 1812, ma non furono certo lievi quelle del 1816
e del 1817), di sistematica spoliazione fiscale (le richieste di
nuovi donativi si susseguono con ritmo frenetico), di insicurezza del vivere (le spedizioni barbaresche erano all’ordine del giorno e assunsero, talvolta, dimensioni imponenti),
di soggezione a norme (l’editto delle chiudende venne emanato nel 1820) che violano antiche consuetudini e provocano un profondo senso di disagio nelle popolazioni. “Il
mito della Sardegna sabauda comincia qui e così, all’ombra
delle forche e nel ripiegamento degli spiriti. Negli stessi
Al censimento del 1821 saranno 461436; 547112 nel 1848; 588064
nel 1861 (di questi 536151, pari al 91,17% analfabeti: il dato più alto
fra quelli delle regioni italiane. Complessivamente l’analfabetismo nell’Italia al momento dell’unità si attesta al 75%); 636660 nel 1871 (88,06
% di analfabeti); 680450 nel 1881; 795793 nel 1901.
1
VIII
GIUSEPPE MARCI
anni in cui maturò e si concluse tragicamente l’ultimo tentativo dei seguaci cagliaritani dell’Angioy di aprire una strada al rinnovamento politico ed economico dell’Isola, i
Musio, i Manno, i Pes di Villamarina iniziarono la loro carriera di fedeli e scrupolosi servitori dello stato sabaudo,
avviando una tradizione che durerà poco meno di un secolo e mezzo. Il legame che s’era stretto, nel periodo angioyano, tra l’intellettualità autonomistica e le campagne antifeudali si spezzò e occorreranno molte generazioni per
ricrearne, e solo parzialmente, le condizioni. Le popolazioni rurali, nel loro isolamento e nel loro mutismo politico,
non rinunciarono a lottare, in forme disgregate e primitive
ma dure, per scrollarsi di dosso il peso esorbitante della feudalità, della proprietà terriera assenteista, dello sfruttamento forestiero, della burocrazia piemontese e subalpina.
Insorgevano e tumultuavano nelle ville, abbattevano le
chiusure, davano fuoco ai registri del fisco, così come, a
modo loro, tumultuavano e lottavano, nei loro antichi
rioni, i popolani di Alghero, di Sassari, di Cagliari. La truppa interveniva, arrestava, consegnava alla giustizia regia. La
giustizia regia faceva il suo corso, imprigionava, torturava,
impiccava. Commissari straordinari venivano mandati da
Torino per mettere ordine, pacificare, ridurre al silenzio. E
in qualche modo e per qualche tempo vi riuscivano. Ma se
era relativamente facile sedare la rivolta elementare d’un
comune esasperato, meno facile era venire a capo della
nuova ondata di brigantaggio che, come riflesso di molte
cause economiche, sociali, morali ma anche delle spietate
repressioni militari, andava dilagando dappertutto, ma specialmente nelle zone interne e montagnose”2.
Di fronte a uno stato di cose tanto grave sono piccoli
segnali positivi l’istituzione delle scuole primarie in tutti i
villaggi (1823), lo stabilimento delle condotte mediche nei
2
U. CARDIA, Autonomia sarda, Cagliari, Cuec, 1999, pp. 173-174.
Introduzione
IX
centri minori (1827), la diffusione, a partire dal 1828, della
vaccinazione antivaiolosa, il completamento della strada
Carlo Felice che congiunge Cagliari con Porto Torres (1829).
Tenui luci, in un quadro complessivamente fosco ma tali
da accendere la speranza, da incoraggiare quanti, proseguendo in una tradizione avviata nel Settecento, riflettono
sulle condizioni in cui versa la patria sarda, studiano i mali
e i possibili rimedi, formulano proposte.
Il quadro culturale è, nel suo complesso, vivo e marcato
dalla ripresa dell’interesse storico che non era mai venuto
meno nell’isola, almeno a partire dal Cinquecento, ma che
ora si fa più sistematico.
Del resto il secolo diciannovesimo fu, un po’ dovunque in
Europa, l’età delle grandi opere sistematiche, delle monumentali storie nazionali e delle altrettanto corpose storie
della letteratura che avevano la funzione di tracciare una
sorta di autoritratto nel quale le singole nazioni potessero
riconoscersi, specchiandosi in quelle caratteristiche che giudicavano essere la componente essenziale della loro immagine. A questa regola la Sardegna non si sottrae, e basta
appena ricordare i nomi di Giuseppe Manno, di Pasquale
Tola, di Pietro Martini, di Giovanni Spano, di Giovanni
Siotto-Pintor, di Vittorio Angius, di Ludovico e Faustino
Cesare Baille, per dare un’idea dell’ampiezza del fenomeno.
“Da che cosa nacque questo moto?” si è chiesto Manlio Brigaglia e ha risposto spiegando che “esso fu conseguenza del
progresso della cultura isolana e delle preoccupazioni che il
governo piemontese aveva mostrato per la pubblica istruzione, pur nel paternalismo cui furono improntati i provvedimenti presi per promuoverla; quindi, di una più attiva
partecipazione dei sardi alla vita politica del Regno di Sardegna, che, sulla base anche di certe rivendicazioni (come
quella per una maggior responsabilità dei nazionali, come si
diceva, nell’amministrazione statale), spingeva a cercare i
titoli di benemerenza dell’isola e a studiarne le vicende;
X
GIUSEPPE MARCI
ancora, del progresso generale delle scienze in Europa,
soprattutto del rinnovato senso della storia diffuso dal
Romanticismo, che portò in Sardegna un nuovo flusso di
esigenze culturali da cui nacque, appunto, quel vasto lavoro di indagine sulla vita e sulla storia dell’isola che riempie
di sé la prima metà del secolo”3.
Lo stesso Brigaglia precisa poi quali furono i limiti di questi studi sviluppati con una strumentazione scientifica
ancora inadeguata e dai quali scaturirono opere che, se da
un lato hanno ancora oggi un innegabile valore documentario (e per certi versi possono essere utilizzate quali inesauribili repertori di informazioni), dall’altro non giunsero alla
“consapevolezza dell’esistenza di una questione sarda”4. Per
un caso che forse non è poi tanto paradossale, a partire dalla
metà del secolo, saranno in prevalenza i romanzieri a sostenere il bisogno, tutto politico, di ricostruzione e interpretazione della storia sarda intesa come storia di una terra e dei
suoi abitanti, non come sequenza di informazioni riguardanti le potenze dominatrici: una posizione capace, per
certi versi, di anticipare visioni storiografiche moderne è, ad
esempio, quella di Enrico Costa che sul finire del secolo
afferma: “È inesatto quanto molti asseriscono: che la Sardegna non abbia storia. La storia ce l’ha, ma è ignorata o non
fu scritta. Non vi ha popolo senza storia; e le storie si somigliano tutte, poiché in fondo esse non compendiano che
una serie di lotte, più o meno fortunate, fra oppressi ed
oppressori, fra deboli e prepotenti!”5.
Questa ricerca non risulta “offuscata, anzi arricchita di
M. BRIGAGLIA, Intellettuali e produzione letteraria dal Cinquecento alla
fine dell’Ottocento, in La Sardegna. Enciclopedia, a cura di M. Brigaglia,
vol. I, sez. Arte e Letteratura, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1982, p. 35.
4
Ibidem.
5
E. COSTA, Rosa Gambella. Racconto storico sassarese del secolo XV, Sassari, Tipografia della Nuova Sardegna, 1897, p. 344.
3
Introduzione
XI
luci e toni curiosi e singolari da quella straordinaria vicenda svoltasi nella seconda metà del secolo, intorno alle Carte
d’Arborea, uno dei falsi più clamorosi della storia italiana ed
europea”6. Accadde che, nell’intento di fornire alla patria
sarda una patente di nobiltà storica e culturale, alcuni abili
falsari elaborarono e diffusero una serie di documenti contenenti liriche, poemi, cronache e altri materiali scritti in
latino, in sardo, in catalano e in italiano, tali da attestare l’esistenza nell’isola di una civiltà letteraria precedente i primi
documenti della letteratura italiana. Per venire a capo dell’inganno dovette intervenire, con tutta la sua autorità, l’Accademia di Berlino presieduta da Theodor Mommsen che
stabilì in termini perentori l’inautenticità di tutto il materiale. Se ora consideriamo che sulla falsificazione non grava
l’ombra del dolo perpetrato con finalità economiche7, possiamo comprendere come anche l’episodio delle Carte d’Arborea, a suo modo, rientri in quel clima di studi, nel generale fenomeno rappresentato dalla volontà di indagare e
descrivere la vicenda storica isolana.
E sarà anche possibile concludere che, come tutte le ferite dell’anima, anche la percezione della mancanza di una
storia propria e autonomamente diretta possa aver determinato un atteggiamento segnato dal trauma, non limpido e
sereno, ossessivamente chiuso nella contemplazione di sé,
tale da impedire una più compiuta percezione di quanto
avveniva sulla scena della cultura contemporanea. Ammesso e non concesso, dovremmo considerare questo un prezU. CARDIA, Autonomia sarda, cit., p. 242.
“Comunque siano andate le cose è accertato che il falsario, o meglio i
falsari, non furono mossi da scopo di lucro o da altri bassi interessi, ma
animati dal particolare clima dell’età romantica al quale si accennava dall’inizio, ritennero di dar prestigio e gloria alla Sardegna, alla quale avevano apprestato in vero un posto vetusto e di prim’ordine nel Gotha della
letteratura” (F. ALZIATOR, Storia della letteratura di Sardegna, Cagliari,
Edizioni della Zattera, 1954, p. 369).
6
7
XII
GIUSEPPE MARCI
zo pagato per la costruzione di un’identità collettiva che, nel
momento in cui si avviavano i processi destinati a concludersi con l’Unità d’Italia, difendesse e manifestasse come un
valore l’idea di sardità. Da tale travaglio derivano le luci e le
ombre, le consonanze con i moti della cultura europea e gli
innegabili ritardi, la volontà di apertura e di confronto ma
anche l’isolamento e la diversità di interessi, aspetti contemporaneamente presenti in un’epoca che, comunque,
appare segnata da un grande amore per la cultura e dalla
“fiducia inesausta nella parola scritta e nella sua capacità di
suscitare nuove energie e nuove direzioni di vita anche in
una situazione di passività e di arretratezza com’era quella
sarda”8.
Tracciando un documentato panorama della Sardegna
nella prima metà dell’Ottocento, Antonello Mattone ha
esaminato gli aspetti caratterizzanti la situazione, con ciò
formando una sequenza che, a un dipresso, coincide con
l’elenco dei mali da cui l’isola è stata afflitta nel corso dei
secoli: incursioni barbaresche (in aumento, col passaggio
dalla Spagna, potenza marittima, al Piemonte, privo di una
flotta tale da impensierire i corsari), mancanza di porti,
malaria, spopolamento delle campagne, precarietà delle
comunicazioni interne, inadeguatezza dei mezzi di trasporto, perdita del manto forestale, devastazioni derivanti dagli
incendi, “pressione incombente della pastorizia”9, agricoltura in bilico tra arcaismi e innovazioni, complessità delle
situazioni che si determinano con l’abolizione del feudalesimo e l’introduzione della proprietà perfetta della terra.
Sembrerebbe uno stato di cose che non può modificarsi
M. BRIGAGLIA, Intellettuali e produzione letteraria, cit., p. 36.
A. MATTONE, Le origini della questione sarda, in L. BERLINGUER, A.
MATTONE (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna, Torino, Einaudi, 1998, p. 82.
8
9
Introduzione
XIII
se non in peggio, che diviene sempre più assillante sotto il
profilo economico, sociale e politico, che si impoverisce
gravemente, per quanto riguarda gli assetti istituzionali e le
prerogative costituzionali, con la perfetta fusione del 1847.
Eppure in tale desolazione, e forse proprio per reazione ad
essa, si manifesta e progressivamente si afferma una notevole energia intellettuale, cresce prepotentemente un dibattito che vince i lacci imposti dall’atteggiamento codino del
governo piemontese, da una restaurazione che in Sardegna
precede quella che si affermerà nel resto d’Europa dopo il
Congresso di Vienna. Tale dibattito soprattutto si esprime
sulle questioni filosofiche e giuridiche, politiche e istituzionali, talvolta con preciso riferimento alla tematica sarda,
talaltra svincolandosi da quel riferimento e portando lo studio e la riflessione su piani speculativi più ampi.
Fra quanti devono essere citati come protagonisti di quel
dibattito e, comunque come rappresentanti, a vario titolo, di
quella stagione, in primo luogo occorre segnalare Domenico Alberto Azuni (1749-1827), insigne studioso di diritto,
autore del Droit maritime de l’Europe10 e, tra l’altro, dell’Histoire géographique, politique et naturelle de la Sardaigne11.
L’Azuni appartiene alla generazione cresciuta nell’università rinnovata e la sua opera mostra tracce evidenti sia della
qualità degli studi compiuti sia della vastità dell’orizzonte
indagato12. Indubbiamente si mantiene su posizioni di conParis, 1805.
Paris, 1802.
12
Fu allievo del gesuita Giuseppe Gagliardi che, giunto a Sassari nel
1764, insegnò Fisica sperimentale ed Etica e fu poi docente dell’ateneo
cagliaritano fino al 1789. Il Gagliardi, assieme a Giacinto Hinz, a Giambattista Vasco, fu fra coloro che contribuirono alla ripresa degli studi universitari in Sardegna. Pubblicò a Cagliari (Reale stamperia, 1772) la sua
opera L’onest’uomo filosofo saggio di filosofia morale che ebbe un “forte
impatto innovativo”, anche perché scritta in italiano, “cosa assolutamen10
11
XIV
GIUSEPPE MARCI
danna rispetto alle punte più avanzate della filosofia contemporanea ma, ciò non pertanto, “forte e positiva è la sua
volontà riformatrice, l’esigenza di razionalizzare settori
importanti della vita dello stato, di favorire i rapporti economici e culturali tra gli stati, condizione essenziale per il
pieno inserimento della Sardegna nel contesto degli stati
europei”13.
Man mano che il secolo procedeva, mentre maturavano e
si compivano gli avvenimenti politici più significativi,
primo fra tutti la perfetta fusione, il dibattito in Sardegna
aumentava d’intensità e, per così dire, si specializzava sulle
tematiche politiche e sugli assetti istituzionali. Come era
inevitabile, del resto: se prima del 1847 era infatti possibile
avere opinioni diverse sulle forme costituzionali, sui vantaggi e sugli svantaggi, ancora ipotetici, della fusione, quando l’evento fu compiuto e agli occhi di tutti apparve evidente il bilancio negativo delle perdite e dei disinganni, a
quel punto prese nuovo vigore la progettazione delle ipotesi concernenti il rapporto fra la Sardegna e il Piemonte. Né
può essere dimenticato il fatto che, avviati e progressivamente portati a compimento i processi unitari, anche sul
piano nazionale si sviluppava una riflessione concernente la
forma del nuovo stato che aveva per protagonisti il Mazzini, il Cattaneo e il Gioberti.
In questa temperie devono essere collocate l’azione politica e l’opera di Giorgio Asproni (1807-1876) e di Giovan
Battista Tuveri (1815-1887): “si tratta dei due personaggi
che, tra loro quasi coetanei ed entrambi repubblicani, ma
te inconsueta nell’isola per le opere filosofiche” (A. DELOGU, La filosofia
in Sardegna (1750-1915). Etica Politica Diritto, Cagliari, Condaghes,
1999, p. 15). In realtà il Gagliardi ebbe posizione fortemente critica nei
confronti dei maggiori esponenti del pensiero filosofico moderno e, in
particolare, dell’illuminismo, ma, ciò nonostante, la sua opera contribuì
a far conoscere nell’isola la filosofia illuministica.
13
Ivi, p. 37.
Introduzione
XV
assai diversi per temperamento e per formazione culturale, si distinsero maggiormente nel porre la Sardegna al
centro di un discorso che riusciva a inserire in una prospettiva nazionale la considerazione dei caratteri specifici
dell’isola”14.
L’Asproni, deputato al Parlamento nel corso di molte legislature, schierato con la Sinistra, è autore di numerosi scritti politici e di un Diario che abbraccia gli anni compresi tra
il 1855 e il 187615 e che “può essere riguardato sotto diverse prospettive. Anzitutto, in senso soggettivo, come documento autobiografico utile alla ricostruzione di una personalità che nel composito panorama della democrazia risorgimentale occupa una posizione affatto singolare. Poi, in
funzione oggettiva, come testimonianza diretta dei momenti più importanti del processo unitario, vissuti e giudicati
secondo la visuale propria di chi è nello stesso tempo attore e spettatore. In terzo luogo, in senso regionalistico, come
occasione per meglio definire taluni aspetti della questione
sarda nel più vasto quadro della questione meridionale e della
storia nazionale”16.
Anche Giovan Battista Tuveri, repubblicano e federalista,
fu deputato al Parlamento e autore di scritti politici. Tra
questi va principalmente ricordato Del diritto dell’uomo alla
distruzione dei cattivi governi. Trattato teologico filosofico
(1851), un’opera che “appartiene alla storia secolare delle
teorie politiche in difesa della sovranità originaria del popolo in opposizione alla sovranità assoluta del principe, e
I. BIROCCHI, La questione autonomistica dalla “fusione perfetta” al primo
dopoguerra, in L. BERLINGUER, A. MATTONE (a cura di), Storia d’Italia.
Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna, cit., p.153.
15
Cfr. G. ASPRONI, Diario politico (con un profilo biografico a cura di B.
J. Anedda, introduzioni e note di C. Sole e T. Orrù), voll. 7, Milano,
Giuffrè, 1974-1991.
16
C. SOLE, Il “Diario politico” di Giorgio Asproni e il Risorgimento, in G.
ASPRONI, Diario politico, cit., vol. I, p. 30.
14
XVI
GIUSEPPE MARCI
quindi in favore di una sovranità limitata e controllata di
chi esercita dal basso il potere sovrano”17. Nella concezione
democratica del Tuveri trovano saldatura due differenti
esperienze culturali: l’idea giacobina della rivoluzione
democratica e quella che, derivando dalla matrice cattolica,
gli fa legare “romanticamente i principi e i valori del cristianesimo e della nazionalità”18.
In tale contesto storico e culturale operano gli studiosi e
gli scrittori i cui nomi segnano il panorama dell’Ottocento
sardo. Può essere utile vederli in una rapidissima sintesi, per
avere un’idea del quadro in cui si colloca l’opera di Antonio
Baccaredda.
Giuseppe Manno (1786-1868), con la sua Storia di Sardegna (pubblicata fra il 1825 e il 1827) e con la successiva
Storia moderna della Sardegna dall’anno 1773 al 1799
(1842), può essere considerato il fondatore della storiografia sarda moderna. La sua opera risente di un punto di vista
culturalmente e umanamente angusto, di una visione politica del tutto ossequiente nei confronti del sovrano sabaudo: caratteristiche che influiscono in termini negativi sul
racconto storico, come dimostra Giuseppe Serri in una
equilibrata Introduzione premessa alla Storia moderna19. Al
di là del giudizio positivo espresso dal Croce, e tante volte
citato, è probabilmente questo l’aspetto che importa ricordare, assieme all’aneddoto che dice del modo in cui s’era
17
N. BOBBIO, Giovanni Battista Tuveri nel primo centenario della morte,
in G. B. TUVERI, Tutte le opere/1 Il Veggente. Del diritto dell’uomo alla
distruzione dei cattivi governi, a cura di A. Accardo, L. Carta, S. Mosso,
Sassari, Delfino, 1990, p. 15.
18
A. DELOGU, La filosofia in Sardegna (1750-1915). Etica Politica Diritto, cit., p. 217.
19
Cfr. G. SERRI, Introduzione a G. MANNO, Storia moderna della Sardegna dall’anno 1775 al 1799, Cagliari, Editrice Sardegna Nuova, 1972,
pp. 5-39.
Introduzione
XVII
avvicinato alla scrittura della storia e fa rimpiangere che
non abbia seguito un metodo storiografico più coerente con
quel principio20.
Pasquale Tola (1800-1874) è, invece, l’autore del Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna (18371838) e del Codex diplomaticus Sardiniae (1861-1868). Il
Dizionario nasce dal bisogno di confutare le accuse pronunciate da quanti chiamarono la Sardegna “barbara e
inculta”, per lo più senza conoscerla, come hanno fatto certi
viaggiatori “i quali vanno tuttodì buccinando questa nostra
pretesa barbarie. Di costoro è pieno il mondo; e vi fu tra
essi alcuno più audace degli altri, il quale, tranne la selvaggina e le femmine, null’altro bene aver trovato in Sardegna
per sacramento affermava”21. Chiarissimo il motivo che
spinge il Tola a scrivere: si deve anche aggiungere che l’ope“Egli si era avvicinato alla storia quasi per caso: ce lo dice egli stesso
nell’ultima opera che uscirà nel ’68, l’anno della sua morte. Ci racconta
infatti che nel ’25 (era allora Consigliere nel Consiglio supremo di Sardegna e segretario di Carlo Felice) Carlo Alberto gli fece leggere un libro
sulla Sardegna scritto da un ufficiale tedesco che per qualche tempo
aveva risieduto nell’isola. A questa lettura il Manno “allibì” e un po’ “per
lo sdegno provato” leggendo, a suo dire, tante inesattezze sui sardi, e un
po’ per le “amichevoli esortazioni del Dettori” decise di scrivere egli stesso una storia della Sardegna” (ivi, p. 6). Il Manno è anche autore di opere
letterarie e linguistiche (De’ vizi de’ letterati, 1828; Della fortuna delle
parole, 1831) e di altri testi fra i quali bisogna almeno ricordare Il giornale di un collegiale (1839), “una sorta di compiaciuto romanzo di formazione” (G. RICUPERATI, Fra memoria e cantiere di lavoro: la riflessione
di Giuseppe Manno, in G. MANNO, Note sarde e ricordi, a cura di A.
Accardo e G. Ricuperati, ed. del testo di E. Frongia, Cagliari, Centro di
studi filologici sardi / Cuec, 2003, pp. LVIII-LIX) e Note sarde e ricordi
(1868), in cui “la memoria è meno direttamente rievocativa ed ha oggetti di riferimento essenziali nella propria identità di adulto, intellettuale e
funzionario” (ivi, p. LIX).
21
P. TOLA, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, Torino,
Chirio e Mina, 1837-1838 (ora in ed. anastatica Bologna, Forni, 1966),
vol. I, pp. 13-14.
20
XVIII
GIUSEPPE MARCI
ra, “pur nell’ingenua ammirazione di tutto quanto fosse
sardo, ha un suo rigore storico che, quando si tramuta in
giudizio sul personaggio, discopre una certa vena d’umanità
e l’apprezzamento delle virtù tradizionali della gente dell’isola”22.
Anche Pietro Martini (1800-1866) è autore di un’opera
storico-biografica intitolata Biografia sarda (1837-1838)
nata, come quella del Tola, da un bisogno di risarcimento,
dalla considerazione che la Sardegna “fu meno riputata
delle altre terre appartenenti, come essa, alla madre comune” e che quindi era necessario mostrare che “era stata
madre feconda d’uomini degni d’onorata storica rimembranza”23. Sfortunatamente le ricerche del Martini (che è
anche autore di una Storia ecclesiastica di Sardegna24 e della
Storia di Sardegna dal 1799 al 181625) sono inficiate dalla
fiducia riposta nelle Carte d’Arborea alle quali lo studioso si
affidò totalmente26.
Alla storiografia letteraria si dedicò, invece, Giovanni
Siotto-Pintor (1805-1882), magistrato e deputato al Parlamento, autore della Storia letteraria di Sardegna (1843M. BRIGAGLIA, Intellettuali e produzione letteraria, cit., p. 37.
P. MARTINI, Biografia sarda, Cagliari, Reale Stamperia, 1837-1838,
tomo I, p. 3.
24
Cagliari, Reale stamperia, 1839-1841.
25
Cagliari, Timon, 1852.
26
Il Martini, come racconta nella Prefazione alla Storia delle invasioni
degli arabi e delle piraterie dei barbareschi in Sardegna (Cagliari, Timon,
1861, ora in edizione anastatica Forni, 1963), fu anzi colui che acquistò
la prima delle pergamene per donarla alla Biblioteca Universitaria di
Cagliari. A favorire la sua caduta nel tranello dei falsari contribuì certamente il rammarico che il Martini provava per l’assenza di documenti
che illuminassero lunghi periodi della storia sarda: “Alto dolore premeva
noi Sardi, quando nello scorrere le dotte pagine del Manno riconoscevamo in varie epoche la scarsezza e bene spesso il difetto assoluto di storiche ricordanze. Quindi usavamo di accagionare gli avi nostri di negligenza nel registrare e custodire le memorie dei grandi fatti, onde furono
spettatori” (ivi, p. 33).
22
23
Introduzione
XIX
1844), un’opera “eccessivamente intinta di italianismo (e di
una speculare, ininterrotta polemica antispagnola), attraverso la quale il Pintor anticipava l’azione che egli svolse in
particolare intorno al 1847, e nonostante la rapida disillusione seguita all’unione col Piemonte, esortando i sardi al
rafforzamento della loro coscienza unitaria italiana”27. Pur
con questi limiti la Storia letteraria di Sardegna ha ancora il
merito di offrire al lettore una straordinaria quantità di
materiali, per altro organizzati con una certa sapienza da un
autore che “non è ignaro degli orientamenti di storiografia
generale e letteraria dei primi decenni del secolo”28.
Su un piano diverso si collocano, con le loro ricerche non
meno significative di un orientamento sempre più teso al
recupero sostanziale della storia e della storia culturale
sarda, Ludovico Baille (1764-1839) e il fratello Faustino
Cesare, Salvator Angelo De Castro (1817-1878), Pietro
Amat di San Filippo (1822-1895), Filippo Vivanet (18361905).
Ma un bisogno di conoscenza che nasceva dalla medesima scaturigine era quello che cominciava a manifestarsi
vigorosamente nei primi decenni del secolo e si esplicava
nell’indagine scientifica e nella compilazione dei dizionari
della lingua sarda. Apriva la strada, nel 1811, il cagliaritano
Vincenzo Raimondo Porru (1773-1836) con la pubblicazione di un Saggio di grammatica sul dialetto sardo meridionale cui fece seguito il Nou dizionariu universali sardu italianu (1832-1834).
27
M. BRIGAGLIA, Intellettuali e produzione letteraria, cit., pp. 37-38. Il
Siotto-Pintor è anche autore di numerosi scritti politici, della Storia civile dei popoli sardi dal 1798 al 1848 (Torino, 1877), di racconti, di versi
e di testi per il teatro: due del 1875, Non mi ama e Il ridicolo e uno del
1878, la commedia in quattro atti Feliciana, ossia la ribellione delle mogli.
28
G. PIRODDA, La Sardegna, in Letteratura italiana. Storia e geografia, III.
L’età contemporanea, Torino, Einaudi, 1989, p. 950.
XX
GIUSEPPE MARCI
Il lavoro del Porru si segnala per almeno due importanti
motivi: riguarda il primo l’adesione dell’autore alla generale battaglia che gli intellettuali sardi avevano intrapreso in
difesa della verità sulle cose sarde, la storia come la letteratura e la lingua, anche questa misconosciuta e tuttavia denigrata, anche questa in attesa di un risarcimento che il Porru
intende donarle col suo dizionario: “A disinganno di alcuni
Scrittori d’oltremare, che senza conoscere né lingua né luoghi, e senza curar d’indagare le cose ne’ loro veri rapporti,
s’avvisarono, che il sardo idioma fosse nel suo complesso
barbaro e rugginoso quanto quello de’ Caraibi degli Ottentotti e de’ Caffri, si rileverà, che desso è ricco quanto altri
d’immaginazione di energia di locuzioni; ha proprietà d’idiotismi vivacità di frasi verecondia di traslati; sostiene gravità di stile, nobil dicitura, e in bocca alle persone colte è
capace d’atteggiar graziosamente anche le cose comuni,
colorirle con armonia, ed esprimerle con nobiltà”29.
Il secondo motivo concerne la necessità, rilevata dal
Porru, di arricchire la lingua sarda ricorrendo, ove sia necessario, a prestiti da altre lingue: “Non manca al linguaggio
de’ Sardi né proprietà d’idiotismi, né vivacità di frasi, né
dicitura, come più volte i nostri sagri Oratori lo han dato a
divedere sì fattamente, che hanno riscossa l’ammirazione, e
l’applauso comune. Ma dato pure, che il dialetto de’ Sardi
scarseggiasse di voci, in cui vece non senza grazia o intreccj
sostituisconsi di eleganti perifrasi, o voci più significanti di
altre lingue, qualora la necessità il richieda di rendere più
energica, e vivace un’espressione; e che perciò? La patria
favella non si dovrà mai arricchire di quelle voci, di cui
manca, e singolarmente delle univoche, togliendole o dalle
matrici lingue, o da qualunque altra, affine alla Sarda? Ne
29
V. PORRU, Prefazione, in Nou dizionariu universali sardu-italianu,
Casteddu, Tipografia Arciobispali, 1832 (ora in edizione anastatica
Cagliari, 3T, 1981), p. 3.
Introduzione
XXI
rimarrà priva sempre, e digiuna? Non può se non una
mente signoreggiata da pregiudizj negare, che i pubblici
Dicitori del nostro dialetto giudiziosamente fanno uso talora di stranie voci per vieppiù vestire, e sostenere la lingua
della Nazione. Né in questo fanno altro che seguire le orme
delle più colte Nazioni, le quali nulla mai ebbero più a
cuore, che accrescere, e ingentilire il natìo parlare, col
togliere quasi a vicenda l’una dall’altra que’ vocaboli, de’
quali scarseggiavano. A chi non è noto, che i Romani da’
Greci, e questi talora da’ Romani in prestito prendeano le
parole? Il medesimo sappiamo praticarsi tra i Tedeschi, e
gl’Inglesi, tra gl’Italiani, e i Francesi, tra gli Spagnuoli, e
gl’Indiani. Or s’egli è vero, che siamo più debitori alla
patria, che a coloro, i quali ci produssero a quest’aura vitale, e che da ognuno tribuenda est opera Reipubblicae, vel
omnis potius in ea cogitatio, et cura ponenda, por dobbiamo
ogni conato in dirozzare, ed accrescere la lingua della
Nazione, giacché da questo a lei vantaggio, splendore, e
lustro ne ritorna”30.
Fu poi Giovanni Spano (1803-1878), fondatore degli
studi archeologici sardi, a sviluppare questi studi giungendo a compilare il Vocabolario sardo-italiano e italiano-sardo
(1851-1852) e la Ortografia sarda nazionale, ossia grammatica della lingua logudorese paragonata all’italiana31. Entrambe queste opere (ma, più ampiamente, potremmo dire: l’inV. PORRU, L’autore a chi legge, in Saggio di grammatica sul dialetto sardo
meridionale, Cagliari, Stamperia Reale, 1811 (reprint, Sassari, 1975).
31
Cagliari, Reale stamperia, 1840. La bibliografia dello Spano è vastissima e comprende, oltre alle opere dedicate all’archeologia e alla lingua, gli
studi sulle tradizioni popolari, le raccolte delle canzoni logudoresi, la
guida di Cagliari, la traduzione dell’Itinerario di Alberto della Marmora,
le pagine memorialistiche e quelle d’indagine storica, uno sconfinato
repertorio per il quale si rimanda alla Bibliografia sarda di Raffaele Ciasca (Roma, Collezione meridionale editrice, 1931-1934, vol. IV, pp.
243-283).
30
XXII
GIUSEPPE MARCI
tera opera dello Spano) mirano “a costituire la prova della
dignità storica e culturale del sardo”32, la qual cosa appariva
tanto più necessaria, nel momento in cui, con la perfetta
fusione e il successivo processo unitario, la Sardegna si presentava all’appuntamento con le altre regioni italiane e
doveva “esibire credenziali di un certo rispetto almeno sul
piano delle tradizioni storiche, linguistiche e culturali”33. In
coerenza con questo assunto lo Spano non si limita a raccogliere le voci dell’uso contemporaneo ma documenta le
forme lessicali della tradizione scritta.
In un’ideale continuità con l’atmosfera illuminista e le
speranze progettuali che gli scrittori didascalici avevano
conferito al Settecento sardo, l’Ottocento si apre, sotto il
profilo dell’attività pubblicistica, con il Programma d’un
giornale di varia letteratura ad uso de’ sardi (1807), elaborato dal sacerdote Gian Andrea Massala (1777-1817).
In quel Programma il Massala esprime il proposito di dar
vita a un giornale che fosse un nuovo elemento di crescita
culturale in aggiunta agli altri maturati sul finire del precedente secolo: “Una certa luce di Filosofia, che si va gradatamente spargendo per tutte le classi degli Uomini della
nostra Sardegna, e l’essersi per ogni parte le varie scienze di
ritrose, e discortesi, ch’elle erano, appiacevolite, e rese accostevoli perfino alle gentili brigate, ed a quel sesso, che per
tutt’altro pareva nato, fuorché per le scienze, hanno fatto sì,
che non solo di moda, ma quasi di necessario uso divenuti
sieno quei libri elementari, che delle scienze, e delle arti
trattando le più chiare nozioni ne rappresentano, onde più
facilmente appararle”34.
G. PAULIS, Prefazione, in G. SPANO, Vocabolariu-sardu-italianu, Nuoro,
Ilisso, 1998, vol. I, p. 14.
33
Ivi, p. 15.
34
G. A. MASSALA, Programma d’un giornale di varia letteratura ad uso de’
32
Introduzione
XXIII
È una nuova teorizzazione degli stessi principi sui quali si
fonda la letteratura didascalica. Tali principi sono richiamati, questa volta, per proporre uno strumento nuovo e più
duttile (siamo alle soglie dell’Ottocento, il poema ha esaurito il suo slancio vitale) per la diffusione delle idee e delle
moderne concezioni scientifiche: il giornale letterario.
Comincia a manifestarsi con Massala l’esigenza di dar vita
a un giornale, a una rivista, a una pubblicazione periodica
capace di offrire spazio appropriato al dibattito esistente in
Sardegna. Tale esigenza che ancora oggi (a distanza di due
secoli, nonostante pregevoli quanto più o meno vitali episodi, e gli sforzi compiuti dalle forze più consapevoli dell’intellettualità sarda) attende d’essere soddisfatta, qui la
possiamo cogliere alle sue sorgenti: “Ora niun mezzo certamente migliore per una propagazione siffatta, quanto quello de’ Giornali Letterarii, senza i quali s’ignorerebbero dal
maggior numero delle persone le scoperte le più utili, e
necessarie; molte verità resterebbero occulte, se cercare si
dovessero ne’ voluminosi, intricati, ed astrusi libri, e calcoli de’ loro autori; finalmente le scienze, e la letteratura con
danno universale diverrebbero il patrimonio di pochi, i
quali facilmente abusandone trarrebbero gl’ignoranti e
troppo creduli loro concittadini ne’ maggiori e più formidabili errori”.
Il Massala guarda alla Sardegna, all’Italia, all’intero
mondo della cultura. L’isola è situata vicino all’Italia ma,
sardi, Cagliari, Reale Stamperia, 1807. Il Programma è stato ristampato
da chi scrive ne “La Grotta della vipera”, a. XXVIII, n. 97, 2002, pp. 5458. Il Massala è anche autore delle seguenti opere: Del matrimonio e de’
suoi doveri, Cagliari, 1800; Istituzioni poetiche proposte agli amatori di poesia latina e italiana, Sassari, 1800; Dissertazioni sul progresso delle scienze
e della letteratura in Sardegna dal ristabilimento delle due regie Università,
Sassari, 1803; Saggio storico-fisico sopra una grotta sotterranea esistente presso la città di Alghero, Sassari, 1805; Sonetti storici sulla Sardegna, Cagliari, 1808.
XXIV
GIUSEPPE MARCI
“per certe disgraziate combinazioni del suo isolamento”,
non ha potuto godere appieno del “moto perpetuo di scientifiche comunicazioni”. Non mancano le università, non
mancano i giovani che vogliono apprendere né i “valenti”
professori: di recente “la benefica mano dell’Augusto
Regnante” ha istituito quei “presidii” che prima mancavano, ha creato la Società Agrario-Economica di Cagliari, ha
riorganizzato la pubblica amministrazione, introdotto
forme legislative più efficaci. Tali le premesse che suggeriscono “di poter azzardare la compilazione di un Giornale di
varia letteratura, un mensile in ottavo di 64 pagine ad uso,
e vantaggio de’ Sardi amanti delle scienze, e delle arti”.
Del giornale il Massala delinea anche il programma e, formulando una sorta di menabò, precisa: in primo luogo la
filosofia (vale la pena di notarla, questa continua presenza
dell’interesse filosofico), quindi la letteratura, la storia, i
viaggi, la statistica, le scienze fisiche e naturali, le scoperte
chimiche, le innovazioni nei processi delle arti e dei mestieri. Una prospettiva ampia e, per così dire, universale. Senza
dimenticare che il giornale nasce in Sardegna, e che la Sardegna da tale iniziativa deve ricavare “vantaggi”: “Quindi la
storia patria, la riforma de’ costumi, e degli abusi; articoli
sull’Agricoltura, e sull’Economia pubblica colle applicazioni necessarie, e possibili al locale dell’Isola nostra; quindi
osservazioni sulla pastura, e governo de’ bestiami, sul governo delle vigne, de’ boschi, taglio, e stagionamento de’
legnami, sulla tintoria, su i migliori metodi di macerare il
lino, e la canapa, e simili cose, che possono credersi vantaggiose alla gente di campagna non meno, che agli abitanti
delle città”.
Il pubblico al quale il Massala mira è composto da “ogni
sorta di persone”, quindi non dovranno mancare, in ogni
numero, un articolo di “varietà”, presentazioni di libri e di
letterati stranieri, proposte di testi poetici e di tutti quegli
altri materiali che possano dilettare i lettori. Il Massala si
Introduzione
XXV
preoccupa anche di definire il ruolo dei “cooperatori”,
uomini dotti “sparsi nelle diverse parti del Regno”, cui spetterà di scrivere, su invito del “compilatore”, gli articoli per
il giornale. Ai “censori”, invece, il compito di vagliare gli
articoli: i loro nomi, perché possano lavorare senza pressioni d’alcun genere, saranno “tenuti nel più perfetto silenzio”.
Siamo in presenza di un documento sulle origini di un
giornalismo che ancora conserva un’impronta fortemente
letteraria ma che già aspira all’informazione scientifica e alla
notizia d’attualità, meglio se utile come quella relativa al
commercio, ai prezzi delle derrate nelle principali piazze
frequentate dagli operatori sardi. È un programma, a guardarlo con gli occhi di oggi, forse troppo ambizioso nella sua
complessità, ma perfettamente rispondente alle esigenze e
alle aspirazioni ideali di un’epoca varia, multiforme, non
riconducibile mai a un unico aspetto ma vitale proprio per
la poliedricità dei suoi interessi, in una parola enciclopedica.
Un’epoca che, in Sardegna come in Italia e in Europa, seppe
ricondurre ogni azione, la più modesta iniziativa agricola
come la ideazione di un progetto culturale, a un quadro di
riferimento generale ispirato e rischiarato dai lumi della
filosofia.
Comunque, il progetto di Andrea Massala non prese
avvio e Antonio Delogu ne spiega l’insuccesso riferendosi al
“clima di duro controllo imposto dai Savoia sulla cultura”,
un clima nel quale “ogni tentativo di rinnovare la cultura
isolana, anche su questioni lontane dall’implicare risvolti
sul piano politico, veniva duramente combattuto: non si
realizzò il progetto di Andrea Massala (1807) di fondare un
periodico tecnico-scientifico, né trovò consenso l’idea di
Domenico Alberto Azuni di pubblicare un giornale scientifico (1820)35.
A. DELOGU, La filosofia in Sardegna (1750-1915). Etica Politica Diritto, cit., pp. 75-76.
35
XXVI
GIUSEPPE MARCI
Lo storico Leopoldo Ortu, per far comprendere la situazione nella quale operarono i giornali nella prima metà dell’Ottocento, ricorda che la restaurazione iniziò nell’isola un
quindicennio prima che il Congresso di Vienna desse l’avvio all’analogo processo sulla scala dell’Europa e, prendendo le mosse proprio dal Massala, afferma: “Diversi giornali
furono pubblicati in Sardegna nell’età in questione, ma
quale più, quale meno, non riuscirono o non poterono
rientrare nell’orizzonte delineato dal sacerdote algherese. Si
può assumere in tal senso e come antesignano, visto che
appartiene all’ultimo lustro del Settecento, il “Giornale di
Sardegna”, oggi agevolmente reperibile, che fu diretto da
Giuseppe Melis Atzeni ed uscì in 23 numeri tra l’agosto del
1795 ed il marzo del 1796; non è altrettanto facilmente
consultabile il singolare “Foglio periodico di Sardegna”,
diretto da Adolfo Palmeto e pubblicato a Cagliari tra il gennaio del 1812 ed il luglio del 1813, sotto la sorveglianza
dello stesso Re Vittorio Emanuele I, come imponeva il regime assoluto e la politica mediterranea degli Inglesi, i quali
lo finanziavano direttamente. Esso, inoltre, fa decisamente
storia a sé. Dopo un certo numero di tentativi poco fortunati, bisogna giungere addirittura agli anni quaranta per
trovare due periodici di rilievo, prima il “Promotore” a Sassari, poi “La Meteora” a Cagliari, entrambi meritevoli di
ulteriori attenti studi, anche perché sono decisamente il
frutto di quel certo risveglio culturale (quantitativamente
ridotto, perché poté svilupparsi soltanto a livelli molto elitari, lontano dalla popolazione massicciamente analfabeta,
come d’altronde accadeva nel resto d’Europa) che si era
andato sviluppando, nei decenni precedenti, in Sardegna”36.
L. ORTU, Tra Restaurazione e Risorgimento: i giornali sardi nel periodo
della “Rinascenza”, in AA. VV., Ombre e luci della Restaurazione. Trasformazioni e continuità istituzionali nei territori del Regno di Sardegna, Atti
del convegno, Torino 21-24 ottobre 1991, Roma, Ministero per i Beni
36
Introduzione
XXVII
Quelli che lo storico descrive sono gli effetti evidenti della
cancellazione, non solo della speranza cresciuta nel corso
della settecentesca stagione riformistica, ma anche, e più
drammaticamente, di un’intera generazione di uomini che
avevano condiviso le attese suscitate da Giovanni Maria
Angioy e che erano stati spazzati via negli ultimi anni del
Settecento, rinchiusi in carcere e mandati al capestro o
spinti sulla via dell’esilio. Non può destare meraviglia il
silenzio che seguì e appare invece come segnale importante
di ripresa il fervore pubblicistico che, di lì a pochi decenni,
diede le sue prove.
In tale contesto si inseriscono i tentativi che il nascente
giornalismo sardo (e, al suo interno, un giornalismo letterario sempre più motivato) compie per affermare se stesso
vincendo difficoltà e condizionamenti. Un semplice elenco
di titoli, di nomi di direttori e di collaboratori, sarà sufficiente a dare un’idea dell’ampiezza e della tenacia che segnano le iniziative pubblicistiche.
Sul piano generale dell’informazione vanno ricordati, il
“Giornale di Cagliari” (1827-1829) di Stanislao Caboni37,
l’“Indicatore sardo” (1832-1852), fondato dall’avvocato
Giuseppe Pasella e diretto poi da Pietro Martini38, la
culturali e ambientali, Ufficio centrale per i Beni archivistici, 1997, pp.
363-402 (il passo citato è a p. 364). Il testo di Ortu si segnala anche per
la copiosa bibliografia.
37
Stanislao Caboni (1790-1880), magistrato, deputato al Parlamento,
autore di elogi poetici di illustri sardi.
38
Il giornale nacque “come strumento di propaganda della politica
sabauda e fondamentale mezzo per la diffusione nell’isola della campagna di centralizzazione del potere. Il governo sabaudo, pur non essendo
disposto, soprattutto dopo le esperienze napoleoniche, ad aperture
democratiche e progressiste e rimanendo sempre legato ad un ultra-assolutismo, era attento e convinto assertore della necessità di uno Stato che
fosse organizzato in modo razionale, moderno e accentrato” (M. COSSU,
G. ORRÙ, S. PALMAS, Il periodo storico e la struttura del giornale, in ID.,
Un giornale della Restaurazione: l’Indicatore Sardo, Cagliari, Tema, 1997,
XXVIII
GIUSEPPE MARCI
“Biblioteca sarda” (1838-1839), diretta da Vittorio
Angius39, il “Promotore” (1840), diretto da Francesco
Sulis40, la “Gazzetta popolare”41 (1850-1868), la “Gazzetta
di Sardegna” (1852), “L’Eco della Sardegna” di Stefano
Sampol Gandolfo42 (1852), l’“Avvisatore sardo” (18621877), il “Corriere di Sardegna” (1864-1879), “La Cronaca” (1866-1871), rivista settimanale, “Il Giornale di Sardegna”, (1896-1899), l’“Avvenire di Sardegna”43 (1871-1893).
Nel 1843 nasce “La Meteora”44, fondata da Salvator
pp. 49-50). Nel 1837 il giornale fu ceduto ai fratelli Martini ed “ebbe la
concessione di trattare temi politici, ma praticamente sotto dettatura
viceregia” (ivi, pp. 50-51).
39
Vittorio Angius (1797-1862), letterato, storico, deputato al Parlamento di Torino, autore del romanzo Leonora d’Arborea o scene sarde degli
ultimi lustri del secolo XIV e delle parole dell’inno Cunservet Deus su re,
compilò la sua rivista prevalentemente da solo, trattando soprattutto
argomenti di carattere storico, scientifico e artistico.
40
Francesco Sulis (1817-1877), avvocato, deputato al Parlamento, autore dello studio storico Dei moti politici dell’isola di Sardegna (Torino,
Biancardi, 1857).
41
“Nel 1850 fece la sua comparsa la “Gazzetta popolare”, periodico di
ispirazione democratica fondato a seguito di una singolare iniziativa dal
deputato Giuseppe Sanna-Sanna il quale, dopo aver appreso a Torino i
rudimenti dell’arte tipografica, trasferì a Cagliari il materiale indispensabile per l’impianto di una modesta tipografia. Al Sanna-Sanna, al tempo
stesso direttore e sostenitore del giornale sul quale furono ospitate le
migliori firme dell’ambiente laico cittadino, si sostituì, tra il 1852 e il
1854, Vincenzo Bruscu Onnis, futuro direttore dell’“Unità italiana” di
Milano (L. PISANO, Stampa e società in Sardegna dall’Unità all’età giolittiana, Torino, Centro di studi sul giornalismo, Guanda, 1977, p. 27).
42
Stefano Sampol Gandolfo (1820-1889), giornalista algherese, oltre che
“L’Eco della Sardegna” fondò e diresse “Lo smascheratore” (1849). È
anche autore di un romanzo, L’eremita di Ripaglia ossia l’antipapa Amedeo VIII di Savoia. Racconto storico (Roma, 1887).
43
Nel 1877 fu pubblicato, per alcuni numeri, “L’Avvenire di Sardegna
della domenica” che riapparve, nel 1884, diretto da Felice Uda.
44
Riferendosi a “La Meteora” e a “Il Promotore”, Laura Pisano sostiene
che “al di là dell’abito letterario affiora talvolta dalla stampa di quel
periodo un tono leggermente liberale e patriottico” (L. PISANO, Stampa e
Introduzione
XXIX
Angelo De Castro e Gavino Nino, che può essere considerata la prima pubblicazione dedicata alle tematiche culturali e specificamente letterarie; nel 1855 il “Bullettino archeologico sardo” che vivrà, sotto la direzione di Giovanni
Spano, fino al 1864 e riprenderà le pubblicazioni nel 1884,
diretto da Ettore Pais; nel 1876 Angelo Sommaruga, portato in Sardegna dal suo impiego nella zona mineraria iglesiente, darà vita a “La Farfalla”.
Tra i padri del giornalismo letterario isolano spiccano i
nomi di Antonio Scano che diede vita a periodici quali: “La
Gioventù sarda” (1876), “Vita di pensiero” (1878), “Serate
letterarie” (1882), “L’avvenire di Sardegna della domenica”
(1884), “Vita sarda” (1891), su cui comparvero scritti giovanili della Deledda, di Enrico Costa, che fondò “La Stella
di Sardegna” (1875-1879 e poi 1885-1886) e la diresse con
Antonio Scano e di Luigi Falchi che diresse “Nella terra dei
nuraghes” (1892-1894), “Sardegna artistica” (1893) e, varcata la soglia del Novecento, “La Sardegna letteraria”
(1902).
Giovanni Spano, Filippo Vivanet, Vittorio Angius, Vincenzo Bruscu Onnis furono anche autori di componimenti
in versi che comparvero sulla stampa periodica e talora vennero pubblicati in raccolte autonome. Si tratta, per lo più,
di una produzione minore che non aggiunge elementi significativi alla definizione di personalità più rilevanti in altri
campi.
società in Sardegna dall’Unità all’età giolittiana, cit., p. 26). Leopoldo
Ortu, dal suo canto, cita il passo di un articolo pubblicato su “La Meteora” che testimonia del profondo disagio caratterizzante il mondo giornalistico isolano: “Non so che dirmi, ove io pensi a quell’altissima verità: il
giornalismo essere l’espressione dell’incivilimento, mentre io vedo i
nostri giornali splendere ad un tratto ed estinguersi come fuochi fatui
che s’accendono sui sepolcri” (L. ORTU, op. cit., p. 388).
XXX
GIUSEPPE MARCI
Un caso diverso, non rilevante sotto il profilo della qualità artistica ma comunque degno di nota, è quello rappresentato dal canonico Giuseppe Luigi Schirru (1767-1832)
autore di un poema in ottave, Il Napoleone, del quale si conservano manoscritti i primi cinque canti e l’inizio del
sesto45. Lo Schirru da un lato riprende una tradizione locale (già Francesco Carboni si era sentito ispirato dalle gesta
napoleoniche), dall’altro manifesta adesione alle coeve tendenze della poesia neoclassica.
Ma è sicuramente la produzione in lingua sarda quella
che propone l’aspetto più significativo dell’attività poetica
ottocentesca, un’ampia gamma di temi e situazioni poetiche, varietà linguistica e culturale.
Diego Mele (1797-1861), parroco di Olzai, alimenta con
le sue conoscenze letterarie una vena satirica che lo rende
vicino alle popolazioni, ai bisogni diffusi, all’esigenza di
denuncia delle ingiustizie sociali. Le sue satire ebbero
un’ampia diffusione e godettero di un prestigio che ancora
dura e sembra indirizzare la valutazione critica, se Manlio
Brigaglia sente il bisogno di precisare che il Mele “si è visto
accreditare sul conto della qualità della sua poesia anche la
larghezza con cui essa ha circolato finora”46.
Una diffusione forse anche più ampia ebbe l’opera poetica di Melchiorre Murenu (1803-1854), analfabeta e cieco,
appartenente al mondo della poesia popolare improvvisata
sulla base di una codificazione metrica rigorosa e di una
forte partecipazione alle tematiche sociali e politiche. Vicino al mondo degli umili e ai loro bisogni (Brigaglia lo chiama l’Omero dei poveri), è autore della quartina Tancas serra-
Cfr. S. PILIA, Il Napoleone, poema eroico di Giuseppe Luigi Schirru, in
“La Grotta della vipera”, a. XXV, n. 88, 1999, pp. 35-41.
46
M. BRIGAGLIA, Donne e volpi ad Olzai, in AA. VV., Il meglio della grande poesia in lingua sarda, cit., pp. 175-176.
45
Introduzione
XXXI
das a muru, “una delle strofe più autenticamente vitali di
tutta la poesia isolana”47.
È invece anonimo un poemetto allegorico in gallurese
intitolato Canzona di mastru Juanni (dopo il 1812) “che
narra con grande icasticità lo scompiglio causato dall’arrivo
di mastro Giovanni, personificazione tradizionale della
fame, nella cittadina di Tempio”48.
In un rapido elenco di quelli che l’Alziator chiamava
poeti vernacoli occorre, infine, citare i nomi di Antonio
Solinas di Nuoro (1870-1900), di Peppino Mereu49 di
Tonara (1872-1901), di Pasquale Dessanay di Nuoro
(1869-1919), tutti autori legati alle modalità poetiche tradizionali che confermano anche nella scelta linguistica, ma
sempre più aperti alla conoscenza delle tendenze espresse
dalla poesia contemporanea: è probabilmente proprio nella
loro attività che va ricercato l’aspetto più vivo della produzione poetica ottocentesca.
Diverso è il caso di Paolo Mossa di Bonorva (1821-1892)
che può essere definito “un Arcade fuori tempo […] perché
ha dato voce a un mondo di gentili storie d’amore […] perché, della poesia settecentesca, ha conservato il giro musicale delle strofe, il gusto del sottile gioco verbale, ma più
ancora il concetto fondamentale: quello di una poesia che
M. BRIGAGLIA, L’Omero dei poveri, in AA. VV., Il meglio della grande
poesia in lingua sarda, cit., p. 204.
48
G. PIRODDA, La Sardegna, cit., p. 952.
49
A dire della densità dei problemi che caratterizzano questi autori,
basterà rinviare a quanto scrive Marco Maulu nel saggio Peppino Mereu:
il superamento del ritardo (in P. MEREU, Poesias, traduzione e cura di M.
Maulu, Nuoro Ilisso, 2004). A proposito del tonarese, Maulu nota che
la sua poesia è segnata da una “commistione fra opzioni poetiche contrastanti che ne fa senz’altro un autore complesso, non sempre inquadrabile con etichette che, per forza di cose, ne sacrificherebbero taluni aspetti, pur importanti” (p. 47).
47
XXXII
GIUSEPPE MARCI
esaurisce il suo compito nel dar voce a queste raffinate
situazioni sentimentali”50.
Ma, osservando il fenomeno nel suo complesso, almeno
per quel tanto che emerge ed è conosciuto, più che formulare definizioni di carattere generale può essere utile rifarsi
al principio metodologico enunciato da Maurizio Virdis, il
quale, in riferimento all’edizione critica dei versi composti
da Anna Maria Falchi Massidda (1824-1873), afferma che
l’impegno filologico “è un segno di rispetto sia nei confronti della nostra poetessa, sia, e soprattutto, nei confronti di una tradizione sommersa e dispersa che richiede una
particolare cura rivolta alle modalità della ricezione”51.
Per quanto sommersa e dispersa, quella tradizione alla
quale si riferisce Virdis ha avuto, e ancora in certa misura
ha, una sua capacità di persistenza e di diffusione, arrivando a raggiungere strati di pubblico diversi, e a formare, nell’insieme, un sistema letterario composito all’interno del
quale l’alto e il basso non vivono in dimensioni di totale
separatezza ma hanno molteplici e documentabili punti di
contatto. Tale fenomeno riguarda tanto la poesia quanto la
prosa, e, in particolare nel caso di autori quali Enrico Costa,
ha la capacità di superare le differenze culturali con la proposta di modalità stilistiche e di visioni del mondo che finiscono con l’essere generalmente condivise.
Parlando della produzione narrativa ottocentesca, dobbiamo innanzi tutto osservare come abbia un interesse assoluto perché racchiude le attestazioni di un sentimento, di
un atteggiamento mentale, di una forma dell’approccio culturale che sono, nel tempo più recente, la testimonianza del
M. BRIGAGLIA, Un poeta di paese, in AA. VV., Il meglio della grande poesia in lingua sarda, cit., p. 237.
51
M. VIRDIS, Nota al testo, in A. M. FALCHI MASSIDDA, Glossas, Cagliari, Cuec, 1999, p. 34 n.
50
Introduzione
XXXIII
modo in cui i sardi percepiscono se stessi, valutano la storia
passata della propria terra, interpretano il rapporto fra Sardegna e Piemonte, prima, fra Sardegna e Italia, dopo la conclusione del processo risorgimentale.
Già Egidio Pilia, nella sua fondamentale opera La letteratura narrativa in Sardegna osservava: “La letteratura romanzesca sarda del secolo XIX, se non ha grande importanza per
eccellenza di opere, riveste però un singolare valore documentario per lo studioso che voglia interpretarla, giacché è
la testimonianza più viva e più diretta di quella rivoluzione
spirituale, che lentamente e faticosamente tentò liberare i
sardi dalle opprimenti tradizioni letterarie, radicatesi nell’isola, durante il medio-evo e ribaditesi durante il Sei e Settecento”52.
Lasciamo perdere le “opprimenti tradizioni” che imporrebbero un discorso troppo lungo: quanto al resto è perfettamente vero che nelle pagine dei romanzieri ottocenteschi
troviamo il segno, reso esplicito, di una vera e propria “rivoluzione spirituale”. È come se, seguendo i tortuosi percorsi
della storia, le esigenze particolari dei sardi fossero giunte
all’appuntamento con sensibilità contemporaneamente
manifestate in molte altre parti dell’Europa: in primo luogo
con il bisogno dal quale erano scaturite le indagini storiografiche nelle diverse nazioni europee, con le riflessioni che
avevano portato a definire la categoria di popolo: “avere glorie comuni nel passato, una volontà comune nel presente,
aver compiuto grandi cose insieme, volerne fare altre ancora, ecco le condizioni essenziali per essere un popolo”53.
A questa soglia di conoscenza, interpreti di un clima e di
una generale esigenza, si affacciarono gli autori che vollero
E. PILIA, La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella,
Cagliari, Il Nuraghe, 1926, p. 45.
53
E. RENAN, Che cos’è una nazione, Roma, Donzelli editore, 1993, pp.
19-20.
52
XXXIV
GIUSEPPE MARCI
dedicarsi alla narrativa e, per lo più, scelsero la strada del
romanzo storico. Qui subito va detto che tale scelta fu compiuta (oltre che, più in generale, per l’influsso del modello
manzoniano) perché in quel genere i sardi videro una forma
di espressione artistica capace di rappresentare i fatti di una
storia patria intesa quale nodo dolente, materia di studio e
di evocazione letteraria d’un passato percepito come vivo e
tale da segnare la coscienza contemporanea.
Ha scritto Manlio Brigaglia: “Questi romanzi, di scarse
qualità specificamente letterarie, divennero tutti popolari e
occuparono nella formazione di una nuova coscienza isolana lo stesso posto che il romanzo risorgimentale aveva occupato nella diffusione dell’ideale unitario: non solo, ma
come il Guerrazzi e il D’Azeglio avevano scelto, fra tutte le
vicende possibili, quelle capaci di mostrare come l’antico
valore non fosse mai morto nel cuore degli italiani, così i
romanzieri sardi scelsero, fra le vicende dell’isola, al limite
fra la leggenda e la storia, quelle capaci di far luce su alcuni
concetti fondamentali (la lunga condizione di servaggio, la
dignità del popolo sardo, la presenza di alcuni caratteri
distintivi della civiltà regionale)”54.
È la matrice dalla quale derivano non uno ma due generi:
il romanzo storico e il romanzo di costume. Tracciare una
linea di confine è, alle volte, praticamente impossibile, poiché capita che uno stesso autore si cimenti nei diversi
campi.
Il Pilia ha provato a distinguere, studiando l’opera di
Enrico Costa e di Carlo Brundu, per poi arrivare a concludere: “il legame intimo che tiene avvinte le due specie di
produzioni è così evidente da lasciare facilmente intendere
54
M. BRIGAGLIA, Intellettuali e produzione letteraria, cit., p. 38.
Introduzione
XXXV
come l’opera romantica e quella naturalistica siano una la
logica interpretazione dell’altra”55.
Se non altro i difetti certamente accomunano i due versanti della produzione di un medesimo autore. Prendiamo,
come esempio, La bella di Cabras di Enrico Costa, una
drammatica e romantica storia sentimentale inutilmente
appesantita da lunghissime descrizioni – che lo stesso autore comprendeva essere ingombranti – sugli usi e i costumi
tradizionali dell’oristanese. Ma può anche accadere, e accade nei Bozzetti sardi di Ottone Bacaredda, che l’intento
descrittivo e la documentazione folklorica riescano a sciogliersi nella narrazione, divengano essi stessi materia del
racconto. Emerge allora un’ambientazione sarda autentica e
viva, sfondo ideale e coerente per le trame che vi si inseriscono.
La narrativa sarda ottocentesca prende avvio con i brevi
racconti storici di Gavino Nino56 (1807-1886) e Salvatore
Angelo De Castro (1817-1880) pubblicati sulla rivista “La
Meteora” (1843-1845). Entrambi questi autori, va ricordato, saranno attratti dalla figura di Eleonora d’Arborea alla
quale dedicheranno, il primo un melodramma in tre atti
pubblicato a Cagliari nel 1868, il secondo una biografia che
apparve a Oristano nel 188157. A un’altra figura femminile
E. PILIA, La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella,
cit., p. 114.
56
Gavino Nino (1807-1886), sacerdote, deputato al Parlamento si
schierò con la Sinistra. Nel 1843 fondò col De Castro la rivista “La
meteora”, è anche autore di poesie e di un dramma in cinque atti intitolato Ugone d’Arborea.
57
Salvator Angelo De Castro (1817-1880), deputato al Parlamento,
canonico nella diocesi di Oristano, sospettato di far parte del gruppo che
diede vita alle false Carte d’Arborea, si occupò a più riprese della figura di
Eleonora d’Arborea. Anche Gioacchino Ciuffo, ispirato dal mito dell’eroina, compose un dramma storico in quattro atti, intitolato Eleonora
d’Arborea (1868).
55
XXXVI
GIUSEPPE MARCI
della storia sarda si ispira Vincenzo Bruscu Onnis (18221888) che compone un racconto intitolato Adelasia di Torres (1845)58.
Per avere, invece, il primo romanzo storico dobbiamo
attendere il 1847, anno in cui Vittorio Angius (1797-1862)
pubblica la Leonora d’Arborea o scene sarde degli ultimi lustri
del secolo XIV.
Luciano Carta ha ricostruito la fase preparatoria di quest’opera, innanzi tutto notando che negli anni compresi fra
il 1839 e il 1845 (quando cominceranno ad apparire le false
Carte d’Arborea che inquineranno il quadro della ricerca
storica) vengono pubblicate alcune fra le opere più significative della cultura isolana: la Storia ecclesiastica di Sardegna
(1839-1841) di Pietro Martini, l’Ortografia sarda (1840) di
Giovanni Spano, la Storia moderna della Sardegna (1842) di
Giuseppe Manno, la Storia letteraria di Sardegna (18431844) di Giovanni Siotto-Pintor e la parte introduttiva del
Codice diplomatico di Sardegna (1845) di Pasquale Tola:
“Entro questo quadro non può non assumere un significato particolare la decisione dell’Angius di pubblicare l’orazione in onore di Eleonora d’Arborea”59. L’orazione latina60
era stata pronunciata per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Sassari il 4 novembre 1835 e pubblicata quattro anni più tardi. In quel lasso di tempo l’Angius aveva approfondito la propria concezione della storia,
Vincenzo Bruscu Onnis è anche autore di versi e de L’orfano, dramma
in cinque atti “rappresentato con successo al teatro Civico di Cagliari
dalla compagnia Petracchi-Vivarelli-Savi nell’agosto del 1846” (S. BULLEGAS, Storia del teatro in Sardegna, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1998,
p. 71).
59
L. CARTA, Vittorio Angius. Opere poetiche e orazioni latine, in “Archivio
storico del movimento operaio contadino e autonomistico”, n. 35-37,
Cagliari, Edisar, 1991, p. 159.
60
Cfr. De laudibus Leonorae Arborensium reginae oratio, Cagliari, Monteverde, 1839.
