SCRITTORI SARDI Opera pubblicata con il contributo della Regione Autonoma della Sardegna Assessorato della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport ANTONIO BACCAREDDA VINCENZO SULIS BOZZETTO STORICO a cura di Simona Pilia introduzione di Giuseppe Marci CENTRO DI STUDI FILOLOGICI SARDI / CUEC SCRITTORI SARDI coordinamento editoriale CENTRO DI STUDI FILOLOGICI SARDI / CUEC Antonio Baccaredda Vincenzo Sulis. Bozzetto storico ISBN 88-8467-279-1 CUEC EDITRICE © 2005 prima edizione maggio 2005 CENTRO DI STUDI FILOLOGICI SARDI PRESIDENTE Nicola Tanda DIRETTORE Giuseppe Marci CONSIGLIERI Marcello Cocco, Mauro Pala, Maurizio Virdis Via Principessa Iolanda, 68 07100 Sassari Via Bottego, 7 09125 Cagliari Tel. 070344042 - Fax 0703459844 www.centrostudifilologici.it [email protected] CUEC Cooperativa Universitaria Editrice Cagliaritana Via Is Mirrionis, 1 09123 Cagliari Tel. 070271573 - Fax 070291201 www.cuec.it [email protected] Realizzazione grafica Biplano, Cagliari Stampa Grafiche Ghiani, Monastir (Ca) ANTONIO BACCAREDDA E L’OTTOCENTO LETTERARIO SARDO Il 25 maggio del 1800, al termine di un processo politico nel corso del quale erano stati violati tutti i diritti della difesa, Vincenzo Sulis viene condannato al carcere perpetuo per la colpa di lesa maestà. Ben al di là della controversa figura del capopopolo cagliaritano, quell’avvenimento con cui si apre il nuovo secolo ha un chiaro valore simbolico. Significa che i sovrani sabaudi, sbarcati un anno prima nell’isola dalla quale i piemontesi erano stati cacciati nel 1794, avevano praticamente portato a termine il processo di normalizzazione e riassunto le redini del governo. Per i quattrocentomila abitanti della Sardegna1 si schiude uno scenario di oppressione (talmente grave da portare a ribellioni, come quella di Thiesi contro il duca dell’Asinara, cui fece seguito un feroce intervento della truppa), di miseria (dovuta alle ricorrenti carestie, la peggiore delle quali si verificò nel 1812, ma non furono certo lievi quelle del 1816 e del 1817), di sistematica spoliazione fiscale (le richieste di nuovi donativi si susseguono con ritmo frenetico), di insicurezza del vivere (le spedizioni barbaresche erano all’ordine del giorno e assunsero, talvolta, dimensioni imponenti), di soggezione a norme (l’editto delle chiudende venne emanato nel 1820) che violano antiche consuetudini e provocano un profondo senso di disagio nelle popolazioni. “Il mito della Sardegna sabauda comincia qui e così, all’ombra delle forche e nel ripiegamento degli spiriti. Negli stessi Al censimento del 1821 saranno 461436; 547112 nel 1848; 588064 nel 1861 (di questi 536151, pari al 91,17% analfabeti: il dato più alto fra quelli delle regioni italiane. Complessivamente l’analfabetismo nell’Italia al momento dell’unità si attesta al 75%); 636660 nel 1871 (88,06 % di analfabeti); 680450 nel 1881; 795793 nel 1901. 1 VIII GIUSEPPE MARCI anni in cui maturò e si concluse tragicamente l’ultimo tentativo dei seguaci cagliaritani dell’Angioy di aprire una strada al rinnovamento politico ed economico dell’Isola, i Musio, i Manno, i Pes di Villamarina iniziarono la loro carriera di fedeli e scrupolosi servitori dello stato sabaudo, avviando una tradizione che durerà poco meno di un secolo e mezzo. Il legame che s’era stretto, nel periodo angioyano, tra l’intellettualità autonomistica e le campagne antifeudali si spezzò e occorreranno molte generazioni per ricrearne, e solo parzialmente, le condizioni. Le popolazioni rurali, nel loro isolamento e nel loro mutismo politico, non rinunciarono a lottare, in forme disgregate e primitive ma dure, per scrollarsi di dosso il peso esorbitante della feudalità, della proprietà terriera assenteista, dello sfruttamento forestiero, della burocrazia piemontese e subalpina. Insorgevano e tumultuavano nelle ville, abbattevano le chiusure, davano fuoco ai registri del fisco, così come, a modo loro, tumultuavano e lottavano, nei loro antichi rioni, i popolani di Alghero, di Sassari, di Cagliari. La truppa interveniva, arrestava, consegnava alla giustizia regia. La giustizia regia faceva il suo corso, imprigionava, torturava, impiccava. Commissari straordinari venivano mandati da Torino per mettere ordine, pacificare, ridurre al silenzio. E in qualche modo e per qualche tempo vi riuscivano. Ma se era relativamente facile sedare la rivolta elementare d’un comune esasperato, meno facile era venire a capo della nuova ondata di brigantaggio che, come riflesso di molte cause economiche, sociali, morali ma anche delle spietate repressioni militari, andava dilagando dappertutto, ma specialmente nelle zone interne e montagnose”2. Di fronte a uno stato di cose tanto grave sono piccoli segnali positivi l’istituzione delle scuole primarie in tutti i villaggi (1823), lo stabilimento delle condotte mediche nei 2 U. CARDIA, Autonomia sarda, Cagliari, Cuec, 1999, pp. 173-174. Introduzione IX centri minori (1827), la diffusione, a partire dal 1828, della vaccinazione antivaiolosa, il completamento della strada Carlo Felice che congiunge Cagliari con Porto Torres (1829). Tenui luci, in un quadro complessivamente fosco ma tali da accendere la speranza, da incoraggiare quanti, proseguendo in una tradizione avviata nel Settecento, riflettono sulle condizioni in cui versa la patria sarda, studiano i mali e i possibili rimedi, formulano proposte. Il quadro culturale è, nel suo complesso, vivo e marcato dalla ripresa dell’interesse storico che non era mai venuto meno nell’isola, almeno a partire dal Cinquecento, ma che ora si fa più sistematico. Del resto il secolo diciannovesimo fu, un po’ dovunque in Europa, l’età delle grandi opere sistematiche, delle monumentali storie nazionali e delle altrettanto corpose storie della letteratura che avevano la funzione di tracciare una sorta di autoritratto nel quale le singole nazioni potessero riconoscersi, specchiandosi in quelle caratteristiche che giudicavano essere la componente essenziale della loro immagine. A questa regola la Sardegna non si sottrae, e basta appena ricordare i nomi di Giuseppe Manno, di Pasquale Tola, di Pietro Martini, di Giovanni Spano, di Giovanni Siotto-Pintor, di Vittorio Angius, di Ludovico e Faustino Cesare Baille, per dare un’idea dell’ampiezza del fenomeno. “Da che cosa nacque questo moto?” si è chiesto Manlio Brigaglia e ha risposto spiegando che “esso fu conseguenza del progresso della cultura isolana e delle preoccupazioni che il governo piemontese aveva mostrato per la pubblica istruzione, pur nel paternalismo cui furono improntati i provvedimenti presi per promuoverla; quindi, di una più attiva partecipazione dei sardi alla vita politica del Regno di Sardegna, che, sulla base anche di certe rivendicazioni (come quella per una maggior responsabilità dei nazionali, come si diceva, nell’amministrazione statale), spingeva a cercare i titoli di benemerenza dell’isola e a studiarne le vicende; X GIUSEPPE MARCI ancora, del progresso generale delle scienze in Europa, soprattutto del rinnovato senso della storia diffuso dal Romanticismo, che portò in Sardegna un nuovo flusso di esigenze culturali da cui nacque, appunto, quel vasto lavoro di indagine sulla vita e sulla storia dell’isola che riempie di sé la prima metà del secolo”3. Lo stesso Brigaglia precisa poi quali furono i limiti di questi studi sviluppati con una strumentazione scientifica ancora inadeguata e dai quali scaturirono opere che, se da un lato hanno ancora oggi un innegabile valore documentario (e per certi versi possono essere utilizzate quali inesauribili repertori di informazioni), dall’altro non giunsero alla “consapevolezza dell’esistenza di una questione sarda”4. Per un caso che forse non è poi tanto paradossale, a partire dalla metà del secolo, saranno in prevalenza i romanzieri a sostenere il bisogno, tutto politico, di ricostruzione e interpretazione della storia sarda intesa come storia di una terra e dei suoi abitanti, non come sequenza di informazioni riguardanti le potenze dominatrici: una posizione capace, per certi versi, di anticipare visioni storiografiche moderne è, ad esempio, quella di Enrico Costa che sul finire del secolo afferma: “È inesatto quanto molti asseriscono: che la Sardegna non abbia storia. La storia ce l’ha, ma è ignorata o non fu scritta. Non vi ha popolo senza storia; e le storie si somigliano tutte, poiché in fondo esse non compendiano che una serie di lotte, più o meno fortunate, fra oppressi ed oppressori, fra deboli e prepotenti!”5. Questa ricerca non risulta “offuscata, anzi arricchita di M. BRIGAGLIA, Intellettuali e produzione letteraria dal Cinquecento alla fine dell’Ottocento, in La Sardegna. Enciclopedia, a cura di M. Brigaglia, vol. I, sez. Arte e Letteratura, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1982, p. 35. 4 Ibidem. 5 E. COSTA, Rosa Gambella. Racconto storico sassarese del secolo XV, Sassari, Tipografia della Nuova Sardegna, 1897, p. 344. 3 Introduzione XI luci e toni curiosi e singolari da quella straordinaria vicenda svoltasi nella seconda metà del secolo, intorno alle Carte d’Arborea, uno dei falsi più clamorosi della storia italiana ed europea”6. Accadde che, nell’intento di fornire alla patria sarda una patente di nobiltà storica e culturale, alcuni abili falsari elaborarono e diffusero una serie di documenti contenenti liriche, poemi, cronache e altri materiali scritti in latino, in sardo, in catalano e in italiano, tali da attestare l’esistenza nell’isola di una civiltà letteraria precedente i primi documenti della letteratura italiana. Per venire a capo dell’inganno dovette intervenire, con tutta la sua autorità, l’Accademia di Berlino presieduta da Theodor Mommsen che stabilì in termini perentori l’inautenticità di tutto il materiale. Se ora consideriamo che sulla falsificazione non grava l’ombra del dolo perpetrato con finalità economiche7, possiamo comprendere come anche l’episodio delle Carte d’Arborea, a suo modo, rientri in quel clima di studi, nel generale fenomeno rappresentato dalla volontà di indagare e descrivere la vicenda storica isolana. E sarà anche possibile concludere che, come tutte le ferite dell’anima, anche la percezione della mancanza di una storia propria e autonomamente diretta possa aver determinato un atteggiamento segnato dal trauma, non limpido e sereno, ossessivamente chiuso nella contemplazione di sé, tale da impedire una più compiuta percezione di quanto avveniva sulla scena della cultura contemporanea. Ammesso e non concesso, dovremmo considerare questo un prezU. CARDIA, Autonomia sarda, cit., p. 242. “Comunque siano andate le cose è accertato che il falsario, o meglio i falsari, non furono mossi da scopo di lucro o da altri bassi interessi, ma animati dal particolare clima dell’età romantica al quale si accennava dall’inizio, ritennero di dar prestigio e gloria alla Sardegna, alla quale avevano apprestato in vero un posto vetusto e di prim’ordine nel Gotha della letteratura” (F. ALZIATOR, Storia della letteratura di Sardegna, Cagliari, Edizioni della Zattera, 1954, p. 369). 6 7 XII GIUSEPPE MARCI zo pagato per la costruzione di un’identità collettiva che, nel momento in cui si avviavano i processi destinati a concludersi con l’Unità d’Italia, difendesse e manifestasse come un valore l’idea di sardità. Da tale travaglio derivano le luci e le ombre, le consonanze con i moti della cultura europea e gli innegabili ritardi, la volontà di apertura e di confronto ma anche l’isolamento e la diversità di interessi, aspetti contemporaneamente presenti in un’epoca che, comunque, appare segnata da un grande amore per la cultura e dalla “fiducia inesausta nella parola scritta e nella sua capacità di suscitare nuove energie e nuove direzioni di vita anche in una situazione di passività e di arretratezza com’era quella sarda”8. Tracciando un documentato panorama della Sardegna nella prima metà dell’Ottocento, Antonello Mattone ha esaminato gli aspetti caratterizzanti la situazione, con ciò formando una sequenza che, a un dipresso, coincide con l’elenco dei mali da cui l’isola è stata afflitta nel corso dei secoli: incursioni barbaresche (in aumento, col passaggio dalla Spagna, potenza marittima, al Piemonte, privo di una flotta tale da impensierire i corsari), mancanza di porti, malaria, spopolamento delle campagne, precarietà delle comunicazioni interne, inadeguatezza dei mezzi di trasporto, perdita del manto forestale, devastazioni derivanti dagli incendi, “pressione incombente della pastorizia”9, agricoltura in bilico tra arcaismi e innovazioni, complessità delle situazioni che si determinano con l’abolizione del feudalesimo e l’introduzione della proprietà perfetta della terra. Sembrerebbe uno stato di cose che non può modificarsi M. BRIGAGLIA, Intellettuali e produzione letteraria, cit., p. 36. A. MATTONE, Le origini della questione sarda, in L. BERLINGUER, A. MATTONE (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna, Torino, Einaudi, 1998, p. 82. 8 9 Introduzione XIII se non in peggio, che diviene sempre più assillante sotto il profilo economico, sociale e politico, che si impoverisce gravemente, per quanto riguarda gli assetti istituzionali e le prerogative costituzionali, con la perfetta fusione del 1847. Eppure in tale desolazione, e forse proprio per reazione ad essa, si manifesta e progressivamente si afferma una notevole energia intellettuale, cresce prepotentemente un dibattito che vince i lacci imposti dall’atteggiamento codino del governo piemontese, da una restaurazione che in Sardegna precede quella che si affermerà nel resto d’Europa dopo il Congresso di Vienna. Tale dibattito soprattutto si esprime sulle questioni filosofiche e giuridiche, politiche e istituzionali, talvolta con preciso riferimento alla tematica sarda, talaltra svincolandosi da quel riferimento e portando lo studio e la riflessione su piani speculativi più ampi. Fra quanti devono essere citati come protagonisti di quel dibattito e, comunque come rappresentanti, a vario titolo, di quella stagione, in primo luogo occorre segnalare Domenico Alberto Azuni (1749-1827), insigne studioso di diritto, autore del Droit maritime de l’Europe10 e, tra l’altro, dell’Histoire géographique, politique et naturelle de la Sardaigne11. L’Azuni appartiene alla generazione cresciuta nell’università rinnovata e la sua opera mostra tracce evidenti sia della qualità degli studi compiuti sia della vastità dell’orizzonte indagato12. Indubbiamente si mantiene su posizioni di conParis, 1805. Paris, 1802. 12 Fu allievo del gesuita Giuseppe Gagliardi che, giunto a Sassari nel 1764, insegnò Fisica sperimentale ed Etica e fu poi docente dell’ateneo cagliaritano fino al 1789. Il Gagliardi, assieme a Giacinto Hinz, a Giambattista Vasco, fu fra coloro che contribuirono alla ripresa degli studi universitari in Sardegna. Pubblicò a Cagliari (Reale stamperia, 1772) la sua opera L’onest’uomo filosofo saggio di filosofia morale che ebbe un “forte impatto innovativo”, anche perché scritta in italiano, “cosa assolutamen10 11 XIV GIUSEPPE MARCI danna rispetto alle punte più avanzate della filosofia contemporanea ma, ciò non pertanto, “forte e positiva è la sua volontà riformatrice, l’esigenza di razionalizzare settori importanti della vita dello stato, di favorire i rapporti economici e culturali tra gli stati, condizione essenziale per il pieno inserimento della Sardegna nel contesto degli stati europei”13. Man mano che il secolo procedeva, mentre maturavano e si compivano gli avvenimenti politici più significativi, primo fra tutti la perfetta fusione, il dibattito in Sardegna aumentava d’intensità e, per così dire, si specializzava sulle tematiche politiche e sugli assetti istituzionali. Come era inevitabile, del resto: se prima del 1847 era infatti possibile avere opinioni diverse sulle forme costituzionali, sui vantaggi e sugli svantaggi, ancora ipotetici, della fusione, quando l’evento fu compiuto e agli occhi di tutti apparve evidente il bilancio negativo delle perdite e dei disinganni, a quel punto prese nuovo vigore la progettazione delle ipotesi concernenti il rapporto fra la Sardegna e il Piemonte. Né può essere dimenticato il fatto che, avviati e progressivamente portati a compimento i processi unitari, anche sul piano nazionale si sviluppava una riflessione concernente la forma del nuovo stato che aveva per protagonisti il Mazzini, il Cattaneo e il Gioberti. In questa temperie devono essere collocate l’azione politica e l’opera di Giorgio Asproni (1807-1876) e di Giovan Battista Tuveri (1815-1887): “si tratta dei due personaggi che, tra loro quasi coetanei ed entrambi repubblicani, ma te inconsueta nell’isola per le opere filosofiche” (A. DELOGU, La filosofia in Sardegna (1750-1915). Etica Politica Diritto, Cagliari, Condaghes, 1999, p. 15). In realtà il Gagliardi ebbe posizione fortemente critica nei confronti dei maggiori esponenti del pensiero filosofico moderno e, in particolare, dell’illuminismo, ma, ciò nonostante, la sua opera contribuì a far conoscere nell’isola la filosofia illuministica. 13 Ivi, p. 37. Introduzione XV assai diversi per temperamento e per formazione culturale, si distinsero maggiormente nel porre la Sardegna al centro di un discorso che riusciva a inserire in una prospettiva nazionale la considerazione dei caratteri specifici dell’isola”14. L’Asproni, deputato al Parlamento nel corso di molte legislature, schierato con la Sinistra, è autore di numerosi scritti politici e di un Diario che abbraccia gli anni compresi tra il 1855 e il 187615 e che “può essere riguardato sotto diverse prospettive. Anzitutto, in senso soggettivo, come documento autobiografico utile alla ricostruzione di una personalità che nel composito panorama della democrazia risorgimentale occupa una posizione affatto singolare. Poi, in funzione oggettiva, come testimonianza diretta dei momenti più importanti del processo unitario, vissuti e giudicati secondo la visuale propria di chi è nello stesso tempo attore e spettatore. In terzo luogo, in senso regionalistico, come occasione per meglio definire taluni aspetti della questione sarda nel più vasto quadro della questione meridionale e della storia nazionale”16. Anche Giovan Battista Tuveri, repubblicano e federalista, fu deputato al Parlamento e autore di scritti politici. Tra questi va principalmente ricordato Del diritto dell’uomo alla distruzione dei cattivi governi. Trattato teologico filosofico (1851), un’opera che “appartiene alla storia secolare delle teorie politiche in difesa della sovranità originaria del popolo in opposizione alla sovranità assoluta del principe, e I. BIROCCHI, La questione autonomistica dalla “fusione perfetta” al primo dopoguerra, in L. BERLINGUER, A. MATTONE (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna, cit., p.153. 15 Cfr. G. ASPRONI, Diario politico (con un profilo biografico a cura di B. J. Anedda, introduzioni e note di C. Sole e T. Orrù), voll. 7, Milano, Giuffrè, 1974-1991. 16 C. SOLE, Il “Diario politico” di Giorgio Asproni e il Risorgimento, in G. ASPRONI, Diario politico, cit., vol. I, p. 30. 14 XVI GIUSEPPE MARCI quindi in favore di una sovranità limitata e controllata di chi esercita dal basso il potere sovrano”17. Nella concezione democratica del Tuveri trovano saldatura due differenti esperienze culturali: l’idea giacobina della rivoluzione democratica e quella che, derivando dalla matrice cattolica, gli fa legare “romanticamente i principi e i valori del cristianesimo e della nazionalità”18. In tale contesto storico e culturale operano gli studiosi e gli scrittori i cui nomi segnano il panorama dell’Ottocento sardo. Può essere utile vederli in una rapidissima sintesi, per avere un’idea del quadro in cui si colloca l’opera di Antonio Baccaredda. Giuseppe Manno (1786-1868), con la sua Storia di Sardegna (pubblicata fra il 1825 e il 1827) e con la successiva Storia moderna della Sardegna dall’anno 1773 al 1799 (1842), può essere considerato il fondatore della storiografia sarda moderna. La sua opera risente di un punto di vista culturalmente e umanamente angusto, di una visione politica del tutto ossequiente nei confronti del sovrano sabaudo: caratteristiche che influiscono in termini negativi sul racconto storico, come dimostra Giuseppe Serri in una equilibrata Introduzione premessa alla Storia moderna19. Al di là del giudizio positivo espresso dal Croce, e tante volte citato, è probabilmente questo l’aspetto che importa ricordare, assieme all’aneddoto che dice del modo in cui s’era 17 N. BOBBIO, Giovanni Battista Tuveri nel primo centenario della morte, in G. B. TUVERI, Tutte le opere/1 Il Veggente. Del diritto dell’uomo alla distruzione dei cattivi governi, a cura di A. Accardo, L. Carta, S. Mosso, Sassari, Delfino, 1990, p. 15. 18 A. DELOGU, La filosofia in Sardegna (1750-1915). Etica Politica Diritto, cit., p. 217. 19 Cfr. G. SERRI, Introduzione a G. MANNO, Storia moderna della Sardegna dall’anno 1775 al 1799, Cagliari, Editrice Sardegna Nuova, 1972, pp. 5-39. Introduzione XVII avvicinato alla scrittura della storia e fa rimpiangere che non abbia seguito un metodo storiografico più coerente con quel principio20. Pasquale Tola (1800-1874) è, invece, l’autore del Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna (18371838) e del Codex diplomaticus Sardiniae (1861-1868). Il Dizionario nasce dal bisogno di confutare le accuse pronunciate da quanti chiamarono la Sardegna “barbara e inculta”, per lo più senza conoscerla, come hanno fatto certi viaggiatori “i quali vanno tuttodì buccinando questa nostra pretesa barbarie. Di costoro è pieno il mondo; e vi fu tra essi alcuno più audace degli altri, il quale, tranne la selvaggina e le femmine, null’altro bene aver trovato in Sardegna per sacramento affermava”21. Chiarissimo il motivo che spinge il Tola a scrivere: si deve anche aggiungere che l’ope“Egli si era avvicinato alla storia quasi per caso: ce lo dice egli stesso nell’ultima opera che uscirà nel ’68, l’anno della sua morte. Ci racconta infatti che nel ’25 (era allora Consigliere nel Consiglio supremo di Sardegna e segretario di Carlo Felice) Carlo Alberto gli fece leggere un libro sulla Sardegna scritto da un ufficiale tedesco che per qualche tempo aveva risieduto nell’isola. A questa lettura il Manno “allibì” e un po’ “per lo sdegno provato” leggendo, a suo dire, tante inesattezze sui sardi, e un po’ per le “amichevoli esortazioni del Dettori” decise di scrivere egli stesso una storia della Sardegna” (ivi, p. 6). Il Manno è anche autore di opere letterarie e linguistiche (De’ vizi de’ letterati, 1828; Della fortuna delle parole, 1831) e di altri testi fra i quali bisogna almeno ricordare Il giornale di un collegiale (1839), “una sorta di compiaciuto romanzo di formazione” (G. RICUPERATI, Fra memoria e cantiere di lavoro: la riflessione di Giuseppe Manno, in G. MANNO, Note sarde e ricordi, a cura di A. Accardo e G. Ricuperati, ed. del testo di E. Frongia, Cagliari, Centro di studi filologici sardi / Cuec, 2003, pp. LVIII-LIX) e Note sarde e ricordi (1868), in cui “la memoria è meno direttamente rievocativa ed ha oggetti di riferimento essenziali nella propria identità di adulto, intellettuale e funzionario” (ivi, p. LIX). 21 P. TOLA, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, Torino, Chirio e Mina, 1837-1838 (ora in ed. anastatica Bologna, Forni, 1966), vol. I, pp. 13-14. 20 XVIII GIUSEPPE MARCI ra, “pur nell’ingenua ammirazione di tutto quanto fosse sardo, ha un suo rigore storico che, quando si tramuta in giudizio sul personaggio, discopre una certa vena d’umanità e l’apprezzamento delle virtù tradizionali della gente dell’isola”22. Anche Pietro Martini (1800-1866) è autore di un’opera storico-biografica intitolata Biografia sarda (1837-1838) nata, come quella del Tola, da un bisogno di risarcimento, dalla considerazione che la Sardegna “fu meno riputata delle altre terre appartenenti, come essa, alla madre comune” e che quindi era necessario mostrare che “era stata madre feconda d’uomini degni d’onorata storica rimembranza”23. Sfortunatamente le ricerche del Martini (che è anche autore di una Storia ecclesiastica di Sardegna24 e della Storia di Sardegna dal 1799 al 181625) sono inficiate dalla fiducia riposta nelle Carte d’Arborea alle quali lo studioso si affidò totalmente26. Alla storiografia letteraria si dedicò, invece, Giovanni Siotto-Pintor (1805-1882), magistrato e deputato al Parlamento, autore della Storia letteraria di Sardegna (1843M. BRIGAGLIA, Intellettuali e produzione letteraria, cit., p. 37. P. MARTINI, Biografia sarda, Cagliari, Reale Stamperia, 1837-1838, tomo I, p. 3. 24 Cagliari, Reale stamperia, 1839-1841. 25 Cagliari, Timon, 1852. 26 Il Martini, come racconta nella Prefazione alla Storia delle invasioni degli arabi e delle piraterie dei barbareschi in Sardegna (Cagliari, Timon, 1861, ora in edizione anastatica Forni, 1963), fu anzi colui che acquistò la prima delle pergamene per donarla alla Biblioteca Universitaria di Cagliari. A favorire la sua caduta nel tranello dei falsari contribuì certamente il rammarico che il Martini provava per l’assenza di documenti che illuminassero lunghi periodi della storia sarda: “Alto dolore premeva noi Sardi, quando nello scorrere le dotte pagine del Manno riconoscevamo in varie epoche la scarsezza e bene spesso il difetto assoluto di storiche ricordanze. Quindi usavamo di accagionare gli avi nostri di negligenza nel registrare e custodire le memorie dei grandi fatti, onde furono spettatori” (ivi, p. 33). 22 23 Introduzione XIX 1844), un’opera “eccessivamente intinta di italianismo (e di una speculare, ininterrotta polemica antispagnola), attraverso la quale il Pintor anticipava l’azione che egli svolse in particolare intorno al 1847, e nonostante la rapida disillusione seguita all’unione col Piemonte, esortando i sardi al rafforzamento della loro coscienza unitaria italiana”27. Pur con questi limiti la Storia letteraria di Sardegna ha ancora il merito di offrire al lettore una straordinaria quantità di materiali, per altro organizzati con una certa sapienza da un autore che “non è ignaro degli orientamenti di storiografia generale e letteraria dei primi decenni del secolo”28. Su un piano diverso si collocano, con le loro ricerche non meno significative di un orientamento sempre più teso al recupero sostanziale della storia e della storia culturale sarda, Ludovico Baille (1764-1839) e il fratello Faustino Cesare, Salvator Angelo De Castro (1817-1878), Pietro Amat di San Filippo (1822-1895), Filippo Vivanet (18361905). Ma un bisogno di conoscenza che nasceva dalla medesima scaturigine era quello che cominciava a manifestarsi vigorosamente nei primi decenni del secolo e si esplicava nell’indagine scientifica e nella compilazione dei dizionari della lingua sarda. Apriva la strada, nel 1811, il cagliaritano Vincenzo Raimondo Porru (1773-1836) con la pubblicazione di un Saggio di grammatica sul dialetto sardo meridionale cui fece seguito il Nou dizionariu universali sardu italianu (1832-1834). 27 M. BRIGAGLIA, Intellettuali e produzione letteraria, cit., pp. 37-38. Il Siotto-Pintor è anche autore di numerosi scritti politici, della Storia civile dei popoli sardi dal 1798 al 1848 (Torino, 1877), di racconti, di versi e di testi per il teatro: due del 1875, Non mi ama e Il ridicolo e uno del 1878, la commedia in quattro atti Feliciana, ossia la ribellione delle mogli. 28 G. PIRODDA, La Sardegna, in Letteratura italiana. Storia e geografia, III. L’età contemporanea, Torino, Einaudi, 1989, p. 950. XX GIUSEPPE MARCI Il lavoro del Porru si segnala per almeno due importanti motivi: riguarda il primo l’adesione dell’autore alla generale battaglia che gli intellettuali sardi avevano intrapreso in difesa della verità sulle cose sarde, la storia come la letteratura e la lingua, anche questa misconosciuta e tuttavia denigrata, anche questa in attesa di un risarcimento che il Porru intende donarle col suo dizionario: “A disinganno di alcuni Scrittori d’oltremare, che senza conoscere né lingua né luoghi, e senza curar d’indagare le cose ne’ loro veri rapporti, s’avvisarono, che il sardo idioma fosse nel suo complesso barbaro e rugginoso quanto quello de’ Caraibi degli Ottentotti e de’ Caffri, si rileverà, che desso è ricco quanto altri d’immaginazione di energia di locuzioni; ha proprietà d’idiotismi vivacità di frasi verecondia di traslati; sostiene gravità di stile, nobil dicitura, e in bocca alle persone colte è capace d’atteggiar graziosamente anche le cose comuni, colorirle con armonia, ed esprimerle con nobiltà”29. Il secondo motivo concerne la necessità, rilevata dal Porru, di arricchire la lingua sarda ricorrendo, ove sia necessario, a prestiti da altre lingue: “Non manca al linguaggio de’ Sardi né proprietà d’idiotismi, né vivacità di frasi, né dicitura, come più volte i nostri sagri Oratori lo han dato a divedere sì fattamente, che hanno riscossa l’ammirazione, e l’applauso comune. Ma dato pure, che il dialetto de’ Sardi scarseggiasse di voci, in cui vece non senza grazia o intreccj sostituisconsi di eleganti perifrasi, o voci più significanti di altre lingue, qualora la necessità il richieda di rendere più energica, e vivace un’espressione; e che perciò? La patria favella non si dovrà mai arricchire di quelle voci, di cui manca, e singolarmente delle univoche, togliendole o dalle matrici lingue, o da qualunque altra, affine alla Sarda? Ne 29 V. PORRU, Prefazione, in Nou dizionariu universali sardu-italianu, Casteddu, Tipografia Arciobispali, 1832 (ora in edizione anastatica Cagliari, 3T, 1981), p. 3. Introduzione XXI rimarrà priva sempre, e digiuna? Non può se non una mente signoreggiata da pregiudizj negare, che i pubblici Dicitori del nostro dialetto giudiziosamente fanno uso talora di stranie voci per vieppiù vestire, e sostenere la lingua della Nazione. Né in questo fanno altro che seguire le orme delle più colte Nazioni, le quali nulla mai ebbero più a cuore, che accrescere, e ingentilire il natìo parlare, col togliere quasi a vicenda l’una dall’altra que’ vocaboli, de’ quali scarseggiavano. A chi non è noto, che i Romani da’ Greci, e questi talora da’ Romani in prestito prendeano le parole? Il medesimo sappiamo praticarsi tra i Tedeschi, e gl’Inglesi, tra gl’Italiani, e i Francesi, tra gli Spagnuoli, e gl’Indiani. Or s’egli è vero, che siamo più debitori alla patria, che a coloro, i quali ci produssero a quest’aura vitale, e che da ognuno tribuenda est opera Reipubblicae, vel omnis potius in ea cogitatio, et cura ponenda, por dobbiamo ogni conato in dirozzare, ed accrescere la lingua della Nazione, giacché da questo a lei vantaggio, splendore, e lustro ne ritorna”30. Fu poi Giovanni Spano (1803-1878), fondatore degli studi archeologici sardi, a sviluppare questi studi giungendo a compilare il Vocabolario sardo-italiano e italiano-sardo (1851-1852) e la Ortografia sarda nazionale, ossia grammatica della lingua logudorese paragonata all’italiana31. Entrambe queste opere (ma, più ampiamente, potremmo dire: l’inV. PORRU, L’autore a chi legge, in Saggio di grammatica sul dialetto sardo meridionale, Cagliari, Stamperia Reale, 1811 (reprint, Sassari, 1975). 31 Cagliari, Reale stamperia, 1840. La bibliografia dello Spano è vastissima e comprende, oltre alle opere dedicate all’archeologia e alla lingua, gli studi sulle tradizioni popolari, le raccolte delle canzoni logudoresi, la guida di Cagliari, la traduzione dell’Itinerario di Alberto della Marmora, le pagine memorialistiche e quelle d’indagine storica, uno sconfinato repertorio per il quale si rimanda alla Bibliografia sarda di Raffaele Ciasca (Roma, Collezione meridionale editrice, 1931-1934, vol. IV, pp. 243-283). 30 XXII GIUSEPPE MARCI tera opera dello Spano) mirano “a costituire la prova della dignità storica e culturale del sardo”32, la qual cosa appariva tanto più necessaria, nel momento in cui, con la perfetta fusione e il successivo processo unitario, la Sardegna si presentava all’appuntamento con le altre regioni italiane e doveva “esibire credenziali di un certo rispetto almeno sul piano delle tradizioni storiche, linguistiche e culturali”33. In coerenza con questo assunto lo Spano non si limita a raccogliere le voci dell’uso contemporaneo ma documenta le forme lessicali della tradizione scritta. In un’ideale continuità con l’atmosfera illuminista e le speranze progettuali che gli scrittori didascalici avevano conferito al Settecento sardo, l’Ottocento si apre, sotto il profilo dell’attività pubblicistica, con il Programma d’un giornale di varia letteratura ad uso de’ sardi (1807), elaborato dal sacerdote Gian Andrea Massala (1777-1817). In quel Programma il Massala esprime il proposito di dar vita a un giornale che fosse un nuovo elemento di crescita culturale in aggiunta agli altri maturati sul finire del precedente secolo: “Una certa luce di Filosofia, che si va gradatamente spargendo per tutte le classi degli Uomini della nostra Sardegna, e l’essersi per ogni parte le varie scienze di ritrose, e discortesi, ch’elle erano, appiacevolite, e rese accostevoli perfino alle gentili brigate, ed a quel sesso, che per tutt’altro pareva nato, fuorché per le scienze, hanno fatto sì, che non solo di moda, ma quasi di necessario uso divenuti sieno quei libri elementari, che delle scienze, e delle arti trattando le più chiare nozioni ne rappresentano, onde più facilmente appararle”34. G. PAULIS, Prefazione, in G. SPANO, Vocabolariu-sardu-italianu, Nuoro, Ilisso, 1998, vol. I, p. 14. 33 Ivi, p. 15. 34 G. A. MASSALA, Programma d’un giornale di varia letteratura ad uso de’ 32 Introduzione XXIII È una nuova teorizzazione degli stessi principi sui quali si fonda la letteratura didascalica. Tali principi sono richiamati, questa volta, per proporre uno strumento nuovo e più duttile (siamo alle soglie dell’Ottocento, il poema ha esaurito il suo slancio vitale) per la diffusione delle idee e delle moderne concezioni scientifiche: il giornale letterario. Comincia a manifestarsi con Massala l’esigenza di dar vita a un giornale, a una rivista, a una pubblicazione periodica capace di offrire spazio appropriato al dibattito esistente in Sardegna. Tale esigenza che ancora oggi (a distanza di due secoli, nonostante pregevoli quanto più o meno vitali episodi, e gli sforzi compiuti dalle forze più consapevoli dell’intellettualità sarda) attende d’essere soddisfatta, qui la possiamo cogliere alle sue sorgenti: “Ora niun mezzo certamente migliore per una propagazione siffatta, quanto quello de’ Giornali Letterarii, senza i quali s’ignorerebbero dal maggior numero delle persone le scoperte le più utili, e necessarie; molte verità resterebbero occulte, se cercare si dovessero ne’ voluminosi, intricati, ed astrusi libri, e calcoli de’ loro autori; finalmente le scienze, e la letteratura con danno universale diverrebbero il patrimonio di pochi, i quali facilmente abusandone trarrebbero gl’ignoranti e troppo creduli loro concittadini ne’ maggiori e più formidabili errori”. Il Massala guarda alla Sardegna, all’Italia, all’intero mondo della cultura. L’isola è situata vicino all’Italia ma, sardi, Cagliari, Reale Stamperia, 1807. Il Programma è stato ristampato da chi scrive ne “La Grotta della vipera”, a. XXVIII, n. 97, 2002, pp. 5458. Il Massala è anche autore delle seguenti opere: Del matrimonio e de’ suoi doveri, Cagliari, 1800; Istituzioni poetiche proposte agli amatori di poesia latina e italiana, Sassari, 1800; Dissertazioni sul progresso delle scienze e della letteratura in Sardegna dal ristabilimento delle due regie Università, Sassari, 1803; Saggio storico-fisico sopra una grotta sotterranea esistente presso la città di Alghero, Sassari, 1805; Sonetti storici sulla Sardegna, Cagliari, 1808. XXIV GIUSEPPE MARCI “per certe disgraziate combinazioni del suo isolamento”, non ha potuto godere appieno del “moto perpetuo di scientifiche comunicazioni”. Non mancano le università, non mancano i giovani che vogliono apprendere né i “valenti” professori: di recente “la benefica mano dell’Augusto Regnante” ha istituito quei “presidii” che prima mancavano, ha creato la Società Agrario-Economica di Cagliari, ha riorganizzato la pubblica amministrazione, introdotto forme legislative più efficaci. Tali le premesse che suggeriscono “di poter azzardare la compilazione di un Giornale di varia letteratura, un mensile in ottavo di 64 pagine ad uso, e vantaggio de’ Sardi amanti delle scienze, e delle arti”. Del giornale il Massala delinea anche il programma e, formulando una sorta di menabò, precisa: in primo luogo la filosofia (vale la pena di notarla, questa continua presenza dell’interesse filosofico), quindi la letteratura, la storia, i viaggi, la statistica, le scienze fisiche e naturali, le scoperte chimiche, le innovazioni nei processi delle arti e dei mestieri. Una prospettiva ampia e, per così dire, universale. Senza dimenticare che il giornale nasce in Sardegna, e che la Sardegna da tale iniziativa deve ricavare “vantaggi”: “Quindi la storia patria, la riforma de’ costumi, e degli abusi; articoli sull’Agricoltura, e sull’Economia pubblica colle applicazioni necessarie, e possibili al locale dell’Isola nostra; quindi osservazioni sulla pastura, e governo de’ bestiami, sul governo delle vigne, de’ boschi, taglio, e stagionamento de’ legnami, sulla tintoria, su i migliori metodi di macerare il lino, e la canapa, e simili cose, che possono credersi vantaggiose alla gente di campagna non meno, che agli abitanti delle città”. Il pubblico al quale il Massala mira è composto da “ogni sorta di persone”, quindi non dovranno mancare, in ogni numero, un articolo di “varietà”, presentazioni di libri e di letterati stranieri, proposte di testi poetici e di tutti quegli altri materiali che possano dilettare i lettori. Il Massala si Introduzione XXV preoccupa anche di definire il ruolo dei “cooperatori”, uomini dotti “sparsi nelle diverse parti del Regno”, cui spetterà di scrivere, su invito del “compilatore”, gli articoli per il giornale. Ai “censori”, invece, il compito di vagliare gli articoli: i loro nomi, perché possano lavorare senza pressioni d’alcun genere, saranno “tenuti nel più perfetto silenzio”. Siamo in presenza di un documento sulle origini di un giornalismo che ancora conserva un’impronta fortemente letteraria ma che già aspira all’informazione scientifica e alla notizia d’attualità, meglio se utile come quella relativa al commercio, ai prezzi delle derrate nelle principali piazze frequentate dagli operatori sardi. È un programma, a guardarlo con gli occhi di oggi, forse troppo ambizioso nella sua complessità, ma perfettamente rispondente alle esigenze e alle aspirazioni ideali di un’epoca varia, multiforme, non riconducibile mai a un unico aspetto ma vitale proprio per la poliedricità dei suoi interessi, in una parola enciclopedica. Un’epoca che, in Sardegna come in Italia e in Europa, seppe ricondurre ogni azione, la più modesta iniziativa agricola come la ideazione di un progetto culturale, a un quadro di riferimento generale ispirato e rischiarato dai lumi della filosofia. Comunque, il progetto di Andrea Massala non prese avvio e Antonio Delogu ne spiega l’insuccesso riferendosi al “clima di duro controllo imposto dai Savoia sulla cultura”, un clima nel quale “ogni tentativo di rinnovare la cultura isolana, anche su questioni lontane dall’implicare risvolti sul piano politico, veniva duramente combattuto: non si realizzò il progetto di Andrea Massala (1807) di fondare un periodico tecnico-scientifico, né trovò consenso l’idea di Domenico Alberto Azuni di pubblicare un giornale scientifico (1820)35. A. DELOGU, La filosofia in Sardegna (1750-1915). Etica Politica Diritto, cit., pp. 75-76. 35 XXVI GIUSEPPE MARCI Lo storico Leopoldo Ortu, per far comprendere la situazione nella quale operarono i giornali nella prima metà dell’Ottocento, ricorda che la restaurazione iniziò nell’isola un quindicennio prima che il Congresso di Vienna desse l’avvio all’analogo processo sulla scala dell’Europa e, prendendo le mosse proprio dal Massala, afferma: “Diversi giornali furono pubblicati in Sardegna nell’età in questione, ma quale più, quale meno, non riuscirono o non poterono rientrare nell’orizzonte delineato dal sacerdote algherese. Si può assumere in tal senso e come antesignano, visto che appartiene all’ultimo lustro del Settecento, il “Giornale di Sardegna”, oggi agevolmente reperibile, che fu diretto da Giuseppe Melis Atzeni ed uscì in 23 numeri tra l’agosto del 1795 ed il marzo del 1796; non è altrettanto facilmente consultabile il singolare “Foglio periodico di Sardegna”, diretto da Adolfo Palmeto e pubblicato a Cagliari tra il gennaio del 1812 ed il luglio del 1813, sotto la sorveglianza dello stesso Re Vittorio Emanuele I, come imponeva il regime assoluto e la politica mediterranea degli Inglesi, i quali lo finanziavano direttamente. Esso, inoltre, fa decisamente storia a sé. Dopo un certo numero di tentativi poco fortunati, bisogna giungere addirittura agli anni quaranta per trovare due periodici di rilievo, prima il “Promotore” a Sassari, poi “La Meteora” a Cagliari, entrambi meritevoli di ulteriori attenti studi, anche perché sono decisamente il frutto di quel certo risveglio culturale (quantitativamente ridotto, perché poté svilupparsi soltanto a livelli molto elitari, lontano dalla popolazione massicciamente analfabeta, come d’altronde accadeva nel resto d’Europa) che si era andato sviluppando, nei decenni precedenti, in Sardegna”36. L. ORTU, Tra Restaurazione e Risorgimento: i giornali sardi nel periodo della “Rinascenza”, in AA. VV., Ombre e luci della Restaurazione. Trasformazioni e continuità istituzionali nei territori del Regno di Sardegna, Atti del convegno, Torino 21-24 ottobre 1991, Roma, Ministero per i Beni 36 Introduzione XXVII Quelli che lo storico descrive sono gli effetti evidenti della cancellazione, non solo della speranza cresciuta nel corso della settecentesca stagione riformistica, ma anche, e più drammaticamente, di un’intera generazione di uomini che avevano condiviso le attese suscitate da Giovanni Maria Angioy e che erano stati spazzati via negli ultimi anni del Settecento, rinchiusi in carcere e mandati al capestro o spinti sulla via dell’esilio. Non può destare meraviglia il silenzio che seguì e appare invece come segnale importante di ripresa il fervore pubblicistico che, di lì a pochi decenni, diede le sue prove. In tale contesto si inseriscono i tentativi che il nascente giornalismo sardo (e, al suo interno, un giornalismo letterario sempre più motivato) compie per affermare se stesso vincendo difficoltà e condizionamenti. Un semplice elenco di titoli, di nomi di direttori e di collaboratori, sarà sufficiente a dare un’idea dell’ampiezza e della tenacia che segnano le iniziative pubblicistiche. Sul piano generale dell’informazione vanno ricordati, il “Giornale di Cagliari” (1827-1829) di Stanislao Caboni37, l’“Indicatore sardo” (1832-1852), fondato dall’avvocato Giuseppe Pasella e diretto poi da Pietro Martini38, la culturali e ambientali, Ufficio centrale per i Beni archivistici, 1997, pp. 363-402 (il passo citato è a p. 364). Il testo di Ortu si segnala anche per la copiosa bibliografia. 37 Stanislao Caboni (1790-1880), magistrato, deputato al Parlamento, autore di elogi poetici di illustri sardi. 38 Il giornale nacque “come strumento di propaganda della politica sabauda e fondamentale mezzo per la diffusione nell’isola della campagna di centralizzazione del potere. Il governo sabaudo, pur non essendo disposto, soprattutto dopo le esperienze napoleoniche, ad aperture democratiche e progressiste e rimanendo sempre legato ad un ultra-assolutismo, era attento e convinto assertore della necessità di uno Stato che fosse organizzato in modo razionale, moderno e accentrato” (M. COSSU, G. ORRÙ, S. PALMAS, Il periodo storico e la struttura del giornale, in ID., Un giornale della Restaurazione: l’Indicatore Sardo, Cagliari, Tema, 1997, XXVIII GIUSEPPE MARCI “Biblioteca sarda” (1838-1839), diretta da Vittorio Angius39, il “Promotore” (1840), diretto da Francesco Sulis40, la “Gazzetta popolare”41 (1850-1868), la “Gazzetta di Sardegna” (1852), “L’Eco della Sardegna” di Stefano Sampol Gandolfo42 (1852), l’“Avvisatore sardo” (18621877), il “Corriere di Sardegna” (1864-1879), “La Cronaca” (1866-1871), rivista settimanale, “Il Giornale di Sardegna”, (1896-1899), l’“Avvenire di Sardegna”43 (1871-1893). Nel 1843 nasce “La Meteora”44, fondata da Salvator pp. 49-50). Nel 1837 il giornale fu ceduto ai fratelli Martini ed “ebbe la concessione di trattare temi politici, ma praticamente sotto dettatura viceregia” (ivi, pp. 50-51). 39 Vittorio Angius (1797-1862), letterato, storico, deputato al Parlamento di Torino, autore del romanzo Leonora d’Arborea o scene sarde degli ultimi lustri del secolo XIV e delle parole dell’inno Cunservet Deus su re, compilò la sua rivista prevalentemente da solo, trattando soprattutto argomenti di carattere storico, scientifico e artistico. 40 Francesco Sulis (1817-1877), avvocato, deputato al Parlamento, autore dello studio storico Dei moti politici dell’isola di Sardegna (Torino, Biancardi, 1857). 41 “Nel 1850 fece la sua comparsa la “Gazzetta popolare”, periodico di ispirazione democratica fondato a seguito di una singolare iniziativa dal deputato Giuseppe Sanna-Sanna il quale, dopo aver appreso a Torino i rudimenti dell’arte tipografica, trasferì a Cagliari il materiale indispensabile per l’impianto di una modesta tipografia. Al Sanna-Sanna, al tempo stesso direttore e sostenitore del giornale sul quale furono ospitate le migliori firme dell’ambiente laico cittadino, si sostituì, tra il 1852 e il 1854, Vincenzo Bruscu Onnis, futuro direttore dell’“Unità italiana” di Milano (L. PISANO, Stampa e società in Sardegna dall’Unità all’età giolittiana, Torino, Centro di studi sul giornalismo, Guanda, 1977, p. 27). 42 Stefano Sampol Gandolfo (1820-1889), giornalista algherese, oltre che “L’Eco della Sardegna” fondò e diresse “Lo smascheratore” (1849). È anche autore di un romanzo, L’eremita di Ripaglia ossia l’antipapa Amedeo VIII di Savoia. Racconto storico (Roma, 1887). 43 Nel 1877 fu pubblicato, per alcuni numeri, “L’Avvenire di Sardegna della domenica” che riapparve, nel 1884, diretto da Felice Uda. 44 Riferendosi a “La Meteora” e a “Il Promotore”, Laura Pisano sostiene che “al di là dell’abito letterario affiora talvolta dalla stampa di quel periodo un tono leggermente liberale e patriottico” (L. PISANO, Stampa e Introduzione XXIX Angelo De Castro e Gavino Nino, che può essere considerata la prima pubblicazione dedicata alle tematiche culturali e specificamente letterarie; nel 1855 il “Bullettino archeologico sardo” che vivrà, sotto la direzione di Giovanni Spano, fino al 1864 e riprenderà le pubblicazioni nel 1884, diretto da Ettore Pais; nel 1876 Angelo Sommaruga, portato in Sardegna dal suo impiego nella zona mineraria iglesiente, darà vita a “La Farfalla”. Tra i padri del giornalismo letterario isolano spiccano i nomi di Antonio Scano che diede vita a periodici quali: “La Gioventù sarda” (1876), “Vita di pensiero” (1878), “Serate letterarie” (1882), “L’avvenire di Sardegna della domenica” (1884), “Vita sarda” (1891), su cui comparvero scritti giovanili della Deledda, di Enrico Costa, che fondò “La Stella di Sardegna” (1875-1879 e poi 1885-1886) e la diresse con Antonio Scano e di Luigi Falchi che diresse “Nella terra dei nuraghes” (1892-1894), “Sardegna artistica” (1893) e, varcata la soglia del Novecento, “La Sardegna letteraria” (1902). Giovanni Spano, Filippo Vivanet, Vittorio Angius, Vincenzo Bruscu Onnis furono anche autori di componimenti in versi che comparvero sulla stampa periodica e talora vennero pubblicati in raccolte autonome. Si tratta, per lo più, di una produzione minore che non aggiunge elementi significativi alla definizione di personalità più rilevanti in altri campi. società in Sardegna dall’Unità all’età giolittiana, cit., p. 26). Leopoldo Ortu, dal suo canto, cita il passo di un articolo pubblicato su “La Meteora” che testimonia del profondo disagio caratterizzante il mondo giornalistico isolano: “Non so che dirmi, ove io pensi a quell’altissima verità: il giornalismo essere l’espressione dell’incivilimento, mentre io vedo i nostri giornali splendere ad un tratto ed estinguersi come fuochi fatui che s’accendono sui sepolcri” (L. ORTU, op. cit., p. 388). XXX GIUSEPPE MARCI Un caso diverso, non rilevante sotto il profilo della qualità artistica ma comunque degno di nota, è quello rappresentato dal canonico Giuseppe Luigi Schirru (1767-1832) autore di un poema in ottave, Il Napoleone, del quale si conservano manoscritti i primi cinque canti e l’inizio del sesto45. Lo Schirru da un lato riprende una tradizione locale (già Francesco Carboni si era sentito ispirato dalle gesta napoleoniche), dall’altro manifesta adesione alle coeve tendenze della poesia neoclassica. Ma è sicuramente la produzione in lingua sarda quella che propone l’aspetto più significativo dell’attività poetica ottocentesca, un’ampia gamma di temi e situazioni poetiche, varietà linguistica e culturale. Diego Mele (1797-1861), parroco di Olzai, alimenta con le sue conoscenze letterarie una vena satirica che lo rende vicino alle popolazioni, ai bisogni diffusi, all’esigenza di denuncia delle ingiustizie sociali. Le sue satire ebbero un’ampia diffusione e godettero di un prestigio che ancora dura e sembra indirizzare la valutazione critica, se Manlio Brigaglia sente il bisogno di precisare che il Mele “si è visto accreditare sul conto della qualità della sua poesia anche la larghezza con cui essa ha circolato finora”46. Una diffusione forse anche più ampia ebbe l’opera poetica di Melchiorre Murenu (1803-1854), analfabeta e cieco, appartenente al mondo della poesia popolare improvvisata sulla base di una codificazione metrica rigorosa e di una forte partecipazione alle tematiche sociali e politiche. Vicino al mondo degli umili e ai loro bisogni (Brigaglia lo chiama l’Omero dei poveri), è autore della quartina Tancas serra- Cfr. S. PILIA, Il Napoleone, poema eroico di Giuseppe Luigi Schirru, in “La Grotta della vipera”, a. XXV, n. 88, 1999, pp. 35-41. 46 M. BRIGAGLIA, Donne e volpi ad Olzai, in AA. VV., Il meglio della grande poesia in lingua sarda, cit., pp. 175-176. 45 Introduzione XXXI das a muru, “una delle strofe più autenticamente vitali di tutta la poesia isolana”47. È invece anonimo un poemetto allegorico in gallurese intitolato Canzona di mastru Juanni (dopo il 1812) “che narra con grande icasticità lo scompiglio causato dall’arrivo di mastro Giovanni, personificazione tradizionale della fame, nella cittadina di Tempio”48. In un rapido elenco di quelli che l’Alziator chiamava poeti vernacoli occorre, infine, citare i nomi di Antonio Solinas di Nuoro (1870-1900), di Peppino Mereu49 di Tonara (1872-1901), di Pasquale Dessanay di Nuoro (1869-1919), tutti autori legati alle modalità poetiche tradizionali che confermano anche nella scelta linguistica, ma sempre più aperti alla conoscenza delle tendenze espresse dalla poesia contemporanea: è probabilmente proprio nella loro attività che va ricercato l’aspetto più vivo della produzione poetica ottocentesca. Diverso è il caso di Paolo Mossa di Bonorva (1821-1892) che può essere definito “un Arcade fuori tempo […] perché ha dato voce a un mondo di gentili storie d’amore […] perché, della poesia settecentesca, ha conservato il giro musicale delle strofe, il gusto del sottile gioco verbale, ma più ancora il concetto fondamentale: quello di una poesia che M. BRIGAGLIA, L’Omero dei poveri, in AA. VV., Il meglio della grande poesia in lingua sarda, cit., p. 204. 48 G. PIRODDA, La Sardegna, cit., p. 952. 49 A dire della densità dei problemi che caratterizzano questi autori, basterà rinviare a quanto scrive Marco Maulu nel saggio Peppino Mereu: il superamento del ritardo (in P. MEREU, Poesias, traduzione e cura di M. Maulu, Nuoro Ilisso, 2004). A proposito del tonarese, Maulu nota che la sua poesia è segnata da una “commistione fra opzioni poetiche contrastanti che ne fa senz’altro un autore complesso, non sempre inquadrabile con etichette che, per forza di cose, ne sacrificherebbero taluni aspetti, pur importanti” (p. 47). 47 XXXII GIUSEPPE MARCI esaurisce il suo compito nel dar voce a queste raffinate situazioni sentimentali”50. Ma, osservando il fenomeno nel suo complesso, almeno per quel tanto che emerge ed è conosciuto, più che formulare definizioni di carattere generale può essere utile rifarsi al principio metodologico enunciato da Maurizio Virdis, il quale, in riferimento all’edizione critica dei versi composti da Anna Maria Falchi Massidda (1824-1873), afferma che l’impegno filologico “è un segno di rispetto sia nei confronti della nostra poetessa, sia, e soprattutto, nei confronti di una tradizione sommersa e dispersa che richiede una particolare cura rivolta alle modalità della ricezione”51. Per quanto sommersa e dispersa, quella tradizione alla quale si riferisce Virdis ha avuto, e ancora in certa misura ha, una sua capacità di persistenza e di diffusione, arrivando a raggiungere strati di pubblico diversi, e a formare, nell’insieme, un sistema letterario composito all’interno del quale l’alto e il basso non vivono in dimensioni di totale separatezza ma hanno molteplici e documentabili punti di contatto. Tale fenomeno riguarda tanto la poesia quanto la prosa, e, in particolare nel caso di autori quali Enrico Costa, ha la capacità di superare le differenze culturali con la proposta di modalità stilistiche e di visioni del mondo che finiscono con l’essere generalmente condivise. Parlando della produzione narrativa ottocentesca, dobbiamo innanzi tutto osservare come abbia un interesse assoluto perché racchiude le attestazioni di un sentimento, di un atteggiamento mentale, di una forma dell’approccio culturale che sono, nel tempo più recente, la testimonianza del M. BRIGAGLIA, Un poeta di paese, in AA. VV., Il meglio della grande poesia in lingua sarda, cit., p. 237. 51 M. VIRDIS, Nota al testo, in A. M. FALCHI MASSIDDA, Glossas, Cagliari, Cuec, 1999, p. 34 n. 50 Introduzione XXXIII modo in cui i sardi percepiscono se stessi, valutano la storia passata della propria terra, interpretano il rapporto fra Sardegna e Piemonte, prima, fra Sardegna e Italia, dopo la conclusione del processo risorgimentale. Già Egidio Pilia, nella sua fondamentale opera La letteratura narrativa in Sardegna osservava: “La letteratura romanzesca sarda del secolo XIX, se non ha grande importanza per eccellenza di opere, riveste però un singolare valore documentario per lo studioso che voglia interpretarla, giacché è la testimonianza più viva e più diretta di quella rivoluzione spirituale, che lentamente e faticosamente tentò liberare i sardi dalle opprimenti tradizioni letterarie, radicatesi nell’isola, durante il medio-evo e ribaditesi durante il Sei e Settecento”52. Lasciamo perdere le “opprimenti tradizioni” che imporrebbero un discorso troppo lungo: quanto al resto è perfettamente vero che nelle pagine dei romanzieri ottocenteschi troviamo il segno, reso esplicito, di una vera e propria “rivoluzione spirituale”. È come se, seguendo i tortuosi percorsi della storia, le esigenze particolari dei sardi fossero giunte all’appuntamento con sensibilità contemporaneamente manifestate in molte altre parti dell’Europa: in primo luogo con il bisogno dal quale erano scaturite le indagini storiografiche nelle diverse nazioni europee, con le riflessioni che avevano portato a definire la categoria di popolo: “avere glorie comuni nel passato, una volontà comune nel presente, aver compiuto grandi cose insieme, volerne fare altre ancora, ecco le condizioni essenziali per essere un popolo”53. A questa soglia di conoscenza, interpreti di un clima e di una generale esigenza, si affacciarono gli autori che vollero E. PILIA, La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella, Cagliari, Il Nuraghe, 1926, p. 45. 53 E. RENAN, Che cos’è una nazione, Roma, Donzelli editore, 1993, pp. 19-20. 52 XXXIV GIUSEPPE MARCI dedicarsi alla narrativa e, per lo più, scelsero la strada del romanzo storico. Qui subito va detto che tale scelta fu compiuta (oltre che, più in generale, per l’influsso del modello manzoniano) perché in quel genere i sardi videro una forma di espressione artistica capace di rappresentare i fatti di una storia patria intesa quale nodo dolente, materia di studio e di evocazione letteraria d’un passato percepito come vivo e tale da segnare la coscienza contemporanea. Ha scritto Manlio Brigaglia: “Questi romanzi, di scarse qualità specificamente letterarie, divennero tutti popolari e occuparono nella formazione di una nuova coscienza isolana lo stesso posto che il romanzo risorgimentale aveva occupato nella diffusione dell’ideale unitario: non solo, ma come il Guerrazzi e il D’Azeglio avevano scelto, fra tutte le vicende possibili, quelle capaci di mostrare come l’antico valore non fosse mai morto nel cuore degli italiani, così i romanzieri sardi scelsero, fra le vicende dell’isola, al limite fra la leggenda e la storia, quelle capaci di far luce su alcuni concetti fondamentali (la lunga condizione di servaggio, la dignità del popolo sardo, la presenza di alcuni caratteri distintivi della civiltà regionale)”54. È la matrice dalla quale derivano non uno ma due generi: il romanzo storico e il romanzo di costume. Tracciare una linea di confine è, alle volte, praticamente impossibile, poiché capita che uno stesso autore si cimenti nei diversi campi. Il Pilia ha provato a distinguere, studiando l’opera di Enrico Costa e di Carlo Brundu, per poi arrivare a concludere: “il legame intimo che tiene avvinte le due specie di produzioni è così evidente da lasciare facilmente intendere 54 M. BRIGAGLIA, Intellettuali e produzione letteraria, cit., p. 38. Introduzione XXXV come l’opera romantica e quella naturalistica siano una la logica interpretazione dell’altra”55. Se non altro i difetti certamente accomunano i due versanti della produzione di un medesimo autore. Prendiamo, come esempio, La bella di Cabras di Enrico Costa, una drammatica e romantica storia sentimentale inutilmente appesantita da lunghissime descrizioni – che lo stesso autore comprendeva essere ingombranti – sugli usi e i costumi tradizionali dell’oristanese. Ma può anche accadere, e accade nei Bozzetti sardi di Ottone Bacaredda, che l’intento descrittivo e la documentazione folklorica riescano a sciogliersi nella narrazione, divengano essi stessi materia del racconto. Emerge allora un’ambientazione sarda autentica e viva, sfondo ideale e coerente per le trame che vi si inseriscono. La narrativa sarda ottocentesca prende avvio con i brevi racconti storici di Gavino Nino56 (1807-1886) e Salvatore Angelo De Castro (1817-1880) pubblicati sulla rivista “La Meteora” (1843-1845). Entrambi questi autori, va ricordato, saranno attratti dalla figura di Eleonora d’Arborea alla quale dedicheranno, il primo un melodramma in tre atti pubblicato a Cagliari nel 1868, il secondo una biografia che apparve a Oristano nel 188157. A un’altra figura femminile E. PILIA, La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella, cit., p. 114. 56 Gavino Nino (1807-1886), sacerdote, deputato al Parlamento si schierò con la Sinistra. Nel 1843 fondò col De Castro la rivista “La meteora”, è anche autore di poesie e di un dramma in cinque atti intitolato Ugone d’Arborea. 57 Salvator Angelo De Castro (1817-1880), deputato al Parlamento, canonico nella diocesi di Oristano, sospettato di far parte del gruppo che diede vita alle false Carte d’Arborea, si occupò a più riprese della figura di Eleonora d’Arborea. Anche Gioacchino Ciuffo, ispirato dal mito dell’eroina, compose un dramma storico in quattro atti, intitolato Eleonora d’Arborea (1868). 55 XXXVI GIUSEPPE MARCI della storia sarda si ispira Vincenzo Bruscu Onnis (18221888) che compone un racconto intitolato Adelasia di Torres (1845)58. Per avere, invece, il primo romanzo storico dobbiamo attendere il 1847, anno in cui Vittorio Angius (1797-1862) pubblica la Leonora d’Arborea o scene sarde degli ultimi lustri del secolo XIV. Luciano Carta ha ricostruito la fase preparatoria di quest’opera, innanzi tutto notando che negli anni compresi fra il 1839 e il 1845 (quando cominceranno ad apparire le false Carte d’Arborea che inquineranno il quadro della ricerca storica) vengono pubblicate alcune fra le opere più significative della cultura isolana: la Storia ecclesiastica di Sardegna (1839-1841) di Pietro Martini, l’Ortografia sarda (1840) di Giovanni Spano, la Storia moderna della Sardegna (1842) di Giuseppe Manno, la Storia letteraria di Sardegna (18431844) di Giovanni Siotto-Pintor e la parte introduttiva del Codice diplomatico di Sardegna (1845) di Pasquale Tola: “Entro questo quadro non può non assumere un significato particolare la decisione dell’Angius di pubblicare l’orazione in onore di Eleonora d’Arborea”59. L’orazione latina60 era stata pronunciata per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Sassari il 4 novembre 1835 e pubblicata quattro anni più tardi. In quel lasso di tempo l’Angius aveva approfondito la propria concezione della storia, Vincenzo Bruscu Onnis è anche autore di versi e de L’orfano, dramma in cinque atti “rappresentato con successo al teatro Civico di Cagliari dalla compagnia Petracchi-Vivarelli-Savi nell’agosto del 1846” (S. BULLEGAS, Storia del teatro in Sardegna, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1998, p. 71). 59 L. CARTA, Vittorio Angius. Opere poetiche e orazioni latine, in “Archivio storico del movimento operaio contadino e autonomistico”, n. 35-37, Cagliari, Edisar, 1991, p. 159. 60 Cfr. De laudibus Leonorae Arborensium reginae oratio, Cagliari, Monteverde, 1839. 58 Introduzione XXXVII arrivando a porre “l’esigenza di ricollegare la storiografia sarda alla storiografia nazionale d’ispirazione romantica” e, in tale contesto, individuando “nel medioevo giudicale il momento culminante della civiltà dell’isola e in Eleonora il personaggio eroico di quel glorioso periodo della nostra storia”61. Luciano Carta ha anche pubblicato le lettere indirizzate dall’Angius a Giovanni Spano che consentono di ricostruire le tappe attraverso le quali l’autore è giunto alla pubblicazione della Leonora d’Arborea, così come la conosciamo, composta da un unico volume scritto in italiano con parti in versi intercalate alla prosa del romanzo62. L. CARTA, Vittorio Angius. Opere poetiche e orazioni latine, cit., p. 161. Un primo cenno è probabilmente contenuto nella lettera del 29 agosto 1842 in cui si legge: “Forsis a sa istoria de Arborea, chi mi acchingo a iscrier, aia poder incontrare in cussa scrittura calchi cosa a propositu” (“Forse per la storia di Arborea, che mi accingo a scrivere, avrei potuto trovare in quel manoscritto qualcosa di utile”) (L. CARTA, a cura di, Lettere di Vittorio Angius a Giovanni Spano (1840-1860), in “Archivio storico del movimento operaio contadino e autonomistico”, n. 35-37, Cagliari, Edisar, 1991, pp. 326-327). Il concetto ritorna il 28 settembre 1842: “Isto in custa hora regogliende materiales pro dare un’istoria de Arborea de simile fattura assa dessu Logudoro, e bido chi mi mancat meda, et qui sos amigos oristanesos non si curant qui siat illustrada sa patria ipsoro e vivificada sa gloria dessos arboresos” (“In questo periodo sto raccogliendo materiali per scrivere una storia di Arborea sul genere di quella del Logudoro, e mi rendo conto che mi manca molto, e che gli amici oristanesi se ne infischiano che sia nobilitata la loro patria ed esaltata la gloria degli arborensi”) (ivi, pp. 328-329). Il 28 dicembre 1842 parla della scrittura alla quale attende come di una traduzione in logudorese: “spero […] qui potas legere cun megus su qui eo ando iscriende in logudoresu, antis hapo a narrer traduinde. Est una cosa nationale, et spero qui non ti hat a dispiaghere” (“spero […] che tu possa leggere con me quello che io sto scrivendo in logudorese, anzi dovrei dire traducendo. È un’opera nazionale, e spero che non ti dispiacerà”) (ivi, pp. 332-333). Dovrà trascorrere circa un anno perché il discorso venga ripreso, e in termini espliciti, nel contesto di una lettera del 19 settembre 1843 che parla dell’opera in fase di ela61 62 XXXVIII GIUSEPPE MARCI Se teniamo presente quanto l’Angius ha scritto nelle lettere allo Spano, quel riferimento al manoscritto “in lingua sarda nobile” che troviamo nella nota indirizzata Al benigno borazione ed evidentemente ancora scritta in logudorese: “Forsis andas madurande de pius in pius su Dictionariu? Tinde laudo. Quantu pius has a ruminarebi supra, tantu pius perfecta hat a esser s’opera. Oh! quantu mi dolet qui no isco quantas chentinas de migias s’interpongiant inter nois, qua si esseres accessibile od ego pius prope a tie, minde hia bene juvare in su tribagliu meu subra Leonora. Como pusti tantu exercitiu mi paret esser arrivadu a certu gradu; ma tantas boltas mi mancat s’expressione; su qui mi fachet desiderare qui haere comunicatione cumd’unu qui studiat a regogliere tutu sas formas sardas, et sas paraulas considerabiles, qui ind’unu od in s’atteru logu sunt usitadas. Si queres ischire quale siat sa manera mia grammaticale ti naro qui mi adprobiai pius assu Cano, que ass’Araolla, sibbenes su primu siat non bonu versificadore. Podes però bene intendere qui b’hant essere sas reformas mias, et sunt quasi semper Bithismos, essende eo pius partiale de sa limba bitichesa pro qui mi paret meda pius propinqua assa origine e pius pura. No isco si ti hapa notificadu qui iscrissi in prosa; como ti fatto ischire qui custa est frequentemente interpolada de liricas, pro imitare ancora in custu su caractere nationale, et qui pro resessire in sos metros varios, qui hat sa poesia italiana, hapo depidu tale bolta usare certos gallurismos, comente tue llos naras, et learemi qualqui attera licentia, qui spero hant a esser sos lectores benignos a mi cunsentire. […] Su barone Manno qui hat legidu pagu mancu que totos sos capitulos dess’epopeia mea mi hat confessadu chi non crediat chi su sardu resisteret assa prova quale eo l’hapo postu et si prestaret a quantu dignitosamente s’est prestadu. […] Si tue mi mandares scripturas de nde poder pigare qualqui paraula et frase digna de essere usada in opera nationale, quale sa qui tento, m’hias a facher piaghere; atteramente hias a juvaremi meda si mi allistares cuddas paraulas et frases, qui potes credere qui ego ignore, e stimes accomodadas a unu istilu elevadu, in su quale però occurret de faeddare de omni genere de cosas, ja qui in custa epopeia subra s’impresa storica de Leonora si presentat totu e quantu appartenit assa Sardinia, et sunt totu referidos sos costumenes et usos nostros, aberindesi su poema in Monteleone (casteddu), de inie passande in Ardari, in Gallura in Terranova in Posada, in sos saltos de Montenieddu, torrande in Ardari, et indi procedende in su Goceanu in su Marghine in sa Planargia in Arborea, pustis in Parte Barigadu (Fordongianus) in Parte Useddus, in Sardara, Sellori, Sigerro e Sulchis, et terminande in sos cucuros de Caralis” (“Forse stai dedicandoti in modo particolare al Dizionario? Hai la mia approvazione. Quanto più ci tornerai sopra, tanto più perfetta riuscirà l’opera. Quanto Introduzione XXXIX lettore avrà meno un sapore letterario, nell’inevitabile riferimento al manoscritto di cui parla il Manzoni, e sarà una sorta di notazione autobiografica, quasi intenda dire che ha mi dispiace non sapere quante centinaia di miglia si interpongano tra noi, che se tu non fossi troppo lontano e io fossi più vicino a te mi potresti essere molto utile per il mio lavoro su Eleonora. Adesso, dopo tanto lavorio mi sembra di essere arrivato a dei risultati accettabili; ma tante volte mi manca l’espressione giusta; questo mi fa desiderare di poter comunicare con uno come te che si è dato da fare per raccogliere tutte le espressioni sarde, e le parole significative usate in questa o in quella località. Se vuoi sapere quali siano le mie preferenze linguistiche, ti dico che mi sono avvicinato di più al Cano che all’Araolla, sebbene il primo sia cattivo versificatore. Puoi però ben capire che vi saranno le mie innovazioni, e sono quasi sempre forme del dialetto di Bitti, essendo io un ammiratore della lingua di Bitti, perché mi sembra molto più vicina all’origine e più pura. Non so se ti ho fatto sapere che ho scritto in prosa; ora ti faccio sapere che la prosa è spesso interrotta da versi, per imitare anche in questo il carattere nazionale, e che per riuscire a comporre nei diversi metri che ha la poesia italiana, ho dovuto talvolta usare certi gallurismi, come li chiami tu, e prendermi qualche altra libertà, che spero i lettori siano così benevoli da concedermi. […] Il barone Manno che ha letto quasi tutti i capitoli della mia epopea mi ha confessato che non credeva che la lingua sarda resistesse alla prova alla quale l’ho sottoposta e che si prestasse a quanto s’è dignitosamente prestata. […] Se tu mi mandassi testi da cui poter prendere qualche parola e frase degna di essere usata in opera nazionale quale quella che io sto tentando di scrivere mi faresti un favore; diversamente mi aiuteresti molto se mi elencassi quelle parole e frasi che ritieni che io non conosca e che consideri adatte a uno stile elevato nel quale però è necessario parlare di ogni genere di cose, giacché in questa epopea sull’impresa storica di Eleonora si trova tutto quanto concerne la Sardegna, e vengono ricordati tutti i nostri usi e costumi, dal momento che le vicende sono ambientate all’inizio nel castello di Monteleone, poi ad Ardara, in Gallura, a Terranova, a Posada, nei salti di Montenieddu, e di nuovo ad Ardara, e poi continuando nel Goceano, nel Marghine, nella Planargia, nell’Arborea, e poi ancora a Fordongianus, a Usellus, a Sardara, a Sanluri, nel Cixerri e nel Sulcis, per terminare sui colli di Cagliari”) (ivi, pp. 334-336). Qualcosa deve, però, modificare gli orientamenti dell’Angius se il 19 aprile 1844 scrive: “Istas isectende sa Leonora? Hapas patientia ancora unu pagu, qua so tribaliande a’ sa traductione italiana. Custa finida subitu hapo a publicare su program- XL GIUSEPPE MARCI deciso di tradurre il testo originale, scritto in logudorese e, per essere più precisi, in limba bitichesa, per renderlo accessibile ai più, “e massime alle gentili signore”, giudicando che fosse “opera originale della letteratura poco conosciuta della nazione sarda”63. L’intento che si prefiggeva con questo lavoro non era tanto quello di far luce sulla figura di Eleonora, già molto nota, quanto piuttosto “di rappresentare il popolo sardo nel suo vero essere e aspetto”64: sfortunatamente la lunga incertezza fra prosa e poesia (che si risolve in favore della prosa, ma con l’inserzione di componimenti poetici di vario metro), fra sardo e italiano (che si risolve in favore di un italiano libresco e impacciato, decisamente poco avvincente) e, possiamo immaginare, fra ipotesi diverse riguardanti l’epopea poetica e la prosa del romanzo storico, si conclude con l’approdo a una scrittura che non rende un buon servigio a quel progetto di rapprema, et pusti has a legere su solenne pastissu qui hapo factu pro celebrare sa heroina sarda et impare representare sa natione in omni respectu, de modu qui non restet que pagu a ischire de’ sa natione nostra facta qui siat sa lectura de’ su interu poema, qui si quantu est mannu de estensione hat a parre bellu, eo nd’hapo a esse cuntentu” (“Stai aspettando la Leonora? Abbi pazienza ancora un po’: sto lavorando alla traduzione italiana. Appena l’avrò terminata pubblicherò il programma e dopo leggerai il solenne pasticcio che ho fatto per celebrare l’eroina sarda e al tempo stesso rappresentare la Sardegna sotto ogni punto di vista, in modo che non resti quasi nulla da sapere sulla nostra terra una volta che si legga l’intero poema: e se esso sembrerà bello quanto è grande la sua mole, ne sarò contento”) (ivi, pp. 337-338). Infine, in un’ultima lettera del 29 maggio 1844 l’Angius chiede ancora al suo corrispondente che gli spedisca “algunas notas de’ sos vocabulos qui credes dignos de fagher comente gemmas in sa narratione mia epica” (“alcuni elenchi dei vocaboli che credi degni di fungere da gemme nella mia narrazione epica”) (ivi, pp. 338-339). 63 V. ANGIUS, Al benigno lettore, in Leonora d’Arborea o scene sarde degli ultimi lustri del secolo XIV. Traduzione dall’originale sardo di Vittorio Angius, Torino, Tipografia di Giuseppe Cassone, 1847. 64 V. ANGIUS, Leonora d’Arborea. Programma d’associazione, Torino, Cassone e Marzorati, 1844. Introduzione XLI sentazione del “popolo sardo nel suo vero essere e aspetto” che stava a cuore all’Angius e sarà condiviso dagli autori che, dopo di lui, imboccheranno la strada del romanzo storico. Nella seconda metà del secolo la produzione narrativa esce dalla fase dell’avvio e offre un interessante panorama aperto dall’Angelica (1862) del nostro Antonio Baccaredda (1824-1908), autore di un’ampia produzione drammaturgia e saggistica all’interno della quale compaiono alcuni romanzi che il Pilia definiva “di schietta scuola romantica, pieni di sentimento e di melanconia, così come la moda del tempo dettava”65. Si riferiva soprattutto a La crestaia (1864) ed a Paolina (1869), a proposito dei quali scrive: “Del primo, che non abbiamo potuto leggere, così scriveva lo storico Manno, critico di non facile contentatura, in una lettera all’autore: “Con sentimento di patriottica compiacenza ho gustato quanto havvi di profondamente meditato, di sagacemente giudicato, di maestrevolmente tessuto e di brillantemente scritto, in questo tuo racconto, che in molti punti sfolgora e scoppietta con inaspettata fortuna di allusioni e di qualificazioni, che vengono da un buon fondo di quello che i francesi chiamano esprit e che noi possiamo solo chiamare con parole generiche ed incomplete”. Il secondo è un romanzo intimamente legato – a quanto l’autore confessa – al primo di cui costituisce una continuazione; noi possiamo solo dire che come tutte le cose troppo stiracchiate non ha niente di eccezionale e degno di rilievo. Storia fredda e convenzionale di una sedotta e della figliola, non commuove né interessa e ci lascia del tutto indifferenti anche quando madre e figlia impazziscono davanti alla E. PILIA, La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella, cit., p. 119. 