58
Introduzione
XXXVII
arrivando a porre “l’esigenza di ricollegare la storiografia
sarda alla storiografia nazionale d’ispirazione romantica” e,
in tale contesto, individuando “nel medioevo giudicale il
momento culminante della civiltà dell’isola e in Eleonora il
personaggio eroico di quel glorioso periodo della nostra storia”61.
Luciano Carta ha anche pubblicato le lettere indirizzate
dall’Angius a Giovanni Spano che consentono di ricostruire le tappe attraverso le quali l’autore è giunto alla pubblicazione della Leonora d’Arborea, così come la conosciamo,
composta da un unico volume scritto in italiano con parti
in versi intercalate alla prosa del romanzo62.
L. CARTA, Vittorio Angius. Opere poetiche e orazioni latine, cit., p. 161.
Un primo cenno è probabilmente contenuto nella lettera del 29 agosto 1842 in cui si legge: “Forsis a sa istoria de Arborea, chi mi acchingo a
iscrier, aia poder incontrare in cussa scrittura calchi cosa a propositu” (“Forse
per la storia di Arborea, che mi accingo a scrivere, avrei potuto trovare in
quel manoscritto qualcosa di utile”) (L. CARTA, a cura di, Lettere di Vittorio Angius a Giovanni Spano (1840-1860), in “Archivio storico del
movimento operaio contadino e autonomistico”, n. 35-37, Cagliari, Edisar, 1991, pp. 326-327). Il concetto ritorna il 28 settembre 1842: “Isto
in custa hora regogliende materiales pro dare un’istoria de Arborea de simile
fattura assa dessu Logudoro, e bido chi mi mancat meda, et qui sos amigos
oristanesos non si curant qui siat illustrada sa patria ipsoro e vivificada sa
gloria dessos arboresos” (“In questo periodo sto raccogliendo materiali per
scrivere una storia di Arborea sul genere di quella del Logudoro, e mi
rendo conto che mi manca molto, e che gli amici oristanesi se ne infischiano che sia nobilitata la loro patria ed esaltata la gloria degli arborensi”) (ivi, pp. 328-329). Il 28 dicembre 1842 parla della scrittura alla
quale attende come di una traduzione in logudorese: “spero […] qui potas
legere cun megus su qui eo ando iscriende in logudoresu, antis hapo a narrer
traduinde. Est una cosa nationale, et spero qui non ti hat a dispiaghere”
(“spero […] che tu possa leggere con me quello che io sto scrivendo in
logudorese, anzi dovrei dire traducendo. È un’opera nazionale, e spero
che non ti dispiacerà”) (ivi, pp. 332-333). Dovrà trascorrere circa un
anno perché il discorso venga ripreso, e in termini espliciti, nel contesto
di una lettera del 19 settembre 1843 che parla dell’opera in fase di ela61
62
XXXVIII
GIUSEPPE MARCI
Se teniamo presente quanto l’Angius ha scritto nelle lettere allo Spano, quel riferimento al manoscritto “in lingua
sarda nobile” che troviamo nella nota indirizzata Al benigno
borazione ed evidentemente ancora scritta in logudorese: “Forsis andas
madurande de pius in pius su Dictionariu? Tinde laudo. Quantu pius has a
ruminarebi supra, tantu pius perfecta hat a esser s’opera. Oh! quantu mi
dolet qui no isco quantas chentinas de migias s’interpongiant inter nois, qua
si esseres accessibile od ego pius prope a tie, minde hia bene juvare in su tribagliu meu subra Leonora. Como pusti tantu exercitiu mi paret esser arrivadu a certu gradu; ma tantas boltas mi mancat s’expressione; su qui mi
fachet desiderare qui haere comunicatione cumd’unu qui studiat a regogliere tutu sas formas sardas, et sas paraulas considerabiles, qui ind’unu od in
s’atteru logu sunt usitadas. Si queres ischire quale siat sa manera mia grammaticale ti naro qui mi adprobiai pius assu Cano, que ass’Araolla, sibbenes
su primu siat non bonu versificadore. Podes però bene intendere qui b’hant
essere sas reformas mias, et sunt quasi semper Bithismos, essende eo pius partiale de sa limba bitichesa pro qui mi paret meda pius propinqua assa origine e pius pura. No isco si ti hapa notificadu qui iscrissi in prosa; como ti fatto
ischire qui custa est frequentemente interpolada de liricas, pro imitare ancora in custu su caractere nationale, et qui pro resessire in sos metros varios, qui
hat sa poesia italiana, hapo depidu tale bolta usare certos gallurismos,
comente tue llos naras, et learemi qualqui attera licentia, qui spero hant a
esser sos lectores benignos a mi cunsentire. […] Su barone Manno qui hat
legidu pagu mancu que totos sos capitulos dess’epopeia mea mi hat confessadu chi non crediat chi su sardu resisteret assa prova quale eo l’hapo postu et
si prestaret a quantu dignitosamente s’est prestadu. […] Si tue mi mandares
scripturas de nde poder pigare qualqui paraula et frase digna de essere usada
in opera nationale, quale sa qui tento, m’hias a facher piaghere; atteramente hias a juvaremi meda si mi allistares cuddas paraulas et frases, qui potes
credere qui ego ignore, e stimes accomodadas a unu istilu elevadu, in su quale
però occurret de faeddare de omni genere de cosas, ja qui in custa epopeia
subra s’impresa storica de Leonora si presentat totu e quantu appartenit assa
Sardinia, et sunt totu referidos sos costumenes et usos nostros, aberindesi su
poema in Monteleone (casteddu), de inie passande in Ardari, in Gallura in
Terranova in Posada, in sos saltos de Montenieddu, torrande in Ardari, et
indi procedende in su Goceanu in su Marghine in sa Planargia in Arborea,
pustis in Parte Barigadu (Fordongianus) in Parte Useddus, in Sardara, Sellori, Sigerro e Sulchis, et terminande in sos cucuros de Caralis” (“Forse stai
dedicandoti in modo particolare al Dizionario? Hai la mia approvazione.
Quanto più ci tornerai sopra, tanto più perfetta riuscirà l’opera. Quanto
Introduzione
XXXIX
lettore avrà meno un sapore letterario, nell’inevitabile riferimento al manoscritto di cui parla il Manzoni, e sarà una
sorta di notazione autobiografica, quasi intenda dire che ha
mi dispiace non sapere quante centinaia di miglia si interpongano tra
noi, che se tu non fossi troppo lontano e io fossi più vicino a te mi potresti essere molto utile per il mio lavoro su Eleonora. Adesso, dopo tanto
lavorio mi sembra di essere arrivato a dei risultati accettabili; ma tante
volte mi manca l’espressione giusta; questo mi fa desiderare di poter
comunicare con uno come te che si è dato da fare per raccogliere tutte le
espressioni sarde, e le parole significative usate in questa o in quella località. Se vuoi sapere quali siano le mie preferenze linguistiche, ti dico che
mi sono avvicinato di più al Cano che all’Araolla, sebbene il primo sia
cattivo versificatore. Puoi però ben capire che vi saranno le mie innovazioni, e sono quasi sempre forme del dialetto di Bitti, essendo io un
ammiratore della lingua di Bitti, perché mi sembra molto più vicina
all’origine e più pura. Non so se ti ho fatto sapere che ho scritto in prosa;
ora ti faccio sapere che la prosa è spesso interrotta da versi, per imitare
anche in questo il carattere nazionale, e che per riuscire a comporre nei
diversi metri che ha la poesia italiana, ho dovuto talvolta usare certi gallurismi, come li chiami tu, e prendermi qualche altra libertà, che spero i
lettori siano così benevoli da concedermi. […] Il barone Manno che ha
letto quasi tutti i capitoli della mia epopea mi ha confessato che non credeva che la lingua sarda resistesse alla prova alla quale l’ho sottoposta e
che si prestasse a quanto s’è dignitosamente prestata. […] Se tu mi mandassi testi da cui poter prendere qualche parola e frase degna di essere
usata in opera nazionale quale quella che io sto tentando di scrivere mi
faresti un favore; diversamente mi aiuteresti molto se mi elencassi quelle
parole e frasi che ritieni che io non conosca e che consideri adatte a uno
stile elevato nel quale però è necessario parlare di ogni genere di cose,
giacché in questa epopea sull’impresa storica di Eleonora si trova tutto
quanto concerne la Sardegna, e vengono ricordati tutti i nostri usi e
costumi, dal momento che le vicende sono ambientate all’inizio nel
castello di Monteleone, poi ad Ardara, in Gallura, a Terranova, a Posada,
nei salti di Montenieddu, e di nuovo ad Ardara, e poi continuando nel
Goceano, nel Marghine, nella Planargia, nell’Arborea, e poi ancora a
Fordongianus, a Usellus, a Sardara, a Sanluri, nel Cixerri e nel Sulcis, per
terminare sui colli di Cagliari”) (ivi, pp. 334-336). Qualcosa deve, però,
modificare gli orientamenti dell’Angius se il 19 aprile 1844 scrive: “Istas
isectende sa Leonora? Hapas patientia ancora unu pagu, qua so tribaliande
a’ sa traductione italiana. Custa finida subitu hapo a publicare su program-
XL
GIUSEPPE MARCI
deciso di tradurre il testo originale, scritto in logudorese e,
per essere più precisi, in limba bitichesa, per renderlo accessibile ai più, “e massime alle gentili signore”, giudicando
che fosse “opera originale della letteratura poco conosciuta
della nazione sarda”63. L’intento che si prefiggeva con questo lavoro non era tanto quello di far luce sulla figura di
Eleonora, già molto nota, quanto piuttosto “di rappresentare il popolo sardo nel suo vero essere e aspetto”64: sfortunatamente la lunga incertezza fra prosa e poesia (che si
risolve in favore della prosa, ma con l’inserzione di componimenti poetici di vario metro), fra sardo e italiano (che si
risolve in favore di un italiano libresco e impacciato, decisamente poco avvincente) e, possiamo immaginare, fra ipotesi diverse riguardanti l’epopea poetica e la prosa del
romanzo storico, si conclude con l’approdo a una scrittura
che non rende un buon servigio a quel progetto di rapprema, et pusti has a legere su solenne pastissu qui hapo factu pro celebrare sa
heroina sarda et impare representare sa natione in omni respectu, de modu
qui non restet que pagu a ischire de’ sa natione nostra facta qui siat sa lectura de’ su interu poema, qui si quantu est mannu de estensione hat a parre
bellu, eo nd’hapo a esse cuntentu” (“Stai aspettando la Leonora? Abbi
pazienza ancora un po’: sto lavorando alla traduzione italiana. Appena
l’avrò terminata pubblicherò il programma e dopo leggerai il solenne
pasticcio che ho fatto per celebrare l’eroina sarda e al tempo stesso rappresentare la Sardegna sotto ogni punto di vista, in modo che non resti
quasi nulla da sapere sulla nostra terra una volta che si legga l’intero
poema: e se esso sembrerà bello quanto è grande la sua mole, ne sarò contento”) (ivi, pp. 337-338). Infine, in un’ultima lettera del 29 maggio
1844 l’Angius chiede ancora al suo corrispondente che gli spedisca “algunas notas de’ sos vocabulos qui credes dignos de fagher comente gemmas in sa
narratione mia epica” (“alcuni elenchi dei vocaboli che credi degni di fungere da gemme nella mia narrazione epica”) (ivi, pp. 338-339).
63
V. ANGIUS, Al benigno lettore, in Leonora d’Arborea o scene sarde degli
ultimi lustri del secolo XIV. Traduzione dall’originale sardo di Vittorio
Angius, Torino, Tipografia di Giuseppe Cassone, 1847.
64
V. ANGIUS, Leonora d’Arborea. Programma d’associazione, Torino, Cassone e Marzorati, 1844.
Introduzione
XLI
sentazione del “popolo sardo nel suo vero essere e aspetto”
che stava a cuore all’Angius e sarà condiviso dagli autori
che, dopo di lui, imboccheranno la strada del romanzo storico.
Nella seconda metà del secolo la produzione narrativa
esce dalla fase dell’avvio e offre un interessante panorama
aperto dall’Angelica (1862) del nostro Antonio Baccaredda
(1824-1908), autore di un’ampia produzione drammaturgia e saggistica all’interno della quale compaiono alcuni
romanzi che il Pilia definiva “di schietta scuola romantica,
pieni di sentimento e di melanconia, così come la moda del
tempo dettava”65. Si riferiva soprattutto a La crestaia (1864)
ed a Paolina (1869), a proposito dei quali scrive: “Del
primo, che non abbiamo potuto leggere, così scriveva lo
storico Manno, critico di non facile contentatura, in una
lettera all’autore: “Con sentimento di patriottica compiacenza ho gustato quanto havvi di profondamente meditato,
di sagacemente giudicato, di maestrevolmente tessuto e di
brillantemente scritto, in questo tuo racconto, che in molti
punti sfolgora e scoppietta con inaspettata fortuna di allusioni e di qualificazioni, che vengono da un buon fondo di
quello che i francesi chiamano esprit e che noi possiamo
solo chiamare con parole generiche ed incomplete”. Il
secondo è un romanzo intimamente legato – a quanto l’autore confessa – al primo di cui costituisce una continuazione; noi possiamo solo dire che come tutte le cose troppo stiracchiate non ha niente di eccezionale e degno di rilievo.
Storia fredda e convenzionale di una sedotta e della figliola,
non commuove né interessa e ci lascia del tutto indifferenti anche quando madre e figlia impazziscono davanti alla
E. PILIA, La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella,
cit., p. 119.
65
XLII
GIUSEPPE MARCI
fatalità del caso, che porta il vecchio ganimede che sedusse
la madre a sedurre la propria figlia…”66.
Giudizio troppo severo e che comunque andrebbe ripensato comparando questi lavori del Baccaredda con i romanzi che, più o meno nello stesso torno di tempo, produceva
la letteratura italiana, forse cominciando proprio con l’omonimo Paolina che Igino Tarchetti pubblicava nel 1865.
Non meno severa è la valutazione dell’Alziator che così delinea il quadro all’interno del quale si situano le opere del
Baccaredda: “Nella seconda metà dell’Ottocento, la narrativa fiorisce con straordinario rigoglio; nulla però o ben poco
di una così rigogliosa fioritura merita di essere ricordato. Si
tratta, nel complesso, di una letteratura che imita Walter
Scott, Alessandro Manzoni, Massimo d’Azeglio e Francesco
Domenico Guerrazzi. Prolissità nella narrazione, ridondanza retorica, fissità di schemi, povertà o farragine di fantasia,
lingua toscanamente stucchevole ne sono la cifra corrente.
Oscillano, in generale, questi narratori, tra l’ispirazione
drammatico-sentimentale, la storia romanzata ed il romanzo storico. È quest’ultimo, anzi, che, per quanto ormai pressoché in declino in Italia ed altrove, in Sardegna, per il solito fenomeno di distemporamento più volte notato, attecchisce particolarmente rigoglioso. Agiscono sui romanzieri
sardi quei medesimi sentimenti di patriottismo regionale
che avevano ispirato i falsari delle carte d’Arborea, anzi
sono, talvolta, proprio queste carte ad ispirarli. Naturalmente la giudicessa Eleonora, le vicende sarde dei Malaspina e dei Doria, le glorie della repubblica sassarese, l’infelice
ed eroica lotta contro gli Aragonesi, le straordinarie avventure di Vincenzo Sulis sono tra i temi preferiti. Si tratta, per
lo più, di una pessima produzione che non sa uscire dalla
più banale imitazione e di autori nei quali non si riesce mai
ad intravedere qualcosa di personale e di spontaneo. Sono
66
Ivi, pp. 119-120.
Introduzione
XLIII
in massima parte scrittori già condannati in partenza da
una poetica falsamente interpretata, oltre che, s’intende,
dalla mancanza di naturali qualità, innocenti maniaci della
penna che tentarono di dare lustro a sé ed all’Isola romanzandone la storia con personaggi presi a prestito dalla narrativa romantica europea. Ricorderemo, tra i tanti della
schiera, il cagliaritano Antonio Baccaredda, alla cui larga
produzione di narratore: Angelica, La Crestaia, Paolina, Il
bene e il male, Sull’orlo dell’abisso, Vincenzo Sulis, ecc. va
aggiunta quella di drammaturgo e di saggista”67.
E valga per quello che vale, questo giudizio dell’Alziator
che riportiamo nella sua interezza per dar modo al lettore di
considerare autonomamente i limiti interpretativi derivanti
da una fase storica e da una prospettiva critica incapaci di
comprendere il senso profondo, gli intendimenti morali, le
prospettive letterarie e linguistiche che stanno alla base di
una stagione troppo frettolosamente liquidata e sulla quale,
invece, sarebbe opportuno compiere ancora ulteriori sforzi
di indagine.
Se una tale indagine dovesse essere ritenuta utile, potrebbe prendere l’avvio da una verifica di quella teoria del
“distemporamento” proposto come dato obiettivo e che
invece andrebbe meglio verificata. Così come, forse, sarebbe proficuo riflettere sul “declino” del romanzo storico “in
Italia ed altrove”, sulla “poetica falsamente interpretata” e su
quel secco modo di stigmatizzare il tentativo “di dare lustro
a sé ed all’Isola” che, al contrario, può essere inteso, positivamente, come l’anticipatrice avvertenza di un ruolo possibile per la letteratura nei processi di crescita culturale e politica, di maturazione di una coscienza di sé capace di farsi
strada in maniera persuasiva – e sia pure attraverso qualche
farragine narrativa – in un processo di riflessione sulla propria storia e di volontà di raccontarla che è andato via via
67
F. ALZIATOR, Storia della letteratura di Sardegna, cit., pp 381-382.
XLIV
GIUSEPPE MARCI
affermandosi e che costituisce, nella contemporaneità del
mondo globalizzato, uno degli aspetti più significativi proposti dalla letteratura di tanti popoli.
Tale processo abbiamo la possibilità di osservarlo in una
fase embrionale se, ad esempio, leggiamo, comprendendola, la frase del Manno riportata dal Baccaredda nel frontespizio del romanzo Angelica: “Io vorrei poter qui colorire un
abbozzo del carattere della popolazione sarda, e onorare ciò
che è di più onorevole nella mia patria”68. Analogo intento
sta alla base del Vincenzo Sulis che ripubblichiamo.
Né molto dissimili sono gli intendimenti di quanti operano successivamente, scrittori di molteplici anche se non
sempre pregevoli romanzi. Attraverso queste opere abbiamo, comunque, un’utilissima informazione sul clima intellettuale che caratterizzava gli ultimi tre decenni del secolo.
Gavino Cossu (1844-1890) pubblica, nel 1882, il romanzo
Gli Anchita e i Brundanu, che era stato annunciato, l’anno
precedente, da un programma di abbonamento in cui l’autore dichiarava di aver voluto fare “una dipintura esatta
dello stato materiale e morale dell’isola in quel secolo fortunoso, che fu l’ultimo della esecranda dominazione spagnola in Sardegna”, con l’intento di “contribuire a far sì che
il lettore fosse in grado di avere un’idea chiara e distinta
della vita di quei tempi”69.
68
A. BACCAREDDA, Angelica. Novella sarda, Torino, Tipografia Derossi e
Dusso, 1862.
69
Citato in E. PILIA, La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la
novella, cit., p. 72. Nella dedica del volume, Gavino Cossu ribadirà di
aver voluto “trarre dall’immeritato oblio qualche negletta pagina di storia isolana, sforzandosi di farla ricordare alla memoria dei suoi concittadini” (G. COSSU, Gli Anchita e i Brundanu. Racconto sardo del secolo
XVII, Cagliari, Tipografia Avvenire di Sardegna, 1882, vol. I, p. 3): dove
è anche interessante la precisa scelta di pubblico, il messaggio rivolto
verso i “suoi concittadini”. In nome di tale intento didattico il Cossu
ritiene di dover “tratto tratto, interrompere il racconto principale, per
Introduzione
XLV
Anche nel suo caso, come in quello di Antonio Baccaredda, c’è il bisogno di dare dipinture esatte di una terra e dei
suoi abitanti, troppo spesso ignorati o rappresentati in
maniera inesatta. Verso un’analoga prospettiva di illustrazione, e difesa, della propria terra si orienteranno anche altri
autori, attenti – soprattutto – alla precisione storica e all’individuazione di figure-simbolo quali quelle di Eleonora
d’Arborea o Adelasia di Torres, Leonardo Alagon o Vincenzo Sulis.
Marcello Cossu (1845-?) scrisse Elodia e la repubblica sassarese (1875), Violetta del Goceano (1875), La bella di Osilo
(1879), Ritedda di Barigau (1885); Carlo Brundu (18341904) L’Alcaide di Longone (1870), La rotta di Macomer
(1872), Adelasia di Torres (1874), Una congiura in Cagliari
(1876); Pietro Carboni (1857-1902) Leonardo Alagon
(1872); Michele Operti Vincenzo Sulis (1871): fatti e personaggi capitali della storia sarda vengono riscoperti e proposti ai lettori per rinvigorire il sentimento nazionale, per
suscitare lo sdegno nei confronti di tutti i conculcatori del
sardo suolo.
Chi, più d’ogni altro, interpretò lo spirito dell’Ottocento
letterario sardo, e contribuì a plasmarlo dandogli la forza di
giungere fino al Novecento ancora capace di segnare con il
suo timbro racconti e romanzi, fu il sassarese Enrico Costa.
“Scrittore dilettante nel senso migliore della parola – scrive
Manlio Brigaglia – svolse un’attività straordinaria e instancabile, orientata e spesso dissipata in diverse direzioni”70. Da
qui occorre partire per comprendere la personalità del
Costa: dalla straordinaria latitudine dei suoi interessi che
comprendono la storia e la geografia, il folklore, la musica
descrivere uomini e cose, e far rilevare abitudini e costumanze, a misura
che esse mi venivano innanzi” (ivi, p. 5).
70
M. BRIGAGLIA, Intellettuali e produzione letteraria, cit., p. 39.
XLVI
GIUSEPPE MARCI
e, naturalmente, la letteratura. La bibliografia delle sue
opere è vastissima e per essa si rimanda all’opera La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella di Egidio
Pilia che la presenta secondo l’ordine cronologico71, e agli
Scrittori sardi nati nel secolo XIX di Raimondo Bonu che
riprende il lavoro del Pilia e divide la bibliografia in una
pratica disposizione per generi72.
Nato nel 1841 (a Sassari, dove morì nel 1909), il Costa
esordì come autore teatrale e come poeta. Solo nel 1874
pubblicò la sua prima opera narrativa, il romanzo Paolina
che, dopo l’iniziale edizione sassarese, nel giro di dieci anni
fu ristampato due volte, nel 1875 a Genova e nel 1884 a
Milano. In apertura di quel romanzo troviamo una lettera
dedicatoria a Filippo Vivanet che contiene una precisa, e
simpaticamente autoironica, indicazione critica valida per
Paolina e per tutta la restante produzione del Costa: “Tu
ben sai che, essendo io sempre stato in lotta con le cifre,
ogni mio lavoro può dirsi nato fra un’addizione e una sottrazione. Non deve quindi meravigliarti se i miei parti
risentono spesso di queste due operazioni aritmetiche: vi si
trova sempre qualche cosa in più, e qualche cosa in meno”73
Giudizio lucidissimo, e valido per l’intera produzione del
sassarese, tanto che è necessario sottrarlo alla contingenza
economica dalla quale era stato ispirato (Paolina era stato
scritto, e venduto per l’appendice di un giornale) e bisogna
invece assumerlo come generale criterio interpretativo.
Comprendendo che il Costa è scrittore vero, potenzialmenCfr. E. PILIA, La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella, cit., pp. 86-90. La bibliografia del Pilia è stata riproposta, in versione
riveduta e corretta, in E. COSTA, Il muto di Gallura, a cura di G. Marci,
Nuoro, Ilisso, 1998, pp. 24-29.
72
Cfr. R. BONU, Scrittori sardi nati nel secolo XIX. Con notizie storiche e
letterarie dell’epoca, Sassari, Gallizzi, 1961, pp. 768-772.
73
E. COSTA, All’amico Filippo Vivanet, in Paolina, Sassari, Tipografia
Azuni, 1874.
71
Introduzione
XLVII
te un bravo scrittore: certamente un uomo di cultura non
ignaro delle tendenze più significative della letteratura italiana o di quelle europee, un organizzatore culturale che,
come abbiamo visto, diede vita alla rivista “Stella di Sardegna” (1875-1886) “aperta alla cultura italiana”74.
Non gli mancavano, quindi, gli strumenti per comprendere i limiti che alla sua prosa dovevano inevitabilmente
derivare da scelte coerenti con le sue generali posizioni ideologiche ma altresì estranee a una logica strettamente letteraria. È però mosso da un fortissimo interesse nei confronti
della Sardegna, vuole illustrarne la storia, mostrare i tratti di
un’antica nobiltà e la fierezza di un carattere che secolari
disavventure non hanno piegato. A tutto questo sacrifica la
qualità artistica, in una consapevole operazione che non
ignora quanto nei suoi romanzi sia in più e quanto in meno
sotto il profilo narrativo.
A ben vedere questo così intenso bisogno di sardità non
rinchiude Enrico Costa nei confini di un’isola ma lo segnala come un intellettuale aperto alle correnti culturali del suo
tempo, capace di coniugare sentimenti e idealità largamente diffusi nell’Europa contemporanea con i problemi, le esigenze, le caratteristiche della questione sarda.
Egidio Pilia lo vede animato dal “fine nobilissimo di
un’alta educazione regionale”75: per assolvere a quello che
riteneva un suo compito, in un momento in cui “i migliori ingegni di Sardegna varcavano il mare alla ricerca di
nuovi e diversi ideali artistici, il Costa volle rimanere solo
G. PIRODDA, La Sardegna, cit., p. 956. Lo stesso autore, a proposito
dell’opera narrativa del Costa sostiene: “Scrive romanzi di costume, di
vicende contemporanee (fino al caso di un racconto-reportage) e romanzi storici, secondo percorsi e motivazioni che non sono certo quelli di un
manchevole aggiornamento sulla narrativa contemporanea” (ivi, p. 955).
75
E. PILIA, La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella,
cit., p. 87.
74
XLVIII
GIUSEPPE MARCI
nell’agone, e ricercare con lena infaticabile le leggende e le
vicende, i fasti e le glorie della sua terra, traendone lo spunto per le sue numerose e geniali pubblicazioni”76.
C’è sicuramente un’amplificazione, in tale giudizio, ma,
d’altra parte, uno studioso di generale visione sardista poteva forse restare indifferente di fronte alle affermazioni contenute, ad esempio, nella Conclusione del romanzo Rosa
Gambella, in cui il Costa dice d’aver voluto scrivere “un
libro utile agli studiosi di memorie patrie”, spera d’aver
“attirato l’attenzione dei sardi sui gravi e importanti avvenimenti che si volsero nell’isola” tra il 1478 e il 1483, afferma
che, al di là delle sconfitte subite, quel periodo “fu uno dei
più gloriosi della storia sarda”, polemizza col Manno sostenitore della tesi secondo cui quegli anni erano passati “per
la Sardegna senza lasciar copiose memorie” ed infine –
appassionatamente, ma con un’intuizione critica che le
moderne metodologie storiografiche hanno poi confermato
– prorompe nell’affermazione già ricordata: “È inesatto
quanto molti asseriscono: che la Sardegna non abbia storia.
La storia ce l’ha, ma è ignorata o non fu scritta. Non vi ha
popolo senza storia; e le storie si somigliano tutte, poiché in
fondo esse non compendiano che una serie di lotte, più o
meno fortunate, fra oppressi ed oppressori, fra deboli e prepotenti!”77.
È un enunciato in cui rigore d’analisi e vis polemica coincidono. Il punto d’arrivo (siamo nella piena maturità del
Costa) di un processo di pensiero che si era avviato molti
anni prima e le cui iniziali espressioni sono già presenti in
Paolina. Compare, infatti, in quel romanzo un personaggio,
un forastiere nomade che, casualmente capitato in Sardegna
e senza nulla conoscere della terra, degli usi e costumi, della
Ivi, p. 119.
E. COSTA; Rosa Gambella. Racconto storico sassarese del secolo XV, cit., p.
344.
76
77
Introduzione
XLIX
sua fisionomia, con aria saputa trincia giudizi del tutto privi
di fondamento. Sprezzantemente il Costa bolla lui e tutti i
suoi simili che in ogni tempo hanno parlato dell’isola con
queste parole: “Individui insomma che, spacciandosi per
uomini di alto affare, di vasta cultura e d’inarrivabile intelligenza, si atteggiano ora a maestri, ora a severi giudici di un
paese, di cui ignorano il più delle volte la storia, le tradizioni, le tendenze e la stessa geografia”78.
Ecco, allora, la storia e il bisogno di studiarla, di diffonderne la conoscenza. Anche attraverso i romanzi. C’entra
l’influsso manzoniano, come è logico che sia, quando si
parla di romanzo storico. Ma, prima ancora, c’è un impulso etico che spinge il Costa verso i personaggi della storia
sarda, verso Adelasia di Torres, ad esempio, l’infelice nobildonna che come un fantasma della mente egli insegue lungamente, la ricorda in molti suoi scritti, visita le rovine del
castello dove visse prigioniera, sballottata dalla sorte, oggetto delle interessate attenzioni di uomini stranieri che la
umiliarono. Quasi simbolo di una vicenda che fu più ampia
e riguardò la Sardegna intera.
Parlando del Costa autore di romanzi storici, il Pilia
sostiene: “il Costa rimane fedele a quella singolare tradizione della letteratura sarda, per cui la formula manzoniana
della storia messa al servizio dell’arte, viene radicalmente
capovolta. Per lui, come già per l’Angius, il Brundu, l’Uda
e gli altri minori, l’arte è messa al servizio della storia; egli è
un paziente studioso di archivi e i suoi romanzi rivelano
chiaramente le abitudini mentali di un ricercatore di professione”79. Lo rivelano anche troppo. Prendiamo Paolina, il
voluminoso romanzo con cui il Costa si presentò, ricco di
fantasia, capace di organizzare un complesso intreccio e di
E. COSTA, Paolina, cit., vol. II, p. 107.
E. PILIA, La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella,
cit., p. 91.
78
79
L
GIUSEPPE MARCI
governarlo fino alla conclusione. L’attenzione del romanziere è distratta da mille aspetti particolari: le condizioni del
trasporto interno in Sardegna, le linee architettoniche del
campanile di Mores, la politica nei villaggi. Su quest’ultimo
tema scrive un intero capitolo In cui si parla di Partiti e che
potrebbe farsi a meno di leggere. Divagazione “vera, verissima
– la giudicò Raffa Garzia – ma che nell’economia del lavoro è a pigione”80. Lo sapeva anche l’autore, se così intitolava il capitolo: non sbaglia ingenuamente ma sacrifica la
palma artistica per portare a compimento il suo progetto
politico.
E poi c’è da dire, lo dice ancora Raffa Garzia, “che alla
eccellenza nell’arte si arriva col contributo di molte generazioni, che a grado a grado salgono”81: il Costa non appartiene alla generazione che raccoglie, piuttosto a quella che
semina. Basta prendere le pagine di Paolina in cui si parla
della festa di San Giovanni a Mores, per capirlo. Qui si
getta il seme che fruttificherà in Grazia Deledda, non a caso
disposta a dichiararsi “discepola” del Costa che ha scritto
“tanti romanzi sardi, caldi di amor patrio, pieni d’entusiasmo o di tristezza per le bellezze o per le miserie dell’isola”82.
Qui è possibile trovare la radice delle celebri descrizioni
deleddiane in cui appare un popolo nel momento della
massima espressione d’un sentimento religioso che finisce
coll’essere tutt’uno con il sentimento dell’identità nazionale. Per comprendere a fondo la Deledda dobbiamo partire
dal Costa, da un autore, cioè, che pure è sempre in bilico
tra il desiderio di offrire al lettore un’esatta descrizione di
quegli usi festivi e la vocazione del romanziere che l’inforR. GARZIA, Enrico Costa, Cagliari, Tipografia Industriale, 1912, p. 21.
Ivi, p. 10.
82
G. DELEDDA, lettera ad Angelo De Gubernatis del 14 ottobre 1893, in
F. DI PILLA (a cura di), Grazia Deledda. Premio Nobel per la letteratura
1926, Milano, Fabbri, 1966, p. 454.
80
81
Introduzione
LI
mazione storica ed etnologica deve sciogliere nel tessuto
narrativo.
Il dilemma ritorna di continuo: tanto nei romanzi quanto negli scritti minori. Così, nella Guida racconto Da Sassari a Cagliari (1902), anche se, col pretesto d’un viaggio in
treno, si descrive il nascere di una passione amorosa tra due
giovani viaggiatori, come è possibile passare alle pendici del
colle su cui sorgeva il castello di Ardara senza ricordare l’infelice Adelasia? Così nel romanzo La bella di Cabras (1887)
c’è la storia romantica dell’amore tra Rosa e Carlino che si
chiude tragicamente per la donna, ma ci sono anche (e lo
stesso Costa ne comprendeva l’inopportunità narrativa, se
cercò di giustificarle, senza peraltro riuscirvi) ampie digressioni storiche e folkloriche, né manca una compiuta descrizione della pesca dei muggini. Così, presentando Giovanni
Tolu, opera destinata alla più larga celebrità, il Costa sostiene: “rinunziai a scrivere un lavoro d’arte, e decisi di riportare fedelmente la confessione del Tolu, seguendo l’ordine da
lui tenuto, e servendomi quasi sempre de’ suoi modi di dire.
La storia del vecchio bandito (sebbene più prolissa e forse
più noiosa) potrà così conservare tutta la natia semplicità,
tutto il colore locale, e quella vergine impronta che darà
maggior risalto al carattere del tempo, degli attori e dell’ambiente. Mi limiterò solamente ad apporre qua e là qualche breve nota appiè di pagina, quando la crederò necessaria”83. Ma poi non resiste alla tentazione di infliggere (l’espressione è sua) al lettore “alcune pagine di storia sui banditi sardi in genere, e su quelli del Logudoro in ispecie”,
sebbene pensi che la “chiacchierata potrebbe omettersi, con
vantaggio di chi legge”84.
E. COSTA, Giovanni Tolu, Sassari, Dessì, 1897, ora in ed. Ilisso, 1997,
p. 29.
84
Ivi, p. 30.
83
LII
GIUSEPPE MARCI
E da una medesima volontà di informare e documentare
è spinto anche ne Il muto di Gallura (1885), che pure ha un
vigoroso andamento romanzesco, quando sente il bisogno
di dichiarare: “Non ho scritto un romanzo. I fatti ch’io
narro sono veri; veri nei particolari, nei nomi dei personaggi, nei luoghi dell’azione, nei tempi in cui accaddero, e fin
nei dialoghi che riporto. I galluresi potrebbero farne fede”85.
Romanziere, dunque, ma anche storico, antropologo,
giornalista e apostolo di una sardità che tende prepotentemente ad affermarsi in ogni pagina.
Accanto alla figura del Costa, per il rilievo che ebbe, e
non solo nell’ambito sardo, abbiamo collocato Ottone
Bacaredda (1849-1921). Nel 1874 aveva pubblicato un
romanzo intitolato Roccaspinosa che venne riproposto, col
titolo Casa Corniola, in una prestigiosa collana diretta dal
Sommaruga cui il Bacaredda era legato dai tempi de “La
Farfalla”. Il romanzo mostra come l’autore si muova in
un’atmosfera verista, ma intenda rappresentare gli elementi
caratteristici della realtà italiana, al di là delle particolarità
regionali e delle distinzioni linguistiche o dialettali. Una
forte connotazione regionale compare, invece, nella citata
raccolta di racconti Bozzetti sardi (1881) che nella dedica
viene definito “saggio d’impressioni e di costumi paesani” e
nella quale la materia sarda assume un ruolo centrale.
La figura del Bacaredda ben rappresenta una tendenza
che segnò il mondo culturale e artistico sardo nel periodo
conclusivo dell’Ottocento e nella fase d’avvio del Novecento: il bisogno di confronto con le contemporanee esperienze italiane ed europee che vediamo rappresentato nell’opera di pittori come Antonio Ballero (1864-1932) che scrisse
un romanzo, Don Zua (1894), di scultori come Francesco
E. COSTA, Il muto di Gallura, Milano, A. Brigola, 1885, ora in ed. Ilisso, cit., p. 33.
85
Introduzione
LIII
Ciusa (1883-1949), di letterati e romanzieri come Salvatore Farina (1846-1918) che esercitò un importante ruolo di
mediazione fra l’ambiente milanese in cui operava (dal
1871 dirigeva la “Rivista minima”) e la Sardegna di uomini
di teatro come i fratelli Michele (1830-1898) e Felice Uda
(1832-1900). In questo contesto può, per certi versi, essere
inserito anche Giovanni Saragat (1855-1928), autore di
romanzi e racconti umoristici.
Ma è tempo di avvicinarci al bozzetto storico dedicato da
Antonio Baccaredda al capopopolo cagliaritano Vincenzo
Sulis.
Apparve a Cagliari, presso la Tipografia Editrice dell’Avvenire di Sardegna, nel 1871. L’anno prima, il 20 settembre, si era compiuto, con la presa di Roma, il processo dell’Unità d’Italia: non sarà inutile, quindi, chiedersi, in primo
luogo, il senso e l’opportunità, da parte del Baccaredda, di
porre al centro del proprio racconto un personaggio che era
stato condannato per il delitto di lesa maestà. Sfortunatamente le informazioni biografiche non aiutano a inquadrare bene la personalità dell’autore. Sappiamo che era nato
a Cagliari nel 1824, aveva esercitato la funzione di impiegato superiore del Ministero delle Finanze, aveva viaggiato
visitando diverse città d’Italia, e che era morto a Napoli nel
1908. Il suo ruolo professionale fa supporre che abbia potuto cogliere da un buon punto d’osservazione, se non da una
posizione di primo piano, quella importante fase della vita
nazionale in cui, fatta l’Italia, bisognava fare gli italiani. La
vastità degli interessi culturali rivelati dalle opere che compose aggiunge che non fu un uomo isolato, ma seppe guardare al proprio tempo aiutato dallo studio della letteratura
e della filosofia, forte anche di una personale capacità di
giudizio. Non doveva essere facile, nel clima di celebrazione della appena conquistata unità, esprimere un concetto
simile a questo: “Le fazioni, e le conventicole grandi e pic-
LIV
GIUSEPPE MARCI
cole, che così bene attecchiscono in Sardegna, sotto questo
aspetto in nulla dissimile dalla sua madre patria […]”. È
vero che si riferisce agli anni di fine Settecento (quindi al
Piemonte, piuttosto che all’Italia) quando il Sulis aveva
ruolo e peso nelle vicende sarde, ma il concetto ha una
valenza e una triste attualità in molti momenti della storia
patria per cui non è da escludere che il Baccaredda, con
animo disincantato, lo riferisse anche al suo tempo.
D’altra parte è anche inattesa quella definizione dal vago
aroma coloniale che sembra indicare un quieto stato di
dipendenza, dalla madre patria, appunto, mentre la Sardegna in non pochi punti del romanzo è per altro descritta
con attenzione alle sue caratteristiche contestative nei confronti del potere piemontese e agli atteggiamenti di sapore
autonomistico.
Ma il primo gesto forte e in buona sostanza di rottura
consiste proprio, come detto, nell’aver scelto di assegnare il
ruolo centrale nel racconto a un uomo inviso al potere
sabaudo, colpevole di alto tradimento e perciò condannato
con sentenza di morte poi commutata nel carcere a vita.
Neppure la concessione della grazia aveva modificato l’opinione sulla pericolosità del soggetto, tanto è vero che non gli
fu concesso di ritornare nella sua città ma venne inviato in
esilio nell’isola della Maddalena.
Né varrebbe obiettare che dal momento della morte del
Sulis, avvenuta nel 1834, alla pubblicazione del bozzetto storico erano trascorsi quasi quattro decenni: continuiamo a
tener presenti le date e, congiuntamente, un poco noto ma
essenziale gioco intertestuale. Tre anni dopo la pubblicazione del Vincenzo Sulis concludeva la sua esistenza terrena
Pasquale Tola, lo storico che aveva propiziato la stesura dell’autobiografia del capopopolo cagliaritano, aveva ricevuto
le carte speditegli dal Sulis mano a mano che le scriveva
negli anni 1832-1833, le aveva custodite per tutta la vita,
anche utilizzandole nella compilazione del Dizionario bio-
Introduzione
LV
grafico degli uomini illustri di Sardegna, senza mai dichiararne il possesso, come spiega in una nota del 1839: “Questo
motivo, che facea della libertà, e dei sensi liberali un delitto ai giovani generosi; e più ancora il triste caso del mio
amato fratello Efisio, che nel 1833 fu vittima cruenta del
suo amore per la libertà, e fu immolato (vero assassinio
legale!) sotto un Re, che per primo avea dato egli stesso alla
gioventù l’esempio nel campo della libertà, mi fecero vieppiù tenace nel custodire non solo, ma nel non palesare ad
alcuno, che il MS autografo del Sulis era in mio potere. E
spinsi il silenzio fino al punto, che nel 1838, quando pubblicai il 3° Volume del mio Dizionario Biografico degli
Uomini Illustri di Sardegna, in una nota all’articolo di Vincenzo Sulis, dissi bensì di aver consultato la sua Vita autografa, ma mi guardai bene dal dire, che io la possedevo”86.
L’insigne storico, dunque, non solo non pubblicò, ma
neppure dichiarò di avere in casa quella vita autografa di
Vincenzo Sulis che rimase inedita fino al 1964 quando fu
data alle stampe in un’edizione segnata da gravi limiti, per
essere poi riproposta da chi scrive nel 1994, centosessanta
anni dopo la morte dell’autore. Del quale autore si sarebbero forse perse le tracce, e comunque avremmo avuto
minore e ben differente notizia, se il Tola non avesse compilato la nota del suo Dizionario biografico seguendo il
manoscritto autografo che il vecchio capopopolo gli aveva
inviato in “cinque fascicoli, o quaderni”, mano a mano che
li scriveva e cioè nel corso degli anni 1832 e 1833. Ebbene,
da quel testo del Tola il racconto di Antonio Baccaredda in
86
V. SULIS, Autobiografia, a cura di G. Marci, Cagliari, Centro di Studi
Filologici Sardi / Cuec, 2004, pp. 3-4. Nel passo in cui tratta delle offerte rivolte al Sulis dalla Francia, il Tola aggiunge una nota che così inizia:
“Nella vita del Sulis, scritta da lui medesimo, e da noi esaminata nel suo
autografo, è raccontato con molti particolari questo fatto, il quale onora
grandemente la di lui fedeltà” (P. TOLA, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, cit., vol. III, p. 244).
LVI
GIUSEPPE MARCI
larga misura dipende87, lo cita con espliciti rimandi in nota
e ne accoglie anche alcuni “errori”, quale, ad esempio, quello relativo alla data di nascita che il Sulis retrodata dal 1758
al 1746 con l’intento di conferire maggiore venerabilità alla
figura di chi in tardissima età racconta la propria storia.
Ma, soprattutto, il romanziere accoglie il punto di vista
dello storico che così apre la voce del Dizionario biografico:
“Sulis Vincenzo, uomo popolare, rendutosi famoso pel suo
potere negli affari pubblici dell’isola negli ultimi anni del
secolo scorso, e poi caduto in un tratto dal sommo della
fortuna in istato miserevole di lunghissima sventura. La sua
vita fu veramente singolare e quasi meravigliosa”88.
Ce n’è più che a sufficienza per accendere la fantasia di uno
scrittore, tanto più che il racconto di quella vita “singolare e
quasi meravigliosa” ha, nella parte sostanziale, il valore
aggiunto dell’autenticità, come già sapeva Pasquale Tola89 e
come poi hanno confermato, al di là di ogni ragionevole
dubbio, le ricerche storiografiche novecentesche, a cominciare da quelle, scrupolosissime, di Francesco Loddo Canepa90.
87
Ma va anche segnalato almeno un episodio, quello dei pescatori che,
all’arrivo del re a Cagliari, “si accinsero a trascinare, a luogo dei cavalli, il
cocchio che doveva condurre alla reggia gli augusti coniugi; ma il re nol
consentiva, sdegnoso che un tributo di devozione e di amore, tornasse a
disdoro dell’umana dignità”. Tale episodio, presente nell’Autobiografia,
non è riportato nella nota del Tola. Il Baccaredda può averlo ripreso da
altra fonte; senza escludere, ma è mera ipotesi teorica, che possa aver consultato direttamente le carte autografe del Sulis, per concessione dello
storico da cui erano custodite.
88
Ivi, p. 241.
89
“In questa vita medesima, nella quale il Sulis racconta con molta sincerità le proprie azioni, e buone e malvage, sono contenute molte altre
notizie che spargono assai luce sugli avvenimenti pubblici di Sardegna,
dal 1792 fino al 1799” (ivi, p. 244).
90
Cfr., in particolare, F. LODDO CANEPA, Vincenzo Sulis nel suo processo e
nella sua prigionia. La congiura cagliaritana del 1799, in “Il Nuraghe”,
VII, nn. 7, 8, 11 e 12, 1929.
Introduzione
LVII
Una linea diretta, quindi, collega il testo autobiografico e
il bozzetto storico attraverso la mediazione del Tola il quale
non si limita a rendere pubbliche le informazioni contenute nel manoscritto ma aggiunge parole di commento, fornisce una chiave interpretativa del personaggio, ne esalta l’aspetto morale. In tal modo, per ovvi motivi di prudenza,
sottace le considerazioni che si sarebbero dovute fare con
riferimento alla situazione politica descrivendo i comportamenti tenuti dall’ambiente di corte, dal duca d’Aosta e
dallo stesso sovrano nella gestione di quel delicato passaggio che anche riguarda Vincenzo Sulis e la sua rovinosa
uscita dalla scena pubblica ma che, più ampiamente, ha
rappresentato l’avvio del processo di Restaurazione in Sardegna, circa quindici anni prima che il Congresso di Vienna stabilisse analoga sorte per l’intera Europa: “Inesperto ed
in felicissimo uomo!... Nell’innocenza propria ei fidava, e
non sapea, che vittima dei ribaldi è spesso quaggiù l’innocenza, e che solo e stabilmente deve trionfare nel cielo…”91.
In più, egli che lo conobbe personalmente, incontrandolo proprio alla Maddalena92, aggiunge un prezioso ritratto
del Sulis nell’isola dove “trasse quietamente il resto dei suoi
giorni”: “L’acerbità dei lunghi patimenti sofferti nel carcere
nulla gli avevano tolto dell’antica sua sveltezza, nulla dello
spirito sempre vivace, non domato dagli anni né dalla sventura. Parlava, con molta precisione e con rara memoria
degli accidenti tutti della sua passata vita, e nel 1832 li scriP. TOLA, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, cit., vol.
III, p. 245.
92
“Nel gennaio 1829, e nel viaggio, che per la prima volta feci per mare
da Porto Torres a Genova sopra una piccola Goletta Corriera, onde poi
recarmi a Torino, una forte burrasca di mare costrinse la detta Goletta a
riparare per salvezza nell’Isola della Maddalena, dove si fermò in ancoraggio per tre giorni. Sceso a terra, io passai questi tre giorni nell’Isola; e
là conobbi, e conversai giornalmente con Vincenzo Sulis, che vi era confinato” (V. SULIS, Autobiografia, cit., p. 3).
91
LVIII
GIUSEPPE MARCI
veva di proprio pugno, acciò non perissero nella ricordanza
della posterità. Negli anni della sua relegazione si diede
intieramente alle pratiche religiose ed alle opere di pietà; e
nel 13 febbraio 1834 cessò di vivere nella suddetta isola
della Maddalena, lasciando di sé tal nome, che nella sarda
istoria sarà più singolare che raro”93.
Certo questa immagine, pacificata e pietosa, contrasta
non poco con la fiera e, se così possiamo dire, vendicativa
religiosità da Antico Testamento che l’autobiografo professa nelle ultime righe dell’Autobiografia, là dove conclusivamente prorompe: “ma il Signore Iddio per vieppiù confondere li supermi, invidiosi, e maligni, hà permesso che io
ancora sia vivo dopo d’aver conosciuto la dinastia di 6
Regnanti, e tutti loro con il seguito di tutti li calunniatori,
Emuli, ed inimici son tutti tutti trapassati a peggior vita,
poiché stà scritto chi mal vive, mal deve morire, e morendo
male vi è la perdizione eterna”94.
Ma altra cosa è un racconto autobiografico, quando colui
che dice io sa di trovarsi al cospetto della storia e traccia le
linee della propria immagine pubblica, altro è un’esistenza
privata che si consuma nella solitudine dell’esilio. E, del
resto, non c’è alcun motivo per dubitare della testimonianza del Tola, così come, con totale evidenza, possiamo cogliere nelle parole dello storico la fonte da cui trae spunto il
Baccaredda per delineare il personaggio descritto nella fase
finale del bozzetto storico, anche ideando la patetica scena
della riconciliazione col cognato traditore che appare come
elemento di forte distacco rispetto al racconto autobiografico.
O piuttosto di sviluppo, perché a ben riflettere, tutti i
possibili spunti di una svolta sentimentale e larmoyant sono
P. TOLA, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, cit., vol.
III, p. 246.
94
V. SULIS, Autobiografia, cit., p. 182.
93
Introduzione
LIX
già presenti nell’Autobiografia dove pure il protagonista una
volta si ricrede sul medesimo cognato corso, si attribuisce la
responsabilità del grave dissenso dal quale erano divisi, lo
perdona, lo ringrazia per ciò che sta facendo in suo favore,
gli promette d’essere in futuro riconoscente. Il Sulis non
poteva aver letto Le mie prigioni che invece compaiono per
esplicita citazione nell’opera del Baccaredda: tuttavia non si
potrà negare che nel gran caleidoscopio dell’Autobiografia,
accanto ai momenti eroici, della fierezza e della ferocia,
della vis polemica, dell’invettiva e dell’anatema, anche convivano toni sentimentali e pacificati, situazioni che possono
evocare il clima dei rapporti fra il carcerato e il vecchio carceriere Schiller.
Questi toni il Baccaredda sceglie di esaltare affidando ad
essi la funzione di rappresentatività letteraria in un bozzetto
storico – un’opera, cioè, ascrivibile ad un genere diffuso
nella seconda metà dell’Ottocento e che si propone di
descrivere, dal vero e con brevità, scene, ambienti, tipi
umani – per altro programmaticamente “inteso a nutricar
la fama di un grande patriota”. Dichiarazione da accostare
a quella del Manno che, lo abbiamo già ricordato, compare nel frontespizio del romanzo Angelica: “Io vorrei poter
qui colorire un abbozzo del carattere della popolazione
sarda, e onorare ciò che è di più onorevole nella mia patria”.
La patria sarda, beninteso, alla quale anche il Baccaredda,
come molti altri scrittori isolani, intende con la sua opera
letteraria offrire un risarcimento, come dice in una lettera
datata da Firenze e indirizzata a Giovanni Siotto-Pintor cui
il volume è dedicato: “Se del Sulis poi non racconto tutto
ciò che si riferisce alla sua vita privata, egli è che le storie,
scritte sempre sotto le preoccupazioni politiche, non offrono d’ordinario che un arido tessuto di avvenimenti pubblici, sdegnose di penetrare a loro volta nella famiglia, e ricercarvi quegli aneddoti, che modesti finché si vuole, forse più
dei fatti di piazza valgono talvolta a disegnare la fisionomia
LX
GIUSEPPE MARCI
di un popolo, il quale nella giostra perigliosa della politica
partigiana spesso si fa aperto come veramente non è. Quanti popoli furono perciò calunniati, quanti altri fatti segno di
immeritate lodi? Le storie che si scrissero sulla Sardegna
non fanno pur troppo eccezione alla regola; onde il lettore,
accontentandosi di quanto gli offro, vedrà talora le lacune
colmate da invenzioni, sommesse per altro alle tinte locali,
allo spirito dei tempi, all’indole infine di quelle figure storiche che li caratterizzarono; quanto basta, per sentenza di
Goethe, un lavoro possa reputarsi storico”.
Analizzando bene gli atteggiamenti di Antonio Baccaredda ci sarebbe da parlare non di “distemporamento” ma di
precisa collocazione in quel ricco coacervo di tensioni e di
progetti letterari che si determinò nel momento del passaggio fra tardo romanticismo e realismo, quando cominciava
a delinearsi la suggestione dei colori del vero e, contemporaneamente, si manifestava l’attenzione nei confronti delle
caratteristiche storiche, culturali, linguistiche delle parti
d’Italia fino a quel momento lontane e divise, ora riunite
(anche se con procedure discutibili) a formare lo stato da
poco costituito.
Nel contesto letterario al quale qui brevemente si allude il
Vincenzo Sulis deve essere inserito perché ne possiamo comprendere le generali caratteristiche come pure i particolari
riferimenti alle vicende proprie della Sardegna che, per
altro, nel momento descritto coincidono con la storia italiana ed europea segnata dalle aspettative di libertà diffuse
nell’Europa di fine Settecento, dall’espansione della repubblica francese, dalle imprese napoleoniche, dagli sforzi tesi
a ripristinare gli ordinamenti dell’ancien régime. E non sarà
senza significato se il gusto per la sperimentazione linguistica che l’opera dimostra non va tanto nella direzione del
calco dalla lingua sarda (comunque presente, nella citazione dei versi di un muttettu – Pepa s’est coiada / Cund’unu
stampaxinu – e nella riproposizione di modi di dire prover-
Introduzione
LXI
biali – A passu a passu et pianu / Ti hap’a sighire che boe; / Si
non poto sighire hoe, / Ti hap’a sighire manzanu” –: entrambi importanti per la definizione di un colore ambientale
ottenuto con delicatezza di tratto), quanto nel gioco con la
lingua francese. A dimostrazione della familiarità con quella lingua e con gli uomini che la parlavano, dei rapporti
antichi di conoscenza e di scambi commerciali (significativo, sotto questo profilo, il passo che l’Autobiografia del Sulis
dedica agli “assegnati”95), dei legami recenti nati per le
ragioni della politica, sull’onda delle attese suscitate dalla
Rivoluzione, dei contatti, delle lettere, dei dispacci, del
materiale propagandistico, degli agenti della repubblica che
operavano in Sardegna, dei sardi che frequentavano la Francia e che tra breve l’avrebbero dovuta scegliere quale non
casuale luogo di rifugio quando dovettero abbandonare la
patria sarda.
Ecco, la patria: il lettore attento coglierà la doppia appartenenza che il romanzo rappresenta, quella già ricordata alla
madre patria, distante e formale, e quella autentica e propria
richiamata dai “ruderi del castello di Santa Gilla, già reggia
dei giudici cagliaritani”. A questa patria è dovuta una
fedeltà indiscussa, quasi un atto d’amore, mentre l’altra
fedeltà, quella nei confronti del sovrano sabaudo, è anch’essa garantita, ma solo perché “i sardi avevano già posto in
oblio le offese patenti e diuturne ad essi fatte a nome di quel
re medesimo”. E, in ogni caso, “porre in oblio” non significa dimenticare del tutto, se il romanzo conserva puntuale
memoria delle sopraffazioni e crudeltà perpetrate da viceré
e funzionari quali Giuseppe Maria Montiglio di Villanova e
Giacomo Carlo Maria de Asarta, “di cara e soavissima
memoria” che ricorsero sistematicamente alle così dette economiche, “certi giudizi improvvisi, statari, inappellabili, nei
95
Cfr. V. SULIS, Autobiografia, cit., pp. 42-44.
LXII
GIUSEPPE MARCI
quali si faceva economia di tutto, di tempo, di giustizia, di
umanità, tranne che di corda”.
Lo stesso Carlo Felice, che regnò dal 1821 al 1831 ma che
dal 1799 era stato viceré, dovette risultare indimenticabile
per il Regno di Sardegna, se ancora quarant’anni dopo la
morte si poteva dire di lui: “era un povero mortale, nato per
stare alla coda, non alla testa degli uomini; un essere che
avendo le abitudini di un ruminante, del ruminante avea
pure la mente ed il carattere, con tuttoché un animo retto
avesse e così informato a giustizia, che per amore di essa
soventi volte commetteva atti, non pure iniqui, ma contrari altresì a giustizia. Fin l’unica virtù sua partecipava della
natura mulina. Non è quindi da stupire che egli governasse
alla guisa di Claudio, colla mente e la volontà dei suoi consiglieri, che non valevano proprio una patacca”.
E con questo si chiude il conto della memoria e dell’oblio anche per quanto concerne i sardi che, attendendosi
onore e potere dalla madre patria, trascurarono di servire la
patria e furono nemici ai propri conterranei, come la vicenda del Sulis dimostra nel racconto di Antonio Baccaredda
che è fedele alla storia e, nei casi in cui manchi la documentazione, colma le lacune con “invenzioni, sommesse
per altro alle tinte locali”.
Nella medesima maniera si sono condotti altri autori
della stessa terra, egualmente spinti dal bisogno di “dare
dipinture esatte della vita” in Sardegna, di aiutare il lettore
a farsi “un’idea chiara e distinta della vita di quei tempi”,
più o meno lontani, dai quali attinsero fatti e personaggi,
una tematica sarda che vollero trattare conoscendo le coeve
produzioni italiane ed europee e senza rinunciare al forte
impulso morale che li spingeva a scrivere. In quest’ottica
può essere considerato poco importante stabilire se fossero
privi “di naturali qualità”, o se piuttosto fossero, come talora collettivamente appaiono, tenaci ricercatori di una
Introduzione
LXIII
modalità narrativa propria che rispondesse all’esigenza interiore dalla quale erano mossi ma avesse anche la capacità di
confrontarsi con la generale elaborazione letteraria.
Con Antonio Baccaredda il fenomeno lo possiamo osservare come in una sorta di ottocentesco incunabolo. Trascorsi pochi anni sarà la volta di Enrico Costa e poi della
sua discepola Grazia Deledda. Un cammino certo non trascurabile, soprattutto se compiuto da “innocenti maniaci
della penna” che, effettivamente, sono riusciti nell’intento
di dare lustro all’Isola nella quale erano nati e al popolo cui
appartenevano raccontandone, in pagine di romanzi, storia
e geografia, costumi tradizionali e modi di essere, visioni del
mondo e azioni quotidiane.
Anche a guardarlo in un’ottica esclusivamente letteraria
può essere ritenuto un buon risultato.
Giuseppe Marci
NOTIZIA BIO-BIBLIOGRAFICA
Antonio Baccaredda nacque a Cagliari il 2 dicembre 1824.
Fratello di Efisio (1818-1894), autore di Cagliari ai miei
tempi (1884) sotto lo pseudonimo di Emilio Bonfis, e quindi zio del più celebre Ottone (1849-1921), che appunto era
figlio di Efisio, entrò nell’amministrazione delle dogane e vi
intraprese una brillante carriera, divenendo Funzionario
Superiore del Ministero delle Finanze. Per ragioni lavorative, lasciò la Sardegna e visse in varie città della penisola, coltivando il proprio interesse per la letteratura. Fu autore di
opere drammatiche, quali I misteri e un giuramento, pubblicato a Genova nel 1847, e Il mago, un melodramma in tre
atti, del 1850. Attestato da un articolo pubblicato sul
numero 49 dell’“Indicatore sardo” (1850), ma non reperibile, è, inoltre, il dramma Marina Cera, ispirato a una reale
vicenda giudiziaria svoltasi a Sassari.
Il Baccaredda coltivò anche il genere narrativo, pubblicando romanzi e racconti: Angelica (Torino, 1862), Paolina
(Genova, 1869), Il bene dal male (Firenze, 1871), Sull’orlo
dell’abisso (Roma, 1881) e Nuvoloni: novelle, parabole e
pensieri diversi (Roma, 1887).
Si dedicò inoltre ad opere di carattere storico-politico,
quali Pier Maria: scene storiche del secolo XVIII (Cagliari,
1848) e il più composito Religione e politica: etiologia dei
costumi, pubblicato nel 1903 a Napoli, città, quest’ultima,
nella quale morì nel luglio del 1908. In un articolo commemorativo, pubblicato da “L’Unione sarda”, viene ricordato come “gentiluomo di squisita bontà, cittadino di adamantina virtù”, parole queste adottate per definirlo, in una
lettera privata, dall’amico Giovanni Siotto-Pintor, al quale
il Baccaredda aveva dedicato, nel 1871, l’opera Vincenzo
Sulis. Bozzetto storico.
La sua figura eclettica, l’apertura alle correnti nazionali ed
LXVI
Notizia bio-bibliografica
internazionali sono sottolineate da Egidio Pilia che, nei
numeri 26, 36 e 38 (1925-26) della rivista letteraria “Il
Nuraghe”, rivela l’esistenza di un romanzo inedito dal titolo Il ragno e la mosca e la pubblicazione di alcuni testi oggi
però irreperibili: un’opera di narrativa, La crestaia. Storia
domestica (1864) e due di carattere saggistico, Monografia
sulla musica (1870) e Sull’individualismo (1874)1.
Simona Serra
Del Baccaredda, il Pilia si occupa anche in La letteratura narrativa in
Sardegna. Il romanzo e la novella, Cagliari, Il Nuraghe, 1926. Cfr. inoltre: P. CADEDDU, Al chiarissimo giovine cagliaritano Antonio Bacaredda:
autore dei due drammi Marito e giudice - Non aprite al sacrilego, rappresentati in Cagliari 1851, Cagliari, Tipografia Nazionale, s.a.; R. CIASCA,
Bibliografia sarda, Roma, Collezione Meridionale Editrice, 1931-34, vol.
I, pp. 114-115, nn. 1085-1095; F. ALZIATOR, Storia della letteratura di
Sardegna, Cagliari, Edizioni Della Zattera, 1954, pp. 382, 413; R.
BONU, Scrittori sardi, Sassari, Gallizzi, 1961, vol. II, pp. 750-751; ISTITUTO EDITORIALE BIBLIOGRAFICO SARDO, Catalogo storico ragionato degli
scrittori sardi dal IV al XX secolo, Cagliari, Diellessepì, 1977, scheda n.
131; L. SPANU, Dizionario biografico di cagliaritani, Cagliari, Tea, 1984,
s.v.; G. MARCI, Antonio Bacaredda tra romanzo storico e romanzo di costume, “La grotta della vipera”, XVI, 52-53, 1990, pp. 28-35; G. MARCI,
Romanzo storico romanzo di costume nell’ultimo Ottocento: il caso di Antonio Bacaredda, in U. COLLU (a cura di), Grazia Deledda nella cultura contemporanea. Atti del seminario di studi (Nuoro, 1986), Cagliari, Stef,
1992, pp. 179-196; F. FLORIS, Bibliografia storica della Sardegna, Cagliari, Della Torre, 2001, I, s.v.
1
NOTA AL TESTO
La presente edizione è condotta su quella del 1871, pubblicata a Cagliari dalla Tipografia Editrice dell’Avvenire di Sardegna (in seguito As).
Sono state conservate alcune caratteristiche del testo originale e in particolare:
- l’uso della -ii per il plurale in proprii;
- le oscillazioni: avea, aveva; captività, cattività; cotesto,
codesto; escito, uscito; facea, faceva; istesso, stesso; marinaio,
marinaro; messaggiere, messaggiero; nonostante, non ostante;
patriotta, patriota; pro, pro’, prò; stromenti, strumenti; tono,
tuono; etc.;
- alcune forme ortografiche desuete: abborrire, altiero, cotidiano, desso, fisonomia, fraticida, instituirsi, iscacciare, isdegno, ito, messaggiero, ned, palagio, parcità, parmi, profferire, pronunziare, remigando, riescire, sabbato, sacrifizio, seco,
sendo, tai, teco, etc.;
- la |j| quale semiconsonante: ajutiamo, bajadera, bajonette,
barcajolo, buje, cojetto, jattura, muojono, pajono, Sajano,
soja, strettoja, etc.;
- l’uso del corsivo per segnalare parole straniere o citazioni
letterarie e storiche in lingua italiana;
- la lettera minuscola che talvolta compare dopo i punti
esclamativo e interrogativo.