65 XLII GIUSEPPE MARCI fatalità del caso, che porta il vecchio ganimede che sedusse la madre a sedurre la propria figlia…”66. Giudizio troppo severo e che comunque andrebbe ripensato comparando questi lavori del Baccaredda con i romanzi che, più o meno nello stesso torno di tempo, produceva la letteratura italiana, forse cominciando proprio con l’omonimo Paolina che Igino Tarchetti pubblicava nel 1865. Non meno severa è la valutazione dell’Alziator che così delinea il quadro all’interno del quale si situano le opere del Baccaredda: “Nella seconda metà dell’Ottocento, la narrativa fiorisce con straordinario rigoglio; nulla però o ben poco di una così rigogliosa fioritura merita di essere ricordato. Si tratta, nel complesso, di una letteratura che imita Walter Scott, Alessandro Manzoni, Massimo d’Azeglio e Francesco Domenico Guerrazzi. Prolissità nella narrazione, ridondanza retorica, fissità di schemi, povertà o farragine di fantasia, lingua toscanamente stucchevole ne sono la cifra corrente. Oscillano, in generale, questi narratori, tra l’ispirazione drammatico-sentimentale, la storia romanzata ed il romanzo storico. È quest’ultimo, anzi, che, per quanto ormai pressoché in declino in Italia ed altrove, in Sardegna, per il solito fenomeno di distemporamento più volte notato, attecchisce particolarmente rigoglioso. Agiscono sui romanzieri sardi quei medesimi sentimenti di patriottismo regionale che avevano ispirato i falsari delle carte d’Arborea, anzi sono, talvolta, proprio queste carte ad ispirarli. Naturalmente la giudicessa Eleonora, le vicende sarde dei Malaspina e dei Doria, le glorie della repubblica sassarese, l’infelice ed eroica lotta contro gli Aragonesi, le straordinarie avventure di Vincenzo Sulis sono tra i temi preferiti. Si tratta, per lo più, di una pessima produzione che non sa uscire dalla più banale imitazione e di autori nei quali non si riesce mai ad intravedere qualcosa di personale e di spontaneo. Sono 66 Ivi, pp. 119-120. Introduzione XLIII in massima parte scrittori già condannati in partenza da una poetica falsamente interpretata, oltre che, s’intende, dalla mancanza di naturali qualità, innocenti maniaci della penna che tentarono di dare lustro a sé ed all’Isola romanzandone la storia con personaggi presi a prestito dalla narrativa romantica europea. Ricorderemo, tra i tanti della schiera, il cagliaritano Antonio Baccaredda, alla cui larga produzione di narratore: Angelica, La Crestaia, Paolina, Il bene e il male, Sull’orlo dell’abisso, Vincenzo Sulis, ecc. va aggiunta quella di drammaturgo e di saggista”67. E valga per quello che vale, questo giudizio dell’Alziator che riportiamo nella sua interezza per dar modo al lettore di considerare autonomamente i limiti interpretativi derivanti da una fase storica e da una prospettiva critica incapaci di comprendere il senso profondo, gli intendimenti morali, le prospettive letterarie e linguistiche che stanno alla base di una stagione troppo frettolosamente liquidata e sulla quale, invece, sarebbe opportuno compiere ancora ulteriori sforzi di indagine. Se una tale indagine dovesse essere ritenuta utile, potrebbe prendere l’avvio da una verifica di quella teoria del “distemporamento” proposto come dato obiettivo e che invece andrebbe meglio verificata. Così come, forse, sarebbe proficuo riflettere sul “declino” del romanzo storico “in Italia ed altrove”, sulla “poetica falsamente interpretata” e su quel secco modo di stigmatizzare il tentativo “di dare lustro a sé ed all’Isola” che, al contrario, può essere inteso, positivamente, come l’anticipatrice avvertenza di un ruolo possibile per la letteratura nei processi di crescita culturale e politica, di maturazione di una coscienza di sé capace di farsi strada in maniera persuasiva – e sia pure attraverso qualche farragine narrativa – in un processo di riflessione sulla propria storia e di volontà di raccontarla che è andato via via 67 F. ALZIATOR, Storia della letteratura di Sardegna, cit., pp 381-382. XLIV GIUSEPPE MARCI affermandosi e che costituisce, nella contemporaneità del mondo globalizzato, uno degli aspetti più significativi proposti dalla letteratura di tanti popoli. Tale processo abbiamo la possibilità di osservarlo in una fase embrionale se, ad esempio, leggiamo, comprendendola, la frase del Manno riportata dal Baccaredda nel frontespizio del romanzo Angelica: “Io vorrei poter qui colorire un abbozzo del carattere della popolazione sarda, e onorare ciò che è di più onorevole nella mia patria”68. Analogo intento sta alla base del Vincenzo Sulis che ripubblichiamo. Né molto dissimili sono gli intendimenti di quanti operano successivamente, scrittori di molteplici anche se non sempre pregevoli romanzi. Attraverso queste opere abbiamo, comunque, un’utilissima informazione sul clima intellettuale che caratterizzava gli ultimi tre decenni del secolo. Gavino Cossu (1844-1890) pubblica, nel 1882, il romanzo Gli Anchita e i Brundanu, che era stato annunciato, l’anno precedente, da un programma di abbonamento in cui l’autore dichiarava di aver voluto fare “una dipintura esatta dello stato materiale e morale dell’isola in quel secolo fortunoso, che fu l’ultimo della esecranda dominazione spagnola in Sardegna”, con l’intento di “contribuire a far sì che il lettore fosse in grado di avere un’idea chiara e distinta della vita di quei tempi”69. 68 A. BACCAREDDA, Angelica. Novella sarda, Torino, Tipografia Derossi e Dusso, 1862. 69 Citato in E. PILIA, La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella, cit., p. 72. Nella dedica del volume, Gavino Cossu ribadirà di aver voluto “trarre dall’immeritato oblio qualche negletta pagina di storia isolana, sforzandosi di farla ricordare alla memoria dei suoi concittadini” (G. COSSU, Gli Anchita e i Brundanu. Racconto sardo del secolo XVII, Cagliari, Tipografia Avvenire di Sardegna, 1882, vol. I, p. 3): dove è anche interessante la precisa scelta di pubblico, il messaggio rivolto verso i “suoi concittadini”. In nome di tale intento didattico il Cossu ritiene di dover “tratto tratto, interrompere il racconto principale, per Introduzione XLV Anche nel suo caso, come in quello di Antonio Baccaredda, c’è il bisogno di dare dipinture esatte di una terra e dei suoi abitanti, troppo spesso ignorati o rappresentati in maniera inesatta. Verso un’analoga prospettiva di illustrazione, e difesa, della propria terra si orienteranno anche altri autori, attenti – soprattutto – alla precisione storica e all’individuazione di figure-simbolo quali quelle di Eleonora d’Arborea o Adelasia di Torres, Leonardo Alagon o Vincenzo Sulis. Marcello Cossu (1845-?) scrisse Elodia e la repubblica sassarese (1875), Violetta del Goceano (1875), La bella di Osilo (1879), Ritedda di Barigau (1885); Carlo Brundu (18341904) L’Alcaide di Longone (1870), La rotta di Macomer (1872), Adelasia di Torres (1874), Una congiura in Cagliari (1876); Pietro Carboni (1857-1902) Leonardo Alagon (1872); Michele Operti Vincenzo Sulis (1871): fatti e personaggi capitali della storia sarda vengono riscoperti e proposti ai lettori per rinvigorire il sentimento nazionale, per suscitare lo sdegno nei confronti di tutti i conculcatori del sardo suolo. Chi, più d’ogni altro, interpretò lo spirito dell’Ottocento letterario sardo, e contribuì a plasmarlo dandogli la forza di giungere fino al Novecento ancora capace di segnare con il suo timbro racconti e romanzi, fu il sassarese Enrico Costa. “Scrittore dilettante nel senso migliore della parola – scrive Manlio Brigaglia – svolse un’attività straordinaria e instancabile, orientata e spesso dissipata in diverse direzioni”70. Da qui occorre partire per comprendere la personalità del Costa: dalla straordinaria latitudine dei suoi interessi che comprendono la storia e la geografia, il folklore, la musica descrivere uomini e cose, e far rilevare abitudini e costumanze, a misura che esse mi venivano innanzi” (ivi, p. 5). 70 M. BRIGAGLIA, Intellettuali e produzione letteraria, cit., p. 39. XLVI GIUSEPPE MARCI e, naturalmente, la letteratura. La bibliografia delle sue opere è vastissima e per essa si rimanda all’opera La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella di Egidio Pilia che la presenta secondo l’ordine cronologico71, e agli Scrittori sardi nati nel secolo XIX di Raimondo Bonu che riprende il lavoro del Pilia e divide la bibliografia in una pratica disposizione per generi72. Nato nel 1841 (a Sassari, dove morì nel 1909), il Costa esordì come autore teatrale e come poeta. Solo nel 1874 pubblicò la sua prima opera narrativa, il romanzo Paolina che, dopo l’iniziale edizione sassarese, nel giro di dieci anni fu ristampato due volte, nel 1875 a Genova e nel 1884 a Milano. In apertura di quel romanzo troviamo una lettera dedicatoria a Filippo Vivanet che contiene una precisa, e simpaticamente autoironica, indicazione critica valida per Paolina e per tutta la restante produzione del Costa: “Tu ben sai che, essendo io sempre stato in lotta con le cifre, ogni mio lavoro può dirsi nato fra un’addizione e una sottrazione. Non deve quindi meravigliarti se i miei parti risentono spesso di queste due operazioni aritmetiche: vi si trova sempre qualche cosa in più, e qualche cosa in meno”73 Giudizio lucidissimo, e valido per l’intera produzione del sassarese, tanto che è necessario sottrarlo alla contingenza economica dalla quale era stato ispirato (Paolina era stato scritto, e venduto per l’appendice di un giornale) e bisogna invece assumerlo come generale criterio interpretativo. Comprendendo che il Costa è scrittore vero, potenzialmenCfr. E. PILIA, La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella, cit., pp. 86-90. La bibliografia del Pilia è stata riproposta, in versione riveduta e corretta, in E. COSTA, Il muto di Gallura, a cura di G. Marci, Nuoro, Ilisso, 1998, pp. 24-29. 72 Cfr. R. BONU, Scrittori sardi nati nel secolo XIX. Con notizie storiche e letterarie dell’epoca, Sassari, Gallizzi, 1961, pp. 768-772. 73 E. COSTA, All’amico Filippo Vivanet, in Paolina, Sassari, Tipografia Azuni, 1874. 71 Introduzione XLVII te un bravo scrittore: certamente un uomo di cultura non ignaro delle tendenze più significative della letteratura italiana o di quelle europee, un organizzatore culturale che, come abbiamo visto, diede vita alla rivista “Stella di Sardegna” (1875-1886) “aperta alla cultura italiana”74. Non gli mancavano, quindi, gli strumenti per comprendere i limiti che alla sua prosa dovevano inevitabilmente derivare da scelte coerenti con le sue generali posizioni ideologiche ma altresì estranee a una logica strettamente letteraria. È però mosso da un fortissimo interesse nei confronti della Sardegna, vuole illustrarne la storia, mostrare i tratti di un’antica nobiltà e la fierezza di un carattere che secolari disavventure non hanno piegato. A tutto questo sacrifica la qualità artistica, in una consapevole operazione che non ignora quanto nei suoi romanzi sia in più e quanto in meno sotto il profilo narrativo. A ben vedere questo così intenso bisogno di sardità non rinchiude Enrico Costa nei confini di un’isola ma lo segnala come un intellettuale aperto alle correnti culturali del suo tempo, capace di coniugare sentimenti e idealità largamente diffusi nell’Europa contemporanea con i problemi, le esigenze, le caratteristiche della questione sarda. Egidio Pilia lo vede animato dal “fine nobilissimo di un’alta educazione regionale”75: per assolvere a quello che riteneva un suo compito, in un momento in cui “i migliori ingegni di Sardegna varcavano il mare alla ricerca di nuovi e diversi ideali artistici, il Costa volle rimanere solo G. PIRODDA, La Sardegna, cit., p. 956. Lo stesso autore, a proposito dell’opera narrativa del Costa sostiene: “Scrive romanzi di costume, di vicende contemporanee (fino al caso di un racconto-reportage) e romanzi storici, secondo percorsi e motivazioni che non sono certo quelli di un manchevole aggiornamento sulla narrativa contemporanea” (ivi, p. 955). 75 E. PILIA, La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella, cit., p. 87. 74 XLVIII GIUSEPPE MARCI nell’agone, e ricercare con lena infaticabile le leggende e le vicende, i fasti e le glorie della sua terra, traendone lo spunto per le sue numerose e geniali pubblicazioni”76. C’è sicuramente un’amplificazione, in tale giudizio, ma, d’altra parte, uno studioso di generale visione sardista poteva forse restare indifferente di fronte alle affermazioni contenute, ad esempio, nella Conclusione del romanzo Rosa Gambella, in cui il Costa dice d’aver voluto scrivere “un libro utile agli studiosi di memorie patrie”, spera d’aver “attirato l’attenzione dei sardi sui gravi e importanti avvenimenti che si volsero nell’isola” tra il 1478 e il 1483, afferma che, al di là delle sconfitte subite, quel periodo “fu uno dei più gloriosi della storia sarda”, polemizza col Manno sostenitore della tesi secondo cui quegli anni erano passati “per la Sardegna senza lasciar copiose memorie” ed infine – appassionatamente, ma con un’intuizione critica che le moderne metodologie storiografiche hanno poi confermato – prorompe nell’affermazione già ricordata: “È inesatto quanto molti asseriscono: che la Sardegna non abbia storia. La storia ce l’ha, ma è ignorata o non fu scritta. Non vi ha popolo senza storia; e le storie si somigliano tutte, poiché in fondo esse non compendiano che una serie di lotte, più o meno fortunate, fra oppressi ed oppressori, fra deboli e prepotenti!”77. È un enunciato in cui rigore d’analisi e vis polemica coincidono. Il punto d’arrivo (siamo nella piena maturità del Costa) di un processo di pensiero che si era avviato molti anni prima e le cui iniziali espressioni sono già presenti in Paolina. Compare, infatti, in quel romanzo un personaggio, un forastiere nomade che, casualmente capitato in Sardegna e senza nulla conoscere della terra, degli usi e costumi, della Ivi, p. 119. E. COSTA; Rosa Gambella. Racconto storico sassarese del secolo XV, cit., p. 344. 76 77 Introduzione XLIX sua fisionomia, con aria saputa trincia giudizi del tutto privi di fondamento. Sprezzantemente il Costa bolla lui e tutti i suoi simili che in ogni tempo hanno parlato dell’isola con queste parole: “Individui insomma che, spacciandosi per uomini di alto affare, di vasta cultura e d’inarrivabile intelligenza, si atteggiano ora a maestri, ora a severi giudici di un paese, di cui ignorano il più delle volte la storia, le tradizioni, le tendenze e la stessa geografia”78. Ecco, allora, la storia e il bisogno di studiarla, di diffonderne la conoscenza. Anche attraverso i romanzi. C’entra l’influsso manzoniano, come è logico che sia, quando si parla di romanzo storico. Ma, prima ancora, c’è un impulso etico che spinge il Costa verso i personaggi della storia sarda, verso Adelasia di Torres, ad esempio, l’infelice nobildonna che come un fantasma della mente egli insegue lungamente, la ricorda in molti suoi scritti, visita le rovine del castello dove visse prigioniera, sballottata dalla sorte, oggetto delle interessate attenzioni di uomini stranieri che la umiliarono. Quasi simbolo di una vicenda che fu più ampia e riguardò la Sardegna intera. Parlando del Costa autore di romanzi storici, il Pilia sostiene: “il Costa rimane fedele a quella singolare tradizione della letteratura sarda, per cui la formula manzoniana della storia messa al servizio dell’arte, viene radicalmente capovolta. Per lui, come già per l’Angius, il Brundu, l’Uda e gli altri minori, l’arte è messa al servizio della storia; egli è un paziente studioso di archivi e i suoi romanzi rivelano chiaramente le abitudini mentali di un ricercatore di professione”79. Lo rivelano anche troppo. Prendiamo Paolina, il voluminoso romanzo con cui il Costa si presentò, ricco di fantasia, capace di organizzare un complesso intreccio e di E. COSTA, Paolina, cit., vol. II, p. 107. E. PILIA, La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella, cit., p. 91. 78 79 L GIUSEPPE MARCI governarlo fino alla conclusione. L’attenzione del romanziere è distratta da mille aspetti particolari: le condizioni del trasporto interno in Sardegna, le linee architettoniche del campanile di Mores, la politica nei villaggi. Su quest’ultimo tema scrive un intero capitolo In cui si parla di Partiti e che potrebbe farsi a meno di leggere. Divagazione “vera, verissima – la giudicò Raffa Garzia – ma che nell’economia del lavoro è a pigione”80. Lo sapeva anche l’autore, se così intitolava il capitolo: non sbaglia ingenuamente ma sacrifica la palma artistica per portare a compimento il suo progetto politico. E poi c’è da dire, lo dice ancora Raffa Garzia, “che alla eccellenza nell’arte si arriva col contributo di molte generazioni, che a grado a grado salgono”81: il Costa non appartiene alla generazione che raccoglie, piuttosto a quella che semina. Basta prendere le pagine di Paolina in cui si parla della festa di San Giovanni a Mores, per capirlo. Qui si getta il seme che fruttificherà in Grazia Deledda, non a caso disposta a dichiararsi “discepola” del Costa che ha scritto “tanti romanzi sardi, caldi di amor patrio, pieni d’entusiasmo o di tristezza per le bellezze o per le miserie dell’isola”82. Qui è possibile trovare la radice delle celebri descrizioni deleddiane in cui appare un popolo nel momento della massima espressione d’un sentimento religioso che finisce coll’essere tutt’uno con il sentimento dell’identità nazionale. Per comprendere a fondo la Deledda dobbiamo partire dal Costa, da un autore, cioè, che pure è sempre in bilico tra il desiderio di offrire al lettore un’esatta descrizione di quegli usi festivi e la vocazione del romanziere che l’inforR. GARZIA, Enrico Costa, Cagliari, Tipografia Industriale, 1912, p. 21. Ivi, p. 10. 82 G. DELEDDA, lettera ad Angelo De Gubernatis del 14 ottobre 1893, in F. DI PILLA (a cura di), Grazia Deledda. Premio Nobel per la letteratura 1926, Milano, Fabbri, 1966, p. 454. 80 81 Introduzione LI mazione storica ed etnologica deve sciogliere nel tessuto narrativo. Il dilemma ritorna di continuo: tanto nei romanzi quanto negli scritti minori. Così, nella Guida racconto Da Sassari a Cagliari (1902), anche se, col pretesto d’un viaggio in treno, si descrive il nascere di una passione amorosa tra due giovani viaggiatori, come è possibile passare alle pendici del colle su cui sorgeva il castello di Ardara senza ricordare l’infelice Adelasia? Così nel romanzo La bella di Cabras (1887) c’è la storia romantica dell’amore tra Rosa e Carlino che si chiude tragicamente per la donna, ma ci sono anche (e lo stesso Costa ne comprendeva l’inopportunità narrativa, se cercò di giustificarle, senza peraltro riuscirvi) ampie digressioni storiche e folkloriche, né manca una compiuta descrizione della pesca dei muggini. Così, presentando Giovanni Tolu, opera destinata alla più larga celebrità, il Costa sostiene: “rinunziai a scrivere un lavoro d’arte, e decisi di riportare fedelmente la confessione del Tolu, seguendo l’ordine da lui tenuto, e servendomi quasi sempre de’ suoi modi di dire. La storia del vecchio bandito (sebbene più prolissa e forse più noiosa) potrà così conservare tutta la natia semplicità, tutto il colore locale, e quella vergine impronta che darà maggior risalto al carattere del tempo, degli attori e dell’ambiente. Mi limiterò solamente ad apporre qua e là qualche breve nota appiè di pagina, quando la crederò necessaria”83. Ma poi non resiste alla tentazione di infliggere (l’espressione è sua) al lettore “alcune pagine di storia sui banditi sardi in genere, e su quelli del Logudoro in ispecie”, sebbene pensi che la “chiacchierata potrebbe omettersi, con vantaggio di chi legge”84. E. COSTA, Giovanni Tolu, Sassari, Dessì, 1897, ora in ed. Ilisso, 1997, p. 29. 84 Ivi, p. 30. 83 LII GIUSEPPE MARCI E da una medesima volontà di informare e documentare è spinto anche ne Il muto di Gallura (1885), che pure ha un vigoroso andamento romanzesco, quando sente il bisogno di dichiarare: “Non ho scritto un romanzo. I fatti ch’io narro sono veri; veri nei particolari, nei nomi dei personaggi, nei luoghi dell’azione, nei tempi in cui accaddero, e fin nei dialoghi che riporto. I galluresi potrebbero farne fede”85. Romanziere, dunque, ma anche storico, antropologo, giornalista e apostolo di una sardità che tende prepotentemente ad affermarsi in ogni pagina. Accanto alla figura del Costa, per il rilievo che ebbe, e non solo nell’ambito sardo, abbiamo collocato Ottone Bacaredda (1849-1921). Nel 1874 aveva pubblicato un romanzo intitolato Roccaspinosa che venne riproposto, col titolo Casa Corniola, in una prestigiosa collana diretta dal Sommaruga cui il Bacaredda era legato dai tempi de “La Farfalla”. Il romanzo mostra come l’autore si muova in un’atmosfera verista, ma intenda rappresentare gli elementi caratteristici della realtà italiana, al di là delle particolarità regionali e delle distinzioni linguistiche o dialettali. Una forte connotazione regionale compare, invece, nella citata raccolta di racconti Bozzetti sardi (1881) che nella dedica viene definito “saggio d’impressioni e di costumi paesani” e nella quale la materia sarda assume un ruolo centrale. La figura del Bacaredda ben rappresenta una tendenza che segnò il mondo culturale e artistico sardo nel periodo conclusivo dell’Ottocento e nella fase d’avvio del Novecento: il bisogno di confronto con le contemporanee esperienze italiane ed europee che vediamo rappresentato nell’opera di pittori come Antonio Ballero (1864-1932) che scrisse un romanzo, Don Zua (1894), di scultori come Francesco E. COSTA, Il muto di Gallura, Milano, A. Brigola, 1885, ora in ed. Ilisso, cit., p. 33. 85 Introduzione LIII Ciusa (1883-1949), di letterati e romanzieri come Salvatore Farina (1846-1918) che esercitò un importante ruolo di mediazione fra l’ambiente milanese in cui operava (dal 1871 dirigeva la “Rivista minima”) e la Sardegna di uomini di teatro come i fratelli Michele (1830-1898) e Felice Uda (1832-1900). In questo contesto può, per certi versi, essere inserito anche Giovanni Saragat (1855-1928), autore di romanzi e racconti umoristici. Ma è tempo di avvicinarci al bozzetto storico dedicato da Antonio Baccaredda al capopopolo cagliaritano Vincenzo Sulis. Apparve a Cagliari, presso la Tipografia Editrice dell’Avvenire di Sardegna, nel 1871. L’anno prima, il 20 settembre, si era compiuto, con la presa di Roma, il processo dell’Unità d’Italia: non sarà inutile, quindi, chiedersi, in primo luogo, il senso e l’opportunità, da parte del Baccaredda, di porre al centro del proprio racconto un personaggio che era stato condannato per il delitto di lesa maestà. Sfortunatamente le informazioni biografiche non aiutano a inquadrare bene la personalità dell’autore. Sappiamo che era nato a Cagliari nel 1824, aveva esercitato la funzione di impiegato superiore del Ministero delle Finanze, aveva viaggiato visitando diverse città d’Italia, e che era morto a Napoli nel 1908. Il suo ruolo professionale fa supporre che abbia potuto cogliere da un buon punto d’osservazione, se non da una posizione di primo piano, quella importante fase della vita nazionale in cui, fatta l’Italia, bisognava fare gli italiani. La vastità degli interessi culturali rivelati dalle opere che compose aggiunge che non fu un uomo isolato, ma seppe guardare al proprio tempo aiutato dallo studio della letteratura e della filosofia, forte anche di una personale capacità di giudizio. Non doveva essere facile, nel clima di celebrazione della appena conquistata unità, esprimere un concetto simile a questo: “Le fazioni, e le conventicole grandi e pic- LIV GIUSEPPE MARCI cole, che così bene attecchiscono in Sardegna, sotto questo aspetto in nulla dissimile dalla sua madre patria […]”. È vero che si riferisce agli anni di fine Settecento (quindi al Piemonte, piuttosto che all’Italia) quando il Sulis aveva ruolo e peso nelle vicende sarde, ma il concetto ha una valenza e una triste attualità in molti momenti della storia patria per cui non è da escludere che il Baccaredda, con animo disincantato, lo riferisse anche al suo tempo. D’altra parte è anche inattesa quella definizione dal vago aroma coloniale che sembra indicare un quieto stato di dipendenza, dalla madre patria, appunto, mentre la Sardegna in non pochi punti del romanzo è per altro descritta con attenzione alle sue caratteristiche contestative nei confronti del potere piemontese e agli atteggiamenti di sapore autonomistico. Ma il primo gesto forte e in buona sostanza di rottura consiste proprio, come detto, nell’aver scelto di assegnare il ruolo centrale nel racconto a un uomo inviso al potere sabaudo, colpevole di alto tradimento e perciò condannato con sentenza di morte poi commutata nel carcere a vita. Neppure la concessione della grazia aveva modificato l’opinione sulla pericolosità del soggetto, tanto è vero che non gli fu concesso di ritornare nella sua città ma venne inviato in esilio nell’isola della Maddalena. Né varrebbe obiettare che dal momento della morte del Sulis, avvenuta nel 1834, alla pubblicazione del bozzetto storico erano trascorsi quasi quattro decenni: continuiamo a tener presenti le date e, congiuntamente, un poco noto ma essenziale gioco intertestuale. Tre anni dopo la pubblicazione del Vincenzo Sulis concludeva la sua esistenza terrena Pasquale Tola, lo storico che aveva propiziato la stesura dell’autobiografia del capopopolo cagliaritano, aveva ricevuto le carte speditegli dal Sulis mano a mano che le scriveva negli anni 1832-1833, le aveva custodite per tutta la vita, anche utilizzandole nella compilazione del Dizionario bio- Introduzione LV grafico degli uomini illustri di Sardegna, senza mai dichiararne il possesso, come spiega in una nota del 1839: “Questo motivo, che facea della libertà, e dei sensi liberali un delitto ai giovani generosi; e più ancora il triste caso del mio amato fratello Efisio, che nel 1833 fu vittima cruenta del suo amore per la libertà, e fu immolato (vero assassinio legale!) sotto un Re, che per primo avea dato egli stesso alla gioventù l’esempio nel campo della libertà, mi fecero vieppiù tenace nel custodire non solo, ma nel non palesare ad alcuno, che il MS autografo del Sulis era in mio potere. E spinsi il silenzio fino al punto, che nel 1838, quando pubblicai il 3° Volume del mio Dizionario Biografico degli Uomini Illustri di Sardegna, in una nota all’articolo di Vincenzo Sulis, dissi bensì di aver consultato la sua Vita autografa, ma mi guardai bene dal dire, che io la possedevo”86. L’insigne storico, dunque, non solo non pubblicò, ma neppure dichiarò di avere in casa quella vita autografa di Vincenzo Sulis che rimase inedita fino al 1964 quando fu data alle stampe in un’edizione segnata da gravi limiti, per essere poi riproposta da chi scrive nel 1994, centosessanta anni dopo la morte dell’autore. Del quale autore si sarebbero forse perse le tracce, e comunque avremmo avuto minore e ben differente notizia, se il Tola non avesse compilato la nota del suo Dizionario biografico seguendo il manoscritto autografo che il vecchio capopopolo gli aveva inviato in “cinque fascicoli, o quaderni”, mano a mano che li scriveva e cioè nel corso degli anni 1832 e 1833. Ebbene, da quel testo del Tola il racconto di Antonio Baccaredda in 86 V. SULIS, Autobiografia, a cura di G. Marci, Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi / Cuec, 2004, pp. 3-4. Nel passo in cui tratta delle offerte rivolte al Sulis dalla Francia, il Tola aggiunge una nota che così inizia: “Nella vita del Sulis, scritta da lui medesimo, e da noi esaminata nel suo autografo, è raccontato con molti particolari questo fatto, il quale onora grandemente la di lui fedeltà” (P. TOLA, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, cit., vol. III, p. 244). LVI GIUSEPPE MARCI larga misura dipende87, lo cita con espliciti rimandi in nota e ne accoglie anche alcuni “errori”, quale, ad esempio, quello relativo alla data di nascita che il Sulis retrodata dal 1758 al 1746 con l’intento di conferire maggiore venerabilità alla figura di chi in tardissima età racconta la propria storia. Ma, soprattutto, il romanziere accoglie il punto di vista dello storico che così apre la voce del Dizionario biografico: “Sulis Vincenzo, uomo popolare, rendutosi famoso pel suo potere negli affari pubblici dell’isola negli ultimi anni del secolo scorso, e poi caduto in un tratto dal sommo della fortuna in istato miserevole di lunghissima sventura. La sua vita fu veramente singolare e quasi meravigliosa”88. Ce n’è più che a sufficienza per accendere la fantasia di uno scrittore, tanto più che il racconto di quella vita “singolare e quasi meravigliosa” ha, nella parte sostanziale, il valore aggiunto dell’autenticità, come già sapeva Pasquale Tola89 e come poi hanno confermato, al di là di ogni ragionevole dubbio, le ricerche storiografiche novecentesche, a cominciare da quelle, scrupolosissime, di Francesco Loddo Canepa90. 87 Ma va anche segnalato almeno un episodio, quello dei pescatori che, all’arrivo del re a Cagliari, “si accinsero a trascinare, a luogo dei cavalli, il cocchio che doveva condurre alla reggia gli augusti coniugi; ma il re nol consentiva, sdegnoso che un tributo di devozione e di amore, tornasse a disdoro dell’umana dignità”. Tale episodio, presente nell’Autobiografia, non è riportato nella nota del Tola. Il Baccaredda può averlo ripreso da altra fonte; senza escludere, ma è mera ipotesi teorica, che possa aver consultato direttamente le carte autografe del Sulis, per concessione dello storico da cui erano custodite. 88 Ivi, p. 241. 89 “In questa vita medesima, nella quale il Sulis racconta con molta sincerità le proprie azioni, e buone e malvage, sono contenute molte altre notizie che spargono assai luce sugli avvenimenti pubblici di Sardegna, dal 1792 fino al 1799” (ivi, p. 244). 90 Cfr., in particolare, F. LODDO CANEPA, Vincenzo Sulis nel suo processo e nella sua prigionia. La congiura cagliaritana del 1799, in “Il Nuraghe”, VII, nn. 7, 8, 11 e 12, 1929. Introduzione LVII Una linea diretta, quindi, collega il testo autobiografico e il bozzetto storico attraverso la mediazione del Tola il quale non si limita a rendere pubbliche le informazioni contenute nel manoscritto ma aggiunge parole di commento, fornisce una chiave interpretativa del personaggio, ne esalta l’aspetto morale. In tal modo, per ovvi motivi di prudenza, sottace le considerazioni che si sarebbero dovute fare con riferimento alla situazione politica descrivendo i comportamenti tenuti dall’ambiente di corte, dal duca d’Aosta e dallo stesso sovrano nella gestione di quel delicato passaggio che anche riguarda Vincenzo Sulis e la sua rovinosa uscita dalla scena pubblica ma che, più ampiamente, ha rappresentato l’avvio del processo di Restaurazione in Sardegna, circa quindici anni prima che il Congresso di Vienna stabilisse analoga sorte per l’intera Europa: “Inesperto ed in felicissimo uomo!... Nell’innocenza propria ei fidava, e non sapea, che vittima dei ribaldi è spesso quaggiù l’innocenza, e che solo e stabilmente deve trionfare nel cielo…”91. In più, egli che lo conobbe personalmente, incontrandolo proprio alla Maddalena92, aggiunge un prezioso ritratto del Sulis nell’isola dove “trasse quietamente il resto dei suoi giorni”: “L’acerbità dei lunghi patimenti sofferti nel carcere nulla gli avevano tolto dell’antica sua sveltezza, nulla dello spirito sempre vivace, non domato dagli anni né dalla sventura. Parlava, con molta precisione e con rara memoria degli accidenti tutti della sua passata vita, e nel 1832 li scriP. TOLA, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, cit., vol. III, p. 245. 92 “Nel gennaio 1829, e nel viaggio, che per la prima volta feci per mare da Porto Torres a Genova sopra una piccola Goletta Corriera, onde poi recarmi a Torino, una forte burrasca di mare costrinse la detta Goletta a riparare per salvezza nell’Isola della Maddalena, dove si fermò in ancoraggio per tre giorni. Sceso a terra, io passai questi tre giorni nell’Isola; e là conobbi, e conversai giornalmente con Vincenzo Sulis, che vi era confinato” (V. SULIS, Autobiografia, cit., p. 3). 91 LVIII GIUSEPPE MARCI veva di proprio pugno, acciò non perissero nella ricordanza della posterità. Negli anni della sua relegazione si diede intieramente alle pratiche religiose ed alle opere di pietà; e nel 13 febbraio 1834 cessò di vivere nella suddetta isola della Maddalena, lasciando di sé tal nome, che nella sarda istoria sarà più singolare che raro”93. Certo questa immagine, pacificata e pietosa, contrasta non poco con la fiera e, se così possiamo dire, vendicativa religiosità da Antico Testamento che l’autobiografo professa nelle ultime righe dell’Autobiografia, là dove conclusivamente prorompe: “ma il Signore Iddio per vieppiù confondere li supermi, invidiosi, e maligni, hà permesso che io ancora sia vivo dopo d’aver conosciuto la dinastia di 6 Regnanti, e tutti loro con il seguito di tutti li calunniatori, Emuli, ed inimici son tutti tutti trapassati a peggior vita, poiché stà scritto chi mal vive, mal deve morire, e morendo male vi è la perdizione eterna”94. Ma altra cosa è un racconto autobiografico, quando colui che dice io sa di trovarsi al cospetto della storia e traccia le linee della propria immagine pubblica, altro è un’esistenza privata che si consuma nella solitudine dell’esilio. E, del resto, non c’è alcun motivo per dubitare della testimonianza del Tola, così come, con totale evidenza, possiamo cogliere nelle parole dello storico la fonte da cui trae spunto il Baccaredda per delineare il personaggio descritto nella fase finale del bozzetto storico, anche ideando la patetica scena della riconciliazione col cognato traditore che appare come elemento di forte distacco rispetto al racconto autobiografico. O piuttosto di sviluppo, perché a ben riflettere, tutti i possibili spunti di una svolta sentimentale e larmoyant sono P. TOLA, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, cit., vol. III, p. 246. 94 V. SULIS, Autobiografia, cit., p. 182. 93 Introduzione LIX già presenti nell’Autobiografia dove pure il protagonista una volta si ricrede sul medesimo cognato corso, si attribuisce la responsabilità del grave dissenso dal quale erano divisi, lo perdona, lo ringrazia per ciò che sta facendo in suo favore, gli promette d’essere in futuro riconoscente. Il Sulis non poteva aver letto Le mie prigioni che invece compaiono per esplicita citazione nell’opera del Baccaredda: tuttavia non si potrà negare che nel gran caleidoscopio dell’Autobiografia, accanto ai momenti eroici, della fierezza e della ferocia, della vis polemica, dell’invettiva e dell’anatema, anche convivano toni sentimentali e pacificati, situazioni che possono evocare il clima dei rapporti fra il carcerato e il vecchio carceriere Schiller. Questi toni il Baccaredda sceglie di esaltare affidando ad essi la funzione di rappresentatività letteraria in un bozzetto storico – un’opera, cioè, ascrivibile ad un genere diffuso nella seconda metà dell’Ottocento e che si propone di descrivere, dal vero e con brevità, scene, ambienti, tipi umani – per altro programmaticamente “inteso a nutricar la fama di un grande patriota”. Dichiarazione da accostare a quella del Manno che, lo abbiamo già ricordato, compare nel frontespizio del romanzo Angelica: “Io vorrei poter qui colorire un abbozzo del carattere della popolazione sarda, e onorare ciò che è di più onorevole nella mia patria”. La patria sarda, beninteso, alla quale anche il Baccaredda, come molti altri scrittori isolani, intende con la sua opera letteraria offrire un risarcimento, come dice in una lettera datata da Firenze e indirizzata a Giovanni Siotto-Pintor cui il volume è dedicato: “Se del Sulis poi non racconto tutto ciò che si riferisce alla sua vita privata, egli è che le storie, scritte sempre sotto le preoccupazioni politiche, non offrono d’ordinario che un arido tessuto di avvenimenti pubblici, sdegnose di penetrare a loro volta nella famiglia, e ricercarvi quegli aneddoti, che modesti finché si vuole, forse più dei fatti di piazza valgono talvolta a disegnare la fisionomia LX GIUSEPPE MARCI di un popolo, il quale nella giostra perigliosa della politica partigiana spesso si fa aperto come veramente non è. Quanti popoli furono perciò calunniati, quanti altri fatti segno di immeritate lodi? Le storie che si scrissero sulla Sardegna non fanno pur troppo eccezione alla regola; onde il lettore, accontentandosi di quanto gli offro, vedrà talora le lacune colmate da invenzioni, sommesse per altro alle tinte locali, allo spirito dei tempi, all’indole infine di quelle figure storiche che li caratterizzarono; quanto basta, per sentenza di Goethe, un lavoro possa reputarsi storico”. Analizzando bene gli atteggiamenti di Antonio Baccaredda ci sarebbe da parlare non di “distemporamento” ma di precisa collocazione in quel ricco coacervo di tensioni e di progetti letterari che si determinò nel momento del passaggio fra tardo romanticismo e realismo, quando cominciava a delinearsi la suggestione dei colori del vero e, contemporaneamente, si manifestava l’attenzione nei confronti delle caratteristiche storiche, culturali, linguistiche delle parti d’Italia fino a quel momento lontane e divise, ora riunite (anche se con procedure discutibili) a formare lo stato da poco costituito. Nel contesto letterario al quale qui brevemente si allude il Vincenzo Sulis deve essere inserito perché ne possiamo comprendere le generali caratteristiche come pure i particolari riferimenti alle vicende proprie della Sardegna che, per altro, nel momento descritto coincidono con la storia italiana ed europea segnata dalle aspettative di libertà diffuse nell’Europa di fine Settecento, dall’espansione della repubblica francese, dalle imprese napoleoniche, dagli sforzi tesi a ripristinare gli ordinamenti dell’ancien régime. E non sarà senza significato se il gusto per la sperimentazione linguistica che l’opera dimostra non va tanto nella direzione del calco dalla lingua sarda (comunque presente, nella citazione dei versi di un muttettu – Pepa s’est coiada / Cund’unu stampaxinu – e nella riproposizione di modi di dire prover- Introduzione LXI biali – A passu a passu et pianu / Ti hap’a sighire che boe; / Si non poto sighire hoe, / Ti hap’a sighire manzanu” –: entrambi importanti per la definizione di un colore ambientale ottenuto con delicatezza di tratto), quanto nel gioco con la lingua francese. A dimostrazione della familiarità con quella lingua e con gli uomini che la parlavano, dei rapporti antichi di conoscenza e di scambi commerciali (significativo, sotto questo profilo, il passo che l’Autobiografia del Sulis dedica agli “assegnati”95), dei legami recenti nati per le ragioni della politica, sull’onda delle attese suscitate dalla Rivoluzione, dei contatti, delle lettere, dei dispacci, del materiale propagandistico, degli agenti della repubblica che operavano in Sardegna, dei sardi che frequentavano la Francia e che tra breve l’avrebbero dovuta scegliere quale non casuale luogo di rifugio quando dovettero abbandonare la patria sarda. Ecco, la patria: il lettore attento coglierà la doppia appartenenza che il romanzo rappresenta, quella già ricordata alla madre patria, distante e formale, e quella autentica e propria richiamata dai “ruderi del castello di Santa Gilla, già reggia dei giudici cagliaritani”. A questa patria è dovuta una fedeltà indiscussa, quasi un atto d’amore, mentre l’altra fedeltà, quella nei confronti del sovrano sabaudo, è anch’essa garantita, ma solo perché “i sardi avevano già posto in oblio le offese patenti e diuturne ad essi fatte a nome di quel re medesimo”. E, in ogni caso, “porre in oblio” non significa dimenticare del tutto, se il romanzo conserva puntuale memoria delle sopraffazioni e crudeltà perpetrate da viceré e funzionari quali Giuseppe Maria Montiglio di Villanova e Giacomo Carlo Maria de Asarta, “di cara e soavissima memoria” che ricorsero sistematicamente alle così dette economiche, “certi giudizi improvvisi, statari, inappellabili, nei 95 Cfr. V. SULIS, Autobiografia, cit., pp. 42-44. LXII GIUSEPPE MARCI quali si faceva economia di tutto, di tempo, di giustizia, di umanità, tranne che di corda”. Lo stesso Carlo Felice, che regnò dal 1821 al 1831 ma che dal 1799 era stato viceré, dovette risultare indimenticabile per il Regno di Sardegna, se ancora quarant’anni dopo la morte si poteva dire di lui: “era un povero mortale, nato per stare alla coda, non alla testa degli uomini; un essere che avendo le abitudini di un ruminante, del ruminante avea pure la mente ed il carattere, con tuttoché un animo retto avesse e così informato a giustizia, che per amore di essa soventi volte commetteva atti, non pure iniqui, ma contrari altresì a giustizia. Fin l’unica virtù sua partecipava della natura mulina. Non è quindi da stupire che egli governasse alla guisa di Claudio, colla mente e la volontà dei suoi consiglieri, che non valevano proprio una patacca”. E con questo si chiude il conto della memoria e dell’oblio anche per quanto concerne i sardi che, attendendosi onore e potere dalla madre patria, trascurarono di servire la patria e furono nemici ai propri conterranei, come la vicenda del Sulis dimostra nel racconto di Antonio Baccaredda che è fedele alla storia e, nei casi in cui manchi la documentazione, colma le lacune con “invenzioni, sommesse per altro alle tinte locali”. Nella medesima maniera si sono condotti altri autori della stessa terra, egualmente spinti dal bisogno di “dare dipinture esatte della vita” in Sardegna, di aiutare il lettore a farsi “un’idea chiara e distinta della vita di quei tempi”, più o meno lontani, dai quali attinsero fatti e personaggi, una tematica sarda che vollero trattare conoscendo le coeve produzioni italiane ed europee e senza rinunciare al forte impulso morale che li spingeva a scrivere. In quest’ottica può essere considerato poco importante stabilire se fossero privi “di naturali qualità”, o se piuttosto fossero, come talora collettivamente appaiono, tenaci ricercatori di una Introduzione LXIII modalità narrativa propria che rispondesse all’esigenza interiore dalla quale erano mossi ma avesse anche la capacità di confrontarsi con la generale elaborazione letteraria. Con Antonio Baccaredda il fenomeno lo possiamo osservare come in una sorta di ottocentesco incunabolo. Trascorsi pochi anni sarà la volta di Enrico Costa e poi della sua discepola Grazia Deledda. Un cammino certo non trascurabile, soprattutto se compiuto da “innocenti maniaci della penna” che, effettivamente, sono riusciti nell’intento di dare lustro all’Isola nella quale erano nati e al popolo cui appartenevano raccontandone, in pagine di romanzi, storia e geografia, costumi tradizionali e modi di essere, visioni del mondo e azioni quotidiane. Anche a guardarlo in un’ottica esclusivamente letteraria può essere ritenuto un buon risultato. Giuseppe Marci NOTIZIA BIO-BIBLIOGRAFICA Antonio Baccaredda nacque a Cagliari il 2 dicembre 1824. Fratello di Efisio (1818-1894), autore di Cagliari ai miei tempi (1884) sotto lo pseudonimo di Emilio Bonfis, e quindi zio del più celebre Ottone (1849-1921), che appunto era figlio di Efisio, entrò nell’amministrazione delle dogane e vi intraprese una brillante carriera, divenendo Funzionario Superiore del Ministero delle Finanze. Per ragioni lavorative, lasciò la Sardegna e visse in varie città della penisola, coltivando il proprio interesse per la letteratura. Fu autore di opere drammatiche, quali I misteri e un giuramento, pubblicato a Genova nel 1847, e Il mago, un melodramma in tre atti, del 1850. Attestato da un articolo pubblicato sul numero 49 dell’“Indicatore sardo” (1850), ma non reperibile, è, inoltre, il dramma Marina Cera, ispirato a una reale vicenda giudiziaria svoltasi a Sassari. Il Baccaredda coltivò anche il genere narrativo, pubblicando romanzi e racconti: Angelica (Torino, 1862), Paolina (Genova, 1869), Il bene dal male (Firenze, 1871), Sull’orlo dell’abisso (Roma, 1881) e Nuvoloni: novelle, parabole e pensieri diversi (Roma, 1887). Si dedicò inoltre ad opere di carattere storico-politico, quali Pier Maria: scene storiche del secolo XVIII (Cagliari, 1848) e il più composito Religione e politica: etiologia dei costumi, pubblicato nel 1903 a Napoli, città, quest’ultima, nella quale morì nel luglio del 1908. In un articolo commemorativo, pubblicato da “L’Unione sarda”, viene ricordato come “gentiluomo di squisita bontà, cittadino di adamantina virtù”, parole queste adottate per definirlo, in una lettera privata, dall’amico Giovanni Siotto-Pintor, al quale il Baccaredda aveva dedicato, nel 1871, l’opera Vincenzo Sulis. Bozzetto storico. La sua figura eclettica, l’apertura alle correnti nazionali ed LXVI Notizia bio-bibliografica internazionali sono sottolineate da Egidio Pilia che, nei numeri 26, 36 e 38 (1925-26) della rivista letteraria “Il Nuraghe”, rivela l’esistenza di un romanzo inedito dal titolo Il ragno e la mosca e la pubblicazione di alcuni testi oggi però irreperibili: un’opera di narrativa, La crestaia. Storia domestica (1864) e due di carattere saggistico, Monografia sulla musica (1870) e Sull’individualismo (1874)1. Simona Serra Del Baccaredda, il Pilia si occupa anche in La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella, Cagliari, Il Nuraghe, 1926. Cfr. inoltre: P. CADEDDU, Al chiarissimo giovine cagliaritano Antonio Bacaredda: autore dei due drammi Marito e giudice - Non aprite al sacrilego, rappresentati in Cagliari 1851, Cagliari, Tipografia Nazionale, s.a.; R. CIASCA, Bibliografia sarda, Roma, Collezione Meridionale Editrice, 1931-34, vol. I, pp. 114-115, nn. 1085-1095; F. ALZIATOR, Storia della letteratura di Sardegna, Cagliari, Edizioni Della Zattera, 1954, pp. 382, 413; R. BONU, Scrittori sardi, Sassari, Gallizzi, 1961, vol. II, pp. 750-751; ISTITUTO EDITORIALE BIBLIOGRAFICO SARDO, Catalogo storico ragionato degli scrittori sardi dal IV al XX secolo, Cagliari, Diellessepì, 1977, scheda n. 131; L. SPANU, Dizionario biografico di cagliaritani, Cagliari, Tea, 1984, s.v.; G. MARCI, Antonio Bacaredda tra romanzo storico e romanzo di costume, “La grotta della vipera”, XVI, 52-53, 1990, pp. 28-35; G. MARCI, Romanzo storico romanzo di costume nell’ultimo Ottocento: il caso di Antonio Bacaredda, in U. COLLU (a cura di), Grazia Deledda nella cultura contemporanea. Atti del seminario di studi (Nuoro, 1986), Cagliari, Stef, 1992, pp. 179-196; F. FLORIS, Bibliografia storica della Sardegna, Cagliari, Della Torre, 2001, I, s.v. 1 NOTA AL TESTO La presente edizione è condotta su quella del 1871, pubblicata a Cagliari dalla Tipografia Editrice dell’Avvenire di Sardegna (in seguito As). Sono state conservate alcune caratteristiche del testo originale e in particolare: - l’uso della -ii per il plurale in proprii; - le oscillazioni: avea, aveva; captività, cattività; cotesto, codesto; escito, uscito; facea, faceva; istesso, stesso; marinaio, marinaro; messaggiere, messaggiero; nonostante, non ostante; patriotta, patriota; pro, pro’, prò; stromenti, strumenti; tono, tuono; etc.; - alcune forme ortografiche desuete: abborrire, altiero, cotidiano, desso, fisonomia, fraticida, instituirsi, iscacciare, isdegno, ito, messaggiero, ned, palagio, parcità, parmi, profferire, pronunziare, remigando, riescire, sabbato, sacrifizio, seco, sendo, tai, teco, etc.; - la |j| quale semiconsonante: ajutiamo, bajadera, bajonette, barcajolo, buje, cojetto, jattura, muojono, pajono, Sajano, soja, strettoja, etc.; - l’uso del corsivo per segnalare parole straniere o citazioni letterarie e storiche in lingua italiana; - la lettera minuscola che talvolta compare dopo i punti esclamativo e interrogativo. Si è invece preferito: - trasformare, secondo l’uso corrente, in acuto l’accento che era segnato grave in allorché, anziché, ché, comeché, contuttoché, dacché, dié, essendoché, finché, giacché, né, perché, poiché, poté, sé, sicché, tuttoché, etc.; - adottare forme non accentate: balia per balìa, compito per còmpito, contrari per contrarî, era per êra, qui in luogo di LXVIII - - - Nota al testo quì; rovinio per rovinìo; subito per sùbito; accentate: dì per di’, sì in luogo dell’uso oscillante con si; eliminare ï in Baïlle ed ë in Goëthe; uniformare il numero oscillante dei punti usati per indicare la sospensione del discorso con i canonici …; correggere refusi evidenti, quali: avvesse per avesse, borea per boria, collo per colla, Cromwel per Cromwell, derière per derrière, forastiera per forestiera, gli per li, livello per libello, macchiavellici per machiavellici, Moor per More, ommettendo per omettendo, ripostate per riportate, Sajano per Seiano, Schmitt per Schmidt, etc; uniformare l’uso oscillante di D., d., per abbreviare don, adottando la minuscola; di La-Planargia, La Planargia, scegliendo quest’ultima forma; aggiungere o eliminare taluni trattini d’apertura o chiusura del discorso diretto; eliminare il corsivo nella toponomastica; lasciare incomplete le indicazioni bibliografiche delle note dell’Autore, conservandone anche le infedeltà nelle citazioni, come ad esempio ribellione in luogo di rivolta nella nota (1); inserire, nelle note dell’Autore, fra virgolette il testo delle citazioni segnato in corsivo. Sono state altresì integrate le indicazioni fornite dall’Autore nell’errata corrige. I numeri segnati in grassetto fra parentesi tonde e inseriti nella linea indicano le note compilate dall’Autore. Abbiamo distinto con i numeri arabi e romani segnati in apice le nostre note apposte, rispettivamente, al testo e alle note del Baccaredda. Simona Pilia VI NCENZO S UL IS BOZZETTO STORICO DI ANTONIO BACCAREDDA AL CHIARISSIMO GIOVANNI SIOTTO-PINTOR1 SENATORE DEL REGNO SOCIO DELL’ACCADEMIA AGRARIA ED ECONOMICA DI CAGLIARI DELLE SCIENZE DI TORINO DELLA TIBERINA DI ROMA DELLE SCIENZE DI MARSIGLIA DELLA FLORIMONTANA DEGLI INVOGLIATI DI MONTELEONE DELLA SOCIETÀ EMANCIPATRICE DEL SACERDOZIO ITALIANO DI NAPOLI DI QUELLA DI UGO FOSCOLO DI VENEZIA DELL’ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE E ARTI DI MODENA, ECC. 1 Giovanni Siotto Pintor (1805-1882), magistrato della Reale Udienza, senatore al Parlamento di Torino, concluse la carriera come presidente di sezione della Corte di Cassazione; fu uno dei maggiori promotori della perfetta fusione con il Piemonte nel 1847; scrisse la Storia letteraria di Sardegna (1843-44). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 7 Una nobile figura di animoso2 cittadino, leggendo la moderna storia di Sardegna, si affacciò mai sempre3 alla mia mente, non così grande nella prosperità come nell’infortunio4; non così inonorata in vita come in morte, eppure tanto degna di essere prodotta ai dì nostri per elevatezza di spirito, interezza di carattere, valore e generosità d’animo. Non eran forse queste le doti di Vincenzo Sulis? Non è forse questa vera gloria? Ecco la ragione che mi confortò a scrivere questo bozzetto storico, inteso a nutricar5 la fama di un grande patriota. Se del Sulis poi non racconto tutto ciò che si riferisce alla sua vita privata, egli è che le storie, scritte sempre sotto le preoccupazioni politiche, non offrono d’ordinario6 che un arido tessuto di avvenimenti pubblici, sdegnose di penetrare a loro volta nella famiglia, e ricercarvi quegli aneddoti, che modesti finché si vuole, forse più dei fatti di piazza valgono talvolta a disegnare la fisonomia7 di un popolo, il quale nella giostra perigliosa8 della politica partigiana spesso si fa aperto come veramente non è. Quanti popoli furono perciò calunniati, quanti altri fatti segno9 di immeritate lodi? Le storie che si scrissero sulla Sardegna non fanno pur troppo eccezione alla regola; onde il lettore, accontentandosi di quanto gli offro, vedrà talora le lacune colmate da invenzioni, sommesse10 per altro alle tinte locali, allo spirito dei tempi, all’indole infine di quelle figure storiche che li caratterizzarono; quanto basta, per sentenza di Goethe11, perché un lavoro12 possa reputarsi storico. 2 Coraggioso. Formula obsoleta di basso uso per il rafforzativo di sempre. 4 Nella sventura. 5 Alimentare. 6 Di consueto. 7 Arcaismo per fisionomia. 8 Pericolosa. 9 Resi oggetto. 10 Per sottomesse. 11 Probabilmente si riferisce al passo dello scrittore e poeta tedesco Johann Wolfgang Goethe (1749-1832): “Sommamente eccitante è per lo storico il punto nel quale storia e leggenda sconfinano l’una nell’altra. Di solito è il più bello di tutta la tradizione” (J. W. GOETHE, Massime, Roma, TEN, 1994, p. 85). 12 perché un lavoro per un lavoro come richiesto dall’errata corrige. 3 8 ANTONIO BACCAREDDA Penso non pertanto che Ella, cultore così privilegiato e chiaro di cose letterarie, ravviserà questo mio bozzetto-storico, che ho l’onore d’intitolarle, condotto con iscarso corredo di giudizi, con manchevole vigore di colorito, con nessuna floridezza di stile; né me ne attendo lode per questo; l’indulgenza soltanto, questa, che mai non si scompagna da coloro che in valore letterario vanno di pari alla S. V. Ill.ma, io me la prometto tutta, non foss’altro, per aver tentato di propiziare, a onore di un grande e disfortunato13 cittadino, la religione dei sepolcri, e medesimamente di rinverdire la memoria di cui gli fu maestro e guida, l’illustre antenato di V. S. Ill.ma, il cavaliere Efisio Luigi Pintor, il quale con l’opra del senno e della mano ebbe tanta e sì gloriosa parte nella sarda istoria, sebbene temente di cansare14 un gran danno, altro e non meno funesto ne cagionasse alla Sardegna15. ANTONIO BACCAREDDA Firenze, 12 maggio 1870. 13 Sfortunato. Evitare, scansare. 15 Efisio Luigi Pintor Sirigu (1766-1814), avvocato, ambigua personalità politica: fu prima fautore dell’Angioy divenendone poi oppositore, scagliandosi crudelmente e con estrema ferocia contro i suoi seguaci. Poetò in italiano, latino e sardo, con venature spesso sarcastiche. Più volte, nel testo, Baccaredda sottolinea la scorrettezza politica e umana del Pintor. 14 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 9 I. Nell’epoca memorabile, in cui ad ogni buon cittadino francese occorreva soltanto pane, virtù e salnitro; in cui il ferale16 strumento, pensato da Guillotin e realizzato da Schmidt17, veniva salutato come il vessillo18 della civiltà, e i repubblicani di Francia ai popoli attoniti insegnavano la libertà a colpi di cannone, in quell’epoca e più precisamente quando la repubblica dittatoriale era nella incubazione della repubblica consolare, due forestieri tre ore dopo il meriggio19 di un bel giorno di febbraio perlustravano con un certo interesse le più popolose vie di Cagliari. Di costoro forestiere veramente non era che un solo, l’altro appartenendo ad una delle province dell’Italia continentale; e questo per parlare con rigore geografico, potendo altrimenti dirsi forestiere ogni italiano che muti di provincia. L’uno di essi, che era francese, fermatosi a guardare l’antica torre dell’Aquila20, esclamò sorridendo: – Certainement questa è una città alla rococò; mais la vedrete mutare per incanto sotto la gran repubblica21. – Nessuno può niegarvi22 il vanto di saper trasformare ogni cosa – rispose l’altro dirigendosi verso il bastione di S. Remigio23. 16 Funesto, annunciatore di morte. As Schmitt. Il riferimento è alla ghigliottina, macchina per le esecuzioni capitali adottata in Francia a partire dal 1793, dietro proposta del dottor Guillotin, che con la rapidità della decapitazione mirava a lenire le sofferenze dei condannati a morte. L’esecuzione materiale del progetto fu curata da Tobias Schmidt, falegname tedesco, fabbricante di arpe. 18 Emblema. 19 Mezzogiorno. Sono quindi le tre del pomeriggio. 20 La torre dell’Aquila – cosiddetta per la scultura del rapace nell’arcata della porta sottostante – è incorporata nel lato sinistro del palazzo Boyl: “Questa torre aveva la stessa architettura ed elevazione delle altre due, dell’Elefante e di san Pancrazio, ma fu distrutta la sommità nell’assedio del 1717 dalle palle spagnuole, per cui non vi è da dubitare che l’architetto ne fosse lo stesso Giovanni Capula” (G. SPANO, Guida della città di Cagliari, Cagliari, Timon, 1861, oggi in ed. anastatica, Cagliari, Gia, 1991, n. 2, p. 25). 21 Ovviamente si riferisce alla Francia. 22 Arcaismo per negarvi. 23 Dedicato al primo Viceré piemontese, il barone di Saint Remy, il bastione – cui si accede attraverso una gradinata di 170 scalini dalla piazza Costituzione – fu edi17 10 ANTONIO BACCAREDDA – È poi singolare e ridicolo – riprese a dire il francese – che in questa città, dove vi ha secondo voi tanti gelosi, vi sieno così poche gelosie24! L’altro rise smascellatamente, e quando poté aver la parola proseguì a dire: – Bravo, benone! Con una dozzina di codesti concettini riescirete benissimo a fare l’ideato profilo storico-sociale sulla Sardegna. – Amico cittadino, non bisogna genarsi25. Va bene che quand on court après l’esprit on attrape la sottise26, mais chi fa ridere fa credere. Che importa se si pigliano dei granciporri27! Gli italiani divorano sempre la lettura dei loro libelli28; ed io voglio che mi si legga, e che si parli di me. I curiosi e originali rimarchi29 che ho fatto visitando l’interno dell’isola! Oh ne ho proprio un corbello30 pieno! L’altro ascoltava con tanto d’orecchi. – Vedrete che in questa mia brochure io rappresenterò l’asino e il porco – soggiunse il forastiero – come i Dei penati31 dei sardi. Proprio étonnant32 che i sardi per innalzare l’ospitalità a religione, abbiano fatto l’apoteosi dei loro... Eh pas mal, pas mal33! – s’interruppe avvicinandosi alla spalletta34 del bastione che guarda a levante, e ammirato dal pittoresco quadro che gli si offerse alla vista:35 – Peccato che quest’isola non sia francese! ficato nell’Ottocento unendo il quartiere di Castello a quelli sottostanti di Marina e Villanova. 24 Il Francese gioca sul doppio significato della parola gelosia usata ironicamente nell’accezione di persiana. 25 Dal francese, per turbarsi. 26 Quando si corre dietro il senso dell’umorismo si acchiappa la battuta di spirito. La frase è tratta da Pensées diverses di Charles de Secondat, barone della Breda e di Montesquieu (1689-1755), scrittore e filosofo francese. 27 Granchi, nel senso metaforico di sviste, errori. 28 Scritti destinati malignamente a screditare qualcuno. 29 Dal francese, per annotazioni. 30 Recipiente di stecche a forma di campana. 31 Divinità protettrici della casa, della patria. 32 Stupefacente. 33 Niente di male. 34 Risalto che fa sponda, parapetto. 35 vista: per vista. come richiesto dall’errata corrige. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 11 – Se saprete fare... – A Sassari trovai36 il terreno molto ben preparato. – Per altro qui vi sarà più difficile di riescire. – Chi sarebbe l’uomo più influente di Cagliari? Ditemelo chiaro perché non vorrei fare nessun passo glissante37. – Don Efisio Pintor, si sa! Quello che mette le mani in ogni intriso38 – soggiunse l’altro, che era uno sfegatato e antico partigiano d’Angioi(1). – Ma come fidarsi di cotesto uomo se ha l’anima fatta come un nodo gordiano39? Se egli si fosse fatto monaco, sarebbe un altro40 Raimondo Lullo(2). (1) “Giammaria Angioi [da Bono], sollevatore nel capo settentrionale dell’isola del vessillo della ribellione contro al feudalesimo, e, ciò che più monta, fautore caloroso di esagerata e dannevole libertà politica” (Pietro Martini, Storia di Sardegna dal 1799 al 1816, pag. 11). L’Angioi voleva una repubblica Sarda, ed agognava ad esserne il doge, Manno, Storia moderna della Sardegna, Firenze, Felice Le Monnier, 1858, pag. 380, 381I. “Angioi [dice Carlo Botta] uomo tanto più vicino alla virtù modesta degli antichi, quanto più lontano dalla virtù vantatrice dei moderni” (Storia d’Italia dal 1794 al 1814, Firenze, 1836, lib. V, p. 72). (2) Filosofo appartenente alla terza età della filosofia scolastica. “Fu soldato, maritato, cortigiano, monaco, mistico, filologo, ecc”, Enciclopedia di Bailly – Corso di scienze storiche – Compendio storico delle scienze filosofiche e morali – Secondo periodo, seconda epoca – pag. 168II. 36 As scrive trovai in corsivo. Falso. 38 Cioè colui che si ingerisce in ogni cosa. 39 Questione intricata, difficile a sciogliersi se non tagliandola, come fece Alessandro col nodo di Gordio. 40 As un’altro. 37 I “Se Angioi diventava guida alla nazione, egli questa nazione voleva guidarla dove il nome di feudo fosse, non che odioso, impossibile. I caporali suoi non si teneano dell’esser eglino stessi i propalatori del segreto intendimento. E in Sassari e nelle ville dove bazzicavano, erano discorsi più volte sentiti, che la Sardegna avea da reggersi a repubblica; [...] e verrebbero i beati tempi dell’indipendenza sarda, e della sarda repubblica, con Angioi doge, od altrimenti titolato secondo l’uso del tempo; o se sarda non potea essere, sarebbe compenso al nome proprio perduto il diventare frammento francese” (G. MANNO, Storia moderna della Sardegna, Firenze, Le Monnier, 1858, p. 381). II Raimondo Lullo (1235-1316). La fonte di Baccaredda è l’Encyclopédie portative ou Résumé universel des sciences, des lettres et des arts en une collection de traités 12 ANTONIO BACCAREDDA – Ah capisco, un uomo da pot-pourri! – Immaginate! Iniziare e alimentare i torbidi41 nel capo settentrionale dell’isola, attestandosi42 all’Angioi per combattere alla chetichella la reazione a Cagliari, e poi con un voltafaccia da Girondino indettarsi43 cogli stamenti(3) e averne i pieni poteri per pugnare44, e come fece, vincere in campo l’Angioi e i suoi seguaci. Che ne dite? Fare il liberale per istrozzare la rivoluzione e favorire il trionfo della barbarie contro la civiltà, del feudalesimo contro i poveri servi della gleba. O che non vi sembra questo un batter due chiodi a un caldo45? – Parfaitement! Mais ho inteso parlar molto anche di un certo Vincenzo Sulis – riprese a dire il francese, facendo ad arte l’ingenuo – Mi fu detto anzi che egli tripota46 tutti gli affari dello Stato di quest’isola, e che sia il padrone della plebe. Questo è l’uomo che farebbe proprio per me. – Peggio che andar di notte47! Costui non conosce che la linea retta48, ed è tutto per la monarchia. In fatto d’onestà politica non ha il compagno; cercherebbe i nodi nel giunco49. L’onestà politica, mi capite? Si può egli fare un connubio50 più osceno e disuguale? (3) “Stati generali di Sardegna”, come li definisce Carlo Botta, op. cit., p. 72. 41 Tumulti, ribellioni. Unendosi. 43 Mettersi d’accordo, accordarsi. I girondini avevano, nel primo periodo della Rivoluzione francese, un programma di tendenza rivoluzionaria e, in seguito, in opposizione sempre più aperta ai giacobini, decisamente moderata. 44 Combattere. 45 Fare due cose in una volta. 46 Dal francese tripoter, manipolare. 47 Locuzione avverbiale per indicare che la situazione non potrebbe essere peggiore. 48 Per correttezza. 49 Cercare difficoltà e difetti dove non ve ne sono. 50 Fusione di elementi contrastanti fra loro. 42 séparés par une société de savans et des gens de lettres, sous les auspices de MM. de Barante, de Blainville, Champollion et al. et sous la diréction de M. C. Bailly de Merlieux, Paris, 1825-30. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 13 – Vengo51 di essere assicurato che Vincenzo Sulis nel tempo della sua prima giovinezza fosse un piccolo fripone52. – Sì, ma ora è tutt’altro da quello che egli era una volta. – Eh, mon cher, io ho letto i Saggi di Montaigne, e so che l’uomo nel corso della sua vita non è mai eguale a sé stesso(4)! Mentre i due interlocutori così discorrevano, un uomo di cinquant’anni circa, elegantemente vestito, di aspetto altero e risoluto, passò ad essi vicino. – Osservate – disse piano l’altro al francese – costui è per l’appunto Vincenzo Sulis. – Sta bene; ed è quella là la sua abitazione? – No, egli entrò in casa dell’onnipotente d. Efisio Pintor, suo maestro e donno53(5). Secondo il solito di tutte le sere, egli si reca alla conversazione che vi si tiene per dire anche la sua. Colà si librano i destini del regno da pochi mestatori54, come sarebbe a dire, dai marchesi di S. Filippo e di Sant’Orsola55, dal canonico (4) Dell’incostanza delle nostre azioni – Saggi di Michele MontaigneIII, Lib. II, Cap. I, pag. 113. (5) Siotto-Pintor afferma che Efisio Luigi Pintor “tenesse ai suoi voleri e dirigesse le opere del manesco notaio Vincenzo Sulis”, Storia della vita di Giuseppe Manno, pag. 45IV. 51 Costruzione del francese per sono stato appena. Dal francese fripon, malandrino. 53 Dal latino dominus, signore, padrone. 54 Lì i destini del regno sono vagliati da pochi trafficoni, sobillatori. 55 Il titolo di marchese di san Filippo fu concesso da Filippo V di Spagna a Vincenzo Bacallar, passando poi, nel 1739, agli Amat. I Cugia, famiglia sassarese, 52 III “Mutiamo un istante dopo ciò che abbiamo deciso in questo istante, per tornare immediatamente sui nostri passi; oscillazione ed incostanza ci sono proprie” (M. MONTAIGNE, Saggi, libro II, cap. I). Il filosofo francese Michel de Montaigne (1533-1592) compose l’opera, Essais, nell’arco dell’intera sua vita. IV “Ma Efisio Luigi Pintor la cui tentata cattura, una colla eseguita prigionia del suocero suo Vincenzo Cabras e del fratello Bernardo, aveva cagionato lo scoppio immediato della rivoluzione, se prima tenne a’ suoi voleri e diresse le opere del manesco notaio Vincenzo Sulis, e se contro la reazione del Pitzolo e del La Planargia adoperò ogni sua possa insieme coll’Angioi, come poi vide che la rivoluzione passava lo scopo e che la vittoria incominciava a essere ingiusta e temeraria, ostò virilmente a che essa straboccasse” (G. SIOTTO-PINTOR, Storia della vita di Giuseppe Manno, Torino, Bellardi, Appiotti e Giorsini, 1869, p. 45). 14 ANTONIO BACCAREDDA Pier Maria Sisternes, dall’avvocato Cabras56 e dall’uomo che avete visto poc’anzi. Si capisce senza dirlo che il primo barbassoro57 è il padrone di casa. Il referendario58 delle cose e degli uomini politici di Cagliari si era apposto, enumerando le persone che si trovavano convenute presso d. Efisio Pintor; e poiché siamo a portata di udire la loro conversazione, lasciamo andare pei fatti loro i nostri due solerti esploratori. In un’ampia sala riccamente arredata se ne stavano assisi presso al camino i personaggi dianzi nominati. Sorbivano con gran sussiego il caffè, e in uno discorrevano a voce alquanto rimessa59, sebbene l’argomento in soggetto fosse assai vivo e interessante. A destra, vicino al Pintor, stava Vincenzo Sulis, che ne era proprio la destra mano; a sinistra un tavolo coperto da elegante tappeto, su cui un candelabro acceso, parecchie carte manoscritte gettate a catafascio con giornali, stampe, ecc. – Oh che affari son questi! – esclamò il Cabras. – È come ve lo dico, signori miei – saltò a dire il padron di casa – il Direttorio60 è finalmente riescito nel suo intento nobilissimo. Il re ha già abdicato, ed è partito da Torino per recarsi a Firenze, dove forse sarà già arrivato a quest’ora. – Sembrano cose impossibili! – disse con stupore il marchese di S. Filippo. – Se la Francia tutte le volte che si commuove non adoprasse acquisirono il titolo nobiliare di marchesi di sant’Orsola nel 1716 (cfr. F. C. CASULA, Dizionario di Storia Sarda, Sassari, Carlo Delfino, 2001, rispettivamente p. 1340 e p. 496). 56 Pietro Maria Sisternes de Oblites, in un primo momento fu sostenitore del movimento democratico, poi, con non piccola evoluzione, approdò a un ruolo moderato. L’avvocato Vincenzo Cabras, suocero di Efisio Pintor, fu fatto arrestare dal Viceré Balbiano con false accuse di tradimento al governo piemontese: da ciò nacquero i tumulti che portarono alla cacciata dei Piemontesi dalla Sardegna. Provvisto di largo seguito popolare, fu seguace dell’Angioy, ma, dopo l’uccisione del Pitzolo e del La Planargia, se ne staccò e fu nominato reggente dell’Intendenza generale e, dopo l’arrivo dei Savoia, Intendente generale effettivo. 57 Chi si fa credere uomo di grande importanza. 58 Scherzosamente per spia. 59 Debole, con tono basso. 60 Comitato costituito da cinque membri, che esercitò il potere esecutivo in Francia fra il 1795 e il 1799. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 15 i cannoni e non rizzasse i patiboli, davvero che la sarebbe il giullare della politica – interruppe d. Efisio Pintor, il quale era un gallofobo61 per la pelle – Io già è inutile non posso soffrire cotesto popolo turbolento e sbrigliato, che ad ogni ora mette in iscompiglio il mondo non per altro che per delle semplici parole. Da buoni patrioti si fanno sbudellare per la marsigliese, e inneggiano alla patria, muovendo ad assalire e distruggere la patria altrui. Per la libertà che non farebbero essi? Eppure cotesti liberali s’impongono a tutti, costringendo ogni volontà, ogni opinione, ogni coscienza. Vi parlano dei diritti dell’uomo, e colla ghigliottina violano il sommo dei suoi diritti62. Quanto sangue, mio Dio, quanti orrori per sostituire ad uno, tre o cinque tiranni; per cambiare la settimana in decade63, la ragione in un decreto e la libertà in un pilèo64. Belle, belle coteste prodezze(6)! (6) L’indole dei tempi che descrivo mi condusse a porre in bocca dei personaggi di questo mio racconto parole molto acerbe contro i francesi; ma l’animo mio, anche proverbiando gli eccessi di quel popolo nei suoi grandi rivolgimenti politici, sarà sempre per la Francia, e come italiano e come uomo. Alla Francia non può essere contrastata la egemonia della civiltà mondiale; l’azione civilizzatrice della Germania che le si vuole contrapporre, è centripeta ed egoista, né mai si spande agli Stati finitimi che la circondano. Hegel col suo mondo germanicoV non prova il contrario. Guardatili a traverso il prisma della loro stupenda letteratura certo ei ci sembrano simpatici i tedeschi; ma se questo prisma è la politica, allora l’occhio della mente, educato dalla storia antica, moderna e contemporanea, non può a meno di ravvisarli degni in gran parte della dipintura che dei loro antenati ne ha fatto Strabone, Pomponio Mela e TacitoVI, 61 Chi prova avversione per i Francesi e per ciò che proviene dalla Francia. Si riferisce alla vita stessa. 63 Il mese, generalmente scandito in quattro settimane, fu diviso in tre decadi dai rivoluzionari francesi. 64 Nel mondo greco-romano, copricapo di foggia conica, in feltro o cuoio, spesso fornito di una falda rialzata, in uso presso la gente di condizioni modeste. 62 V Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), filosofo tedesco, scrisse Lezioni sulla storia della filosofia dedicando il libro IV al mondo germanico. VI Strabone (63 a.C.-20 d.C.), storico greco, scrisse la Geografia in 17 libri nei quali descrisse il mondo allora conosciuto. Medesima operazione compì Pomponio Mela (I sec. d.C.), primo geografo latino, con il suo Chorographia. Publio Cornelio Tacito (55-120), storico latino, scrisse la Germania, opera di carattere geografico ed etnografico. 16 ANTONIO BACCAREDDA – Ebbene al nostro re avanza ancora la nostra isola – ripigliò il marchese di S. Filippo – che certo sarà lieta di ospitarlo in tanta sventura. – E ne avremo mercede65 – esclamò un altro – Ei non sarà più esule, e noi cesseremo una buona volta di essergli figliastri. Sì, è un’era novella questa che si apre dinanzi a noi! Carlo Emanuele saprà scegliere i suoi consiglieri; e la nostra condotta, fattasi palese in tempi malagevoli e fortunosi, gli additerà le persone veramente degne della sovrana sua fiducia. – Come corre le poste66 la vostra fantasia! Per carità, signori miei, non ci lasciamo trarre da questa lirica! – esclamò il Pintor – Nessuno meglio di voi sa quanto io abbia operato a favore della dinastia, e contro gli angioini in campo, e contro essi nelle consulte. Potrei senza immodestia vantarmi, che se la Sardegna non è ora francese e repubblicana, lo deve a me ed al mio amico Sulis qui presente; e non pertanto, credete a ciò che io vi dico: il secolo d’oro è ancor ben lungi da noi. – Alla più trista67 – interruppe il Sulis – vedremo pacificata la Sardegna, e spente le fazioni che tuttora la travagliano68. sebbene quest’ultimo lodasse la loro barbarie per far risaltare la corruzione dei civili romani. Allora si ammette che il nome di germano possa ben derivare dalla voce celtica gerra, che suona guerra; allora si riconosce che il loro robusto ingegno, che i loro profondi studi, applicati altresì alla scienza della guerra ed ai suoi strumenti di morte, non giovino ad altro che a decorare la loro barbarie. Per saperli degeneri dei loro avi è forse d’uopo di non veder più sui loro omeri le pelli di belva, od ondeggiar sulla sommità della loro testa la bionda capellatura, che essi vi annodavano in forma di pennacchi per comparire più feroci e terribili? Dovessimo noi italiani essere schiavi della Germania o della Francia, non starei in forse fra i tedeschi e i francesi. Con questi ultimi ci faremmo almeno intendere; coi tedeschi invece non avremmo detto a mezzo le nostre ragioni, che essi ci avrebbero risposto col loro linguaggio di legnate, del quale a nessuno certo accomoda di impararne praticamente e spontaneamente la grammatica. 65 Ricompensa. Andare velocemente da una stazione di posta all’altra, viaggiare rapidamente; nel caso, di chi fa le cose senza la dovuta preparazione o senza pensare. 67 Al peggio. 68 Affliggono. 