Si è invece preferito:
- trasformare, secondo l’uso corrente, in acuto l’accento
che era segnato grave in allorché, anziché, ché, comeché,
contuttoché, dacché, dié, essendoché, finché, giacché, né, perché, poiché, poté, sé, sicché, tuttoché, etc.;
- adottare forme non accentate: balia per balìa, compito per
còmpito, contrari per contrarî, era per êra, qui in luogo di
LXVIII
-
-
-
Nota al testo
quì; rovinio per rovinìo; subito per sùbito; accentate: dì per
di’, sì in luogo dell’uso oscillante con si;
eliminare ï in Baïlle ed ë in Goëthe;
uniformare il numero oscillante dei punti usati per indicare la sospensione del discorso con i canonici …;
correggere refusi evidenti, quali: avvesse per avesse, borea
per boria, collo per colla, Cromwel per Cromwell, derière
per derrière, forastiera per forestiera, gli per li, livello per
libello, macchiavellici per machiavellici, Moor per More,
ommettendo per omettendo, ripostate per riportate, Sajano
per Seiano, Schmitt per Schmidt, etc;
uniformare l’uso oscillante di D., d., per abbreviare don,
adottando la minuscola; di La-Planargia, La Planargia,
scegliendo quest’ultima forma;
aggiungere o eliminare taluni trattini d’apertura o chiusura del discorso diretto;
eliminare il corsivo nella toponomastica;
lasciare incomplete le indicazioni bibliografiche delle
note dell’Autore, conservandone anche le infedeltà nelle
citazioni, come ad esempio ribellione in luogo di rivolta
nella nota (1);
inserire, nelle note dell’Autore, fra virgolette il testo delle
citazioni segnato in corsivo.
Sono state altresì integrate le indicazioni fornite dall’Autore nell’errata corrige.
I numeri segnati in grassetto fra parentesi tonde e inseriti nella linea indicano le note compilate dall’Autore.
Abbiamo distinto con i numeri arabi e romani segnati in
apice le nostre note apposte, rispettivamente, al testo e alle
note del Baccaredda.
Simona Pilia
VI NCENZO S UL IS
BOZZETTO STORICO
DI
ANTONIO BACCAREDDA
AL CHIARISSIMO
GIOVANNI SIOTTO-PINTOR1
SENATORE DEL REGNO
SOCIO
DELL’ACCADEMIA AGRARIA ED ECONOMICA
DI CAGLIARI
DELLE SCIENZE DI TORINO
DELLA TIBERINA DI ROMA
DELLE SCIENZE DI MARSIGLIA
DELLA
FLORIMONTANA DEGLI INVOGLIATI DI MONTELEONE
DELLA SOCIETÀ
EMANCIPATRICE DEL SACERDOZIO ITALIANO
DI NAPOLI
DI QUELLA DI UGO FOSCOLO DI VENEZIA
DELL’ACCADEMIA DI SCIENZE,
LETTERE E ARTI DI MODENA, ECC.
1
Giovanni Siotto Pintor (1805-1882), magistrato della Reale Udienza, senatore
al Parlamento di Torino, concluse la carriera come presidente di sezione della
Corte di Cassazione; fu uno dei maggiori promotori della perfetta fusione con il
Piemonte nel 1847; scrisse la Storia letteraria di Sardegna (1843-44).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
7
Una nobile figura di animoso2 cittadino, leggendo la moderna
storia di Sardegna, si affacciò mai sempre3 alla mia mente, non
così grande nella prosperità come nell’infortunio4; non così inonorata in vita come in morte, eppure tanto degna di essere prodotta ai dì nostri per elevatezza di spirito, interezza di carattere,
valore e generosità d’animo.
Non eran forse queste le doti di Vincenzo Sulis? Non è forse
questa vera gloria? Ecco la ragione che mi confortò a scrivere questo bozzetto storico, inteso a nutricar5 la fama di un grande
patriota.
Se del Sulis poi non racconto tutto ciò che si riferisce alla sua
vita privata, egli è che le storie, scritte sempre sotto le preoccupazioni politiche, non offrono d’ordinario6 che un arido tessuto di
avvenimenti pubblici, sdegnose di penetrare a loro volta nella
famiglia, e ricercarvi quegli aneddoti, che modesti finché si vuole,
forse più dei fatti di piazza valgono talvolta a disegnare la fisonomia7 di un popolo, il quale nella giostra perigliosa8 della politica
partigiana spesso si fa aperto come veramente non è. Quanti
popoli furono perciò calunniati, quanti altri fatti segno9 di immeritate lodi? Le storie che si scrissero sulla Sardegna non fanno pur
troppo eccezione alla regola; onde il lettore, accontentandosi di
quanto gli offro, vedrà talora le lacune colmate da invenzioni,
sommesse10 per altro alle tinte locali, allo spirito dei tempi, all’indole infine di quelle figure storiche che li caratterizzarono; quanto basta, per sentenza di Goethe11, perché un lavoro12 possa reputarsi storico.
2
Coraggioso.
Formula obsoleta di basso uso per il rafforzativo di sempre.
4 Nella sventura.
5 Alimentare.
6 Di consueto.
7 Arcaismo per fisionomia.
8 Pericolosa.
9 Resi oggetto.
10 Per sottomesse.
11 Probabilmente si riferisce al passo dello scrittore e poeta tedesco Johann Wolfgang Goethe (1749-1832): “Sommamente eccitante è per lo storico il punto nel
quale storia e leggenda sconfinano l’una nell’altra. Di solito è il più bello di tutta
la tradizione” (J. W. GOETHE, Massime, Roma, TEN, 1994, p. 85).
12 perché un lavoro per un lavoro come richiesto dall’errata corrige.
3
8
ANTONIO BACCAREDDA
Penso non pertanto che Ella, cultore così privilegiato e chiaro
di cose letterarie, ravviserà questo mio bozzetto-storico, che ho
l’onore d’intitolarle, condotto con iscarso corredo di giudizi, con
manchevole vigore di colorito, con nessuna floridezza di stile; né
me ne attendo lode per questo; l’indulgenza soltanto, questa, che
mai non si scompagna da coloro che in valore letterario vanno di
pari alla S. V. Ill.ma, io me la prometto tutta, non foss’altro, per
aver tentato di propiziare, a onore di un grande e disfortunato13
cittadino, la religione dei sepolcri, e medesimamente di rinverdire la memoria di cui gli fu maestro e guida, l’illustre antenato di
V. S. Ill.ma, il cavaliere Efisio Luigi Pintor, il quale con l’opra del
senno e della mano ebbe tanta e sì gloriosa parte nella sarda istoria, sebbene temente di cansare14 un gran danno, altro e non
meno funesto ne cagionasse alla Sardegna15.
ANTONIO BACCAREDDA
Firenze, 12 maggio 1870.
13
Sfortunato.
Evitare, scansare.
15 Efisio Luigi Pintor Sirigu (1766-1814), avvocato, ambigua personalità politica:
fu prima fautore dell’Angioy divenendone poi oppositore, scagliandosi crudelmente e con estrema ferocia contro i suoi seguaci. Poetò in italiano, latino e sardo,
con venature spesso sarcastiche. Più volte, nel testo, Baccaredda sottolinea la scorrettezza politica e umana del Pintor.
14
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
9
I.
Nell’epoca memorabile, in cui ad ogni buon cittadino francese
occorreva soltanto pane, virtù e salnitro; in cui il ferale16 strumento, pensato da Guillotin e realizzato da Schmidt17, veniva
salutato come il vessillo18 della civiltà, e i repubblicani di Francia
ai popoli attoniti insegnavano la libertà a colpi di cannone, in
quell’epoca e più precisamente quando la repubblica dittatoriale
era nella incubazione della repubblica consolare, due forestieri tre
ore dopo il meriggio19 di un bel giorno di febbraio perlustravano
con un certo interesse le più popolose vie di Cagliari.
Di costoro forestiere veramente non era che un solo, l’altro
appartenendo ad una delle province dell’Italia continentale; e
questo per parlare con rigore geografico, potendo altrimenti dirsi
forestiere ogni italiano che muti di provincia.
L’uno di essi, che era francese, fermatosi a guardare l’antica
torre dell’Aquila20, esclamò sorridendo:
– Certainement questa è una città alla rococò; mais la vedrete
mutare per incanto sotto la gran repubblica21.
– Nessuno può niegarvi22 il vanto di saper trasformare ogni
cosa – rispose l’altro dirigendosi verso il bastione di S. Remigio23.
16
Funesto, annunciatore di morte.
As Schmitt. Il riferimento è alla ghigliottina, macchina per le esecuzioni capitali adottata in Francia a partire dal 1793, dietro proposta del dottor Guillotin, che
con la rapidità della decapitazione mirava a lenire le sofferenze dei condannati a
morte. L’esecuzione materiale del progetto fu curata da Tobias Schmidt, falegname tedesco, fabbricante di arpe.
18 Emblema.
19 Mezzogiorno. Sono quindi le tre del pomeriggio.
20 La torre dell’Aquila – cosiddetta per la scultura del rapace nell’arcata della porta
sottostante – è incorporata nel lato sinistro del palazzo Boyl: “Questa torre aveva
la stessa architettura ed elevazione delle altre due, dell’Elefante e di san Pancrazio,
ma fu distrutta la sommità nell’assedio del 1717 dalle palle spagnuole, per cui non
vi è da dubitare che l’architetto ne fosse lo stesso Giovanni Capula” (G. SPANO,
Guida della città di Cagliari, Cagliari, Timon, 1861, oggi in ed. anastatica, Cagliari, Gia, 1991, n. 2, p. 25).
21 Ovviamente si riferisce alla Francia.
22 Arcaismo per negarvi.
23 Dedicato al primo Viceré piemontese, il barone di Saint Remy, il bastione – cui
si accede attraverso una gradinata di 170 scalini dalla piazza Costituzione – fu edi17
10
ANTONIO BACCAREDDA
– È poi singolare e ridicolo – riprese a dire il francese – che in
questa città, dove vi ha secondo voi tanti gelosi, vi sieno così
poche gelosie24!
L’altro rise smascellatamente, e quando poté aver la parola
proseguì a dire:
– Bravo, benone! Con una dozzina di codesti concettini riescirete benissimo a fare l’ideato profilo storico-sociale sulla Sardegna.
– Amico cittadino, non bisogna genarsi25. Va bene che quand
on court après l’esprit on attrape la sottise26, mais chi fa ridere fa credere. Che importa se si pigliano dei granciporri27! Gli italiani
divorano sempre la lettura dei loro libelli28; ed io voglio che mi si
legga, e che si parli di me. I curiosi e originali rimarchi29 che ho
fatto visitando l’interno dell’isola! Oh ne ho proprio un corbello30
pieno!
L’altro ascoltava con tanto d’orecchi.
– Vedrete che in questa mia brochure io rappresenterò l’asino
e il porco – soggiunse il forastiero – come i Dei penati31 dei sardi.
Proprio étonnant32 che i sardi per innalzare l’ospitalità a religione,
abbiano fatto l’apoteosi dei loro... Eh pas mal, pas mal33! – s’interruppe avvicinandosi alla spalletta34 del bastione che guarda a
levante, e ammirato dal pittoresco quadro che gli si offerse alla
vista:35 – Peccato che quest’isola non sia francese!
ficato nell’Ottocento unendo il quartiere di Castello a quelli sottostanti di Marina e Villanova.
24 Il Francese gioca sul doppio significato della parola gelosia usata ironicamente
nell’accezione di persiana.
25 Dal francese, per turbarsi.
26 Quando si corre dietro il senso dell’umorismo si acchiappa la battuta di spirito. La frase è tratta da Pensées diverses di Charles de Secondat, barone della Breda
e di Montesquieu (1689-1755), scrittore e filosofo francese.
27 Granchi, nel senso metaforico di sviste, errori.
28 Scritti destinati malignamente a screditare qualcuno.
29 Dal francese, per annotazioni.
30 Recipiente di stecche a forma di campana.
31 Divinità protettrici della casa, della patria.
32 Stupefacente.
33 Niente di male.
34 Risalto che fa sponda, parapetto.
35 vista: per vista. come richiesto dall’errata corrige.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
11
– Se saprete fare...
– A Sassari trovai36 il terreno molto ben preparato.
– Per altro qui vi sarà più difficile di riescire.
– Chi sarebbe l’uomo più influente di Cagliari? Ditemelo
chiaro perché non vorrei fare nessun passo glissante37.
– Don Efisio Pintor, si sa! Quello che mette le mani in ogni
intriso38 – soggiunse l’altro, che era uno sfegatato e antico partigiano d’Angioi(1). – Ma come fidarsi di cotesto uomo se ha l’anima fatta come un nodo gordiano39? Se egli si fosse fatto monaco, sarebbe un altro40 Raimondo Lullo(2).
(1) “Giammaria Angioi [da Bono], sollevatore nel capo settentrionale
dell’isola del vessillo della ribellione contro al feudalesimo, e, ciò che più
monta, fautore caloroso di esagerata e dannevole libertà politica” (Pietro
Martini, Storia di Sardegna dal 1799 al 1816, pag. 11). L’Angioi voleva
una repubblica Sarda, ed agognava ad esserne il doge, Manno, Storia
moderna della Sardegna, Firenze, Felice Le Monnier, 1858, pag. 380,
381I. “Angioi [dice Carlo Botta] uomo tanto più vicino alla virtù modesta degli antichi, quanto più lontano dalla virtù vantatrice dei moderni”
(Storia d’Italia dal 1794 al 1814, Firenze, 1836, lib. V, p. 72).
(2) Filosofo appartenente alla terza età della filosofia scolastica. “Fu soldato, maritato, cortigiano, monaco, mistico, filologo, ecc”, Enciclopedia
di Bailly – Corso di scienze storiche – Compendio storico delle scienze
filosofiche e morali – Secondo periodo, seconda epoca – pag. 168II.
36
As scrive trovai in corsivo.
Falso.
38 Cioè colui che si ingerisce in ogni cosa.
39 Questione intricata, difficile a sciogliersi se non tagliandola, come fece Alessandro col nodo di Gordio.
40 As un’altro.
37
I “Se Angioi diventava guida alla nazione, egli questa nazione voleva guidarla dove
il nome di feudo fosse, non che odioso, impossibile. I caporali suoi non si teneano dell’esser eglino stessi i propalatori del segreto intendimento. E in Sassari e
nelle ville dove bazzicavano, erano discorsi più volte sentiti, che la Sardegna avea
da reggersi a repubblica; [...] e verrebbero i beati tempi dell’indipendenza sarda, e
della sarda repubblica, con Angioi doge, od altrimenti titolato secondo l’uso del
tempo; o se sarda non potea essere, sarebbe compenso al nome proprio perduto il
diventare frammento francese” (G. MANNO, Storia moderna della Sardegna, Firenze, Le Monnier, 1858, p. 381).
II Raimondo Lullo (1235-1316). La fonte di Baccaredda è l’Encyclopédie portative
ou Résumé universel des sciences, des lettres et des arts en une collection de traités
12
ANTONIO BACCAREDDA
– Ah capisco, un uomo da pot-pourri!
– Immaginate! Iniziare e alimentare i torbidi41 nel capo settentrionale dell’isola, attestandosi42 all’Angioi per combattere alla
chetichella la reazione a Cagliari, e poi con un voltafaccia da
Girondino indettarsi43 cogli stamenti(3) e averne i pieni poteri
per pugnare44, e come fece, vincere in campo l’Angioi e i suoi
seguaci. Che ne dite? Fare il liberale per istrozzare la rivoluzione e
favorire il trionfo della barbarie contro la civiltà, del feudalesimo
contro i poveri servi della gleba. O che non vi sembra questo un
batter due chiodi a un caldo45?
– Parfaitement! Mais ho inteso parlar molto anche di un certo
Vincenzo Sulis – riprese a dire il francese, facendo ad arte l’ingenuo – Mi fu detto anzi che egli tripota46 tutti gli affari dello Stato
di quest’isola, e che sia il padrone della plebe. Questo è l’uomo
che farebbe proprio per me.
– Peggio che andar di notte47! Costui non conosce che la linea
retta48, ed è tutto per la monarchia. In fatto d’onestà politica non
ha il compagno; cercherebbe i nodi nel giunco49. L’onestà politica, mi capite? Si può egli fare un connubio50 più osceno e disuguale?
(3) “Stati generali di Sardegna”, come li definisce Carlo Botta, op. cit., p.
72.
41
Tumulti, ribellioni.
Unendosi.
43 Mettersi d’accordo, accordarsi. I girondini avevano, nel primo periodo della
Rivoluzione francese, un programma di tendenza rivoluzionaria e, in seguito, in
opposizione sempre più aperta ai giacobini, decisamente moderata.
44 Combattere.
45 Fare due cose in una volta.
46 Dal francese tripoter, manipolare.
47 Locuzione avverbiale per indicare che la situazione non potrebbe essere peggiore.
48 Per correttezza.
49 Cercare difficoltà e difetti dove non ve ne sono.
50 Fusione di elementi contrastanti fra loro.
42
séparés par une société de savans et des gens de lettres, sous les auspices de MM. de
Barante, de Blainville, Champollion et al. et sous la diréction de M. C. Bailly de
Merlieux, Paris, 1825-30.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
13
– Vengo51 di essere assicurato che Vincenzo Sulis nel tempo
della sua prima giovinezza fosse un piccolo fripone52.
– Sì, ma ora è tutt’altro da quello che egli era una volta.
– Eh, mon cher, io ho letto i Saggi di Montaigne, e so che l’uomo nel corso della sua vita non è mai eguale a sé stesso(4)!
Mentre i due interlocutori così discorrevano, un uomo di cinquant’anni circa, elegantemente vestito, di aspetto altero e risoluto, passò ad essi vicino.
– Osservate – disse piano l’altro al francese – costui è per l’appunto Vincenzo Sulis.
– Sta bene; ed è quella là la sua abitazione?
– No, egli entrò in casa dell’onnipotente d. Efisio Pintor, suo
maestro e donno53(5). Secondo il solito di tutte le sere, egli si reca
alla conversazione che vi si tiene per dire anche la sua. Colà si
librano i destini del regno da pochi mestatori54, come sarebbe a
dire, dai marchesi di S. Filippo e di Sant’Orsola55, dal canonico
(4) Dell’incostanza delle nostre azioni – Saggi di Michele MontaigneIII,
Lib. II, Cap. I, pag. 113.
(5) Siotto-Pintor afferma che Efisio Luigi Pintor “tenesse ai suoi voleri e
dirigesse le opere del manesco notaio Vincenzo Sulis”, Storia della vita di
Giuseppe Manno, pag. 45IV.
51
Costruzione del francese per sono stato appena.
Dal francese fripon, malandrino.
53 Dal latino dominus, signore, padrone.
54 Lì i destini del regno sono vagliati da pochi trafficoni, sobillatori.
55 Il titolo di marchese di san Filippo fu concesso da Filippo V di Spagna a Vincenzo Bacallar, passando poi, nel 1739, agli Amat. I Cugia, famiglia sassarese,
52
III
“Mutiamo un istante dopo ciò che abbiamo deciso in questo istante, per tornare immediatamente sui nostri passi; oscillazione ed incostanza ci sono proprie”
(M. MONTAIGNE, Saggi, libro II, cap. I). Il filosofo francese Michel de Montaigne
(1533-1592) compose l’opera, Essais, nell’arco dell’intera sua vita.
IV “Ma Efisio Luigi Pintor la cui tentata cattura, una colla eseguita prigionia del
suocero suo Vincenzo Cabras e del fratello Bernardo, aveva cagionato lo scoppio
immediato della rivoluzione, se prima tenne a’ suoi voleri e diresse le opere del
manesco notaio Vincenzo Sulis, e se contro la reazione del Pitzolo e del La Planargia adoperò ogni sua possa insieme coll’Angioi, come poi vide che la rivoluzione passava lo scopo e che la vittoria incominciava a essere ingiusta e temeraria,
ostò virilmente a che essa straboccasse” (G. SIOTTO-PINTOR, Storia della vita di
Giuseppe Manno, Torino, Bellardi, Appiotti e Giorsini, 1869, p. 45).
14
ANTONIO BACCAREDDA
Pier Maria Sisternes, dall’avvocato Cabras56 e dall’uomo che avete
visto poc’anzi. Si capisce senza dirlo che il primo barbassoro57 è il
padrone di casa.
Il referendario58 delle cose e degli uomini politici di Cagliari
si era apposto, enumerando le persone che si trovavano convenute presso d. Efisio Pintor; e poiché siamo a portata di udire la loro
conversazione, lasciamo andare pei fatti loro i nostri due solerti
esploratori.
In un’ampia sala riccamente arredata se ne stavano assisi presso al camino i personaggi dianzi nominati. Sorbivano con gran
sussiego il caffè, e in uno discorrevano a voce alquanto rimessa59,
sebbene l’argomento in soggetto fosse assai vivo e interessante.
A destra, vicino al Pintor, stava Vincenzo Sulis, che ne era
proprio la destra mano; a sinistra un tavolo coperto da elegante
tappeto, su cui un candelabro acceso, parecchie carte manoscritte gettate a catafascio con giornali, stampe, ecc.
– Oh che affari son questi! – esclamò il Cabras.
– È come ve lo dico, signori miei – saltò a dire il padron di
casa – il Direttorio60 è finalmente riescito nel suo intento nobilissimo. Il re ha già abdicato, ed è partito da Torino per recarsi a
Firenze, dove forse sarà già arrivato a quest’ora.
– Sembrano cose impossibili! – disse con stupore il marchese
di S. Filippo.
– Se la Francia tutte le volte che si commuove non adoprasse
acquisirono il titolo nobiliare di marchesi di sant’Orsola nel 1716 (cfr. F. C. CASULA, Dizionario di Storia Sarda, Sassari, Carlo Delfino, 2001, rispettivamente p.
1340 e p. 496).
56 Pietro Maria Sisternes de Oblites, in un primo momento fu sostenitore del
movimento democratico, poi, con non piccola evoluzione, approdò a un ruolo
moderato. L’avvocato Vincenzo Cabras, suocero di Efisio Pintor, fu fatto arrestare dal Viceré Balbiano con false accuse di tradimento al governo piemontese: da
ciò nacquero i tumulti che portarono alla cacciata dei Piemontesi dalla Sardegna.
Provvisto di largo seguito popolare, fu seguace dell’Angioy, ma, dopo l’uccisione
del Pitzolo e del La Planargia, se ne staccò e fu nominato reggente dell’Intendenza generale e, dopo l’arrivo dei Savoia, Intendente generale effettivo.
57 Chi si fa credere uomo di grande importanza.
58 Scherzosamente per spia.
59 Debole, con tono basso.
60 Comitato costituito da cinque membri, che esercitò il potere esecutivo in Francia fra il 1795 e il 1799.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
15
i cannoni e non rizzasse i patiboli, davvero che la sarebbe il giullare della politica – interruppe d. Efisio Pintor, il quale era un gallofobo61 per la pelle – Io già è inutile non posso soffrire cotesto
popolo turbolento e sbrigliato, che ad ogni ora mette in iscompiglio il mondo non per altro che per delle semplici parole. Da
buoni patrioti si fanno sbudellare per la marsigliese, e inneggiano
alla patria, muovendo ad assalire e distruggere la patria altrui. Per
la libertà che non farebbero essi? Eppure cotesti liberali s’impongono a tutti, costringendo ogni volontà, ogni opinione, ogni
coscienza. Vi parlano dei diritti dell’uomo, e colla ghigliottina
violano il sommo dei suoi diritti62. Quanto sangue, mio Dio,
quanti orrori per sostituire ad uno, tre o cinque tiranni; per cambiare la settimana in decade63, la ragione in un decreto e la libertà
in un pilèo64. Belle, belle coteste prodezze(6)!
(6) L’indole dei tempi che descrivo mi condusse a porre in bocca dei personaggi di questo mio racconto parole molto acerbe contro i francesi; ma
l’animo mio, anche proverbiando gli eccessi di quel popolo nei suoi grandi rivolgimenti politici, sarà sempre per la Francia, e come italiano e
come uomo. Alla Francia non può essere contrastata la egemonia della
civiltà mondiale; l’azione civilizzatrice della Germania che le si vuole
contrapporre, è centripeta ed egoista, né mai si spande agli Stati finitimi
che la circondano. Hegel col suo mondo germanicoV non prova il contrario. Guardatili a traverso il prisma della loro stupenda letteratura certo ei
ci sembrano simpatici i tedeschi; ma se questo prisma è la politica, allora l’occhio della mente, educato dalla storia antica, moderna e contemporanea, non può a meno di ravvisarli degni in gran parte della dipintura che dei loro antenati ne ha fatto Strabone, Pomponio Mela e TacitoVI,
61
Chi prova avversione per i Francesi e per ciò che proviene dalla Francia.
Si riferisce alla vita stessa.
63 Il mese, generalmente scandito in quattro settimane, fu diviso in tre decadi dai
rivoluzionari francesi.
64 Nel mondo greco-romano, copricapo di foggia conica, in feltro o cuoio, spesso
fornito di una falda rialzata, in uso presso la gente di condizioni modeste.
62
V Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), filosofo tedesco, scrisse Lezioni
sulla storia della filosofia dedicando il libro IV al mondo germanico.
VI Strabone (63 a.C.-20 d.C.), storico greco, scrisse la Geografia in 17 libri nei
quali descrisse il mondo allora conosciuto. Medesima operazione compì Pomponio Mela (I sec. d.C.), primo geografo latino, con il suo Chorographia. Publio Cornelio Tacito (55-120), storico latino, scrisse la Germania, opera di carattere geografico ed etnografico.
16
ANTONIO BACCAREDDA
– Ebbene al nostro re avanza ancora la nostra isola – ripigliò
il marchese di S. Filippo – che certo sarà lieta di ospitarlo in tanta
sventura.
– E ne avremo mercede65 – esclamò un altro – Ei non sarà più
esule, e noi cesseremo una buona volta di essergli figliastri. Sì, è
un’era novella questa che si apre dinanzi a noi! Carlo Emanuele
saprà scegliere i suoi consiglieri; e la nostra condotta, fattasi palese in tempi malagevoli e fortunosi, gli additerà le persone veramente degne della sovrana sua fiducia.
– Come corre le poste66 la vostra fantasia! Per carità, signori
miei, non ci lasciamo trarre da questa lirica! – esclamò il Pintor –
Nessuno meglio di voi sa quanto io abbia operato a favore della
dinastia, e contro gli angioini in campo, e contro essi nelle consulte. Potrei senza immodestia vantarmi, che se la Sardegna non è
ora francese e repubblicana, lo deve a me ed al mio amico Sulis
qui presente; e non pertanto, credete a ciò che io vi dico: il secolo d’oro è ancor ben lungi da noi.
– Alla più trista67 – interruppe il Sulis – vedremo pacificata la
Sardegna, e spente le fazioni che tuttora la travagliano68.
sebbene quest’ultimo lodasse la loro barbarie per far risaltare la corruzione dei civili romani. Allora si ammette che il nome di germano possa ben
derivare dalla voce celtica gerra, che suona guerra; allora si riconosce che
il loro robusto ingegno, che i loro profondi studi, applicati altresì alla
scienza della guerra ed ai suoi strumenti di morte, non giovino ad altro
che a decorare la loro barbarie. Per saperli degeneri dei loro avi è forse
d’uopo di non veder più sui loro omeri le pelli di belva, od ondeggiar
sulla sommità della loro testa la bionda capellatura, che essi vi annodavano in forma di pennacchi per comparire più feroci e terribili? Dovessimo noi italiani essere schiavi della Germania o della Francia, non starei
in forse fra i tedeschi e i francesi. Con questi ultimi ci faremmo almeno
intendere; coi tedeschi invece non avremmo detto a mezzo le nostre
ragioni, che essi ci avrebbero risposto col loro linguaggio di legnate, del
quale a nessuno certo accomoda di impararne praticamente e spontaneamente la grammatica.
65
Ricompensa.
Andare velocemente da una stazione di posta all’altra, viaggiare rapidamente;
nel caso, di chi fa le cose senza la dovuta preparazione o senza pensare.
67 Al peggio.
68 Affliggono.
66
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
17
Pier Maria Sisternes a queste parole del Sulis mosse in giro la
sua seggiola, e con occhi scintillanti guardando gli assembrati69:
– E saranno vendicati gli infelici Pitzolo e la Planargia(7)! –
disse con mal celata ira. – Di ciò mi rendo mallevadore70 io, che
conosco ben da vicino il re, il quale mi ascoltò con grandissima
deferenza quando il vidi a Torino.
– Canonico, siete cristiano via! – prese a dire il Pintor, il solo
che potesse permettersi un tale scherzo col Sisternes.
– Cristiano sì, ma logico. I partiti, che vogliano vivere, bisogna che a loro volta sappiano sceverare71 i partigiani dagli avversari. Coloro che ci furono amici abbiano il loro guiderdone72;
coloro che ci osteggiarono in tutto e con ogni mezzo, anche con
l’assassinio, soccombano. È anche principio religioso di non
confondere gli egizi e i filistei col popolo eletto, le tribù di Giuda
e di Beniamino con le altre infedeli tribù. Non vedete che sanno
fare cotesti leali repubblicani? Il console Bonaparte si era arreso a
consegnare nelle mani del nostro re a Livorno lo stesso Angioi; e
se prima non si opponeva il Saliceti e dopo il Vaubois ed il Belleville, il fedele e ardito fautore di Bonaparte e della repubblica
francese sarebbe perito sul patibolo(8). Di questi errori non biso(7) Insigni cittadini, trucidati in Cagliari nei moti del 1795 dalla plebe
ingannata ed aizzata dalla vanità offesa di pochi invidiosi. V. Tola, Dizionario biog. degli uomini illustri di Sardegna, articoli La Planargia e Pitzolo – V. anche Manno, op. cit. VII
(8) Carlo Botta, op. cit., lib. VII, pag. 120VIII.
69
Coloro che erano lì riuniti.
Garante.
71 Distinguere.
72 Contraccambio in denaro.
70
VII
L’assassinio dei due viene raccontato dal Manno con profusione di particolari
(cfr. G. MANNO, pp. 303-309). E si trova anche in P. TOLA, Dizionario biografico
degli uomini illustri di Sardegna, ossia della vita pubblica e privata di tutti i Sardi
che si distinsero per opere, azioni, talenti, virtù e delitti, Torino, 1837-38, oggi in ed.
anastatica, Bologna, Forni, 1966, alle voci.
VIII “Eransi alcuni patriotti sardi, tra i quali il cavaliere Angioi, fuggendo lo sdegno del re, ricoverati a Milano. Comandava Buonaparte, a requisizione del cavalier Borghese, agente del re a Milano, ce fossero dati. Il che avrebbe avuto il suo
effetto, se Saliceti ed il comandante di Milano non avessero portato più rispetto
alla sventura, che agli ordini del loro generale. Questi medesimi Sardi, essendosi
poscia ritirati a Livorno, il re ne faceva novella inchiesta a Buonaparte; ed egli già
18
ANTONIO BACCAREDDA
gna commetterne, signori miei, se si vuol essere davvero. Capisco
un Marat, un Robespierre73, ma non capisco Bonaparte.
– Forse l’Angioi e i suoi fautori74, tenendo per la democrazia,
si appoggiavano alla Francia soltanto per avere un sussidio materiale contro il partito conservatore e dominante, non già per altri
fini – disse la prima volta il marchese di Sant’Orsola.
– Giacobini trincati75 essi erano e non altro! – soggiunse tosto
il Sisternes.
– Rammentatevi che questo titolo l’ebbero fra noi anche i
patrioti leali e amanti dell’ordine e della libertà – replicò il marchese(9).
– Sì, ma essi non isparlavano apertamente del re e del regio
governo; essi non avevano relazioni clandestine coi repubblicani
di Francia; essi non cantavano certe canzoni, colle quali si consacravano i patiboli-lanterne(10); né portavano sul cappello o sul
petto le nappette76 tricolori. Pure ammettiamo che lo facessero
solo per avere il protettorato della Francia, le truppe ausiliari possono essere utili per loro medesime, ma solo per chi le chiama dannose, perché perdendo rimaniamo disfatti e vincendo restiamo loro prigionieri(11). Coteste sono parole di Nicolò Machiavelli, il principe dei politici!
(9) Manno, op. cit., pag. 361IX.
(10) Manno, op. cit., pag. 381X.
(11) Machiavelli, Il Principe, cap. XIII, pag. 80.
73
Jean Paul Marat (1743-1793), rivoluzionario francese nelle fila dei giacobini
contro i girondini. Maximilien Robespierre (1758-1794), politico francese, fu un
importante esponente del regime del Terrore.
74 Sostenitori.
75 Furbi.
76 Mazzetto di fili messi per ornamento.
aveva ordinato che se gli consegnassero. Ma dimostratasi da Belleville e Vaubois la
medesima generosità d’animo di Saliceti e del comandante di Milano, furono
salvi” (C. BOTTA, Storia d’Italia dal 1789 al 1814, tomo II, libro VII, Capolago,
Tipografia Elvetica, 1837, pp. 86-87).
IX “E i realisti, accomunatisi o tolleranti almeno il consorzio degli antichi patrioti, non si differenziarono più da essi; e ai più calorosi fra questi ultimi si diè titolo di giacobini, o pel valore della parola, o perché nelle loro ispirazioni si sentiva
un alito francese” (G. MANNO, op. cit., p. 361).
X “Si cantava da essi [i caporali di Angioi] liberamente la canzone repubblicana,
consagratrice dei patiboli-lanterne” (G. MANNO, op. cit., p. 381).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
19
– Ma non dei moralisti, reverendo – rincalzò d. Efisio Pintor
– Via, quando si vince costa assai poco il perdonare!
– Nossignore, le sono anzi generosità che costano troppo.
– Ed io invece credo che sia più facile di fare una buona azione che un verso latino77; e sì che un verso latino lo sappiamo pur
fare anche noi!
Il Sisternes, punto sul vivo da queste parole, biascicò il nome
d’Orazio78, e di qualche altro camaleonte79 politico, che in mezzo
al bisbiglio dei conversanti non arrivò alle orecchie del Pintor, il
quale gliele avrebbe riportate80 colla sua naturale dicacità81, però
che egli avesse facile, brillante e arguto l’ingegno, il che lo rese
celebre come poeta e come magistrato.
In questo frattempo vi ebbe chi interloquisse ancora per
dimostrare come principale ragione di guarentigia82 l’influenza e
l’autorità degli stamenti, conchiudendo83 che quando si hanno di
così fatte rappresentanze non si ha mai a patir danno; e dove essi
non fossero buoni a patrocinare i proprii diritti con una arma
tanto valevole e legittima, si meriterebbero le parole che gli ateniesi solevano indirizzare al liberto84, che facean ridivenire schiavo: Quoniam liber esse nescivisti, estote servus85!
Vincenzo Sulis fu il primo a lasciare la conversazione. La notte
era alquanto avanzata, ond’egli si avviò a rapidi passi verso la via
S. Michele86, ove era la sua abitazione.
Nell’atto che stava per porre il piede sulla soglia della sua casa,
sita proprio rincontro87 alla chiesa di Sant’Anna88, si avvide che
77 Se il secondo infatti richiede conoscenze specifiche, una buona azione può essere compiuta da chiunque.
78 Pronunciò in modo poco chiaro il nome di Quinto Orazio Flacco (65-8 a.C.),
poeta latino, autore delle Odi, che si lasciò per un periodo sedurre dalla causa
repubblicana promossa da Bruto.
79 Persona che muta facilmente opinione. L’uso è legato all’omonimo animale che
sa mimetizzarsi con l’ambiente circostante cambiando il colore della pelle.
80 As ripostate.
81 Mordacità, maldicenza.
82 Garanzia politica.
83 Concludendo.
84 Schiavo affrancato.
85 Dal momento che ignori di essere libero, sii servo.
86 Oggi via Ospedale, nel quartiere Stampace.
87 Di fronte, dirimpetto.
88 “Questa bellissima Chiesa è stata rifabbricata sull’altra antica di costruzione
20
ANTONIO BACCAREDDA
un signore, il quale ne avea seguito le orme da più tempo, si era
fermato a pochi passi da lui, in atto di persona che molto si preoccupava dei fatti suoi. Egli stette un po’ di tempo ad osservare, ma
poscia89 non badando più che tanto all’incognito, ascese chetamente90 le scale, ponendo per altro mano alle pistole che sempre
si avea allato, come doveva in ora e in tempi tanto pericolosi per
un suo pari, noto a tutti e inviso ai ribaldi91, da esso lui tenuti
sempre a ordine.
pisana. Venne principiata nel 27 maggio 1785 [...] e finalmente fu aperta al pubblico nel 25 luglio del seguente anno 1818” (G. SPANO, Guida della città di
Cagliari, cit., p. 133).
89 Poi.
90 Pacatamente.
91 Malvisto dai furfanti.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
21
II.
Chi è questo Vincenzo Sulis?
Nell’isola della Maddalena92, dove ei moriva nel 1834, non
sorge un monumento, una lapide che ricordi le sue imprese, non
una croce che segnali il luogo in cui riposano le sue ceneri.
Carlo Botta non lo menziona nemmeno una volta nella sua
lunga storia d’Italia; anzi lo stesso biografo sardo Pietro Martini,
non volle dargli ricetto nel panteon93 degli uomini illustri della
Sardegna, egli che largì l’immortalità a misura di carbone94 a tanti
sardi Pier Soderini95. Oh allora che vale occuparci di costui! Che
se ne stia nel suo limbo a dormire in quiete il sonno dei secoli, e
non venga a turbare l’opera cotidiana96 degli odierni cronisti e
lapidari97, che troppo hanno il cervello alla strettoja98 per celebrare gli immortali che muojono giorno per giorno. Se non è un
eroe, che stia sotterra, in compagnia delle talpe e dei lombrichi.
Brontoliamogli un requie99, come direbbe Giusti, e che sia finita.
Veramente nemmeno io lo dico un eroe, o cortese lettor mio
(se t’avrò cortese); ma con tua licenza ne voglio fare e ne farò il
protagonista di questo mio bozzetto-storico.
Ora per me eroe e protagonista non è già lo stesso; anzi sarebbe molto arduo e pericoloso l’usare promiscuamente100 codeste
due parole, che forse nel mercato della pubblica opinione rappresentano la stessa valuta101.
92
Isola del nord Sardegna.
Non ebbe accoglienza nel tempio dedicato al culto di tutti gli dei, come nell’antichità classica.
94 Largamente. L’espressione, non popolare, significa misurando all’ingrosso,
senza badar troppo per il sottile.
95 In riferimento al personaggio storico Pier Soderini (1452-1522), gonfaloniere
di giustizia a vita della repubblica di Firenze, intende parlare di personalità inadeguate alle situazioni o ai ruoli che sono chiamate a ricoprire.
96 Obsoleto per quotidiana.
97 Letteristi, artigiani specializzati nell’incisione delle lapidi.
98 Troppe preoccupazioni.
99 “Brontoliamoci un requie / senza tanti discorsi” (G. GIUSTI, La terra dei morti,
vv. 23-24).
100 Indifferentemente, senza distinzione.
101 Hanno lo stesso peso.
93
22
ANTONIO BACCAREDDA
L’eroe, per coloro che stanno appunto all’eroe, come Sancio
Panza a don Chisciotte102, deve essere un tipo patologico, vago di
fare ciò che dai più si abborre, per esempio,103 contrariando l’istinto ed il buon senso, ed immolando ogni cosa a delle fisime
senza costrutto104, e a quello che dicesi punto d’onore, che d’onore non ne ha proprio punto105. Un uomo di tal fatta, che tanto
più è bravo e ammirando106, quanto più fa con scempiezza stravaganze, spampanate107 e delitti, può somigliar così ad un mulino a vento, come a un cane molosso108. E se pure secondo alcuni più si accosta a Dio (povero Dio!) spesso per me troppo si scosta dall’uomo, dall’uomo che sta fra due, se debba più ammirarlo
che abborrirlo.
Gli eroi quindi furono molti a computo di storia109; ma la
storia deve alla filosofia intiero il suo vassallaggio110, quando ce
ne gioviamo come di fanale a dissipare le tenebre dell’avvenire,
essendo dessa altrimenti una sequenza di fenomeni e nulla più; e
tutti sanno che i fenomeni sono semplici apparenze, o meglio la
immanente111 contraddizione del vero.
Io non misurerò la grandezza del mio protagonista alla stregua
di piazza112, perché questa misura, almeno ogni mezzo secolo,
dovrebbe essere riveduta ed emendata dalla fredda ragione, la sola
che abbia virtù di correggere le calamitose esorbitanze113 delle
passioni.
102
Si tratta dei protagonisti di Don Chisciotte della Mancia (1605-15), opera di
Miguel de Cervantes Saavedra (1547-1616), narratore, poeta e commediografo
spagnolo.
103 per esempio, per esempio come richiesto dall’errata corrige.
104 Fissazioni prive di fondamento.
105 Locuzione toscana che vale affatto.
106 Ammirevole.
107 Spropositi.
108 Antica razza di cani da guardia, da difesa e da combattimento, molto robusti
e forti, originari dell’Epiro, da cui discendono i mastini e, in senso figurato, persona che difende accanitamente le proprie idee, le proprie posizioni.
109 Secondo il calcolo fatto dalla Storia.
110 Rapporto di subordinazione medievale, in base al quale la storia sarebbe sottomessa alla filosofia.
111 Intrinseca.
112 Secondo il metro di giudizio dell’opinione comune.
113 Gli eccessi catastrofici.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
23
Un intiero popolo nel colmo dell’entusiasmo, o i partigiani di
una fazione trionfante, possono deporre sulla fronte d’un uomo il
serto della rinomanza114, ma ciò non toglie che l’inesorabile verità
non trovi in quella fronte istessa un cantuccio da allogarvi115 una
nota di biasimo e talora anche di infamia.
Vero è che a questa strana confusione di colpe e di virtù, di
ragione e di forza, d’onore e di ignominia, che si accetta al presente più che in antico116, senza criterio di scelta o freno di passione, non hanno solo fatalmente contribuito le inconsulte estimazioni del volgo117, ma vi dié lato altresì l’autorità di quei ragguardevoli ingegni che hanno per lunga stagione esercitato sul
popolo una morale dittatura. Quando penso ai delitti che si sono
magnificati in nome e a onore della virtù, non capisco come vi
abbia pure una legge che irroghi118 pene contro il delitto. Epperò
a regolare l’uso della parola eroismo, parmi che assai acconciamente119 provvedesse la grammatica niegandole il plurale.
Vincenzo Sulis nacque in Cagliari nel 1746120 non da gentile, ma da onesta stirpe.
Potremmo bensì vero investirlo di qualche gran titolo di
nobiltà in grazia del prode animo suo, a quella guisa121 che se ne
degradavano un tempo coloro che dato avevano prova d’animo
codardo, come avvenne al signor di Franget122 e ad altri gentiluomini del suo tempo; ma siccome ai giorni che corrono la
democrazia prende tutto a rovescio, così per noi non sarà che si
dia un nuovo diploma di nobiltà a colui, il quale ben capiva come
114
Corona della fama.
Inserirvi.
116 In passato.
117 Popolo, gente comune.
118 Infligga.
119 Opportunamente.
120 In realtà, Vincenzo Sulis nasce nel 1758. La fonte di Baccaredda è il Tola, op.
cit., che ha, a sua volta, ripreso la falsa indicazione contenuta nell’Autobiografia del
Sulis (V. SULIS, Autobiografia, a cura di G. Marci, Cagliari, Centro di studi filologici sardi/Cuec, 2004, p. 5).
121 Locuzione per come, a modo di.
122 Il Signore di Franget, luogotenente del maresciallo di Chastillon, è citato come
esempio di codardia punita con il declassamento dalla nobiltà e l’impossibilità,
anche per i discendenti, di portare le armi in M. MONTAIGNE, op. cit., libro I, cap.
XV.
115
24
ANTONIO BACCAREDDA
una pergamena non possa nobilitare chi è degno di rimanere o di
ritornare nel volgo.
Ebbe vivace e acuto l’ingegno e con fortuna particolare compì
gli studi classici. L’aperto suo carattere e uno spirito altero e indipendente lo resero alquanto insofferente della soggezione paterna,
soggezione invero smoderata e tirannica, che il dolore della perdita della madre riescì a rendergli intollerabile; onde nell’età di
diciassette anni deliberava di dedicarsi alla vita claustrale123 e di
vestir l’abito dei mercedari124.
Sebbene questo divisamento125 non recasse ad effetto, ei si
tenne più tempo lungi dal tetto paterno, e quindi ebbe a soggiacere alle deplorevoli conseguenze di una vita oziosa e dissipata.
Ma il genitore volendo porre un termine a tanto sconcio, e tuttavia abdicando all’autorità propria, pensò sostituirvi quella del
governo, il quale non conosce altra panacea126 all’infuori del carcere. Quivi stette il127 Sulis sei mesi, ed uscitone si diede a rifare
la vita di prima con qualche variante in peggio, ponendosi alla
testa di una mano di facinorosi128 evasi per opera sua dall’istesso
carcere. Esercitò con esso loro il contrabbando, allora come ora
stimato un pseudo-delitto; e provò così una volta di più, che,
eleggendosi quella via, altro egli non fosse che un eroe fallito.
Graziato dal governo, il quale all’età sua giovanile attribuiva,
più che ad animo pervertito129, tanti e tali trascorsi130, pensò il
Sulis di mettersi una buona volta sull’uomo, dandosi al commercio. Poscia s’instituì131 nel notariato, e in capo a pochi anni ottenne il diploma di pubblico notaio e di causidico132, mettendo l’in-
123 Monacale. Il termine deriva dal latino claustrum, nel senso di chiusura, riparo,
poi chiostro.
124 L’ordine dei frati mercedari ha sede a Cagliari nel convento annesso alla Basilica di N. S. di Bonaria.
125 Proposito.
126 pa- per pal come richiesto dall’errata corrige. La panacea è il rimedio adatto a
risolvere ogni tipo di problema.
127 il per i- come richiesto dall’errata corrige.
128 Ribelli, violenti.
129 Degenerato.
130 Colpe non gravi compiute per inesperienza.
131 Si istruì, si formò.
132 Rappresentante delle parti in giudizio senza essere avvocato.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
25
gegno a cotesta sua professione con quell’indicibile appassionatezza propria del suo carattere ardente.
L’ultimo e certo il più efficace deprimente133 del suo animo
intrepido e focoso fu il matrimonio; ma in questo nuovo suo stato
non avea posto totalmente in obblio le antiche usanze del contrabbandiere, che anzi la moglie, già rassegnata ad accordare la
indulgenza plenaria ai traviamenti dello scapolo, dovea ad ogni
ora protestare contro le presenti infedeltà del marito. L’adombrava soprattutto il sospetto che egli prediligesse una sua cugina, più
che a cugino non convenisse; onde questo esercizio attivo e continuo di gelosia ebbe la malefica virtù di mantenere nel cuore
della consorte sempre bambinello l’amore, ed agli occhi di lei
sempre giovane il marito, contuttoché egli avesse di già varcato il
cinquantesimo anno. La fatalità volle altresì che ella coll’amore di
madre non potesse mummificare l’amore di sposa. Oh avesse134
avuto la mandragora la datale virtù135!
Non poteva niegarsi, è vero, che le esigenze poco misurate di
lei fossero in non piccola parte conseguenza della sua educazione;
ma un uomo come il Sulis poteva talora136 giustificarle tutte, però
che il prestigio che alla sua persona accresceva la fama delle sue
ardite imprese e del suo carattere aperto e cavalleresco, non fosse
punto menomato dalle sue qualità esteriori, avendo egli un aspetto assai bello e simpatico, e movenze disinvolte137, e dolce lo
sguardo, e affascinante il sorriso, ed espressione lusinghevole e
nobile di fisonomia. Tutto calcolato ve ne avea di troppo per una
donnetta alla buona quale era la sua moglie; epperò perdoniamo
a lei quanto tutto dì138 si perdona a donne di più castigata educazione, e di più elevate aspirazioni.
Sopraggiunto il 1793139, da pacifico notaio si tramutò all’improvviso in uno dei più intrepidi capitani a difesa della Sardegna,
minacciata dai francesi; e nel successivo anno, col suo coraggio
133
Calmante, attenuante.
As avvesse.
135 Si diceva rendesse gravide le donne.
136 talora per talore come richiesto dall’errata corrige.
137 Atteggiamento aggraziato della persona nel muoversi.
138 Locuzione avverbiale obsoleta che vale sempre.
139 Nel 1793 la Sardegna venne attaccata dalla flotta francese generando una resistenza animata, tra gli altri, dal Sulis.
134
26
ANTONIO BACCAREDDA
personale, col generoso suo carattere, e più che altro, col magico
potere che esercitava sulla moltitudine, ei fece che si compiesse in
Cagliari una rivoluzione incruenta contro i piemontesi140. Per
lunghi sette anni, in quel quasi sgovernato paese, mettendosi ad
ogni ora alla morte, ei fu tribuno, condottiero, dittatore, essendo
che influisse sugli stamenti, sul viceré istesso e conducesse a suo
placito l’intiero popolo, ammaliato dalla traenza141 irresistibile
della sua parola, o meglio, dall’esempio che dava come cittadino
valoroso, magnanimo, disinteressato. È memorabile a suo encomio142 la parte da esso lui presa a rendere meno infausti e sanguinosi i casi che tanto afflissero Cagliari nel 6 luglio 1795143.
Del suo anticipò, e per molti anni, le paghe alle milizie; ricusò144 generoso lo stipendio, per quei tempi assai lauto, assegnatogli come comandante militare; e con rara modestia e nobile abnegazione, declinò l’onore della medaglia d’oro145 offertagli dal
governo in attestato di patria benemerenza(12).
Al nostro lettore parrà simpatico un tanto uomo? Io vorrei
sperare di sì, dacché non glielo volli appunto rappresentare come
un eroe. Si vedrà in seguito se dei suoi falli seppe fare onorevole
ammenda.
(12) Tola, op. cit., articolo Vincenzo Sulis, vol. IIIXI.
140
Senza spargimento di sangue. È la famosa cacciata dei Piemontesi, celebrata
ancora oggi il 28 aprile come Sa die de sa Sardigna.
141 Fascino, capacità di trascinare.
142 A suo plauso, quale merito.
143 È la data dell’uccisione di Girolamo Pitzolo che, nominato Intendente generale, si attirò l’odio dei giacobini finché, durante una sommossa popolare, venne
massacrato senza che il Viceré Vivalda intervenisse.
144 Declinò, rifiutò.
145 “Mi volevano condecorare della medaglia d’oro per la buona riuscita della
prima mia impresa, e p.r incoragire gli altri a far di meglio se potessero: ma io gli
rifiutai l’offerta, dicendo, che ogni fidel sudditto di S. M.tà doveva fare ciò che
può per difender la Corona e la Patria, senza nissuna speranza di merito, ma solo
p.r obbligo e per dovere, e così che mi seguitassero a comandare, che io ero pronto per servire ed ubbidire” (V. SULIS, op. cit., p. 30).
XI
“Offertagli per questo fatto [l’aver respinto le flotte francesi] dal viceré Balbiani e dal generale La-Fletcher la medaglia d’onore, la ricusò con bell’atto, dicendo
doversi senza premio esporre per la patria ne’ gravi cimenti la vita” (P. TOLA, op.
cit., vol. III, p. 243).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
27
A Giovanni di Catignano146, onorato come santo dai cattolici, con cimenti più comportevoli nella espiazione, furono perdonate colpe assai più gravi che non commettesse il Sulis, se egli è
vero ciò che del primo ne lasciò scritto un monaco di Vallombrosa.
Se egli si riabilitasse (lo so, la è una parola questa che allega i
denti147 a coloro che hanno l’orecchio più delicato del cuore, ma
tanto la dico) agli occhi degli uomini del suo tempo, lo argomenti
il lettore da quanto sto per dire.
Era una bella e limpida mattina di maggio del 1797. Vincenzo Sulis insieme alla consorte ed al proprio genitore, vecchio
ottuagenario148, e ad un amico di quest’ultimo, traeva sopra una
sua barca verso l’Illetta (la maggiore delle isolette dello stagno di
Cagliari149) per passarvi lietamente la giornata. Questa isoletta,
un tempo delizia dei Consoli e dei Pretori romani in Sardegna,
dalle chete acque di quello, che diresti più lago che marame150, è
fama che sorgesse incoronata151 di ameni boschetti d’aranci, di
rose e di leandri152, e che a questi vagamente si alternassero, e in
gran copia, statue e fontane marmoree, e palagi153 e ogni leggiadria di arte, intesa a renderne gradito il soggiorno. Ora travolta in
modesta fortuna, la vedi in compagnia delle minori sorelle, mesta
e silenziosa, non altro udire che il canto malinconico di qualche
pescatore. Pure nella bella stagione, memore quasi degli antichi
146
Giovanni Gualberto Visdomini (985-1073) da Catignano (località abruzzese
in provincia di Pescara), visse una gioventù dissoluta fino all’episodio che ne cambiò la vita: un parente assassinò suo fratello. Giovanni giurò vendetta, ma davanti all’omicida, che gli si gettò terrorizzato ai piedi, concesse il perdono e decise di
farsi monaco, ritirandosi con pochi seguaci a Vallombrosa e fondandovi il monastero della Congregazione dei Monaci Vallombrosani. Fu canonizzato nel 1193 da
papa Celestino III.
147 Produce aspra sensazione ai denti, come mangiare cose agre o sentir stridere
dei ferri.
148 Ottantenne.
149 Santa Gilla.
150 Letteralmente deposito di rifiuti; a significare che l’isola si affaccia su acque limpide e non stagnanti.
151 Circondata.
152 Oleandri.
153 Palazzi.
28
ANTONIO BACCAREDDA
splendori, adornasi di campestri fiori, e insieme alle dilette sue
compagne festeggia la giovinezza del tempo. Sembrano di fatti
quelle gentili e simpatiche isolette tante cestelle di fiori che galleggiano sulle acque tranquille per dissipare la mestizia della solitudine che d’ogni intorno le cinge154.
Oh in tai giorni par che il cielo si dischiuda sopra quella mia
terra nativa, e vi rovesci a dovizia i suoi tesori di luce, di profumi
e di voluttà155! Pare che il lieve favonio156 aleggiandoti carezzoso
sul viso v’imprima il bacio dell’amore, e te ne mormori all’orecchio la celeste armonia! Così sono potenti coteste ore di obblio
d’ogni dolore e di presentimento d’ogni bene, che la vita ti appar
tutta come un dolce arco di luce, che sorga dalla culla della tua
vita terrena, e s’incurvi sulla culla della tua vita immortale. Ma di
questa stagione sono pur troppo numerati i giorni, e al verde
tempo succedono ineluttabili157 le inclemenze delle altre stagioni;
e allora tutto si muta alla tua vista; quel sorriso di cielo, quell’armonia di suoni e di profumi, non furono che uno spietato e beffardo avviamento alle vere e durevoli sofferenze!
– Figlio mio – esclamò il vegliardo con voce fioca158 e commossa, stringendo la mano a Vincenzo Sulis – come sono lieto di
passar teco159 questo bel giorno!
– Ed io quanto, o padre mio! Così il cielo ce ne consenta
ancor molti di questi.
– Si fa presto a dirlo; ma quando si è alla mia età, queste speranze riescono sempre magre160. Per altro morrò quando che sia
contento, poiché ti lascio all’onore del mondo. Eh! Eh! – soggiunse ridendo e volgendosi tutto tronfio161 verso la nuora – Vincenza mia, che ne dici tu, hai un monello o un uomo per consorte?
– Ah il mio Vincenzo so ancor io stimarlo!...
– Hai da sapere – interruppe il vecchio montando in gallo154
Allontanare la tristezza della solitudine che le circonda.
In abbondanza i suoi tesori di luce, di profumi e di piaceri.
156 Vento caldo di ponente.
157 Inevitabili.
158 Esclamò l’anziano con voce flebile.
159 Locuzione obsoleta e letteraria che vale con te.
160 Esili.
161 Gonfio di superbia.
155
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
29
ria162 – hai da sapere che se io non gli avessi tenuto a modo le briglie, a quest’ora questo spiritello col suo passo di corsa se ne sarebbe ito163 chi sa dove. Puoi niegarmi, o Vincenzo, che tu devi a me
la tua presente grandezza? Sono stato rigido, è vero, e te ne ho
fatto toccar tante, ma tante, che non te le saprei dire nemmeno
io. Il mio amore per te si era convertito quasi in isdegno; ma ciò
fu tanto oro164, come vedi! Che importa se per quindici anni ti
ho portato il broncio? Quando sei riescito come appunto io ti
bramava165, e degno veramente di me e del tuo paese, e allora ho
dimenticato ogni cosa, ed ho fatto pace; perché all’uomo che si
risolleva da sé, che s’innalza coi propri meriti, bisogna stender
subito la mano amichevolmente e dirgli di cuore: buon prò166 ti
faccia la tua fortuna!
Sulis curvò la testa malinconicamente, perché cotesti discorsi
gli riescivano oltremodo penosi e molesti, onde decise di porvi
fine con queste parole:
– Voi insuperbite, e di che, padre mio? Un poco di fortuna,
ecco la mia vantata grandezza, ecco la mia gloria! Tutto sta nel riescire. Quante volte non avrete visto nelle nostre feste popolari che
gli applausi sono tutti e unanimi per quello fra i monelli che
giunse in vetta al pennone e che pose mano alla preda167? Chi sa
quanti altri avranno sudato prima e più di lui! Ma non vale il
sudare, bisogna riescire. Riescire, mi capite? Questa è la moralità168 della favola.
– Appunto, riescire senza sudare! E che non ti par doppio
merito cotesto? Ora poi che serve di andar a cercar altro, e di
venirmi a parlare dell’albero della cuccagna; tu sei quello che sei,
e non si fa cosa a Cagliari che tu non l’abbia prima voluta ed
approvata. Vivalda169 è il viceré di nome, Vincenzo Sulis è il
162
Allegria eccessiva, manifestata con gesti.
Andato.
164 È stato particolarmente fruttuoso.
165 Desideravo.
166 Ti sia di beneficio.
167 L’immagine è quella della scalata dell’albero della cuccagna, come specificato
nelle righe successive. Si tratta di un tronco, cosparso di cera o di sapone, issato
per le feste paesane, sulla cui sommità vengono appesi doni e cibarie destinate a
chi riesca a farle cadere, generalmente il partecipante più intrepido.
168 Morale, senso della storia.
169 Il marchese Gioacchino Ignazio Filippo Vivalda assunse la carica di Viceré il 6
163
30
ANTONIO BACCAREDDA
viceré di fatto; e questo Vincenzo Sulis è proprio il mio figlio,
l’uomo più potente che vanti Cagliari, se non dico la Sardegna!
In questo la barca passò dinanzi al così detto porto Scipione,
di presso al quale scorgonsi i ruderi del castello di Santa Gilla, già
reggia dei giudici cagliaritani(13).
Da ciò Sulis colse il destro170 di rispondere al suo genitore in
questa forma:
– Potente era pur Chiano171, che visse in cattività e morì per
mano del carnefice entro il castello, che un dì s’innalzava temuto
da qui poco lunge – ed accennò al porto Scipione ed al vicino
campo(14).
– Dio disperda il triste augurio! – si gridò dagli altri ad una
voce, e con essi anche dal barcajuolo, che non avea osato prima
metter bocca in quei discorsi, per lui troppo astrusi172.
– Dunque – rispose il Sulis – a monte la vanità e la superbia.
Se vogliamo godere, pensiamo al presente, a quest’oggi; il passato
è di Dio, come l’avvenire. Rallegriamoci alla vista della natura,
illuminata da questo bel sole, così giusto e benefico coi deboli e
coi potenti, coi miseri e coi fortunati!
Appena posto il piede nell’Illetta, una bilustre173 fanciullina
offerse alla consorte del Sulis un mazzolino di fiori. Colà come
dappertutto a cotesti doni si risponde sempre con un ringraziamento monetato174; e così appunto ringraziava la bella donata(13) Spano, Guida di Cagliari, pag. 336XII.
(14) Spano, Guida di Cagliari, pag. 336.
settembre 1794, decadendone il 3 marzo 1799, all’arrivo del sovrano in Sardegna.
170 Lo spunto.
171 Si tratta di Giovanni, detto Chiano, Torchitorio V, marchese di Massa e sovrano di Calari. Filogenovese, fu ucciso da sicari pisani a Santa Igia nel 1256 (cfr. F.
C. CASULA, op. cit., p. 705).
172 Complicati, incomprensibili.
173 Di due lustri, cioè di dieci anni.
174 In denaro.
XII
“In vicinanza a questo porto [Scipione] si osservano tuttora le fondamenta del
Castello di Santa Gilla, che era la Reggia dei Giudici Cagliaritani. Questo castello è famoso nella storia sarda. Nel 1196 se ne impadronirono i Genovesi. Nel
1256 vi fu imprigionato l’infelice Giudice Chiano, e messo a morte dai Pisani”
(G. SPANO, Guida della città di Cagliari, cit., p. 336).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
31
ria175, che di tal presente volle subito farne una girata176 al suo
caro marito.
Nel bel mezzo di quel mazzolino figurava un bel fiore di granadiglia177, veramente primaticcio178 per quella stagione.
– Un fior di passione! – pensò fra sé l’illustre tribuno, guardando quel fiore non certo coll’occhio del chiarissimo Delpino(15).
Ma del resto
Che mai faria
Colui che tutti, pria d’oprar, volesse
Prevedere i dolori (16)?
Onde fugato poco stante dal suo spirito il sinistro presagio179,
si diede con animo riposato a godersi in compagnia dei suoi le
delizie di quel gradito soggiorno e di quel dì splendidissimo.
(15) Federico Delpino, egregio naturalista, l’unico che in Italia siasi con
fortuna pari all’ingegno dedicato allo studio sulla fecondazione dei fiori,
e che per le sue dotte, importanti e curiose osservazioni sopra questo
interessante argomento, ebbe lato di cattivarsi la stima degli illustri Carlo
Darwin, Hildebrand, Parlatore e di tanti altri chiarissimi ingegni, che al
presente più illustrano la scienza di Linneo e di JussieuXIII – Io mi tengo
superbo dell’amicizia di questo, più che raro, singolarissimo uomo, nel
quale la probità e l’ingegno si disputano con gara eguale e nobilissima il
loro primato.
(16) Manzoni, Adelchi, atto II, scena VXIV.
175
Colei che riceve un dono.
Donarlo a sua volta.
177 Maracuja, frutto della passione.
178 Precoce, in anticipo rispetto alla stagione di fioritura.
179 Scacciato poco dopo dal suo spirito il brutto presentimento.
176
XIII Federico Delpino (1833-1905). Charles Darwin (1809-1882), biologo inglese. Friedrich Hildebrand (1835-1919), botanico tedesco. Filippo Parlatore (18161877), botanico italiano. Carl von Linné (1707-1778), scienziato svedese che
strutturò una classificazione degli esseri viventi. Bernard de Jussieu (1699-1777),
botanico francese che classificò le piante.
XIV In realtà, si tratta dell’Atto II, Scena IV, vv. 309-311.
32
ANTONIO BACCAREDDA
III.
Non erano ancor trascorsi dieci minuti dopo che il Sulis
ritornò dalla conversazione di d. Efisio Pintor, che fu sentito picchiare180 alla porta.