66 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 17 Pier Maria Sisternes a queste parole del Sulis mosse in giro la sua seggiola, e con occhi scintillanti guardando gli assembrati69: – E saranno vendicati gli infelici Pitzolo e la Planargia(7)! – disse con mal celata ira. – Di ciò mi rendo mallevadore70 io, che conosco ben da vicino il re, il quale mi ascoltò con grandissima deferenza quando il vidi a Torino. – Canonico, siete cristiano via! – prese a dire il Pintor, il solo che potesse permettersi un tale scherzo col Sisternes. – Cristiano sì, ma logico. I partiti, che vogliano vivere, bisogna che a loro volta sappiano sceverare71 i partigiani dagli avversari. Coloro che ci furono amici abbiano il loro guiderdone72; coloro che ci osteggiarono in tutto e con ogni mezzo, anche con l’assassinio, soccombano. È anche principio religioso di non confondere gli egizi e i filistei col popolo eletto, le tribù di Giuda e di Beniamino con le altre infedeli tribù. Non vedete che sanno fare cotesti leali repubblicani? Il console Bonaparte si era arreso a consegnare nelle mani del nostro re a Livorno lo stesso Angioi; e se prima non si opponeva il Saliceti e dopo il Vaubois ed il Belleville, il fedele e ardito fautore di Bonaparte e della repubblica francese sarebbe perito sul patibolo(8). Di questi errori non biso(7) Insigni cittadini, trucidati in Cagliari nei moti del 1795 dalla plebe ingannata ed aizzata dalla vanità offesa di pochi invidiosi. V. Tola, Dizionario biog. degli uomini illustri di Sardegna, articoli La Planargia e Pitzolo – V. anche Manno, op. cit. VII (8) Carlo Botta, op. cit., lib. VII, pag. 120VIII. 69 Coloro che erano lì riuniti. Garante. 71 Distinguere. 72 Contraccambio in denaro. 70 VII L’assassinio dei due viene raccontato dal Manno con profusione di particolari (cfr. G. MANNO, pp. 303-309). E si trova anche in P. TOLA, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, ossia della vita pubblica e privata di tutti i Sardi che si distinsero per opere, azioni, talenti, virtù e delitti, Torino, 1837-38, oggi in ed. anastatica, Bologna, Forni, 1966, alle voci. VIII “Eransi alcuni patriotti sardi, tra i quali il cavaliere Angioi, fuggendo lo sdegno del re, ricoverati a Milano. Comandava Buonaparte, a requisizione del cavalier Borghese, agente del re a Milano, ce fossero dati. Il che avrebbe avuto il suo effetto, se Saliceti ed il comandante di Milano non avessero portato più rispetto alla sventura, che agli ordini del loro generale. Questi medesimi Sardi, essendosi poscia ritirati a Livorno, il re ne faceva novella inchiesta a Buonaparte; ed egli già 18 ANTONIO BACCAREDDA gna commetterne, signori miei, se si vuol essere davvero. Capisco un Marat, un Robespierre73, ma non capisco Bonaparte. – Forse l’Angioi e i suoi fautori74, tenendo per la democrazia, si appoggiavano alla Francia soltanto per avere un sussidio materiale contro il partito conservatore e dominante, non già per altri fini – disse la prima volta il marchese di Sant’Orsola. – Giacobini trincati75 essi erano e non altro! – soggiunse tosto il Sisternes. – Rammentatevi che questo titolo l’ebbero fra noi anche i patrioti leali e amanti dell’ordine e della libertà – replicò il marchese(9). – Sì, ma essi non isparlavano apertamente del re e del regio governo; essi non avevano relazioni clandestine coi repubblicani di Francia; essi non cantavano certe canzoni, colle quali si consacravano i patiboli-lanterne(10); né portavano sul cappello o sul petto le nappette76 tricolori. Pure ammettiamo che lo facessero solo per avere il protettorato della Francia, le truppe ausiliari possono essere utili per loro medesime, ma solo per chi le chiama dannose, perché perdendo rimaniamo disfatti e vincendo restiamo loro prigionieri(11). Coteste sono parole di Nicolò Machiavelli, il principe dei politici! (9) Manno, op. cit., pag. 361IX. (10) Manno, op. cit., pag. 381X. (11) Machiavelli, Il Principe, cap. XIII, pag. 80. 73 Jean Paul Marat (1743-1793), rivoluzionario francese nelle fila dei giacobini contro i girondini. Maximilien Robespierre (1758-1794), politico francese, fu un importante esponente del regime del Terrore. 74 Sostenitori. 75 Furbi. 76 Mazzetto di fili messi per ornamento. aveva ordinato che se gli consegnassero. Ma dimostratasi da Belleville e Vaubois la medesima generosità d’animo di Saliceti e del comandante di Milano, furono salvi” (C. BOTTA, Storia d’Italia dal 1789 al 1814, tomo II, libro VII, Capolago, Tipografia Elvetica, 1837, pp. 86-87). IX “E i realisti, accomunatisi o tolleranti almeno il consorzio degli antichi patrioti, non si differenziarono più da essi; e ai più calorosi fra questi ultimi si diè titolo di giacobini, o pel valore della parola, o perché nelle loro ispirazioni si sentiva un alito francese” (G. MANNO, op. cit., p. 361). X “Si cantava da essi [i caporali di Angioi] liberamente la canzone repubblicana, consagratrice dei patiboli-lanterne” (G. MANNO, op. cit., p. 381). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 19 – Ma non dei moralisti, reverendo – rincalzò d. Efisio Pintor – Via, quando si vince costa assai poco il perdonare! – Nossignore, le sono anzi generosità che costano troppo. – Ed io invece credo che sia più facile di fare una buona azione che un verso latino77; e sì che un verso latino lo sappiamo pur fare anche noi! Il Sisternes, punto sul vivo da queste parole, biascicò il nome d’Orazio78, e di qualche altro camaleonte79 politico, che in mezzo al bisbiglio dei conversanti non arrivò alle orecchie del Pintor, il quale gliele avrebbe riportate80 colla sua naturale dicacità81, però che egli avesse facile, brillante e arguto l’ingegno, il che lo rese celebre come poeta e come magistrato. In questo frattempo vi ebbe chi interloquisse ancora per dimostrare come principale ragione di guarentigia82 l’influenza e l’autorità degli stamenti, conchiudendo83 che quando si hanno di così fatte rappresentanze non si ha mai a patir danno; e dove essi non fossero buoni a patrocinare i proprii diritti con una arma tanto valevole e legittima, si meriterebbero le parole che gli ateniesi solevano indirizzare al liberto84, che facean ridivenire schiavo: Quoniam liber esse nescivisti, estote servus85! Vincenzo Sulis fu il primo a lasciare la conversazione. La notte era alquanto avanzata, ond’egli si avviò a rapidi passi verso la via S. Michele86, ove era la sua abitazione. Nell’atto che stava per porre il piede sulla soglia della sua casa, sita proprio rincontro87 alla chiesa di Sant’Anna88, si avvide che 77 Se il secondo infatti richiede conoscenze specifiche, una buona azione può essere compiuta da chiunque. 78 Pronunciò in modo poco chiaro il nome di Quinto Orazio Flacco (65-8 a.C.), poeta latino, autore delle Odi, che si lasciò per un periodo sedurre dalla causa repubblicana promossa da Bruto. 79 Persona che muta facilmente opinione. L’uso è legato all’omonimo animale che sa mimetizzarsi con l’ambiente circostante cambiando il colore della pelle. 80 As ripostate. 81 Mordacità, maldicenza. 82 Garanzia politica. 83 Concludendo. 84 Schiavo affrancato. 85 Dal momento che ignori di essere libero, sii servo. 86 Oggi via Ospedale, nel quartiere Stampace. 87 Di fronte, dirimpetto. 88 “Questa bellissima Chiesa è stata rifabbricata sull’altra antica di costruzione 20 ANTONIO BACCAREDDA un signore, il quale ne avea seguito le orme da più tempo, si era fermato a pochi passi da lui, in atto di persona che molto si preoccupava dei fatti suoi. Egli stette un po’ di tempo ad osservare, ma poscia89 non badando più che tanto all’incognito, ascese chetamente90 le scale, ponendo per altro mano alle pistole che sempre si avea allato, come doveva in ora e in tempi tanto pericolosi per un suo pari, noto a tutti e inviso ai ribaldi91, da esso lui tenuti sempre a ordine. pisana. Venne principiata nel 27 maggio 1785 [...] e finalmente fu aperta al pubblico nel 25 luglio del seguente anno 1818” (G. SPANO, Guida della città di Cagliari, cit., p. 133). 89 Poi. 90 Pacatamente. 91 Malvisto dai furfanti. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 21 II. Chi è questo Vincenzo Sulis? Nell’isola della Maddalena92, dove ei moriva nel 1834, non sorge un monumento, una lapide che ricordi le sue imprese, non una croce che segnali il luogo in cui riposano le sue ceneri. Carlo Botta non lo menziona nemmeno una volta nella sua lunga storia d’Italia; anzi lo stesso biografo sardo Pietro Martini, non volle dargli ricetto nel panteon93 degli uomini illustri della Sardegna, egli che largì l’immortalità a misura di carbone94 a tanti sardi Pier Soderini95. Oh allora che vale occuparci di costui! Che se ne stia nel suo limbo a dormire in quiete il sonno dei secoli, e non venga a turbare l’opera cotidiana96 degli odierni cronisti e lapidari97, che troppo hanno il cervello alla strettoja98 per celebrare gli immortali che muojono giorno per giorno. Se non è un eroe, che stia sotterra, in compagnia delle talpe e dei lombrichi. Brontoliamogli un requie99, come direbbe Giusti, e che sia finita. Veramente nemmeno io lo dico un eroe, o cortese lettor mio (se t’avrò cortese); ma con tua licenza ne voglio fare e ne farò il protagonista di questo mio bozzetto-storico. Ora per me eroe e protagonista non è già lo stesso; anzi sarebbe molto arduo e pericoloso l’usare promiscuamente100 codeste due parole, che forse nel mercato della pubblica opinione rappresentano la stessa valuta101. 92 Isola del nord Sardegna. Non ebbe accoglienza nel tempio dedicato al culto di tutti gli dei, come nell’antichità classica. 94 Largamente. L’espressione, non popolare, significa misurando all’ingrosso, senza badar troppo per il sottile. 95 In riferimento al personaggio storico Pier Soderini (1452-1522), gonfaloniere di giustizia a vita della repubblica di Firenze, intende parlare di personalità inadeguate alle situazioni o ai ruoli che sono chiamate a ricoprire. 96 Obsoleto per quotidiana. 97 Letteristi, artigiani specializzati nell’incisione delle lapidi. 98 Troppe preoccupazioni. 99 “Brontoliamoci un requie / senza tanti discorsi” (G. GIUSTI, La terra dei morti, vv. 23-24). 100 Indifferentemente, senza distinzione. 101 Hanno lo stesso peso. 93 22 ANTONIO BACCAREDDA L’eroe, per coloro che stanno appunto all’eroe, come Sancio Panza a don Chisciotte102, deve essere un tipo patologico, vago di fare ciò che dai più si abborre, per esempio,103 contrariando l’istinto ed il buon senso, ed immolando ogni cosa a delle fisime senza costrutto104, e a quello che dicesi punto d’onore, che d’onore non ne ha proprio punto105. Un uomo di tal fatta, che tanto più è bravo e ammirando106, quanto più fa con scempiezza stravaganze, spampanate107 e delitti, può somigliar così ad un mulino a vento, come a un cane molosso108. E se pure secondo alcuni più si accosta a Dio (povero Dio!) spesso per me troppo si scosta dall’uomo, dall’uomo che sta fra due, se debba più ammirarlo che abborrirlo. Gli eroi quindi furono molti a computo di storia109; ma la storia deve alla filosofia intiero il suo vassallaggio110, quando ce ne gioviamo come di fanale a dissipare le tenebre dell’avvenire, essendo dessa altrimenti una sequenza di fenomeni e nulla più; e tutti sanno che i fenomeni sono semplici apparenze, o meglio la immanente111 contraddizione del vero. Io non misurerò la grandezza del mio protagonista alla stregua di piazza112, perché questa misura, almeno ogni mezzo secolo, dovrebbe essere riveduta ed emendata dalla fredda ragione, la sola che abbia virtù di correggere le calamitose esorbitanze113 delle passioni. 102 Si tratta dei protagonisti di Don Chisciotte della Mancia (1605-15), opera di Miguel de Cervantes Saavedra (1547-1616), narratore, poeta e commediografo spagnolo. 103 per esempio, per esempio come richiesto dall’errata corrige. 104 Fissazioni prive di fondamento. 105 Locuzione toscana che vale affatto. 106 Ammirevole. 107 Spropositi. 108 Antica razza di cani da guardia, da difesa e da combattimento, molto robusti e forti, originari dell’Epiro, da cui discendono i mastini e, in senso figurato, persona che difende accanitamente le proprie idee, le proprie posizioni. 109 Secondo il calcolo fatto dalla Storia. 110 Rapporto di subordinazione medievale, in base al quale la storia sarebbe sottomessa alla filosofia. 111 Intrinseca. 112 Secondo il metro di giudizio dell’opinione comune. 113 Gli eccessi catastrofici. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 23 Un intiero popolo nel colmo dell’entusiasmo, o i partigiani di una fazione trionfante, possono deporre sulla fronte d’un uomo il serto della rinomanza114, ma ciò non toglie che l’inesorabile verità non trovi in quella fronte istessa un cantuccio da allogarvi115 una nota di biasimo e talora anche di infamia. Vero è che a questa strana confusione di colpe e di virtù, di ragione e di forza, d’onore e di ignominia, che si accetta al presente più che in antico116, senza criterio di scelta o freno di passione, non hanno solo fatalmente contribuito le inconsulte estimazioni del volgo117, ma vi dié lato altresì l’autorità di quei ragguardevoli ingegni che hanno per lunga stagione esercitato sul popolo una morale dittatura. Quando penso ai delitti che si sono magnificati in nome e a onore della virtù, non capisco come vi abbia pure una legge che irroghi118 pene contro il delitto. Epperò a regolare l’uso della parola eroismo, parmi che assai acconciamente119 provvedesse la grammatica niegandole il plurale. Vincenzo Sulis nacque in Cagliari nel 1746120 non da gentile, ma da onesta stirpe. Potremmo bensì vero investirlo di qualche gran titolo di nobiltà in grazia del prode animo suo, a quella guisa121 che se ne degradavano un tempo coloro che dato avevano prova d’animo codardo, come avvenne al signor di Franget122 e ad altri gentiluomini del suo tempo; ma siccome ai giorni che corrono la democrazia prende tutto a rovescio, così per noi non sarà che si dia un nuovo diploma di nobiltà a colui, il quale ben capiva come 114 Corona della fama. Inserirvi. 116 In passato. 117 Popolo, gente comune. 118 Infligga. 119 Opportunamente. 120 In realtà, Vincenzo Sulis nasce nel 1758. La fonte di Baccaredda è il Tola, op. cit., che ha, a sua volta, ripreso la falsa indicazione contenuta nell’Autobiografia del Sulis (V. SULIS, Autobiografia, a cura di G. Marci, Cagliari, Centro di studi filologici sardi/Cuec, 2004, p. 5). 121 Locuzione per come, a modo di. 122 Il Signore di Franget, luogotenente del maresciallo di Chastillon, è citato come esempio di codardia punita con il declassamento dalla nobiltà e l’impossibilità, anche per i discendenti, di portare le armi in M. MONTAIGNE, op. cit., libro I, cap. XV. 115 24 ANTONIO BACCAREDDA una pergamena non possa nobilitare chi è degno di rimanere o di ritornare nel volgo. Ebbe vivace e acuto l’ingegno e con fortuna particolare compì gli studi classici. L’aperto suo carattere e uno spirito altero e indipendente lo resero alquanto insofferente della soggezione paterna, soggezione invero smoderata e tirannica, che il dolore della perdita della madre riescì a rendergli intollerabile; onde nell’età di diciassette anni deliberava di dedicarsi alla vita claustrale123 e di vestir l’abito dei mercedari124. Sebbene questo divisamento125 non recasse ad effetto, ei si tenne più tempo lungi dal tetto paterno, e quindi ebbe a soggiacere alle deplorevoli conseguenze di una vita oziosa e dissipata. Ma il genitore volendo porre un termine a tanto sconcio, e tuttavia abdicando all’autorità propria, pensò sostituirvi quella del governo, il quale non conosce altra panacea126 all’infuori del carcere. Quivi stette il127 Sulis sei mesi, ed uscitone si diede a rifare la vita di prima con qualche variante in peggio, ponendosi alla testa di una mano di facinorosi128 evasi per opera sua dall’istesso carcere. Esercitò con esso loro il contrabbando, allora come ora stimato un pseudo-delitto; e provò così una volta di più, che, eleggendosi quella via, altro egli non fosse che un eroe fallito. Graziato dal governo, il quale all’età sua giovanile attribuiva, più che ad animo pervertito129, tanti e tali trascorsi130, pensò il Sulis di mettersi una buona volta sull’uomo, dandosi al commercio. Poscia s’instituì131 nel notariato, e in capo a pochi anni ottenne il diploma di pubblico notaio e di causidico132, mettendo l’in- 123 Monacale. Il termine deriva dal latino claustrum, nel senso di chiusura, riparo, poi chiostro. 124 L’ordine dei frati mercedari ha sede a Cagliari nel convento annesso alla Basilica di N. S. di Bonaria. 125 Proposito. 126 pa- per pal come richiesto dall’errata corrige. La panacea è il rimedio adatto a risolvere ogni tipo di problema. 127 il per i- come richiesto dall’errata corrige. 128 Ribelli, violenti. 129 Degenerato. 130 Colpe non gravi compiute per inesperienza. 131 Si istruì, si formò. 132 Rappresentante delle parti in giudizio senza essere avvocato. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 25 gegno a cotesta sua professione con quell’indicibile appassionatezza propria del suo carattere ardente. L’ultimo e certo il più efficace deprimente133 del suo animo intrepido e focoso fu il matrimonio; ma in questo nuovo suo stato non avea posto totalmente in obblio le antiche usanze del contrabbandiere, che anzi la moglie, già rassegnata ad accordare la indulgenza plenaria ai traviamenti dello scapolo, dovea ad ogni ora protestare contro le presenti infedeltà del marito. L’adombrava soprattutto il sospetto che egli prediligesse una sua cugina, più che a cugino non convenisse; onde questo esercizio attivo e continuo di gelosia ebbe la malefica virtù di mantenere nel cuore della consorte sempre bambinello l’amore, ed agli occhi di lei sempre giovane il marito, contuttoché egli avesse di già varcato il cinquantesimo anno. La fatalità volle altresì che ella coll’amore di madre non potesse mummificare l’amore di sposa. Oh avesse134 avuto la mandragora la datale virtù135! Non poteva niegarsi, è vero, che le esigenze poco misurate di lei fossero in non piccola parte conseguenza della sua educazione; ma un uomo come il Sulis poteva talora136 giustificarle tutte, però che il prestigio che alla sua persona accresceva la fama delle sue ardite imprese e del suo carattere aperto e cavalleresco, non fosse punto menomato dalle sue qualità esteriori, avendo egli un aspetto assai bello e simpatico, e movenze disinvolte137, e dolce lo sguardo, e affascinante il sorriso, ed espressione lusinghevole e nobile di fisonomia. Tutto calcolato ve ne avea di troppo per una donnetta alla buona quale era la sua moglie; epperò perdoniamo a lei quanto tutto dì138 si perdona a donne di più castigata educazione, e di più elevate aspirazioni. Sopraggiunto il 1793139, da pacifico notaio si tramutò all’improvviso in uno dei più intrepidi capitani a difesa della Sardegna, minacciata dai francesi; e nel successivo anno, col suo coraggio 133 Calmante, attenuante. As avvesse. 135 Si diceva rendesse gravide le donne. 136 talora per talore come richiesto dall’errata corrige. 137 Atteggiamento aggraziato della persona nel muoversi. 138 Locuzione avverbiale obsoleta che vale sempre. 139 Nel 1793 la Sardegna venne attaccata dalla flotta francese generando una resistenza animata, tra gli altri, dal Sulis. 134 26 ANTONIO BACCAREDDA personale, col generoso suo carattere, e più che altro, col magico potere che esercitava sulla moltitudine, ei fece che si compiesse in Cagliari una rivoluzione incruenta contro i piemontesi140. Per lunghi sette anni, in quel quasi sgovernato paese, mettendosi ad ogni ora alla morte, ei fu tribuno, condottiero, dittatore, essendo che influisse sugli stamenti, sul viceré istesso e conducesse a suo placito l’intiero popolo, ammaliato dalla traenza141 irresistibile della sua parola, o meglio, dall’esempio che dava come cittadino valoroso, magnanimo, disinteressato. È memorabile a suo encomio142 la parte da esso lui presa a rendere meno infausti e sanguinosi i casi che tanto afflissero Cagliari nel 6 luglio 1795143. Del suo anticipò, e per molti anni, le paghe alle milizie; ricusò144 generoso lo stipendio, per quei tempi assai lauto, assegnatogli come comandante militare; e con rara modestia e nobile abnegazione, declinò l’onore della medaglia d’oro145 offertagli dal governo in attestato di patria benemerenza(12). Al nostro lettore parrà simpatico un tanto uomo? Io vorrei sperare di sì, dacché non glielo volli appunto rappresentare come un eroe. Si vedrà in seguito se dei suoi falli seppe fare onorevole ammenda. (12) Tola, op. cit., articolo Vincenzo Sulis, vol. IIIXI. 140 Senza spargimento di sangue. È la famosa cacciata dei Piemontesi, celebrata ancora oggi il 28 aprile come Sa die de sa Sardigna. 141 Fascino, capacità di trascinare. 142 A suo plauso, quale merito. 143 È la data dell’uccisione di Girolamo Pitzolo che, nominato Intendente generale, si attirò l’odio dei giacobini finché, durante una sommossa popolare, venne massacrato senza che il Viceré Vivalda intervenisse. 144 Declinò, rifiutò. 145 “Mi volevano condecorare della medaglia d’oro per la buona riuscita della prima mia impresa, e p.r incoragire gli altri a far di meglio se potessero: ma io gli rifiutai l’offerta, dicendo, che ogni fidel sudditto di S. M.tà doveva fare ciò che può per difender la Corona e la Patria, senza nissuna speranza di merito, ma solo p.r obbligo e per dovere, e così che mi seguitassero a comandare, che io ero pronto per servire ed ubbidire” (V. SULIS, op. cit., p. 30). XI “Offertagli per questo fatto [l’aver respinto le flotte francesi] dal viceré Balbiani e dal generale La-Fletcher la medaglia d’onore, la ricusò con bell’atto, dicendo doversi senza premio esporre per la patria ne’ gravi cimenti la vita” (P. TOLA, op. cit., vol. III, p. 243). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 27 A Giovanni di Catignano146, onorato come santo dai cattolici, con cimenti più comportevoli nella espiazione, furono perdonate colpe assai più gravi che non commettesse il Sulis, se egli è vero ciò che del primo ne lasciò scritto un monaco di Vallombrosa. Se egli si riabilitasse (lo so, la è una parola questa che allega i denti147 a coloro che hanno l’orecchio più delicato del cuore, ma tanto la dico) agli occhi degli uomini del suo tempo, lo argomenti il lettore da quanto sto per dire. Era una bella e limpida mattina di maggio del 1797. Vincenzo Sulis insieme alla consorte ed al proprio genitore, vecchio ottuagenario148, e ad un amico di quest’ultimo, traeva sopra una sua barca verso l’Illetta (la maggiore delle isolette dello stagno di Cagliari149) per passarvi lietamente la giornata. Questa isoletta, un tempo delizia dei Consoli e dei Pretori romani in Sardegna, dalle chete acque di quello, che diresti più lago che marame150, è fama che sorgesse incoronata151 di ameni boschetti d’aranci, di rose e di leandri152, e che a questi vagamente si alternassero, e in gran copia, statue e fontane marmoree, e palagi153 e ogni leggiadria di arte, intesa a renderne gradito il soggiorno. Ora travolta in modesta fortuna, la vedi in compagnia delle minori sorelle, mesta e silenziosa, non altro udire che il canto malinconico di qualche pescatore. Pure nella bella stagione, memore quasi degli antichi 146 Giovanni Gualberto Visdomini (985-1073) da Catignano (località abruzzese in provincia di Pescara), visse una gioventù dissoluta fino all’episodio che ne cambiò la vita: un parente assassinò suo fratello. Giovanni giurò vendetta, ma davanti all’omicida, che gli si gettò terrorizzato ai piedi, concesse il perdono e decise di farsi monaco, ritirandosi con pochi seguaci a Vallombrosa e fondandovi il monastero della Congregazione dei Monaci Vallombrosani. Fu canonizzato nel 1193 da papa Celestino III. 147 Produce aspra sensazione ai denti, come mangiare cose agre o sentir stridere dei ferri. 148 Ottantenne. 149 Santa Gilla. 150 Letteralmente deposito di rifiuti; a significare che l’isola si affaccia su acque limpide e non stagnanti. 151 Circondata. 152 Oleandri. 153 Palazzi. 28 ANTONIO BACCAREDDA splendori, adornasi di campestri fiori, e insieme alle dilette sue compagne festeggia la giovinezza del tempo. Sembrano di fatti quelle gentili e simpatiche isolette tante cestelle di fiori che galleggiano sulle acque tranquille per dissipare la mestizia della solitudine che d’ogni intorno le cinge154. Oh in tai giorni par che il cielo si dischiuda sopra quella mia terra nativa, e vi rovesci a dovizia i suoi tesori di luce, di profumi e di voluttà155! Pare che il lieve favonio156 aleggiandoti carezzoso sul viso v’imprima il bacio dell’amore, e te ne mormori all’orecchio la celeste armonia! Così sono potenti coteste ore di obblio d’ogni dolore e di presentimento d’ogni bene, che la vita ti appar tutta come un dolce arco di luce, che sorga dalla culla della tua vita terrena, e s’incurvi sulla culla della tua vita immortale. Ma di questa stagione sono pur troppo numerati i giorni, e al verde tempo succedono ineluttabili157 le inclemenze delle altre stagioni; e allora tutto si muta alla tua vista; quel sorriso di cielo, quell’armonia di suoni e di profumi, non furono che uno spietato e beffardo avviamento alle vere e durevoli sofferenze! – Figlio mio – esclamò il vegliardo con voce fioca158 e commossa, stringendo la mano a Vincenzo Sulis – come sono lieto di passar teco159 questo bel giorno! – Ed io quanto, o padre mio! Così il cielo ce ne consenta ancor molti di questi. – Si fa presto a dirlo; ma quando si è alla mia età, queste speranze riescono sempre magre160. Per altro morrò quando che sia contento, poiché ti lascio all’onore del mondo. Eh! Eh! – soggiunse ridendo e volgendosi tutto tronfio161 verso la nuora – Vincenza mia, che ne dici tu, hai un monello o un uomo per consorte? – Ah il mio Vincenzo so ancor io stimarlo!... – Hai da sapere – interruppe il vecchio montando in gallo154 Allontanare la tristezza della solitudine che le circonda. In abbondanza i suoi tesori di luce, di profumi e di piaceri. 156 Vento caldo di ponente. 157 Inevitabili. 158 Esclamò l’anziano con voce flebile. 159 Locuzione obsoleta e letteraria che vale con te. 160 Esili. 161 Gonfio di superbia. 155 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 29 ria162 – hai da sapere che se io non gli avessi tenuto a modo le briglie, a quest’ora questo spiritello col suo passo di corsa se ne sarebbe ito163 chi sa dove. Puoi niegarmi, o Vincenzo, che tu devi a me la tua presente grandezza? Sono stato rigido, è vero, e te ne ho fatto toccar tante, ma tante, che non te le saprei dire nemmeno io. Il mio amore per te si era convertito quasi in isdegno; ma ciò fu tanto oro164, come vedi! Che importa se per quindici anni ti ho portato il broncio? Quando sei riescito come appunto io ti bramava165, e degno veramente di me e del tuo paese, e allora ho dimenticato ogni cosa, ed ho fatto pace; perché all’uomo che si risolleva da sé, che s’innalza coi propri meriti, bisogna stender subito la mano amichevolmente e dirgli di cuore: buon prò166 ti faccia la tua fortuna! Sulis curvò la testa malinconicamente, perché cotesti discorsi gli riescivano oltremodo penosi e molesti, onde decise di porvi fine con queste parole: – Voi insuperbite, e di che, padre mio? Un poco di fortuna, ecco la mia vantata grandezza, ecco la mia gloria! Tutto sta nel riescire. Quante volte non avrete visto nelle nostre feste popolari che gli applausi sono tutti e unanimi per quello fra i monelli che giunse in vetta al pennone e che pose mano alla preda167? Chi sa quanti altri avranno sudato prima e più di lui! Ma non vale il sudare, bisogna riescire. Riescire, mi capite? Questa è la moralità168 della favola. – Appunto, riescire senza sudare! E che non ti par doppio merito cotesto? Ora poi che serve di andar a cercar altro, e di venirmi a parlare dell’albero della cuccagna; tu sei quello che sei, e non si fa cosa a Cagliari che tu non l’abbia prima voluta ed approvata. Vivalda169 è il viceré di nome, Vincenzo Sulis è il 162 Allegria eccessiva, manifestata con gesti. Andato. 164 È stato particolarmente fruttuoso. 165 Desideravo. 166 Ti sia di beneficio. 167 L’immagine è quella della scalata dell’albero della cuccagna, come specificato nelle righe successive. Si tratta di un tronco, cosparso di cera o di sapone, issato per le feste paesane, sulla cui sommità vengono appesi doni e cibarie destinate a chi riesca a farle cadere, generalmente il partecipante più intrepido. 168 Morale, senso della storia. 169 Il marchese Gioacchino Ignazio Filippo Vivalda assunse la carica di Viceré il 6 163 30 ANTONIO BACCAREDDA viceré di fatto; e questo Vincenzo Sulis è proprio il mio figlio, l’uomo più potente che vanti Cagliari, se non dico la Sardegna! In questo la barca passò dinanzi al così detto porto Scipione, di presso al quale scorgonsi i ruderi del castello di Santa Gilla, già reggia dei giudici cagliaritani(13). Da ciò Sulis colse il destro170 di rispondere al suo genitore in questa forma: – Potente era pur Chiano171, che visse in cattività e morì per mano del carnefice entro il castello, che un dì s’innalzava temuto da qui poco lunge – ed accennò al porto Scipione ed al vicino campo(14). – Dio disperda il triste augurio! – si gridò dagli altri ad una voce, e con essi anche dal barcajuolo, che non avea osato prima metter bocca in quei discorsi, per lui troppo astrusi172. – Dunque – rispose il Sulis – a monte la vanità e la superbia. Se vogliamo godere, pensiamo al presente, a quest’oggi; il passato è di Dio, come l’avvenire. Rallegriamoci alla vista della natura, illuminata da questo bel sole, così giusto e benefico coi deboli e coi potenti, coi miseri e coi fortunati! Appena posto il piede nell’Illetta, una bilustre173 fanciullina offerse alla consorte del Sulis un mazzolino di fiori. Colà come dappertutto a cotesti doni si risponde sempre con un ringraziamento monetato174; e così appunto ringraziava la bella donata(13) Spano, Guida di Cagliari, pag. 336XII. (14) Spano, Guida di Cagliari, pag. 336. settembre 1794, decadendone il 3 marzo 1799, all’arrivo del sovrano in Sardegna. 170 Lo spunto. 171 Si tratta di Giovanni, detto Chiano, Torchitorio V, marchese di Massa e sovrano di Calari. Filogenovese, fu ucciso da sicari pisani a Santa Igia nel 1256 (cfr. F. C. CASULA, op. cit., p. 705). 172 Complicati, incomprensibili. 173 Di due lustri, cioè di dieci anni. 174 In denaro. XII “In vicinanza a questo porto [Scipione] si osservano tuttora le fondamenta del Castello di Santa Gilla, che era la Reggia dei Giudici Cagliaritani. Questo castello è famoso nella storia sarda. Nel 1196 se ne impadronirono i Genovesi. Nel 1256 vi fu imprigionato l’infelice Giudice Chiano, e messo a morte dai Pisani” (G. SPANO, Guida della città di Cagliari, cit., p. 336). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 31 ria175, che di tal presente volle subito farne una girata176 al suo caro marito. Nel bel mezzo di quel mazzolino figurava un bel fiore di granadiglia177, veramente primaticcio178 per quella stagione. – Un fior di passione! – pensò fra sé l’illustre tribuno, guardando quel fiore non certo coll’occhio del chiarissimo Delpino(15). Ma del resto Che mai faria Colui che tutti, pria d’oprar, volesse Prevedere i dolori (16)? Onde fugato poco stante dal suo spirito il sinistro presagio179, si diede con animo riposato a godersi in compagnia dei suoi le delizie di quel gradito soggiorno e di quel dì splendidissimo. (15) Federico Delpino, egregio naturalista, l’unico che in Italia siasi con fortuna pari all’ingegno dedicato allo studio sulla fecondazione dei fiori, e che per le sue dotte, importanti e curiose osservazioni sopra questo interessante argomento, ebbe lato di cattivarsi la stima degli illustri Carlo Darwin, Hildebrand, Parlatore e di tanti altri chiarissimi ingegni, che al presente più illustrano la scienza di Linneo e di JussieuXIII – Io mi tengo superbo dell’amicizia di questo, più che raro, singolarissimo uomo, nel quale la probità e l’ingegno si disputano con gara eguale e nobilissima il loro primato. (16) Manzoni, Adelchi, atto II, scena VXIV. 175 Colei che riceve un dono. Donarlo a sua volta. 177 Maracuja, frutto della passione. 178 Precoce, in anticipo rispetto alla stagione di fioritura. 179 Scacciato poco dopo dal suo spirito il brutto presentimento. 176 XIII Federico Delpino (1833-1905). Charles Darwin (1809-1882), biologo inglese. Friedrich Hildebrand (1835-1919), botanico tedesco. Filippo Parlatore (18161877), botanico italiano. Carl von Linné (1707-1778), scienziato svedese che strutturò una classificazione degli esseri viventi. Bernard de Jussieu (1699-1777), botanico francese che classificò le piante. XIV In realtà, si tratta dell’Atto II, Scena IV, vv. 309-311. 32 ANTONIO BACCAREDDA III. Non erano ancor trascorsi dieci minuti dopo che il Sulis ritornò dalla conversazione di d. Efisio Pintor, che fu sentito picchiare180 alla porta. La vecchia sua serva, veduto che il padrone era in casa, e sapendo che egli non si sgomentava181 mai di nulla, dopo i soliti chi è, profferiti182 con voce nasale e prolungata, si fece ad aprire, quantunque l’ora non le sembrasse troppo adatta a ricever visite e soprattutto da persona forestiera183 ed ignota, quale le si era rivelata dal parlare. Il nostro tribuno mosse sollecito ad incontrare il nuovo arrivato, e con ogni maniera di cortesia, lo invitò a introdursi nella sua stanza, e quindi a seder presso di lui. – La vostra favella vi chiarisce francese184, o signore – gli disse cortesemente il Sulis, non senza un certo imbarazzo – Ora che potete chiedere da me voi... e a quest’ora? – Pardon, cittadino; io sono messaggiero185 di un foglio per voi, ed è così importante il motivo che mi trasse186 in Sardegna, e così misurato187 il tempo che a tale scopo mi fu assegnato, che non trovai altro momento più propizio di questo per chiedervi il favore di un breve colloquio. – L’ora più che l’urgenza mi rivela la vostra intenzione. Voi certamente avevate bisogno delle tenebre della notte per introdurvi nella mia casa. – C’est-à-dire188? – Un uomo seguiva dianzi i miei passi, e questi eravate voi. Ma vedremo subito di che si tratta. Favoritemi cotesto foglio – disse il Sulis con visibile preoccupazione. 180 Bussare con il picchiotto, arnese di metallo applicato alle porte. Spaventava, intimoriva. 182 Arcaismo per proferiti. 183 As forastiera. 184 Il vostro modo di parlare mostra che siete francese. 185 Arcaismo letterario per messaggero, come il successivo messaggiere. 186 Condusse. 187 Scarso. 188 Cioè. 181 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 33 L’incognito gli porse un piego suggellato189. Alla lettura di quel foglio sul volto di Sulis balenò un lieve e amaro sorriso. – Benissimo! – egli mormorò – mi si promette un brillante avvenire, e un mondo di ricompense in cariche elevate, in danaro, in onorificenze. Questa è la seconda di cambio190 che ricevo dal vostro Comandante191. Voi dovete sapere perfettamente di che si tratta, o signore(17). – Cittadino, ho anche potere di aggiungere a voce quelle maggiori spiegazioni che sarete per chiedermi. – Tanto meglio – soggiunse sommessamente l’altro, fremendo e pallido come la morte – La spiegazione che vi chiedo è questa unica: se entrando in mia casa con tale messaggio e con simili offerte, avete pensato al modo come ne sareste uscito? – Ho confidato nelle leggi dell’onore, e sono perciò entrato sotto il vostro tetto così sicuro come se fossi entrato nel mio. – In tutto fate entrar l’onore voi altri, anche nelle cose turpi192! Or bene a questo foglio darete risposta voi stesso. In questo fare accennò al messaggero un tavolino su cui era l’occorrente per scrivere; indi si diede a passeggiare in silenzio per su e giù della stanza. L’altro indovinando di leggieri193 la mente del Sulis, prima di assidersi al tavolino, volle rivolgergli in atto di benevola confidenza le seguenti parole: (17) Tola, op. cit., articolo Vincenzo SulisXV. 189 Lo sconosciuto gli porse un plico di fogli chiuso con i sigilli. In senso figurato, per ripetizione del medesimo errore. 191 “Il General Coulen Court fù Comand.te della Cittadella di Torino allorquando fù spedito in Sardegna il Re Carlo Emanuele con tutta la famiglia Reale, questo G.le prima di spedire il Re per ordine del Gran Napoleone fece a me una lettera dicendomi che unissi la Sardegna con la francia che sarebbe il bene del Regno, di me e di tutta la mia famiglia con mille e mille offerte di gradi, di richezze, e più vantaggi, la qual lettera io conservai, ed all’arrivo del mio Re in Sardegna gliela consegnai nelle mani per conoscere la mia fedeltà” (V. SULIS, op. cit., p. 158). 192 Disoneste. 193 Forma avverbiale arcaica per facilmente. 190 XV “E quando maggiore e colossale era il suo potere, ricevesse messaggi e lettere per parte di Francia, acciò nelle mani di Francia ponesse la Sardegna. Onori, ricchezze gli si promettevano... dimandasse; nessuna cosa sarebbe a lui niegata” (P. TOLA, op. cit., p. 244). 