La vecchia sua serva, veduto che il padrone era in casa, e
sapendo che egli non si sgomentava181 mai di nulla, dopo i soliti
chi è, profferiti182 con voce nasale e prolungata, si fece ad aprire,
quantunque l’ora non le sembrasse troppo adatta a ricever visite e
soprattutto da persona forestiera183 ed ignota, quale le si era rivelata dal parlare.
Il nostro tribuno mosse sollecito ad incontrare il nuovo arrivato, e con ogni maniera di cortesia, lo invitò a introdursi nella
sua stanza, e quindi a seder presso di lui.
– La vostra favella vi chiarisce francese184, o signore – gli disse
cortesemente il Sulis, non senza un certo imbarazzo – Ora che
potete chiedere da me voi... e a quest’ora?
– Pardon, cittadino; io sono messaggiero185 di un foglio per
voi, ed è così importante il motivo che mi trasse186 in Sardegna,
e così misurato187 il tempo che a tale scopo mi fu assegnato, che
non trovai altro momento più propizio di questo per chiedervi il
favore di un breve colloquio.
– L’ora più che l’urgenza mi rivela la vostra intenzione. Voi
certamente avevate bisogno delle tenebre della notte per introdurvi nella mia casa.
– C’est-à-dire188?
– Un uomo seguiva dianzi i miei passi, e questi eravate voi.
Ma vedremo subito di che si tratta. Favoritemi cotesto foglio –
disse il Sulis con visibile preoccupazione.
180
Bussare con il picchiotto, arnese di metallo applicato alle porte.
Spaventava, intimoriva.
182 Arcaismo per proferiti.
183 As forastiera.
184 Il vostro modo di parlare mostra che siete francese.
185 Arcaismo letterario per messaggero, come il successivo messaggiere.
186 Condusse.
187 Scarso.
188 Cioè.
181
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
33
L’incognito gli porse un piego suggellato189. Alla lettura di
quel foglio sul volto di Sulis balenò un lieve e amaro sorriso.
– Benissimo! – egli mormorò – mi si promette un brillante
avvenire, e un mondo di ricompense in cariche elevate, in danaro, in onorificenze. Questa è la seconda di cambio190 che ricevo
dal vostro Comandante191. Voi dovete sapere perfettamente di
che si tratta, o signore(17).
– Cittadino, ho anche potere di aggiungere a voce quelle maggiori spiegazioni che sarete per chiedermi.
– Tanto meglio – soggiunse sommessamente l’altro, fremendo
e pallido come la morte – La spiegazione che vi chiedo è questa
unica: se entrando in mia casa con tale messaggio e con simili
offerte, avete pensato al modo come ne sareste uscito?
– Ho confidato nelle leggi dell’onore, e sono perciò entrato
sotto il vostro tetto così sicuro come se fossi entrato nel mio.
– In tutto fate entrar l’onore voi altri, anche nelle cose
turpi192! Or bene a questo foglio darete risposta voi stesso.
In questo fare accennò al messaggero un tavolino su cui era
l’occorrente per scrivere; indi si diede a passeggiare in silenzio per
su e giù della stanza.
L’altro indovinando di leggieri193 la mente del Sulis, prima di
assidersi al tavolino, volle rivolgergli in atto di benevola confidenza le seguenti parole:
(17) Tola, op. cit., articolo Vincenzo SulisXV.
189
Lo sconosciuto gli porse un plico di fogli chiuso con i sigilli.
In senso figurato, per ripetizione del medesimo errore.
191 “Il General Coulen Court fù Comand.te della Cittadella di Torino allorquando fù spedito in Sardegna il Re Carlo Emanuele con tutta la famiglia Reale, questo G.le prima di spedire il Re per ordine del Gran Napoleone fece a me una lettera dicendomi che unissi la Sardegna con la francia che sarebbe il bene del Regno,
di me e di tutta la mia famiglia con mille e mille offerte di gradi, di richezze, e più
vantaggi, la qual lettera io conservai, ed all’arrivo del mio Re in Sardegna gliela
consegnai nelle mani per conoscere la mia fedeltà” (V. SULIS, op. cit., p. 158).
192 Disoneste.
193 Forma avverbiale arcaica per facilmente.
190
XV
“E quando maggiore e colossale era il suo potere, ricevesse messaggi e lettere
per parte di Francia, acciò nelle mani di Francia ponesse la Sardegna. Onori, ricchezze gli si promettevano... dimandasse; nessuna cosa sarebbe a lui niegata” (P.
TOLA, op. cit., p. 244).
34
ANTONIO BACCAREDDA
– State saldo, sì state saldo; vi saluteranno un eroe e poi vedrete! Mais quando vi sarete liberato dai nemici esterni, chi vi salverà
dai nemici interni?
– Spiegatevi meglio, chi sono per voi questi nemici interni? –
dimandò asciuttamente il Sulis.
– Si capisce, i vostri concittadini. Nell’ora del pericolo essi
torranno194 i santi dal predellino195 per collocarvi sopra voi.
Dopo, o vincitore o vinto, foi d’honnête homme196! restituiranno i
santi al predellino, e voi caccieranno197 in un carcere, se camperete da peggio198. Il vostro sovrano, se avvenisse una ristorazione199... Eh ai sovrani fanno sempre ombra gli uomini popolari
come voi!
– Grazie delle buone calendi200 che mi date! Tuttavolta201
lasciate che essi facciano, o cittadino astrologo. De’ molti che
marcirono nel carcere l’infamia l’ebbero tutta coloro soli che ve li
cacciarono. I Gracchi202 furono uccisi ed infamati; ma non ostante vivranno vita gloriosa e immortale.
– A merveille203! Mais quando voi sarete l’amico di Bonaparte
e il sovrano di quest’isola, non potrete farvi grande e immortale
come i grandi della storia?
– Non mi lusingate; io vengo dal nulla, e credo già di esser
salito abbastanza, essendo quello che ora mi sono.
– Cittadino, l’ambitieux ne regarde jamais derrière lui204; e voi
dovete essere ambizioso come tutti gli esseri che non sono volga-
194
Arcaismo per toglieranno.
Gradino su cui poggia l’altare.
196 Fede d’uomo onesto.
197 Arcaismo per cacceranno.
198 Se non vi capiterà di peggio, se scamperete guai peggiori.
199 Restaurazione.
200 Oroscopi, nel senso di previsioni.
201 Forma obsoleta e letteraria per tuttavia.
202 I fratelli Tiberio Sempronio e Caio Gracco (II secolo a.C.), tribuni della plebe,
nel tentativo di far applicare le leggi Sempronia I e II, riforme agricole di matrice
sociale, furono ostacolati dagli avversari politici che convinsero il popolo che essi
miravano alla tirannide e pertanto perirono tragicamente: il corpo del primo fu
gettato nel Tevere e il secondo, assediato dai nemici, si fece uccidere da un servo.
203 Benissimo.
204 As derière. La frase in francese significa: l’uomo ambizioso non si guarda mai
indietro.
195
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
35
ri. Via non facciate il blanc-bec205! La sorte vi ha preparato un
grande avvenire, dunque avanti!
– Oh in somma, voi che vi vantate francese, e suppongo buon
cittadino, che rispondereste a quell’italiano, o inglese, o tedesco,
il quale vi consigliasse di tradire la vostra patria all’inimico?
Il messo a questa stringente dimanda stette muto qualche
momento;
ché la dimanda onesta
Si dee seguir con l’opera, tacendo(18).
Poco stante vinto da una forte ed entusistica risoluzione
esclamò ad alta voce:
– So bene io che risponderò a vostro nome al Comandante
della Cittadella di Torino(19)!
– Intendiamoci, amico!...
– Non dubitate; le mie parole saranno recise, fiere, sdegnose
– interruppe l’altro, stendendo commosso la sua mano verso il
Sulis. – Eppure, strana bizzarria della vita, fatto stupido e brutale
della fortuna! Noi due siamo chiamati a combattere l’uno contro
l’altro, perché voi siete italiano ed io francese... ci uccideremo
forse... e siamo amici, e ci amiamo!
Il Sulis, stringendo la mano del suo nobile antagonista206,
mestamente rispose:
– Il primo figlio dell’uomo, il primo fondatore di città è stato
un fraticida207. È dunque una maledizione che pesa da antica
mano assai sull’uomo; e così ei la stima inevitabile, che lo sperare
nella pace universale è per lui un sintomo di demenza.
– Abbia dunque la maledizione che merita!
Con queste parole l’incognito partì dalla casa dell’altiero208
tribuno cagliaritano.
(18) Dante, Inferno, Canto XXIVXVI.
(19) Ginguenè.
205
Adolescente, nel senso di ingenuo.
Rivale, avversario.
207 Arcaismo per fratricida. Si riferisce all’omicidio di Abele da parte del fratello
Caino, figli di Adamo ed Eva, episodio biblico raccontato in Gn 4,8.
208 Altero, orgoglioso.
206
XVI
Si riferisce ai vv. 77-78.
36
ANTONIO BACCAREDDA
Questa visita notturna del forestiere parve alla consorte del
Sulis cosa non liscia209; e sospettosa quindi mosse verso la stanza
di Sulis, il quale dopo la partenza dell’incognito messaggiere era
rimasto qualche istante immobile e pensieroso. Poco dopo riscosso d’improvviso volle rileggere da capo il foglio dianzi consegnatogli, ned210 era ancor giunto a metà di esso, che vide addirittura
comparir dinanzi la moglie.
Il primo atto del Sulis a quella vista fu di nascondere in tutta
fretta quel malaugurato foglio, ma nol fece così destramente211,
che la sopravvenuta non si accorgesse di quest’atto furtivo.
Era dessa una donna di forse trent’anni, ma la freschezza della
carnagione in armonia con un viso rimarchevole per regolarità di
fattezze la dimostravano d’assai più giovine età. La sua fisonomia
presentava il carattere tipico di quelle bellissime donne che popolano la lunga via, che si stende dalla chiesuola di S. Bernardo212
all’estremo limite del contiguo borgo detto di Sant’Avendrace213,
e tutta quanta abitata da pescatori del vicino stagno, da lattai, ecc.
Ella infatti era figlia d’un molto ricco pescatore che da più tempo
dimorava in Stampace214, e passava per una delle più belle donne
di quel sobborgo.
Avea dessa un giusto mezzo fra la statura e la complessione, ed
un incesso215 piuttosto lento, ma dolce e dignitoso. Il suo volto
tendente all’ovale, ma pienotto, era aggraziato da uno sguardo
languidetto216 e pieno di mesta soavità, comeché partisse da due
occhi neri, neri come la sua prolissa217 chioma, la quale dava il
209
Strana.
Arcaismo per né.
211 Abilmente.
212 La chiesa dà nome al borgo sito nel quartiere di Stampace, oltre via Porto Scalas.
213 “Si arriva subito al borgo di Sant’Avendrace, volgarmente detto Santu Teneru,
nel quale abitano per l’ordinario pescatori, e panattiere. La strada che divide il
borgo è sufficientemente larga. Nel principio della strada vi è la Croce che posa su
d’una colonna antica di granito. Alla Chiesa Parrocchiale, che sta alla metà della
strada a man sinistra, si entra per un atrio con viali d’alberi” (G. SPANO, Guida
della città di Cagliari, cit., pp. 336-37).
214 Fra i più antichi quartieri di Cagliari, racchiude ben undici chiese, l’ospedale
civile e la piazza del Carmine.
215 Fra la statura e la costituzione, ed un’andatura piuttosto lenta.
216 Sdolcinato.
217 Fluente.
210
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
37
più grazioso risalto ad una cute bianchissima, e fine come il raso,
leggermente velata da una tinta azzurrognola.
Quel viso veramente bello, non d’altro meritava d’esser
tocco218 che dal bacio dell’amore; e l’ebbe per vero dire dal suo
consorte, ma senza le svenevolezze o gli iperbolici entusiasmi219
di coloro che usano collocare il matrimonio tra la luna di miele e
la tomba dell’amore; dacché per questi l’amore non è che un delirio di sensi, e il matrimonio un contratto sinallagmatico220.
Vincenzo Sulis amava la moglie più assai che non dimostrasse, ciò che alimentava in lei una certa gelosia, od almeno una tal
cosa che molto l’assomigliava.
Queste poche parole valgono ad illustrare il seguente dialogo:
– Giungo in mal punto221 a quel che veggo222 – disse ella con
visibile risentimento e con viso arcignetto223, fermatasi dinanzi
allo scrittoio ove stava il marito.
– Mai in mal punto, o che ti pare! Ma sai pure che io posso
celare anche a te qualche segreto, occupandomi di politica, come
fo.
Egli accompagnò queste parole con un sorriso lieve lieve e
dolcissimo; la moglie invece si scurò in viso talmente, che l’altro
dovette subito soggiungere:
– Ora perché ti annuvoli224 così? Tu prendi tutto a male. Se
tu leggessi questo foglio, che volli nasconderti, mi renderesti
ragione.
– Ebbene, lascia che io legga...
– No, non lo posso... né lo voglio, poiché ti mostri così diffidente e ostinata. Del resto vi sono delle cose che non si possono
confidare nemmeno alla moglie.
– Sta bene, sta bene così! – soggiunse l’altra con mal frenato
dispetto – Gli affari di Stato... Oh si è un bel velo cotesto per celare i torti che hai verso di me! Un velo troppo trasparente per altro,
218
Per toccato.
Sdolcinatezze o eccessivi entusiasmi.
220 Nei contratti a controprestazione, il rapporto di scambio che lega necessariamente le due prestazioni.
221 In un momento inopportuno.
222 Arcaismo per vedo.
223 Severo.
224 Turbi.
219
38
ANTONIO BACCAREDDA
mio amico, agli occhi di chi conosce a fondo le inclinazioni del
tuo cuore.
Sulis a queste parole si alzò dal tavolino e stringendosi nelle
spalle, fece per uscire.
– Rimanti qui – riprese la moglie – sono io che devo uscire, e
chi non lo vede? Sii certo che quindi innanzi non ti noierò225 più
con questi discorsi. Fa fa il piacer tuo, come hai fatto finora, e me
lascia nel pianto e nella disperazione.
– Meriteresti che io ciò facessi da senno. Ma intanto puoi dire
che sieno giusti i tuoi risentimenti? Scommetto che queste cose
che vai ora dicendo ti escono dalla bocca a tuo dispetto.
– Oh questo no, vedi! Perché le mie orecchie hanno udito, i
miei occhi veduto...
– Udito dicerie226, veduto fantasmi.
– La storia della tua cugina è una diceria? Eri un fantasma tu
che commettevi lo ascondimento di poco fa227? Per voler tutto
niegare, tutto confermi.
Il Sulis, rabbonito dal tuono228 dimesso della consorte, sentì
nel suo intimo compassione di lei, onde si accinse subito a consolarla assumendo contegno e favella, quanto in lui più si poteva,
dolci e benigni.
– Ascoltami, Vincenza, ma senza tenermi il broncio. Tu sai
che io ti amo, e che non potrò mai dimenticare quanto la tua
famiglia ha fatto per me, soccorrendomi nella povertà e nell’isolamento in cui trassi229 parecchi anni della mia prima giovinezza.
Ti sembro un ingrato, io?
– So che vuoi dirmi, lo so. Mi hai dato la mano di sposo, si è
vero, ma il tuo cuore lo possiede tuttavia un’altra donna...
In questa la voce di lei si spense del tutto, e due lagrime silenziose le ingemmarono le pupille230.
– Non dir questo, poiché a gran torto ti rendi crudele verso te
stessa. Sai pure che la mia prima età giovanile, un po’ per mia
spensieratezza e molto per il soverchio231 rigore di mio padre, non
225
Forma letteraria, vale infastidirò.
Chiacchiere maligne.
227 Poco fa hai cercato di nascondere.
228 Rasserenato dal tono.
229 Trascorsi.
230 Adornarono lo sguardo come gemme preziose.
231 Eccessivo.
226
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
39
fu certo irreprensibile. Quando si è giovanetti tutto si fa secondo
dettano le passioni. Vorresti ora addebitarmi senza ombra d’indulgenza tutto quanto io stesso mi rimprovero, e mi sforzo di
cancellare colla mia vita presente?
– Vorrei crederti.
– E poi ti sembra che alla mia età possa darmi sì buon
tempo232? Via, vergognati di queste fantasticherie. Sono io anzi
che dovrei essere geloso, giacché sono di tanto più vecchio di te.
Persuaditi che ho la testa ad altro, essendomi tuffato in questo
genere di vita agitata che da più anni conduco, e che si è ormai
fatto un bisogno per me. Ora non è lecito darsi dolore per dei
sogni; e i tuoi non sono altro che sogni.
– Ebbene, se è così... Solo per grazia te lo chiedo, Vincenzo
mio,233 lascia che io legga due sole linee234 di quel benedetto
foglio, e che sia finita una volta!
Sulis ridivenne serio e riservato, e con voce calma e sommessa soggiunse subito:
– No, questo no! Contentati a quel che ti dissi e basta. Buona
notte, moglie mia!
Ella zittì, e ricevuto dal consorte un affettuoso bacio d’addio,
trasse fuori235 della stanza a lento passo e mesta.
232
Possa darmi ai festeggiamenti.
mio, per mio; come richiesto dall’errata corrige.
234 Righe.
235 Uscì.
233
40
ANTONIO BACCAREDDA
IV.
– Bravo! Fui più forte d’Adamo – pensò fra sé quando si vide
solo; – ho resistito alle tentazioni della mia Eva236! Se una sua
imprudenza avesse potuto rivelar mai a qualcuno il contenuto di
questo strano messaggio, chi ne avrebbe pensato bene? Oh i miei
concittadini non vedrei allora così indulgenti verso di me, come
ora veggo entusiasti! Tribuno di un popolo! È un gran dire. Ma la
folla che oggi acclama al tuo trionfo può domani assistere plaudente al tuo supplizio. Cromwell ciò disse. Chi più glorioso di
Rienzi? Chi più amato di Tomaso More? Chi più popolare di
Masaniello237? Eppure?... Sì, troppo e fortunosa la sorte di chi
s’innalza sopra di un popolo! Ei pare che Iddio abbia scritto sullo
scettro dei re, e sulla spada dei grandi capitani: guai a chi sarà il
primo! Guai a chi violerà la legge dell’uguaglianza238!
Con queste e simili riflessioni prese distrattamente tra mani il
libro suo più favorito, Le vite parallele di Plutarco239, e vinto dalla
stanchezza deliberò di andare a letto. Quivi gettò le sue membra
e stette lunghe ore vegliando, perché le emozioni sofferte in quelle poche ore non gli consentivano il benefizio del sonno. All’avvicinarsi dell’alba chiuse gli occhi a dormire; e solo da un’ora assa236 Si riferisce all’incapacità di Adamo di rifiutare la richiesta di Eva di assaggiare
la mela dell’albero proibito, che determinò la cacciata dal Paradiso terrestre, episodio biblico narrato in Gn 3,6.
237 As Cromwel. Oliver Cromwell (1599-1658), statista inglese, fu deputato al
Lungo Parlamento come oppositore di Carlo I e venne nominato “Lord protettore d’Inghilterra”. Cola di Rienzo (1313-1354), politico romano, assertore della
supremazia di Roma, sollevò il popolo contro i nobili; nominato senatore, fu dapprima acclamato, poi trucidato durante una sommossa. As Moor. Thomas More
(1478-1535), scrittore e parlamentare inglese, fu decapitato per essersi rifiutato di
rinnegare l’autorità del Papa e di approvare il divorzio di Enrico VIII. Tommaso
Aniello (1620-1647), soprannominato Masaniello, pescivendolo napoletano,
avverso al viceré spagnolo, fomentò una rivolta e venne eletto capitano del popolo; reso folle dal potere conquistato, venne catturato e decapitato dai suoi stessi
seguaci.
238 La legge dell’uguaglianza venne proclamata dalla Chiesa per affrancare l’umanità dal peso della schiavitù.
239 Plutarco di Cheronea (46-127), filosofo greco, ricevette la cittadinanza romana onoraria e compose le Vite parallele, opera storica, per onorare 24 coppie di
uomini illustri, composte da un greco e un romano, messi in parallelo per analogia d’indole o di avvenimenti biografici.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
41
porava questo unico ristoro della vita, quando un rumore confuso e crescente, prodotto da mormorio di voci e da strepito di
armi, venne a destarlo all’improvviso.
Poco di poi una donna, la sua vecchia serva,240 sospingendo
lievemente l’uscio si affacciò incerta se dovesse inoltrarsi; ma i clamori di piazza prorompendo ad ora ad ora sempre più violenti e
scomposti241 tolsero d’incertezza la vecchia, ed eccola precipitare
nella stanza cogli occhi spalancati e le mani giunte.
– Perché entri così faccendosa242 e fuori di te? – chiese Sulis
con aspetto tranquillo.
– Ah, padrone mio! Dio abbia misericordia di noi! Più di
cento uomini armati stanno alla porta di casa.
– Ora comprendo; saranno i miei Cacciatori miliziani.
– Lo so anch’io; ma sono di malumore assai, e minacciano, e
ringhiano, e battono a terra gli schioppetti243, facendo uno strepito di casa del diavolo. Che vorranno essi da noi? Chi sa che
baronata244 penseranno di fare quest’oggi?
– Lascia che facciano. So fin da ieri che qualcosa di simile
doveva accadere. È il patriottismo che sente appetito. Tu intanto
apri la finestra...
– Gesù mio! Ma io ho paura di quegli spiritati245.
– Apri, ti dico, e dimanda se vi è fra loro un comandante, una
persona che li guidi insomma.
La serva sebbene a gran segno riluttante obbedì, e si mise a
vociare con quanto ne avea nella gola, credendo con ciò d’imporne a quei malarditi246 della via, e di comparir coraggiosa agli
occhi del padrone. Chiesto se vi fosse un condottiere, ebbe per
risposta del sì da mille voci confuse.
– Anime! – mormorò fra i denti la vecchierella; – con quelle
brutte vociacce fanno paura anche a me.
– Dì che salga costui, ma solo, intendiamoci! E tu annuncia
240
serva, per serva come richiesto dall’errata corrige.
Manifestandosi con crescente violenza.
242 Affaccendata.
243 Diminutivo di schioppo, antica arma da fuoco con canne lunghe, antenata del
fucile.
244 Bricconata.
245 Indemoniati.
246 Spavaldi.
241
42
ANTONIO BACCAREDDA
ciò dalla finestra, a scanso247 di malintesi. Per l’ordinario il capo
in questi trambusti non è zucchero di sei cotte248, ma sarà sempre uno.
– Non vi siete ingannato – soggiunse la serva nel chiudere la
finestra – è quella buona lana249 di vostro cognato. Lo farò dunque entrare?
– È quanto mi occorre – disse egli alla serva, che se ne partì250
in tutta fretta, dandosi l’aria di persona intrepida e disinvolta.
Dopo parecchi istanti ricomparve nella stanza susseguita251 da
un uomo alto, robusto e di bella presenza. Avea costui una quarantina d’anni; l’insieme della sua fisonomia era anziché altro
simpatico; pure vi si scorgea tra carne e pelle un non so che di
sinistro252, che lasciava in bilico tra il fidarsi e il non fidarsi. Egli
era armato di daga253 e di schioppetto; onde nel trovarsi al cospetto del suo capitano, sebbene gli fosse cognato, si contenne secondo portava254 la disciplina militare.
– E così, Giambattista, voi altri non mi lasciate nemmeno
dormire?
– Tu hai sonno ed essi fame; dà loro la paga dovuta, e ti lascieranno dormire finché ti piacerà. Sai bene che nicht255 paga, nicht
servizio.
– Non occorreva per questo mettere a rumore la città, né venire in cento a chiedermi ciò che non è in me il darvi.
– Chi comanda paga; noi come il cane stimiamo padrone solo
chi ci dà pane256.
247
Per evitare.
Lo zucchero veniva un tempo raffinato con cotture successivamente ripetute:
pertanto quello di sei cotte è raffinato al massimo. In senso figurato e in negativo,
riferendosi a un individuo, significa che non è affatto raffinato, ma malandrino al
massimo grado.
249 Ironicamente per individuo di cattiva indole.
250 Se ne andò.
251 Seguita da vicino.
252 Aveva nell’aspetto qualcosa di sottilmente sinistro.
253 Spada corta a due tagli.
254 Quanto richiesto.
255 Dal tedesco, niente.
256 “Siccome sapevano tutti, che io anticipavo i pagam.ti perché in cassa non vi
erano fondi, si resero a me più affetti, ed ubbidienti, perché dicevano a chi mi dà
pane, lo chiamo Padre” (V. SULIS, op. cit., p. 60).
248
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
43
– Cane e padrone, ecco le parole che stanno in bocca a voi
altri. Volgo stupido e vigliacco, guai se a te si concedesse quella
libertà, che è lo scettro di un popolo virtuoso e civile! Se ciò avvenisse io stesso mi sforzerei a ribadire le tue catene257, perché
sarebbe più funesto il tuo dominio di un’ora, che la tua eterna servitù. Vorreste essere ministri, magistrati, capitani, tutto; ma finireste per chiamar sempre padrone chi fosse pronto a darvi del
pane; sì pane, perché la libertà è cibo troppo delicato per il palato della canaglia!
Indi voltosi alla serva:
– To’, dà pane a cotesti cani. Apri lo scrigno, e prendi quel
gruppo258 che vi troverai là entro. Sarò rimborsato quando a Dio
piacerà(20)!
– Oh tu sempre generoso, caro il mio cognato! Tu rinunzi a
tutto, a onorificenze, a cariche eminenti e per fino alla bella paga
che ti venne assegnata. Per bacco, coteste non sono celie259; gli è
una buona moneta uno scudo al giorno(21)!
– Questo è un latino che tu non capisci, non è vero, Giambattista?
– Lo capisco benissimo! Tu servi la tua patria e sei ricco; se lo
fossi anch’io e se la Sardegna fosse la Corsica, altro affare allora260!
– Tristo261! Non è questa forse la patria della tua consorte?
– Il luogo dove si stenta la vita, o Vincenzo, non si riguarderà
mai come patria262. E poi... E poi... Tu comandi, e noi obbedia(20) (21) Tola, op. cit., articolo Vincenzo SulisXVII.
257
Di rendere più opprimente la tua schiavitù.
Insieme; anticamente anche per sacchetto, involto. In questo caso, si intende
una quantità di denaro.
259 Scherzi.
260 Giambattista Rossi è corso.
261 Disgraziato, sciagurato.
262 Il luogo in cui si vive fra gli stenti non si considererà mai patria.
258
XVII
“Spinse la sua generosità fino ad antecipare del proprio le paghe del suo battaglione, chiedendone poi ed ottenendone assai tardi il rimborso”. “Per sé nulla
mai volle, benché gli fosse stato dagli stamenti assegnato uno scudo al giorno a
titolo di stipendio” (P. TOLA, op. cit., p. 244).
44
ANTONIO BACCAREDDA
mo... E non è poco onore cotesto di comandare cinquecento
uomini come noi.
– E vi comando io?
– Che diavolo! Un’occhiata, un cenno, e non occorre altro; ti
si obbedisce come tanti scolaretti.
Quel mercenario di fatti263 non adulava; lo sguardo di Vincenzo Sulis era più che un comando per quella bruzzaglia264, che
abbandonata a sé non d’altro sarebbe stata capace che di atti facinorosi265 e scellerati; ed era strano e insieme curioso il vedere
come egli di una accozzaglia di cinquecento mariuoli d’ogni
risma266, ne avesse fatto un corpo disciplinato, non solo, ma di
esso si fosse non poche volte giovato a mantenere in Cagliari l’ordine e l’autorità, o il prestigio almeno a quell’inetto267 governo.
Nel mentre di questo dialogo, i cacciatori miliziani in numero di cento o quasi,268 disposti in diversi gruppi presso la casa di
Vincenzo Sulis, davano l’andare ai loro discorsi politici o meglio
apocalitici269, così a un di presso spropositando:
– Con questa fame sagratina270, corpo del diavolo, ei ci
comandano a bacchetta271, e vogliono che si faccia la guardia
notte e dì a cotesti signori, che hanno il ventre infarcito272 di ogni
grazia di Dio. Insomma o siamo la forza o non lo siamo; se siamo
la forza facciamoci rispettare, incominciando da questo Sulis, che
già comincia a farmi stomaco273. Scommettiamo che...
Un altro miliziano con la faccia da deprofundi274 atteggiandosi a grave contegno e tenendosi il labbro inferiore fra l’indice e il
pollice della mano destra, interruppe senz’altro il dire del suo
263
di fatti per diffatti come richiesto dall’errata corrige.
Marmaglia.
265 Violenti.
266 Furfanti di tutti i tipi.
267 Inconcludente.
268 quasi, per quasi come richiesto dall’errata corrige.
269 apocalitici per apocatitici come richiesto dall’errata corrige.
270 Grande, solenne, eccessiva.
271 In modo perentorio. La bacchetta è l’emblema del potere, lo scettro.
272 Lo stomaco pieno.
273 Darmi la nausea, fastidio, disgusto.
274 Il riferimento è al Salmo 130, De profundis, brano biblico penitenziale spesso
recitato per i defunti: il miliziano ha quindi una faccia da funerale.
264
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
45
commilitone con una certa indipendenza dalla logica e dalla
urbanità275.
– Sentite, sottosopra276 per noi ci vuol la repubblica!
– In Piemonte vi è già.
– Davvero? Tanto meglio!
– Anzi vi dirò... Aspettate come la chiamano... Che so io quel
che disse d. Efisio Pintor!... La repubblica... Ah ora me ne ricordo... La repubblica insub... insalubre277; una cosa così!...
– Che è questo? È roba da mangiare?...
– Oh come sei tondo278!... Ma... Ma... Non sai? Cose nuove,
nomi nuovi.
– Cosa nuova! La repubblica sarà sempre la stessa; il regno
della giustizia.
– Se è regno non è repubblica, ignorante che sei! Vattene, gli
è altro...
– E che è, parla, maledetto te e il tuo papa!
– Eh furbo! Tu mi capisci senza dirti altro.
– Ah sì, sì!...
– Il proverbio... Non sai? Oh che cristiano!
– Finito un guaio ne viene un altro.
– No, il diavolo che ti porti! Ma dove hai la testa quest’oggi?
– Aspetta! Gli è questo: il mondo è fatto a scarpette; chi se le
cava e chi se le mette.
– Pezzo da catena279, ora l’hai indovinata!
– Noi siamo come quei due ciechi che si dissero: a rivederci!
– Bravo, compare! Dove non arriviamo noi, e nemmeno il
diavolo.
– E sai perché? Perché a Santa Gilla non vi son lumache.
– Né garofani a Monte-Orpino280.
275
Civiltà, cortesia.
In fretta.
277 Probabilmente si tratta di un gioco di parole con il nome dell’Insubria, territorio comprendente l’attuale Lombardia, parte integrante della repubblica Cisalpina (1796-99).
278 Semplice, grossolano, goffo.
279 Delinquente, destinato alle catene dei carcerati.
280 Colle cagliaritano, il cui nome deriva da urpe, volpe, perché era conosciuto
come luogo impervio, fuori dal centro della città e si diceva frequentato da animali selvatici.
276
46
ANTONIO BACCAREDDA
– Non sappiamo il gesus a, ma la testa ce l’abbiamo anche
noi281. Chi non m’ha visto collocare di nottetempo le campane
nell’Oratorio d’Itria a dispetto dei frati agostiniani, non sa di che
sono capace io(22). Già perché non parliamo latino... Ma per far
degli occhielli282, vedi? Questo coltellaccio ne val cento.
– E poi si dice che siamo canaglia.
– Noi amiamo la patria: ecco il gran peccato!
– Certamente, e ce ne verrà un gran bene! Sentite, o una corona d’aglio283, o quattro palmi di corda col suo bravo sapone284
non ci mancheranno; state allegri!
– Silenzio cialtroni285! – esclamò Giambattista Rossi,
mostrandosi sul limitare della casa del suo cognato – I danari son
qui!
– Viva Vincenzo Sulis! – si gridò ad una voce da tutti quei
miliziani, i quali ricevettero sul luogo istesso la paga loro assegnata,286 onde in capo a pochi minuti l’assembramento si dileguò.
Solo tre di codesti cacciatori miliziani rimasero a mezzo la via S.
Michele, borbottando fra di loro e accennando torbidi287 alla casa
del Sulis.
(22) Spano, Guida della città di Cagliari, pag. 228, nota (1) della pag.
istessaXVIII.
281 Siamo in grado di comprendere pur essendo gente semplice e ignorante che
non conosce le preghiere in latino.
282 Ferite, buchi.
283 Locuzione familiare per nulla.
284 Per impiccarci. Il sapone rendeva più scorrevole la corda per le impiccagioni.
285 Sfaticati.
286 assegnata, per assegnata come richiesto dall’errata corrige.
287 Minacciosi.
XVIII
“Questa Confraternita [di Itria] dipendeva dai Frati Agostiniani, perciò mai
aveva potuto ottenere di aver la campana, non ostante che avesse ricorso al viceré
ed all’Arciv. Delbecchi. I frati sempre si ricusavano di darne l’assenso. Ricorse allora la Confraternita ad uno stratagemma. [...] In allora di notte tempo, senza che i
frati se ne avvedessero, costrussero un’arcata, di cui avevano già preparato i cantoni, e vi collocarono la campana che avevano fuso dal 1776. Fu inutile ogni ricorso per la demolizione; e così ottennero l’uso della campana” (G. SPANO, Guida
della città di Cagliari, cit., n. 1, p. 228).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
47
Chi si segnalava288 maggiormente in quel triumvirato289,
sorto come un fungo290, si era un caporale, un uomo di mezza
età, lungo, magro assaettato291, dalla fisonomia espressiva e dal
portamento misterioso e grave. Costui era uno di quegli esseri,
come spesso se ne incontra, che giunti al sommo della parabola
della vita, si trovano di aver fatto un poco d’ogni cosa, e che perciò, non sapendo nulla di nulla, l’hanno contro a tutti; e solo che
possano camparla dall’oggi al domani, metterebbero il guasto292
al mondo intiero. Pochi erano i mestieri che non si fosse accinto
ad imparare, poche le facoltà di cui non ne avesse impreso293 lo
studio; per dir corto, la pialla, la lesina294 e la lima avea così adoperato a riprese, come lo strumento del chirurgo, il bischizzo295
del teologo e il cavillo del leguleio296. Ed eccolo, per colmar la
misura297, anche soldato.
– Avete inteso? Noi siamo cialtroni! – diceva costui biascicando le parole ed appoggiandosi a certi materiali ammonticchiati
presso il luogo ove ora sorge la bella chiesa di S. Anna, allora in
costruzione. – Sentite – soggiunse levando la mano in alto con
fare solenne e fatidico – o questa parola ha da tornare in gola a
chi l’ha pronunziata, o che io possa cascare d’un accidente in
mezzo alla via!
Non avea appena finita quest’ultima frase, che i materiali sui
quali erasi appoggiato rovinarono tutto ad un tratto, traendo seco
il nostro caporale, che se ne andò a gambe levate.
288
segnalava per segnalasse come richiesto dall’errata corrige.
Collegio di tre persone che esercitavano il supremo potere politico. Più avanti, il Baccaredda si riferirà esplicitamente al secondo triumvirato (43 a.C.) stretto
fra Caio Ottavio (nipote di Giulio Cesare), Marco Antonio (compagno di Cesare
nel consolato) ed Emilio Lepido (governatore della Gallia Narbonese) per vendicare la morte di Cesare. Fra le vittime illustri, Cicerone, colpevole di essere nemico di Marco Antonio.
290 Locuzione per indicare spontaneamente e all’improvviso.
291 Modo toscano di formare il superlativo: vale magrissimo.
292 Seminerebbero zizzania, creerebbero malumori.
293 Intrapreso.
294 Attrezzo costituito da un grosso ago ricurvo e appuntito, sostenuto da un corto
manico in legno, utilizzato da calzolai e sellai per forare il cuoio che deve essere
cucito.
295 Fantasticheria.
296 Uomo di legge pedante e cavilloso, come il manzoniano Azzeccagarbugli.
297 Per finire.
289
48
ANTONIO BACCAREDDA
Io per conto mio, se fossi stato nei panni degli altri due triumviri, senza esser punto superstizioso, avrei aiutato benissimo il
mio caporale profeta a rizzarsi in piedi, perché l’uomo che casca,
sia moralmente o sia fisicamente, fa sempre una gran brutta figura, ma dopo questo, auguratogli issofatto298 il buon giorno, me
ne sarei andato via di vela299 facendo quello che non seppe fare la
moglie di Lot nel lasciare la turpe città natia dell’attica Venere300.
Ma quegli altri erano due cocciutacci di prima forza, due spiriti
forti da dare dei punti a Voltaire301; così ebbero a mantenere integro il loro triumvirato, certamente serbato302 a grandi destini;
epperò vollero seguire il loro Marco Antonio, traendo dalla
malaugurata via S. Michele fino a quella detta del Monte303, da
cui riescirono silenziosi a Buoncammino e di là alle Stelladas304,
ove fecero sosta.
– Poiché nessuno di noi è di servizio quest’oggi – disse Marco
Antonio – facciamo di utilizzare bene queste ore di libertà. Io ho
bisogno di mettervi a parte di un gran progetto; e spero che sarete discreti e fedeli. Scegliamo un luogo ove si possa stare tranquilli
e inosservati.
298
Dal latino ipso facto, senza indugio.
Rapidamente.
300 Il riferimento è a quanto narrato in Gn 19-1,26. Lot avvertito da due angeli
dell’imminente pioggia di zolfo e fuoco che avrebbe distrutto le città di Sodoma
e Gomorra, fuggì con la moglie e le figlie, sapendo di non doversi voltare indietro per nessuna ragione. Nell’udire il rumore della pioggia, invece, la moglie di
Lot si voltò, trasformandosi in una statua di sale. L’episodio è anche all’origine del
modo di dire restare di sale.
301 Tanto ostinati da superare Voltaire, pseudonimo di François Marie Arouet
(1694-1778), filosofo francese, che finì rinchiuso nel carcere della Bastiglia e
venne scacciato dalla corte di Federico II di Prussia a causa del suo carattere schietto e testardo.
302 Riservato.
303 Oggi Via Ospedale (cfr. D. SCANO, Forma Karalis, “Archivio Storico Sardo”,
vol. XIV, 1922, p. 120).
304 Nel quartiere Castello, il viale Buoncammino, ove si trovano le carceri, è
una delle più antiche passeggiate cagliaritane, poiché vi si gode un panorama
unico. Scendendo lungo l’odierna via Cadello, si incrocia Stelladas, nome di
una vasta piazza al confine fra Cagliari e Pirri, ove “nei primi lustri di questo
secolo si eseguivano le sentenze capitali” (G. SPANO, Guida della città di Cagliari, cit., pp. 370-371).
299
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
49
– Il Castello di S. Michele(23)! – propose uno degli altri due,
cui per intenderci porremo nome Ottavio.
– A Pirri(24)! – si fece tosto a soggiungere il terzo (che chiameremo Lepido) con latente305 ma sincero entusiasmo.
– A Pirri sì, approvo! Tanto ci troviamo in sulla via. Danaro,
alla Dio mercè, non ve ne manca; colà faremo il nostro pranzo e
combineremo306 ogni cosa per il meglio.
Ora Marc’Antonio, Ottavio e Lepido, arrivati a Pirri che furono, si diedero tosto a cercare un concionale307 degno della levatura dei loro pensieri e della grandezza delle loro dicerie. Spingendo l’occhio nel fondo della via maestra del villaggio videro a
sinistra sporgere un secco ramo di palma(25).
– Vedete là quel superbo segnale? Taverna o non taverna,
quella palma ci è di buon augurio!
E di pieno accordo s’installarono in quella prima bettola che
loro capitò tra i piedi. Senza perder tempo si posero a sedere a
tavola, e chiesero quindi da mangiare e bere con una certa aria di
mistero, che lo stesso tavernaio, senza sapersene dar conto esatto,
(23) Questo castello, chiamato dagli spagnuoli Bonvehi, si suppone fondato dai pisani nel secolo XIII sulle rovine di un chiostro di Certosini.
Spano, op. cit., pag. 366XIX.
(24) Villaggio vicino di Cagliari, famoso per il buon vino che vi si beve,
e per le solenni imbriacature che vi si pigliano, sopratutto dai forastieri.
(25) Un ramo di palma indizia a Cagliari, e nei vicini villaggi, l’esistenza di una taverna, come si vedono tuttora a Firenze indiziate le canove da
certe frasche, di cui una veramente maiuscola pompeggia tuttavia vicino
a Porta la Croce.
305
Celato.
Stabiliremo.
307 Aggettivo, da concione, luogo in cui si svolgevano le adunanze per trattare affari di Stato, usato qui in senso ironico.
306
XIX
“A sinistra di questa villa [Pollini] torreggia il Castello di S. Michele, dagli Spagnuoli detto di Bonvehi. Il primo nome l’ha preso da un Oratorio che vi stava
dedicato all’Arcangelo, perché prima vi stava un Monastero di Certosini; il secondo poi per esser collocato in una posizione da cui si gode una bella ed imponente veduta di tutto il Campidano e del golfo” (G. SPANO, Guida della città di
Cagliari, cit., p. 366).
50
ANTONIO BACCAREDDA
pensò di servirli in silenzio, guardandoli con tanto d’occhi. Il dabbenuomo308 credeva così di rispondere col mistero al mistero.
Come si trovarono soli, il caporale Marco Antonio, accigliatosi tutto ad un tratto con prosopopea309, e imposte le mani sul
tavolo, così incominciò:
– Amici miei, non badate, ve ne prego, ai miei galloni310;
immaginate che più non fossi il vostro caporale; tenetemi per un
nulla, insomma consideratemi in tutto come vostro eguale. Posso
dire di più? Epperò eccovi la mia mano.
Gli altri strinsero immantinente311 la mano al democratico
caporale, ma senza profferir verbo312.
– Bisogna per altro esser uniti, sempre uniti! – ripigliò quest’ultimo.
– Lo siamo! – risposero ad una voce gli altri due, non potendo niegar l’evidenza.
– Orsù rispondetemi! Chi è la causa delle smargiassate313 di
Giambattista Rossi? Chi è il nostro padrone? Chi ci tiene come
tanti cavalli alla cavezza314, e ci mena addosso un rovinìo di frustate? Chi è il sovrano di Cagliari? Via, rispondetemi in vostra
malora!
– Vincenzo Sulis, questo si sa da tutti315.
– Ah lo sapete e lo tollerate!
– Che s’ha da fare?
– Vergogna! Quando una pulce vi tormenta la sapete ben
schiacciare voi altri!
– Certissimo! Ma Vincenzo Sulis non è una pulce.
– Quale è uomo che non sia tale rimpetto316 a voi, che siete
il popolo?
– Ma...
– Ho torto forse?
308
Ingenuo.
Gravità presuntuosa.
310 Gradi della carriera militare.
311 Senza indugio, immediatamente.
312 Pronunciare parola.
313 Spacconate, fanfaronate.
314 Fune che serve per imbrigliare il cavallo; in senso figurato, vale frenati.
315 Lo sanno tutti, è risaputo.
316 Davanti.
309
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
51
– Io questo non lo dico, ma lo penso – rispose Lepido.
– Che ne sai tu? – gridò Marco Antonio,
che stima
Aver, leggendo certi commentari,
Vedut’ignuda la Materia prima(26).
Vorresti saperne più di me, che ho studiato gli attributi di
Dio, e fatto per quasi un anno il flebotomo317 nel borgo di
Sant’Avendrace?
– Tu ragioni troppo bene; ecco perché temo che tu voglia
ingannarci.
– In coscienza mia, sentite! Io m’impegno di cambiare la faccia della terra, solo che voi altri mi liberiate da Vincenzo Sulis.
Era Marco Antonio che dimandava la testa di Cicerone.
– Che timore o riguardo per un uomo di bassa ventura come
noi. Fosse un nobile, passi! Coraggio, corpo del diavolo! Una ferita apre la via a un popolo, a tutta l’umanità. Che state a pensare
di più?
– Adagio! E se ci chiappano318?
– Di chi temete? Se il colpo riesce saremo noi i padroni.
– E il re?...
– E dodici319! Dove è il re, quando tutti saremo re?
– Ma come è possibile?... Già, il mio palazzo sarà la grotta
della vipera320! – disse Lepido alzando le risa fuor di maniera.
– Asini che siete! Io ho studiato legge, e conosco i diritti dell’uomo. Se siamo tutti eguali, ciascuno di noi è re o non lo è nessuno! Siete buoni a rispondermi?
(26) Cesare Caporali, Rime piacevoli, Firenze 1870, tomo II, pag. 177 –
Il pedanteXX.
317
Chi compiva salassi.
Popolare per acchiappano, sorprendono.
319 Esclamazione che vale ancora devo ripeterlo?
320 La Grotta della vipera, nel viale sant’Avendrace, è un monumento funebre di
età romana dedicato da Cassio Filippo alla moglie Attilia Pomptilla e racchiude
iscrizioni poetiche in greco e in latino.
318
XX Cesare Caporali (1531-1601), poeta umbro, membro dell’Accademia degl’Insensati di Perugia, autore, fra l’altro, della silloge poetica citata da Baccaredda, Le
piacevoli rime di Cesare Caporali perugino, Milano, Tini, 1585.
52
ANTONIO BACCAREDDA
Ottavio e Lepido a queste ultime parole, che li321 avea fatti
persuasi, si fecero rossi in viso, e si guardarono l’un l’altro con aria
molto degnevole322 e maestosa. Difatti per vedere il colore della
porpora essi non avevano che a sbirciare dentro la mezzetta323.
– Sta bene tutto questo – disse qualche momento dopo uno
dei due presunti re, affettando324 per modestia un poco di scetticismo – ma come si può arrivare...
– Il ma qui non c’entra niente affatto – interruppe il caporale – Volere è potere. Volendo si può esser papa, imperatore, re,
tutto quello che potete immaginare. Volendo, potete andare in
galera a dispetto del fisco325. Desiderate che ve lo provi326?
– Avanti avanti!
– Chi era Sisto V327, il papa Sisto? Un porcaro. Se avesse voluto, sarebbe rimasto porcaro per omnia secula seculorum328. Io non
vo’ esser papa perché un papa senza trono come il nostro Pio
VII329, non è che un prete... E poi, e poi, un uomo che vuol essere infallibile e che pretende di rappresentare Dio fa sempre una
gran cattiva figura per me(27). Ma quello che saprò diventar io...
(27) Questo lo credo anch’io; dacchéXXI l’infallibilità si attaglia all’uomo,
(sia esso papa o trippaiuolo) come l’amore a Satana, l’innocenza a Giuda,
ed il pudore ad una bardassa. Anatema o non anatema io sono del pensare di Montesquieu, il quale disse: “Trois choses incroyables parmi les cho321
As gli.
Con degnazione.
323 Caraffa usata principalmente per il vino.
324 Mostrando, simulando.
325 Volendo, potete andare in galera anche contro il parere dell’autorità giudiziaria.
326 provi per trovi come richiesto dall’errata corrige.
327 Sisto V (1520-1590) al secolo Felice Peretti, figlio di agricoltori, venne eletto
Papa nel 1585, manifestando non comuni capacità di governo degli affari pontifici.
328 Per sempre, nei secoli dei secoli.
329 Gregorio Luigi Barnaba Chiaramonti (1742-1823), papa Pio VII dal 1800,
legò il proprio pontificato alla figura di Napoleone: ne celebrò l’incoronazione a
imperatore nel 1804, lo scomunicò dopo l’annessione dei territori della Santa
Sede all’Impero francese, venendo ricambiato con l’incarcerazione a Fointainebleau fino al 1814, anno della caduta di Napoleone.
322
XXI
As daché.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
53
Basta, non voglio dirvi tutto in una volta. Pure voi altri di questo
giorno ve ne avete a risovvenire330 con gioia; perché, se quest’oggi avete avuto fede in me, e domani, dove succedessi a Vincenzo
Sulis, domani mi ricorderei di voi. Quello che vorrete essere, sarete; così questo boccale potesse ora convertirsi in uno ziro331 pieno
di vino!
– Dunque vi ricorderete davvero di noi? Ebbene allora il vino
per quest’oggi lo pagherò io – gridò Lepido tutto gongolante.
– Ed io pagherò il resto – soggiunse Ottavio.
E frattanto una libazione332 incalzava l’altra; e l’aria di mistero a mano a mano cedeva il terreno al fare aperto ed espansivo;
già ai discorsi gravi e di alta politica succedevano i parlari scurrili
e strampalati, sì che il triumvirato sentendosi finalmente molto
male in gambe poté a fatica avviarsi al teatro delle sue imprese
gigantesche e mondiali solo verso le dieci di notte. Al tocco lo
stesso triumvirato faceva il suo ingresso solenne nelle Stelladas.
Costì Marc’Antonio, male orientandosi, si credette in una delle
piazze di Cagliari; onde esclamò con bacchico entusiasmo333:
– Qui, proprio qui, nel bel mezzo di questa superba piazza,
voglio che mi si rizzi un giorno l’arco trionfale. Non sarò un Dio,
ma nemmeno un uomo; e perciò mi vedrete sospeso fra il cielo e
la terra, come un eroe, un semidio.
Un’ora dopo, le deserte e buje vie di Cagliari, al separarsi dei
ses incroyables; le pur mécanisme des bêtes, l’obéissance passive, et l’infallibilité du pape”XXII. Nota dell’AutoreXXIII.
330
Ricordare.
Orcio.
332 Arcaismo per libagione, bevuta.
333 Entusiasmo sfrenato perché guidato dall’abuso di alcolici. L’aggettivo deriva da
Bacco, dio del vino e del piacere.
331
XXII
Tre cose sono incredibili fra le incredibili: il semplice comportamento degli
animali, l’obbedienza passiva e l’infallibilità del papa.
XXIII In quest’unico caso, la nota, anziché essere indicata con un numero, è preceduta da un asterisco e conclusa con l’indicazione Nota dell’autore.
54
ANTONIO BACCAREDDA
nostri triumviri, echeggiavano stranamente334 delle rauche loro
voci, al canto di
Pepa s’est coiada
Cund’unu stampaxinu335.
334
stranamente per straccamente come richiesto dall’errata corrige.
“Peppa s’è kkoiada / Kun d’unu stampazinu; / – Ti stampu sa jarrara / Ki no mmi
ddonas binu”; “Beppa s’è maritata con uno di Stampace; ti buco la botte se non
mi dai vino” (R. GARZIA, Mutettus cagliaritani, Bologna, Stabilimenti Poligrafici
Riuniti, 1917, n. 27, p. 93).
335
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
55
V.
Il turpe messaggio del generale francese, comandante la Cittadella di Torino, aveva profondamente indignato l’animo del
buon patriota, il quale, anziché contentarsi al rifiuto da lui dato,
deliberò di partecipare336 agli stamenti la strana proposta; e già si
accingeva a farlo, quando gli stamenti istessi gli fecero aperta la
risoluzione presa di porgere al re ed alla sua famiglia l’invito
solenne di recarsi nell’isola di Sardegna, l’unico lembo di terra che
potesse offrir loro securo asilo e difesa337.
Gli confidarono altresì, che sebbene consenzienti la Reale
Udienza ed il Consiglio di Stato338, essi nulla non avrebbero fatto
senza la sua piena e spontanea adesione, sicuri che la Corte non
avrebbe tenuto l’invito, dove il Sulis non se ne fosse mostrato
contento; che anzi affidavano a lui, perché accomodasse in prevenzione339 l’animo dei sardi a bene accogliere il loro sovrano,
essendo fra essi corsa voce, che la venuta di Carlo Emanuele IV
sarebbe stata loro nefasta; né in gran parte cotesta diceria meritava tal nome(28).
E così fu fatto, e a tale intendimento340, tre membri degli sta(28) Manno, op. cit., p. 443XXIV.
336
Rendere noto, annunciare.
I Francesi avevano infatti occupato il Piemonte, minacciando pesantemente
l’incolumità dei Savoia.
338 La Reale Udienza aveva dapprima funzione meramente consultiva, quindi l’autorità di intervenire su tutti i poteri dello Stato: oltre ad essere tribunale di massima istanza, poteva assumere le più alte funzioni politiche, amministrative e militari, giungendo persino a sostituire il Viceré in caso di sua assenza. Era suddivisa
in tre articolazioni: una civile, una criminale e una terza, detta anche Consiglio di
Stato, aveva il compito di controllare e guidare l’azione del Viceré e quello di Tribunale di massimo appello sulle sentenze della stessa Reale Udienza superiori alle
mille lire.
339 Locuzione avverbiale che vale preventivamente, anticipatamente.
340 A tal fine.
337
XXIV “Si conferirono le consulte col Consiglio di Stato e colla Reale Udienza. Si
conferì ancora col tribuno Sulis: giacché erasi detto che la Corte, consapevole del
poter suo, non avrebbe volentieri acconsentito a trasferirsi nell’isola, se non con la
sua adesione” (G. MANNO, op. cit., p. 443).
56
ANTONIO BACCAREDDA
menti partirono da Cagliari deputati a formulare all’esule monarca, allora in Firenze, l’ospitale offerta(29).
Alla vista della sventura del loro re, i sardi aveano già posto in
obblio le offese patenti e diuturne341 ad essi fatte a nome di quel
re medesimo, in premio del valor militare e del senno civile da essi
spiegato342 a difesa e amore343 della sua corona. Ma fu loro fatta
almeno giustizia dappoi? No! Solo doveano aspettarsela tutta,
come l’ebbero, dall’era344 di grazia delle riabilitazioni, delle emancipazioni, della giustizia, dell’eguaglianza, della moralità, di tutto
ciò insomma che della terra ne fa un paradiso. Ma non vale qui
l’ironia. L’uomo forse, oh Dio! Non ha potuto quanto l’avversità
della fortuna, la quale senza pensiero e senza onore, poteva essa
sola durar feroce coi suoi acuti flagelli contro quella povera provincia italiana. Non mancò di fatti in ogni tempo alla Sardegna il
compianto dei buoni, dacché non valeva farle rimprovero delle
sue calamità, che d’altronde si era impotenti a mitigare o rimuovere. Di questa carità di patria345 abbiano mercede coloro che la
usarono così santa e propizia a prò di quella tapina346 patria dello
infortunio. Le mormorazioni di quel volgo, che si vanta di esser
nato in più civili contrade, come se fossero sue le glorie archiviate347, non procedono da viltà d’animo, ma sono la boria348 ridicola di chi si assicura monocolo il regno dei ciechi(30). Però
(29) Martini, op. cit., p. 26XXV.
(30) Non mi sdegna che con buffe leggerezze descrivano le impressioni
dei loro viaggi in Sardegna i moderni DulcamaraXXVI, mi sdegna solo che
341
Indubbie e continue.
Manifestato dichiaratamente.
343 amore per onore come richiesto dall’errata corrige.
344 As êra.
345 L’espressione latina caritas patriae vale amore verso la patria.
346 Infelice.
347 Vittorie conquistate.
348 As borea.
342
XXV “Re Carlo Emanuele IV gliela conferì [la croce mauriziana ad Efisio Luigi Pintor] il 3 marzo [1799]. Ad un tempo la ebbe anche il cavaliere Nicolò Guiso; ed
il marchese Cugia di Sant’Orsola fu creato gentiluomo di camera del re. Questi
tre individui, in nome degli stamenti, si erano recati in Firenze a supplicarlo che
venisse nell’isola” (P. MARTINI, Storia di Sardegna dal 1799 al 1816, Cagliari,
Timon, 1852, n. 2, p. 26).
XXVI Il dottor Dulcamara, medico ambulante, è fra i personaggi de L’elisir d’amo-
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
57
quando cesserà cotesta ignobile gara, che unisce le provincie nei
giorni di funerale, e le divide nei giorni di banchetto? Io non lo
so; certo è che a senno mio il campanile di Pisa, pendendo a rovina, par che dica agli altri campanili d’Italia: fratelli, gli è tempo di
far giudizio!
Alla prim’alba del 3 marzo 1799, sette navi mercantili coi
paviglioni349 issati a festa, mossero da Cagliari ad incontrare
Carlo Emanuele IV. Allo svolto del golfo presso il capo di Sant’Elia350 il re colla reale sua famiglia, lasciato il legno351 che l’avea da
Livorno condotto fino a quei paraggi, passò sul bordo di una di
quelle navi, e festeggiato dalle salve d’artiglieria352, dal suono
delle campane e dalle acclamazioni di un popolo furente di gioia
entrò in Cagliari, dopo di aver peraltro solennemente protestato
contro questa povera isola la pietra abbiala scagliata una donna, della
quale una coorte di farabutti ha voluto fare la Beeker-StoweXXVII d’Italia.
Cotesta donna per fare onore all’antonomasia dei suoi adulatori, poiché la
donna è l’unica menda pensata dal Cielo a ristoro delle umane avversità,
avrebbe ben potuto seguire le orme di Beeker-Stowe o della SandXXVIII,
scrivendo per alleviare, non per avvelenare l’esistenza di chi è già troppo
afflitto senza le contumelie dei malevoli. Ma per essere generosa ed
umana non occorreva già a cotesta donna d’imitare quelle inimitabili e
chiare scrittrici; le sarebbe bastato d’inspirarsi nelle creazioni del sesso
meno gentile, imparando per esempio la carità da chi seppe ideare quel
divino tipo d’EloaXXIX, da chi dettava il sublime carme Dio e la bajade349
Bandiere.
Istmo che divide in due il golfo di Cagliari e che prende il nome da una Chiesa che lo Spano vuole edificata dai frati del Carmine (cfr. G. SPANO, Guida della
città di Cagliari, cit., p. 381).
351 L’imbarcazione.
352 Spari contemporanei di molti pezzi d’artiglieria, in segno di onore, gioia o
festa.
350
re, melodramma giocoso in due atti di Gaetano Donizetti. Il titolo si riferisce al
prezioso e miracoloso rimedio per tutti i mali smerciato proprio da Dulcamara.
XXVII Harriet Beecher Stowe (1811-1896), scrittrice statunitense, è autrice de La
capanna dello zio Tom (1852) contro la schiavitù in America.
XXVIII George Sand, pseudonimo di Amandine Lucie Aurore Dupin (1804-1876),
scrittrice francese del movimento romantico, promosse i diritti di uguaglianza del
mondo femminile.
XXIX Alfred de Vigny (1797-1863), aristocratico francese, scrisse Eloa o la sorella
58
ANTONIO BACCAREDDA
contro le violenze usategli dagli agenti del governo francese in Torino(31).
Quaranta pescatori si accinsero a trascinare, a luogo dei cavalli, il cocchio che dovea condurre alla reggia gli augusti coniugi;
raXXX, o da colui che evocava dalla sua immaginazione la culta e gentile
Partenia per inviarla a porgere la sua mano civilizzatrice al barbaro Ingomaro, al figlio delle selveXXXI; quella Partenia che benefica, perché intelligente, corresse le ire brutali di quel selvaggio, che moderò la gagliardia
delle sue feroci passioni, che il vaso della bevanda seppe abbellargli di
fiori, e che lo addusse finalmente nella felice sua patria, ivi offrendogli
tetto ed amore, doni questi che il selvaggio a sua volta ricambiava, dando
alla civile Grecia di un tempo lezioni di vivere onesto e leale. A coloro
che addossano ai sardi la cagione dei loro mali presenti, senza darsi cura
di mitigarli, rammenteremo qui la classica favola di LocmanXXXII. «Un
fanciullo si lanciò un giorno in un fiume senza saper nuotare. E fu ad un
pelo d’annegarsi. Alle sue grida accorso un uomo cominciò a fargli rimproveri. Ma il fanciullo rispose: “Prima salvatemi, poi mi rimproverate”».
(31) Martini, op. cit., pag. 37XXXIII. V. anche Botta, op. cit., lib. XV, pag.
300XXXIV.
degli angeli (1824), romantica riflessione sul male come sfortuna e non come
colpa.
XXX La ballata Dio e la baiadera. Leggenda indiana (1815) è opera di Johann Wolfgang Goethe.
XXXI Il figlio delle selve (1753) è una favola pastorale in tre atti opera del compositore tedesco Ignaz Holzbauer (1710-1783) con libretto dell’italiano Carlo Sigismondo Capece. Il personaggio del barbaro Ingomaro venne interpretato dall’attore Tommaso Salvini. Partenia è soprannome di Athena, dea greca della Sapienza, e deriva dalla scelta di consacrarsi alla verginità (dal greco, parthenos, vergine).
XXXII Lockman o Luqman è un personaggio leggendario del paganesimo arabo,
fabulista, soprannominato Hakim, il Saggio. La favola cui Baccaredda si riferisce
è contenuta in M. de Bellegarde (a cura di), Les Cinq fabulistes ou les trois cents
fables d’Esope, de Lockman, de Philelphe, de Gabrias et d’Avienus, Paris, 1802.
XXXIII “È vero che prima di scendere in terra, il re stesso protestò contro alle violenze usategli dagli agenti del governo francese in Torino” (P. MARTINI, op. cit., p.
37).
XXXIV “Essendo stato il re oppresso da un assalto improvviso, assalto che non
avrebbe mai dovuto aspettarsi da parte di una potenza sua alleata, e nel momento stesso in cui, per richiesta di lei, aveva posto le proprie forze nel grado della più
profonda pace” (C. BOTTA, Storia d’Italia dal 1789 al 1814, Capolago, Tipografia Elvetica, 1838, tomo IV, libro XV, pp. 145-146).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
59
ma il re nol consentiva, sdegnoso che un tributo di devozione e
di amore, tornasse a disdoro353 dell’umana dignità; e le persone
che vestivano i ricchi panni od il cojetto354 capirono ad un tratto
che un uomo vale un altro. Quest’atto accrebbe l’esaltamento355
del popolo.
Frattanto il reale corteggio356, accompagnato dalle truppe
regie e dalle milizie nazionali, traeva alla porta del Castello in
mezzo alle corporazioni delle arti, che gli facevano ala lunghesso357 la via. Già sulla gradinata della porta maggiore dell’antica e
magnifica cattedrale le primarie dignità ecclesiastiche, militari e
civili del paese sostenevano spiegato il baldacchino a onore del re;
ma quivi pure egli ricusava tanta onoranza, (dicevole358 più che a
re) inconscio tuttavia, come cattolicissimo, di biasimare questo
rito pagano a coloro, che pur pagani erano nella lingua delle loro
preghiere, come poco stante lo furono anche nell’intenzione cantando il Te deum359 a lode dell’uomo.
Arrivato in corte e ricevute le più cospicue persone del paese,
primo suo atto fu di conferire le insegne di cavaliere a d. Efisio
Pintor. A tutti fu cortese di un benevolo sorriso e di affabili parole; ma quando udì il nome di Vincenzo Sulis, ricomponendosi in
gravità360:
– Avvicinatevi a me – gli disse, posandogli lievemente la
destra sopra una spalla – So quanto vi devo apprezzare amico mio!
Di voi serberò cara la memoria finché avrò vita.
Profferite appena queste parole, e voltosi al duca d’Aosta361
che gli era allato, gli accennò il benamato tribuno e il valoroso
campione delle sarde milizie.
353
A disonore.
Corpetto di cuoio tipico dell’abbigliamento popolare maschile.
355 L’esaltazione.
356 Corteo.
357 Lungo.
358 dicevole per dicevale come richiesto dall’errata corrige. Conveniente, che si addice.
359 Preghiera della liturgia cattolica di ringraziamento e di lode cantata o recitata
in particolari solennità.
360 In solennità.
361 Vittorio Emanuele di Savoia, duca d’Aosta, poi re con il nome di Vittorio
Emanuele I (1802-1821).
354
60
ANTONIO BACCAREDDA
– Altezza – mormorò con dolce maniera – non è unico, ma è
raro abbastanza un uomo come questo; e poiché lo sperimentammo vero amico, serbiamocelo sempre tale.