34 ANTONIO BACCAREDDA – State saldo, sì state saldo; vi saluteranno un eroe e poi vedrete! Mais quando vi sarete liberato dai nemici esterni, chi vi salverà dai nemici interni? – Spiegatevi meglio, chi sono per voi questi nemici interni? – dimandò asciuttamente il Sulis. – Si capisce, i vostri concittadini. Nell’ora del pericolo essi torranno194 i santi dal predellino195 per collocarvi sopra voi. Dopo, o vincitore o vinto, foi d’honnête homme196! restituiranno i santi al predellino, e voi caccieranno197 in un carcere, se camperete da peggio198. Il vostro sovrano, se avvenisse una ristorazione199... Eh ai sovrani fanno sempre ombra gli uomini popolari come voi! – Grazie delle buone calendi200 che mi date! Tuttavolta201 lasciate che essi facciano, o cittadino astrologo. De’ molti che marcirono nel carcere l’infamia l’ebbero tutta coloro soli che ve li cacciarono. I Gracchi202 furono uccisi ed infamati; ma non ostante vivranno vita gloriosa e immortale. – A merveille203! Mais quando voi sarete l’amico di Bonaparte e il sovrano di quest’isola, non potrete farvi grande e immortale come i grandi della storia? – Non mi lusingate; io vengo dal nulla, e credo già di esser salito abbastanza, essendo quello che ora mi sono. – Cittadino, l’ambitieux ne regarde jamais derrière lui204; e voi dovete essere ambizioso come tutti gli esseri che non sono volga- 194 Arcaismo per toglieranno. Gradino su cui poggia l’altare. 196 Fede d’uomo onesto. 197 Arcaismo per cacceranno. 198 Se non vi capiterà di peggio, se scamperete guai peggiori. 199 Restaurazione. 200 Oroscopi, nel senso di previsioni. 201 Forma obsoleta e letteraria per tuttavia. 202 I fratelli Tiberio Sempronio e Caio Gracco (II secolo a.C.), tribuni della plebe, nel tentativo di far applicare le leggi Sempronia I e II, riforme agricole di matrice sociale, furono ostacolati dagli avversari politici che convinsero il popolo che essi miravano alla tirannide e pertanto perirono tragicamente: il corpo del primo fu gettato nel Tevere e il secondo, assediato dai nemici, si fece uccidere da un servo. 203 Benissimo. 204 As derière. La frase in francese significa: l’uomo ambizioso non si guarda mai indietro. 195 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 35 ri. Via non facciate il blanc-bec205! La sorte vi ha preparato un grande avvenire, dunque avanti! – Oh in somma, voi che vi vantate francese, e suppongo buon cittadino, che rispondereste a quell’italiano, o inglese, o tedesco, il quale vi consigliasse di tradire la vostra patria all’inimico? Il messo a questa stringente dimanda stette muto qualche momento; ché la dimanda onesta Si dee seguir con l’opera, tacendo(18). Poco stante vinto da una forte ed entusistica risoluzione esclamò ad alta voce: – So bene io che risponderò a vostro nome al Comandante della Cittadella di Torino(19)! – Intendiamoci, amico!... – Non dubitate; le mie parole saranno recise, fiere, sdegnose – interruppe l’altro, stendendo commosso la sua mano verso il Sulis. – Eppure, strana bizzarria della vita, fatto stupido e brutale della fortuna! Noi due siamo chiamati a combattere l’uno contro l’altro, perché voi siete italiano ed io francese... ci uccideremo forse... e siamo amici, e ci amiamo! Il Sulis, stringendo la mano del suo nobile antagonista206, mestamente rispose: – Il primo figlio dell’uomo, il primo fondatore di città è stato un fraticida207. È dunque una maledizione che pesa da antica mano assai sull’uomo; e così ei la stima inevitabile, che lo sperare nella pace universale è per lui un sintomo di demenza. – Abbia dunque la maledizione che merita! Con queste parole l’incognito partì dalla casa dell’altiero208 tribuno cagliaritano. (18) Dante, Inferno, Canto XXIVXVI. (19) Ginguenè. 205 Adolescente, nel senso di ingenuo. Rivale, avversario. 207 Arcaismo per fratricida. Si riferisce all’omicidio di Abele da parte del fratello Caino, figli di Adamo ed Eva, episodio biblico raccontato in Gn 4,8. 208 Altero, orgoglioso. 206 XVI Si riferisce ai vv. 77-78. 36 ANTONIO BACCAREDDA Questa visita notturna del forestiere parve alla consorte del Sulis cosa non liscia209; e sospettosa quindi mosse verso la stanza di Sulis, il quale dopo la partenza dell’incognito messaggiere era rimasto qualche istante immobile e pensieroso. Poco dopo riscosso d’improvviso volle rileggere da capo il foglio dianzi consegnatogli, ned210 era ancor giunto a metà di esso, che vide addirittura comparir dinanzi la moglie. Il primo atto del Sulis a quella vista fu di nascondere in tutta fretta quel malaugurato foglio, ma nol fece così destramente211, che la sopravvenuta non si accorgesse di quest’atto furtivo. Era dessa una donna di forse trent’anni, ma la freschezza della carnagione in armonia con un viso rimarchevole per regolarità di fattezze la dimostravano d’assai più giovine età. La sua fisonomia presentava il carattere tipico di quelle bellissime donne che popolano la lunga via, che si stende dalla chiesuola di S. Bernardo212 all’estremo limite del contiguo borgo detto di Sant’Avendrace213, e tutta quanta abitata da pescatori del vicino stagno, da lattai, ecc. Ella infatti era figlia d’un molto ricco pescatore che da più tempo dimorava in Stampace214, e passava per una delle più belle donne di quel sobborgo. Avea dessa un giusto mezzo fra la statura e la complessione, ed un incesso215 piuttosto lento, ma dolce e dignitoso. Il suo volto tendente all’ovale, ma pienotto, era aggraziato da uno sguardo languidetto216 e pieno di mesta soavità, comeché partisse da due occhi neri, neri come la sua prolissa217 chioma, la quale dava il 209 Strana. Arcaismo per né. 211 Abilmente. 212 La chiesa dà nome al borgo sito nel quartiere di Stampace, oltre via Porto Scalas. 213 “Si arriva subito al borgo di Sant’Avendrace, volgarmente detto Santu Teneru, nel quale abitano per l’ordinario pescatori, e panattiere. La strada che divide il borgo è sufficientemente larga. Nel principio della strada vi è la Croce che posa su d’una colonna antica di granito. Alla Chiesa Parrocchiale, che sta alla metà della strada a man sinistra, si entra per un atrio con viali d’alberi” (G. SPANO, Guida della città di Cagliari, cit., pp. 336-37). 214 Fra i più antichi quartieri di Cagliari, racchiude ben undici chiese, l’ospedale civile e la piazza del Carmine. 215 Fra la statura e la costituzione, ed un’andatura piuttosto lenta. 216 Sdolcinato. 217 Fluente. 210 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 37 più grazioso risalto ad una cute bianchissima, e fine come il raso, leggermente velata da una tinta azzurrognola. Quel viso veramente bello, non d’altro meritava d’esser tocco218 che dal bacio dell’amore; e l’ebbe per vero dire dal suo consorte, ma senza le svenevolezze o gli iperbolici entusiasmi219 di coloro che usano collocare il matrimonio tra la luna di miele e la tomba dell’amore; dacché per questi l’amore non è che un delirio di sensi, e il matrimonio un contratto sinallagmatico220. Vincenzo Sulis amava la moglie più assai che non dimostrasse, ciò che alimentava in lei una certa gelosia, od almeno una tal cosa che molto l’assomigliava. Queste poche parole valgono ad illustrare il seguente dialogo: – Giungo in mal punto221 a quel che veggo222 – disse ella con visibile risentimento e con viso arcignetto223, fermatasi dinanzi allo scrittoio ove stava il marito. – Mai in mal punto, o che ti pare! Ma sai pure che io posso celare anche a te qualche segreto, occupandomi di politica, come fo. Egli accompagnò queste parole con un sorriso lieve lieve e dolcissimo; la moglie invece si scurò in viso talmente, che l’altro dovette subito soggiungere: – Ora perché ti annuvoli224 così? Tu prendi tutto a male. Se tu leggessi questo foglio, che volli nasconderti, mi renderesti ragione. – Ebbene, lascia che io legga... – No, non lo posso... né lo voglio, poiché ti mostri così diffidente e ostinata. Del resto vi sono delle cose che non si possono confidare nemmeno alla moglie. – Sta bene, sta bene così! – soggiunse l’altra con mal frenato dispetto – Gli affari di Stato... Oh si è un bel velo cotesto per celare i torti che hai verso di me! Un velo troppo trasparente per altro, 218 Per toccato. Sdolcinatezze o eccessivi entusiasmi. 220 Nei contratti a controprestazione, il rapporto di scambio che lega necessariamente le due prestazioni. 221 In un momento inopportuno. 222 Arcaismo per vedo. 223 Severo. 224 Turbi. 219 38 ANTONIO BACCAREDDA mio amico, agli occhi di chi conosce a fondo le inclinazioni del tuo cuore. Sulis a queste parole si alzò dal tavolino e stringendosi nelle spalle, fece per uscire. – Rimanti qui – riprese la moglie – sono io che devo uscire, e chi non lo vede? Sii certo che quindi innanzi non ti noierò225 più con questi discorsi. Fa fa il piacer tuo, come hai fatto finora, e me lascia nel pianto e nella disperazione. – Meriteresti che io ciò facessi da senno. Ma intanto puoi dire che sieno giusti i tuoi risentimenti? Scommetto che queste cose che vai ora dicendo ti escono dalla bocca a tuo dispetto. – Oh questo no, vedi! Perché le mie orecchie hanno udito, i miei occhi veduto... – Udito dicerie226, veduto fantasmi. – La storia della tua cugina è una diceria? Eri un fantasma tu che commettevi lo ascondimento di poco fa227? Per voler tutto niegare, tutto confermi. Il Sulis, rabbonito dal tuono228 dimesso della consorte, sentì nel suo intimo compassione di lei, onde si accinse subito a consolarla assumendo contegno e favella, quanto in lui più si poteva, dolci e benigni. – Ascoltami, Vincenza, ma senza tenermi il broncio. Tu sai che io ti amo, e che non potrò mai dimenticare quanto la tua famiglia ha fatto per me, soccorrendomi nella povertà e nell’isolamento in cui trassi229 parecchi anni della mia prima giovinezza. Ti sembro un ingrato, io? – So che vuoi dirmi, lo so. Mi hai dato la mano di sposo, si è vero, ma il tuo cuore lo possiede tuttavia un’altra donna... In questa la voce di lei si spense del tutto, e due lagrime silenziose le ingemmarono le pupille230. – Non dir questo, poiché a gran torto ti rendi crudele verso te stessa. Sai pure che la mia prima età giovanile, un po’ per mia spensieratezza e molto per il soverchio231 rigore di mio padre, non 225 Forma letteraria, vale infastidirò. Chiacchiere maligne. 227 Poco fa hai cercato di nascondere. 228 Rasserenato dal tono. 229 Trascorsi. 230 Adornarono lo sguardo come gemme preziose. 231 Eccessivo. 226 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 39 fu certo irreprensibile. Quando si è giovanetti tutto si fa secondo dettano le passioni. Vorresti ora addebitarmi senza ombra d’indulgenza tutto quanto io stesso mi rimprovero, e mi sforzo di cancellare colla mia vita presente? – Vorrei crederti. – E poi ti sembra che alla mia età possa darmi sì buon tempo232? Via, vergognati di queste fantasticherie. Sono io anzi che dovrei essere geloso, giacché sono di tanto più vecchio di te. Persuaditi che ho la testa ad altro, essendomi tuffato in questo genere di vita agitata che da più anni conduco, e che si è ormai fatto un bisogno per me. Ora non è lecito darsi dolore per dei sogni; e i tuoi non sono altro che sogni. – Ebbene, se è così... Solo per grazia te lo chiedo, Vincenzo mio,233 lascia che io legga due sole linee234 di quel benedetto foglio, e che sia finita una volta! Sulis ridivenne serio e riservato, e con voce calma e sommessa soggiunse subito: – No, questo no! Contentati a quel che ti dissi e basta. Buona notte, moglie mia! Ella zittì, e ricevuto dal consorte un affettuoso bacio d’addio, trasse fuori235 della stanza a lento passo e mesta. 232 Possa darmi ai festeggiamenti. mio, per mio; come richiesto dall’errata corrige. 234 Righe. 235 Uscì. 233 40 ANTONIO BACCAREDDA IV. – Bravo! Fui più forte d’Adamo – pensò fra sé quando si vide solo; – ho resistito alle tentazioni della mia Eva236! Se una sua imprudenza avesse potuto rivelar mai a qualcuno il contenuto di questo strano messaggio, chi ne avrebbe pensato bene? Oh i miei concittadini non vedrei allora così indulgenti verso di me, come ora veggo entusiasti! Tribuno di un popolo! È un gran dire. Ma la folla che oggi acclama al tuo trionfo può domani assistere plaudente al tuo supplizio. Cromwell ciò disse. Chi più glorioso di Rienzi? Chi più amato di Tomaso More? Chi più popolare di Masaniello237? Eppure?... Sì, troppo e fortunosa la sorte di chi s’innalza sopra di un popolo! Ei pare che Iddio abbia scritto sullo scettro dei re, e sulla spada dei grandi capitani: guai a chi sarà il primo! Guai a chi violerà la legge dell’uguaglianza238! Con queste e simili riflessioni prese distrattamente tra mani il libro suo più favorito, Le vite parallele di Plutarco239, e vinto dalla stanchezza deliberò di andare a letto. Quivi gettò le sue membra e stette lunghe ore vegliando, perché le emozioni sofferte in quelle poche ore non gli consentivano il benefizio del sonno. All’avvicinarsi dell’alba chiuse gli occhi a dormire; e solo da un’ora assa236 Si riferisce all’incapacità di Adamo di rifiutare la richiesta di Eva di assaggiare la mela dell’albero proibito, che determinò la cacciata dal Paradiso terrestre, episodio biblico narrato in Gn 3,6. 237 As Cromwel. Oliver Cromwell (1599-1658), statista inglese, fu deputato al Lungo Parlamento come oppositore di Carlo I e venne nominato “Lord protettore d’Inghilterra”. Cola di Rienzo (1313-1354), politico romano, assertore della supremazia di Roma, sollevò il popolo contro i nobili; nominato senatore, fu dapprima acclamato, poi trucidato durante una sommossa. As Moor. Thomas More (1478-1535), scrittore e parlamentare inglese, fu decapitato per essersi rifiutato di rinnegare l’autorità del Papa e di approvare il divorzio di Enrico VIII. Tommaso Aniello (1620-1647), soprannominato Masaniello, pescivendolo napoletano, avverso al viceré spagnolo, fomentò una rivolta e venne eletto capitano del popolo; reso folle dal potere conquistato, venne catturato e decapitato dai suoi stessi seguaci. 238 La legge dell’uguaglianza venne proclamata dalla Chiesa per affrancare l’umanità dal peso della schiavitù. 239 Plutarco di Cheronea (46-127), filosofo greco, ricevette la cittadinanza romana onoraria e compose le Vite parallele, opera storica, per onorare 24 coppie di uomini illustri, composte da un greco e un romano, messi in parallelo per analogia d’indole o di avvenimenti biografici. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 41 porava questo unico ristoro della vita, quando un rumore confuso e crescente, prodotto da mormorio di voci e da strepito di armi, venne a destarlo all’improvviso. Poco di poi una donna, la sua vecchia serva,240 sospingendo lievemente l’uscio si affacciò incerta se dovesse inoltrarsi; ma i clamori di piazza prorompendo ad ora ad ora sempre più violenti e scomposti241 tolsero d’incertezza la vecchia, ed eccola precipitare nella stanza cogli occhi spalancati e le mani giunte. – Perché entri così faccendosa242 e fuori di te? – chiese Sulis con aspetto tranquillo. – Ah, padrone mio! Dio abbia misericordia di noi! Più di cento uomini armati stanno alla porta di casa. – Ora comprendo; saranno i miei Cacciatori miliziani. – Lo so anch’io; ma sono di malumore assai, e minacciano, e ringhiano, e battono a terra gli schioppetti243, facendo uno strepito di casa del diavolo. Che vorranno essi da noi? Chi sa che baronata244 penseranno di fare quest’oggi? – Lascia che facciano. So fin da ieri che qualcosa di simile doveva accadere. È il patriottismo che sente appetito. Tu intanto apri la finestra... – Gesù mio! Ma io ho paura di quegli spiritati245. – Apri, ti dico, e dimanda se vi è fra loro un comandante, una persona che li guidi insomma. La serva sebbene a gran segno riluttante obbedì, e si mise a vociare con quanto ne avea nella gola, credendo con ciò d’imporne a quei malarditi246 della via, e di comparir coraggiosa agli occhi del padrone. Chiesto se vi fosse un condottiere, ebbe per risposta del sì da mille voci confuse. – Anime! – mormorò fra i denti la vecchierella; – con quelle brutte vociacce fanno paura anche a me. – Dì che salga costui, ma solo, intendiamoci! E tu annuncia 240 serva, per serva come richiesto dall’errata corrige. Manifestandosi con crescente violenza. 242 Affaccendata. 243 Diminutivo di schioppo, antica arma da fuoco con canne lunghe, antenata del fucile. 244 Bricconata. 245 Indemoniati. 246 Spavaldi. 241 42 ANTONIO BACCAREDDA ciò dalla finestra, a scanso247 di malintesi. Per l’ordinario il capo in questi trambusti non è zucchero di sei cotte248, ma sarà sempre uno. – Non vi siete ingannato – soggiunse la serva nel chiudere la finestra – è quella buona lana249 di vostro cognato. Lo farò dunque entrare? – È quanto mi occorre – disse egli alla serva, che se ne partì250 in tutta fretta, dandosi l’aria di persona intrepida e disinvolta. Dopo parecchi istanti ricomparve nella stanza susseguita251 da un uomo alto, robusto e di bella presenza. Avea costui una quarantina d’anni; l’insieme della sua fisonomia era anziché altro simpatico; pure vi si scorgea tra carne e pelle un non so che di sinistro252, che lasciava in bilico tra il fidarsi e il non fidarsi. Egli era armato di daga253 e di schioppetto; onde nel trovarsi al cospetto del suo capitano, sebbene gli fosse cognato, si contenne secondo portava254 la disciplina militare. – E così, Giambattista, voi altri non mi lasciate nemmeno dormire? – Tu hai sonno ed essi fame; dà loro la paga dovuta, e ti lascieranno dormire finché ti piacerà. Sai bene che nicht255 paga, nicht servizio. – Non occorreva per questo mettere a rumore la città, né venire in cento a chiedermi ciò che non è in me il darvi. – Chi comanda paga; noi come il cane stimiamo padrone solo chi ci dà pane256. 247 Per evitare. Lo zucchero veniva un tempo raffinato con cotture successivamente ripetute: pertanto quello di sei cotte è raffinato al massimo. In senso figurato e in negativo, riferendosi a un individuo, significa che non è affatto raffinato, ma malandrino al massimo grado. 249 Ironicamente per individuo di cattiva indole. 250 Se ne andò. 251 Seguita da vicino. 252 Aveva nell’aspetto qualcosa di sottilmente sinistro. 253 Spada corta a due tagli. 254 Quanto richiesto. 255 Dal tedesco, niente. 256 “Siccome sapevano tutti, che io anticipavo i pagam.ti perché in cassa non vi erano fondi, si resero a me più affetti, ed ubbidienti, perché dicevano a chi mi dà pane, lo chiamo Padre” (V. SULIS, op. cit., p. 60). 248 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 43 – Cane e padrone, ecco le parole che stanno in bocca a voi altri. Volgo stupido e vigliacco, guai se a te si concedesse quella libertà, che è lo scettro di un popolo virtuoso e civile! Se ciò avvenisse io stesso mi sforzerei a ribadire le tue catene257, perché sarebbe più funesto il tuo dominio di un’ora, che la tua eterna servitù. Vorreste essere ministri, magistrati, capitani, tutto; ma finireste per chiamar sempre padrone chi fosse pronto a darvi del pane; sì pane, perché la libertà è cibo troppo delicato per il palato della canaglia! Indi voltosi alla serva: – To’, dà pane a cotesti cani. Apri lo scrigno, e prendi quel gruppo258 che vi troverai là entro. Sarò rimborsato quando a Dio piacerà(20)! – Oh tu sempre generoso, caro il mio cognato! Tu rinunzi a tutto, a onorificenze, a cariche eminenti e per fino alla bella paga che ti venne assegnata. Per bacco, coteste non sono celie259; gli è una buona moneta uno scudo al giorno(21)! – Questo è un latino che tu non capisci, non è vero, Giambattista? – Lo capisco benissimo! Tu servi la tua patria e sei ricco; se lo fossi anch’io e se la Sardegna fosse la Corsica, altro affare allora260! – Tristo261! Non è questa forse la patria della tua consorte? – Il luogo dove si stenta la vita, o Vincenzo, non si riguarderà mai come patria262. E poi... E poi... Tu comandi, e noi obbedia(20) (21) Tola, op. cit., articolo Vincenzo SulisXVII. 257 Di rendere più opprimente la tua schiavitù. Insieme; anticamente anche per sacchetto, involto. In questo caso, si intende una quantità di denaro. 259 Scherzi. 260 Giambattista Rossi è corso. 261 Disgraziato, sciagurato. 262 Il luogo in cui si vive fra gli stenti non si considererà mai patria. 258 XVII “Spinse la sua generosità fino ad antecipare del proprio le paghe del suo battaglione, chiedendone poi ed ottenendone assai tardi il rimborso”. “Per sé nulla mai volle, benché gli fosse stato dagli stamenti assegnato uno scudo al giorno a titolo di stipendio” (P. TOLA, op. cit., p. 244). 44 ANTONIO BACCAREDDA mo... E non è poco onore cotesto di comandare cinquecento uomini come noi. – E vi comando io? – Che diavolo! Un’occhiata, un cenno, e non occorre altro; ti si obbedisce come tanti scolaretti. Quel mercenario di fatti263 non adulava; lo sguardo di Vincenzo Sulis era più che un comando per quella bruzzaglia264, che abbandonata a sé non d’altro sarebbe stata capace che di atti facinorosi265 e scellerati; ed era strano e insieme curioso il vedere come egli di una accozzaglia di cinquecento mariuoli d’ogni risma266, ne avesse fatto un corpo disciplinato, non solo, ma di esso si fosse non poche volte giovato a mantenere in Cagliari l’ordine e l’autorità, o il prestigio almeno a quell’inetto267 governo. Nel mentre di questo dialogo, i cacciatori miliziani in numero di cento o quasi,268 disposti in diversi gruppi presso la casa di Vincenzo Sulis, davano l’andare ai loro discorsi politici o meglio apocalitici269, così a un di presso spropositando: – Con questa fame sagratina270, corpo del diavolo, ei ci comandano a bacchetta271, e vogliono che si faccia la guardia notte e dì a cotesti signori, che hanno il ventre infarcito272 di ogni grazia di Dio. Insomma o siamo la forza o non lo siamo; se siamo la forza facciamoci rispettare, incominciando da questo Sulis, che già comincia a farmi stomaco273. Scommettiamo che... Un altro miliziano con la faccia da deprofundi274 atteggiandosi a grave contegno e tenendosi il labbro inferiore fra l’indice e il pollice della mano destra, interruppe senz’altro il dire del suo 263 di fatti per diffatti come richiesto dall’errata corrige. Marmaglia. 265 Violenti. 266 Furfanti di tutti i tipi. 267 Inconcludente. 268 quasi, per quasi come richiesto dall’errata corrige. 269 apocalitici per apocatitici come richiesto dall’errata corrige. 270 Grande, solenne, eccessiva. 271 In modo perentorio. La bacchetta è l’emblema del potere, lo scettro. 272 Lo stomaco pieno. 273 Darmi la nausea, fastidio, disgusto. 274 Il riferimento è al Salmo 130, De profundis, brano biblico penitenziale spesso recitato per i defunti: il miliziano ha quindi una faccia da funerale. 264 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 45 commilitone con una certa indipendenza dalla logica e dalla urbanità275. – Sentite, sottosopra276 per noi ci vuol la repubblica! – In Piemonte vi è già. – Davvero? Tanto meglio! – Anzi vi dirò... Aspettate come la chiamano... Che so io quel che disse d. Efisio Pintor!... La repubblica... Ah ora me ne ricordo... La repubblica insub... insalubre277; una cosa così!... – Che è questo? È roba da mangiare?... – Oh come sei tondo278!... Ma... Ma... Non sai? Cose nuove, nomi nuovi. – Cosa nuova! La repubblica sarà sempre la stessa; il regno della giustizia. – Se è regno non è repubblica, ignorante che sei! Vattene, gli è altro... – E che è, parla, maledetto te e il tuo papa! – Eh furbo! Tu mi capisci senza dirti altro. – Ah sì, sì!... – Il proverbio... Non sai? Oh che cristiano! – Finito un guaio ne viene un altro. – No, il diavolo che ti porti! Ma dove hai la testa quest’oggi? – Aspetta! Gli è questo: il mondo è fatto a scarpette; chi se le cava e chi se le mette. – Pezzo da catena279, ora l’hai indovinata! – Noi siamo come quei due ciechi che si dissero: a rivederci! – Bravo, compare! Dove non arriviamo noi, e nemmeno il diavolo. – E sai perché? Perché a Santa Gilla non vi son lumache. – Né garofani a Monte-Orpino280. 275 Civiltà, cortesia. In fretta. 277 Probabilmente si tratta di un gioco di parole con il nome dell’Insubria, territorio comprendente l’attuale Lombardia, parte integrante della repubblica Cisalpina (1796-99). 278 Semplice, grossolano, goffo. 279 Delinquente, destinato alle catene dei carcerati. 280 Colle cagliaritano, il cui nome deriva da urpe, volpe, perché era conosciuto come luogo impervio, fuori dal centro della città e si diceva frequentato da animali selvatici. 276 46 ANTONIO BACCAREDDA – Non sappiamo il gesus a, ma la testa ce l’abbiamo anche noi281. Chi non m’ha visto collocare di nottetempo le campane nell’Oratorio d’Itria a dispetto dei frati agostiniani, non sa di che sono capace io(22). Già perché non parliamo latino... Ma per far degli occhielli282, vedi? Questo coltellaccio ne val cento. – E poi si dice che siamo canaglia. – Noi amiamo la patria: ecco il gran peccato! – Certamente, e ce ne verrà un gran bene! Sentite, o una corona d’aglio283, o quattro palmi di corda col suo bravo sapone284 non ci mancheranno; state allegri! – Silenzio cialtroni285! – esclamò Giambattista Rossi, mostrandosi sul limitare della casa del suo cognato – I danari son qui! – Viva Vincenzo Sulis! – si gridò ad una voce da tutti quei miliziani, i quali ricevettero sul luogo istesso la paga loro assegnata,286 onde in capo a pochi minuti l’assembramento si dileguò. Solo tre di codesti cacciatori miliziani rimasero a mezzo la via S. Michele, borbottando fra di loro e accennando torbidi287 alla casa del Sulis. (22) Spano, Guida della città di Cagliari, pag. 228, nota (1) della pag. istessaXVIII. 281 Siamo in grado di comprendere pur essendo gente semplice e ignorante che non conosce le preghiere in latino. 282 Ferite, buchi. 283 Locuzione familiare per nulla. 284 Per impiccarci. Il sapone rendeva più scorrevole la corda per le impiccagioni. 285 Sfaticati. 286 assegnata, per assegnata come richiesto dall’errata corrige. 287 Minacciosi. XVIII “Questa Confraternita [di Itria] dipendeva dai Frati Agostiniani, perciò mai aveva potuto ottenere di aver la campana, non ostante che avesse ricorso al viceré ed all’Arciv. Delbecchi. I frati sempre si ricusavano di darne l’assenso. Ricorse allora la Confraternita ad uno stratagemma. [...] In allora di notte tempo, senza che i frati se ne avvedessero, costrussero un’arcata, di cui avevano già preparato i cantoni, e vi collocarono la campana che avevano fuso dal 1776. Fu inutile ogni ricorso per la demolizione; e così ottennero l’uso della campana” (G. SPANO, Guida della città di Cagliari, cit., n. 1, p. 228). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 47 Chi si segnalava288 maggiormente in quel triumvirato289, sorto come un fungo290, si era un caporale, un uomo di mezza età, lungo, magro assaettato291, dalla fisonomia espressiva e dal portamento misterioso e grave. Costui era uno di quegli esseri, come spesso se ne incontra, che giunti al sommo della parabola della vita, si trovano di aver fatto un poco d’ogni cosa, e che perciò, non sapendo nulla di nulla, l’hanno contro a tutti; e solo che possano camparla dall’oggi al domani, metterebbero il guasto292 al mondo intiero. Pochi erano i mestieri che non si fosse accinto ad imparare, poche le facoltà di cui non ne avesse impreso293 lo studio; per dir corto, la pialla, la lesina294 e la lima avea così adoperato a riprese, come lo strumento del chirurgo, il bischizzo295 del teologo e il cavillo del leguleio296. Ed eccolo, per colmar la misura297, anche soldato. – Avete inteso? Noi siamo cialtroni! – diceva costui biascicando le parole ed appoggiandosi a certi materiali ammonticchiati presso il luogo ove ora sorge la bella chiesa di S. Anna, allora in costruzione. – Sentite – soggiunse levando la mano in alto con fare solenne e fatidico – o questa parola ha da tornare in gola a chi l’ha pronunziata, o che io possa cascare d’un accidente in mezzo alla via! Non avea appena finita quest’ultima frase, che i materiali sui quali erasi appoggiato rovinarono tutto ad un tratto, traendo seco il nostro caporale, che se ne andò a gambe levate. 288 segnalava per segnalasse come richiesto dall’errata corrige. Collegio di tre persone che esercitavano il supremo potere politico. Più avanti, il Baccaredda si riferirà esplicitamente al secondo triumvirato (43 a.C.) stretto fra Caio Ottavio (nipote di Giulio Cesare), Marco Antonio (compagno di Cesare nel consolato) ed Emilio Lepido (governatore della Gallia Narbonese) per vendicare la morte di Cesare. Fra le vittime illustri, Cicerone, colpevole di essere nemico di Marco Antonio. 290 Locuzione per indicare spontaneamente e all’improvviso. 291 Modo toscano di formare il superlativo: vale magrissimo. 292 Seminerebbero zizzania, creerebbero malumori. 293 Intrapreso. 294 Attrezzo costituito da un grosso ago ricurvo e appuntito, sostenuto da un corto manico in legno, utilizzato da calzolai e sellai per forare il cuoio che deve essere cucito. 295 Fantasticheria. 296 Uomo di legge pedante e cavilloso, come il manzoniano Azzeccagarbugli. 297 Per finire. 289 48 ANTONIO BACCAREDDA Io per conto mio, se fossi stato nei panni degli altri due triumviri, senza esser punto superstizioso, avrei aiutato benissimo il mio caporale profeta a rizzarsi in piedi, perché l’uomo che casca, sia moralmente o sia fisicamente, fa sempre una gran brutta figura, ma dopo questo, auguratogli issofatto298 il buon giorno, me ne sarei andato via di vela299 facendo quello che non seppe fare la moglie di Lot nel lasciare la turpe città natia dell’attica Venere300. Ma quegli altri erano due cocciutacci di prima forza, due spiriti forti da dare dei punti a Voltaire301; così ebbero a mantenere integro il loro triumvirato, certamente serbato302 a grandi destini; epperò vollero seguire il loro Marco Antonio, traendo dalla malaugurata via S. Michele fino a quella detta del Monte303, da cui riescirono silenziosi a Buoncammino e di là alle Stelladas304, ove fecero sosta. – Poiché nessuno di noi è di servizio quest’oggi – disse Marco Antonio – facciamo di utilizzare bene queste ore di libertà. Io ho bisogno di mettervi a parte di un gran progetto; e spero che sarete discreti e fedeli. Scegliamo un luogo ove si possa stare tranquilli e inosservati. 298 Dal latino ipso facto, senza indugio. Rapidamente. 300 Il riferimento è a quanto narrato in Gn 19-1,26. Lot avvertito da due angeli dell’imminente pioggia di zolfo e fuoco che avrebbe distrutto le città di Sodoma e Gomorra, fuggì con la moglie e le figlie, sapendo di non doversi voltare indietro per nessuna ragione. Nell’udire il rumore della pioggia, invece, la moglie di Lot si voltò, trasformandosi in una statua di sale. L’episodio è anche all’origine del modo di dire restare di sale. 301 Tanto ostinati da superare Voltaire, pseudonimo di François Marie Arouet (1694-1778), filosofo francese, che finì rinchiuso nel carcere della Bastiglia e venne scacciato dalla corte di Federico II di Prussia a causa del suo carattere schietto e testardo. 302 Riservato. 303 Oggi Via Ospedale (cfr. D. SCANO, Forma Karalis, “Archivio Storico Sardo”, vol. XIV, 1922, p. 120). 304 Nel quartiere Castello, il viale Buoncammino, ove si trovano le carceri, è una delle più antiche passeggiate cagliaritane, poiché vi si gode un panorama unico. Scendendo lungo l’odierna via Cadello, si incrocia Stelladas, nome di una vasta piazza al confine fra Cagliari e Pirri, ove “nei primi lustri di questo secolo si eseguivano le sentenze capitali” (G. SPANO, Guida della città di Cagliari, cit., pp. 370-371). 299 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 49 – Il Castello di S. Michele(23)! – propose uno degli altri due, cui per intenderci porremo nome Ottavio. – A Pirri(24)! – si fece tosto a soggiungere il terzo (che chiameremo Lepido) con latente305 ma sincero entusiasmo. – A Pirri sì, approvo! Tanto ci troviamo in sulla via. Danaro, alla Dio mercè, non ve ne manca; colà faremo il nostro pranzo e combineremo306 ogni cosa per il meglio. Ora Marc’Antonio, Ottavio e Lepido, arrivati a Pirri che furono, si diedero tosto a cercare un concionale307 degno della levatura dei loro pensieri e della grandezza delle loro dicerie. Spingendo l’occhio nel fondo della via maestra del villaggio videro a sinistra sporgere un secco ramo di palma(25). – Vedete là quel superbo segnale? Taverna o non taverna, quella palma ci è di buon augurio! E di pieno accordo s’installarono in quella prima bettola che loro capitò tra i piedi. Senza perder tempo si posero a sedere a tavola, e chiesero quindi da mangiare e bere con una certa aria di mistero, che lo stesso tavernaio, senza sapersene dar conto esatto, (23) Questo castello, chiamato dagli spagnuoli Bonvehi, si suppone fondato dai pisani nel secolo XIII sulle rovine di un chiostro di Certosini. Spano, op. cit., pag. 366XIX. (24) Villaggio vicino di Cagliari, famoso per il buon vino che vi si beve, e per le solenni imbriacature che vi si pigliano, sopratutto dai forastieri. (25) Un ramo di palma indizia a Cagliari, e nei vicini villaggi, l’esistenza di una taverna, come si vedono tuttora a Firenze indiziate le canove da certe frasche, di cui una veramente maiuscola pompeggia tuttavia vicino a Porta la Croce. 305 Celato. Stabiliremo. 307 Aggettivo, da concione, luogo in cui si svolgevano le adunanze per trattare affari di Stato, usato qui in senso ironico. 306 XIX “A sinistra di questa villa [Pollini] torreggia il Castello di S. Michele, dagli Spagnuoli detto di Bonvehi. Il primo nome l’ha preso da un Oratorio che vi stava dedicato all’Arcangelo, perché prima vi stava un Monastero di Certosini; il secondo poi per esser collocato in una posizione da cui si gode una bella ed imponente veduta di tutto il Campidano e del golfo” (G. SPANO, Guida della città di Cagliari, cit., p. 366). 50 ANTONIO BACCAREDDA pensò di servirli in silenzio, guardandoli con tanto d’occhi. Il dabbenuomo308 credeva così di rispondere col mistero al mistero. Come si trovarono soli, il caporale Marco Antonio, accigliatosi tutto ad un tratto con prosopopea309, e imposte le mani sul tavolo, così incominciò: – Amici miei, non badate, ve ne prego, ai miei galloni310; immaginate che più non fossi il vostro caporale; tenetemi per un nulla, insomma consideratemi in tutto come vostro eguale. Posso dire di più? Epperò eccovi la mia mano. Gli altri strinsero immantinente311 la mano al democratico caporale, ma senza profferir verbo312. – Bisogna per altro esser uniti, sempre uniti! – ripigliò quest’ultimo. – Lo siamo! – risposero ad una voce gli altri due, non potendo niegar l’evidenza. – Orsù rispondetemi! Chi è la causa delle smargiassate313 di Giambattista Rossi? Chi è il nostro padrone? Chi ci tiene come tanti cavalli alla cavezza314, e ci mena addosso un rovinìo di frustate? Chi è il sovrano di Cagliari? Via, rispondetemi in vostra malora! – Vincenzo Sulis, questo si sa da tutti315. – Ah lo sapete e lo tollerate! – Che s’ha da fare? – Vergogna! Quando una pulce vi tormenta la sapete ben schiacciare voi altri! – Certissimo! Ma Vincenzo Sulis non è una pulce. – Quale è uomo che non sia tale rimpetto316 a voi, che siete il popolo? – Ma... – Ho torto forse? 308 Ingenuo. Gravità presuntuosa. 310 Gradi della carriera militare. 311 Senza indugio, immediatamente. 312 Pronunciare parola. 313 Spacconate, fanfaronate. 314 Fune che serve per imbrigliare il cavallo; in senso figurato, vale frenati. 315 Lo sanno tutti, è risaputo. 316 Davanti. 309 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 51 – Io questo non lo dico, ma lo penso – rispose Lepido. – Che ne sai tu? – gridò Marco Antonio, che stima Aver, leggendo certi commentari, Vedut’ignuda la Materia prima(26). Vorresti saperne più di me, che ho studiato gli attributi di Dio, e fatto per quasi un anno il flebotomo317 nel borgo di Sant’Avendrace? – Tu ragioni troppo bene; ecco perché temo che tu voglia ingannarci. – In coscienza mia, sentite! Io m’impegno di cambiare la faccia della terra, solo che voi altri mi liberiate da Vincenzo Sulis. Era Marco Antonio che dimandava la testa di Cicerone. – Che timore o riguardo per un uomo di bassa ventura come noi. Fosse un nobile, passi! Coraggio, corpo del diavolo! Una ferita apre la via a un popolo, a tutta l’umanità. Che state a pensare di più? – Adagio! E se ci chiappano318? – Di chi temete? Se il colpo riesce saremo noi i padroni. – E il re?... – E dodici319! Dove è il re, quando tutti saremo re? – Ma come è possibile?... Già, il mio palazzo sarà la grotta della vipera320! – disse Lepido alzando le risa fuor di maniera. – Asini che siete! Io ho studiato legge, e conosco i diritti dell’uomo. Se siamo tutti eguali, ciascuno di noi è re o non lo è nessuno! Siete buoni a rispondermi? (26) Cesare Caporali, Rime piacevoli, Firenze 1870, tomo II, pag. 177 – Il pedanteXX. 317 Chi compiva salassi. Popolare per acchiappano, sorprendono. 319 Esclamazione che vale ancora devo ripeterlo? 320 La Grotta della vipera, nel viale sant’Avendrace, è un monumento funebre di età romana dedicato da Cassio Filippo alla moglie Attilia Pomptilla e racchiude iscrizioni poetiche in greco e in latino. 318 XX Cesare Caporali (1531-1601), poeta umbro, membro dell’Accademia degl’Insensati di Perugia, autore, fra l’altro, della silloge poetica citata da Baccaredda, Le piacevoli rime di Cesare Caporali perugino, Milano, Tini, 1585. 52 ANTONIO BACCAREDDA Ottavio e Lepido a queste ultime parole, che li321 avea fatti persuasi, si fecero rossi in viso, e si guardarono l’un l’altro con aria molto degnevole322 e maestosa. Difatti per vedere il colore della porpora essi non avevano che a sbirciare dentro la mezzetta323. – Sta bene tutto questo – disse qualche momento dopo uno dei due presunti re, affettando324 per modestia un poco di scetticismo – ma come si può arrivare... – Il ma qui non c’entra niente affatto – interruppe il caporale – Volere è potere. Volendo si può esser papa, imperatore, re, tutto quello che potete immaginare. Volendo, potete andare in galera a dispetto del fisco325. Desiderate che ve lo provi326? – Avanti avanti! – Chi era Sisto V327, il papa Sisto? Un porcaro. Se avesse voluto, sarebbe rimasto porcaro per omnia secula seculorum328. Io non vo’ esser papa perché un papa senza trono come il nostro Pio VII329, non è che un prete... E poi, e poi, un uomo che vuol essere infallibile e che pretende di rappresentare Dio fa sempre una gran cattiva figura per me(27). Ma quello che saprò diventar io... (27) Questo lo credo anch’io; dacchéXXI l’infallibilità si attaglia all’uomo, (sia esso papa o trippaiuolo) come l’amore a Satana, l’innocenza a Giuda, ed il pudore ad una bardassa. Anatema o non anatema io sono del pensare di Montesquieu, il quale disse: “Trois choses incroyables parmi les cho321 As gli. Con degnazione. 323 Caraffa usata principalmente per il vino. 324 Mostrando, simulando. 325 Volendo, potete andare in galera anche contro il parere dell’autorità giudiziaria. 326 provi per trovi come richiesto dall’errata corrige. 327 Sisto V (1520-1590) al secolo Felice Peretti, figlio di agricoltori, venne eletto Papa nel 1585, manifestando non comuni capacità di governo degli affari pontifici. 328 Per sempre, nei secoli dei secoli. 329 Gregorio Luigi Barnaba Chiaramonti (1742-1823), papa Pio VII dal 1800, legò il proprio pontificato alla figura di Napoleone: ne celebrò l’incoronazione a imperatore nel 1804, lo scomunicò dopo l’annessione dei territori della Santa Sede all’Impero francese, venendo ricambiato con l’incarcerazione a Fointainebleau fino al 1814, anno della caduta di Napoleone. 322 XXI As daché. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 53 Basta, non voglio dirvi tutto in una volta. Pure voi altri di questo giorno ve ne avete a risovvenire330 con gioia; perché, se quest’oggi avete avuto fede in me, e domani, dove succedessi a Vincenzo Sulis, domani mi ricorderei di voi. Quello che vorrete essere, sarete; così questo boccale potesse ora convertirsi in uno ziro331 pieno di vino! – Dunque vi ricorderete davvero di noi? Ebbene allora il vino per quest’oggi lo pagherò io – gridò Lepido tutto gongolante. – Ed io pagherò il resto – soggiunse Ottavio. E frattanto una libazione332 incalzava l’altra; e l’aria di mistero a mano a mano cedeva il terreno al fare aperto ed espansivo; già ai discorsi gravi e di alta politica succedevano i parlari scurrili e strampalati, sì che il triumvirato sentendosi finalmente molto male in gambe poté a fatica avviarsi al teatro delle sue imprese gigantesche e mondiali solo verso le dieci di notte. Al tocco lo stesso triumvirato faceva il suo ingresso solenne nelle Stelladas. Costì Marc’Antonio, male orientandosi, si credette in una delle piazze di Cagliari; onde esclamò con bacchico entusiasmo333: – Qui, proprio qui, nel bel mezzo di questa superba piazza, voglio che mi si rizzi un giorno l’arco trionfale. Non sarò un Dio, ma nemmeno un uomo; e perciò mi vedrete sospeso fra il cielo e la terra, come un eroe, un semidio. Un’ora dopo, le deserte e buje vie di Cagliari, al separarsi dei ses incroyables; le pur mécanisme des bêtes, l’obéissance passive, et l’infallibilité du pape”XXII. Nota dell’AutoreXXIII. 330 Ricordare. Orcio. 332 Arcaismo per libagione, bevuta. 333 Entusiasmo sfrenato perché guidato dall’abuso di alcolici. L’aggettivo deriva da Bacco, dio del vino e del piacere. 331 XXII Tre cose sono incredibili fra le incredibili: il semplice comportamento degli animali, l’obbedienza passiva e l’infallibilità del papa. XXIII In quest’unico caso, la nota, anziché essere indicata con un numero, è preceduta da un asterisco e conclusa con l’indicazione Nota dell’autore. 54 ANTONIO BACCAREDDA nostri triumviri, echeggiavano stranamente334 delle rauche loro voci, al canto di Pepa s’est coiada Cund’unu stampaxinu335. 334 stranamente per straccamente come richiesto dall’errata corrige. “Peppa s’è kkoiada / Kun d’unu stampazinu; / – Ti stampu sa jarrara / Ki no mmi ddonas binu”; “Beppa s’è maritata con uno di Stampace; ti buco la botte se non mi dai vino” (R. GARZIA, Mutettus cagliaritani, Bologna, Stabilimenti Poligrafici Riuniti, 1917, n. 27, p. 93). 335 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 55 V. Il turpe messaggio del generale francese, comandante la Cittadella di Torino, aveva profondamente indignato l’animo del buon patriota, il quale, anziché contentarsi al rifiuto da lui dato, deliberò di partecipare336 agli stamenti la strana proposta; e già si accingeva a farlo, quando gli stamenti istessi gli fecero aperta la risoluzione presa di porgere al re ed alla sua famiglia l’invito solenne di recarsi nell’isola di Sardegna, l’unico lembo di terra che potesse offrir loro securo asilo e difesa337. Gli confidarono altresì, che sebbene consenzienti la Reale Udienza ed il Consiglio di Stato338, essi nulla non avrebbero fatto senza la sua piena e spontanea adesione, sicuri che la Corte non avrebbe tenuto l’invito, dove il Sulis non se ne fosse mostrato contento; che anzi affidavano a lui, perché accomodasse in prevenzione339 l’animo dei sardi a bene accogliere il loro sovrano, essendo fra essi corsa voce, che la venuta di Carlo Emanuele IV sarebbe stata loro nefasta; né in gran parte cotesta diceria meritava tal nome(28). E così fu fatto, e a tale intendimento340, tre membri degli sta(28) Manno, op. cit., p. 443XXIV. 336 Rendere noto, annunciare. I Francesi avevano infatti occupato il Piemonte, minacciando pesantemente l’incolumità dei Savoia. 338 La Reale Udienza aveva dapprima funzione meramente consultiva, quindi l’autorità di intervenire su tutti i poteri dello Stato: oltre ad essere tribunale di massima istanza, poteva assumere le più alte funzioni politiche, amministrative e militari, giungendo persino a sostituire il Viceré in caso di sua assenza. Era suddivisa in tre articolazioni: una civile, una criminale e una terza, detta anche Consiglio di Stato, aveva il compito di controllare e guidare l’azione del Viceré e quello di Tribunale di massimo appello sulle sentenze della stessa Reale Udienza superiori alle mille lire. 339 Locuzione avverbiale che vale preventivamente, anticipatamente. 340 A tal fine. 337 XXIV “Si conferirono le consulte col Consiglio di Stato e colla Reale Udienza. Si conferì ancora col tribuno Sulis: giacché erasi detto che la Corte, consapevole del poter suo, non avrebbe volentieri acconsentito a trasferirsi nell’isola, se non con la sua adesione” (G. MANNO, op. cit., p. 443). 56 ANTONIO BACCAREDDA menti partirono da Cagliari deputati a formulare all’esule monarca, allora in Firenze, l’ospitale offerta(29). Alla vista della sventura del loro re, i sardi aveano già posto in obblio le offese patenti e diuturne341 ad essi fatte a nome di quel re medesimo, in premio del valor militare e del senno civile da essi spiegato342 a difesa e amore343 della sua corona. Ma fu loro fatta almeno giustizia dappoi? No! Solo doveano aspettarsela tutta, come l’ebbero, dall’era344 di grazia delle riabilitazioni, delle emancipazioni, della giustizia, dell’eguaglianza, della moralità, di tutto ciò insomma che della terra ne fa un paradiso. Ma non vale qui l’ironia. L’uomo forse, oh Dio! Non ha potuto quanto l’avversità della fortuna, la quale senza pensiero e senza onore, poteva essa sola durar feroce coi suoi acuti flagelli contro quella povera provincia italiana. Non mancò di fatti in ogni tempo alla Sardegna il compianto dei buoni, dacché non valeva farle rimprovero delle sue calamità, che d’altronde si era impotenti a mitigare o rimuovere. Di questa carità di patria345 abbiano mercede coloro che la usarono così santa e propizia a prò di quella tapina346 patria dello infortunio. Le mormorazioni di quel volgo, che si vanta di esser nato in più civili contrade, come se fossero sue le glorie archiviate347, non procedono da viltà d’animo, ma sono la boria348 ridicola di chi si assicura monocolo il regno dei ciechi(30). Però (29) Martini, op. cit., p. 26XXV. (30) Non mi sdegna che con buffe leggerezze descrivano le impressioni dei loro viaggi in Sardegna i moderni DulcamaraXXVI, mi sdegna solo che 341 Indubbie e continue. Manifestato dichiaratamente. 343 amore per onore come richiesto dall’errata corrige. 344 As êra. 345 L’espressione latina caritas patriae vale amore verso la patria. 346 Infelice. 347 Vittorie conquistate. 348 As borea. 342 XXV “Re Carlo Emanuele IV gliela conferì [la croce mauriziana ad Efisio Luigi Pintor] il 3 marzo [1799]. Ad un tempo la ebbe anche il cavaliere Nicolò Guiso; ed il marchese Cugia di Sant’Orsola fu creato gentiluomo di camera del re. Questi tre individui, in nome degli stamenti, si erano recati in Firenze a supplicarlo che venisse nell’isola” (P. MARTINI, Storia di Sardegna dal 1799 al 1816, Cagliari, Timon, 1852, n. 2, p. 26). XXVI Il dottor Dulcamara, medico ambulante, è fra i personaggi de L’elisir d’amo- Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 57 quando cesserà cotesta ignobile gara, che unisce le provincie nei giorni di funerale, e le divide nei giorni di banchetto? Io non lo so; certo è che a senno mio il campanile di Pisa, pendendo a rovina, par che dica agli altri campanili d’Italia: fratelli, gli è tempo di far giudizio! Alla prim’alba del 3 marzo 1799, sette navi mercantili coi paviglioni349 issati a festa, mossero da Cagliari ad incontrare Carlo Emanuele IV. Allo svolto del golfo presso il capo di Sant’Elia350 il re colla reale sua famiglia, lasciato il legno351 che l’avea da Livorno condotto fino a quei paraggi, passò sul bordo di una di quelle navi, e festeggiato dalle salve d’artiglieria352, dal suono delle campane e dalle acclamazioni di un popolo furente di gioia entrò in Cagliari, dopo di aver peraltro solennemente protestato contro questa povera isola la pietra abbiala scagliata una donna, della quale una coorte di farabutti ha voluto fare la Beeker-StoweXXVII d’Italia. Cotesta donna per fare onore all’antonomasia dei suoi adulatori, poiché la donna è l’unica menda pensata dal Cielo a ristoro delle umane avversità, avrebbe ben potuto seguire le orme di Beeker-Stowe o della SandXXVIII, scrivendo per alleviare, non per avvelenare l’esistenza di chi è già troppo afflitto senza le contumelie dei malevoli. Ma per essere generosa ed umana non occorreva già a cotesta donna d’imitare quelle inimitabili e chiare scrittrici; le sarebbe bastato d’inspirarsi nelle creazioni del sesso meno gentile, imparando per esempio la carità da chi seppe ideare quel divino tipo d’EloaXXIX, da chi dettava il sublime carme Dio e la bajade349 Bandiere. Istmo che divide in due il golfo di Cagliari e che prende il nome da una Chiesa che lo Spano vuole edificata dai frati del Carmine (cfr. G. SPANO, Guida della città di Cagliari, cit., p. 381). 351 L’imbarcazione. 352 Spari contemporanei di molti pezzi d’artiglieria, in segno di onore, gioia o festa. 350 re, melodramma giocoso in due atti di Gaetano Donizetti. Il titolo si riferisce al prezioso e miracoloso rimedio per tutti i mali smerciato proprio da Dulcamara. XXVII Harriet Beecher Stowe (1811-1896), scrittrice statunitense, è autrice de La capanna dello zio Tom (1852) contro la schiavitù in America. XXVIII George Sand, pseudonimo di Amandine Lucie Aurore Dupin (1804-1876), scrittrice francese del movimento romantico, promosse i diritti di uguaglianza del mondo femminile. XXIX Alfred de Vigny (1797-1863), aristocratico francese, scrisse Eloa o la sorella 58 ANTONIO BACCAREDDA contro le violenze usategli dagli agenti del governo francese in Torino(31). Quaranta pescatori si accinsero a trascinare, a luogo dei cavalli, il cocchio che dovea condurre alla reggia gli augusti coniugi; raXXX, o da colui che evocava dalla sua immaginazione la culta e gentile Partenia per inviarla a porgere la sua mano civilizzatrice al barbaro Ingomaro, al figlio delle selveXXXI; quella Partenia che benefica, perché intelligente, corresse le ire brutali di quel selvaggio, che moderò la gagliardia delle sue feroci passioni, che il vaso della bevanda seppe abbellargli di fiori, e che lo addusse finalmente nella felice sua patria, ivi offrendogli tetto ed amore, doni questi che il selvaggio a sua volta ricambiava, dando alla civile Grecia di un tempo lezioni di vivere onesto e leale. A coloro che addossano ai sardi la cagione dei loro mali presenti, senza darsi cura di mitigarli, rammenteremo qui la classica favola di LocmanXXXII. «Un fanciullo si lanciò un giorno in un fiume senza saper nuotare. E fu ad un pelo d’annegarsi. Alle sue grida accorso un uomo cominciò a fargli rimproveri. Ma il fanciullo rispose: “Prima salvatemi, poi mi rimproverate”». (31) Martini, op. cit., pag. 37XXXIII. V. anche Botta, op. cit., lib. XV, pag. 300XXXIV. degli angeli (1824), romantica riflessione sul male come sfortuna e non come colpa. XXX La ballata Dio e la baiadera. Leggenda indiana (1815) è opera di Johann Wolfgang Goethe. XXXI Il figlio delle selve (1753) è una favola pastorale in tre atti opera del compositore tedesco Ignaz Holzbauer (1710-1783) con libretto dell’italiano Carlo Sigismondo Capece. Il personaggio del barbaro Ingomaro venne interpretato dall’attore Tommaso Salvini. Partenia è soprannome di Athena, dea greca della Sapienza, e deriva dalla scelta di consacrarsi alla verginità (dal greco, parthenos, vergine). XXXII Lockman o Luqman è un personaggio leggendario del paganesimo arabo, fabulista, soprannominato Hakim, il Saggio. La favola cui Baccaredda si riferisce è contenuta in M. de Bellegarde (a cura di), Les Cinq fabulistes ou les trois cents fables d’Esope, de Lockman, de Philelphe, de Gabrias et d’Avienus, Paris, 1802. XXXIII “È vero che prima di scendere in terra, il re stesso protestò contro alle violenze usategli dagli agenti del governo francese in Torino” (P. MARTINI, op. cit., p. 37). XXXIV “Essendo stato il re oppresso da un assalto improvviso, assalto che non avrebbe mai dovuto aspettarsi da parte di una potenza sua alleata, e nel momento stesso in cui, per richiesta di lei, aveva posto le proprie forze nel grado della più profonda pace” (C. BOTTA, Storia d’Italia dal 1789 al 1814, Capolago, Tipografia Elvetica, 1838, tomo IV, libro XV, pp. 145-146). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 59 ma il re nol consentiva, sdegnoso che un tributo di devozione e di amore, tornasse a disdoro353 dell’umana dignità; e le persone che vestivano i ricchi panni od il cojetto354 capirono ad un tratto che un uomo vale un altro. Quest’atto accrebbe l’esaltamento355 del popolo. Frattanto il reale corteggio356, accompagnato dalle truppe regie e dalle milizie nazionali, traeva alla porta del Castello in mezzo alle corporazioni delle arti, che gli facevano ala lunghesso357 la via. Già sulla gradinata della porta maggiore dell’antica e magnifica cattedrale le primarie dignità ecclesiastiche, militari e civili del paese sostenevano spiegato il baldacchino a onore del re; ma quivi pure egli ricusava tanta onoranza, (dicevole358 più che a re) inconscio tuttavia, come cattolicissimo, di biasimare questo rito pagano a coloro, che pur pagani erano nella lingua delle loro preghiere, come poco stante lo furono anche nell’intenzione cantando il Te deum359 a lode dell’uomo. Arrivato in corte e ricevute le più cospicue persone del paese, primo suo atto fu di conferire le insegne di cavaliere a d. Efisio Pintor. A tutti fu cortese di un benevolo sorriso e di affabili parole; ma quando udì il nome di Vincenzo Sulis, ricomponendosi in gravità360: – Avvicinatevi a me – gli disse, posandogli lievemente la destra sopra una spalla – So quanto vi devo apprezzare amico mio! Di voi serberò cara la memoria finché avrò vita. Profferite appena queste parole, e voltosi al duca d’Aosta361 che gli era allato, gli accennò il benamato tribuno e il valoroso campione delle sarde milizie. 353 A disonore. Corpetto di cuoio tipico dell’abbigliamento popolare maschile. 355 L’esaltazione. 356 Corteo. 357 Lungo. 358 dicevole per dicevale come richiesto dall’errata corrige. Conveniente, che si addice. 359 Preghiera della liturgia cattolica di ringraziamento e di lode cantata o recitata in particolari solennità. 360 In solennità. 361 Vittorio Emanuele di Savoia, duca d’Aosta, poi re con il nome di Vittorio Emanuele I (1802-1821). 354 60 ANTONIO BACCAREDDA – Altezza – mormorò con dolce maniera – non è unico, ma è raro abbastanza un uomo come questo; e poiché lo sperimentammo vero amico, serbiamocelo sempre tale. – Sì, maestà! – esclamò a mezza voce il duca, stringendo nel medesimo tempo la mano al Sulis. In quel punto fra le persone del seguito del re fu inteso un leggiero bisbiglio; e fu in quel momento medesimo un guardar fiso362, e poi un accennarsi l’un l’altro il modesto amico di sì augusti personaggi. Chi sa quali arditi pensieri si saranno in quell’attimo affacciati alla mente di quei cortigiani! Certamente i più deboli avranno detto nel loro intimo – lo utilizzeremo; i più potenti – lo annichiliremo363! A tanta degnazione del principe ei se ne stavano tutti invidamente ustolando364 un solo di tanti atti, di tante parole prodigalizzate365 ad un uomo del popolo, che mai non avrebbe dovuto oltrepassare le soglie della reggia; e ciascuno nell’animo suo scandagliava i propri meriti per indi metterli in equazione con quelli del neo-favorito. Se ebbero a star lieti di questo esame di coscienza non è a dirsi; si dirà solo che meglio che ingraziarsi l’animo del principe tornava loro366 abbatterne l’idolo; e non furono certo lenti a iniziar l’opera conducente allo scopo. Frattanto il buon re, abbandonavasi come era sua natura alla schietta espressione dei propri sentimenti, e s’interteneva367 col Sulis favellando di mille cose svariate, lodandolo delle sue imprese come uomo d’armi, come cittadino egregio; toccò infine della sua famiglia, e gli dimandò se avesse dei figliuoli. – No, maestà, figli non ho, né desidero. – Né anch’io – soggiunse il re – ma mi consolo per la virtuosa donna, come già dissi in Torino al signor Ginguené, ambasciatore della repubblica francese(32). (32) Botta, op. cit., lib. XV, pag. 281XXXV. 362 Fisso, attento. Lo annienteremo, gli faremo perdere ogni autorità. 364 Desiderando ardentemente. 365 Rivolte in modo eccessivo e sconsiderato. 366 Avevano un tornaconto, quindi conveniva. 367 Si intratteneva. 363 XXXV “Fu Ginguené uomo, non solo di probità apparente, la quale non è altro che Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 61 Alludeva il re alla regina Maria Adelaide Clotilde sua consorte e sorella allo sventurato Luigi XVI; e poco stante le sue parole divennero via via più rade, improntandosi di malinconia. Ricorreva allora alla mente di Carlo Emanuele tutto che avea sofferto; e allora più che mai sentiva quale per lui fosse intollerabile peso il diadema, che qualche anno appresso cedea al suo fratello Vittorio Emanuele. Da parte la sua mite natura, schiva dal fasto e da ogni mondana e ambiziosa tendenza, egli ebbe a traversare una delle epoche più tempestose e straordinarie che ricordi la storia. Prima gli orrori della Convenzione368, che si fecero sentire fin nella sua famiglia; poi le giunterie di quel soppiattone del Direttorio369, che rappresentava con Carlo Emanuele la parte del lupo come nella nota favola, cavillando sempre ragioni e pretesti per realizzare apertamente, quanto in celato tramava coi repubblicani di Piemonte. Il Direttorio che venne meno ai trattati di alleanza stipulati col re, audacemente lo accusava di slealtà; esso che s’impadronì colle sue armi delle principali città degli Stati sardi, che ne strinse d’assedio la capitale, che ne volle in suo potere la cittadella, e poi che gl’intimò la guerra(33). Nell’atto di abdicazione firmato a Torino si concedeva al re ed alla sua famiglia come unico asilo l’isola di Sardegna, nel mentre che i repubblicani di Francia proponevano a Vincenzo Sulis di tradire la Sardegna alla Francia. Nemmeno spogliato dei suoi Stati, nemmeno avviandosi al suo esilio fu rispettato il dolore del diseredato, poiché sì a lui che alle persone del suo seguito, mute e tetre come il destino del loro (33) Botta, op. cit., lib. XV, pag. 300XXXVI. 368 L’Assemblea legislativa, che governò la Francia fra il 1792 e il 1795, elaborò la costituzione della prima Repubblica. 369 Gli inganni dell’infido Direttorio. ipocrisia, ma di probità vera, austera e reale: aveva l’animo benevolo e volto alla vera filosofia, amatrice degli uomini” (C. BOTTA, op. cit., tomo IV, libro XV, p. 126). XXXVI “Così ruinò la casa reale di Savoia. Non so ora se mi debba raccontare l’intimidazione di guerra fatta il dì 12 decembre dal Direttorio, quando già la guerra non solo era stata fatta, ma anche terminata con la distruzione dell’autorità regia in Piemonte” (C. BOTTA, op. cit., tomo IV, libro XV, p. 143). 62 ANTONIO BACCAREDDA signore, fu imposto dai soldati repubblicani di porsi sul cappello la nappa a tre colori(34). Questa era la libertà, questi i tanto vantati diritti dell’uomo che si proponevano di diffondere gli apostoli di Tommaso Payne370? (34) Botta, op. cit., lib. XV, pag. 300XXXVII. 370 Thomas Paine (1737-1809), politico e filosofo inglese, lega il proprio nome alla rivoluzione americana da lui promossa nel 1776; fu fra gli estensori della Carta dei diritti dell’uomo. XXXVII “Abbandonava il re, abbandonavano i reali di Piemonte la gloriosa sede degli antenati loro. [...] Scortavangli ottanta soldati a cavallo francesi, altretanti piemontesi: gli accompagnarono insino a Livorno di Piemonte. Corse fama, e fu anche affermato, che o per timore volontariamente, o perché fossero dai cieli serbati a tanta indegnità, a ciò costretti dai soldati repubblicani, acconciassero ai cappelli loro le nappe di tre colori” (C. BOTTA, op. cit., tomo IV, libro XV, pp. 142143). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 63 VI. In preda alla propria passione la consorte di Sulis non credeva già d’aver accolto in cuore maggiori o più fondati elementi di geloso sospetto contro di lui, ma di possedere ormai la profonda convinzione, la lampante certezza che egli la posponesse a un’altra donna. Due argomenti formidabili ella contrapponeva sempre a quell’avanzo di fiducia che pur sentiva per il suo consorte: un antico amore nudrito371 per una di lui cugina, molto avvenente e ancor giovine; l’assoluta riservatezza che egli serbava mai sempre con lei, anche nelle cose più semplici ed innocenti, per cui in assenza di prove palesi e secure, la sua fantasia correva le poste, e il suo spirito quindi viveva del continuo martoriato da inquietudini penosissime. Perdoniamole perché era donna, e perché soprattutto la fatalità si compiaceva di vestire a quando a quando372 ai suoi occhi apparenze verisimili per rinfocolarle373 in cuore quella indomabile gelosia, che le facea vedere un poco le cose a bioscio374 sul conto del marito. D’altra parte la sorte non le avea posto a fianco un’amorevole e savia amica per consigliarla nei suoi dubbi, per consolarla nei suoi spasimi; né un essere qualunque che per lei prendesse uno schietto e vivo interesse. Fatalmente la sola persona che l’avvicinasse, ben lungi d’influire con miti propositi sull’animo di lei, avea anzi tutto l’interesse di usufruire dei suoi mal frenati dispetti. Era questi lo stesso cognato di Sulis, quel Giambattista Rossi, che erasi messo alla testa dei cacciatori miliziani per chiedere scompigliatamente375 la paga. Al suo carattere torbido e venale si univa un senso profondo d’invidia per la rinomanza che godeva in Cagliari il suo cognato; e come se ciò ancora non bastasse, avea ricevuto in cuore e coltivatolo con protervo376 disegno il germe di un turpe amore per la cognata istessa. 371 Variante letteraria che vale nutrito. Di quando in quando, talvolta. 373 Riaccenderle. 374 In maniera distorta. 375 Disordinatamente, in modo confuso. 376 Sfacciato. 372 64 ANTONIO BACCAREDDA A fine di rendere più risentite le tinte di questo quadro, aggiungerò che il Rossi era corso. Or ciascuno può pensare da sé che costui, avvicinandosi alla consorte del proprio cognato, non si assottigliasse troppo il cervello377 per pacificarne l’animo, egli che sempre avea giudicato severamente il Sulis e più di una volta con tinte di colore oscuro. Una donna che avesse ricevuto un’educazione appena appena accurata, avrebbe riconosciuto a tutta prima e il carattere del Rossi e le poco oneste sue intenzioni; e conoscendole si sarebbe presa ben guardia378 di alimentarle con una tal quale tolleranza, e dicasi pure confidenza, quale appunto la cognata avea mai sempre usata con esso lui. Ciò contribuì certamente a rendere perseverante il tristo uomo nei pravi379 suoi intendimenti, e ad animarlo a dichiararsi qualche volta all’aperta con essa, senza farsi riguardo o darsi soggezione di nulla. Ma che aspettarsi dalla figlia di un pescatore il quale credea di aver fatto più del dover suo dandola in isposa ad un causidico, ed assegnandole per di più una dote cospicua? Quel suo parlar sempre del marito con geloso risentimento rivelava queste due cose alla mente del malevolo cognato: che marito e moglie non fossero troppo in detta380 fra loro; e che quest’ultima, più che l’idea, coltivasse il senso dell’amore. Vi era dunque più di quel che non si richiedesse da lui per mettersi a impresa con certezza di riescita. Qualche giorno dopo dei casi narrati, non potendosi ella sottrarre alle insistenti interrogazioni del Rossi, che più dell’usato381 le si mostrava premuroso, gli rivolse asciuttamente queste parole: – Io sono tranquilla, io sono contenta, io sono felice, solo che tu non mi costringa a parlare. Mi hai capito? Io non ho voglia di rispondere a tante tue domande. – Avresti una gran voglia di parlare, come l’hai di piangere, se tu avessi più confidenza in me. Con gli occhi così sbattuti e il volto coperto di tanto pallore, non hanno alcun valore coteste tue 377 Non si impegnava particolarmente in quella direzione, spremendosi le menin- gi. 378 Sarebbe stata ben attenta. Malvagi. 380 Non fossero troppo in armonia. 381 Più spesso del solito. 379 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 65 parole di riserbo382. Te lo dirò io invece ciò che hai... Tu soffri in silenzio il suo abbandono; l’ambizione nel suo cuore ha preso il posto dell’amore; il patriota liberale e generoso in piazza non è in casa che un essere indifferente, o peggio, un tiranno! – Tu esageri ogni cosa. Via, non ti voglio sentire con questi discorsi! – Vedi, Vincenza, il cuore mi dice che tu avrai a pentirti di questo contegno così riservato. Ma se lo dice ognuno che tu non puoi essere felice con un uomo come lui. Cotesti pazzi, che si dicono grandi uomini, non dovrebbero aver famiglia, o averla almeno come l’hanno certi uni, nella quale so io che vi è di nuovo. – Io non mi dolsi mai di lui quando si sagrificava per il bene dei suoi concittadini; anzi io mi gloriava383 di essere sposa al difensore di Cagliari, al buon patriota, anche quando profondeva tutto il suo, come fa tuttora, per provvedere alle necessità della patria. Sì, me ne gloriava, lo dico ad alta voce perché voglio che si sappia da tutti che io era in gran parte degna di lui. Io non mi sono mai posta a traverso della sua via. E come lo avrei potuto, se il vidi sempre generoso, fino coi suoi più crudeli nemici, e disinteressato, e coraggioso, e così poco curante della fortuna, che di lui ne avrebbe fatto forse un re? Che è, non ha da insuperbire una buona moglie di tutto questo? – Per chi ama vivere in piazza, ne convengo. – Oimè! – esclamò Vincenza dolorosamente e quasi senza accorgersene – Oimè! È appunto in casa che vorrei vivere, anche consorte al più oscuro cittadino. – Non è vero? – Lasciami stare, non dirmi altro, te ne prego! Vincenza non sapendo più tenere a segno384 le lagrime, per lo sforzo lungamente durato nel nascondere al cognato il suo animo, proruppe in lagrime, che in un subito le inondarono il bel viso, alterato dal più intenso dolore. L’altro le prese allora la mano, e facendo sembianza385 di essere fortemente commosso: 382 Ritegno. Compiacevo. 384 Trattenere. 385 Fingendo. 383 66 ANTONIO BACCAREDDA – Altro che felice e tranquilla! – esclamò egli – Queste lagrime tradiscono un cuore profondamente ulcerato386. Su, via, che hai? Confidati una volta al tuo cognato! – Oh sì, io sono una pazza a farti mistero di tal cosa che è ormai a tutti palese. Ebbene, sappilo; io ho una rivale fortunata, trionfante, audacissima nella cugina istessa di Vincenzo. – Una reminiscenza di giovinezza e null’altro – soggiunse Giambattista, facendo il difficile per costringer l’altra a parlare. – Così credetti anch’io, dacché ad una donna non è lecito quasi mai investigare la condotta passata di chi si tolse a consorte387. Ma da qualche tempo a questa parte in me rinacque, e non a caso, il sospetto che quest’amore, che ei volle dipingermi puro e santo un tempo, ed ora dimenticato, siasi convertito in una tresca388. Sì sì, lo è! Sono mille gli indizi che ne ebbi, e mille le parole che udirono queste mie orecchie. Né basta; pochi giorni or sono, un uomo misterioso uscì di notte tempo dalla sua stanza con ogni maggior precauzione. Volli sincerarmi della cosa, e corsi subito da Vincenzo, che sorpresi leggendo con gran passione una lettera. Oh come mi batteva forte il cuore in quel momento! Sapeva di far male, lo confesso, e di farlo a me stessa; ma tant’è, io non seppi contentarmi ed entrai difilata389 da lui. – Era una lettera di sua cugina? – Certo che lo era, lo giurerei! Ma non fui in tempo a riconoscerne i caratteri; egli nascose subito il foglio; ma il turbamento suo mi dié a conoscere ogni cosa. Quel forestiero era un torcimanno390. – E tu non chiedesti nessuna spiegazione a Vincenzo? – Piansi, pregai, gli dissi quanto può dire una moglie, un’amante. Tutto riescì inutile. È un segreto di Stato, egli diceva, né altro volle dirmi di più. – E gli credesti? – Ebbene, poteva esserlo e grave e delicato; onde io m’acquetai, perché quando si teme troppo, il cuor nostro accoglie così 386 Esacerbato, straziato. Togliere a consorte, forma obsoleta per sposarsi. 388 Intrigo, imbroglio. 389 Diritta, senza fermarmi o distrarmi. 390 torcimanno per torcimano come richiesto dall’errata corrige. Arcaismo per turcimanno, portavoce, rappresentante. 387 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 67 facilmente le scuse come le ragioni, solo che giovino a serenare391 il nostro spirito travagliato dal dubbio... Ma negli scorsi giorni la imprudente mi chiarì da sé il brutto amorazzo, aggirandosi all’impazzata in mezzo alla folla dei cacciatori miliziani, la mattina che tu li conducesti fino alla porta della nostra casa. – È vero, la vidi. – Ad ora così disadatta, negletta negli abiti392, turbata in viso, avrai pure udito che a tutti chiedeva se a Vincenzo sovrastava qualche pericolo393. La cieca passione che la possedeva non le fece pensare allo scandalo cui diede luogo col suo ridicolo contegno. A questo racconto la fisonomia dell’altro si animava come irradiata dall’intima speranza di poter cogliere fra breve il frutto delle sue arti subdole e perverse; e prendendo con viva e straordinaria dolcezza la mano della cognata così prese a dire: – Vincenza mia, tu hai deposto le tue lagrime nel cuore di un amoroso parente, di che non avrai a pentirti giammai! Io, se me lo permetti, scoprirò questa tresca e la sventerò, sta sicura; poiché mi sta troppo a cuore la tua pace. – Per l’amor di Dio, tu vuoi perdermi! – Non temere di nulla – soggiunse il Rossi con somma pacatezza – La prudenza si raccomanda ai fanciulli, ed io sono un uomo. Quel giorno in cui vedrò sereno il tuo volto, e potrò dire che questa fu opera mia, persuaditi che quello sarà il più bel giorno della mia vita! Uno sguardo pieno di tenerezza, e in uno di cupido desìo394, accompagnò queste ultime parole, che fecero rabbrividire la inesperta donna, sebbene fosse lontana dal sospetto che l’altro potesse muovere insidia alla sua virtù, e che ella gliene agevolasse la via colle sue imprudenze; pure sembrandole molto strano il contegno del cognato, fece capire che ella desiderava di rimaner sola. 391 Rasserenare. Ad ora così inadeguata, trasandata, sciatta, negli abiti. 393 Se su Vincenzo incombesse qualche pericolo. 394 Desiderio, bramosia. 392 68 ANTONIO BACCAREDDA VII. Per ricostituire in Sardegna sovra solide basi lo sgominato potere governativo, atto di somma convenienza fu stimato il concedere intiera amnistia ai compromessi per delitti politici. Contemporanea fu la nomina dell’egregio conte di Chialamberto395 a ministro del re, e del duca d’Aosta a governatore della città di Cagliari ed a generale delle armi del regno. Per altro l’ascendente che sull’animo di quest’ultimo godeva il marchese di Villamarina396, comandante palese della piazza di Cagliari e capo occulto della reazione, non solo neutralizzò i buoni intendimenti del re e dell’ottimo suo ministro, ma in breve pervertì397 ogni bene iniziato ordinamento di cose, istituendo quel malaugurato potere economico, che da quell’epoca travagliò ed imbarbarì la Sardegna fino al 1848(35). Cominciarono da quel momento i soprusi militari e del partito trionfante, il quale sotto colore di perseguitare i giacobini, infirmava gli effetti della grazia sovrana verso gli angioini; e togliendo a pretesto l’ordinamento delle milizie urbane spogliava d’ogni prestigio gli uomini più influenti del popolo, primo fra i quali Vincenzo Sulis. Quando questi accorgimenti machiavellici398 non approdavano al tutto, allora si ricorreva alle armi ancor più ignobili del discredito, non pretermettendo399 nemmeno quelle della calunnia. Sogliono le repubbliche – dice Carlo Botta(36) – o adulare o (35) Martini, op. cit., pag. 51XXXVIII. (36) Botta, op. cit., lib. XV, pag. 300. 395 Domenico Simeone Ambrosio, conte di Chialamberto, segretario di Stato, di Guerra e di Gabinetto. 396 Giacomo Pes Villamarina, capitano della guardia. 397 Cambiò in peggio. 398 As macchiavellici. Dal nome di Niccolò Machiavelli: accorgimenti astuti propri di un uomo spregiudicato. 399 Non comune, per omettendo, tralasciando. XXXVIII “Cadeva in tale guisa nelle parti più sostanziali il diploma del 1796. Ma se ne parlo con parole risentite, non è già per lamentare un danno, ma per biasimare gli stamenti, più che motori, supplicatori della rovina della propria opera. Il 28 agosto 1799 segnò il principio di quella loro agonia politica che si chiuse negli 8 febbrajo 1848” (P. MARTINI, op. cit., p. 51). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 69 calunniare, o uccidere i loro cittadini grandi. Sogliono le monarchie, ogni cosa al re riferendo, soffocare la fama e le opere egregie dei servitori magnanimi. Così a nome dell’ordine, del bene pubblico e del re s’imprigionava senza motivo, si processava senza condanna, si condannava senza processo. Carceri, pene infamanti, torture e patiboli a tutto pasto si ammannivano400 all’atterrito paese, ormai persuaso che i mutamenti politici, procedano da ristorazioni o da riscosse, altro non costituiscono che una vicenda di metodiche vendette. Se cose sì deplorabili si fossero potute dare a Carlo Emanuele, bene dovremmo dirgli, che di tali estremità certo la minore sarebbe stata quella di accettare il baldacchino alle porte del duomo, o il tiro a quaranta dei marinai equini401 alle porte della città di Cagliari. A questo punto potremmo chiederci qual sia il migliore dei governi. Pope402 risponderebbe: il meno cattivo. L’ottimo poi sarebbe quello, che rispettando innanzi tutto l’uomo il quale, non est in omnibus, quam in singulis major403, pensasse poscia a tutelare la società colla inquisizione del bene e colla persecuzione del male. Per questo governo occorrerebbero onesti gli amministratori, onestissimi i sindacanti, i quali appunto perché onestissimi, perorassero la causa di tutti, e non la propria col muovere ai governanti l’invida guerra di successione. Libertà di coscienza, ma sul terreno dell’azione nessuna libertà di fare il male; quindi al governo facoltà illimitata di prevenirlo. L’uomo veramente onesto 400 Continuamente si allestivano. Allude ai segni di sottomissione tributati dal Sulis al sovrano nel momento dell’arrivo a Cagliari, quando la città fu addobbata a festa, vennero eretti archi di trionfo e sistemati baldacchini; in aggiunta, il Sulis volle staccare i cavalli dalla carrozza reale e assieme ai suoi seguaci manifestò l’intendimento di trainarla: “volli io per il primo scattenare i cavalli della sua carrozza e mettermi sotto il giogo per tirarlo sù con altri 12 da me scelti fino al Palazzo Reale [...] ma contentandosi solo dell’atto [il Re] chiamò me dal cochio dicendomi che non voleva esser tirato dalle genti, ma che si contentava solo dell’atto, e che di nuovo si attaccassero i cavalli, e così fu fatto” (V. SULIS, op. cit., p. 73). 