– Sì, maestà! – esclamò a mezza voce il duca, stringendo nel
medesimo tempo la mano al Sulis.
In quel punto fra le persone del seguito del re fu inteso un leggiero bisbiglio; e fu in quel momento medesimo un guardar
fiso362, e poi un accennarsi l’un l’altro il modesto amico di sì
augusti personaggi. Chi sa quali arditi pensieri si saranno in quell’attimo affacciati alla mente di quei cortigiani! Certamente i più
deboli avranno detto nel loro intimo – lo utilizzeremo; i più
potenti – lo annichiliremo363!
A tanta degnazione del principe ei se ne stavano tutti invidamente ustolando364 un solo di tanti atti, di tante parole prodigalizzate365 ad un uomo del popolo, che mai non avrebbe dovuto
oltrepassare le soglie della reggia; e ciascuno nell’animo suo scandagliava i propri meriti per indi metterli in equazione con quelli
del neo-favorito. Se ebbero a star lieti di questo esame di coscienza non è a dirsi; si dirà solo che meglio che ingraziarsi l’animo del
principe tornava loro366 abbatterne l’idolo; e non furono certo
lenti a iniziar l’opera conducente allo scopo.
Frattanto il buon re, abbandonavasi come era sua natura alla
schietta espressione dei propri sentimenti, e s’interteneva367 col
Sulis favellando di mille cose svariate, lodandolo delle sue imprese come uomo d’armi, come cittadino egregio; toccò infine della
sua famiglia, e gli dimandò se avesse dei figliuoli.
– No, maestà, figli non ho, né desidero.
– Né anch’io – soggiunse il re – ma mi consolo per la virtuosa
donna, come già dissi in Torino al signor Ginguené, ambasciatore della repubblica francese(32).
(32) Botta, op. cit., lib. XV, pag. 281XXXV.
362
Fisso, attento.
Lo annienteremo, gli faremo perdere ogni autorità.
364 Desiderando ardentemente.
365 Rivolte in modo eccessivo e sconsiderato.
366 Avevano un tornaconto, quindi conveniva.
367 Si intratteneva.
363
XXXV
“Fu Ginguené uomo, non solo di probità apparente, la quale non è altro che
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
61
Alludeva il re alla regina Maria Adelaide Clotilde sua consorte e sorella allo sventurato Luigi XVI; e poco stante le sue parole
divennero via via più rade, improntandosi di malinconia.
Ricorreva allora alla mente di Carlo Emanuele tutto che avea
sofferto; e allora più che mai sentiva quale per lui fosse intollerabile peso il diadema, che qualche anno appresso cedea al suo fratello Vittorio Emanuele.
Da parte la sua mite natura, schiva dal fasto e da ogni mondana e ambiziosa tendenza, egli ebbe a traversare una delle epoche più tempestose e straordinarie che ricordi la storia. Prima gli
orrori della Convenzione368, che si fecero sentire fin nella sua
famiglia; poi le giunterie di quel soppiattone del Direttorio369,
che rappresentava con Carlo Emanuele la parte del lupo come
nella nota favola, cavillando sempre ragioni e pretesti per realizzare apertamente, quanto in celato tramava coi repubblicani di
Piemonte. Il Direttorio che venne meno ai trattati di alleanza stipulati col re, audacemente lo accusava di slealtà; esso che s’impadronì colle sue armi delle principali città degli Stati sardi, che ne
strinse d’assedio la capitale, che ne volle in suo potere la cittadella, e poi che gl’intimò la guerra(33). Nell’atto di abdicazione firmato a Torino si concedeva al re ed alla sua famiglia come unico
asilo l’isola di Sardegna, nel mentre che i repubblicani di Francia
proponevano a Vincenzo Sulis di tradire la Sardegna alla Francia.
Nemmeno spogliato dei suoi Stati, nemmeno avviandosi al suo
esilio fu rispettato il dolore del diseredato, poiché sì a lui che alle
persone del suo seguito, mute e tetre come il destino del loro
(33) Botta, op. cit., lib. XV, pag. 300XXXVI.
368
L’Assemblea legislativa, che governò la Francia fra il 1792 e il 1795, elaborò la
costituzione della prima Repubblica.
369 Gli inganni dell’infido Direttorio.
ipocrisia, ma di probità vera, austera e reale: aveva l’animo benevolo e volto alla
vera filosofia, amatrice degli uomini” (C. BOTTA, op. cit., tomo IV, libro XV, p.
126).
XXXVI “Così ruinò la casa reale di Savoia. Non so ora se mi debba raccontare l’intimidazione di guerra fatta il dì 12 decembre dal Direttorio, quando già la guerra
non solo era stata fatta, ma anche terminata con la distruzione dell’autorità regia
in Piemonte” (C. BOTTA, op. cit., tomo IV, libro XV, p. 143).
62
ANTONIO BACCAREDDA
signore, fu imposto dai soldati repubblicani di porsi sul cappello
la nappa a tre colori(34). Questa era la libertà, questi i tanto vantati diritti dell’uomo che si proponevano di diffondere gli apostoli di Tommaso Payne370?
(34) Botta, op. cit., lib. XV, pag. 300XXXVII.
370 Thomas Paine (1737-1809), politico e filosofo inglese, lega il proprio nome
alla rivoluzione americana da lui promossa nel 1776; fu fra gli estensori della
Carta dei diritti dell’uomo.
XXXVII
“Abbandonava il re, abbandonavano i reali di Piemonte la gloriosa sede
degli antenati loro. [...] Scortavangli ottanta soldati a cavallo francesi, altretanti
piemontesi: gli accompagnarono insino a Livorno di Piemonte. Corse fama, e fu
anche affermato, che o per timore volontariamente, o perché fossero dai cieli serbati a tanta indegnità, a ciò costretti dai soldati repubblicani, acconciassero ai cappelli loro le nappe di tre colori” (C. BOTTA, op. cit., tomo IV, libro XV, pp. 142143).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
63
VI.
In preda alla propria passione la consorte di Sulis non credeva già d’aver accolto in cuore maggiori o più fondati elementi di
geloso sospetto contro di lui, ma di possedere ormai la profonda
convinzione, la lampante certezza che egli la posponesse a un’altra donna. Due argomenti formidabili ella contrapponeva sempre
a quell’avanzo di fiducia che pur sentiva per il suo consorte: un
antico amore nudrito371 per una di lui cugina, molto avvenente e
ancor giovine; l’assoluta riservatezza che egli serbava mai sempre
con lei, anche nelle cose più semplici ed innocenti, per cui in
assenza di prove palesi e secure, la sua fantasia correva le poste, e
il suo spirito quindi viveva del continuo martoriato da inquietudini penosissime.
Perdoniamole perché era donna, e perché soprattutto la fatalità si compiaceva di vestire a quando a quando372 ai suoi occhi
apparenze verisimili per rinfocolarle373 in cuore quella indomabile gelosia, che le facea vedere un poco le cose a bioscio374 sul
conto del marito.
D’altra parte la sorte non le avea posto a fianco un’amorevole
e savia amica per consigliarla nei suoi dubbi, per consolarla nei
suoi spasimi; né un essere qualunque che per lei prendesse uno
schietto e vivo interesse. Fatalmente la sola persona che l’avvicinasse, ben lungi d’influire con miti propositi sull’animo di lei,
avea anzi tutto l’interesse di usufruire dei suoi mal frenati dispetti. Era questi lo stesso cognato di Sulis, quel Giambattista Rossi,
che erasi messo alla testa dei cacciatori miliziani per chiedere
scompigliatamente375 la paga.
Al suo carattere torbido e venale si univa un senso profondo
d’invidia per la rinomanza che godeva in Cagliari il suo cognato;
e come se ciò ancora non bastasse, avea ricevuto in cuore e coltivatolo con protervo376 disegno il germe di un turpe amore per la
cognata istessa.
371
Variante letteraria che vale nutrito.
Di quando in quando, talvolta.
373 Riaccenderle.
374 In maniera distorta.
375 Disordinatamente, in modo confuso.
376 Sfacciato.
372
64
ANTONIO BACCAREDDA
A fine di rendere più risentite le tinte di questo quadro,
aggiungerò che il Rossi era corso.
Or ciascuno può pensare da sé che costui, avvicinandosi alla
consorte del proprio cognato, non si assottigliasse troppo il cervello377 per pacificarne l’animo, egli che sempre avea giudicato
severamente il Sulis e più di una volta con tinte di colore oscuro.
Una donna che avesse ricevuto un’educazione appena appena
accurata, avrebbe riconosciuto a tutta prima e il carattere del
Rossi e le poco oneste sue intenzioni; e conoscendole si sarebbe
presa ben guardia378 di alimentarle con una tal quale tolleranza, e
dicasi pure confidenza, quale appunto la cognata avea mai sempre usata con esso lui.
Ciò contribuì certamente a rendere perseverante il tristo
uomo nei pravi379 suoi intendimenti, e ad animarlo a dichiararsi
qualche volta all’aperta con essa, senza farsi riguardo o darsi soggezione di nulla. Ma che aspettarsi dalla figlia di un pescatore il
quale credea di aver fatto più del dover suo dandola in isposa ad
un causidico, ed assegnandole per di più una dote cospicua?
Quel suo parlar sempre del marito con geloso risentimento
rivelava queste due cose alla mente del malevolo cognato: che
marito e moglie non fossero troppo in detta380 fra loro; e che quest’ultima, più che l’idea, coltivasse il senso dell’amore. Vi era dunque più di quel che non si richiedesse da lui per mettersi a impresa con certezza di riescita.
Qualche giorno dopo dei casi narrati, non potendosi ella sottrarre alle insistenti interrogazioni del Rossi, che più dell’usato381
le si mostrava premuroso, gli rivolse asciuttamente queste parole:
– Io sono tranquilla, io sono contenta, io sono felice, solo che
tu non mi costringa a parlare. Mi hai capito? Io non ho voglia di
rispondere a tante tue domande.
– Avresti una gran voglia di parlare, come l’hai di piangere, se
tu avessi più confidenza in me. Con gli occhi così sbattuti e il
volto coperto di tanto pallore, non hanno alcun valore coteste tue
377
Non si impegnava particolarmente in quella direzione, spremendosi le menin-
gi.
378
Sarebbe stata ben attenta.
Malvagi.
380 Non fossero troppo in armonia.
381 Più spesso del solito.
379
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
65
parole di riserbo382. Te lo dirò io invece ciò che hai... Tu soffri in
silenzio il suo abbandono; l’ambizione nel suo cuore ha preso il
posto dell’amore; il patriota liberale e generoso in piazza non è in
casa che un essere indifferente, o peggio, un tiranno!
– Tu esageri ogni cosa. Via, non ti voglio sentire con questi
discorsi!
– Vedi, Vincenza, il cuore mi dice che tu avrai a pentirti di
questo contegno così riservato. Ma se lo dice ognuno che tu non
puoi essere felice con un uomo come lui. Cotesti pazzi, che si
dicono grandi uomini, non dovrebbero aver famiglia, o averla
almeno come l’hanno certi uni, nella quale so io che vi è di
nuovo.
– Io non mi dolsi mai di lui quando si sagrificava per il bene
dei suoi concittadini; anzi io mi gloriava383 di essere sposa al
difensore di Cagliari, al buon patriota, anche quando profondeva
tutto il suo, come fa tuttora, per provvedere alle necessità della
patria. Sì, me ne gloriava, lo dico ad alta voce perché voglio che
si sappia da tutti che io era in gran parte degna di lui. Io non mi
sono mai posta a traverso della sua via. E come lo avrei potuto, se
il vidi sempre generoso, fino coi suoi più crudeli nemici, e disinteressato, e coraggioso, e così poco curante della fortuna, che di
lui ne avrebbe fatto forse un re? Che è, non ha da insuperbire una
buona moglie di tutto questo?
– Per chi ama vivere in piazza, ne convengo.
– Oimè! – esclamò Vincenza dolorosamente e quasi senza
accorgersene – Oimè! È appunto in casa che vorrei vivere, anche
consorte al più oscuro cittadino.
– Non è vero?
– Lasciami stare, non dirmi altro, te ne prego!
Vincenza non sapendo più tenere a segno384 le lagrime, per lo
sforzo lungamente durato nel nascondere al cognato il suo animo,
proruppe in lagrime, che in un subito le inondarono il bel viso,
alterato dal più intenso dolore.
L’altro le prese allora la mano, e facendo sembianza385 di essere fortemente commosso:
382
Ritegno.
Compiacevo.
384 Trattenere.
385 Fingendo.
383
66
ANTONIO BACCAREDDA
– Altro che felice e tranquilla! – esclamò egli – Queste lagrime tradiscono un cuore profondamente ulcerato386. Su, via, che
hai? Confidati una volta al tuo cognato!
– Oh sì, io sono una pazza a farti mistero di tal cosa che è
ormai a tutti palese. Ebbene, sappilo; io ho una rivale fortunata,
trionfante, audacissima nella cugina istessa di Vincenzo.
– Una reminiscenza di giovinezza e null’altro – soggiunse
Giambattista, facendo il difficile per costringer l’altra a parlare.
– Così credetti anch’io, dacché ad una donna non è lecito
quasi mai investigare la condotta passata di chi si tolse a consorte387. Ma da qualche tempo a questa parte in me rinacque, e non
a caso, il sospetto che quest’amore, che ei volle dipingermi puro
e santo un tempo, ed ora dimenticato, siasi convertito in una tresca388. Sì sì, lo è! Sono mille gli indizi che ne ebbi, e mille le parole che udirono queste mie orecchie. Né basta; pochi giorni or
sono, un uomo misterioso uscì di notte tempo dalla sua stanza
con ogni maggior precauzione. Volli sincerarmi della cosa, e corsi
subito da Vincenzo, che sorpresi leggendo con gran passione una
lettera. Oh come mi batteva forte il cuore in quel momento!
Sapeva di far male, lo confesso, e di farlo a me stessa; ma tant’è,
io non seppi contentarmi ed entrai difilata389 da lui.
– Era una lettera di sua cugina?
– Certo che lo era, lo giurerei! Ma non fui in tempo a riconoscerne i caratteri; egli nascose subito il foglio; ma il turbamento suo mi dié a conoscere ogni cosa. Quel forestiero era un torcimanno390.
– E tu non chiedesti nessuna spiegazione a Vincenzo?
– Piansi, pregai, gli dissi quanto può dire una moglie, un’amante. Tutto riescì inutile. È un segreto di Stato, egli diceva, né
altro volle dirmi di più.
– E gli credesti?
– Ebbene, poteva esserlo e grave e delicato; onde io m’acquetai, perché quando si teme troppo, il cuor nostro accoglie così
386
Esacerbato, straziato.
Togliere a consorte, forma obsoleta per sposarsi.
388 Intrigo, imbroglio.
389 Diritta, senza fermarmi o distrarmi.
390 torcimanno per torcimano come richiesto dall’errata corrige. Arcaismo per turcimanno, portavoce, rappresentante.
387
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
67
facilmente le scuse come le ragioni, solo che giovino a serenare391
il nostro spirito travagliato dal dubbio... Ma negli scorsi giorni la
imprudente mi chiarì da sé il brutto amorazzo, aggirandosi all’impazzata in mezzo alla folla dei cacciatori miliziani, la mattina che
tu li conducesti fino alla porta della nostra casa.
– È vero, la vidi.
– Ad ora così disadatta, negletta negli abiti392, turbata in viso,
avrai pure udito che a tutti chiedeva se a Vincenzo sovrastava
qualche pericolo393. La cieca passione che la possedeva non le fece
pensare allo scandalo cui diede luogo col suo ridicolo contegno.
A questo racconto la fisonomia dell’altro si animava come
irradiata dall’intima speranza di poter cogliere fra breve il frutto
delle sue arti subdole e perverse; e prendendo con viva e straordinaria dolcezza la mano della cognata così prese a dire:
– Vincenza mia, tu hai deposto le tue lagrime nel cuore di un
amoroso parente, di che non avrai a pentirti giammai! Io, se me
lo permetti, scoprirò questa tresca e la sventerò, sta sicura; poiché
mi sta troppo a cuore la tua pace.
– Per l’amor di Dio, tu vuoi perdermi!
– Non temere di nulla – soggiunse il Rossi con somma pacatezza – La prudenza si raccomanda ai fanciulli, ed io sono un
uomo. Quel giorno in cui vedrò sereno il tuo volto, e potrò dire
che questa fu opera mia, persuaditi che quello sarà il più bel giorno della mia vita!
Uno sguardo pieno di tenerezza, e in uno di cupido desìo394,
accompagnò queste ultime parole, che fecero rabbrividire la inesperta donna, sebbene fosse lontana dal sospetto che l’altro potesse muovere insidia alla sua virtù, e che ella gliene agevolasse la via
colle sue imprudenze; pure sembrandole molto strano il contegno
del cognato, fece capire che ella desiderava di rimaner sola.
391
Rasserenare.
Ad ora così inadeguata, trasandata, sciatta, negli abiti.
393 Se su Vincenzo incombesse qualche pericolo.
394 Desiderio, bramosia.
392
68
ANTONIO BACCAREDDA
VII.
Per ricostituire in Sardegna sovra solide basi lo sgominato
potere governativo, atto di somma convenienza fu stimato il concedere intiera amnistia ai compromessi per delitti politici. Contemporanea fu la nomina dell’egregio conte di Chialamberto395 a
ministro del re, e del duca d’Aosta a governatore della città di
Cagliari ed a generale delle armi del regno. Per altro l’ascendente
che sull’animo di quest’ultimo godeva il marchese di Villamarina396, comandante palese della piazza di Cagliari e capo occulto
della reazione, non solo neutralizzò i buoni intendimenti del re e
dell’ottimo suo ministro, ma in breve pervertì397 ogni bene iniziato ordinamento di cose, istituendo quel malaugurato potere
economico, che da quell’epoca travagliò ed imbarbarì la Sardegna
fino al 1848(35).
Cominciarono da quel momento i soprusi militari e del partito trionfante, il quale sotto colore di perseguitare i giacobini,
infirmava gli effetti della grazia sovrana verso gli angioini; e
togliendo a pretesto l’ordinamento delle milizie urbane spogliava
d’ogni prestigio gli uomini più influenti del popolo, primo fra i
quali Vincenzo Sulis. Quando questi accorgimenti machiavellici398 non approdavano al tutto, allora si ricorreva alle armi ancor
più ignobili del discredito, non pretermettendo399 nemmeno
quelle della calunnia.
Sogliono le repubbliche – dice Carlo Botta(36) – o adulare o
(35) Martini, op. cit., pag. 51XXXVIII.
(36) Botta, op. cit., lib. XV, pag. 300.
395
Domenico Simeone Ambrosio, conte di Chialamberto, segretario di Stato, di
Guerra e di Gabinetto.
396 Giacomo Pes Villamarina, capitano della guardia.
397 Cambiò in peggio.
398 As macchiavellici. Dal nome di Niccolò Machiavelli: accorgimenti astuti propri di un uomo spregiudicato.
399 Non comune, per omettendo, tralasciando.
XXXVIII “Cadeva in tale guisa nelle parti più sostanziali il diploma del 1796. Ma se
ne parlo con parole risentite, non è già per lamentare un danno, ma per biasimare gli stamenti, più che motori, supplicatori della rovina della propria opera. Il 28
agosto 1799 segnò il principio di quella loro agonia politica che si chiuse negli 8
febbrajo 1848” (P. MARTINI, op. cit., p. 51).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
69
calunniare, o uccidere i loro cittadini grandi. Sogliono le monarchie,
ogni cosa al re riferendo, soffocare la fama e le opere egregie dei servitori magnanimi.
Così a nome dell’ordine, del bene pubblico e del re s’imprigionava senza motivo, si processava senza condanna, si condannava senza processo. Carceri, pene infamanti, torture e patiboli a
tutto pasto si ammannivano400 all’atterrito paese, ormai persuaso
che i mutamenti politici, procedano da ristorazioni o da riscosse,
altro non costituiscono che una vicenda di metodiche vendette.
Se cose sì deplorabili si fossero potute dare a Carlo Emanuele, bene dovremmo dirgli, che di tali estremità certo la minore
sarebbe stata quella di accettare il baldacchino alle porte del
duomo, o il tiro a quaranta dei marinai equini401 alle porte della
città di Cagliari.
A questo punto potremmo chiederci qual sia il migliore dei
governi. Pope402 risponderebbe: il meno cattivo. L’ottimo poi
sarebbe quello, che rispettando innanzi tutto l’uomo il quale, non
est in omnibus, quam in singulis major403, pensasse poscia a tutelare la società colla inquisizione del bene e colla persecuzione del
male. Per questo governo occorrerebbero onesti gli amministratori, onestissimi i sindacanti, i quali appunto perché onestissimi,
perorassero la causa di tutti, e non la propria col muovere ai
governanti l’invida guerra di successione. Libertà di coscienza, ma
sul terreno dell’azione nessuna libertà di fare il male; quindi al
governo facoltà illimitata di prevenirlo. L’uomo veramente onesto
400
Continuamente si allestivano.
Allude ai segni di sottomissione tributati dal Sulis al sovrano nel momento dell’arrivo a Cagliari, quando la città fu addobbata a festa, vennero eretti archi di
trionfo e sistemati baldacchini; in aggiunta, il Sulis volle staccare i cavalli dalla carrozza reale e assieme ai suoi seguaci manifestò l’intendimento di trainarla: “volli io
per il primo scattenare i cavalli della sua carrozza e mettermi sotto il giogo per
tirarlo sù con altri 12 da me scelti fino al Palazzo Reale [...] ma contentandosi solo
dell’atto [il Re] chiamò me dal cochio dicendomi che non voleva esser tirato dalle
genti, ma che si contentava solo dell’atto, e che di nuovo si attaccassero i cavalli,
e così fu fatto” (V. SULIS, op. cit., p. 73).
402 Alexander Pope (1688-1744), poeta inglese, nel suo Saggio sull’uomo, scrive:
“Lascia discutere i pazzi sul governo migliore: il miglior governo è quello meglio
condotto”.
403 Non è maggiore in tutti che in ciascuno (SANT ’AGOSTINO, De civitate Dei,
libro X, cap. 3).
401
70
ANTONIO BACCAREDDA
(sono tutte belle parole, lo capisco!) meno paventa404 le intemperanze dell’autorità, che quelle della popolaglia.
Riportare in minuto405 le basse mormorazioni, che correvano
in quei giorni a Cagliari contro il Sulis; far cenno dei fini aggiramenti di chi disacerbava406 il proprio mal talento insinuando il
discredito nella moltitudine contro a lui; narrare in fine i commenti, i sarcasmi, le profezie a suo danno, sarebbe lo stesso che
non rifinirla mai, per dire cose poi che si capiscono di volo407 in
tempi come i nostri, nei quali è sì in uso lo stile di vilipendere408
e straziare la riputazione d’ognuno.
Le fazioni, e le conventicole409 grandi e piccole, che così bene
attecchiscono in Sardegna, sotto questo aspetto in nulla dissimile
dalla sua madre patria410, non si rimanevano dal ricercare nella
condotta del Sulis le ascose ragioni intese a saziare le sue ambizioni di ricchezza o di autorità. Ma il popolo non vedeva, il poverino! Che la superficie delle cose, pur servendo inconscio alla
realtà di esse. Ed ecco come si parlava dai meno accorti, che si
rendeano così stromento411 delle abili gherminelle412 della reazione.
– Avete visto che grosse bubbole413 ci diceva il nostro capopopolo per farsi credere un Cincinnato414? Gli fu data l’offa415
nominandolo direttore degli stabilimenti saliferi, e buona notte!
Ieri ci carezzava; domani ci farà mettere le manette.
– Bene fu che gli togliessero il comando dei cacciatori miliziani.
404
Meno teme.
Nel dettaglio.
406 Mitigava.
407 Al volo, immediatamente.
408 Offendere.
409 Adunanze segrete e con malvagi intenti.
410 Il Piemonte.
411 Arcaismo per strumento.
412 Inganni, imbrogli.
413 Menzogne, fandonie.
414 Lucio Quinzio Cincinnato (V sec. a.C.), cittadino romano che dopo aver combattuto con molto valore per la patria si ritirò a vita modesta.
415 Focaccia, e in senso figurato, come nel caso, compenso dato per quietare l’avidità della persona veniale.
405
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
71
– Sì, gli tagliarono le unghie, ma gli misero i guanti416.
– Che vorresti tu un cortigiano senza guanti? Come oserebbe
porger la mano al suo buon principe?
– Badi Vincenzo Sulis alla fine di Gerolamo Pitzolo...
– E a quella del marchese La Planargia! Il popolo, anche in
questo come Dio, non paga il sabbato417!
Il parlare che contro al Sulis si facea nelle alte sfere sociali era
nella forma assai più composto, ma nella sostanza egualmente
protervo e velenoso; che anzi, per vestire un’apparenza di biasimo
più ponderato e scevro da volgare passione, acquistava nella plebe
credito di ragionevolezza e di verità.
Egli era tuttavia sempre più bene accolto in corte, sebbene
usasse con parcità418 somma di tanta invidiata distinzione. Sempre egualmente caro al duca d’Aosta, nulla a suo disfavore avea
mai detto il fido marchese di Villamarina, poiché uso come era ai
maneggi di corte e provetto nella tattica della diplomazia, stimava prudente attendere che il meditato colpo venisse al Sulis, non
già dalla reggia, ma dalla piazza.
Lungi dunque dal coltivare il sospetto che contro lui vilmente si cospirasse da personaggi di così alta condizione, il Sulis non
ismetteva il suo parlar franco e risoluto, e sempre patriota e suddito leale a tutti apriva l’animo suo colla schiettezza propria del
suo carattere. Egli non si era neanco rimasto dal dire al re, presente il marchese di Sant’Orsola, suo gentiluomo di camera, e lo
stesso marchese di Villamarina, che il paese non era punto contento, che il governo economico facea mala prova assai, e che dai
più si penava a capire come egli (il re) così mite, colto e sopratutto religioso, soffrisse in pace che la sua volontà sovrana non prevalesse di fatto sui consigli di coloro che erano deputati ad eseguirla.
– Mio amico – gli rispondeva il re colla solita sua benignità –
non è che io lo soffra, egli è solo che Iddio non mi temprava alle
gravi cure di un regno.
– Sire! – esclamò enfaticamente Villamarina – l’importanza
416
Gli tolsero una parte del potere, ma lo tennero a corte.
Popolare per sabato. Il proverbio significa che il castigo per una cattiva azione
è immediato.
418 Parsimonia.
417
72
ANTONIO BACCAREDDA
delle cose che disse ora il nostro Sulis, credo che stia solo nella
forma un poco libera del suo parlare.
– Anche questo è possibile, maestà; e ve ne dimando perdono! – soggiunse con ingenuità l’onesto tribuno – Io non ho pensato ad altro che a dirvi le cose come credo che sieno; e però pregherei il signor marchese a voler supplire con un linguaggio più
fornito419 al mio difetto, giacché non si tratta che di forma. Badi
per altro a non cogliere in fallo le mie intenzioni, che sono di un
suddito leale.
– E con questo? – chiese il re – Io sono grato a chi mi dice la
verità, se anche rudemente.
– Maestà, un sovrano non dee render conto che a se stesso e
a Dio delle sue azioni – riprese a dire con affettata sommissione
il confidente del duca d’Aosta – e noi dobbiamo inchinarci dianzi alla vostra augusta volontà. All’infuori di ciò vi è l’irriverenza,
l’offesa, se altro di peggio non vi è.
Il Villamarina accentuò le ultime parole, dando di furto420 al
Sulis un fiero sguardo.
Carlo Emanuele ascoltava le parole del magnate421 scuotendo
la testa; e con impazienza aspettava che l’altro terminasse. Quando poté riavere la parola così parlò con visibile concitazione422:
– E quali conti renderà a Dio un sovrano? Oh non ci nascondiamo che ad un cristiano mal si addice la corona di un re, ei
dovendo percuotere più soventi423 che non gli occorra di beneficare! Nella vita, signori miei, vi ha una lotta continua e difficile a
sostenere; e questa si mantiene finché vi saranno uomini che tengono la via della salvezza, ed altri quella dell’abisso; finché da un
lato si combatterà per l’anima, e dall’altro si militerà per il corpo.
Che potrà fare un re messo nella dura alternativa di conciliare
partiti sì disparati? Non sentendosi forte a spezzare il suo scettro
contro i gradini del trono, che tanto lo allontanano dai suoi fratelli, altro non gli avanza che di alternare alle leggi di sangue quelle dell’amore; che da una banda affliggere il suo simile, dall’altra
419
Provvisto di tutto ciò che serve.
Furtivamente.
421 Personaggio importante, notabile.
422 Foga, fervore.
423 Spesso.
420
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
73
sovvenirlo di paterno aiuto424; così sempre con una mano cancellare l’opera dell’altra, e vivere perplesso fra le benefiche ispirazioni del cielo, e le perfide suggestioni dell’inferno. No, non vi dissimulo che questo serto reale è per me un insopportabile peso425!
– Maestà! – esclamò il marchese di Santa Orsola, atterrito dal
linguaggio del re, che non ponea punto mente agli atti dei due
personaggi di corte, smaniosi di ridurlo da quello stato di febbrile esaltamento426.
– Ma sono ancora in tempo, figli miei, sì che lo sono, per
obbedire ai mal combattuti miei istinti! Essi vinceranno di me e
di tutti, state certi, perché alla Dio mercé, io posso volere; sono re
finalmente! Getterò via il mio manto reale, in cui inciampo ad
ogni passo; e libero salirò sul Golgota per stringere la croce di
Dio! Né si dirà di me quello che Filippo II disse di suo
padre427(37). Dovessi pur come Gustavo Wasa stentar la vita
nella più squallida miseria428, io non mi volgerei a riguardare la
mia reggia, mai! Lo scettro, oimè! scava la tomba all’anima. So io
quali spettri veggo assidersi sul mio capezzale429, mentre tutti gli
uomini nel silenzio pauroso della notte dormono i riposati loro
sonni. Il re non dorme allora; no! Le sue pupille sono immote430,
il suo respiro è affannoso, la sua fronte è molle di gelido sudore.
Non vi ha sulla terra una creatura più misera di lui! Egli è il primo
per volontà del popolo, l’ultimo per decreto di Dio.
– Maestà! – replicò pallido e sgomento il marchese di
Sant’Orsola.
(37) Il Cardinale de Granvelle disse un giorno a Filippo II: «“egli è un
anno che l’imperatore ha rinunziato a tutti i suoi stati”; ed il re rispose:
“ed è da un anno altresì che ha incominciato a pentirsene”».
424
Da una parte, affliggere il suo simile, dall’altra sostenerlo paternamente.
Non vi nascondo che questa corona rappresenta un peso insopportabile.
426 Delirio.
427 È Carlo V il padre di Filippo II di Spagna (1527-1598).
428 Gustavo I Vasa (1496-1570) fu il primo sovrano di Svezia. Lottò infatti affinché la sua nazione si affrancasse dalla sovranità della Danimarca, vivendo a lungo
come fuggiasco, in miseria e perseguitato a causa della consistente taglia che il
governo danese aveva imposto sulla sua testa.
429 Cuscino.
430 Forma letteraria che vale immobili.
425
74
ANTONIO BACCAREDDA
Carlo Emanuele si scosse all’improvviso; indi volgendo intorno lo sguardo quasi trasognando, reclinò la testa e mise un lungo
sospiro431.
Vi furono alcuni istanti di silenzio.
– Sta bene, marchese, sta bene! – disse il re guardando con
visibile turbamento il suo gentiluomo di camera – So che volete
dirmi... Non parlo più; sarete contento?
Qualche momento dopo egli esternò il desiderio di restar
solo, come usava tutte le volte che si sentiva invasato da cotesti
accessi di vera tristimania432(38).
Non meno strana era la scena cui dovea fra breve assistere in
sua casa il nostro tribuno; né meno profonde le emozioni che colà
l’attendeano, sebbene soavissime e quali appunto si convenivano
al suo spirito conturbato433 dalle tremende parole del suo buon
sovrano.
Mentre il Sulis scendea impensierito gli scaloni del palazzo
reale, il marchese Villamarina l’osservava non visto da una loggia
(38) Botta, op. cit., lib. XIII, pag. 139XXXIX.
431
Girando lo sguardo intorno quasi incantato, imbambolato, reclinò la testa ed
emise un lungo sospiro.
432 Depressione.
433 Scosso, sconvolto.
XXXIX Si tratta del libro VIII. “Successe nel regno a Vittorio Amedeo III Carlo
Emanuele, quarto di questo nome, principe ammaestrato in molte belle discipline, ornato di tutte le virtù che in uomo capir possono, e devotissimo alla religione. Ma con l’animo santo aveva il corpo infermo; perciocché pativa straordinariamente di nervi, e questo male, al quale non vi era rimedio, gli rappresentava spesso di strane fantasie, che il facevano parere assai diverso da quello ch’egli era veramente. Per tal modo Carlo Emanuele IV cominciò a regnare in un regno desolato, fu afflitto continuamente da ombre e da ubbìe singolari, e cessò di regnare più
miserabilmente ancora che non aveva incominciato” (C. BOTTA, op. cit., tomo II,
p. 159).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
75
del palazzo istesso; e con cupo livore434, manifestato appena da
un amaro sorriso, canticchiava a fior di labbra:
A passu a passu et pianu
Ti hap’a sighire che boe;
Si non poto sighire hoe,
Ti hap’a sighire manzanu(39).
(39) “Io seguirò le tue orme a piano passo; se non oggi, domani ti raggiungerò fermamente”. Proverbio sardo in dialetto logudoreseXL.
434
XL
Risentimento, astio.
“A passu a passu et pianu / Ti hap’a sighire che boe / Si non poto sighire hoe /
T’hap’a sighire manzanu. A passo e pianino come il bue, io ti seguiterò e se non ti
posso raggiungere oggi, lo sarà dimani” (Proverbio della perseveranza, G. SPANO,
Vocabolario sardo-italiano e italiano-sardo, Cagliari, Tipografia Nazionale, 1851,
vol. I, s.v. boe).
76
ANTONIO BACCAREDDA
VIII.
Vincenza se ne stava frattanto nella sua stanza da letto, conducendo un lavoro d’ago435. Essa per legge di compensazione
concedeva alla propria fantasia ciò che non poteva alla parola,
giacché erasi proposta, per mala intesa dignità di donna e di
moglie, di non parlar mai più al consorte di quello che nei dì passati le avea cotanto amareggiato il cuore.
La sua mente di fatti piena d’immagini tristi e d’inclementi
propositi si compiaceva di tutto immaginarsi il peggio che potesse capitarle; e in questo fare prorompeva in penosi e frequenti
sospiri, e cospergeva436 di mal frenate lagrime le mani, che operose non si ristavano dal lavorare437.
Si trovava appunto in questo stato, quando la serva venne a
dirle che la sua cugina desiderava vederla.
A questo annunzio, Vincenza impallidì a vista; si fece però
forza, e dopo di essersi asciugati gli occhi e imposto un’aria di
volto il più che seppe tranquilla, disse alla serva:
– Viene propizia; falla entrare.
Poco stante una donna di trent’anni circa, vivace, sorridente
si trovò al cospetto di Vincenza, cui stese con gentilezza la mano.
L’avrebbe anche baciata in viso, ma non osò avventurarsi fino a
tanto.
– Buon dì, Giovanna! Che miracolo è questo?
– Oh dimmi innanzi tutto come stai? Dio mio! Sei molto triste. Che hai? Piangevi forse?
– Sì, non lo niego; nella mia solitudine è uno dei miei passatempi questo. Che vuoi? Mi contento – rispose Vincenza asciuttamente – Ma la tua venuta in mia casa che significa? Qualche
gran fatto, m’immagino!
– È vero – soggiunse l’altra alquanto turbata – Ci vediamo
così di rado! Non è certo per mancanza d’affetto, sai?
– Oh non ne dubito punto – disse Vincenza in tuono d’ironia – E perché non dovremmo amarci noi?
Una breve pausa era necessaria a Giovanna per sostenere con
435
Ricamando.
Letterario per cospargeva.
437 Non si fermavano e continuavano il ricamo.
436
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
77
pazienza i sarcasmi della cugina, e per disporsi a proseguire con
calma. Dopo parecchi istanti di silenzio ripigliò:
– Vincenza, è necessario che io ti parli di tuo marito.
– Nell’interesse di chi?
– Nel suo...
– Davvero?... E allora perché non rivolgerti direttamente a
lui?
– Perché – rispose l’altra esitante – perché troppi commenti si
farebbero se io l’osassi.
– Osare? Mio Dio! Non sei la sua cugina tu? Questi veramente sono scrupoli che io non intendo né scuso – soggiunse la
consorte di Sulis.
– Vincenza, non parlarmi con questo tono di sarcasmo. Io
non lo merito; poiché se io m’imposi il più grande riserbo verso
di lui, fu solo per te...
– E nulla per tuo riguardo? – chiese l’altra potendo a malo
stento438 contenersi.
– Che intendi dirmi? Oh! Egli è tempo che ti spieghi.
– E debbo farlo io?
– Sì! Giacché ogni tua parola è un oltraggio. Del resto io
venni per lui come per te, se ti cale439 della pace e della felicità di
tuo marito.
– Di che si tratta? Via, sentiamo!...
Vincenza profferì queste parole con una serietà ed un sussiego440 rimarcabilissimi, e socchiudendo con malizia gli occhi, che
osava appena affissare in quelli della sua rivale.
– In Cagliari si dicono serie cose contro tuo marito; per poco
è che non lo si chiami un traditore!
– Come, Vincenzo? – esclamò l’altra presa da raccapriccio.
– Così è di fatti. Ora tu devi fargli conoscere la sua vera situazione, per la sua, per la tua pace.
– Ma che ha fatto egli? Non basta tutta la sua vita passata a
difenderlo contro le calunnie degli invidiosi suoi nemici?
– Dovrebbe, ma pure non è così. Sono in bocca di tutti le
parole più ingiuriose contro la presente sua condotta. In prima lo
438
A fatica.
Se ti importa.
440 Arroganza, supponenza.
439
78
ANTONIO BACCAREDDA
si prendeva a schernire; ora sinistre voci corrono per infamarlo e
peggio.
– È impossibile! Questo tuo è un sogno senz’altro, un sogno,
mi capisci? Vincenzo può aver dei gravi torti e molti verso la famiglia, non uno per altro verso il paese.
– Oh bastassi tu a rimuovere gli altrui sospetti, come io a dileguare i tuoi!
– Forse che sono ingiusti i miei sospetti?
– Or sì, lo sono.
Giovanna nel profferire queste parole atterrò i suoi bellissimi
occhi neri, e con atto verecondo441 mormorò languidamente:
– Ma non venni da te per giustificarmi, no: tu non mi ascolteresti, od ascoltandomi ancora, non mi crederesti. Di ciò ne
discorreremo con pace un’altra volta.
– Di fatti...
– Eppure io ti parlo ora come se fossi presente all’ombra della
mia povera madre! Vincenza mia, discaccia il timore ingiusto che
io ti rapisca l’amore del tuo consorte. L’amai, non lo niego, l’amai
troppo; e se avessi voluto egli sarebbe stato mio sposo. Egli era
giovinetto inesperto, abbandonato da tutti, fin da suo padre. Io
era ricca, libera, l’amava... E forse... Deh perdonami, Vincenza!
Forse anch’egli mi amava. Ma le sue leggerezze, diciamolo anche,
i suoi gravi errori giovanili mi trattennero; e così il tempo fece ciò,
che il mio cuore non avrebbe saputo da principio. Gli stretti vincoli di parentela, le sue imprese eroiche, il suo nobile disinteresse
per l’infelice nostra patria, ecco quanto me lo rende ancor caro;
però, te lo giuro per la memoria santa di mia madre, caro senza
colpa, come un fratello, un amico!
Gli occhi di Giovanna si empirono di lagrime e quelli altresì
di Vincenza, che serenandosi in viso, protese con trasporto ineffabile le sue mani verso la cugina.
– Taci, Giovanna! Io voglio crederti; ne ho troppo bisogno...
Sì, io ti amerei come la prima, come l’unica mia amica, a me
tanto più cara, quanto in passato meno lo fosti.
– Credimi, perché non si ripete il giuramento che dianzi t’ho
fatto; turberei così il riposo della mia povera madre!
– Basta così! – ripigliò a dire la moglie di Sulis – E tu perdo441
Pudico, casto.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
79
nami, te ne prego! Or se me ne riconosci degna, amami come io
saprò amare colei che mi redense442 dal dolore, e dall’invirtuosa443 tristezza del mio spirito infermo.
Alcuni istanti di silenzio successero a queste parole, a mezzo
strozzate da una profonda emozione.
Quel silenzio era troppo necessario per dar libero sfogo alle
lagrime di tenerezza che sgorgavano facili dai loro occhi, per altro
raggianti di tutta la purezza e la gioia di una riconciliazione sincera e santa come fu quella.
Coteste due creature erano fatte per amarsi; onde in un subito la confidenza, l’abbandono degli affetti sorsero fra di loro,
come se cresciute fossero insieme fin dall’infanzia. E si guardavano mute in viso, e si sorridevano, e si scambiavano certi lezzi444
infantili e aggraziati, quasi per farsi vicendevoli e dolci rimproveri circa il loro passato.
A queste schiette amistanze445 mancava un testimonio446, per
avventura il solo capace di partecipare con vera gioia alla loro.
Questo testimonio era il Sulis, né fu lento a mostrarsi al loro
sguardo447.
Al primo affacciarsi nella stanza, stette immobile, muto, stupefatto. Vedeva quel bel quadro, lo ammirava nel suo secreto448
come un accordo armonico e perfetto di cose, eppure non sapea
darsene la ragione, quasi dubitava dei proprii suoi occhi.
– Come! – egli si fece ad esclamare mezzo tra la maraviglia e
l’incertezza – Voi qui unite, e con tanta cordialità?
– Sì – disse la moglie – sì, unite e contro di te! Ti avvedrai ben
presto che sia mai aver due donne collegate449 contro.
– Fermamente, e sono molti i conti che dovrai aggiustare con
noi! – soggiunse Giovanna, accigliata e in un sorridente.
– Ebbene, accusatemi, condannatemi, fate quel che vi pare,
442
Liberò.
Contrario di virtuosa, per disonesta.
444 Vezzi, coccole, gesti affettuosi.
445 Dimostrazioni d’amicizia.
446 Arcaismo per testimone.
447 Arrivò quasi subito.
448 Nel segreto, nell’intimo.
449 Coalizzate.
443
80
ANTONIO BACCAREDDA
ma di grazia spiegatevi un poco, perché a momenti non credo a
me stesso!
Dicendo queste parole egli si era avvicinato un tal poco verso
quelle fiere450 sue accusatrici, che tuttavolta volle sfidare imperterrito, da quel valoroso capitano che egli si era.
A ritrarre questo bel gruppo, meglio che la mia penna, si
richiederebbe il gentile e animatore scalpello del mio diletto Giovanni Battista Villa(40).
(40) Giovanni Battista Villa valente e giovane artista genovese, autore di
numerosi e pregevolissimi capi d’arte condotti in marmo, fra i quali
mirabili la Preghiera, la Rassegnazione, la Riconoscenza, l’Angelo della risurrezione (che fanno sì bella mostra nel Camposanto di Genova) e la Beneficienza, monumento in onore della marchesa Artemisia Brignole-Sale
nata Negrone, collocato nella chiesa di S. Nicolò sopra Voltri, insigne
lavoro in cui l’ispirazione, la castigatezza e l’eleganza si unizzano con intimo legame d’armonia, come nell’anima di quell’illustre scultore le più
pellegrine virtù del cuore si annodano alle più elette qualità dell’ingegno.
Ammirando l’espressione morale di quei suoi stupendi lavori, simboleggianti le più superne virtù dello spirito umano, parmi quel medesimo che
lodar quelle del Villa, le quali, a mio credere, ne fanno di lui un essere
perfetto, anche senza la croce di cavaliere, di cui fu insignito un anno fa.
450
Determinate, decise.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
81
IX.
Pensando a questo periodo di storia sarda, quasi sto per credere che la storia non si riproduca mai davvero. Giudichi il lettore se a sua memoria vi abbia negli annali della vita civile dei popoli, oppure se porti opinione che possa seguir mai in appresso, che
un popolo voglia senza bisogno e spontaneo farsi mancipio451 del
suo principe. Eppure ciò avvenne in Cagliari nel 1799 per opera
degli stamenti stessi, che, come dicemmo più avanti, erano gli
Stati generali della Sardegna.
Non piaceva all’oltrepossente452 Villamarina, che timoneggiava dietro le quinte gli affari del regno453, di destreggiarsi adoperando la politica delle collusioni454. Colla spada alla mano, che
convenienza vi era di mantenere un ordine di cose, per le quali
governanti e governati se ne stessero a maninfede455 studiando il
destro di soperchiarsi456 a vicenda? Per lui che bisogno vi era di
cotesti para-urti, che si dicono rappresentanti del popolo, e che
fanno poi venir l’uzzolo457 della repubblica, nell’idea che una
costituzione qualunque sia un parafulmine collocato in tempo sul
fastigio458 di una reggia?
Fu quindi per opera sua che i clowns politici di quei tempi si
dispodestassero da sé medesimi, cedendo nelle mani del re i propri diritti, mercé i quali il potere regio sottostava ad alcune restrizioni, e soprattutto in ciò che avea tratto alla collazione delle prelature459 e degl’impieghi(41).
(41) Martini, op. cit., p. 46XLI.
451
Spontaneamente rendersi servo.
Potente e forte decisamente oltre l’ordinario.
453 Governava nascostamente gli affari di stato.
454 Alleanze a danni di terzi.
455 Uniti. Maninfide è «anello dello sposalizio [...] secondo il Petrocchi, si dice per
“una specie di anellino che figura una mano che ne stringe un’altra”» (M. L.
WAGNER, Dizionario etimologico sardo, Cagliari, Trois, 1989, s. v. maninfid).
456 Superarsi.
457 Voglia intensa.
458 Sommità.
459 Conferimento di dignità, di cariche.
452
XLI “Frattanto la reazione lavorava ancora per reintegrare le cose nello stato in cui
erano prima del diploma del 1796, unico e meschinissimo frutto dei politici rivol-
82
ANTONIO BACCAREDDA
Cotesta cessione delle proprie franchigie460 non era per altro
scompagnata da parecchie dimande da parte degli stamenti, le
quali ridevolmente assumevano il carattere di condizioni, accettate dal regio governo con iscialacquo di frasi ibride ed elastiche,
tendenti a tenere a dondolo il paese461, e a fare che gli animi si
addormentassero lusingati da una regale promessa, mantenuta
poi con fede punica462. Arte machiavellica questa, che insegna
quei Principi aver fatto gran cose che della fede hanno tenuto poco
conto, e che hanno saputo con astuzia aggirare i cervelli degli uomini, ed alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in su la
lealtà(42).
Ma non bastava al Villamarina di minare463 gli statuti del
regno, gli occorreva ancora di abbattere gli uomini popolari che
avrebbero potuto a tempo e luogo attraversargli la via. Però fu un
Machiavelli d’assai bassa lega, allorché mal soffrendo l’amicizia
che il duca d’Aosta professava sincera al Sulis, e la costui influenza sulle masse, si fece contro lui cagione movente di quel lieve
mormorio, come direbbe Beaumarchais, che radendo in prima il
suolo, s’innalza poscia quel turbine in un crescendo generale d’odio contro la povera vittima di quel dardo464 avvelenato, che si
dice calunnia465.
(42) Machiavelli, Il principe, cap. XVIII, p. 102.
460
Privilegi.
Con profusione di frasi ambigue, tendenti a rimandare da un giorno all’altro
la soddisfazione delle richieste del paese.
462 Vale falsa.
463 Insidiare. L’origine di minare è nell’antica espressione militare fare le mine, cioè
scavare strade sotterranee per trovare le fondamenta delle mura nemiche e farle
così crollare.
464 Freccia per balestra.
465 “La calunnia è un venticello, / un’auretta assai gentile / che insensibile, sottile,
/ leggermente, dolcemente / incomincia a sussurrar. / Piano piano, terra terra, /
sottovoce, sibilando, / va scorrendo, va ronzando; / nelle orecchie della gente /
s’introduce destramente / e le teste ed i cervelli / fa stordire e fa gonfiar. / Dalla
bocca fuori uscendo / lo schiamazzo va crescendo / prende forza a poco a poco, /
461
gimenti. Non contenta al suo conculcamento coi fatti, intese a calpestarlo anche
in diritto, e vi giunse per lo mezzo degli stamenti stessi che avevano scompigliato
il paese per ottenerlo, e segnatamente per guarentire la privilegiata collazione delle
prelature e degli impieghi” (P. MARTINI, op. cit., p. 46).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
83
Mille esseri misteriosi scorgevano a tutte ore i suoi passi; e
frattanto gli amici di una volta gli parlavano colla più grande
riserva466; i conoscenti pavidi lo evitavano da lungi; e i nemici
speranzosi nell’avvenire gli facean bocca di ridere per ischerno.
Che era mai?
Un’accusa di alto tradimento, che germogliando e rinforzandosi di bocca in bocca si arrampicò fino alle orecchie del re, il
quale commise al suo intimo amico, il Marchese Boyl467, d’indagare i fatti del Sulis. Si chiarì non ostante che egli aveva nemici,
non colpe; e fu lasciato quietare per poco. Nel frattempo il duca
suo protettore gli offriva il consolato di Smirne468.
– Colà – egli gli diceva – tu rimarrai sicuro, finché si spenga l’ira
che ti persegue(43).
Ma il Sulis non volle accettare.
Se non che i nemici suoi non erano di tal tempra da ristarsi a
mezzo469 delle loro imprese. Essi erano potenti, solerti, accortissimi; epperò sapevano che l’insistenza avrebbe alla perfine470
trionfato di lui e del suo augusto protettore. Tanto vero questo,
che il duca non poté impedire che infra471 breve spazio di tempo
non si rinnovassero le occulte inquisizioni contro il Sulis, affidate al cav. Giovanni Mameli472, magistrato di chiara fama. Ed
(43) Tola, op. cit., articolo Vincenzo Sulis.
vola già di loco in loco; / sembra il tuono, la tempesta / che nel sen della foresta /
va fischiando, brontolando / e ti fa d’orror gelar. / Alla fin trabocca e scoppia, / si
propaga, si raddoppia / e produce un’esplosione / come un colpo di cannone, / un
tremuoto, un temporale, / un tumulto generale, / che fa l’aria rimbombar. / E il
meschino calunniato, / avvilito, calpestato, / sotto il pubblico flagello / per gran
sorte ha crepar” (Il barbiere di Siviglia – atto I, scena XII – melodramma buffo in
tre atti, musiche di Gioacchino Rossini, libretto di Cesare Sterbini tratto dall’opera Le barbier de Séville di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, commediografo francese del XVIII secolo).
466 Per riservatezza.
467 Si tratta del marchese Francesco Pilo Boyl di Putifigari.
468 Città turca, che si affaccia nel mar Egeo.
469 Fermarsi a metà.
470 Infine.
471 In.
472 Giovanni Mameli (1758-1843), giudice della Reale Udienza. Nel 1799 indagò
su Vincenzo Sulis, accusato del delitto di lesa maestà.
84
ANTONIO BACCAREDDA
anche questo nuovo tentamento473 riescì a vuoto come il primo;
e l’accusato non pure si boneggiava474 di tale risultato, ma ricusando una seconda volta l’offerta fattagli dal duca, non si rimaneva dal dichiarare che ei sarebbe rimasto in Sardegna a dispetto
dei suoi nemici(44).
Era una notte di giugno del 1799; suonavano le dieci ore,
quando Vincenzo Sulis nel porre il piede sulla soglia del palazzo
reale, si sentì chiamare con voce sommessa da un uomo, il quale
gli si accostò avvolto fin quasi agli occhi in bruno mantello. Egli
si volse, e invitato dall’incognito a seguirlo, con lui trasse verso la
via santa Lucia475, in quell’ora deserta, senza mostrare alcuna esitanza476.
– E così, Vincenzo? Eccovi ridotto a fuggire lo sguardo dei
vostri concittadini e a scegliere come ora propizia ai vostri passi le
tenebre della notte! Non voglio ripetere le voci che contro di voi
circolano per tutta Cagliari, perché so che vi affliggerebbero troppo...
– Dica pure quello che crede; quando si ha la coscienza tranquilla si sfidano e si disprezzano le mormorazioni dei maligni.
Siccome io mi stimo onesto in realtà, poco m’importa il parerlo;
e se ai giorni nostri si è tanto gelosi dell’apparenza, ciò mi prova
che il difetto sta appunto nella realtà.
– Sarete forte abbastanza per dirlo sempre questo?
– Prenderò lei per mio maestro anche in ciò, caro d. Efisio. I
giudizi del popolo non furono miti con lei, né troppo, né sempre.
Io mi rammento quello che fu detto, quando ella venne insignita
della croce; quello che ora si dice contro di lei segretario privato
del duca del Chiablese(45); né parlo del tempo nel quale ella si
(44) Tola, ibid.
(45) Martini, op. cit., p. 26XLII.
473
Arcaismo per tentativo.
Compiaceva, vantava.
475 Oggi via Martini (cfr. D. SCANO, op. cit., p. 105).
476 Esitazione.
474
XLII
“Efisio Luigi Pintor, patrono di feudatarj e rettore d’un feudo spagnuolo,
decorato già della croce mauriziana diventato era uomo di corte come segretario
privato del duca di Chiablese” (P. MARTINI, op. cit., p. 26).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
85
volse contro gli Angioini, ella che non è colle mani nette nei moti
rivoluzionari del 95.
– Sì, l’Angioi era il mio primo fautore(46), e sarebbe stato
anche il mio primo amico; ma non io mutai, bensì la rivoluzione,
che era degenerata in una guerra civile, che voleva forzar la mano
agli stamenti o sostituirsi ad essi per dar luogo ad una dedizione
alla Francia(47). Sì la fedeltà al partito, come se la patria si dovesse immolare alle convenienze di partito! L’uomo onesto, il vero
patriotta477, deve spastoiarsi478 dalle leghe faziose; l’uomo onesto
deve appartenere a sé stesso(48). Io operai con essi come Mirabeau479 coi giacobini; l’Angioi e i suoi seguaci volevano mettere a
soqquadro il paese, ed io non fui più con essi, ma contro essi. A
questo prezzo salvai la dinastia e la monarchia all’isola, e l’isola
all’Italia. Ora son lieto di essere escito vincitore di questo demonio moderno che è la politica, per darmi intiero ai miei studi e
alla mia adorata famiglia.
– Grande è codesto proposito, né meno grande è il mio di
bravare480 questa che si dice pubblica opinione, la più infida cortigiana degli uomini politici. Per ora lasci che io segua la mia stella, e che contempli in viso il destino mio, poiché mi consente di
stendere una destra al popolo e l’altra al sovrano.
(46) Siotto-Pintor, Storia della vita di Giuseppe Manno, pp. 45-49.
(47) V. la nota (44)XLIII. V. anche Manno, op. cit., p. 381 e seg.
(48) Ho dato a Efisio Luigi Pintor le parole dette in Parlamento nel 1848
da suo nipote il commendatore Siotto-PintorXLIV, in occasione che il
conte di Cavour, riconoscendolo suo oppositore, mentre in prima chiariva lo suo sostenitore, chiedeva a qual partito egli appartenesse l’onorevole Siotto-Pintor; e questi: “Io appartengo a me stesso”, gli rispose con
laconismo spartano.
477
Per patriota.
Levarsi dalle pastoie, cioè sciogliersi dalle funi che si legano ai piedi degli animali affinché non si allontanino; in questo caso è in senso figurato per liberarsi dei
vincoli.
479 Honoré Mirabeau (1749-1791), nobile dissoluto, si fece eleggere deputato del
Terzo Stato e nel 1789 proclamò l’Assemblea Nazionale Costituente.
480 Sfidare, provocare.
478
XLIII
XLIV
Il riferimento contenuto nel testo è, in questo caso, inesatto.
Si riferisce a Giovanni Siotto-Pintor.
86
ANTONIO BACCAREDDA
– Il sovrano è un mito; in corte non vi sono che cortigiani, dei
quali un vostro pari o addiviene lo stromento o la vittima. Agli
occhi del popolo non sarete che un favorito. Oh io so quanto è
sanguinosa e orribile la storia dei favoriti!
Un vivo risentimento si palesò a queste parole del Pintor nel
volto dell’altiero capopopolo, il quale si volse pieno di amarezza
verso il suo antico moderatore:
– Ed ella – esclamò – ed ella mi tiene questo linguaggio? Posso
sostenere il biasimo dei tristi, ma il suo no! Caro d. Efisio! Altro
che favorito! Non fu per due volte forse accusato di cospirazione
contro il re e la reale famiglia? Ma li conosco i miei nemici; il duca
istesso mi parlò di coteste vipere; ed io... ed io, potendo vendicarmene, ho loro generosamente perdonato(49)!
– Io temo che il vostro più fiero nemico sia ancora nascosto
nell’ombra. Deh, poiché siete ancora in tempo, ritiratevi, Vincenzo! Voi credete di frequentare una reggia, e forse, Dio non lo
voglia, voi rasentate un patibolo. Vi parlo spietatamente lo so, ma
vi dico parole di senso pietoso. Lasciate la vita pubblica, la quale
non è fatta che per gli ambiziosi, gli imbroglioni e gli illusi. Voi
certamente appartenete a questi ultimi, come già un tempo
anch’io; ma non fate che la dolorosa esperienza abbia ad essere,
più della prudenza, la vostra severa maestra. Certo che non vi è
virtù senza cimento481, ma le anime virtuose è appunto nei
cimenti che caddero. Ciò vi provi che vi sono congiunture482,
nelle quali le nostre forze non possono bastare a tutelarci contro
certi pericoli, che ci attendono con tutta la premeditazione del
male e con tutta la sicurezza della riescita. Pensate che talvolta
fuggire il483 pericolo vale quanto il superarlo. Non vedete che il
riordinamento della forza pubblica in Cagliari ha distrutto ogni
vostra influenza militare e tribunizia? Non prevedete già che le
truppe regolari, che per ora sostituiscono le milizie urbane presso
(49) “Fortuna grande [dice il Manno] che in quest’uomo, di cui ho dato
già in altro luogo conoscenza tale a farlo pregiare per uomo non ordinario, fosse, come negli uomini di gran cuore, inclinazione naturale a generosità” (Manno, op. cit., pp. 428-29).
481
Prova rischiosa.
Circostanze.
483 fuggire il per fuggire come richiesto dall’errata corrige.
482
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
87
il palazzo reale, fra poco occuperanno tutta la città? A che valsero
le vostre proteste contro il mutato ordine di cose? Via, via, caro
Sulis, pensate che ora non siete più alla testa delle vostre centurie(50); ed un governo che sa di poter confidare nelle forze proprie, stima un vostro pari come uno stecco negli occhi484. Diamine! Che non v’accorgiate di essere già in sul crollo della bilancia485!
– Oh questo no! Se si adoperasse contro di me la ragione
come forza, sappia che io sarei da tanto486 di adoprare la forza
come ragione. Se io mi mettessi ad agire per ripicco487, guai!
Saprei ben rendere frasche per foglie488, non dubiti!
– Vincenzo Sulis, accettate meglio l’offerta del duca; partite
per Smirne.
– Il duca lo stima un onore, il popolo lo reputerebbe un esilio, io lo avrei per una viltà. No, mille volte! Io sarò irremovibile
come il mio destino! Starò qui!
Con queste parole egli si divise dal Pintor, e si avviò a grandi
passi al palazzo reale.
Viva pure il Sulis nella beata lusinga che il primo suo amico
risieda in corte; più tardi, ma troppo tardi, si avvedrà che ivi era
pur anche il suo capitale nemico!
Espugnata la Cittadella di Torino da Suwarow489, e instauratovi dagli alleati il potere regio a nome di Carlo Emanuele, questi ebbe invito dal generale russo di riedere nei suoi stati; ed il 15
agosto del 1799 il duca d’Aosta partiva da Cagliari per preceder(50) Martini, op. cit., p. 19XLV.
484
Similitudine per indicare quanto di più fastidioso possa esistere.
Essere in bilico.
486 In grado.
487 Per ripicca, dispetto, vendetta.
488 Come pan per focaccia, quindi ricambiare con la stessa moneta, vendicarsi.
489 Generale russo, che sconfisse le truppe francesi.
485
XLV
“Una delle prime cure del governo del re dovendo essere quella di rinvigorire
l’avvilito principio di autorità, si pensò tosto a riordinare in Cagliari la forza pubblica, che dal 1794 stava presso una schiera di cittadini, divisa in tre centurie,
piglianti il nome dai tre detti allora sobborghi della città, e rette da speciali comandanti”; “Notaio Vincenzo Sulis per lo Stampace, cav. Giuseppe Humana per la
Marina, e notaio Pietro Perra per Villanova” (P. MARTINI, op. cit., rispettivamente
pp. 18-19 e n. 1, p. 19).
88
ANTONIO BACCAREDDA
vi in Torino il suo re; ma né desso, né il re, che lo seguiva il 19
del successivo settembre, poterono, opponente l’Austria, ritornare nella capitale dei loro Stati continentali(51).
La partenza del principe Vittorio Emanuele fu il segnale onde
si rinfocolassero le ire e le persecuzioni contro il povero Sulis.
Ma questa volta non si facea a fidanza490, però che l’incarico
d’inquisire fu dato al famigerato d. Giuseppe Valentino491, una
specie di Tagliateste, un uomo che Voltaire direbbe creato dalla
natura, non per essere magistrato, ma carnefice. Villamarina sapeva benissimo quel che si faceva rivolgendosi al Valentino. A tal
coltello tal guaina. Però quel triste capo della reazione non contento di dominare coi mezzi dei governi dispotici, lo volle altresì
con quelli dei governi immorali; non rifuggì quindi da nessuno
spediente492, per turpe che fosse. Egli si credeva predestinato a
moderare gli eccessi dei suoi tempi, e a ristabilire l’autorità col terrore in quella barca bosinca, come soleva ei chiamare la Sardegna(52).
(51) Carlo Emanuele, non ostante l’invito di Suwarow, non poté riedere
nei suoi stati continentali, per esservisi opposta l’Austria, la quale accusava il re d’aver seguito fino all’estremo la parteXLVI di Francia. “Singolare condizione di Carlo Emanuele, dice a questo proposito Carlo Botta,
che la sua fede verso Francia tanto con lei [con l’Austria] non gli abbia
giovato ch’ella nol rovinasse, e che la sua ruina operata dalla Francia
tanto non abbia potuto coll’Austria, ch’ella il rintegrasse” (Botta, op. cit.,
lib. XVI, pag. 335)XLVII.
(52) Barca bosinca o barca di Bosa, dicesi in Sardegna di quella casa, ove
tutti vogliono comandare (Spano, Proverbi Sardi, in appendice al Vocabolario Sardo-italiano, Vol. I, pag. 9 della raccolta dei proverbi)XLVIII.
490
Non si agiva per scherzo, in maniera leggera.
Giuseppe Valentino (1730-1808), giudice della Reale Udienza, Consigliere di
Stato con il compito di perseguire gli angioini, a lui spettò di presiedere la Delegazione viceregia che doveva giudicare il Sulis. La tradizione storica, a partire dal
Manno, lo etichettò come giudice di inaudita ferocia, ma le sue responsabilità
sono state recentemente attenuate.
492 Forma popolare per espediente.
491
XLVI
As all’estremolaparte.
C. BOTTA, op. cit., tomo IV, libro XVI, p. 277.
XLVIII “Sa barca bosinca. La barca di Bosa. Dicesi quando in una casa comandano
tutti” (G. SPANO, Vocabolario sardo-italiano e italiano-sardo, cit., vol. I, s.v. barca).
XLVII
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
89
Il primo quindi ad essere colpito fu il più insigne popolano di
Cagliari, colui che durante nove anni si rese lo strumento dell’ordine e della moderazione.
Fabbricando di suo una calunnia, e propalandola per mezzo
dei suoi cagnotti493, il nobile marchese di Villamarina giunse a
impiastricciare494 un romanzetto intitolato Delitto di alto tradimento.
Colla495 storia alla mano si può dunque conchiudere, che
questo grande uomo di stato da una parte architettasse un’accusa
di fellonia496 e la divulgasse mediante lo stesso comando della
piazza, il quale a sua volta prezzolava i propalatori di tanto crimine; e dall’altra creasse, come si vedrà in seguito, un tribunale statario497 al cui presidente mormorasse all’orecchio: Voglio una sentenza capitale!
Già fin dai primi dello stesso settembre fu data l’ordinanza di
citare il Sulis del corpo e della vita; onde egli vista la mala parata
pensò di sottrarsi colla fuga alle persecuzioni dei suoi inesorabili
nemici. Ma tanto era l’impegno che essi mettevano nel punire un
tanto reo, che non si rimasero dall’offrire un premio al tradimento, pubblicando un bando a stampa, col quale fu imposta la taglia
di cinquecento scudi sulla testa di quell’infelice patriota(53).
Ecco come la reazione, che tutto fa o finge di fare a nome dell’ordine, sa pretessere498 gli atti suoi feroci, in nulla inferiori a
quelli della più sfrenata canaglia! Come è doloroso, si assista al
(53) Martini, op. cit., p. 45XLIX.
493
Diffondendola per mezzo di chi si mette a servizio dei forti per maltrattare i
deboli.
494 Scrivere rapidamente e in modo scadente, vale inventando frettolosamente.
495 As Collo.
496 Cospirazione, ribellione al principe o allo Stato cui era stata giurata fedeltà.
497 Sommario.
498 In senso figurato, vale colorire una cosa con un’altra.
XLIX “Però alla partenza del duca, ripreso animo i di lui persecutori, capitanati da
Villamarina, fecero sì che venisse prescelto a nuovo inquisitore secreto delle sue
opere il consigliere di stato Giuseppe Valentino, il di cui nome suonerà mai sempre tristissimo negli annali della sarda magistratura. Il di lui giudizio bastò perché
il duca del Genevese decretasse l’arresto di Sulis, lo bandisse come nemico dello
stato e grossa taglia ponesse sulla di lui testa” (P. MARTINI, op. cit., p. 45).
90
ANTONIO BACCAREDDA
partito dell’ordine o a quello dell’anarchia, il dover sempre scusare il passato, anziché biasimarlo apertamente; e il confessare che
spesso in società la medicina sia peggiore del male!
Le rappresaglie sono il germe mortifero499 dei governi che le
usano.
499
Il segnale premonitore della fine.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
91
X.
Al primo fatale annunzio che la sua testa era messa a prezzo,
Vincenzo Sulis ebbe di grazia di potersi allontanare dalla città e di
ricoverarsi in una casa di antichi suoi conoscenti, tutta gente alla
buona, che nulla non sapendo delle cose politiche del giorno,
amavano ancor l’uomo.
Ma non ostante le assidue cure e la schietta benevolenza dei
suoi ospiti, ei non si sapeva ancor abbastanza al riparo contro le
zelanti investigazioni dei suoi persecutori, i quali, all’allettamento
del lucro promesso500, aggiungevano il valevole spediente delle
intimidazioni, due cose onnipotenti presso la popolaglia, che perciò appunto con pari facilità addiventa il sicario del tiranno o il
mastino del capopopolo.
Or siccome il Sulis cominciava a conoscere gli uomini a proprie spese, e per conseguenza a dubitar di loro, così a capo di
qualche giorno, riflettuto bene ai casi suoi, deliberò di abbandonare il proprio nascondiglio e di darsi sotto mentite vesti al fortunoso partito di spingersi col favore della notte e a piccole tappe,
nell’interno dell’isola, per indi avvisare al modo e al tempo di
prender mare.
La notte era inoltrata di parecchie ore, ed egli dava già opere
agli apprestamenti501 della nuova sua fuga, quando l’umano suo
ospite gli annunziò tutto lieto l’arrivo del cognato, portatore di
una lettera della diletta sua consorte.
– È desso solo? – chiese il profugo – e siete sicuro che sia proprio il mio cognato? – replicò subito dopo con grande preoccupazione.
– Diamine, volete che io non conosca Giambattista Rossi!
– Sta bene! Fatelo pur venire.
Comparve poco stante il Rossi recando in mano una lettera,
che consegnò subitamente502 al cognato mormorando queste
parole:
– L’afflitta tua consorte ti saluta. Non ti parlo del suo spavento, né della sua disperazione.
500
All’incentivo della ricompensa promessa.
Ai preparativi.
502 Immediatamente.
501
92
ANTONIO BACCAREDDA
– Povera infelice! – esclamò il Sulis con voce infiochita503
dalla tenerezza.
– Sì, dici bene! Infelice e più di te infelice le mille volte, perché sentirà eterno il rimorso d’aver fomentato504 le tue illusioni,
quelle che ti hanno condotto a questo punto.
– Ti riconosco il solo diritto di giudicare la mia, non già la
condotta di mia moglie.
– Sì, ma è per essa soltanto che vengo in tuo soccorso, è per
essa che mi recai fino a te e che seppi qual fosse il tuo nascondiglio. Tu già sai che fra noi due non vi fu mai uniformità di carattere, né accordo di opinioni. Tu monarchico fino all’osso, io
repubblicano fino al delirio, o come più ti piace, di parte angioina.
– Ma militasti con me per altro.
– A chi ha bisogno non si fa mai l’inventario delle sue opinioni505. Se tu avessi avuto occhi e cuore per me, avresti ben
potuto impedire questa mia inconseguenza506; ma tu non hai
avuto mai danaro per i tuoi, sebbene molto ne avessi e molto ne
profondessi per le tue imprese audaci, e per il tuo partito, che te
ne ricompensa bene, come vedi. Scusami sai! Ma io dico pane al
pane.
– Veggo, cognato mio, che sei severo e anche ingeneroso verso
di me; ma sei giusto per altro; ragione per cui accetterò i tuoi rimproveri con rassegnazione, e il tuo aiuto con gratitudine.
– Alla buon’ora! Questo è parlar da uomo. Mi basta di averti
divisato507 il mio modo di sentir a tuo riguardo; e spero che
piglierai in bene queste mie franche parole. Da parente a parente
si può dir questo e più. Or non si parli più del passato, e si pensi
invece a provvedere alla tua salvezza, perché, ohe! pare che non
facciano per chiasso508 quei signori di lassù!
– Io mi metto nelle tue mani, Giambattista. Quando si ha da
partire?
503
Resa fioca, bassa.
Alimentato.
505 Per necessità non si bada agli ideali.
506 Incoerenza.
507 Mostrato, descritto.
508 Per scherzo.
504
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
93
– Subito, perché gli affari sono avviati assai male. Io non darei
un soldo della tua pelle, e non la passerei liscia nemmeno io, se
venissi scoperto a farti spalla in questa faccendaccia. È chiaro e
netto; mi condannerebbero come tuo complice!
Non così tosto il Rossi ebbe profferito queste parole, che l’altro si rizzò sulla persona, ed assestandosi meglio gli abiti addosso,
come si fa da chi ha preso la subita risoluzione di porsi in via,
strinse la mano al cognato:
– Eccomi, sono con te! – gli disse mettendo un lungo sospiro.
Rivoltosi poi ai buoni suoi ospiti, volle compensarli dell’incomodo loro cagionato dalla non breve dimora presso di loro; ma il
padron di casa,509 ricusando sdegnosamente, gli disse:
– Oh riponete in tasca i vostri danari, caro signor Vincenzo!
Un uomo come voi queste inezie le ricompensa a usura con una
buona stretta di mano, e non con altro, mi capite? La povertà del
resto non scema510 il dovere dell’ospitalità. V’abbiamo dato quello che potevamo darvi, e niente di più! Voi ve ne siete contentato, ed ecco pareggiate le nostre ragioni. Vi garba ciò? Ora coraggio e buona fortuna. Datemi un abbraccio, e Dio sia con voi!
Sulis si gettò abbandonatamente511 nelle braccia del suo ospite, ma non poté profferire una sola parola, se parole eloquenti
non si hanno a dire due grosse lagrime che gli colarono dagli
occhi in quel doloroso momento di separazione.
Quando egli si seppe lungi dall’abitazione, che gli servì di
asilo durante i lunghissimi giorni trascorsi dopo la sua fuga da
Cagliari, sentì sollevarsi lo spirito al pensiero che si trovava in
campo aperto, e che si disponeva a ricuperare la intera libertà.
Era una bella notte di settembre; la luna risplendeva nell’alto
cielo in un campo azzurrigno e quasi fosforescente, ciò che rendea meno intenso, ma pur dolcissimo, lo scintillar delle stelle. Si
sentiva il fiotto512 non lontano del mare, e lo stormire delle fronde degli alberi, agitate da un gagliardo vento del nord.
– A meraviglia! – bisbigliò il Rossi – Il tempo è propizio, in
509
di casa, per di casa come richiesto dall’errata corrige.
Non diminuisce.
511 Con estremo trasporto.
512 Flutto, rumore prodotto dal movimento del mare agitato.
510
94
ANTONIO BACCAREDDA
una velata saremo a Tunisi. Ho già pensato alle provviste di
bordo, io. Danaro spero che ne avrai per sopperire513 ai primi
nostri bisogni in Africa.
– Sì, sì, non dubitare, ve ne sarà!
– Non vorrei esserti d’aggravio514... Pensa che ora i tuoi beni
sono tutti confiscati.
– Ma non hanno però confiscato il mio credito. Sta di buona
voglia, Giambattista, che ve ne sarà per la mia e per la tua famiglia! Io voglio rimeritarti a dovere515, perché veggo il rischio cui
ti esponesti per me.
– Via, smetti questi discorsi! Se un estraneo ha saputo proteggerti in questi frangenti senza alcuna mercede, vorresti che io
marito alla tua sorella non facessi altrettanto?
Con questi e simili parlari516 arrivarono fin presso alla spiaggia appiè del colle di Buonaria(54).
Si distingueva dal luogo ove si erano fermati517 un legno di
basso bordo518, ormeggiato a mezzo miglio dal littorale519; e presso a terra uno schifo, che dondolava secondando l’ondeggiamento del mare520.
– Vincenzo, nasconditi per ora dietro quella siepe d’alimo521;
(54) Lo storico Martini narra che l’arresto del Sulis avvenne nell’atto che
questi sperava di partire dalla spiaggia di BuonariaL; io lo fingo in alto
mare. Avendo commesso chissà quali e quanti svarioni storici con questo
mio racconto, spero venia per tale lieve, innocente e confessata licenza.
513
Provvedere alle necessità.
Di ulteriore carico.
515 Ricompensarti convenientemente.
516 Discorsi.
517 fermati per fermati, come richiesto dall’errata corrige.
518 Una piccola imbarcazione.
519 Arcaismo per litorale.
520 Vicino a terra un battello di servizio di una nave, che si muoveva secondo il
movimento del mare.
521 Arbusto dei litorali con foglie carnose.
514
L
“Sulis fu vittima del tradimento di Giambattista Rossi, suo cognato, e di Nicolò
Scotto, patrone d’una navicella napoletana. Di notte, verso la metà di settembre,
vi s’imbarcava Sulis sulla spiaggia cagliaritana prossima al luogo di Buonaria” (P.
MARTINI, op. cit., n. 2, p. 45).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
95
io frattanto andrò a dare il segnale ai nostri uomini della feluca522... Sai il patrone523 Niccola... Il napoletano!
Senz’altre parole il cognato si allontanò, dirigendosi verso lo
schifo.
In quel luogo non era oggetto che non destasse nell’anima del
Sulis assai vive e serie rimembranze524. Quante volte egli non avea
corso e, in tempi non lontani, quel colle e quella spiaggia, e guidato dai pensieri di gloria, incitarvi col fascino straordinario della
sua parola le cittadine milizie contro i nemici della sua patria! Ed
ora?... Così spesso la fortuna si piace d’irridere gli uomini e d’umiliare l’animo loro.
Levando lo sguardo al vicino chiostro dei frati Mercedari, che
siede sul dorso del colle:
– Colà – egli diceva malinconicamente fra sé – colà avrei trovato pace; oppure movendo dalla solitaria mia cella per dove ora
mi avvio a guisa di un malfattore, mi sarei consacrato a redimere
altri schiavi, che non sono questi che ora mi rinnegano, e che non
contenti di ciò dimandano vilmente la mia testa!
522
Piccola imbarcazione.
Anche patrono, vale capitano d’un bastimento.
524 Ricordi.
523
96
ANTONIO BACCAREDDA
XI.
– Fa vento fresco; meglio! – disse un omiciatto525 seduto presso al timone di una grossa feluca napoletana, la quale incrinata sul
destro fianco scorreva velocissima sull’onda – Ammaineremo la
vela quando saremo almeno alla Torre dei segnali(55); e sarà fra
poco, perché si va come il vento. Non è vero, illustrissimo signor
Vincenzo, che si va veramente bene?
Questa dimanda era rivolta a Vincenzo Sulis, seduto sul cassero526 della navicella, vicino al patrone ed al suo cognato.
– Vedo sì! – rispose l’interrogato – anzi mi par troppo bene.
– Nessuna paura! Vi sono io e basta. Niccola Scotto è un vecchio marinaio; e con questo guscio527, vede, gli basterebbe l’animo di andare fino in America. Non pensi, da qui a un quarto
d’ora ella potrà cuculiare528 alla sua fortuna ed ai suoi nemici...
Ma, per San Gennaro! Chi l’avrebbe mai detto che vossignoria si
sarebbe trovata un giorno in questo brutto guaio. Oh sorte, sorte!
E tu, Giambattista, non parli, tu?
– Lasciami fumare e godere questo po’ di buon tempo – disse
il Rossi levandosi la pipa di bocca.
– Fumare e poi cantare. Quando sono in mare io non farei
altra vita; e canterò, se lo permette il signor Vincenzo.
(55) Torre sul promontorio di S. Elia nel golfo di Cagliari, la cui sommità misura 73 metri dal livello del mare. Le notizie storiche che se ne
hanno risalgono al 1337. Il suo nome deriva da ciò che segnala a vista del
lido l’arrivo in porto dei legni esterni (Spano, op. cit., p. 382)LI.
525
Diminutivo dispregiativo di omo; vale quindi omuncolo.
Parte della coperta d’una nave che dagli stili di poppa va fino all’albero maestro.
527 Scherzosamente, per piccola imbarcazione, data la somiglianza fra le due forme.
528 Canzonare, beffare.
526
LI
La torre dei Segnali “viene così chiamata perché marca con segni convenzionali tutti i bastimenti tanto regii che mercantili che arrivano dall’estero [...] Nella
sommità di questa torre fin dal 1859 vi è stato stabilito un Faro [...] La luce è elevata 73 metri sul livello del mare, e visibile a 15 miglia in lontananza. Era un bisogno invocato dai naviganti, per trovarsi nella punta di una lingua di terra che divide il golfo principale di Cagliari da quello di Quartu” (G. SPANO, Guida della città
di Cagliari, cit., p. 383).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
97
– Ho tanto bisogno di distrarmi, che l’avrò anzi caro529
immensamente. Solo ho timore che per i disagi sofferti nei dì passati, e per la grande stanchezza che mi sento, non potrò godere a
lungo di così bel piacere. Se mai mi addormentassi nel più bello,
vi prego di non averlo a male. Però voi cantate finché vi garba. Ve
lo dico senza cerimonie530, veh! Mi parrà anzi assai dolce il dormire al suono del mandolino, e delle vostre belle canzoni napoletane.
– Va bene! Allora profitterò della vostra licenza531... Angelo –
soggiunse volgendosi ad uno dei marinai della feluca – ammaina,
ammaina pure un poco! Ora non importa correr tanto; siamo già
al sicuro. Scommetto532 che non ci raggiungerebbe nemmeno
una palla di colubrina533.
– Di fatti si va molto bene con questo tuo legno – riprese a
dire il Rossi, mettendosi di buon umore.
– Sfido! E come si fa a non andar lesti se siamo senza carico?...
– Ma con un buon nolo534 – soggiunse subito il Sulis – Né
dimenticherò i vostri bravi marinai.
– Mille grazie, vossignoria! – esclamò Niccola Scotto, lasciando il timone e battendo palma a palma le mani.
– Evviva il signor Vincenzo Sulis! – esclamò uno dei marinai,
levandosi il berretto e facendolo volare in alto.
– Zitto, gaglioffo che sei! – soggiunse il Rossi – Che ti par
prudente di gridare a questa maniera e di pronunziare il suo
nome?
– Oh sì, che non ci odano le garze535 bianche o i delfini! Bisognerebbe avere la voce dell’angelo del giorno del giudizio536.
– La prudenza non è mai soverchia.
529
Mi farà piacere.
Davvero, senza fare complimenti.
531 Permesso.
532 Scommetto per Scometto come richiesto dall’errata corrige.
533 Sorta di cannone, ma più piccolo.
534 Prezzo del trasporto via nave.
535 Specie di aironi.
536 Il riferimento è al passo biblico narrato nel libro dell’Apocalisse dove si dice
che l’angelo “posto il piede destro sul mare e il sinistro sulla terra, emise un grido
fortissimo, simile al ruggito del leone. Al suo grido risposero con le loro voci i sette
tuoni” (10,3).
530
98
ANTONIO BACCAREDDA
Facendo questa raccomandazione, Niccola diede di piglio al
mandolino, che si era messo allato prima della partenza, e vi
strimpellò un preludio colla disinvoltura di un concertista; indi
con voce simpatica e vibrata cantò questi versi:
Luna, più bella e fulgida
Perché ti mostri a me,
E d’adamanti537 semini
La via dinanzi a te?
Dimmi perché dal tumido538
Ed agitato mar,
A me s’innalza un fervido,
Un mesto sospirar?
Ah sì lo so! Quel gemito
È un gemito d’amor,
Di dolce speme539 è simbolo
Quel vago tuo fulgor.
Or non contate i palpiti
Del povero mio cor,
Al marinaro è inospite
Il gaudio dell’amor, ecc. ecc.
Con questa ed altre simili canzoni il nostro cantatore si spinse540 fino a notte avanzata, e avrebbe continuato fino all’alba, se
di tutti coloro che al primo cominciare541 formavano il suo uditorio, non si trovasse desto che un solo marinaro.
Il più sollecito a rincantucciarsi542 fu il Rossi, e quindi a poco
due marinai seguirono il suo esempio.
Al Sulis molto arridea543 di udire nel vario loro ritmo quella
serie di ballate, di barcarole, di romanze544, che l’altro sapea così
537
Di diamanti.
Ingrossato dal vento.
539 Forma letteraria per speranza.
540 Proseguì.
541 All’inizio.
542 Rifugiarsi in un cantuccio, ritirarsi.
543 Piaceva.
544 Ballate: canzoni che gli antichi accompagnavano col ballo, poi componimento musicale; barcarole: canzonette dei gondolieri veneziani, quindi arie musicali;
romanze: storie sentimentali, per musica o adatte alla musica.
538
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
99
bene illustrare con dolci e simpatiche melodie. Ma la dolcezza
istessa del metro e la soavità del canto, sebbene operassero sull’animo del Sulis il loro magico potere, conquisero545 finalmente i
di lui sensi, per cui sentendosi molto aggravato dal sonno, ed
avvoltosi in un ampio mantello, si abbandonò a dormire così placido e sereno, come se fosse stato sopra un morbido capezzale e
sotto il medesimo suo tetto.
Per più tempo i sogni che ei faceva s’insertavano546 giocondamente alle dolci cadenze di quelle canzoni, atte più che a turbare
a conciliare il sonno; però al cessare di esse il riposo riescì perfetto al fuggitivo, e allora veramente riparatore.
Ormai, come dissi, non vegliava che il patrone, intento sempre al timone, e un marinaio, il quale tenea d’occhio alla vela. La
luna frattanto volgeva al tramonto, e lo scintillare delle stelle si
facea ognor più appariscente per l’accresciuto azzurro del cielo.
Scemava di grado in grado la gagliardia del vento ed il fiottar del
mare, quasi per propiziare ai dormenti sonni più riposati.
Già l’alba rendea al timoniere più distinto l’orizzonte, e la
navicella spinta dal vento volava quasi, incurante delle onde che
miravano invano a farle resistenza colle loro braccie di spuma.
Tenendo l’occhio fiso a oriente il patrone fe’ cenno al veleggiatore di destare i suoi compagni, di raccoglier la vela e di dar
mano ai remi. Obbedì l’altro, quantunque non sapesse darsi buon
conto di questi ordini; se non che fatto un miglio circa di rotta,
sempre remigando in uno agli altri marinai, visto che il legno
virava bel bello547 e che il patrone dava la prua548 in direzione
opposta alla già tenuta prima, gli si volse a guardarlo con occhi di
stupore; e Niccola Scotto a fargli cenno, come per dirgli che proseguisse senza badare ad altro.
Il mutato andamento del legno per causa dei remi, destò poco
stante il Sulis.
– Ah ora capisco! – esclamò – Non abbiamo più le vele.
– Cessato il vento ci ajutiamo coi remi; ma si va bene lo stesso... Potete dormir tranquillo, non dubitate.
545
Vinsero, abbatterono.
Si univano.
547 Sempre remando tutti insieme, con lo stesso ritmo, dal momento che la barca
girava.
548 Parte davanti della nave opposta a poppa.
546
100
ANTONIO BACCAREDDA
– A quanto pare ho fatto un lungo sonno e buono, amico
mio! – disse il Sulis con voce rauca e sommessa, sollevando lievemente la testa e stropicciandosi gli occhi.
– Vossignoria può dormire ancora un poco – soggiunse il
patrone – È appena l’alba.
Sulis a questo si pose a sedere, muovendo intorno a sé un’attenta occhiata.
– L’alba diggià? – disse con sorpresa e insieme con viva compiacenza.
– Sicuro! Solo che ci si raccapezza poco con questo tramonto
di luna.
– Di fatti, io non saprei orizzontarmi bene. Secondo me il
maggior chiarore dovrebbe venire da questa banda549 a sinistra, e
invece me lo veggo a destra.
– È l’effetto della luna; un’illusione e nulla più. Bisogna esser
marino550 per saper ben distinguere queste cose.
– Oh lo capisco benissimo! – soggiunse ingenuamente il Sulis
– Io sono animale di terra. Si può dire che il mio viaggio più
lungo fu da Santa Gilla alla Illetta. Or vedi che cosa è il saperne
poco, e il trovarsi in alto mare! Io avrei giurato che quella stella
che ci sta proprio di fronte sarebbe stata la Corona-boreale551,
mentre a noi che siamo quasi rivolti verso Oriente riesce impossibile il vederla guardando a prua.
– Staremmo freschi per bacco! Non ci mancherebbe altro!
Frattanto il Sulis si era alzato in piedi, e guardando giusta la
direzione della feluca, escì in questa interrogazione:
– Come, siamo vicini a toccar terra?
– Lo credo! Oh che pensava che si volesse andare a Costantinopoli?
– No no, ma quella – continuava il fuggiasco con crescente
esitanza, e facendo atto cogli occhi di meglio acuire ed affissare lo
sguardo – ma quella... Diamine! Oh che illusione!... Ma non pare
anche a voi che quella là... Non vedete a destra?... Quella è la torre
dei segnali!
– Oh cotesta è bella! Veramente non saprei nemmeno io...
549
Parte.
Esperto di cose di mare e di navigazione.
551 Si dice che intorno alla luna vi è la corona per indicare la parte da cui nasce il
vento; in questo caso, la borea, il vento gelido del nord.
550
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
101
– Non lo sapete voi?... Come è possibile questo? Voi non
potete aver preso un sì grosso abbaglio.
Voltosi poi al cognato, e scossolo fortemente, lo chiamò due
o tre volte di seguito:
– Che vi è? – disse Giambattista, mostrandosi nuovo552 di
quanto accadeva, e dando di furto una dispettosa553 occhiata al
patrone.
– Vieni vieni e vedrai! – ripigliò il Sulis nel massimo grado di
orgasmo.
Indi voltosi indistintamente ai marinai:
– E voi intanto virate – disse – o non saremo più in tempo!
– Sentiamo che dirà il suo cognato – riprese a dire lo Scotto
ammiccando554 al Rossi, e curvandosi sul timone per evitare lo
sguardo esploratore di Sulis.
– Non ti par egli la Torre dei segnali quella? Vedi a destra la
Via del diavolo555, e ancor più in là a destra il forte di Sant’Elia?
– Sì! – replicò asciuttamente il cognato.
– Ma dunque si ritorna a Cagliari?
– Sì!
– Dici davvero?
– Sì! Oh che non si va forse in terra amica? – chiese il Rossi al
patrone, con fronte invetrita556, però parlando come un balbuziente.
– Dunque, mio Dio, questo è un tradimento!
Giambattista non rispose e voltò le spalle facendo i sordi orecchi557.
– Come, tu non osi rispondermi, né guardarmi in viso? Ehi
parlo a te, Giambattista!... rispondimi; è questo un tradimento, e
sei tu il Giuda!... Dimmi, dimmi almeno che non hai complici...
Che la mia consorte?...
L’altro lo guardò fiso tacendo, e gli fece un sorriso infernale.
552
Ignaro.
Sdegnosa, sprezzante.
554 Facendo l’occhiolino.
555 Nel capo Sant’Elia, la valle fra l’omonima torre e quella del Poeta è detta Sella
del diavolo per la sua forma concava: “il passaggio vicino alla testa della sella è
appellato il cammino del diavolo” (G. SPANO, Guida della città di Cagliari, cit., n.
1, p. 383).
556 Immobile, divenuta simile al vetro.
557 Come se fosse sordo.
553
102
ANTONIO BACCAREDDA
Non potendo più contenere l’ira sua, il Sulis si avventò contro il cognato con izza558 talmente feroce, che lo avrebbe stroncato, se la sua forza fosse stata pari al suo furore. Ma tutti gli furono sopra di repente559, e per comando di Niccola Scotto, trascinandolo di forza, lo addossarono contro la spalletta dell’opera
morta560. Egli tentò allora di gettarsi in mare; ma questo tentativo gli mancò pure, però che le persone dell’equipaggio lo prevenissero tenendolo ben bene agguantato colle poderose loro mani.
Quel suo sdegno sparì in un baleno per altro, essendoché il
Sulis esercitasse un impero straordinario561 sulle proprie passioni.
– Lasciatemi, via! – egli disse subito con dignitosa calma – Vi
giuro sull’anima mia, che non porrò più le mie mani sopra di voi.
Tutta l’acqua del mare non basterebbe a lavarle della vostra sozzura562. State tranquilli che io non mi muoverò dal posto ove vorrete che rimanga; poiché non voglio defraudarvi563 la mercede
che vi siete così nobilmente guadagnata. State pure coll’occhio
teso su di me, ma non vi accostate, ve ne prego, non vi accostate!
Nella feluca regnava un profondo silenzio; non vi era un solo
che osasse articolar parola o innalzare lo sguardo sul viso dell’altro. Soltanto il Sulis sedutosi in mezzo del legno a maggior garantia564 dei suoi prezzolati birri565, or l’uno or l’altro di essi fulminava col suo sguardo penetrante e accusatore. Ad ora ad ora566 un
sorriso lieve ed amaro sfiorava le sue labbra.
Frattanto la navicella si affrettava alla fine del suo glorioso
viaggio; e già la città di Cagliari erasi offerta allo sguardo del fuggitivo, quando fu visto un grosso legno da guerra, colle vele spiegate al vento, dirigere la prora567 verso la feluca.
– State tranquilli, amici miei, ché tutto fu fatto a seconda
della intesa avuta! Ecco là quel bastimento da guerra che muove
558
Stizza, ira.
Locuzione avverbiale, vale immediatamente.
560 L’opera morta è la parte della nave dalla coperta in su.
561 Dominio assoluto.
562 Sudiceria.
563 Privarvi, derubarvi.
564 Arcaismo per garanzia.
565 Persecutori mercenari.
566 Di tanto in tanto.
567 Arcaismo per prua.
559
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
103
difilato568 verso di noi. Oh hanno issata la bandiera! È questo il
segnale non è vero? È riserbata a grandi e nobili fatti quella bandiera!... Tommaso569 Scotto, vecchio marinaro, occhio al timone,
da bravo! Che non ci capiti la svista di questa notte!... Vi fareste
burlar troppo, in fede mia!... Ma non vi è più pericolo!... Non
vedete il cavalier Mameli, che vi accenna a fermarvi(56)?
La570 feluca si fermò di fatti sui remi. Vincenzo Sulis stette ad
attendere con impazienza che si gettasse dal legno catturante lo
schifo in mare, il che non si fece attender molto; onde egli vi si
slanciò animosamente, e voltosi al padrone, così gli disse:
– Addio, Niccola Scotto! Risovvenendoti di questo bel giorno
a buona ragione potrai ricantare per conto tuo che
Al marinaro è inospite
Il gaudio dell’amor571.
E vivrai giorni tristi, non pensare, se il cielo non ti torrà572 la
memoria!
Rivolgendosi di poi ai soldati che erano nello stesso schifo per
assicurarsi della sua persona:
– Eccomi in vostro potere – gridò nella massima esasperazione del dolore – So che mi attende e basta! Nondimeno benedetti
voi, che consegnandomi al carnefice, mi liberate dalla vista di
quel traditore – e così dicendo indicò il Rossi – Eccolo là, lo vedete? È quel desso che ora ai vostri occhi si presenta come la larva
d’un uomo573!
Il sole in quel punto sorse mostrandosi sull’orizzonte maestoso e splendido, come per assistere ad una festa solenne. Ma perché d’altronde indietreggerebbe inorridito come fece per
(56) Raimondo Mameli, comandante di uno dei legni da guerra del
naviglio sardo.
568
Diritto, veloce.
È questo il nome reale dello Scotto (riportato da P. TOLA, op. cit., p. 245); per
un’evidente svista il Baccaredda lo propone solo in questo caso, mentre nel resto
del romanzo lo chiama Niccola.
570 As Le.
571 Baccaredda fa qui ripetere al Sulis il ritornello della canzone intonata dallo
Scotto la notte prima.
572 Arcaismo per toglierà.
573 Spirito di chi è stato malvagio in vita, secondo una credenza dei Romani.
569
104
ANTONIO BACCAREDDA
Atreo574? La natura è sempre più morale, è più provvida delle
nostre storie e dei nostri miti. Si rimarrebbe sempre al buio, a scapito dei buoni e a tutto benefizio dei tristi!
574 Figlio di Pelope e di Ippodamia e fratello di Tieste. Divenuto ingiustamente re
di Micene, suscitò l’ira di Tieste che spinse uno dei figli di Atreo, rapito da bambino, ad uccidere il padre a propria insaputa, ma fermato da Atreo, che non lo
riconobbe, fu a sua volta ucciso. Venuto a conoscenza dell’inganno di Tieste,
Atreo, per vendicarsi, finse di aver perdonato il fratello e lo invitò a cena, facendogli mangiare i corpi di due dei suoi figli.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
105
XII.
La domane575 di questo fatto glorioso, Giambattista, secondo
l’intelligenza avuta collo Scotto si recò verso le dieci del mattino
in piazza d’armi.
– To’! – disse ponendo in mano del patrone un pesante involto di danaro – questo è il fatto tuo; buon pro’ ti faccia.
Lo Scotto prese il danaro, e senza alzar gli occhi da terra mormorò fra i denti:
– A un’altra volta, compare Rossi!
– Non temere, che non mancheranno altre congiunture576;
tanto ora mi sono ingolfato nella politica577. A proposito, come
ti pare che se l’abbia presa l’amico?
– Non so veh! Io non badava che al mio fare.
– Veramente neppur io osava guardarlo: gliel’abbiamo fatta
nera578 davvero!
– Dal modo con cui parlava mi è parso che se l’abbia bevuta
come un sorso d’acquavite579. Rammenti quei due versi della mia
canzone, che ha ripetuto nel partir dalla feluca?... Ebbene, lo crederesti? Mi hanno fatto una certa impressione, che non saprei
spiegarti. Sull’anima mia! Sembrava che dicesse: Dio, dagli il
malanno!... Capisco da me che sono sciocchezze, eppure...
– Eppure non sono che sciocchezze. Soprattutto, compare,
nessun rimorso. Senti, a me la coscienza non rimorde più580 per
questo bel giochetto che le ho fatto una volta. Questa signora
coscienza, mentre era ancora piccina piccina, si fe’ lecito un bel
giorno di farmi sentire i suoi acuti dentini; ma la prima fu anche
l’ultima volta sai? Perché io dato di piglio ad una buona tanaglia581, o chiave inglese che sia, le levai tutti, tutti i denti di netto.
Come vedi, ora la coscienza non può più rispondermi.
575
L’indomani.
Occasioni.
577 Mi sono inoltrato nel mare della politica.
578 La locuzione è usata per indicare il compimento di azioni spropositate e malvagie, a danno altrui.
579 As Acquavita. L’espressione vale bevuta tutto d’un fiato, ma avvertendo poi il
bruciore del liquore.
580 rimorde più per rimorde, più come richiesto dall’errata corrige.
581 Presa una buona tenaglia.
576
106
ANTONIO BACCAREDDA
Giambattista Rossi non era un uomo volgare né pensando, né
oprando582.
– Ebbene, quando è così, mi procurerò anch’io cotesta benedetta chiave inglese – disse lo Scotto, allontanandosi dal Rossi583
con un sorriso, e dandogli una buona stretta di mano.
La tradizione storica non afferma recisamente584 che il Rossi
si conducesse per venale proposito a compiere così nefanda585
impresa a danno del cognato(57); forse il lucro reale ei cedette
intiero allo Scotto, per assaporare dappoi la perfida soddisfazione
di mostrarsi alla consorte della sua vittima pienamente vendicato
delle aperte e replicate repulse586, che essa avea dato alle colpevoli e incestuose587 sue profferte d’amore. Ciò che deliberò di fare
non così tosto ebbe lasciato il degno suo complice.
Presentandosi a lei, egli affettava non ostante la sicurezza
disinvolta dell’uomo incolpato e insieme l’espressione del più
gran dolore per il triste caso in cui sarebbesi impigliato588 per
amore di lei. Ed è qui giusto il dire che la sciagurata, visto l’estremo periglio589 in cui versava il marito, credette alle simulate
(57) Martini, op. cit., pag. 45 nota (2) nell’istessa paginaLII.
582
Agendo.
dal Rossi per dal Rossi. come richiesto dall’errata corrige.
584 Decisamente, avverbio da reciso, di netto.
585 Turpe.
586 Arcaismo di ripulse, ostinati rifiuti.
587 Perché i due sono cognati.
588 Compromesso.
589 Forma letteraria per pericolo.
583
LII “Lo Scotto, inteso col Rossi, esigette di fatto la taglia. È vero che nelle carte
della regia segreteria di stato esiste una dichiarazione del 23 settembre 1799, dove
d’ordine del duca del Genevese, allora viceré, si dice che il patrone Scotto non
aveva avuto parte alcuna nell’arresto di Sulis, e quindi né il taglione né alcuna
sorta di compenso: e che in vece l’arresto veniva praticato d’ordine immediato del
governo dalle persone a tal fine comandate. Però esistono un ordine del segretario
di stato del 16 aprile 1801, a Cosimo Canelles, giudice della reale udienza, perché
dal valore dei di lui beni sequestrati passasse alla stessa segreteria i cinquecento
scudi del taglione per consegnarli alla persona cui era dovuto e che volle rimanere segreta; ed una posteriore memoria della segreteria di stato del 18 settembre
1811, al Canelles, dove si accenna a 800 scudi dati al napolitano. Questi non poteva essere altro che lo Scotto” (P. MARTINI, op. cit., n. 2, pp. 45-46. Il corsivo è del
testo).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
107
offerte del cognato, e candidamente confidatogli il geloso segreto
circa il luogo in cui avea riparato il consorte, non si era nemmeno peritata a blandirlo590, rendendo non solo meno aspri e palesi i suoi rifiuti, ma mostrandoglisi un tal pochino benigna e
discreta parente. Come avrebbe potuto meglio destreggiarsi fra il
danno irreparabile della cattura del marito e la convenienza di
lusingare o almeno di non inasprire il cognato, dal quale appunto si prometteva la salvezza del marito istesso? A schermirsi591
dalle insidie di Giambattista, per quanto pertinaci592 e violente,
si sapeva abile e forte abbastanza; non così a resistere al terrore che
l’assaliva all’idea della sciagura che sovrastava al consorte.
– Dunque? – chiese nella massima costernazione la consapevole moglie del Sulis, al vedere il suo cognato.
– Tutto è perduto, Vincenza mia! – rispose l’altro, reclinando
la testa con aria di abbandono e di compunzione593.
– Ma come avvenne ciò, come? Dimmelo! Oh Dio! Temo di
diventar pazza, io!
– Tranquillati594 via! Siamo stati tutti vittime di un abbominevole595 inganno...
– Sì, sì, di un tradimento! Dillo col suo vero nome; questo è,
di un tradimento! E tu...
– Ed io? – interruppe l’altro con veemenza.
Susseguirono a questa interrogazione parecchi momenti di
silenzio, durante i quali Vincenza, collo sguardo fitto negli occhi
del cognato, si attentava di scrutare l’intimo arcano del suo
cuore596.
– Io – continuò a dire il Rossi per evitare colla concitazione
del discorso il molesto esplorare dell’altra – io è troppo se mi
veggo tuttavia salvo597... Anzi non è tempo ancora di cantar vit-
590
Preoccupata di lusingarlo.
Difendersi. Il verbo schermire ha origine dal gioco della scherma e dall’alternanza tiro/difesa con la spada.
592 Ostinate.
593 Atteggiamento di dolore.
594 Dal verbo tranquillare, nel significato di farsi tranquillo, quindi tranquillizzati.
595 Arcaismo per abominevole, terribile.
596 Con lo sguardo fisso negli occhi del cognato, tentava di scoprire il segreto che
nascondeva intimamente.
597 Se sono salvo nonostante quanto accaduto.
591
108
ANTONIO BACCAREDDA
toria. E nemmeno il patrone Scotto... Oh nemmeno esso se la svignerà598!... Saremo tutti accusati come complici di Vincenzo...
Sai che con Villamarina queste cose non passano mai senza
danno.
– Di fatti il vederti oggi dinanzi a me libero e tranquillo,
non...
– Che forse non credi – interruppe il cognato sdegnosamente
– che quel furbo spacciato non l’abbia fatto a posta per farmi
comparire un traditore, e così scagionare il governo dalla taccia599
di aver esso ordito quella triste gherminella contro il povero Vincenzo?
– Ma voi altri eravate in alto mare; nessuno sapeva della vostra
fuga, e se il patrone era un uomo fidato...
– Fidatissimo!... Oh quanto a questo metterei le mie mani nel
fuoco, vedi! Ma un grosso legno da guerra che se ne va colle sue
grandi vele spiegate, e che ti minaccia coi suoi cannoni, fa presto
sai a raggiungere una meschina600 feluca, come era la nostra...
Quanto poi al non sapersi nulla della nostra fuga, io non potrei
giurarlo... Un’ombra nera mi è parso d’averla vista... Non so,
potrò essermi ingannato, ma qualcuno ha seguito i nostri passi fin
presso al colle di Bonaria... Oh ma non disperarti così, mia Vincenza! Non sarà nulla...
– Già, non sarà nulla – soggiunse l’altra singhiozzando.
– Credi a me, sono i soliti spauracchi601 di un governo che
teme e che sa di essere debole. E poi, chi oserebbe di torcere un
sol capello a Vincenzo Sulis? Pensi tu che lo soffrirebbe il popolo? Sarebbe una seconda di cambio dell’arresto del Cabras e del
Pintor. Sta certa che questo vorrà essere un cattivo affare per il
governo. Lascia che la notizia sia ben divulgata, e vedrai.
– Tutto questo, oh Dio, può essere, ma quello di aver messo
la sua testa a prezzo!...
– Le solite spagnolate di Villamarina.
– L’intentargli602 un processo così terribile...
598
Scamperà. L’espressione viene da fuggire dalla vigna, quando colui che vi è
andato per rubare l’uva viene rincorso dai vignaioli.
599 Accusa, imputazione.
600 Inadeguata.
601 Spaventapasseri, persona o cosa che provoca paura.
602 Promuovere contro di lui.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
109
– Quanto più terribile in apparenza, tanto più ridicolo in
realtà. Nessuno farà più di quello che il re e i suoi ministri permetteranno che si faccia. O che non lo conti più per nulla il
duca603?... E che, vorresti che lo abbandonasse ora, perché ei non
si trova appunto in Sardegna?...
– Lo faccia il cielo604!
– Vedrai!... Ed ora che ti veggo alquanto più tranquilla,
rispondimi, vale egli la pena che tu ti rammarichi tanto?... Uno o
due giorni al più... e poi rivedrai il tuo Vincenzo...
– Dio mio! – esclamò l’altra raggiante di gioia.
– E lo rivedrà pure...
– Chi? – chiese Vincenza scurandosi605 in viso.
– Non far la semplice... Essa pure ne gioirà.
– Chi?
– Via, la tua cugina!
– La sua, devi dire.
– Sua o tua, non è tutto in comune fra voi? – così dicendo,
guardò la cognata con occhi espressivi e le posò la mano sopra
una spalla, con atto di grandissima confidenza.
– No signore – esclamò Vincenza con vivacità, afferrando di
mal garbo la mano dell’altro, e respingendola lungi da sé con
impeto sdegnoso. – Sarà sua soltanto... Né io voglio saper altro!
Il Rossi replicò l’atto di prima, e la cognata lo respinse del
pari606, scostandosi di qualche passo da lui.
– Tu non sarai di nessuno allora, tu che sei così bella e così
sensibile?
– Quando non sarò di mio marito, sarò della morte, io!
– Sono bellissime parole queste, ma le vedove non usano parlar così – e le carezzò mollemente una guancia, come si farebbe ad
un fanciullo.
– Oh finiamola! – gridò l’altra stizzita; e percosse fortemente
colla sua la mano dell’insolente.
– È ciò che voleva dire anch’io... Sì, finiamola! Queste smorfie non si convengono607 più al tuo stato. Ventiquattr’ore fa tu eri
603
Il duca d’Aosta, che si era mostrato benevolo con il Sulis.
Espressione popolare per ci pensi Dio.
605 Accigliandosi, incupendosi.
606 Locuzione avverbiale per parimenti, ugualmente.
607 Non si addicono.
604
110
ANTONIO BACCAREDDA
meco docile, ragionevole e fin carezzevole,608 se ben ti rammenti.
Via via! Sii buonina609 con chi ti ama ancora, nonostante i tuoi
sgarbi continui. Colla tua mala grazia mi faresti gettare al disperato610, vedi!
– Scostati, traditore! – gridò Vincenza, puntando con forza il
palmo della mano contro il petto dell’altro, e respingendolo da sé;
indi mosse per uscire dalla stanza, ma il Rossi la raggiunse tosto e
l’afferrò per le mani con rabbia felina.
– L’hai detta la gran parola finalmente! L’hai detta e ti sei
apposta611!... Sì, che lo fui, ma per te solo; epperò non credere che
io mi lasci sfuggire il destro612 di averne la ricompensa che ne sperai. Tu dovrai esser mia, crollasse il mondo, vedi, tu lo dovrai!
– Non mi fai paura, no! Tu tieni strette le mie deboli mani,
ma io ho libera sempre la mia volontà. L’anima è mia sempre, e
con tutta l’anima mia ti dirò: Giambattista Rossi, traditore di
Vincenzo Sulis, io ti odio!
– Non so che farmene del tuo amore, né voglio l’anima tua –
balbettò egli fremendo e schizzando fuoco dagli occhi.
Dette appena queste parole, gettò d’improvviso le sue braccia
sul collo della infelice; ma questa non si perdette di coraggio, e lo
ributtò613 e gli resistette con istraordinaria gagliardia; onde s’impegnò fra essi una lotta fierissima.
Il Rossi era un uomo nerboruto614 e violento; era poi a tutto
deliberato615 contro quella povera donna; ma l’istessa rabbia che
lo divorava, il fomite616 istesso della sua turpe passione, produssero in lui un orgasmo così forte, e un così frequente anelito617,
che dovette abbandonare il pensiero di più oltre cimentarsi colla
cognata, alla quale nel combattimento s’ingagliardivano ognor
più la forza ed il coraggio. Però quel temerario non lasciò libera
608
carezzevole, per carezzevole come richiesto dall’errata corrige.
Gentile, generosa.
610 Cadere nella disperazione.
611 Hai indovinato.
612 L’occasione propizia.
613 Respinse.
614 Di grossi e forti nervi, quindi con una certa muscolatura.
615 Deciso, determinato.
616 Causa ed eccitamento al male.
617 Desiderio ardente.
609
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
111
Vincenza se non quando trascinatala coll’estremo di sua possa618
verso l’uscio ebbe modo di chiuderlo a doppia mandata di chiave619.
– Tregua! – disse egli sbuffando come un leone – Tregua!... Ed
ora ascoltami!... Di noi si vedrà col tempo chi seppe veramente
perseverare nel suo proposito... Rammentati di questo giorno
però!...
– Certamente!
– I tuoi sciocchi rifiuti di tempo fa produssero il fatto d’ieri;
un altro e più tremendo ne produrranno i tuoi d’oggi. A me già,
o per un verso o per l’altro, tu procaccierai voluttà ineffabili620.
Senti, tu dovrai raccapricciare di spavento solo all’udire il mio
nome; perché io ti renderò tanto infelice, che non ti rimarranno
nemmeno lagrime per piangere la tua sventura!
– Questo accadrà a te, o Giuda, non dubitare!
– Ma il cuore non ti porge proprio nulla sulla sorte del tuo
Vincenzo?
– Io confido nella giustizia.
– Bada che quando un Villamarina dice voglio, e un Giuseppe Valentino stringe la penna, il carnefice appresta il nodo scorsoio!
– Oh Dio! E si possono dire cotai cose con tanto sangue freddo, e ad una disgraziata quale io mi sono?
– Per maggior tuo dolore sappi che agli occhi di Vincenzo tu
sei la mia complice, e il serpente tentatore. In queste cose, capisci, parere è lo stesso che essere.
– Mostro! Tu dunque meditavi da lungo tempo la nostra rovina! Ed io stolta ed inesperta consegnai il mio povero Vincenzo
nelle mani del suo traditore.
– Come, non sai che la vendetta si mangia fredda?
– Ah è vero! Tu sei corso621.
– Io sono corso622, italiano, uomo sono... E che! Doveva
618
Forza.
Con due giri di chiave. La mandata è lo scatto del paletto della serratura, ottenuto con il giro di chiave nella toppa.
620 Causerai piaceri inesprimibili.
621 corso per Corso come richiesto dall’errata corrige.
622 corso per Corso come richiesto dall’errata corrige.
619
112
ANTONIO BACCAREDDA
godermi in pace la tua fedeltà ad un uomo, la cui fortuna e i cui
trionfi mi erano come tante spine al cuore? Io lo vidi onorato,
potente, temuto, tutto essere; ho dovuto pur io onorarlo e temerlo. Da lunga stagione quindi fermai in cuore di abbattere un
tanto uomo, e di adeguarlo623 ai miei piedi. Veggo finalmente nei
tuoi occhi quel pianto che ti profetai624 nella giusta mia collera.
Io non conosco le gioie dell’innocenza; sento che la colpa ha pur
essa le sue gioie, e che queste sono intime e potenti quanto altre
mai! Addio!
Dette queste parole aprì l’uscio e partì.
– Giuda! – gridò Vincenza con tremenda voce, mentre l’altro
scendeva le scale.
Questo grido gl’intronò gli orecchi625 e gli echeggiò nel cuore;
e quando, transitando626 per le vie di Cagliari vedea che la gente
lo guardava in cagnesco e lo segnava a dito, mormorando inintelligibili parole627, quel grido gli risuonava agli orecchi come per
sintetizzare tali atti e parole di malevolenza.
Abbattendosi628 a passare dinanzi alla casa di Villamarina,
volle rinfrancarsi delle sofferte emozioni coi complimenti dell’uomo di governo soddisfatto.
– Annunziatemi al generale – egli disse ad uno dei soldati
d’ordinanza629 che stavano nell’ufficio di Villamarina – Ditegli
che Giambattista Rossi desidera di ossequiarlo.
L’ordinanza fece l’ambasciata630. Nel ritornare si rivolse bruscamente al Rossi con queste parole:
– Il marchese chiede se voi siete stato soddisfatto del vostro
avere631?
– Sì...
623
Portarlo alla stessa altezza.
Predissi.
625 Lo stordì, come accade con il rumore del tuono.
626 Passando.
627 La gente lo guardava in modo ostile e minaccioso indicandolo e mormorando
parole incomprensibili.
628 Trovandosi improvvisamente.
629 Cioè di coloro che svolgevano l’incarico di servizio e di assistenza al loro superiore in armi.
630 Riferì il messaggio.
631 Di quanto ricevuto come compenso.
624
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
113
– Ebbene, non occorre altro per ora; potete partire.
– Ma io desidero salutarlo... E poi...
– Egli ve ne dispensa632.
– Avrete frainteso...
– Il marchese non vuol ricevervi. Se ciò non vi basta, siete voi
che volete fraintendere.
Un congedo dato in tal guisa si capiva benissimo dal Rossi che
significato si avesse; onde chinato a terra lo sguardo partì, sentendosi tutto ad un tratto gelare le membra, e bruciar le guance
di vergogna.
– Che alterigia633! – borbottò fra sé – In cotesti e simil traffici chi compra forse è migliore di chi vende?
Intanto nel taccuino della propria coscienza egli scrisse – Uno!
632
633
Vi esonera.
Superbia.
114
ANTONIO BACCAREDDA
XIII.
Una congiura suppone dei congiurati; un capo congiurato
suppone degli altri congiurati sotto di lui; ed ecco che per condurre a fine una sì triste commedia si ebbe la fronte634, nel giorno istesso dell’arresto del Sulis, di far imprigionare una moltitudine di altri cittadini, accusati di complicità nell’aerea635 cospirazione contro la vita del re e della reale famiglia. Quali potevano
essere poi cotesti complici? Era naturale! Gli antichi seguaci del
capopopolo di Cagliari, e coloro che ne erano stati per più tempo
gli scherani636.
Il processo affidato a Giuseppe Valentino procedeva a gonfie
vele. Nel dì sette del successivo novembre il viceré Carlo Felice637
creava una specie d’alta Corte di giustizia, composta di cinque
magistrati, che fedeli e concordi rispondessero al sanguinario Villamarina. In somma si chiedeva una sentenza di morte, e morte
era dovunque Giuseppe Valentino influiva come magistrato, o
come consigliere di Stato, o come Commissario del governo(58).
Carlo Felice, a dir vero, non dovea veder molto chiaro in quella matassata638 di processo politico. Frammezzo a quelle lustre639
di legalità e di devozione alla corona egli scerneva640 un non so
che di misterioso e d’indefinito; però vedea gli unghioni, ma non
(58) Martini, op. cit., pag. 11LIII.
634
Locuzione per ebbe l’ardire.
Senza fondamento, falsa.
636 Assassini.
637 Carlo Felice (1765-1831) fu viceré di Sardegna dal 1799 al 1806, sotto il fratello Carlo Emanuele IV; quindi dal 1814 al 1821 sotto il fratello Vittorio Emanuele I. Alla rinuncia al trono di quest’ultimo divenne egli stesso re di Sardegna
(cfr. F. C. CASULA, op. cit., p. 329).
638 Insieme di matasse, ovvero di trame ordite a danno del Sulis.
639 Simulazioni seducenti per buttare polvere negli occhi, vale apparenze, ma
anche covo di belve e Baccaredda gioca su questa bivalenza con la successiva espressione “vedea gli unghioni, ma non le tigri”, a sottolineare l’incapacità regale di
capire a fondo gli avvenimenti.
640 Distingueva, intravedeva.
635
LIII “Giuseppe Valentino, strumento di dispotismo più stamentario che viceregale, immolava sovra i rizzati patiboli i seguaci dell’Angioi” (P. MARTINI, op. cit., p.
11).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
115
le tigri. Il dabbenuomo credette di scongiurare ogni possibile
pericolo decretando nel 16 del susseguente dicembre, che ai cinque già designati a giudicare il Sulis altri due se ne aggiungessero,
e fra questi ultimi, l’onorando641 d. Gavino Nieddu giudice della
Reale Udienza.
Come è che Carlo Felice non si chiese in quella vece il perché
quel gran colpevole, amico sincero dell’ordine, monarchico fino
alle midolla, devoto alla reale famiglia e protetto dall’istesso duca
d’Aosta, fosse così accanitamente perseguitato dai fautori dell’ordine pubblico, dai servitori della corona, e per di più accusato di
fellonia?
Ma Carlo Felice era un povero mortale, nato per stare alla
coda, non alla testa degli uomini642; un essere che avendo le abitudini di un ruminante643, del ruminante avea pur la mente ed il
carattere, con tuttoché un animo retto avesse e così informato a
giustizia, che per amore di essa soventi volte commetteva atti, non
pure iniqui, ma contrari altresì a giustizia. Fin l’unica virtù sua
partecipava della natura mulina644.
Non è quindi da stupire che egli governasse alla guisa di Claudio645, colla mente e la volontà dei suoi consiglieri, che non valevano proprio una patacca646.
Era veramente mirabile il vedere tanti uomini autorevoli e di
alto paraggio647 concertare cotesto gran quisito648 criminale, arrabattarvisi attorno per quasi un anno, e proporlo poi a risolvere in
un sol giorno al povero Sulis.
Tuttavia se animose le accuse, se torbide le intenzioni, se
potenti le volontà in quel processo degno del medio evo, eranvi
641
Degno di essere onorato, da onorare.
Prendere l’ultimo posto anziché comandare.
643 Cioè di quei mammiferi che ingoiano rapidamente molto cibo e lo rimasticano poi lentamente, immagine resa in senso figurato che vale riconsiderare con il
pensiero.
644 Dei muli.
645 Claudio, zio di Caligola, fu eletto imperatore nel 41. Nel suo governo, lasciò
che lo consigliassero i liberti e le mogli; numerose furono le congiure contro la sua
persona, ma gli furono fatali i suoi stessi familiari, che lo uccisero nel 54.
646 Moneta di poco valore, per cui l’espressione sta per non valevano nulla.
647 Condizione sociale.
648 Forma popolare per quesito.
642
116
ANTONIO BACCAREDDA
nel foro cagliaritano assai chiare intelligenze più del bisogno capaci a distrigare sì arruffato problema649; eranvi fra essi uomini consigliati, coraggiosi e di carattere, i quali lodatori del fortunato tribuno fino alla sazietà, non avrebbero certo patito che egli nell’ora della disdetta650 avesse a sottostare alle scempie accuse dei suoi
sfrontati nemici. E poi come sostenere che un Costantino
Musio651 fosse l’avvocato regio del fisco652 con voto deliberativo,
egli che avea con tanta ingratitudine dettato il libello d’accusa,
qualificando il Sulis reo d’alto tradimento(59)? Quel desso che il
medesimo Sulis nell’infausto 1795 campò653 dall’ira popolare, la
quale avea sì barbaramente immolato i rimpianti Pitzolo e La Planargia(60)?
Bisognava dunque reagire contro sì immani iniquità, e farsi
tutti a gara a patrocinarlo654 con animo ardente, onde non si avesse a dir mai che essi erano stati gli adulatori codardi dell’uomo
fortunato e potente... Ma il difensore di Vincenzo Sulis fu d’uo(59) Martini, op. cit., pag. 65LIV; e Tola, op. cit., articolo Vincenzo SulisLV.
(60) Martini, op. cit., pag. 27; nota (2) nell’istessa paginaLVI.
649
Vi erano nel Palazzo di Giustizia di Cagliari molte persone in grado di districare perfettamente un caso tanto contorto.
650 Sfortuna.
651 Costantino Musio (1760-1844), avvocato, fu segretario generale del marchese
della Planargia, fece parte della commissione incaricata di giudicare il Sulis in qualità di reggente provvisionale dell’Ufficio dell’Avvocato Fiscale Generale.
652 fisco per fisco, come richiesto dall’errata corrige.
653 Scampò, sfuggì.
654 Reagire contro tanto gravi ingiustizie e fare a gara per sostenerlo.
LIV
“Musio poscia dettò il libello d’accusa, qualificando Sulis reo d’alto tradimento, come capo orditore, indi alla venuta del re, di vasta congiura, per rovesciarne
il governo” (P. MARTINI, op. cit., p. 66).
LV In realtà, il Tola non fa alcun riferimento al Musio e al capo d’imputazione in
base al quale il Sulis venne condannato.
LVI “Nel giorno immediato al trucidamento del Pitzolo ed all’arresto del marchese della Planargia furono incarcerati dalla plebe il Pau, gli allora avvocati patrocinanti Antonio Pasella e Costantino Musio, ed il cav. Agostino Carta: i quali per
Sulis, Cabras e Sisternes si salvarono da danni maggiori. Giuseppe Valentino fuggì
da Cagliari” (P. MARTINI, op. cit., n. 2, p. 27).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
117
po655 nominarlo d’ufficio nella persona di Antonio Melis, sostituto dell’avvocato dei poveri presso la reale udienza(61)!
Il lettore freni la sua sorpresa.
Nelle 24 ore concesse a quel povero Cireneo656 per meditare
l’ardua difesa, la sua abitazione fu del continuo e d’ogni intorno
custodita da bajonette657.
Queste cose si facevano in Cagliari nel mese dei fiori658, e nell’anno di grazia 1800.
Venne finalmente il giorno posto per il giudizio del capocongiurato, che come tale ebbe la preminenza659 su gli altri congiurati, e l’alto privilegio di essere il solo a riportare la condanna. Per
i complici suoi, il pudore di quei giudici non poté sostenere che
si profferissero altre sentenze, sebbene agli uomini dell’ordine riescisse agevole di tenerli in carcere per tutto il tempo che loro piacque: per dieci, quindici ed anche vent’anni.
Pajono cose incredibili; ma la storia di tutti i giorni ci avvezza purtroppo ad essere di facile fede nelle cose turpi e vituperevoli660.
Chi volesse avere un’idea, così a occhio e croce, del famoso tribunale di Sant’Uffizio che giudicò il Sulis, non ha che a recarsi in
memoria le così dette economiche661 che si facevano in Cagliari
sotto i bei tempi del viceré Montiglio, e del luogotenente DeAssarta662, di cara e soavissima memoria. Per chi poi non se ne
(61) Martini, op. cit., pag. 66LVII.
655
Locuzione per necessario.
Chi fatica per un altro o ne porta la pena, dal nome di colui che aiutò Cristo
a portare la croce fino al Golgota.
657 Arma bianca da punta che si innesta in cima al fucile.
658 Maggio.
659 Precedenza perché più importante.
660 La storia quotidiana ci abitua anche a fidarci in situazioni disonorevoli.
661 Giudizi sommari; Baccaredda spiega l’espressione poco oltre.
662 Giuseppe Maria Montiglio (1768-1840), viceré di Sardegna con funzioni luogotenenziali, esercitò un’amministrazione attiva, legata alla funzionalità dei trasporti e alle divisioni territoriali avviate con l’Editto delle Chiudende. Suo succes656
LVII “Dappoiché ne ricusarono il patrocinio i più chiari uomini del foro, e tra questi i di lui piaggiatori nei giorni della sua potenza, per debito d’ufficio lo assunse
Antonio Melis, sostituto dell’avvocato dei poveri presso alla reale udienza” (P.
MARTINI, op. cit., p. 66).
118
ANTONIO BACCAREDDA
rammentasse o nol sapesse, dirò queste due parole: – Erano le
economiche certi giudizi improvvisi, statari, inappellabili, nei
quali si faceva economia di tutto – di tempo, di giustizia e d’umanità, tranne che di corda663. Questi giudizi, nei quali i miseri
accusati che vi capitavano sotto, rimanevano spesso anche indifesi, produssero i loro frutti saporosi664 e stupendi, mandando talvolta al patibolo di tali che furono indi per regio Editto proclamati innocenti e riabilitati nel nome. La carta stampata fin da
quei tempi aggiustava di grandi cose!
Per altro da un governo che si arrogava la santa missione, e
con essa, la santissima intenzione di educare la Sardegna, si poteva bene anche per isbaglio ricevere di simili ceffate665. Peccato che
le venivano sempre da una mano infame! Ma forse era nell’ordine delle cose.
Già sul capo del Sulis pendeva la morte, quando Nieddu (uno
dei suoi giudici) pigliava a parlare. Con grand’animo giudicollo
innocente, ed al suo giudizio due dei colleghi del già pronunciato voto
di morte si ricredettero. Preso allora maggior lena e coraggio, resistette alla maggioranza, che voleva firmasse egli la sentenza capitale, e le
oppose, agli atti notoriamente ingiusti non estendersi la legge che
astringeva i dissenzienti a segnare il voto del maggior numero(62).
(62) Martini, op. cit., pag. 67, veggasi anche la nota (1) nell’istessa paginaLVIII. “In questo memorabile giudizio [dice il Tola] rivulse egregiamente la probità e la costanza di d. Gavino Nieddu, il quale, non piagiatore del Sulis nella prospera, non oppressore suo nella triste fortuna,
si alzò coraggiosamente in consiglio, e propugnò con intrepida voce un
enorme voto che già soverchiava. La maravigliosa fermezza di questo
eccelso maestrato, degna è che passi alla memoria dei posteri, i quali, finché la virtù sarà in onore, lauderanno sempre lui, che degli uomini no,
sore fu Giacomo De Asarta (1786-1857), viceré fino al 1843, soppresse l’amministrazione delle torri costiere (cfr. F. C. CASULA, op. cit., rispettivamente p. 1005
e p. 507).
663 Per le impiccagioni.
664 Saporiti.
665 Schiaffi, ma anche insulti.
LVIII “Ho confermato, con l’aggiunta di molti particolari, il racconto analogo di
Pasquale Tola, Dizionario biografico degli illustri Sardi, art. Sulis” (P. MARTINI, op.
cit., n. 1, p. 67).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
119
Cotanta fermezza e coraggio camparono il Sulis dall’estremo
supplizio666; onde l’ebbe a buon mercato se la immite667 sentenza, data da sì immiti giudici, solo lo condannasse alla prigionia
perpetua.
Per fatti di questo più recenti, ma di affine natura, bene io
vorrei poter qui associare al nome dell’illustre Gavino Nieddu,
quello dell’onorando magistrato Francesco Maria Serra(63), per il
santo zelo e l’eroico coraggio da esso lui spiegati in tempi che correvano pur tanto calamitosi per la Sardegna, nei quali la coscienza d’un magistrato dovea starsi sempre fra due sotto la pressione
di un potere dispotico, o eleggendo l’ingiusto per la propria salvezza, o deliberando per il giusto colla propria jattura668; per questo vorrei, dico, a lui consacrare una pagina immortale di splendide lodi, se io potessi fare cose immortali e le sapessi splendide;
epperò, in onta al mio animo volenteroso e compreso669 d’ammirazione per un tanto uomo, abbandono ad altri di me più valido
la nobile impresa di degnamente gloriarlo.
Come al Sulis fu letta la sentenza, ei né si alterò in viso, né fe’
atto alcuno che denotasse smarrimento o sdegno; studiò anzi di
serbare il più che gli riescì possibile un contegno freddo e sostenuto, come si conveniva all’uomo che da sé solo riconosceva il
premio delle proprie virtù, o il biasimo dei propri traviamenti670.
– Sento – ei diceva in mente sua – di poter essere ancor superiore alla mia sventura. Sia fatta la volontà dei miei nemici.
Vedendo che dopo la lettura della sentenza, quel chiunque si
fosse cancelliere di quel qualunque tribunale di Pilato671, se ne
ma solo del cielo, ebbe temenza, e di una vita non voluta dalla inesorata
giustizia fu insieme vindice, valoroso e magnanimo salvatore” (Tola, op.
cit., vol. III, art. Vincenzo Sulis).
(63) Il commendatore Francesco Maria Serra, Senatore del regno e presidente della Corte d’Appello in Cagliari.
666
Tali fermezza e coraggio salvarono il Sulis dalla morte.
Crudele.
668 Disgrazia.
669 Pervaso.
670 Allontanamenti dalla retta via.
671 Cioè di ignavi. Pilato è infatti il prefetto della Giudea sotto cui morì Gesù,
proprio a causa del suo voluto disinteresse, rappresentato dall’immagine del lavarsi le mani.
667
120
ANTONIO BACCAREDDA
stava al suo cospetto ritto e stecchito come un’antenna672, quasi
in atto di leggere un’appendice alla già letta sentenza, escì a dire
alquanto impazientito:
– Sentiamo via, che altro si vuole da me?
Gli fu allora notificato che la prigionia perpetua, per comandamento del viceré, l’avrebbe scontata presso il forte dello Sprone in Alghero673; onde si disponesse tosto a porsi in viaggio per
quella volta(64).
Nella susseguente notte, di fatti, scortato da un drappello674
di truppa regolare a cavallo, il Sulis si avviò al suo destino, il che
fu eseguito con tutta la chetezza675, per tema che il popolo, con
qualche inconsulto colpo di mano, involasse676 alle ire furibonde
di tanti suoi nemici, la designata preda. Forse il popolo avrebbe
con curiosità e in silenzio assistito al passaggio dello scaduto, però
che non è detto che il popolo sia sempre idolatra677, o che taluno
abbia sempre ad esserne l’idolo. Più soventi esso mette in azione
la favola di Saturno678.
Egli arrivò colla sua scorta ad Alghero il 25 maggio 1800,
dopo tre giorni di viaggio. Nel punto che stava per porre il piede
sulla soglia della sua prigione, stette un momento a guardare la
torre dello sprone; la misurò dall’alto in basso con uno sguardo, che
(64) “Nel Maggio 1800 fu confinato nella torre dello sprone in Alghero.
Un anno dopo il ministro britannico appo del re rigettò sdegnosamente
la proposta di porlo [il Sulis] in mani degli inglesi” (Martini, op. cit., pag.
67).
672
Come un palo.
dell’Esperó Real o dello Sperone risale al periodo spagnolo; ha pianta circolare ed è composta da due ambienti spaziosi sovrapposti; si giunge al piano
superiore grazie ad una scala, ricavata dallo spessore del muro perimetrale. Si trova
nella piazza oggi dedicata allo stesso Sulis, sul lungomare della cittadina catalana.
674 Piccola squadra di soldati, uniti dal medesimo incarico.
675 Arcaismo per tranquillità.
676 Sottraesse.
677 Forse il popolo avrebbe assistito con curiosità e in silenzio al passaggio dell’uomo diminuito in prestigio e potere, ma non è detto che il popolo adori sempre idoli.
678 Saturno è l’antichissima divinità italica dei campi, identificato dai Romani con
il dio greco Crono: secondo la leggenda mangiava i suoi figli appena nascevano.
Intende così dire che il popolo distrugge i propri idoli.
673 Torre
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
121
sarebbe parso tranquillo, se non lo avesse accompagnato da queste poche parole: – Ecco la mia tomba, o galantuomini! Non l’avrei sperata così suntuosa679. In questa sorta di rimunerazioni gli
uomini usano largheggiar sempre. Davvero che poteva esser peggiore la sorte mia!
Nessuno osava profferir parola. Quel silenzio accorava e insieme umiliava il prigioniero. – Che io non possa più inspirare nemmeno la compassione! – pensò fra sé, indi si volse alla gente che
gli facea scorta. Il solo ciglio senza lagrime era quello di Vincenzo Sulis. Ei sembrava che Virgilio avesse scritto per lui:
Mens immota manet, lacrymae volvuntur inanes680.
679
Arcaismo per sontuosa, sfarzosa.
La mente resta immota, le lacrime scorrono inutili (VIRGILIO, Eneide, libro IV,
v. 4449).
680
122
ANTONIO BACCAREDDA
XIV.
Confinato entro il deserto suo carcere, due sole volte al giorno gli veniva fatto di udire la voce dell’uomo, e di ravvisarne le
sembianze681. Sulle prime non gli sarebbe parsa una privazione,
tanto egli era inasprito contro quella, che si vuole l’ultima ed elaborata fattura di Dio682; ma in seguito gli riescì gradita, necessaria anzi a gran segno la vista di quel suo guardiano, contuttoché
egli gli si offrisse mai sempre con viso arcigno, e gli parlasse rudemente brevi e tronche683 parole. Per altro in quel diportamento684 d’uomo duro e intrattabile, il prigioniero vi scorgea un non
so che di artifiziale, anzi uno sforzo mal simulato per travisare una
natura buona e sensibile.
Il lettore pensi al buon Schiller, al carcere di Pellico685, ed avrà
presso a poco l’idea del carceriere di Sulis.
Dopo trascorso un mese, che al nostro povero prigioniero
parve un lungo anno, il burbero guardiano cominciò bel bello a
smettere quel suo severo cipiglio686; le sue labbra si spianavano a
quando a quando per dischiudersi a qualche parola di più del
rituale ed eterno – buon giorno e buona notte.
Talvolta si lasciava ire687 fino a bisbigliare qualche barzelletta,
come si usa coi bambini, o di ascoltare, ma alla sfuggiasca688
(intendiamoci!) il racconto di qualche breve episodio della vita
del suo prigioniero, sì che nel giro di due mesi il carcerato e il carceriere erano, senza che sel sapessero, due cordiali amici. Racconta oggi, racconta domani, si poteva ormai dire che la intiera vita
politica di Sulis era per minuto nota e notissima all’altro, il quale,
681
Riconoscerne la fisionomia.
L’uomo fu creato per ultimo, secondo quanto narrato in Gn 1,26: «Finalmente Dio disse: “Facciamo l’uomo [...]”».
683 Spezzate.
684 Arcaismo per portamento.
685 Silvio Pellico (1789-1854) fu rinchiuso nella fortezza dello Spielberg, in Moravia, a causa della propria azione patriottica con la Carboneria e nel resoconto della
sua detenzione, Le mie prigioni, racconta la mitezza del suo carceriere, il “vecchio”
Schiller.
686 Atteggiamento del viso con ciglia aggrottate e fronte increspata.
687 Arcaismo per andare.
688 Di sfuggita.
682
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
123
così a mo’ di consolazione, si permetteva di conchiudere talvolta
con queste parole:
– Signor mio, voi per dire una cosa, foste un poco scapato689
nella vostra prima giovinezza; e siccome si dice che Domeneddio
non paga il sabbato, così egli ha pensato di pagare la domenica,
troncando nel suo più bello i vostri trionfi e intorbidando la
vostra fortuna690. Sopportate dunque in pace ogni cosa, e dite
con rassegnazione di buon cristiano: – Se non per questo, per
quello.
– Hai ragione, Alberto mio!
– Io non sono vostro, né di nessuno! – soggiunse il carceriere
scurandosi in viso tutto ad un tratto, come se quelle parole avessero ridestato nel suo cuore amare e secrete rimembranze, oppur
l’idea del suo ingrato dovere – Vuol ella sapere, per dire una cosa
di chi sono? Io sono del mio dovere; perché io non accendo un
lume al diavolo e l’altro a S. Michele691.
– Brontola fin che ti garba, tu sei mio malgrado di te. Desideri che te ne dia ragione?
– Sarei curioso di conoscerla.
– Perché con tutto il tuo viso burbero, con coteste tue maniere ruvide e sgarbate, tu mi sei caro più che non pensi, appunto
perché ti so fedele al tuo dovere; e così diminuisci in gran parte
gli aspri dolori del mio spirito, tanto incrudelito contro gli uomini.
– Veramente pare che io sia il solo che eserciti con voi l’opera
di misericordia di visitare i carcerati. In tre mesi che siete qui dentro...
Il Sulis a queste parole si scosse di repente.
– Eh, signor mio, vi siamo a momenti! – continuò a dire il
carceriere – Il 25 maggio mi foste consegnato; oggi siamo al 23
agosto... Fate il conto! Dunque in tre mesi, per dire una cosa, non
un’anima che abbia dimandato di voi.
– Nessuno! – interruppe l’altro con visibile espressione di cordoglio; e inclinò il capo.
689
Senza capo, scapestrato.
Ottenebrando i vostri successi.
691 Locuzione per non servo due padroni, cioè non ho comportamenti ambigui o
incoerenti.
690
124
ANTONIO BACCAREDDA
– Ecco... No... Nessuno, nessuno... Non è poi vero! Nel
primo mese della vostra prigionia ricevetti tre o quattro lettere al
vostro indirizzo. Sembravano scritte dalla stessa mano... Anzi, da
quel che ho potuto giudicare, da mano di donna.
Il Sulis trasalì; ma fece forza a se stesso, e tosto si ridusse in
calma. Presa alquanto lena692, e voltosi con aria di dolce rimprovero verso il carceriere, gli disse sommessamente:
– E perché non consegnarmele allora?...
– Bagatelle693! Cogli ordini severi che ho... Vi sarebbe tanto
da farmi perdere il posto di torriere694 in un batter di ciglio. Capirete benissimo che il mio dovere l’ho saputo fare anche a dispetto del cuore; quindi le lettere mandai di cheto695 a chi di dovere,
e buona notte!
– Ah, caro Alberto, mi hai fatto un gran male a dirmi questo!
– E perché? – chiese il carceriere addolorato.
Ma il Sulis accortosi subito dello stato d’animo d’Alberto,
non fece attender molto la sua risposta.
– Però non pentirti di aver fatto il tuo dovere... Del resto che
potevano contenere quelle lettere? Di me ormai non si curano che
i soli nemici.
– I nemici soltanto eh?...
– E tu, tu che me li fai sopportare con pazienza – soggiunse
subito il prigioniero.
Il giorno in cui seguì questo discorso, Alberto nel separarsi dal
suo prigioniero sembrava spinto dal desiderio di muovergli una
qualche interrogazione; e stette un momento fra due696. Vinse in
ultimo la curiosità, e più propriamente il morale bisogno che
ormai lo trascinava a conoscere le segrete afflizioni di quell’uomo
infelice.
– Per dire una cosa – balbettò dopo una lunga esitanza il carceriere – avete famiglia voi?
– L’ebbi – rispose sospirando l’altro.
692
Energia, fiato.
Arcaismo per bagattelle, vale sciocchezze.
694 Guardiano della torre.
695 Di nascosto da voi.
696 Sembrava spinto dal desiderio di fargli una domanda e rimase incerto nella
scelta fra andar via o chiedere.
693
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
125
– Siete dunque solo al mondo?
– Il serpente si è introdotto nel paradiso della vita – la famiglia – e vi ha lasciato il suo veleno – il dubbio697! La morte del
cuore! E non mi vuoi solo?
– Per bacco! Ho fatto male a ridestare in voi coteste dolorose
memorie... Ah! Se sapeste... Io pure... Ma, per dire una cosa, non
dico più nulla.
Le sofferenze fisiche e morali sostenute dal Sulis con esemplare costanza, ed il suo fermo e nobile carattere, fecero che il guardiano, addimesticatosi698 del tutto con lui, lo tenesse come suo
amico e confidente; onde non solo s’interteneva con esso lui qualche ora in famigliare conversazione, ma spesso gli consentiva
quelle maggiori agevolezze, che in vero eccedevano un pochino le
attribuzioni del proprio suo ufficio. Per altro il Sulis usava con
grande moderazione e riserva di tali e tante condiscendenze,
temente non avessero un bel giorno a compromettere colui che
ormai riguardava come il primo suo amico.
Ma ad un’anima temprata a forti passioni, ad uno spirito indipendente e libero, ad una mente ricordevole dei casi più minuti
della sua vita, e diremo, ad un cuore fatto per espandersi in un
vortice di affetti, per provarsi nell’azione di atti ardimentosi e
nobili, poteva egli bastare la consolazione di una mite amicizia,
che tutta risentiva di quella sua vita egra699 e stazionaria? Tetri
perciò, profondamente malinconici ei trascinava i suoi giorni; e
ad ogni momento, per ogni cosa, in tutti i pensieri suoi, gli si
affacciava l’orribile idea che egli li700 avrebbe inesorabilmente
tutti consumati nello squallore d’un carcere, nella solitudine,
nella monotona compagnia del suo pensiero affaticato già tanto
dalle più amare ricordanze; e in così si chiedeva sempre l’infelice,
se più grande fosse il danno o il beneficio di ricordar tutto.
– Oh! Se la mia povera testa – ei pensava talvolta – non reggesse a lungo a sì dura prova, e se il cuor mio secondasse col suo
lamentar lungo questo febbrile lavorio della mente... Oimè, la
pazzia allora!... Che pensiero spaventoso è mai questo!... Deh
697
Esegesi del passo biblico (Gn 3,1-6) che narra del peccato di Eva e Adamo tentati dal serpente nel paradiso terrestre.
698 Forma non popolare per addomesticare, affiatatosi.
699 Forma letteraria per triste.
700 As gli.
126
ANTONIO BACCAREDDA
dammi, o Dio, dammi la forza di combattere contro questo pensiero; fa’ che io possa resistergli tanto più gagliardamente, quanto
esso più mi si mostra valido e ostinato... No no, non posso soffermarmi sopra questa idea; è forza che io la discacci, pensando al
giorno della mia morte, che porrà fine ai miei patimenti!... E chi
può dire che io morrò in un carcere? I casi della vita sono tanti...
Non potrebbe liberarmene la mano di un amico, la mia mano
istessa?
A questa idea egli si arrestò mezzo fra atterrito e fiducioso,
perché se la sua mente l’accoglieva come cosa degna di essere coltivata, il suo cuore la respingeva con subita riprovazione701, non
perché la dignità sua rifuggisse da un atto contrario alla legge
positiva, però che la libertà sia il supremo dei beni, dopo la vita,
e la legge di tutte le leggi; ma perché ciò compiendo egli cagionerebbe al suo buon amico irreparabili guai. Dunque il pensiero
della fuga lungi da lui finché il suo carceriere fosse stato Alberto;
per cui egli ricadeva nel primitivo abbattimento, pensando che in
tanta desolazione altro non gli avanzava che il debole barlume di
una grazia sovrana702, o il gelido riposo della tomba.
Era una mattina del settembre del 1800, un’ora prima del
meriggio, quando Alberto entrò nella camera di Sulis, colle traccie in volto di una violenta emozione, che erasi studiato di combattere o di nascondere almeno. Aveva gli occhi ancor rossi dal
pianto.
– Signor Vincenzo – egli disse con voce commossa – io vi
chieggo703 un favore!
– Amico mio, è il primo che mi dimandi. Affé704 mia sarei
troppo ingrato se te lo niegassi! Dì dì pure, ma fa presto, perché
già prevedo che dovrà costarmi assai il mantenere la promessa.
– Per dire una cosa, lo credo anch’io – soggiunse l’altro affissando gli occhi in quelli di Sulis, e facendo un certo sorriso, che
destò meno l’ilarità che la compassione in cuore del suo amico.
– E sia! Ma desidero però che ti spieghi.
– Là fuori vi è una donna...
701
Immediato biasimo, pronta disapprovazione.
Non gli restava che la debole speranza della grazia da parte del re.
703 Arcaismo per chiedo.
704 Esclamazione d’uso popolare che vale a fede mia, in verità.
702
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
127
Sulis, che stava assiso, all’udire queste ultime parole, balzò in
piedi con impeto così subitaneo, che il povero Alberto dovette
indietreggiare sorpreso e quasi atterrito.
– Era ben presago705 il mio cuore, quando ti dissi che mi
sarebbe costato troppo il favore che mi chiedevi?
Il carceriere non rispose che lagrimando a questa interrogazione; indi mosse lentamente verso Sulis, e prendendogli la mano
se la portò al cuore con ineffabile tenerezza. Il povero uomo non
poteva formar parola, ma il suo sguardo, pieno di pietà e di dolcezza, tutto avea detto al cuore esulcerato del prigione706.
– Dille che entri – mormorò il Sulis, abbassando il capo e
mettendo un profondo sospiro.
– Sì, ma siate umano verso di lei. Già al solo vederla ne sentirete pietà... Farebbe compassione a un macigno... Tanto vero che
io non seppi resistere alle sue preghiere, e per dire una cosa, mi
sono messo dopo le spalle e dovere e consegna, e avvenga che
può707.
705
Aveva previsto giusto.
Al cuore piagato del prigioniero.
707 Non mi curo del mio dovere e degli ordini ricevuti, e accada ciò che deve.
706
128
ANTONIO BACCAREDDA
XV.
Partito che fu il guardiano, Sulis stette per qualche tempo
immobile a guardare l’uscio; e frattanto il cuore gli batteva sì
forte, che sembrava gli si volesse scoppiare. Si sentì quindi a poco
posseduto da un tale languore, che dovette farsi sostegno con una
mano appoggiandola a un rozzo tavolo che gli stava presso.
Egli era pallido come uno spettro, e gli tremava tutta la persona, come se vinta dal ribrezzo della febbre.
L’uscio si dischiuse al fine, ma lentamente e senza alcun
rumore.
Vide allora il Sulis presentarsi una donna vestita a bruno, col
viso smunto e pallido, colla fronte dimessa.
Il primo atto di lei fu d’inginocchiarsi sulla soglia, pur tenendo le mani giunte e le braccia protese in alto.
L’uscio si era frattanto rinchiuso dopo le sue spalle.
Regnava un silenzio così tetro e pauroso, che lingua umana
non potrebbe a parole renderne l’idea. Come lo squallore di quel
carcere, come la sparutezza708 di quei due sembianti, così era ferale quel loro silenzio.
– Vincenzo, io non ho altra colpa che di aver creduto al tuo
traditore. Per ottenere il perdono di questo mio errore venni pellegrinando da Cagliari fino al tuo carcere. Mi perdoni tu?...
Sulis corse subito a rialzare la consorte, e senza far parola le
baciò la fronte con sentimento di profonda compassione.
Alcuni altri momenti di silenzio susseguirono alle parole di
Vincenza e all’atto di Sulis.
– Il mio cuore ti ha sempre creduto innocente, ma il mio labbro non osò mai pronunziare, come ora che ti veggo, questa santa
parola. Grazie, moglie mia, grazie che tu venendo a me mi ridoni la religione della famiglia! Il mio cuore non faceva altro voto,
io non sentiva altro bisogno che questo.
Vincenza guardò attorno a sé, e inorridita ascose il suo volto
nel seno del consorte.
– Povero infelice! – esclamò soffogata dal pianto.
– Non ti faccia orrore questo luogo; tu l’hai ribenedetto, come
hai rinnovato d’allegrezza il mio animo.
708
L’apparenza magra ed emaciata.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
129
– Oh fu un orrendo delitto di abusare così della mia fiducia!
– I delitti sono le spine che affliggono l’umanità; le virtù le
convertono in corona e ce le fanno sostenere con rassegnazione...
Oh ma parlami di te ora... Oh Dio! A che sei ridotta... Come ti
riveggo... Se non ti avesse presentito il cuore, i miei occhi non ti
avrebbero riconosciuta, no!
– Nulla io non ti dirò di quello che ho sofferto, perché ti
farebbe molta pena... Parlami, parlami invece di te, o povero sfortunato!
– La vita dei prigionieri, moglie mia! Lunghe ore di noia,
altrettante di tristezza, ma nera709, insoffribile, quando il mio
amico non viene a liberarmene togliendomi dalla solitudine.
– Il tuo amico? – chiese con stupore la consorte.
– Ti pare che io non debba averne più, perché sono in un carcere?
– Forse... Ah sì, il tuo carceriere, ora t’intendo! Lo avessi tu
veduto piangere al mio pianto... Quanto soffriva il poverino!... E
tutto per amor tuo, sai?... Non ha potuto resistere alle mie preghiere... Ed eccomi mercé sua710 vicino a te! Se tu sapessi quanti
rifiuti ho dovuto trangugiare711 in Cagliari, allorché dimandava la
grazia di visitarti in questo tuo carcere! Coloro che potevano esaudirmi erano tutti tuoi nemici; ed ecco che stanca di non udire
altro che disumani rifiuti, deliberai di tentar la sorte e di venirmene fin qui tutta soletta. Il cielo prima di morire non mi ha
voluto niegare questa estrema consolazione.
– Vincenza, non disperiamo; in avvenire potremo vederci
delle altre volte assai.
– Eh in avvenire sì! Ma quando non si è sofferto tanto, quando si ha ancora della salute...
Sulis guardò attentamente la consorte, e si sentì stringere il
cuore.
– Dio mio! Come parli ora... Non ripetere queste tristi parole, te ne prego!
– Veramente, se sono venuta per consolarti... Ho fatto male,
hai ragione... Perdonami!
709
nera per vera come richiesto dall’errata corrige.
Grazie a lui.
711 Subire amaramente.
710
130
ANTONIO BACCAREDDA
– Non basta dir questo, bisogna che mi prometta di non
ascoltar tanto il tuo dolore, e di vivertene calma il più che potrai
in compagnia del tuo buon fratello; tanto e tanto, vedi, non si
guadagna nulla ad accorarci712 così. Sai bene che io poi non sto
così male, come forse sperano i miei nemici; perché ho quello che
essi non hanno, amica la coscienza; e tuttoché nel fondo di un
carcere solitario, ho un amico, lo stesso carceriere che essi mi
hanno dato. Ne avranno essi di così fedeli e disinteressati? Ne
dubito! Eppoi ora che mi è concesso di stimarti come una volta!...
Oimè, Dio solo sa quanto! Per questo ecco che io benedico ancora la vita!...
Così dicendo egli passò sugli occhi il dorso della mano; indi
proseguì:
– Del resto perdonai tutti, io...
– Tutti? – interruppe la dolente con espressioni di maraviglia
– Anche quello sciagurato713?...
– Tutti dissi? Ah la virtù di questa parola è più grande della
virtù del cuor mio, che sempre si ostina a cancellarlo dal numero
degli uomini!
– T’intendo, tu non puoi perdonargli, anche volendo; e nemmeno io, sai? La religione di Cristo impone obblighi sovrumani...
– Ecco appunto perché dessa è divina! – soggiunse subito l’altro quasi del tutto rasserenato.
Levato quindi il suo sguardo al cielo, e fermatolo dappoi sul
viso pallidissimo della moglie:
– Ebbene – egli continuò a dire – spetta a me per il primo il
perdonargli! Vincenza, or tu segui il mio esempio... Il colpevole
veramente è chi non perdona mai!
La infelice sopraffatta dai singhiozzi soggiunse a stento e con
voce rimessa:
– Così Iddio abbia misericordia di lui!
Quietato d’un poco lo spirito di que’ due infelici, essi presero
a confidarsi con animo più riposato le proprie vicissitudini. Sulis
le parlò della sua captività714, e delle cure che gli prodigava mai
sempre il carceriere; Vincenza gli narrava a sua volta i lunghi spa-
712
Prendercela tanto a cuore, addolorarci, affliggerci.
Giambattista Rossi.
714 Arcaismo, dal latino captivitatem, prigionia.
713
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
131
simi durati dalla prima ora della di lui fuga, e la disperazione che
l’assalse715 per l’ostinato suo silenzio dopo la patita condanna,
non avendo egli mai dato risposta a nessuna delle tante lettere che
gli aveva indirizzato; ciò che sempre più la confermava nel desolante sospetto che egli la credesse complice in quell’orribile tradimento.
– E di lui – chiese con visibile ripugnanza il Sulis – che ne è
di lui716?...
– Dal giorno della tua condanna ei non fu più visto a Cagliari. Nessuno non ne seppe più nulla!
La presenza del carceriere interruppe la loro conversazione,
che avea durato parecchie ore, le quali per altro erano sembrate
assai brevi a quei due sciagurati.
– Figli miei – mormorò il sopraggiunto – mi duole al cuore
di dovervi separare, ma non posso fare altrimenti.
Ciò non disse per ragioni di dovere, ma per semplice prudenza; onde gli fu forza disporli alla separazione; e questa affrettava
con ogni maggior insistenza, per quanto gliene sanguinasse il
cuore, vedendoli massimamente in sì cordiale e intimo colloquio.
Vincenza si mostrò quanto più seppe tranquilla. Consegnò al
consorte un portafoglio e insieme un medaglione contenente il di
lei ritratto.
– Questa mia immagine ti risovvenga717 che in vita o estinta,
invocherò sempre da Dio la sua misericordia sopra il tuo capo.
Contempla dunque questa mia immagine, quando più aspro ti
riescirà il martirio della tua prigionia.
Rivoltasi di poi quasi sorridente al custode, gli pose in mano
un ricco anello, e accompagnò il presente con queste parole:
– Serbatelo per mia memoria, ottimo uomo!
Il guardiano ricusò facendosi rosso in viso, e disse:
– Questa non è memoria; per dire una cosa, la è una ricompensa bella e buona questa.
– Dio solo può rimeritare718 la vostra pietà!
715
Arcaismo per assalì.
Il riferimento è ancora a Giambattista Rossi.
717 Ti ricordi.
718 Ripagare.
716
132
ANTONIO BACCAREDDA
– Alberto! – esclamò Sulis con serio cipiglio; e coll’indice
accennò all’anello offertogli in dono.
– Farò quello che volete! Ora, cari miei, fatevi coraggio...
A tale invito marito e moglie si abbracciarono in silenzio, e
così trassero fino all’uscio, ove si separarono dandosi un bacio
lungo, appassionato, doloroso.
Se anche fra nemici è triste e penosa la separazione, pensi il
lettore quanto lo fosse per quelle due povere creature, alle quali
altro non era rimaso719 al mondo che il solo bene di amarsi, sebbene a perpetuo divisi.
– Non la rivedrò più! – pensò il Sulis quando si vide solo – È
orribile che gli uomini possano più di Dio!
In tempo che egli formava quest’ultimo pensiero, l’uscio si
dischiuse ed entrò di nuovo Vincenza, precipitandosi nelle braccia del marito.
– Un altro addio! L’ultimo che ti do sulla terra è questo! – ella
disse, ma il pianto non le permise di dir altro!
In quel punto Sulis sollevò al cielo uno sguardo pieno di indefinibile passione.
Alberto non seppe altrimenti né meglio infrenare720 quella
piena di dolore, veramente grande, che fingendosi adirato, e
facendo sentire in tuono di rimprovero la sua voce soffocata dai
singhiozzi.
Sebbene seppellito nel fondo di un carcere e abbandonato dal
resto degli uomini, non sempre per questo il Sulis rimpiangeva la
perduta libertà. Talvolta sentiva in cuor suo di poter resistere longanime721 alle avversità della sua sorte, e di ritrovare quasi un
compenso nella sua vita solitaria e tranquilla. Ma perché appunto non poteva esser misantropo722 che a brevi intervalli, essendo
nell’anima sua un fondo immenso di fede, di energia, e un istinto indomito di movimento e d’azione, quella sua esistenza inerte
e stagnante, logorava dì per dì il suo corpo, e con esso lo spirito.
Volendo smorzare gli effetti sinistri che in lui operava cotesto
genere di vita tanto contrario alla sua indole fisica e morale, gli
venne un giorno in animo di porre in iscritto le proprie avventu719
Per rimasto.
Arrestare, frenare.
721 Indulgente.
722 Avverso ai propri simili, tendente all’isolamento.
720
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
133
re. Ne palesò il disegno al suo amico, il quale opponendo per
dovere un rifiuto a parole, per sentimento gli recava poco appresso l’occorrente per scrivere723.
È inutile il dire che Alberto volea sempre dir la sua sui pensieri scritti dal Sulis, tanto che questi non facea una sola riga di
scritto, che non gliela confidasse con iscrupolosa sollecitudine, di
che l’altro se ne tenea sopra ogni dire, ravvisando in ciò la confidenza che si avea in lui non solo come amico, ma anche come critico.
Per usare in fatti a dovere724 di entrambi questi diritti, invitò
un giorno il Sulis a cancellare dal suo manoscritto senza por
tempo in mezzo725 questo bel pensiero: – Amo assai più una
libertà dubbiosa che una schiavitù felice.
– Ma non vedi – gli diceva il prigioniero sorridendo – che io
scrissi il detto famoso di un gran patriota polacco726, non già un
mio pensiero e molto meno un mio desiderio!
– O vostro o altrui, queste parole, per dire una cosa, non le
deve tollerare un onesto carceriere.
– Lo cancellerò, anzi eccolo già cancellato – riprese l’altro
dando un frego727 sul manoscritto – Per altro lungi da te il sospetto che io possa abusar mai della tua amicizia, dove pur mi si presentasse propizia l’occasione di evadermi da questo carcere; e Dio
sa se mi è cara la libertà!
723
Il Tola informa che Vincenzo Sulis stese la propria autobiografia nel 1832,
quando già era esule a La Maddalena (cfr. P. TOLA, op. cit., p. 246).
724 a dovere per addovero come richiesto dall’errata corrige.
725 Locuzione per immediatamente.
726 Con un certo anacronismo il Baccaredda attribuisce al Sulis la citazione del
pensiero di un patriota polacco che potrebbe essere Adam Mickiewicz (17981855), poeta romantico, il quale scrive “Lepszy w wolnosci kasek lada jaki, nizli w
niewoli przysmaki” (meglio un boccone qualsiasi in libertà, che le delizie in schiavitù. Il verso in polacco è parte della lirica Pies i wilk inserita nella silloge Dziela
wszystkie, vol. I, Wroclaw-Warszawa-Kraków-Gdansk, 1971, p. 97). Mickiewicz
rielabora poeticamente una frase del cronachista rinascimentale Marcin Bielski,
diventata in Polonia una sorta di proverbio: “Lepsza wolnosc chuda niz niewola
hojna” (meglio la libertà in povertà che la schiavitù in ricchezza. La frase appare
in M. BIELSKI, Sprawa rycerska wedlug postepku i zachowania starego obyczaju,
Kraków, 1569).
727 Locuzione per cancellando.
134
ANTONIO BACCAREDDA
– Lo capisco benissimo. Dunque se io fossi tutt’altro uomo
che non sono, tentereste davvero di fuggire, così per dire una
cosa?
– Eh sì, ma lo tenterei così per fare una cosa! – rispose l’altro
sorridendo.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
135
XVI.
Dopo qualche giorno Alberto spalancando l’uscio introdusse
due altri prigionieri:
– Eccovi dei compagni, e a quanto pare di vostra antica conoscenza – disse,728 e se ne partì poco lieto in viso, e molto preoccupato.
La spudoratezza di quel governo economico fece sì che i molti
supposti complici del Sulis fossero, anche senza condanna, condannati al carcere, sprezzante che la storia avrebbe tenuto esso
solo colpevole di congiura contro la libertà di tanti cittadini(65).
Sulis non avea troppo di che compiacersi di cotesti suoi compagni di sventura, i quali erano già stati i suoi fidi seguaci nel
tempo di sua maggior fortuna.
Ora i satelliti di quell’astro luminoso sono con lui per sempre
scomparsi dall’orizzonte, e con lui travolti in tanta miseria. Ma
essi altro non veggono al presente che la propria disdetta e per
cagion sua soltanto si stimano ridotti in cattività729; onde ei li
guarda in silenzio con occhi di grande compassione, ripensando
come essi fossero stati le tante volte i ciechi stromenti della sua
(65) Martini, op. cit., pag. 68. – veggasi anche la nota (1)LIX.
728
disse, per disse come richiesto dall’errata corrige.
A causa sua si considerano ridotti in prigionia. In precedenza aveva scritto captività.
729
LIX
“Re Vittorio Emanuele non esitò di tornare in libertà quegl’infelici che erano
sopravvissuti alle lunghe pene della prigionia”; “In difetto del processo contro
Sulis e suoi complici, che si suppone portato a Torino, mi servirono di grande
aiuto lo spaccio del 14 giugno 1820 del ministro Balbo al conte di Pratolungo, e
la risposta di costui del 15 luglio. Se ne deduce lo stato in cui era rimasta l’inquisizione criminale contro ai complici di Sulis, ed un’altra contro i congiurati del
1801, della quale parlerò in appresso; non che la facoltà data dal re al conte di Pratolungo d’impartire in suo nome ai prigionieri di stato ditenuti nelle carceri di
Cagliari, Sassari ed Alghero il condono delle rispettive pene e detenzione, ove così lo
stimasse, ed in quel modo che gli sarebbe più a grado, procedendo a ciò in tempo prossimo alla di lui partenza. Nel 24 dello stesso mese di luglio, in cui ricorreva il giorno natalizio del re, il conte pubblicava la grazia, fissando ai graziati le seguenti residenze: d’Alghero, a Vincenzo Sulis [...] alcuni nell’intervallo di 21 anni furono
scarcerati, i più morirono nella detenzione” (P. MARTINI, op. cit., rispettivamente
p. 68 e ivi, n. 1. Il corsivo è del testo).
136
ANTONIO BACCAREDDA
volontà, nelle ire politiche, e per la triste necessità dei tempi, non
sempre informata a sentimenti d’intemerata virtù. Li commiserava sì, ma non poteva stimarli. S’immagini ora quale supplizio
fosse il suo, costretto a vivere con persone di tal calibro, e che a
tutte ore gli rimproveravano la propria sorte, con espressioni dettate dall’acerbo dolore, e tolte dal dizionario della plebe730!
Ed egli frattanto ripensava ai giorni passati nella tetra solitudine di quel suo carcere, e li rimpiangeva pur tanto, come se fossero stati tutti lieti e felici.
Ecco il linguaggio che quegli sciagurati tennero un giorno al
loro antico padrone:
– Qual uomo noi credevamo onnipotente e terribile! Eccolo
qua tutto in un pezzo, e così dappoco731 che non sa nemmeno
consolarci colla parola nelle nostre disgrazie. Eppure la parola l’aveva un giorno pronta e valevole, quando si trattava di sguinzagliarci contro a chi732 attraversava i suoi ambiziosi disegni. Il consigliere del viceré Vivalda, il comandante dei cacciatori miliziani,
il caporione733 dei caporioni del popolo, non vi sembra egli un
ecce homo734? Chi l’avrebbe detto? Vincenzo Sulis, al cui nome
tremavano tutti, e grandi e piccoli!... Quello che era come un
Dio, venerato e temuto, vedetelo qua miserabile al pari di noi!
– E non è poco castigo questo – mormorava il Sulis, con un
sorriso amaro – essere come voi e con voi, che mi abbeverate di
fiele735 a tutte l’ore, perché sono appunto un miserabile!
– Senti – soggiunse uno di quei due prigionieri – e tendi ben
bene le orecchie, o capopolo della malora! Tu hai da studiare la
maniera di farci uscire da questa maledetta torre, quando no,
vedrai! L’hai pure avuto l’ingegno per ideare quei certi brulotti736
730
Con espressioni volgari dettate dal recente dolore.
Incapace, di nessun valore.
732 Costruzione arcaica per contro chi.
733 Capo, ma è voce ironica, di biasimo.
734 Letteralmente, ecco l’uomo, come disse Pilato mostrando Gesù alla folla dopo
averlo fatto flagellare; si usa per indicare persona percossa, malconcia e insanguinata.
735 Bile degli animali, tanto amara da portare, per estensione di significato, al
senso figurato di odio, rancore.
736 Galleggianti carichi di materiale combustibile da lanciare contro le imbarcazioni nemiche. Sulis li utilizzò nel 1793 contro i Francesi (cfr. n. 139).
731
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
137
che destinavi a incendiare la flotta francese. Ci rammentiamo
benissimo che per te non vi avea cosa che fosse difficile, solo che
tu lo volessi; giacché da tutto ti distrigavi737 con onore. Così, o ti
esca dal cervello o dalla punta delle dita, il come fuggire di qui
dentro è forza che venga da te.
– Fuggire, buona gente, e come si fa? – egli dimandava sforzandosi a parlare con pace e dolcezza – Non vedete dove siamo
confinati? Tutto consiste in questo ampio camerone circolare, né
vi è altra escita all’infuori di quella porta, che sfida le cannonate,
e di quella finestra sulla volta tanto in alto e difesa da quella robusta inferriata. Avremmo uopo della scala misteriosa di Giacobbe738 per arrivare fin là.
– Tu ci hai da pensare – si rispondeva allora dagli altri – Codesta scala misteriosa tu devi farla o per amore o per forza.
– Questa minaccia in bocca ai miei scherani di una volta non
mi fa che ridere. Sentite: quando era libero avrei sagrificato la vita
per la libertà; immaginate ora che non farei per ricuperarla! Ebbene, se potessi sfondare queste muraglie con un pugno, non muoverei un dito, solo perché sperate di farmi paura colle vostre ridicole gradassate739. Voi credete che la sventura mi abbia a tale
ridotto da temere voi altri? – E così dicendo si rizzò stendendo
contro i suoi compagni i pugni serrati e spalancando ferocemente gli occhi che scintillavano fuoco – Sì!740 Temere appunto voi
altri cialtroni, imbecilli, codardi, che siete! Né un solo di voi apra
bocca in questo momento, che il dolore e lo sdegno tanto più si
fanno giganti, quanto più voi vi mostrate vigliacchi e insolenti.
Non una parola di più, mi capite?
Lo scoppio di un fulmine avrebbe in quello istante meno
atterrito quei due miserabili, che la voce del loro antico capitano;
per cui si guardavano fra di loro di sott’occhi stando muti e interdetti. Vincenzo Sulis si era ripresentato agli antichi suoi scherani
fiero e terribile come una volta, e così sicuro di sé, che ad essi
pareva tuttavia di vederlo ancora nella pienezza del suo potere,
737
Per districavi, ti toglievi d’impaccio.
Giacobbe “fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima
raggiungeva il cielo; ed ecco gli Angeli di Dio salivano e scendevano su di essa”
(Gn 28,12).
739 Spacconate.
740 Sì! per sì come richiesto dall’errata corrige.
738
138
ANTONIO BACCAREDDA
libero e signore dei formidabili suoi battaglioni di cacciatori miliziani, come quando dettava la legge a tutta la popolazione di
Cagliari.
Come li vide mansi741 e tranquilli, mise un fremito cupo e
prolungato, quasi per esprimere la transizione742 che egli facea
dall’ira alla compiacenza di sapersi ancora rispettato e temuto.
– Così va molto meglio – egli ripigliò poco dopo – poiché se
sarete ragionevoli e sommessi, le cose potrebbero mutarsi di
molto così per voi che per me.
Non smisero gli altri di lamentare in seguito, né di fargli i
consueti rimproveri, ma li facevano compostamente e senza bravate743; e così trascorsero venti e più giorni, a capo dei quali
Alberto annunziò loro la dispensa dal servizio di carceriere, causa
l’avanzata sua età; disse inoltre che fra pochi giorni sarebbe stato
surrogato744 da due guardiani delle carceri di Sassari.
Addolorato da tale annunzio il Sulis pensò pure che in breve
si sarebbe sciolto dall’obbligo di rassegnarsi alla sua perpetua prigionia, acquistando libertà d’azione per tentare la sospirata fuga
dal carcere. Da quel punto si diede dunque a macchinare in suo
segreto; e solo all’arrivo dei nuovi carcerieri si lasciò ire a fare in
ombra qualche confidenza ai suoi compagni.
– Credo giunto il tempo di pensare ai casi nostri – ei disse loro
con indefinibile circospezione – Non mi dava il cuore di tentar
qualcosa quando vi era il nostro buon Alberto; ora però che ci
sono capitati tra i piedi cotesti signorini, che vogliono fare i rodomonti745, mi viene quasi il ghiribizzo di far loro una burla746.
– A noi la faremo747, se non sapremo riescire.
– Sì, ma come mi ci mettessi da senno748!... Soprattutto,
amici miei, fate gli indiani749, e non vi lasciate sfuggir mai una
741
Arcaismo per mansueti.
Emise un rumore indistinto, cupo e prolungato, quasi per esprimere il passaggio da un sentimento all’altro.
743 Senza provocazioni o minacce.
744 Sostituito.
745 Prepotenti, dal famoso eroe ariostesco Rodomonte, fra i personaggi dell’Orlando furioso.
746 Mi viene quasi l’idea bizzarra di far loro uno scherzo.
747 faremo per faranno come richiesto dall’errata corrige.
748 Locuzione per davvero, sul serio.
749 Fate finta di non conoscere o capire qualcosa.
742
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
139
parola, né a voce alta né sommessa. Fingete anzi di essere crucciati750 con me; non vi riescirà difficile il farlo. Or vedete quella
finestra? Ebbene per di là abbiamo a passar tutti, se saprete fare a
modo mio. La prudenza sarà il primo gradino della nostra scala,
sarà la costanza il secondo, e poi faccia Dio!
– Se tu lo vuoi davvero è fatta! – E dicendo queste e simili
cose gli altri abbracciavano farneticando751 il Sulis, il quale ebbe
subito a raccomandar loro il senno e la discrezione.
– Quanto sono mai impure le fonti della benevolenza! – pensava fra sé, vedendosi fatto segno a tanti abbracciamenti – E poi
amate gli uomini se potete, e insuperbite della loro amicizia!
Nel meditare sopra un piano da eseguire, nel ricercare con
cura solerte i mezzi più acconci752, nel prevenire le più lievi difficoltà, e insieme nell’aver la costanza di durar nell’impresa, e il
sangue freddo di compierla, Vincenzo Sulis potea avere chi l’agguagliasse753, chi lo superasse non mai! Già dinanzi al suo sguardo si offriva l’intiero piano, e così in ogni sua parte compiuto, che
nulla più ormai non gli mancava che di eseguirlo. Avea mirabilmente teso da lungi le fila della sua tela754, senza nulla rivelare ai
suoi compagni, i quali argomentavano tuttavia dal suo contegno
che qualcosa di ardito ei mulinasse nella mente755. – Eh! – dicevano essi fra loro – Vincenzo la sa lunga davvero; lasciamolo fare,
perché è uno stregone!
Fiso sempre nel disegno che avea deliberato di effettuare, nel
seguente tenore parlò un giorno ad uno dei guardiani:
– Galantuomo, i vostri e i miei padroni non si cureranno di
sapere certamente se in questo756 torrione si stia molto o poco a
disagio; dico anche che se ci hanno cacciato qui entro è bene757
perché vorranno che vi stiamo sicuri e cheti.
750
Arrabbiati.
Dicendo frasi senza senso.
752 Idonei.
753 Forma letteraria per eguagliasse.
754 È la fase iniziale per la realizzazione di un tappeto con il telaio. È qui usata in
senso figurato per indicare la lunga preparazione del piano di fuga.
755 Organizzasse.
756 se in questo per se in come richiesto dall’errata corrige.
757 bene per bene, come richiesto dall’errata corrige.
751
140
ANTONIO BACCAREDDA
– Lo credo anch’io! – rispose il guardiano con un ghigno758
tutto degno di lui.
– Bene! Quanto a tutto questo non abbiamo che ridire759, e
vi assicuro, parlo almeno per conto mio, che ormai ho messo il
mio cuore in pace. Ciò che essi, i vostri e i nostri padroni,760 non
vorranno, si è che da noi si abbia a stare e di notte e di giorno, e
d’inverno e d’estate, sempre esposti a tutte le inclemenze del
tempo, ora bagnati dagli spruzzi dell’acqua marina, ora insecchiti761 dal soffio molesto del vento, che a tutte ore viene a visitarci
nostro malgrado. Io scommetto che se lo sapessero avrebbero un
tantino di compassione di noi, e qualche cosa farebbero per mitigare tante sofferenze, perché alla fin fine non siamo né di sasso,
né bestie, per star qui sempre sub Iove frigido762.
La frase latina toccò il cuore del guardiano, per il che stette
infra due se dovea rispondere, o partire senza dire parola; onde
l’altro rincalzò subito:
– Vorreste farci la carità di dir loro come stanno le cose?
– E che sperate da essi? Sentiamo!
– Oh per bacco! Una cosa da poco, per esempio un’invetriata
su quella finestra; o se questo è troppo, un qualche cencio, così da
fare alla meglio un padiglione763 per ripararvici sotto almeno
d’inverno e in tempo di notte. Sono lunghe le notti, sapete, quando si è presi dal freddo!
Non trascorse una settimana che il guardiano recò loro due
vele alquanto lacere, ma tuttavia ancor buone a comporne un
padiglione, secondo che il Sulis avea divisato di fare764.
Così passarono l’inverno e la primavera. Al principiare della
state765, i prigionieri disfecero il padiglione, e le vecchie vele allo-
758
Riso sarcastico, beffardo.
Non abbiamo niente da ridire.
760 padroni, per padroni come richiesto dall’errata corrige.
761 Seccati.
762 Al gelo. Il verso completo è: “manet sub Iove frigido / venator tenerae coniugis
immemor” (ORAZIO, Odi, I, v. 25), cioè il cacciatore resta sotto il freddo cielo,
dimentico della dolce moglie.
763 Tenda di diverso genere, secondo gli usi, di stoffa variamente accomodata.
764 Pensato, immaginato, ma anche si era proposto di fare.
765 All’inizio dell’estate.
759
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
141
garono in buon assetto da banda766, ottenendo di così serbarle
per le vegnenti stagioni767 d’autunno e d’inverno.
– Signorini, egli è tempo di por mano all’opera.
– Oh finalmente!
– Zitti e giudizio, cari miei! Ora bisogna disfare bel bello una
sola di queste vele e come vi dirò io. Delle fila faremo funicelle,
delle funicelle a suo tempo una scala veramente misteriosa, perché la terremo a suo tempo ascosa sotto quest’altra vela, che bisogna serbare intatta a bella posta.
– E poi?
– E poi? Che forse ora è tempo di pensare al poi? Coraggio
dunque, figlioli. Non ci vergogniamo di questo lavoro. La favola
racconta che qualche cosa di simile facesse Ercole per far piacere
ad Onfala768; la nostra Onfala sarà la libertà.
Detto fatto: fu messa mano all’opera,769 e così proseguirono
animosi e costanti, che il prodotto del loro diuturno lavoro andava quasi di pari coll’ardente desiderio che essi avevano di recarlo
a fine.
Per ovviare al pericolo di essere sorpresi, uno di essi se ne stava
del continuo in orecchio all’uscio, ed al minimo rumore di passi,
dava ai suoi compagni il convenuto770 segnale, e tutti allora lesti
lesti a riporre sotto la vela le cordicelle già lavorate o il materiale
a ciò predisposto, a tal che i guardiani non ebbero mai sentore di
nulla; e gli altri poterono condurre il loro lavoro con alacrità e
speranza di ben presto ultimarlo771.
Il loro capo mastro (e chi poteva essere se non il Sulis?) si esercitava a quando a quando a lanciare al disopra delle spranghe dell’inferriata una di tali cordicelle, a capo della quale avea legato un
piccolo sasso; e tanto si era addestrato in questa opera, che in
pochi giorni riescì con sorprendente sicurezza a fare che la cordicella cascasse sull’una delle spranghe, e tratta poscia dal peso del
766
Collocarono da una parte le vecchie vele ripiegate.
Conservarle per le stagioni prossime.
768 Onfale, regina della Lidia, comprò Ercole che era stato venduto come schiavo
da Ermes. Per compiacere la propria salvatrice, Ercole indossò abiti femminili e
imparò a filare la lana.
769 opera, per opera; come richiesto dall’errata corrige.
770 Precedentemente stabilito.
771 Condurre il lavoro con solerzia e speranza di concluderlo presto.
767
142
ANTONIO BACCAREDDA
picciol772 sasso vi scorresse sopra come in una carrucola(66). Siffatto esercizio era necessario per il tempo in cui fosse compiuta la
divisata773 scala a corde, all’uopo di lanciarla sulla inferriata della
finestra, e colà adoperarsi mediante un chiodo, pur esso da gran
tempo gelosamente riposto sotto le vele, a smuovere le spranghe
di ferro che loro impedivano la escita dal carcere.
Di questa operazione delicata e importante se ne era riserbato
il monopolio774 Vincenzo Sulis, perché egli sapeva che per condurlo con profitto e sicurezza vi era mestieri di pazienza e di
metodo. Egli poi con diligenza somma curava di far cadere sul
cavo della mano tutto il materiale cavaticcio775 del muro, e lo gittava fuori del vano sul tetto del carcere, per non lasciar traccia del
suo lavoro nel pavimento.
Per secondare776 le impazienze dei suoi collaboratori, assai più
che per pigliar lena, si arrese a farsi dar la muta777 in tal malagevole lavoro, sostenuto per tante ore sopra quella scala pensile, non
omettendo778 mai per altro di raccomandare la massima cautela.
Ma ciò riescì a nulla, poiché un giorno, mentre gli imprudenti se
lo aspettavano meno, videro spalancarsi l’uscio ad un tratto e prorompere nella prigione i due guardiani, lieti di averli colti sul
(66) Manno, op. cit., pag. 171 e 172LX.
772
Forma letteraria per piccolo.
Immaginata.
774 Se ne occupava esclusivamente lui.
775 Materiale prodotto dallo scavo del muro.
776 Compiacere.
777 Farsi sostituire nel servizio.
778 As ommettendo.
773
LX “Ma nell’estate l’ordito di quelle tele si trasformò lentamente in una cordicella
adeguata all’altezza della finestra; e legatovi un sasso, ebbe il Sulis a lanciarlo tante
volte in alto, che poté infine, imbroccando nel vano dell’inferriata, farlo scendere
a terra, scorrendo a modo di carrucola sopra una di quelle spranghe. Preso l’abito
di quello scagliamento, ed ingrossate con egual mezzo altre funi che reggessero
una scala a corda, saliva egli giornalmente, nelle ore di non preveduta visita, infino all’inferriata; e questa nel lavoro paziente di più mesi trovavasi già pressoché
scassinata, allorquando l’impazienza di un compagno che volle abbreviare con
mano più spedita l’opera lenta ma meno rumorosa del Sulis, diè l’allarme ai custodi” (G. MANNO, op. cit., n. 4, p. 172).
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
143
fatto, e premurosi di portar via ogni cosa779 e scale e vele e chiodo, per poter con tai prove validare la loro denunzia780 al comandante della piazza d’Alghero.
L’immediata conseguenza della fallita impresa fu il raddoppiare contro i prigionieri la vigilanza, il rigore ed anche le sevizie,
già senza di ciò troppo afflitti per aver veduto svanire ogni speranza di salvezza.
Vincenzo Sulis non si perdé d’animo, ma ne fu a tal segno
accorato, che da quel giorno in poi non indirizzò più una parola
ai suoi compagni; e se ne stava in disparte quasi sempre seduto,
col capo appoggiato alle mani e incurante del gran rammaricare
che si facea intorno a lui.
Fu visto un giorno rizzarsi improvvisamente, e stralunando781
in modo pauroso gli occhi, cadere poco stante di colpo sul pavimento. Vedendolo in quello stato tetanico782 e immerso nel sangue scaturito da una larga ferita, che nel cadere così repentinamente si era fatto sul capo, lo tennero addirittura per ispacciato783. Ned egli si mosse punto; e quando un’ora dopo sopravvenne uno dei guardiani, se ne stava tuttavia nella medesima giacitura784; né dava altro segno di vita, tranne che un respirar lento e
rantoloso785 e qualche moto convulso della bocca.
– È un colpo di apoplessia bello e buono – esclamò uno de’
carcerati.
Il guardiano osservando con aria di diffidenza i carcerati, disse
asciuttamente e a spilluzzico786:
– Temo invece che sia un colpo di furberia. Però tra il sì e il
no, siccome io sono mezzo flebotomo, comincierò dal cavargli
sangue; e poi se occorre gli farò dell’altro. Vedremo! Sarebbe vera-
779
cosa per cosa, come richiesto dall’errata corrige.
Per poter avvalorare con tali prove la loro denuncia.
781 Sbarrando.
782 Stato fisico prodotto da chi è colpito dal tetano, malattia mortale caratterizzata da tensione rigida dei muscoli.
783 Per morto.
784 Posizione.
785 Respiro lento e affannato come quello di un moribondo.
786 Locuzione avverbiale di basso uso, vale a stento.
780
144
ANTONIO BACCAREDDA
mente un gran peccato che questo santo uomo tirasse le cuoia787
entro questo brutto carcere.
Né disse a fidanza, poiché dato di piglio ad un coltellino che
si avea allato, gli punse una vena del braccio, praticandogli una
così copiosa sottrazione di sangue, che mai la maggiore788.
Perdurava non ostante lo stato d’adinamia del Sulis, e il guardiano da capo a perfidiare789 col sospetto che egli affettasse a
malizia un sì gran male; onde si accinse con ogni maniera di tormenti, che diceva rivulsivi, a cimentare quella povera creatura790,
che tuttavia con istoica791 fermezza tollerava ogni cosa, senza batter palpebra.
Ma la tenace volontà di quell’uomo straordinario, la forte
tempra della sua fibra, poterono più del sospetto e della ferocia
del suo manigoldo, il quale dovette desistere dall’inumano proposito di ridurlo da quello stato.
Che non avrebbe superato il Sulis, solo che lo avesse voluto?
E ottenne, mercé la simulazione di un tanto malanno, di mutar
luogo; ciò che seguì in capo a due giorni, essendo giunto l’ordine
di tradurlo792 nelle carceri di Sassari.
A questo termine le condizioni di sua prigionia eransi d’assai
migliorate, ma con esse accresciute del pari le difficoltà di fuggire, almeno coi mezzi cui per l’ordinario793 fanno ricorso i prigionieri.
787
Espressione gergale per morisse, che nasce dalla somiglianza del turgore del
cadavere con il cuoio teso.
788 Era impossibile praticarne una superiore.
789 Perdurava nonostante lo stato d’immobilità (lett. anomala debolezza muscolare) del Sulis, e il guardiano da capo a ostinarsi con perfidia nell’azione.
790 Quindi si accinse con ogni tipo di tormenti, compresa l’applicazione di farmaci revulsivi (che provocano anche la formazione di vesciche), a mettere alla
prova quella povera creatura.
791 Stoica, impassibile.
792 Trasferirlo.
793 Locuzione che vale solitamente.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
145
XVII.
La fama dell’arrivo di Sulis nelle carceri di Sassari era corsa per
tutta la città; e in quei cuori nobilissimi e facili all’entusiasmo si
apprese vivo l’interesse per quell’uomo straordinario, sebbene in
politica ei non fosse un tempo unito di fazione794 a quegli abitanti, essendo Sassari città esclusivamente angioina. Ma il rispetto dovuto alla sventura fece sì che essi nel Sulis non iscorgessero
che l’uomo caduto in misero stato, e più assai che nella fortuna,
grande e ammirabile nell’avversità. E veramente cotest’uomo non
fu mai tanto intrepido, longanime e generoso, quanto lo fu
durante la sua cattività, obblioso degli ingrati (che furono molti),
memore dei benefattori (che furono pochi); capace di rassegnazione, non di avvilimento a fronte del suo grande e immeritato
infortunio.
Ecco dove stimo eroe quello che altrove non fu che il semplice protagonista di questo racconto.
Molti perciò fra i sassaresi diedero a divedere795 il vivo desiderio di visitare l’illustre prigione; ma a nessuno venne concesso
un tanto favore, se se ne eccettuano i due distinti cittadini Pietro
Pinna e Salvatore Saba, che meno sospetti al governo per l’austero e moderato animo loro, e alieni da ogni intruglio politico796,
ottennero di poter qualche rara volta visitare lo scaduto tribuno
cagliaritano.
La lucidezza della mente, onde ei discorreva degli avvenimenti nei quali avea preso tanta parte, e la mitezza d’animo e l’equanimità797 con cui li giudicava, riempivano di maraviglia quei
nuovi suoi amici, che in breve si sentirono ammaliati dal potere
che questo uomo esercitava sull’animo di tutti coloro che l’avvicinavano. Allora essi per esperienza propria si faceano ragione del
perché avesse egli potuto per tanto tempo dominare e aggiogare
al suo carro così la plebe, che quei personaggi di chiaro ingegno e
d’animoso carattere, i quali eransi appunto segnalati in Cagliari
dal 93 al 99 dello scorso secolo798.
794
Non fosse della stessa fazione, dello stesso orientamento politico.
Mostrare chiaramente.
796 Estranei ad ogni intrigo.
797 L’imparzialità.
798 Del 1700.
795
146
ANTONIO BACCAREDDA
Due anni erano di già trascorsi dopo la sua condanna, ed un
mese dopo il suo trasferimento dalla torre dello Sprone in Alghero alle carceri di Sassari. Egli non avea più nulla saputo né dei
parenti, né degli amici suoi di Cagliari, se pur colà ve ne avea per
lui. Due anni di lontananza dagli occhi valgono quanto mezzo
secolo di lontananza dal cuore799, il quale nel prescrivere la sua
azione è sovente molto più avaro del codice civile e penale. D’altra parte che giova pensare all’uomo seppellito nel fondo d’un
carcere? Chi si occupa dell’attore che sta dietro le quinte del palco
scenico, rischia di perdere il filo dell’azione. Ricordar tutti del
resto, e presenti e assenti, sarebbe un imporre leggi alla limitazione delle facoltà umane.
Forse cotesti pensieri passavano nella mente del nostro prigioniero, resi ancor più malinconici dal tramonto di un giorno di
giugno, quando una donna vestita a bruno800 e col viso coperto
da un denso velo, entrò nella sua stanza.
L’accompagnava un carceriere, il quale con aria di consapevolezza la salutò e se ne partì senza far parola, lasciando il prigioniero colla incognita da solo a sola801.
Un mondo di timori e di speranze indefinite facevano palpitare il di lui cuore, incapace di prender partito fra sì opposti affetti. Chi poteva esser quella donna? Forse la moglie? Non osava
abbandonarsi a sì lusinghiera speranza; e frattanto la sua mente si
perdeva in un vortice di vaghe e strane congetture.
L’incognita finalmente lo tolse da quello stato d’animo, levandosi il velo e dandosi a riconoscere802 per la sorella di uno dei
guardiani del carcere.
– Signore – ella disse con voce sommessa – siate prudente, e
fate di maniera che nessuno sappia di questo mio travestimento,
nemmeno il fratel mio, perché guai a me! Se mi vedete mascherata in questa guisa, gli è per volere dei vostri amici...
– Chi sono essi?
799
Dal proverbio Lontan dagli occhi lontan dal cuore, ad indicare che la lontananza fisica smorza le passioni.
800 A lutto.
801 Lasciando il prigioniero solo con la sconosciuta.
802 Presentandosi.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
147
– Mio Dio, ma chi possono essere,803 dimando io? Or tiriamo innanzi... Voi vi vestirete e subito con queste mie vesti; nell’uscire di qui vi calerete questo velo sul viso, come feci io per
entrarvi, e vi studierete d’imitare al possibile il portamento di una
donna. Questa pezzuola804 bianca porterete a quando a quando
agli occhi, dando vista di asciugarvi le lagrime; e così potrete
meglio celare le sembianze vostre agli occhi dei guardiani. Io
venni qui con un permesso in tutta regola del governatore istesso,
che i vostri amici mi consegnarono ed ottennero a nome di una
vostra parente. Or non vi occorre di saper altro.
– Che io mi presti a una frode simile?
– Certo, e senza di ciò non si scappa dalla prigione. A me poi
non pensate punto, ché io non posso correre alcun pericolo,
potendo escire di qui quando che sia per riguardo di mio fratello.
Del resto io sono stata largamente ricompensata per far questa
bella scena. Voi non dovete pensare che a vestirvi di fretta e furia
e ad avviarvi alla porta del carcere.
Nel mentre che ella porgeva al Sulis le vesti da lei prima indossate, gli mormorava all’orecchio:
– Non dimenticate però di dare una buona mancia al guardiano che vi scorterà fino alla porta. La mancia anzi gliela darete
al momento di escire; è necessario di procurargli una distrazione
potente; capirete, il danaro! Al resto penseranno poi i vostri amici.
Fra lo stupore per quella scena inattesa, e le instanti805 preghiere della inviata dei suoi buoni amici, non ebbe forza il prigioniero di opporre il suo niego, per cui invasato dall’idea di ricuperare la tanto sospirata libertà806, e medesimamente fatto sicuro
che la sua liberatrice non avrebbe a patir danno per sì arrischiato
stratagemma condotto a sua sola salvezza, in un baleno si rivestì
di quelle donnesche spoglie807, e col velo calato sul volto, escì
dalla sua camera così tremante e turbato, che a stento poteva
muovere i passi.
803
essere, per essere come richiesto dall’errata corrige.
Pezzo di tela, fazzoletto.
805 Forma letteraria per insistenti.
806 Non ebbe forza di opporre il suo rifiuto, per cui esaltato dall’idea di recuperare la tanto sospirata libertà.
807 Immediatamente si vestì con quegli abiti femminili.
804
148
ANTONIO BACCAREDDA
– Per di qua, signora, per di qua – gli disse uno dei guardiani, portando una mano al berretto e con l’altra aprendo un uscio
interno della prigione – Si vede bene che questa non è la sua casa;
e così sia per cento anni.
Il guardiano affissò lungamente il Sulis, squadrandolo dal
capo ai piedi; onde il poveretto tenendosi808 perduto, si coprì il
volto colla pezzuola che avea tra mani, e si mise a singhiozzare
dirottamente.
– Eh! Lo capisco anch’io – esclamò l’altro con voce lamentosa – Quel povero uomo,809 così malaticcio com’è, fa una gran
compassione. Ma se ella vedesse tutti i giorni questi prigionieri,
come gli vediamo noi, scommetto che anch’ella finirebbe per farvi
il callo810. Capisco, una parente!
Frattanto il Sulis si trovò rimpetto811 ad un grosso cancello di
ferro. Prima che il carceriere si accingesse ad aprirlo, il Sulis ebbe
l’accorgimento di far scivolare nelle mani dell’altro uno scudo
(vera benandata812 in questo caso), pur sempre tenendosi la pezzuola in viso, sapendosi non troppo protetto dal velo.
– Non s’incomodi, signora; noi queste cose quando non le
facciamo per dovere, le facciamo per misericordia.
Dicendo queste parole scosse forte il suo mazzo di chiavi, e
presa di esse quella che faceva per lui, aprì il cancello, e lasciò passar oltre il Sulis; indi lo serrò con somma diligenza dopo di sé.
Non rimaneva che di aprire la porta d’uscita, ed anche questa fu
dischiusa ai passi del prigioniero.
L’ansia mortale che lo possedeva gli avea tolto le forze e l’ardire, onde nel porre il piede sul limitare del carcere, si sentì mancare di tratto813 e cadde sulle ginocchia, tenendosi istintivamente
con una mano al guardiano, coll’altra sorreggendosi alla meglio
contro uno degli spigoli della porta.
– Adagio! – gridò il guardiano curvandosi verso il caduto.
808
Credendosi.
uomo, per uomo come richiesto dall’errata corrige.
810 Locuzione d’uso soprattutto popolare per abituarsi ad una situazione spiacevole.
811 Di fronte.
812 Espressione d’uso non popolare, mancia che si dà ai servitori quando si lascia
una locanda o una casa.
813 di tratto per di fatto come richiesto dall’errata corrige. All’improvviso.
809
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
149
In quel momento solo il velo copriva le sembianze del fuggitivo, giacché eragli caduta di mano la pezzuola, che non si curò di
raccattare, lieto di essersi tirato su alla meglio e di aver guadagnato uno dei due scalini che metteano direttamente nella via.
– Signora, signora! Non vede che ha smarrito la pezzuola?...
Eccola! – si fece a gridare il guardiano, alla cui voce corse in tutta
fretta la sentinella impiantandosi fin presso il limitare della prigione, in attitudine di ben osservare quanto ivi si passava.
Per non destar sospetto, convenne al Sulis di tornar indietro
cheton chetone814.
– Io sto fresco adesso! – pensò fra sé – Benedette tante premure!
Ripreso il fazzoletto ritornò sui passi già fatti, sempre in silenzio e con lento incedere.
Udì al fine il rumore solenne del catenaccio che si era chiuso
bruscamente dietro le sue spalle. I cherubini in cielo gridando
osanna all’Altissimo non cantano melodie sì dolci, né l’accordo
dei loro strumenti formar puote815 concenti816 più soavi ed estasianti di quello che destato avea nell’orecchio del Sulis l’aspro e
duro strepito di quel chiavistello. Io credo che lo stesso Alfieri
avrebbe partecipato a cotesti gusti musicali, sebbene a lui tanto
ripugnasse di sentirsi chiuder le inferriate dopo le spalle.
Qual sospirone817 mise egli a quel suono, e come gli tardava
di allontanarsi da quella triste dimora!
Ma fatti appena pochi passi, né troppo ben distinguendo dove
egli si fosse, si sentì fermare da due persone, che sembravano in
tal luogo a disegno818 convenute.
– Chi è di là! – disse il Sulis mezzo allibito dallo spavento.
– Amici! Se tu sei Vincenzo Sulis – fu risposto da una voce
amica – Sono Salvatore Saba, non mi riconosci più?
– Oh sì veramente il mio salvatore819, col tuo degno amico
Pietro, che Dio vi benedica!
814
Piano piano.
Arcaismo per può.
816 Forma letteraria per concerti, cioè accordo armonico di voci e strumenti.
817 sospirone per sospirare come richiesto dall’errata corrige.
818 Con un secondo fine.
819 salvatore per Salvatore come richiesto dall’errata corrige.
815
150
ANTONIO BACCAREDDA
E qui vi furono mutui abbracciamenti e lagrime e proteste
generose di sentita amicizia820.
Poco stante mossero difilati a luogo di salvezza. Ma cara assai
ebbe a costare la magnanima impresa a quei due rari amici, perché (è lo stesso Manno che lo riferisce) le mogli loro e i piccoli
figliuoli furono tradotti in carcere; né valse a salvare la donna del
Pinna il riguardo dovuto ad un puerperio di soli due giorni821. Ma
Sulis e i liberatori suoi seppero contrapporre a queste ferocie tratti
magnanimi. Avvedutosi egli nel sicuro suo asilo del turbamento dei
suoi salvatori, consapevoli già di quella iniquità, non poté che a stento conseguire la confessione dell’avvenuto, e la contemporanea dichiarazione del proposito loro fermissimo di stancare piuttosto la crudeltà
del Governo di Sassari, anziché rivelar l’accordato asilo. Questa eroica ospitalità condusse allora il Sulis ad eroica abnegazione822. Fuggitosi di soppiatto823, presentossi824 non aspettato alla porta del suo carcere, donde inviò preghiera al governatore di rimettere in libertà
quelle due famiglie(67).
Quali ostaggi, quali torture!
Volli riportare le testuali parole dell’illustre storico per accrescere valore ad un fatto, la cui enormità potrebbe farlo sospettare
creato da una malsana e reproba825 fantasia. E per un altro un
assai edificante spettacolo il vedere tanta virtù contrapposta all’ignavia e all’abbominazione di chi si arroga il compito di migliorare un popolo, che ei crede tanto discosto alla civiltà826. Però se
i cattivi governi ancor durano, incolpiamone la corruzione dei
nostri costumi, essendo la sola moralità il mortifero ambiente di
(67) Manno, op. cit., p. 172-3.
820 Qui vi furono scambievoli abbracci, lacrime e dichiarazioni solenni di vera
amicizia.
821 Né servì ad evitare la carcerazione della donna il fatto che avesse partorito da
soli due giorni.
822 Altruismo.
823 Di nascosto.
824 Forma arcaica e letteraria per si presentò.
825 Perversa e malvagia.
826 Lontano dalla civiltà.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
151
tai governi. La Carlotta Corday dei tiranni è la virtù827; la virtù
intima, soda, domestica, che dell’individuo e della famiglia fa un
baluardo contro cui si spezzano le armi della forza bruta. Ma non
sogniamo il secolo d’oro828!
Dopo questo avvenimento l’illustre prigioniero fu ricondotto
ad Alghero nello istesso forte dello Sprone; e se ebbe la ventura di
non vi ritrovare i suoi antichi compagni di cattività, la sua sorte
gli avea serbato per guardiano un uomo sospettoso, vigliacco, crudele.
La sera del 18 giugno del 1802829 come appunto rientrava in
Alghero in mezzo ad una buona accompagnatura di soldati, certo
non a scorta d’onore, egli vide la città illuminata a festa ed il
popolo esultante.
– Che è questa novità? – chiese ad uno dei soldati che gli stavano presso.
– Si festeggia l’avvenimento al trono di re Vittorio Emanuele I.
– È morto forse Carlo Emanuele?
– Abdicò!
Il cuore a questo annunzio balzò in seno al prigioniero. La
speranza, anzi la certezza della sua prossima liberazione gl’inondò
l’anima d’indicibile gioia. Avrebbe pur voluto unire le sue acclamazioni a quelle del popolo; ma la condizione di prigioniero lo
fece accorto830 che ciò avrebbe fatto assai malvedere.
Serrò quindi nel suo intimo tutta la gioia che lo possedeva; e
in questo stato di felicità mise il piede nella torre dello Sprone
come se la fosse stata la reggia del suo antico benefattore; però che
ai suoi occhi non offrisse contrasto alcuno lo squallore di quel
carcere coll’aspetto festivo831 della città. L’anima solo crea o
827
Tirannicida è la virtù. Maria Anna Carlotta de Corday (1768-1793), girondina normanna, uccise, nel 1793, Marat, violento rappresentante del popolo nella
Repubblica francese.
828 Erano quattro le età del mondo immaginate nell’antichità: dell’oro, dell’argento, del rame e del ferro, in quest’ordine decrescente anche per splendore e prosperità.
829 Vittorio Emanuele I salì al trono il 5 giugno del 1802; nella realtà storica, la
fuga del Sulis e il suo rientro in carcere avvennero nel 1812.
830 Gli fece capire.
831 Festoso.
152
ANTONIO BACCAREDDA
distrugge la nostra felicità; il mondo esterno vi concorre solo a
guisa di complemento832.
– Sendo833 re non vorrà essere meno buono per me di quello
che fu sendo duca – pensava il Sulis – Egli mi renderà la libertà,
la famiglia, l’onore, i miei beni. Sì, lo spero! Egli mi farà giustizia
contro i miei vili nemici!
Fisime degne di un grand’uomo, ma non di quei tempi, né di
quegli uomini!
Da quell’epoca anzi ebbero principio le sue vere torture morali. Guardato a vista come un uomo volgare o come un essere posseduto dal demonio, in tutte le sue mosse, in ogni sua parola s’intravedeva il pensiero ascoso di deludere l’altrui vigilanza. Non era
già più un prigioniero politico, ma un malfattore qualunque; non
più un eroe scaduto, ma uno spirito turbolento e malefico, nato
fatto per finire i suoi giorni dentro un carcere.
Una mano misteriosa lo avea pietosamente fino a quei giorni
sovvenuto di danaro; prima gli si permetteva la lettura di qualche
libro; ma dopo il suo ritorno da Sassari tutto gli fu tolto e niegato.
Così per altri dieci anni si condusse quello infelice, il cui spirito con moto isocrono834 oscillava dalla noia alla tristezza, senza
intervallo, né requie. Eppure in quel lungo giro d’anni,835 grandi
e inaudite cose avvennero in Europa. Il figlio della rivoluzione836,
addivenuto il genio delle battaglie, riempiva di sua fama il
mondo, e la fortuna e l’audacia gli sgomberavano fatalmente il
passo, adeguando al livello delle vittime della mitraglia quelle del
despotismo837.
Du temps l’empire
Par l’aigle sera traversé.
Mais, Napoléon, ta mémoire
Ne se montrera dans l’histoire
Que sous le voile de nos pleurs:
Lorsqu’à t’admirer tu m’entraînes,
832
Locuzione per marginalmente.
Per essendo.
834 A cadenza costante.
835 d’anni, per d’anni come richiesto dall’errata corrige.
836 Napoleone Bonaparte.
837 Arcaismo per dispotismo, atteggiamento del despota.
833
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
153
La liberté me dit ses chaines,
La vertu m’apprend ses douleurs838(68).
Il nostro prigioniero udiva qualche rada volta parlare delle
splendide e fortunate gesta di quell’uomo meraviglioso, e in suo
cuore diceva: respice finem839! E allora pensava al come si sarebbero comportati gli uomini dopo il tramonto di sì luminoso
astro; già egli prevedeva che i lodatori avrebbero convertito in
odiosa o ipocrita nenia840 il loro inno di gloria; che i beneficati gli
avrebbero rivolto le spalle; e i nemici, in prima sì pavidi, gli avrebbero fatto sfrontatamente le fiche841.
Era naturale che egli, senza immodestia, riferisse anche un
poco a sé codeste morali riflessioni; e in questo fare non potea
darsi pace né capacitarsi, come Vittorio Emanuele si fosse del
tutto dimenticato di lui, egli che meglio degli altri dovea esser
certo della sua innocenza, apprezzarne l’animo retto, conoscerne
i nemici. Ma il duca d’Aosta cessò coll’essere re, non pure per il
Sulis ma per la Sardegna ancora; e ben disse l’egregio storico Pietro Martini asserendo, che la fama sua sarebbe rimasta senza
appunti in Sardegna se fosse scomparso in mezzo del favore popolare,
o se re non fosse stato, o divenutolo non avesse posto più piede nell’isola(69).
Ciò che maggiormente contribuì a farlo uscire d’inganno842
sul conto di Vittorio Emanuele e del suo governo, si fu la triste
fine toccata il 2 settembre del 1813 allo sventurato Salvatore
(68) Chateaubriand, Les malheurs de la révolution – Ode.
(69) Martini, op. cit., p. 43.
838
L’impero sarà attraversato dall’aquila del tempo. Ma, Napoleone, il ricordo di
te si mostrerà alla storia velato dal nostro pianto: quando mi spingi ad ammirarti, la libertà mi racconta le sue catene, la virtù mi insegna la sua sofferenza.
839 La frase completa è: “Si quid agas, prudenter agas et respice finem” (Qualunque
cosa fai falla con prudenza e guardando all’obiettivo da raggiungere; ESOPO, Fabulae, libro III, XXII, v. 5).
840 Discorso prolisso e noioso.
841 Locuzione che indica un segno dispregiativo, consistente nel serrare le mani a
pugno lasciando sporgere il pollice fra l’indice e il medio.
842 Toglierlo dall’illusione.
154
ANTONIO BACCAREDDA
Cadeddu843, la quale tanto funestò la città di Cagliari e acerbamente commosse l’animo di tutti i buoni(70).
– Ecco – gli disse il guardiano con modo procace, e dandogli
una bieca occhiata844 – ecco come finiscono i vostri pari!...
Il Sulis non volle lasciare senza risposta un tal linguaggio insolente, e squadrato dall’alto in basso e con dignitoso rispetto il suo
aguzzino, così gli disse:
– Sì, i miei pari, che sono gli onesti, finiscono sul patibolo,
quando i tuoi ne addiventano i giudici, i guardiani o peggio. E se
il tuo disegno è di rifilar la parlantina, riporta pure ai tuoi degni
padroni queste parole; anzi dì loro che io le ho profferite col
miglior mio senno.
Fulminato da sì terribile annunzio il nostro prigioniero stette
per più tempo immobile, annichilito, senza aver lena di parlare,
di piangere, di pensare a sì deplorevole e spaventoso delitto. Vi
ebbe un istante in cui credette di aver traudito845, tanto846 gli era
parsa cosa enorme quella sinistra notizia. Tuttavolta alle funeste e
turpi cose, aggiustando facile fede l’animo suo, ormai troppo al
male educato dalla esperienza, il dubbio insortogli ebbe in lui
un’assai breve dimora.
– Come – disse fra sé – quell’anima così benefica e gentile;
quell’uomo così venerando per età, per dottrina e per virtù illiba(70) Martini, op. cit., pp. 235-44.
843 Salvatore Cadeddu, avvocato, fu segretario dell’Università degli studi e contadore della città di Cagliari, congiurò contro Villamarina, organizzando un tumulto popolare, ma venne arrestato e impiccato nel 1812 (cfr. F. C. CASULA, op. cit.,
p. 254).
844 Gli disse il guardiano in modo sfrontato e dandogli una occhiata malvagia.
845 Credette di essersi ingannato nell’udire.
846 traudito, tanto per traudito tanto, come richiesto dall’errata corrige.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
155
te, morire per mano del carnefice(71)? Oh! È pur vero che i popoli meritano tutto, anche i cattivi governi!
E poco dopo come vinto da mortale abbattimento, proruppe
in queste parole:
– Oimè, mio Dio! Sorreggi tu la mia fede vacillante; che nella
stretta di tanto dolore non soccomba sotto il peso del dubbio!
(71) Veggasi l’elogio che fa di quest’uomo venerando lo storico Martini
a p. 242 dell’op. citLXI.
LXI
“Amato come egli era e riverito dai concittadini, per la gravezza degli anni, per
le cariche onoratamente coperte nel liceo e nel municipio, per la gentilezza dei
modi, per le pratiche divote e per la fama costante di buon cittadino, non fuvvi
uomo d’animo sensitivo che non ne compiangesse l’infortunio, in quel giorno
soprattutto che perdette miseramente la vita” (P. MARTINI, op. cit., p. 242).
156
ANTONIO BACCAREDDA
XVIII.
Poiché parlando del nostro protagonista ci è forza prendere gli
anni per settimane; così dopo di questo infausto episodio della
sua monotona prigionia, lascieremo trascorrere sine linea847 quasi
un intiero anno.
Siamo nel 1814. In quest’anno Sulis fu onorato della visita di
d. Efisio Luigi Pintor.
Al vedere dopo tanti anni il suo antico maestro ed amico, il
Sulis gli andò incontro e gli si precipitò nelle braccia. Con eguale trasporto di amore ricambiò d. Efisio quel primo saluto, così
eloquente e doloroso al suo cuore.
– Dove vi ritrovo dopo quattordici anni, povero infelice! Pur
troppo si sono avverate le mie profezie!
– Non avrebbe preveduto però mai – soggiunse amaramente
il Sulis – che sarebbero scorsi dodici lunghi anni del regno di Vittorio Emanuele senza la mia grazia. Eppure so che a quando a
quando si pone in libertà qualcuno dei miei famosi complici(72).
– Il nostro re – mormorò con circospezione d. Efisio – non è
certo un Tiberio, ma ha però il suo Sejano848.
– Villamarina? Dica meglio il suo mastino.
Volle soggiungere qualche altra parola, ma si frenò subito,
affettando la massima calma.
Il volto di d. Efisio era coperto da mortale pallore; non più si
scorgeva in lui l’uomo d’una volta; una cura segreta849 tradiva gli
sforzi che egli facea per dissimularla al suo amico.
(72) Martini, op. cit., pag. 68LXII.
LXII
847
Cfr. nota LIX.
Letteralmente senza una riga, per senza scriverne. Si tratta di un’espressione
usata da Plinio (23-79), poeta latino, nella sua Naturalis historia, che al capitolo
35 scrive: “Nulla dies sine linea”, riferendosi al pittore Apelle che quotidianamente si esercitava nella propria arte.
848 As Sajano. Elio Seiano, accattivatosi le grazie del crudele imperatore Tiberio
(14-37), ne divenne il primo consigliere, ordendo frattanto un piano per eliminare non solo Tiberio, ma anche il resto della sua famiglia e ascendere al trono. Troppo tardi l’imperatore si accorse delle trame del suo ministro, che fece mettere a
morte.
849 Preoccupazione non rivelata.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
157
– Ma che ha ella? – chiese il Sulis, addandosi850 dello stato di
d. Efisio.
– Temo che la politica abbia anche a me fatto il suo presente851... Però non ne parliamo altrimenti(73).
– Ebbene mi parli allora della mia consorte. Come sta essa? Si
è finalmente rassegnata alla sua sorte?...
D. Efisio si smarrì in cuore a questa tremenda interrogazione;
ma fece sembianza di essere tranquillo.
– Sì, la vostra moglie sta molto meglio di tempo fa – riprese a
dire poco stante – Ormai si sente forte a non curar più i suoi e i
vostri nemici. Io vi reco i suoi saluti…
– Come mi fanno bene queste sue parole! Che Iddio gliele
rimeriti!
Il saluto che il Pintor avea recato al prigioniero fu l’ultimo che
gli mandava dalla terra la sua consorte, cessata di vivere qualche
giorno prima di quello in cui siamo col racconto.
D. Efisio non ebbe cuore di cagionargli sì acerbo dolore,
vedendolo più che ei non sperava calmo e sereno. A che dargli
una sì tremenda notizia?
Sulis frattanto continuava a dire:
– Dunque essa è rassegnata, mi dice? Con questa idea sento
che il carcere non mi è poi di così grave martirio. E mi ama sempre?... Non rida, la prego! Io sono così egoista… Difatti fra tutte
le manifestazioni del nostro egoismo, questo dell’amore è il più
ipocrita, perché ottiene i suoi fini mascherandosi coll’amore per
gli altri.
– Purtroppo mi aspettava da voi un simile linguaggio; però
non secondiate queste idee sconsolanti. La solitudine è una cattiva compagna, e bisogna difenderci contro le sue perfide suggestioni.
(73) “Insin dall’infanzia udii dire che, venuta alla rada di Cagliari una
nave della marina militare francese, quivi per opera dei repubblicani il
Pintor bebbe col caffè quel veleno che nell’anno quartodecimo del secolo trasselo alla tomba nell’ancor verde età di anni quarantotto” (SiottoPintor, Storia della vita di Giuseppe Manno, pag. 46).
850
851
Avvedendosi.
Regalo.
158
ANTONIO BACCAREDDA
– Non abbia alcun timore per me. La tempra straordinaria del
mio spirito, quella che mi ha fatto affrontare e superare tanti pericoli, e che mi ha reso saldo contro le minacce e le lusinghe, è l’istessa che mi mantiene qui, in questo mio carcere, tollerante,
securo, coraggioso sempre.
E per dar tosto all’altro una testimonianza di quanto andava
dicendogli, si fece a parlare con ilarità mista di sarcasmo, delle
compiute sue imprese, su di ogni cosa fermandosi con particolari dettagli e con sensate considerazioni.
– Perché vuol’ella che mi disperi? Io ho sostenuto tutto in una
volta le fatiche e i travagli della vita; ora è giusto che ne goda tutto
in una volta il riposo. A me è intervenuto come a quegli attori
drammatici, che dopo di aver rappresentato con valore una parte
di forza, e presentandosi tuttavia cogli indumenti di un eroe per
ricevere sul proscenio852 le salutazioni del pubblico, si sentono
cascar sul capo il sipario, la cui stanga li853 ha storditi e rovesciati a terra. Ma io, tuttoché rovescioni, vo starmene colle mie spoglie da eroe, che spero di avermele rassettate con decenza, al pari
di Giulio Cesare854. Se pure avvenisse che la Storia si abbattesse a
passare un giorno presso al mio carcere, forse non isdegnerebbe di
gettare uno sguardo su di me, e mi riconoscerebbe dalla foggia
delle mie vestimenta855. Felice chi crede alle riabilitazioni e alle
glorie postume in grazia della storia! L’immortalità della fama!856
Non le pare egli il pregiudizio di chi presume di non averne alcuno?
– Siete scettico dunque?
– Sono come chi ha vissuto molti anni solo e meditando. Oh
come dal fondo tetro di questo carcere ho potuto discerner
meglio le cose! Coloro, che trovansi nel profondo di un burrone
veggono di pien meriggio lo scintillar delle stelle. Sì, mio amico!
La vita è una parabola, di cui una parte si ascende colle illusioni,
852
Palcoscenico.
As gli.
854 Giulio Cesare (100-44 a.C.) morì assassinato da alcuni congiurati fra i quali il
figlio Bruto.
855 Dalla fattura dei miei abiti.
856 fama! per fama: come richiesto dall’errata corrige.
853
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
159
e l’altra si scende coi disinganni. Tolga Iddio che l’ultimo disinganno non sia nella tomba857!
Il volto del Pintor si compose a mestissima espressione a queste ultime parole. Una nube oscurò la sua pallida fronte, sulla
quale la serenità della fede avea sempre mantenuto costante e
inalterato il suo dominio. Egli certo non si aspettava un tal
discorso, sebbene fosse apparecchiato858 a udire parole risentite e
sdegnose; il perché volle subito opporre al tetro scetticismo, che
avea già fatto presa nello spirito dell’amico, i tesori inestimabili
della fede. Sperava coll’autorità della sua dottrina di scuotere e
ammonire quell’infelice, oppresso meno dai casi della vita, che
dalle immanenti persecuzioni del pensiero.
– Oh come dovrei esser severo, o Vincenzo,859 nel rispondere
a queste vostre parole! Quale forza può aver fatto crollare la salda
vostra fede?
– Se ella potesse entrare nel mio cuore, ne escirebbe pazza! Sì,
lo confesso, ho bisogno di credere, e non posso; e tutto mi fa
dubitare.
– Dove temessi questi vostri discorsi io avrei spavento di me
stesso; ma li voglio affrontare colla sicurezza che m’infuse la scienza di coloro che mi educarono a credere e a sperare.
– La scienza umana, sì! – esclamò il prigioniero, componendo le labbra ad un amaro sorriso – Dessa mette sugli occhi del
cieco il loto, ma non ha per lui le acque portentose della piscina
di Siloe(74).
– Vincenzo, la ragione potrebbe intristirvi.
– Lo veggo, sì lo veggo, noi due siamo egualmente intolleranti, ella della ragione, io dell’autorità; badi però che la ragione è
sempre autorevole, mentre l’autorità non è sempre ragionevole.
(74) S. Giovanni, cap. IXLXIII.
857
Cioè che una volta morti non si scopra che non esiste il paradiso, consolazione dei cristiani nelle avversità terrene.
858 Pronto, preparato.
859 Vincenzo, per Vincenzo come richiesto dall’errata corrige.
LXIII
“Passando vide un uomo cieco dalla nascita [...] sputò per terra, fece del fango
con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: Va’ a lavarti nella
piscina di Siloe (che significa Inviato). Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva”
(Gv 9,1-7).
160
ANTONIO BACCAREDDA
L’altro sentendosi piccato860 dalle osservazioni del Sulis,
replicò con enfasi mal celata:
– Non vi lasciate trascinare dalla cattiva tentazione di ribellarvi contro ciò che ha fatto curvare la mente dei dotti; si richiede
dappoi molto studio a rimetterci in sentiero.
Sulis non seppe più contenersi ed escì impetuosamente in
queste parole:
– Oh in quanto a questo io posso quasi credermi più dotto di
lei, d. Efisio, sebbene sembri cosa molto temeraria a dirsi! Ma gli
è solo perché io ho sofferto molto più di lei. Quattordici anni di
carcere e di solitudine! Ella è ancora in fortuna861, caro d. Efisio,
e non può quindi conoscere quali e quanti saranno coloro che
nell’ora della disdetta,862 l’abbandoneranno; che dico? Il giorno
solo che si sapesse che ella non è più utile ad essi! Allora capirebbe il significato vero di tutte coteste strette di mano, di codesta
profusione di lodi, d’inchini e di tanti sorrisi spiranti863 affetto e
tenerezza. Io sì lo so quel che vi è di nuovo quando la fortuna ci
abbandona! Pensare a quella falange di barbarossi sempre pronti
a darmi la soja864 e a benedirmi quando io sapeva tenere bene al
guinzaglio quella marmaglia che avrebbe attentato alla loro pelle,
manomesso i loro scrigni. Il viceré Vivalda istesso, se ne rammenterà ella almeno, lo spero, faceva egli cosa che non la volesse
il signor Vincenzo(75)? Pensare che cotesti avvocatoni che ora
trinciano865 in lungo e in largo a Cagliari nelle sale dei consigli866,
(75) Il viceré Vivalda “non usciva di titubazione nel disporre dei gravi
negozi, se il signor Vincenzo (ché così chiamavalo) non lo fermava col
suo suffragio” (Manno, op. cit., p. 428). L’illustre storico sardo dichiara
tuttavia di non aver mai veduto menzionare nei dispacci del Vivalda, od
in altro ufficiale documento della sua segreteria, il nome del gran tribuno cagliaritano. Al lettore i commenti su ciò, e sulla scomparsa degli atti
processuali contro il Sulis.
860
Offeso.
Ha ancora la sorte propizia.
862 disdetta, per disdetta come richiesto dall’errata corrige.
863 Sorrisi che lasciano trasparire, che emanano.
864 Locuzione per adularmi.
865 Esprimono i loro pareri con sicurezza.
866 consigli per Consigli come richiesto dall’errata corrige.
861
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
161
nelle dotte adunanze, nelle eleganti conversazioni, me li867 ho pur
visti tutti ossequienti ai miei piedi e umili come tanti agnellini.
Ebbene quando si trattava che il povero Vincenzo Sulis era in
gran pericolo, e che gli occorreva un difensore per salvarlo dal
patibolo, chi di essi rispose alla giusta chiamata? Nessuno, nessuno! Fu forza nominare d’ufficio il mio difensore. Ah! Bello, generoso, grande tutto questo! Mi lasci dire, d. Efisio ché ne ho proprio il cuore ricolmo! Ella ha studiato molto, moltissimo, lo so; e
colla sua metafisica è arrivata a intendere che sia l’uomo, questo
enorme fantasma che ci accompagna fino a mezzo della vita,
facendoci commettere un mondo di corbellerie, e trappolandoci868 tutte le volte che ci imbattiamo nei nostri simili. Ma gli
uomini che esistono,869 non già l’uomo che è scomparso dalla
terra, bisogna imparare a conoscere, signor mio; gli uomini sì, e
ciò a prezzo della nostra fede e della nostra felicità; perché l’esperienza, funesta scuola della vita, in ciascun giorno mi dice: la tua
idea era un sogno, la giovinezza ti ha ingannato; l’uomo in cui hai
tu creduto è il bene in potenza, ma non è uscito dagli scaffali della
tua libreria o dai penetrali del tuo cuore870; coloro invece che
pongono in azione il male nel gran dramma della vita, sono
appunto gli uomini, proteiformi871 come l’errore, come il male,
come la deformità!
Pintor non potendo più padroneggiarsi soggiunse quindi
tosto:
– Vincenzo! La vostra calma di poco fa mi ha tratto in errore,
ma ora veggo chiaramente che nel silenzio dell’isolamento avete
vissuto solo col pensiero, facendone uno strumento di distruzione. Chi ha il coraggio di annientar872 tutto, non è poi infelice
quanto crede di essere. Ebbene, io voglio riannodare nel vostro
misero spirito gl’infranti legami della fede; io vi voglio rendere
più infelice che non siate873 per iscuotere l’atonia874 del vostro
867
As gli.
Facendoci commettere un’enorme quantità di sciocchezze e ingannandoci.
869 esistono, per esistono come richiesto dall’errata corrige.
870 Dagli angoli più remoti del cuore.
871 Versatili, multiformi.
872 As annientir.
873 siate per siete come richiesto dall’errata corrige.
874 Indifferenza.
868
162
ANTONIO BACCAREDDA
cuore malato, per rinvigorire in voi il bisogno della speranza nell’istessa grandezza del dolore. Or bene, allorché avrete imparato
che mai sia perdere un essere veramente caro, travolto nell’arcano
abisso della morte, allora il pensiero del nulla svanirà dalla vostra
mente, che è il solo nulla scompagnato dal cuore!
– Mi spieghi questo mistero, la prego! – chiese il Sulis reso
attonito dalle tremende parole del suo amico.
– Lo farò sì, poiché me ne par giunto il tempo. Coraggio,
dunque, o infelice mio amico; la donna che avete cotanto amato,
quel vostro angelo di amore e875 di rassegnazione più non esiste!
Io ne raccolsi l’ultimo spiro876, io vi reco l’ultimo suo addio!
– Povera la mia consorte! – egli bisbigliò piegando la fronte e
cuoprendosi il viso colle mani(76).
(76) Sebbene sappia di buon luogo che la consorte del Sulis morisse in
Cagliari verso il 1846 presso il suo fratello Girolamo Zedda, tuttavia non
mi peritai di darle una morte anticipata, pensando come non potesse
nuocere all’integrità dei fatti che raccontai, che questa donna, la quale
non aveva alcuna entità storica, o se pur l’ebbe, fu solo per riverbero di
suo marito, sia trapassata prima o dopo di lui.
875
876
As è.
Forma poetica per respiro.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
163
XIX.
Questi colpi inattesi e pieni di ambascia877 furono per lui
come le colonne miliari878 della sua egra pellegrinazione su questa terra. Quale altro dolore poteva ormai tornargli straniero?
Ond’egli incedendo perseverante e senza più lamentare, portava
docile la sua croce in nulla presago del proprio avvenire, indifferente del passato e sazio del presente.
Egli avea assistito impassibile dal fondo del suo carcere alla
coalizione di tutta Europa contro Francia ed il suo despota; all’abdicazione di costui, all’innalzamento al trono di Luigi XVIII, alla
caduta del regno d’Italia, ai famosi cento giorni che precedettero
l’ultima rovina di Napoleone; agli agitamenti dei liberali di Spagna, di Grecia e d’Italia per cambiar nome alle cose e per disporsi a sostenere nuove illusioni o perdendo o vincendo.
Venne finalmente il 24 luglio 1820879, giorno onomastico del
re Vittorio Emanuele; in questo giorno istesso ebbe la grazia il
Sulis, e quelli fra i supposti suoi complici che erano sopravvissuti
alle lunghe pene della prigionia(77). Fu questo un atto di riparazione del re? Se non lo fu, questa serotina880 grazia è soprammodo umoristica; se lo fu, bisogna convenire che Vittorio Emanuele maturasse assai bene le cose prima di farle.
Un tale atto, come è naturale a capirsi, fu magnificato clemente da coloro che se ne stanno sempre col plettro in mano volti
ad Oriente; sicché i cronisti881, raccolte le odi e scompostone il
ritmo, scrissero comando882 in buona prosa i loro annali, a studioso conforto e a salutare esempio delle generazioni avvenire.
(77) Martini, op. cit., p. 68LXIV.
877
Angoscia.
Segnali che i Romani ponevano lungo le strade maestre a indicazione delle
miglia; in senso figurato, sta per tappe fondamentali.
879 Vincenzo Sulis, nella sua Autobiografia, indica erroneamente la data del 4
luglio 1821 (V. SULIS, op. cit., p. 167) e con lui il Tola (P. TOLA, op. cit., p. 246).
880 Fiore o frutto tardivo.
881 sicché i cronisti per sicché cronisti come richiesto dall’errata corrige.
882 comando per cornando come richiesto dall’errata corrige.
878
LXIV
Cfr. nota LIX.
164
ANTONIO BACCAREDDA
Peraltro se si avessero quattro occhi, o forse meglio se l’occhio
si avesse dei ciclopi883, che l’unico l’hanno proprio nel bel mezzo
della fronte, le istorie si leggerebbero assai meglio che non si faccia; giacché per intenderle vi ha d’uopo884 di una seconda ed eletta vista che risolva l’equivoco della frase, che ne costruisca in
unità i disparati elementi e sopratutto che azzecchi ciò che lo storico ha taciuto per frode, per negligenza o per ignoranza. Ei mi
parrebbe che con cotesto occhio benedetto si leggerebbero di
molte e belle cose e singolari e curiose intorno alla vita di Vincenzo Sulis. Con questa seconda vista si chiarirebbe forse bene la
storia del nostro tribuno, ponendola a ragguaglio con quella del
1821, che ci presenta da una parte generosi e illusi cittadini, chi
più chi meno, subire la sorte istessa del Sulis, e dall’altra, persone
di più alto paraggio far delle abili defezioni, godersi l’impunità e
in ultimo cingere la corona. Ma i ciclopi, narra la favola, erano
figli del cielo e della terra. Indovinate mo’885 che altro di più essi
leggerebbero là entro in quelle storie, se fossero altresì figli dell’inferno!
La libertà, quest’unica eragli rimasta in terra, ma scemata di
lunga mano dall’impostogli confine(78), e segnatamente dall’indigenza.
Messo appena il piede fuori del carcere, suo primo pensiero fu
di scrivere all’illustre Lodovico Baille886 la seguente lettera:
Alghero, 29 agosto 1820
Con questa vengo ad offrirle la mia servitù, tale quale feci al
suo signor padre, ed al reverendo suo signor fratello d. Faustino, dal quale fui difeso dalla morte al tempo delle mie
disgrazie, e per il quale solamente vivo dopo la particolare
(78) Vedi la nota ant.LXV
883
Mitologici giganti dotati di un solo occhio, figli di Urano (cielo) e Gea (terra).
As duopo.
885 Adesso. È espressione tipica dell’Italia centro-meridionale.
886 Ludovico Baille (1764-1839), figlio di Giovanni Cesare, si trasferì a Torino
come addetto al Ministero della Legislazione spagnola, rientrando a Cagliari nel
884
LXV
Cfr. nota LIX.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
165
grazia di Dio e del mio benignissimo sovrano; che mi fece
rinascere dopo 21 anni di penosissima carcerazione(79).
Come saprà, io non possiedo più nulla sulla terra, avendomi di tutto spogliato il governo del mio benignissimo
sovrano. Ora accetto con rassegnazione l’esilio, ma di
troppo grande supplizio mi tornerebbe lo stendere la
mano all’elemosina, io che ho sempre vissuto col frutto
del mio lavoro quando era libero. Ella che conosce le mie
disgrazie, e che sa quanto poco io le abbia meritate, per
essere innocente delle appostemi colpe, non vorrà certo
patire che io trascini la mia esistenza nella miseria, massime nella grave mia età, ed in paese dove arrivo col marchio della riprovazione e colla fama della mia lunga cattività. Ella, caro d. Lodovico, che è agente consolare di Spagna, potrebbe farmi nominare suo vice-console in qualche
porto dell’isola, o altrimenti pormi in grado di guadagnare, mediante lavoro, il mio pane quotidiano. Si assicuri
che questa sarebbe una vera carità, e me la prometto dal
suo cuore pietoso; onde implorerò a tutte ore la celeste
benedizione sul capo della V.S. come la mia prima provvidenza dopo Dio ed il benignissimo mio protettore e
Sovrano, il quale mi ha graziato indi a 21 anni di carcerazione. Qualora alla S.V. piacesse onorarmi di una risposta,
io l’attenderò con vivo desiderio e con grande impazienza
(79) Fin qui lo storico Martini (op. cit., p. 69LXVI); il restante della lettera è di mia invenzione: “Faustino Cesare Baille, amico come era dell’avvocato Melis, a lui porse aiuto nello strettoio delle 24 ore: tale e tanto
che, mentre a Melis rimase il peso della compilazione del sommario del
processo, al Baille, versatissimo nella giurisprudenza civile e criminale,
quello di scrivere la difesa. Sulis ne fu sempre riconoscente al Baille”
(Martini, op. cit., nota (1), p. 69).
1800, dove fu presidente della Biblioteca Universitaria. Condusse importanti
studi sulla storia della Sardegna e compose sonetti, come d’altronde suo fratello
Faustino Cesare, citato poco oltre.
LXVI
La lettera è nella n. 1, pp. 69-70.
166
ANTONIO BACCAREDDA
nell’isola della Maddalena, la terra ove mi è dato di finire
la tribolata mia esistenza.
Di V.S. Ill.ma.
Devotissimo ed Umilissimo Servo
VINCENZO SULIS.
Nella grave887 età di settantacinque anni egli mosse dunque il
piede dalla prigione per l’esilio. L’isola della Maddalena fu da esso
lui prescelta come luogo di confino; e vi trasse col desio di chi ha
bisogno irresistibile di trovar pace.
Arrivato in quello scoglio, cui il cielo impartiva la benedizione del suo sorriso, si curvò al suolo e lo baciò ripetutamente con
espressione mista di tenerezza e di mestizia.
– Terra del mio esilio, e mia ultima dimora – egli esclamò
stando tuttavia ginocchioni – siimi ospitale e amica, come io sarò
tuo discreto e leale ospite! Io fruirò dei tuoi doni con gratitudine,
dei tuoi rigori con pazienza, né mai il mio labbro dirà parola di
biasimo o di lagnanza contro di te, o la mia penna scriverà cosa
che valga ad alienarti l’affetto degli uomini. Chi è immemore dell’ospitalità ricevuta è sette volte codardo e sette volte malvagio!
L’avea in quell’isola precorso888 la fama di sue segnalate
imprese, e della lunga prigionia sofferta; onde gli si proffersero
tutti ossequienti e benevoli. Ma alle lusinghiere dimostrazioni di
quei buoni isolani egli contrappose la sua grande modestia. Desideroso di trarre una vita solitaria ed ascetica negli ultimi suoi giorni, ebbe divisato di consacrarsi intiero a soccorso degli infelici, di
rendersi a Dio.
Si vide di bel nuovo provveduto di danaro, fermamente dall’istessa misteriosa mano di tempo fa; e poté con quanto sopravanzava ai suoi più stretti bisogni, sovvenire i poverelli,889 e coll’opera sua assidua assistere gl’infermi.
Che altra consolazione potea rimanergli all’infuori di quelle
che derivano dalla beneficenza890 e dalla preghiera? In così fatta
età, dopo quanto avea veduto e sofferto, che altro potea esser per
887
Avanzata.
Preceduto.
889 poverelli, per poverelli come richiesto dall’errata corrige.
890 Arcaismo per beneficienza.
888
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
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lui la vita se non un apprestamento891 alla morte? Così il cuor
suo, invigorito dal dolore ed educato dalla solitudine, ritornò ad
essere l’amico dell’uomo, compassionandolo892 anziché odiarlo;
giacché è la società che, in cambio di farlo migliore, lo ha pervertito. L’intelligenza, fatale forse come i mali che ricompera893, lo
aveva finalmente riconciliato con sé e con gli uomini!
Dovrò dirlo senza ambagi894 e timori? Vincenzo Sulis era ridivenuto un fervido credente. Né ciò gli si addebiti come un sintomo di debolezza causata dai patimenti e dagli anni. A che indisìa895 la severa scuola della vita? In che si affidano le fastose promesse di codesto strombettato progresso, che ti pone sempre
dinanzi agli occhi lo stesso problema da risolvere? I soccorsi della
scienza forse che sono fatti per consolare l’uomo infelice? Della896
scienza moderna massime, che altro non vede che amminicoli897
(come sennatamente898 dice il De Meis(80)); che altro di meglio
non sa offrire (e l’offre solo ai suoi cultori) che i passatempi del
microscopio e delle storte899 per farsi ricca di fenomeni? E poiché
è d’uopo scusare non soltanto le opinioni, ma il sentimento in
questi benedetti tempi di libertà, farò scudo al mio protagonista
del motto magistrale degli stessi odierni liberi pensatori, sul cui
vessillo veggo scritto: – Ciascuno secondo la sua fede900. Quanti
(80) A. C. De Meis, Dopo la LaureaLXVII.
891
Avvicinamento.
Compatendolo.
893 Inevitabile forse come i mali che redime.
894 Direttamente, senza giri di parole.
895 Verso quali desideri spinge.
896 As della.
897 Per ammennicoli, cose di poco conto.
898 Assennatamente.
899 Recipienti con lungo collo ricurvo verso il basso usati nei laboratori per compiere esperimenti chimici.
900 «“Il Signore stesso a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo” (1Ts 4,15). Egli, che per volontà e comando del
Padre giudicherà tutti con giustizia e darà a ciascuno secondo la sua fede e le sue
opere» (SANT’AGOSTINO, Replica al sermone degli Ariani, cap. XI, par. 9).
892
LXVII Angelo Camillo De Meis (1817-1891), patriota abbruzzese, scienziato e
docente di filosofia a Bologna e a Parigi, scrisse Dopo la laurea nel 1868.
168
ANTONIO BACCAREDDA
spiriti forti stringendo l’arma suicida si confessano più deboli di
Pascal, di Moor, di Pellico, di Tommaseo901! Vorrei quasi dire che
ormai si richiede maggior fede ad essere materialisti e atei che credenti della fede dei più902. Non mi si creda per questo un Tommaso da Kempis903.
Del resto Vincenzo Sulis avendo tutto perduto904, in chi
dovea egli confidare? Rispettiamo dunque il dolore ineffabile di
chi non può trovar conforto che ai piedi dell’altare905. E dall’altare il Sulis riattinse lena, vigore, volontà a fare il bene, e a farlo per
sentimento, non più potendolo per riflessione.
Le occupazioni giornaliere e più favorite di lui erano, come
già dissi, nel prestarsi a sollievo degli infermi. Coloro fra questi
che erano per di più indigenti, ricevevano da lui, oltre a quei
conforti dimandati dal loro stato di salute, anche dei soccorsi in
danaro.
Non è a dire qual fama egli erasi in breve tempo procacciata906 d’uomo benefico e pio. Il suo nome correva in bocca a quegli abitanti, sempre associato a benedizioni e a parole di ammirazione e di gratitudine; e non potevano capacitarsi come egli fosse
stato condannato a quella sì dura e lunga prigionia, e come in
questa avesse conservato sempre il suo buon cuore, o altrimenti se
lo avesse educato al bene.
La sua prima cura di ogni giorno, e ciò fin dai primordi della
sua dimora alla Maddalena, era rivolta a visitare l’ospedaletto di
quel comune, in cui di fatto e per tacito consenso di tutti era considerato come il patrono e il direttore.
– Ottimo signore – gli diceva il medico di quello stabilimento sanitario, un uomo illuminato e di proposito – voi forse ignorate tutto il bene che fate. Voi soccorrete gli afflitti e in uno offri-
901
Blaise Pascal (1623-1662), filosofo francese giansenista. Niccolò Tommaseo
(1802-1874), filosofo e uomo politico, venne incarcerato per la partecipazione
alla rivolta veneziana del ‘48 ed esiliato dagli Austriaci a Corfù.
902 Cioè dei cristiani.
903 Tommaso Hemerken (1380-1471), detto da Kempis, mistico tedesco cui è
generalmente attribuito il testo L’Imitazione di Cristo, la più completa esposizione
della devotio moderna, corrente religiosa di riforma spirituale.
904 As tuttoperduto.
905 Cioè nella religione.
906 Procurata, guadagnata.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
169
te l’esempio del bene, senza fare il picchiapetto o il bacchettone907. Qualche facoltoso signore, vergognandosi della sua colpevole avarizia, vedo già che apre la mano alla beneficenza; vedo che
i monelli vanno via via smettendo il mal vezzo908 di oltraggiare la
sventura e la vecchiaia. Vedete là presso a quel letto – e ciò dicendo accennò ad un uomo dalla barba e dai capelli canuti, curvo
sotto il peso degli anni e, a quanto mostrava, assai sofferente – lo
vedete? Quel desso fu tratto in questo luogo di dolore, e giorno e
notte presta l’opera sua a pro degl’infermi, per il desiderio d’imitarvi. Oh è ben grande questo! Egli è divenuto la provvidenza di
questi infelici, dopo di voi, s’intende.
– Questo vi fa supporre il vostro spirito generoso, e la grande
amicizia che avete per me – rispose modestamente il Sulis, stringendo la mano al medico.
– Credete che io voglia adularvi? Quanto ora dissi vi sarà da
lui medesimo confermato; e come sarà felice di poterlo fare! Se
sapeste il fascino irresistibile che voi operate sull’animo suo, e
l’entusiasmo che lo investe al solo udire il vostro nome!
Il Sulis senza far parola si appressò al vegliardo, e il medico gli
tenne dietro.
– Voi dovete esser di molto infelice, se trovate consolazione
presso al letto degli ammalati – mormorò il Sulis, rivolgendogli la
parola con affabilità e mestizia909.
L’interrogato non rispose altrimenti che con un leggiero e
affermativo segno del capo.
– Davvero che m’interessate molto, o buon uomo! Spero che
vorrete provarmi colla vostra fiducia la benevolenza che l’ottimo
nostro medico mi assicura che voi nutrite per me. Ci uniscono in
amicizia le comuni e pietose nostre occupazioni, e gli affanni che
ci hanno condotto a questo.
Così dicendo gli stese amorevolmente la mano, che l’altro
baciò con trasporto di devozione e d’affetto.
– Grazie! – esclamò finalmente il vecchio, con voce così stenta, che si durava gran fatica ad intenderlo – Grazie anche a nome
907 Sinonimi per indicare colui che si mostra pedante nelle pratiche religiose,
appunto picchiandosi il petto.
908 La cattiva abitudine.
909 Benevolenza e tristezza.
170
ANTONIO BACCAREDDA
dei poverelli che questa mano ha soccorso! Io non sperava che vi
foste degnato di scendere fino a me, che sono così miserabile.
– Ebbene, se siete miserabile non è forse questo un titolo di
più al mio affetto? Rassicuratevi, o povero mio infelice; quali che
sieno le vostre tribolazioni, il mio povero cuore vi sarà sempre
aperto, come è la mia muta e solitaria casa sempre ospitale all’amicizia ed al dolore. Ci consoleremo a vicenda. Più vi sarò infelice, e più vi amerò.
L’altro ribaciò commosso la mano dell’illustre esule. Né il
medico era di questi meno commosso nel suo segreto compiacendosi di aver dato causa910 a questa scena pietosa.
910
Aver originato.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
171
XX.
Forse il Sulis pensò subito che il nuovo suo amico non avrebbe avuto molto di che consolarsi del suo contatto, e partecipando
al genere di vita che egli traeva austera e da stoico. Schivo di riandare le passate cose, egli dava sollievo alle presenti sue afflizioni
solo con la meditazione e con la preghiera. Quando si è molto
innanzi cogli anni si vive solo di pensiero; e questo genere di vita
contemplativa ed interna non è troppo atto a tener gaio e sollevato lo spirito dell’uomo, querulo911 quando medita a quel che
avrebbe potuto fare, querulo quando ripensa a quel che ha fatto,
querulo di esser nato, querulo di dover morire. Il benefizio del
pensiero ne controbilancia esso i disfavori? Chi non usa di questo
privilegio che deifica l’uomo, anche nella fatica, vedi sereno e
quieto; chi ne usa, neppur giacendo riposa. Oimè! Temo già soluto il problema!
Durante le lunghe notti, vegliate nella tristezza del suo ritiro,
di rado qualcuno veniva a turbarlo, sapendosi da tutti che egli
sopra ogni cosa era vago di solitudine e di quiete; onde, per vincere la monotonia di quella sua vita uggiosa912, prese egli il partito di scrivere la lunga storia delle sue vicende. Qualche volta mentre scrivea, lo si vedeva acceso di subito entusiasmo, tale altra l’ira
lo accendea con irrefrenata violenza, e allora sdegnoso gittava da
sé lungi la penna, e si mordea le mani con impeto feroce; e a questo, il suo buon amico, che non perdea un solo dei suoi movimenti, gli si appressava riguardoso, e con ineffabile dolcezza lo
esortava a serenare il conturbato suo spirito.
– Vi ringrazio dell’interesse che prendete per me – egli diceva
allora, pentito di aver ceduto alla foga della sua passione – Voi
colla vostra amorevolezza mi richiamate a me stesso. È un rimprovero troppo benevolo questo che voi mi fate, lo veggo; pure
basterà questo solo a correggere lo strano e ardente mio carattere.
Così parlava il Sulis, e come per imporsi la moderazione che
in tai momenti lo abbandonava, riedeva913 all’opera interrotta;
studiandosi di essere al possibile calmo e rassegnato.
911
Forma letteraria per lamentevole.
Noiosa, priva di gioie.
913 Ritornava, riprendeva.
912
172
ANTONIO BACCAREDDA
Succedevano talvolta alle silenziose ore dello sconforto, alcuni istanti di gaiezza e di fiducia; e allora egli esclamava con dolce
inflessione di voce:
– Noi siamo pure ingiusti qualche volta a lagnarci del mondo!
Rammentiamo solo le malvage azioni degli uomini, e mai, o
molto di rado almeno, le loro virtù. Fui, è vero, bersagliato914
assai dalla fortuna, e molti uomini sperimentai915 crudeli; ma
abbandonato non mi seppi mai. In questa terra istessa, ignorata
da tutti, una mano benefica e misteriosa mi salva dall’indigenza;
voi dividete generoso con me le tetre ore dell’esilio, e vegliate su
di me colle cure amorose di un fratello, di un vecchio amico.
Talora, abbattuto dallo sconforto, toglieva anche dalle più
lievi cose argomento a lamentare di tutto, e con umor cupo e selvaggio fuggiva ancora la compagnia di quell’unico suo amico; e in
questo stato traeva verso i luoghi più romiti916 dell’isola, per alimentare colle nere fantasime917, create dall’egro suo spirito, la
tetraggine da cui si sentiva compreso918. Favoriva questi accessi di
misantropia l’aspetto malinconico e imponente del mare, sulla
cui sponda spesso si assideva a contemplarne i fiotti biancheggianti, a udirne il tetro muggito, che si perdeva nel cupo silenzio
del suo cuore. Allora la sua mente si elevava al cielo, nel quale soltanto confidava; e in così, affissando nel mare il suo occhio ammirato, esciva in queste parole:
– Ti contemplo, o mobile e immensa via che ti perdi al mio
sguardo desioso, e che immagino debba tu addurre a paesi, nei
quali esistono uomini più felici, più virtuosi che non sono quelli
che io mi conobbi; nei quali non si atterghi919 all’amore l’interesse, dove il sorriso non illanguidisca920, e i fiori non appassiscano
mai! Ecco perché questa via, sospesa sopra l’abisso, confina al
cielo. Vieni, o flutto soave, che ti perdi con un sospiro su questa
sponda sabbiosa, non lasciando di te che un fuggevole vestigio921
914
Preso di mira.
Conobbi per esperienza diretta.
916 Solitari.
917 Incubi.
918 Pervaso.
919 Anteponga.
920 Svanisca.
921 Ricordo.
915
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
173
di spuma, immagine della vita terrena! Il tuo sospiro mi rinvergini l’anima, mi rinvigorisca il cuore colla dolce e consolante giovinezza della fede. Potessi abbandonarmi a voi, onde che in me
destate l’idea dell’infinito, così liberandomi da me stesso, di cui
ho tanto spavento. In vostra balia non farei naufragio, no! Perché
credo e spero; perché l’anima mia sente l’istinto della vita immortale!
Era una scena solenne, cui in silenzio e in disparte assisteva
l’amico del Sulis, temente di toglierlo a quell’estasi beata.
Dopo alcuni momenti, per altro, gli si appressò, e postagli
dolcemente la mano sopra una spalla:
– Come a quest’ora, e solo in tal luogo? – gli disse in tuono di
amorevole rimprovero.
L’altro gli si rivolse, avendo al viso922 la placida e mesta
impronta della rassegnazione, l’ultima compagna di chi ha riposto la sua fiducia nella vita futura.
– È tanto buon stare qui – gli rispose placidamente il Sulis –
Più è lugubre e malinconico il luogo, più egli si confà col mio spirito.
Dopo una breve pausa il Sulis si decise di seguire l’amico, e
con lui trasse fino alla propria abitazione, dove arrivò che era già
notte.
Era quella una notte di febbraio923 del 1833; il vento più dell’usato sibilava forte e monotono; i due vecchi se ne stavano assisi uno rincontro924 all’altro, silenziosi e cogitabondi925. Trascorsa
circa un’ora dopo il loro ritorno, il Sulis si rizzò, e trascinandosi
col tardo926 suo passo verso uno stipo927, lo aprì e ne trasse fuori
un manoscritto.
– Voi mi avete dimandato le cento volte il racconto dei miei
casi – egli prese a dire mezzo sorridente – Mi ricusai sempre a
farlo, perché ciò mi sembrava un peccato di vanità. Per altro questo peccato, volere o non volere, l’ho già commesso in questi ulti-
922
al viso per in viso come richiesto dall’errata corrige.
febbraio per ottobre come richiesto dall’errata corrige.
924 As ricontro.
925 Pensierosi.
926 Lento.
927 Armadietto fissato al muro.
923
174
ANTONIO BACCAREDDA
mi mesi scrivendo le mie memorie, che si contengono appunto in
questo manoscritto che vedete(81). Desiderate ora che ve ne legga
qualche brano?
– Vi ascolterò religiosamente – rispose l’altro – e dove vi manchi la lena a proseguire, leggerò io, se vi aggrada.
L’esule imprese928 a leggere a voce alta il suo manoscritto, nel
quale erano con lucidezza929 di mente, con precisione di modi,
con ordine di tempo esposti i fatti più osservabili della sua vita
politica. Giunto al passo in cui si narravano i casi del 1799, e
vinto meno dalla stanchezza che dalla profonda emozione che in
quel punto lo possedeva, depose il manoscritto e tacque. Poco
stante ripigliò, sentendosi alquanto rinfrancato, e lesse quel triste
episodio del tradimento del cognato, riportando le parole da lui
dette nell’atto stesso che si abbandonava nelle mani dei soldati: –
Eccomi in vostro potere – continuò il Sulis – So che mi attende, e
basta! Nondimeno, benedetti voi che, consegnandomi al carnefice, mi
liberate dalla vista di quel traditore. Eccolo là, lo vedete? È quel desso
che ora ai vostri occhi si presenta... Ma non poté proseguire; la voce
gli spirò sulle labbra, il manoscritto gli cadde dalle mani.
A questo, l’altro pallido e allibito giacque sul petto, e con voce
fioca e tremante mormorò, quasi fuori di sé:
– Come la larva d’un uomo!...
– Che! Voi sapete? – chiese stupefatto il Sulis, avanzandosi
verso l’altro – Che avete?... Perché così commosso?... Perché?...
– Gli è che questa larva d’uomo dura tuttavia per spaventare
gli uomini… E te, una seconda volta!
– Che volete dire, chi siete?...
– Vincenzo, non ascoltar la giusta ira tua! – interruppe l’altro
gettandosi ai piedi di Sulis.
– Ma che sogno io forse?... E sei tu Giambattista Rossi!...
– Vincenzo, ascolta per carità la storia della mia vita. Dessa è
(81) Il biografo sardo Tola, asserisce che il Sulis scrivesse le sue memorie
durante l’esilio nell’isola della MaddalenaLXVIII.
928
929
Iniziò.
Lucidità.
LXVIII
P. TOLA, op. cit, n. 1, p. 244.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
175
breve... Ma è atroce, terribile!... Tu la udrai, e avrai compassione
di me.
– Come! Dopo trentatré anni, sotto il mio medesimo tetto?
Oh Dio, ma che ti ho mai fatto, perché tu mi abbia a punire così
crudelmente? Ed io non ti ravvisai...
– E chi lo avrebbe potuto?... E sono io forse più lo stesso?
Deh, mia vittima, ascoltami! Te ne prego per l’anima santa della
tua consorte! Ascoltami, o mio Vincenzo!
Udendo il suono di quella voce sepolcrale, e rimirando quelle sparute sembianze, Vincenzo Sulis930 non riesciva a ravvisare il
suo traditore, tanto l’avevano trasfigurato, più che gli anni, le lunghe e atroci sofferenze; e con tutto ciò sentiva nel profondo dell’anima sua, che colui era per l’appunto Giambattista Rossi.
– Chi direbbe che egli sia quel desso? – diceva il Sulis fra lui
e sé – Quegli occhi che un dì splendevano di luce così sinistra,
come è che ora hanno sguardi così dolci e insinuanti? Come è che
ora nel suo volto l’espressione del dolore meno rattrista del suo
sorriso d’una volta? Oh! Se costui è Giambattista Rossi, egli è
pure un uomo penitente che mi sta ai piedi, e mille volte più
misero che io non mi sia! Vi sarebbe egli un cuore al mondo, che
potrebbe non sentire pietà alla vista di tanto dolore? Chi oserebbe discacciare quest’uomo? Oh! Anima mia, non chiuderti ora
alla compassione, poiché mai più in vita potesti adoperarla più
degnamente, più santamente d’adesso!
Il pallor del volto, la costernazione d’animo, l’atteggiamento
umile e supplichevole del Rossi, inspiravano veramente pietà; col
suo frequente anelito, col suo silenzio istesso sembrava che dicesse al Sulis queste parole del poeta:
Sappi che tosto che l’anima trade,
Come fec’io, il corpo suo l’è tolto
Da un demonio, che poscia il governa,
Mentre che ‘l tempo suo tutto sia volto(82).
(82) Dante, Inferno, canto XXXIIILXIX.
930
As Sulis,.
LXIX
Si tratta dei vv. 129-132.
176
ANTONIO BACCAREDDA
– Alzati! – disse il Sulis con voce compassionevole, e riacquistando l’abituale sua placidezza – Alzati, Giambattista, né dir di
più; nominando la mia consorte, tu mi facesti risovvenire che io
t’avea da lungo tempo perdonato.
– E da molti anni pure io porto il peso del mio delitto, non
pensare! Da molti anni io ti seguo o Vincenzo! Il mio spirito era
sempre vicino a te, e colla mente divideva i dolori della tua prigionia. Ma quanto più di te torturato ed oppresso! Ad Alghero, a
Sassari, e quindi di nuovo ad Alghero, dovunque ti seguiva il mio
piede; ma qui, in quest’isola finisce la mia pellegrinazione; poiché
vi ebbi il tuo perdono. Te benedetto che hai questa buon’azione
da presentare a Dio!
– La mano misteriosa che mi soccorreva era forse la tua?
– Sì, mio Vincenzo!
Il Sulis si accostò al cognato, e lo baciò in bocca con sentita e
profonda pietà.
– Con questo bacio ritorniamo ad essere fratelli, e per sempre.
Dio avrà misericordia di noi!
Un anno dopo questa fraterna riconciliazione, il 13 febbraio
del 1834, Vincenzo Sulis spirava nelle braccia di Giambattista
Rossi, lasciando di sé tal nome, conforme dice l’illustre suo biografo(83), che nella sarda storia sarà più singolare che raro.
Nessuna pietra fu posta per rammentare ai superstiti la vita
tribolata di quell’uomo, così generoso e modesto nella prosperità,
così lunganime931 nella sventura, così perseverante nelle convinzioni; ma sebbene negletta e ignorata la sua fossa, ben sapeva
discernerla il misero Giambattista Rossi; né per quanto ei si sentisse affranto dagli anni e dalle angosce; né per quanto terribile
imperversasse il tempo, ei non lasciò un sol giorno di pregare e di
piangere sulla solitaria fossa della miseranda e placata sua vittima.
(83) Tola, op. cit., articolo Vincenzo Sulis. “Un uomo [dice il Manno a p.
173 dell’op. cit.] che in altro paese, o in altre condizioni di vita, sarebbe
salito a miglior celebrità”.
931
Per longanime, che sopporta a lungo, costantemente.
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
177
Servì senza ambizione lo stato; tollerò senza abiezione932 il carcere; e quel che più degno è di lode, questo è, che sopportò con equità
d’animo la calunnia(84).
Queste parole scrisse il Botta in lode del celebre Priocca933
ministro del re di Sardegna; queste parole io scolpirei sulla tomba
dello sventurato Vincenzo Sulis.
(84) Carlo Botta, op. cit., lib. XV, p. 300.
932
Con dignità.
Priocca per Priacca come richiesto dall’errata corrige. Damiano di Priocca,
segretario di Stato per gli Affari Esteri, ministro di Carlo Emanuele IV.
933
INDICE
GIUSEPPE MARCI
Introduzione
pag. VII
SIMONA SERRA
Notizia bio-bibliografica
LXV
SIMONA PILIA
Nota al testo
Vincenzo Sulis. Bozzetto storico
LXVII
pag. 3
Volumi pubblicati
SCRITTORI SARDI
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
9)
10)
11)
12)
13)
14)
15)
16)
17)
Domenico Simon, Le piante, a cura di Giuseppe Marci
Francesco Ignazio Mannu, Su patriota sardu a sos feudatarios, a cura
di Luciano Carta
Antonio Cano, Sa Vitta et sa Morte, et Passione de sanctu Gavinu,
Prothu et Januariu, a cura di Dino Manca
Giuseppe Cossu, La coltivazione de’ gelsi e propagazione de’ filugelli in
Sardegna, a cura di Giuseppe Marci
Proto Arca Sardo, De bello et interitu marchionis Oristanei, a cura di
Maria Teresa Laneri
Salvatore Satta, L’autografo de Il giorno del giudizio, edizione critica
a cura di Giuseppe Marci
Giuseppe Manno, Note sarde e ricordi, a cura di Aldo Accardo e
Giuseppe Ricuperati, edizione del testo di Eleonora Frongia
Antonio Mura, Poesia ininterrompia e Campusantu marinu, a cura di
Duilio Caocci
Giovanni Saragat, Guido Rey, Alpinismo a quattro mani, a cura di
Giuseppe Marci
Giuseppe Todde, Scritti economici sulla Sardegna, edizione delle
opere a cura di Pietro Maurandi, testo a cura di Tiziana Deonette
Giovanni Delogu Ibba, Index libri vitae, a cura di Giuseppe Marci
Predu Mura, Sas poesias d’una bida, nuova edizione critica a cura di
Nicola Tanda con la collaborazione di Raffaella Lai
Francisco de Vico, Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña (7
voll.), a cura di Francesco Manconi, edizione di Marta Galiñanes
Gallén
Vincenzo Sulis, Autobiografia, edizione critica a cura di Giuseppe
Marci, introduzione e note storiche di Leopoldo Ortu
Antonio Purqueddu, De su tesoru de sa Sardigna, a cura di Giuseppe Marci
Sardus Fontana, Battesimo di fuoco, prefazione di Aldo Accardo,
introduzione di Giuseppina Fois, edizione del testo a cura di Eleonora Frongia
Andrea Manca Dell’Arca, Agricoltura di Sardegna, a cura di Giuseppe Marci
18) Pietro Antonio Leo, Di alcuni antichi pregiudizii sulla così detta
sarda intemperie e sulla malattia conosciuta con questo nome lezione
fisico-medica, a cura di Giuseppe Marci, presentazione di Alessandro
Riva e Giuseppe Dodero, profilo biografico di Pietro Leo Porcu
19) Sebastiano Satta, Leggendo ed annotando, edizione critica a cura di
Simona Pilia
20) Il carteggio Farina - De Gubernatis (1870-1913), edizione critica a
cura di Dino Manca
21) Giovanni Arca, Barbaricinorum libelli, a cura di Maria Teresa Laneri, saggio introduttivo di Raimondo Turtas
TESTI E DOCUMENTI
1)
2)
3)
4)
5)
6)
Il libro sardo della confraternita dei disciplinati di Santa Croce di
Nuoro (XVI sec.), a cura di Giovanni Lupinu
Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis
Il Condaghe di San Michele di Salvennor, a cura di Paolo Maninchedda e Antonello Murtas
Il Registro di San Pietro di Sorres, introduzione storica di Raimondo
Turtas, edizione critica a cura di Sara Silvia Piras e Gisa Dessì
Innocenzo III e la Sardegna, a cura di Mauro G. Sanna
Il Vangelo di San Matteo voltato in logudorese e cagliaritano, a cura di
Brigitta Petrovszki Lajszki e Giovanni Lupinu