402 Alexander Pope (1688-1744), poeta inglese, nel suo Saggio sull’uomo, scrive: “Lascia discutere i pazzi sul governo migliore: il miglior governo è quello meglio condotto”. 403 Non è maggiore in tutti che in ciascuno (SANT ’AGOSTINO, De civitate Dei, libro X, cap. 3). 401 70 ANTONIO BACCAREDDA (sono tutte belle parole, lo capisco!) meno paventa404 le intemperanze dell’autorità, che quelle della popolaglia. Riportare in minuto405 le basse mormorazioni, che correvano in quei giorni a Cagliari contro il Sulis; far cenno dei fini aggiramenti di chi disacerbava406 il proprio mal talento insinuando il discredito nella moltitudine contro a lui; narrare in fine i commenti, i sarcasmi, le profezie a suo danno, sarebbe lo stesso che non rifinirla mai, per dire cose poi che si capiscono di volo407 in tempi come i nostri, nei quali è sì in uso lo stile di vilipendere408 e straziare la riputazione d’ognuno. Le fazioni, e le conventicole409 grandi e piccole, che così bene attecchiscono in Sardegna, sotto questo aspetto in nulla dissimile dalla sua madre patria410, non si rimanevano dal ricercare nella condotta del Sulis le ascose ragioni intese a saziare le sue ambizioni di ricchezza o di autorità. Ma il popolo non vedeva, il poverino! Che la superficie delle cose, pur servendo inconscio alla realtà di esse. Ed ecco come si parlava dai meno accorti, che si rendeano così stromento411 delle abili gherminelle412 della reazione. – Avete visto che grosse bubbole413 ci diceva il nostro capopopolo per farsi credere un Cincinnato414? Gli fu data l’offa415 nominandolo direttore degli stabilimenti saliferi, e buona notte! Ieri ci carezzava; domani ci farà mettere le manette. – Bene fu che gli togliessero il comando dei cacciatori miliziani. 404 Meno teme. Nel dettaglio. 406 Mitigava. 407 Al volo, immediatamente. 408 Offendere. 409 Adunanze segrete e con malvagi intenti. 410 Il Piemonte. 411 Arcaismo per strumento. 412 Inganni, imbrogli. 413 Menzogne, fandonie. 414 Lucio Quinzio Cincinnato (V sec. a.C.), cittadino romano che dopo aver combattuto con molto valore per la patria si ritirò a vita modesta. 415 Focaccia, e in senso figurato, come nel caso, compenso dato per quietare l’avidità della persona veniale. 405 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 71 – Sì, gli tagliarono le unghie, ma gli misero i guanti416. – Che vorresti tu un cortigiano senza guanti? Come oserebbe porger la mano al suo buon principe? – Badi Vincenzo Sulis alla fine di Gerolamo Pitzolo... – E a quella del marchese La Planargia! Il popolo, anche in questo come Dio, non paga il sabbato417! Il parlare che contro al Sulis si facea nelle alte sfere sociali era nella forma assai più composto, ma nella sostanza egualmente protervo e velenoso; che anzi, per vestire un’apparenza di biasimo più ponderato e scevro da volgare passione, acquistava nella plebe credito di ragionevolezza e di verità. Egli era tuttavia sempre più bene accolto in corte, sebbene usasse con parcità418 somma di tanta invidiata distinzione. Sempre egualmente caro al duca d’Aosta, nulla a suo disfavore avea mai detto il fido marchese di Villamarina, poiché uso come era ai maneggi di corte e provetto nella tattica della diplomazia, stimava prudente attendere che il meditato colpo venisse al Sulis, non già dalla reggia, ma dalla piazza. Lungi dunque dal coltivare il sospetto che contro lui vilmente si cospirasse da personaggi di così alta condizione, il Sulis non ismetteva il suo parlar franco e risoluto, e sempre patriota e suddito leale a tutti apriva l’animo suo colla schiettezza propria del suo carattere. Egli non si era neanco rimasto dal dire al re, presente il marchese di Sant’Orsola, suo gentiluomo di camera, e lo stesso marchese di Villamarina, che il paese non era punto contento, che il governo economico facea mala prova assai, e che dai più si penava a capire come egli (il re) così mite, colto e sopratutto religioso, soffrisse in pace che la sua volontà sovrana non prevalesse di fatto sui consigli di coloro che erano deputati ad eseguirla. – Mio amico – gli rispondeva il re colla solita sua benignità – non è che io lo soffra, egli è solo che Iddio non mi temprava alle gravi cure di un regno. – Sire! – esclamò enfaticamente Villamarina – l’importanza 416 Gli tolsero una parte del potere, ma lo tennero a corte. Popolare per sabato. Il proverbio significa che il castigo per una cattiva azione è immediato. 418 Parsimonia. 417 72 ANTONIO BACCAREDDA delle cose che disse ora il nostro Sulis, credo che stia solo nella forma un poco libera del suo parlare. – Anche questo è possibile, maestà; e ve ne dimando perdono! – soggiunse con ingenuità l’onesto tribuno – Io non ho pensato ad altro che a dirvi le cose come credo che sieno; e però pregherei il signor marchese a voler supplire con un linguaggio più fornito419 al mio difetto, giacché non si tratta che di forma. Badi per altro a non cogliere in fallo le mie intenzioni, che sono di un suddito leale. – E con questo? – chiese il re – Io sono grato a chi mi dice la verità, se anche rudemente. – Maestà, un sovrano non dee render conto che a se stesso e a Dio delle sue azioni – riprese a dire con affettata sommissione il confidente del duca d’Aosta – e noi dobbiamo inchinarci dianzi alla vostra augusta volontà. All’infuori di ciò vi è l’irriverenza, l’offesa, se altro di peggio non vi è. Il Villamarina accentuò le ultime parole, dando di furto420 al Sulis un fiero sguardo. Carlo Emanuele ascoltava le parole del magnate421 scuotendo la testa; e con impazienza aspettava che l’altro terminasse. Quando poté riavere la parola così parlò con visibile concitazione422: – E quali conti renderà a Dio un sovrano? Oh non ci nascondiamo che ad un cristiano mal si addice la corona di un re, ei dovendo percuotere più soventi423 che non gli occorra di beneficare! Nella vita, signori miei, vi ha una lotta continua e difficile a sostenere; e questa si mantiene finché vi saranno uomini che tengono la via della salvezza, ed altri quella dell’abisso; finché da un lato si combatterà per l’anima, e dall’altro si militerà per il corpo. Che potrà fare un re messo nella dura alternativa di conciliare partiti sì disparati? Non sentendosi forte a spezzare il suo scettro contro i gradini del trono, che tanto lo allontanano dai suoi fratelli, altro non gli avanza che di alternare alle leggi di sangue quelle dell’amore; che da una banda affliggere il suo simile, dall’altra 419 Provvisto di tutto ciò che serve. Furtivamente. 421 Personaggio importante, notabile. 422 Foga, fervore. 423 Spesso. 420 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 73 sovvenirlo di paterno aiuto424; così sempre con una mano cancellare l’opera dell’altra, e vivere perplesso fra le benefiche ispirazioni del cielo, e le perfide suggestioni dell’inferno. No, non vi dissimulo che questo serto reale è per me un insopportabile peso425! – Maestà! – esclamò il marchese di Santa Orsola, atterrito dal linguaggio del re, che non ponea punto mente agli atti dei due personaggi di corte, smaniosi di ridurlo da quello stato di febbrile esaltamento426. – Ma sono ancora in tempo, figli miei, sì che lo sono, per obbedire ai mal combattuti miei istinti! Essi vinceranno di me e di tutti, state certi, perché alla Dio mercé, io posso volere; sono re finalmente! Getterò via il mio manto reale, in cui inciampo ad ogni passo; e libero salirò sul Golgota per stringere la croce di Dio! Né si dirà di me quello che Filippo II disse di suo padre427(37). Dovessi pur come Gustavo Wasa stentar la vita nella più squallida miseria428, io non mi volgerei a riguardare la mia reggia, mai! Lo scettro, oimè! scava la tomba all’anima. So io quali spettri veggo assidersi sul mio capezzale429, mentre tutti gli uomini nel silenzio pauroso della notte dormono i riposati loro sonni. Il re non dorme allora; no! Le sue pupille sono immote430, il suo respiro è affannoso, la sua fronte è molle di gelido sudore. Non vi ha sulla terra una creatura più misera di lui! Egli è il primo per volontà del popolo, l’ultimo per decreto di Dio. – Maestà! – replicò pallido e sgomento il marchese di Sant’Orsola. (37) Il Cardinale de Granvelle disse un giorno a Filippo II: «“egli è un anno che l’imperatore ha rinunziato a tutti i suoi stati”; ed il re rispose: “ed è da un anno altresì che ha incominciato a pentirsene”». 424 Da una parte, affliggere il suo simile, dall’altra sostenerlo paternamente. Non vi nascondo che questa corona rappresenta un peso insopportabile. 426 Delirio. 427 È Carlo V il padre di Filippo II di Spagna (1527-1598). 428 Gustavo I Vasa (1496-1570) fu il primo sovrano di Svezia. Lottò infatti affinché la sua nazione si affrancasse dalla sovranità della Danimarca, vivendo a lungo come fuggiasco, in miseria e perseguitato a causa della consistente taglia che il governo danese aveva imposto sulla sua testa. 429 Cuscino. 430 Forma letteraria che vale immobili. 425 74 ANTONIO BACCAREDDA Carlo Emanuele si scosse all’improvviso; indi volgendo intorno lo sguardo quasi trasognando, reclinò la testa e mise un lungo sospiro431. Vi furono alcuni istanti di silenzio. – Sta bene, marchese, sta bene! – disse il re guardando con visibile turbamento il suo gentiluomo di camera – So che volete dirmi... Non parlo più; sarete contento? Qualche momento dopo egli esternò il desiderio di restar solo, come usava tutte le volte che si sentiva invasato da cotesti accessi di vera tristimania432(38). Non meno strana era la scena cui dovea fra breve assistere in sua casa il nostro tribuno; né meno profonde le emozioni che colà l’attendeano, sebbene soavissime e quali appunto si convenivano al suo spirito conturbato433 dalle tremende parole del suo buon sovrano. Mentre il Sulis scendea impensierito gli scaloni del palazzo reale, il marchese Villamarina l’osservava non visto da una loggia (38) Botta, op. cit., lib. XIII, pag. 139XXXIX. 431 Girando lo sguardo intorno quasi incantato, imbambolato, reclinò la testa ed emise un lungo sospiro. 432 Depressione. 433 Scosso, sconvolto. XXXIX Si tratta del libro VIII. “Successe nel regno a Vittorio Amedeo III Carlo Emanuele, quarto di questo nome, principe ammaestrato in molte belle discipline, ornato di tutte le virtù che in uomo capir possono, e devotissimo alla religione. Ma con l’animo santo aveva il corpo infermo; perciocché pativa straordinariamente di nervi, e questo male, al quale non vi era rimedio, gli rappresentava spesso di strane fantasie, che il facevano parere assai diverso da quello ch’egli era veramente. Per tal modo Carlo Emanuele IV cominciò a regnare in un regno desolato, fu afflitto continuamente da ombre e da ubbìe singolari, e cessò di regnare più miserabilmente ancora che non aveva incominciato” (C. BOTTA, op. cit., tomo II, p. 159). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 75 del palazzo istesso; e con cupo livore434, manifestato appena da un amaro sorriso, canticchiava a fior di labbra: A passu a passu et pianu Ti hap’a sighire che boe; Si non poto sighire hoe, Ti hap’a sighire manzanu(39). (39) “Io seguirò le tue orme a piano passo; se non oggi, domani ti raggiungerò fermamente”. Proverbio sardo in dialetto logudoreseXL. 434 XL Risentimento, astio. “A passu a passu et pianu / Ti hap’a sighire che boe / Si non poto sighire hoe / T’hap’a sighire manzanu. A passo e pianino come il bue, io ti seguiterò e se non ti posso raggiungere oggi, lo sarà dimani” (Proverbio della perseveranza, G. SPANO, Vocabolario sardo-italiano e italiano-sardo, Cagliari, Tipografia Nazionale, 1851, vol. I, s.v. boe). 76 ANTONIO BACCAREDDA VIII. Vincenza se ne stava frattanto nella sua stanza da letto, conducendo un lavoro d’ago435. Essa per legge di compensazione concedeva alla propria fantasia ciò che non poteva alla parola, giacché erasi proposta, per mala intesa dignità di donna e di moglie, di non parlar mai più al consorte di quello che nei dì passati le avea cotanto amareggiato il cuore. La sua mente di fatti piena d’immagini tristi e d’inclementi propositi si compiaceva di tutto immaginarsi il peggio che potesse capitarle; e in questo fare prorompeva in penosi e frequenti sospiri, e cospergeva436 di mal frenate lagrime le mani, che operose non si ristavano dal lavorare437. Si trovava appunto in questo stato, quando la serva venne a dirle che la sua cugina desiderava vederla. A questo annunzio, Vincenza impallidì a vista; si fece però forza, e dopo di essersi asciugati gli occhi e imposto un’aria di volto il più che seppe tranquilla, disse alla serva: – Viene propizia; falla entrare. Poco stante una donna di trent’anni circa, vivace, sorridente si trovò al cospetto di Vincenza, cui stese con gentilezza la mano. L’avrebbe anche baciata in viso, ma non osò avventurarsi fino a tanto. – Buon dì, Giovanna! Che miracolo è questo? – Oh dimmi innanzi tutto come stai? Dio mio! Sei molto triste. Che hai? Piangevi forse? – Sì, non lo niego; nella mia solitudine è uno dei miei passatempi questo. Che vuoi? Mi contento – rispose Vincenza asciuttamente – Ma la tua venuta in mia casa che significa? Qualche gran fatto, m’immagino! – È vero – soggiunse l’altra alquanto turbata – Ci vediamo così di rado! Non è certo per mancanza d’affetto, sai? – Oh non ne dubito punto – disse Vincenza in tuono d’ironia – E perché non dovremmo amarci noi? Una breve pausa era necessaria a Giovanna per sostenere con 435 Ricamando. Letterario per cospargeva. 437 Non si fermavano e continuavano il ricamo. 436 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 77 pazienza i sarcasmi della cugina, e per disporsi a proseguire con calma. Dopo parecchi istanti di silenzio ripigliò: – Vincenza, è necessario che io ti parli di tuo marito. – Nell’interesse di chi? – Nel suo... – Davvero?... E allora perché non rivolgerti direttamente a lui? – Perché – rispose l’altra esitante – perché troppi commenti si farebbero se io l’osassi. – Osare? Mio Dio! Non sei la sua cugina tu? Questi veramente sono scrupoli che io non intendo né scuso – soggiunse la consorte di Sulis. – Vincenza, non parlarmi con questo tono di sarcasmo. Io non lo merito; poiché se io m’imposi il più grande riserbo verso di lui, fu solo per te... – E nulla per tuo riguardo? – chiese l’altra potendo a malo stento438 contenersi. – Che intendi dirmi? Oh! Egli è tempo che ti spieghi. – E debbo farlo io? – Sì! Giacché ogni tua parola è un oltraggio. Del resto io venni per lui come per te, se ti cale439 della pace e della felicità di tuo marito. – Di che si tratta? Via, sentiamo!... Vincenza profferì queste parole con una serietà ed un sussiego440 rimarcabilissimi, e socchiudendo con malizia gli occhi, che osava appena affissare in quelli della sua rivale. – In Cagliari si dicono serie cose contro tuo marito; per poco è che non lo si chiami un traditore! – Come, Vincenzo? – esclamò l’altra presa da raccapriccio. – Così è di fatti. Ora tu devi fargli conoscere la sua vera situazione, per la sua, per la tua pace. – Ma che ha fatto egli? Non basta tutta la sua vita passata a difenderlo contro le calunnie degli invidiosi suoi nemici? – Dovrebbe, ma pure non è così. Sono in bocca di tutti le parole più ingiuriose contro la presente sua condotta. In prima lo 438 A fatica. Se ti importa. 440 Arroganza, supponenza. 439 78 ANTONIO BACCAREDDA si prendeva a schernire; ora sinistre voci corrono per infamarlo e peggio. – È impossibile! Questo tuo è un sogno senz’altro, un sogno, mi capisci? Vincenzo può aver dei gravi torti e molti verso la famiglia, non uno per altro verso il paese. – Oh bastassi tu a rimuovere gli altrui sospetti, come io a dileguare i tuoi! – Forse che sono ingiusti i miei sospetti? – Or sì, lo sono. Giovanna nel profferire queste parole atterrò i suoi bellissimi occhi neri, e con atto verecondo441 mormorò languidamente: – Ma non venni da te per giustificarmi, no: tu non mi ascolteresti, od ascoltandomi ancora, non mi crederesti. Di ciò ne discorreremo con pace un’altra volta. – Di fatti... – Eppure io ti parlo ora come se fossi presente all’ombra della mia povera madre! Vincenza mia, discaccia il timore ingiusto che io ti rapisca l’amore del tuo consorte. L’amai, non lo niego, l’amai troppo; e se avessi voluto egli sarebbe stato mio sposo. Egli era giovinetto inesperto, abbandonato da tutti, fin da suo padre. Io era ricca, libera, l’amava... E forse... Deh perdonami, Vincenza! Forse anch’egli mi amava. Ma le sue leggerezze, diciamolo anche, i suoi gravi errori giovanili mi trattennero; e così il tempo fece ciò, che il mio cuore non avrebbe saputo da principio. Gli stretti vincoli di parentela, le sue imprese eroiche, il suo nobile disinteresse per l’infelice nostra patria, ecco quanto me lo rende ancor caro; però, te lo giuro per la memoria santa di mia madre, caro senza colpa, come un fratello, un amico! Gli occhi di Giovanna si empirono di lagrime e quelli altresì di Vincenza, che serenandosi in viso, protese con trasporto ineffabile le sue mani verso la cugina. – Taci, Giovanna! Io voglio crederti; ne ho troppo bisogno... Sì, io ti amerei come la prima, come l’unica mia amica, a me tanto più cara, quanto in passato meno lo fosti. – Credimi, perché non si ripete il giuramento che dianzi t’ho fatto; turberei così il riposo della mia povera madre! – Basta così! – ripigliò a dire la moglie di Sulis – E tu perdo441 Pudico, casto. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 79 nami, te ne prego! Or se me ne riconosci degna, amami come io saprò amare colei che mi redense442 dal dolore, e dall’invirtuosa443 tristezza del mio spirito infermo. Alcuni istanti di silenzio successero a queste parole, a mezzo strozzate da una profonda emozione. Quel silenzio era troppo necessario per dar libero sfogo alle lagrime di tenerezza che sgorgavano facili dai loro occhi, per altro raggianti di tutta la purezza e la gioia di una riconciliazione sincera e santa come fu quella. Coteste due creature erano fatte per amarsi; onde in un subito la confidenza, l’abbandono degli affetti sorsero fra di loro, come se cresciute fossero insieme fin dall’infanzia. E si guardavano mute in viso, e si sorridevano, e si scambiavano certi lezzi444 infantili e aggraziati, quasi per farsi vicendevoli e dolci rimproveri circa il loro passato. A queste schiette amistanze445 mancava un testimonio446, per avventura il solo capace di partecipare con vera gioia alla loro. Questo testimonio era il Sulis, né fu lento a mostrarsi al loro sguardo447. Al primo affacciarsi nella stanza, stette immobile, muto, stupefatto. Vedeva quel bel quadro, lo ammirava nel suo secreto448 come un accordo armonico e perfetto di cose, eppure non sapea darsene la ragione, quasi dubitava dei proprii suoi occhi. – Come! – egli si fece ad esclamare mezzo tra la maraviglia e l’incertezza – Voi qui unite, e con tanta cordialità? – Sì – disse la moglie – sì, unite e contro di te! Ti avvedrai ben presto che sia mai aver due donne collegate449 contro. – Fermamente, e sono molti i conti che dovrai aggiustare con noi! – soggiunse Giovanna, accigliata e in un sorridente. – Ebbene, accusatemi, condannatemi, fate quel che vi pare, 442 Liberò. Contrario di virtuosa, per disonesta. 444 Vezzi, coccole, gesti affettuosi. 445 Dimostrazioni d’amicizia. 446 Arcaismo per testimone. 447 Arrivò quasi subito. 448 Nel segreto, nell’intimo. 449 Coalizzate. 443 80 ANTONIO BACCAREDDA ma di grazia spiegatevi un poco, perché a momenti non credo a me stesso! Dicendo queste parole egli si era avvicinato un tal poco verso quelle fiere450 sue accusatrici, che tuttavolta volle sfidare imperterrito, da quel valoroso capitano che egli si era. A ritrarre questo bel gruppo, meglio che la mia penna, si richiederebbe il gentile e animatore scalpello del mio diletto Giovanni Battista Villa(40). (40) Giovanni Battista Villa valente e giovane artista genovese, autore di numerosi e pregevolissimi capi d’arte condotti in marmo, fra i quali mirabili la Preghiera, la Rassegnazione, la Riconoscenza, l’Angelo della risurrezione (che fanno sì bella mostra nel Camposanto di Genova) e la Beneficienza, monumento in onore della marchesa Artemisia Brignole-Sale nata Negrone, collocato nella chiesa di S. Nicolò sopra Voltri, insigne lavoro in cui l’ispirazione, la castigatezza e l’eleganza si unizzano con intimo legame d’armonia, come nell’anima di quell’illustre scultore le più pellegrine virtù del cuore si annodano alle più elette qualità dell’ingegno. Ammirando l’espressione morale di quei suoi stupendi lavori, simboleggianti le più superne virtù dello spirito umano, parmi quel medesimo che lodar quelle del Villa, le quali, a mio credere, ne fanno di lui un essere perfetto, anche senza la croce di cavaliere, di cui fu insignito un anno fa. 450 Determinate, decise. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 81 IX. Pensando a questo periodo di storia sarda, quasi sto per credere che la storia non si riproduca mai davvero. Giudichi il lettore se a sua memoria vi abbia negli annali della vita civile dei popoli, oppure se porti opinione che possa seguir mai in appresso, che un popolo voglia senza bisogno e spontaneo farsi mancipio451 del suo principe. Eppure ciò avvenne in Cagliari nel 1799 per opera degli stamenti stessi, che, come dicemmo più avanti, erano gli Stati generali della Sardegna. Non piaceva all’oltrepossente452 Villamarina, che timoneggiava dietro le quinte gli affari del regno453, di destreggiarsi adoperando la politica delle collusioni454. Colla spada alla mano, che convenienza vi era di mantenere un ordine di cose, per le quali governanti e governati se ne stessero a maninfede455 studiando il destro di soperchiarsi456 a vicenda? Per lui che bisogno vi era di cotesti para-urti, che si dicono rappresentanti del popolo, e che fanno poi venir l’uzzolo457 della repubblica, nell’idea che una costituzione qualunque sia un parafulmine collocato in tempo sul fastigio458 di una reggia? Fu quindi per opera sua che i clowns politici di quei tempi si dispodestassero da sé medesimi, cedendo nelle mani del re i propri diritti, mercé i quali il potere regio sottostava ad alcune restrizioni, e soprattutto in ciò che avea tratto alla collazione delle prelature459 e degl’impieghi(41). (41) Martini, op. cit., p. 46XLI. 451 Spontaneamente rendersi servo. Potente e forte decisamente oltre l’ordinario. 453 Governava nascostamente gli affari di stato. 454 Alleanze a danni di terzi. 455 Uniti. Maninfide è «anello dello sposalizio [...] secondo il Petrocchi, si dice per “una specie di anellino che figura una mano che ne stringe un’altra”» (M. L. WAGNER, Dizionario etimologico sardo, Cagliari, Trois, 1989, s. v. maninfid). 456 Superarsi. 457 Voglia intensa. 458 Sommità. 459 Conferimento di dignità, di cariche. 452 XLI “Frattanto la reazione lavorava ancora per reintegrare le cose nello stato in cui erano prima del diploma del 1796, unico e meschinissimo frutto dei politici rivol- 82 ANTONIO BACCAREDDA Cotesta cessione delle proprie franchigie460 non era per altro scompagnata da parecchie dimande da parte degli stamenti, le quali ridevolmente assumevano il carattere di condizioni, accettate dal regio governo con iscialacquo di frasi ibride ed elastiche, tendenti a tenere a dondolo il paese461, e a fare che gli animi si addormentassero lusingati da una regale promessa, mantenuta poi con fede punica462. Arte machiavellica questa, che insegna quei Principi aver fatto gran cose che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con astuzia aggirare i cervelli degli uomini, ed alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in su la lealtà(42). Ma non bastava al Villamarina di minare463 gli statuti del regno, gli occorreva ancora di abbattere gli uomini popolari che avrebbero potuto a tempo e luogo attraversargli la via. Però fu un Machiavelli d’assai bassa lega, allorché mal soffrendo l’amicizia che il duca d’Aosta professava sincera al Sulis, e la costui influenza sulle masse, si fece contro lui cagione movente di quel lieve mormorio, come direbbe Beaumarchais, che radendo in prima il suolo, s’innalza poscia quel turbine in un crescendo generale d’odio contro la povera vittima di quel dardo464 avvelenato, che si dice calunnia465. (42) Machiavelli, Il principe, cap. XVIII, p. 102. 460 Privilegi. Con profusione di frasi ambigue, tendenti a rimandare da un giorno all’altro la soddisfazione delle richieste del paese. 462 Vale falsa. 463 Insidiare. L’origine di minare è nell’antica espressione militare fare le mine, cioè scavare strade sotterranee per trovare le fondamenta delle mura nemiche e farle così crollare. 464 Freccia per balestra. 465 “La calunnia è un venticello, / un’auretta assai gentile / che insensibile, sottile, / leggermente, dolcemente / incomincia a sussurrar. / Piano piano, terra terra, / sottovoce, sibilando, / va scorrendo, va ronzando; / nelle orecchie della gente / s’introduce destramente / e le teste ed i cervelli / fa stordire e fa gonfiar. / Dalla bocca fuori uscendo / lo schiamazzo va crescendo / prende forza a poco a poco, / 461 gimenti. Non contenta al suo conculcamento coi fatti, intese a calpestarlo anche in diritto, e vi giunse per lo mezzo degli stamenti stessi che avevano scompigliato il paese per ottenerlo, e segnatamente per guarentire la privilegiata collazione delle prelature e degli impieghi” (P. MARTINI, op. cit., p. 46). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 83 Mille esseri misteriosi scorgevano a tutte ore i suoi passi; e frattanto gli amici di una volta gli parlavano colla più grande riserva466; i conoscenti pavidi lo evitavano da lungi; e i nemici speranzosi nell’avvenire gli facean bocca di ridere per ischerno. Che era mai? Un’accusa di alto tradimento, che germogliando e rinforzandosi di bocca in bocca si arrampicò fino alle orecchie del re, il quale commise al suo intimo amico, il Marchese Boyl467, d’indagare i fatti del Sulis. Si chiarì non ostante che egli aveva nemici, non colpe; e fu lasciato quietare per poco. Nel frattempo il duca suo protettore gli offriva il consolato di Smirne468. – Colà – egli gli diceva – tu rimarrai sicuro, finché si spenga l’ira che ti persegue(43). Ma il Sulis non volle accettare. Se non che i nemici suoi non erano di tal tempra da ristarsi a mezzo469 delle loro imprese. Essi erano potenti, solerti, accortissimi; epperò sapevano che l’insistenza avrebbe alla perfine470 trionfato di lui e del suo augusto protettore. Tanto vero questo, che il duca non poté impedire che infra471 breve spazio di tempo non si rinnovassero le occulte inquisizioni contro il Sulis, affidate al cav. Giovanni Mameli472, magistrato di chiara fama. Ed (43) Tola, op. cit., articolo Vincenzo Sulis. vola già di loco in loco; / sembra il tuono, la tempesta / che nel sen della foresta / va fischiando, brontolando / e ti fa d’orror gelar. / Alla fin trabocca e scoppia, / si propaga, si raddoppia / e produce un’esplosione / come un colpo di cannone, / un tremuoto, un temporale, / un tumulto generale, / che fa l’aria rimbombar. / E il meschino calunniato, / avvilito, calpestato, / sotto il pubblico flagello / per gran sorte ha crepar” (Il barbiere di Siviglia – atto I, scena XII – melodramma buffo in tre atti, musiche di Gioacchino Rossini, libretto di Cesare Sterbini tratto dall’opera Le barbier de Séville di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, commediografo francese del XVIII secolo). 466 Per riservatezza. 467 Si tratta del marchese Francesco Pilo Boyl di Putifigari. 468 Città turca, che si affaccia nel mar Egeo. 469 Fermarsi a metà. 470 Infine. 471 In. 472 Giovanni Mameli (1758-1843), giudice della Reale Udienza. Nel 1799 indagò su Vincenzo Sulis, accusato del delitto di lesa maestà. 84 ANTONIO BACCAREDDA anche questo nuovo tentamento473 riescì a vuoto come il primo; e l’accusato non pure si boneggiava474 di tale risultato, ma ricusando una seconda volta l’offerta fattagli dal duca, non si rimaneva dal dichiarare che ei sarebbe rimasto in Sardegna a dispetto dei suoi nemici(44). Era una notte di giugno del 1799; suonavano le dieci ore, quando Vincenzo Sulis nel porre il piede sulla soglia del palazzo reale, si sentì chiamare con voce sommessa da un uomo, il quale gli si accostò avvolto fin quasi agli occhi in bruno mantello. Egli si volse, e invitato dall’incognito a seguirlo, con lui trasse verso la via santa Lucia475, in quell’ora deserta, senza mostrare alcuna esitanza476. – E così, Vincenzo? Eccovi ridotto a fuggire lo sguardo dei vostri concittadini e a scegliere come ora propizia ai vostri passi le tenebre della notte! Non voglio ripetere le voci che contro di voi circolano per tutta Cagliari, perché so che vi affliggerebbero troppo... – Dica pure quello che crede; quando si ha la coscienza tranquilla si sfidano e si disprezzano le mormorazioni dei maligni. Siccome io mi stimo onesto in realtà, poco m’importa il parerlo; e se ai giorni nostri si è tanto gelosi dell’apparenza, ciò mi prova che il difetto sta appunto nella realtà. – Sarete forte abbastanza per dirlo sempre questo? – Prenderò lei per mio maestro anche in ciò, caro d. Efisio. I giudizi del popolo non furono miti con lei, né troppo, né sempre. Io mi rammento quello che fu detto, quando ella venne insignita della croce; quello che ora si dice contro di lei segretario privato del duca del Chiablese(45); né parlo del tempo nel quale ella si (44) Tola, ibid. (45) Martini, op. cit., p. 26XLII. 473 Arcaismo per tentativo. Compiaceva, vantava. 475 Oggi via Martini (cfr. D. SCANO, op. cit., p. 105). 476 Esitazione. 474 XLII “Efisio Luigi Pintor, patrono di feudatarj e rettore d’un feudo spagnuolo, decorato già della croce mauriziana diventato era uomo di corte come segretario privato del duca di Chiablese” (P. MARTINI, op. cit., p. 26). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 85 volse contro gli Angioini, ella che non è colle mani nette nei moti rivoluzionari del 95. – Sì, l’Angioi era il mio primo fautore(46), e sarebbe stato anche il mio primo amico; ma non io mutai, bensì la rivoluzione, che era degenerata in una guerra civile, che voleva forzar la mano agli stamenti o sostituirsi ad essi per dar luogo ad una dedizione alla Francia(47). Sì la fedeltà al partito, come se la patria si dovesse immolare alle convenienze di partito! L’uomo onesto, il vero patriotta477, deve spastoiarsi478 dalle leghe faziose; l’uomo onesto deve appartenere a sé stesso(48). Io operai con essi come Mirabeau479 coi giacobini; l’Angioi e i suoi seguaci volevano mettere a soqquadro il paese, ed io non fui più con essi, ma contro essi. A questo prezzo salvai la dinastia e la monarchia all’isola, e l’isola all’Italia. Ora son lieto di essere escito vincitore di questo demonio moderno che è la politica, per darmi intiero ai miei studi e alla mia adorata famiglia. – Grande è codesto proposito, né meno grande è il mio di bravare480 questa che si dice pubblica opinione, la più infida cortigiana degli uomini politici. Per ora lasci che io segua la mia stella, e che contempli in viso il destino mio, poiché mi consente di stendere una destra al popolo e l’altra al sovrano. (46) Siotto-Pintor, Storia della vita di Giuseppe Manno, pp. 45-49. (47) V. la nota (44)XLIII. V. anche Manno, op. cit., p. 381 e seg. (48) Ho dato a Efisio Luigi Pintor le parole dette in Parlamento nel 1848 da suo nipote il commendatore Siotto-PintorXLIV, in occasione che il conte di Cavour, riconoscendolo suo oppositore, mentre in prima chiariva lo suo sostenitore, chiedeva a qual partito egli appartenesse l’onorevole Siotto-Pintor; e questi: “Io appartengo a me stesso”, gli rispose con laconismo spartano. 477 Per patriota. Levarsi dalle pastoie, cioè sciogliersi dalle funi che si legano ai piedi degli animali affinché non si allontanino; in questo caso è in senso figurato per liberarsi dei vincoli. 479 Honoré Mirabeau (1749-1791), nobile dissoluto, si fece eleggere deputato del Terzo Stato e nel 1789 proclamò l’Assemblea Nazionale Costituente. 480 Sfidare, provocare. 478 XLIII XLIV Il riferimento contenuto nel testo è, in questo caso, inesatto. Si riferisce a Giovanni Siotto-Pintor. 86 ANTONIO BACCAREDDA – Il sovrano è un mito; in corte non vi sono che cortigiani, dei quali un vostro pari o addiviene lo stromento o la vittima. Agli occhi del popolo non sarete che un favorito. Oh io so quanto è sanguinosa e orribile la storia dei favoriti! Un vivo risentimento si palesò a queste parole del Pintor nel volto dell’altiero capopopolo, il quale si volse pieno di amarezza verso il suo antico moderatore: – Ed ella – esclamò – ed ella mi tiene questo linguaggio? Posso sostenere il biasimo dei tristi, ma il suo no! Caro d. Efisio! Altro che favorito! Non fu per due volte forse accusato di cospirazione contro il re e la reale famiglia? Ma li conosco i miei nemici; il duca istesso mi parlò di coteste vipere; ed io... ed io, potendo vendicarmene, ho loro generosamente perdonato(49)! – Io temo che il vostro più fiero nemico sia ancora nascosto nell’ombra. Deh, poiché siete ancora in tempo, ritiratevi, Vincenzo! Voi credete di frequentare una reggia, e forse, Dio non lo voglia, voi rasentate un patibolo. Vi parlo spietatamente lo so, ma vi dico parole di senso pietoso. Lasciate la vita pubblica, la quale non è fatta che per gli ambiziosi, gli imbroglioni e gli illusi. Voi certamente appartenete a questi ultimi, come già un tempo anch’io; ma non fate che la dolorosa esperienza abbia ad essere, più della prudenza, la vostra severa maestra. Certo che non vi è virtù senza cimento481, ma le anime virtuose è appunto nei cimenti che caddero. Ciò vi provi che vi sono congiunture482, nelle quali le nostre forze non possono bastare a tutelarci contro certi pericoli, che ci attendono con tutta la premeditazione del male e con tutta la sicurezza della riescita. Pensate che talvolta fuggire il483 pericolo vale quanto il superarlo. Non vedete che il riordinamento della forza pubblica in Cagliari ha distrutto ogni vostra influenza militare e tribunizia? Non prevedete già che le truppe regolari, che per ora sostituiscono le milizie urbane presso (49) “Fortuna grande [dice il Manno] che in quest’uomo, di cui ho dato già in altro luogo conoscenza tale a farlo pregiare per uomo non ordinario, fosse, come negli uomini di gran cuore, inclinazione naturale a generosità” (Manno, op. cit., pp. 428-29). 481 Prova rischiosa. Circostanze. 483 fuggire il per fuggire come richiesto dall’errata corrige. 482 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 87 il palazzo reale, fra poco occuperanno tutta la città? A che valsero le vostre proteste contro il mutato ordine di cose? Via, via, caro Sulis, pensate che ora non siete più alla testa delle vostre centurie(50); ed un governo che sa di poter confidare nelle forze proprie, stima un vostro pari come uno stecco negli occhi484. Diamine! Che non v’accorgiate di essere già in sul crollo della bilancia485! – Oh questo no! Se si adoperasse contro di me la ragione come forza, sappia che io sarei da tanto486 di adoprare la forza come ragione. Se io mi mettessi ad agire per ripicco487, guai! Saprei ben rendere frasche per foglie488, non dubiti! – Vincenzo Sulis, accettate meglio l’offerta del duca; partite per Smirne. – Il duca lo stima un onore, il popolo lo reputerebbe un esilio, io lo avrei per una viltà. No, mille volte! Io sarò irremovibile come il mio destino! Starò qui! Con queste parole egli si divise dal Pintor, e si avviò a grandi passi al palazzo reale. Viva pure il Sulis nella beata lusinga che il primo suo amico risieda in corte; più tardi, ma troppo tardi, si avvedrà che ivi era pur anche il suo capitale nemico! Espugnata la Cittadella di Torino da Suwarow489, e instauratovi dagli alleati il potere regio a nome di Carlo Emanuele, questi ebbe invito dal generale russo di riedere nei suoi stati; ed il 15 agosto del 1799 il duca d’Aosta partiva da Cagliari per preceder(50) Martini, op. cit., p. 19XLV. 484 Similitudine per indicare quanto di più fastidioso possa esistere. Essere in bilico. 486 In grado. 487 Per ripicca, dispetto, vendetta. 488 Come pan per focaccia, quindi ricambiare con la stessa moneta, vendicarsi. 489 Generale russo, che sconfisse le truppe francesi. 485 XLV “Una delle prime cure del governo del re dovendo essere quella di rinvigorire l’avvilito principio di autorità, si pensò tosto a riordinare in Cagliari la forza pubblica, che dal 1794 stava presso una schiera di cittadini, divisa in tre centurie, piglianti il nome dai tre detti allora sobborghi della città, e rette da speciali comandanti”; “Notaio Vincenzo Sulis per lo Stampace, cav. Giuseppe Humana per la Marina, e notaio Pietro Perra per Villanova” (P. MARTINI, op. cit., rispettivamente pp. 18-19 e n. 1, p. 19). 88 ANTONIO BACCAREDDA vi in Torino il suo re; ma né desso, né il re, che lo seguiva il 19 del successivo settembre, poterono, opponente l’Austria, ritornare nella capitale dei loro Stati continentali(51). La partenza del principe Vittorio Emanuele fu il segnale onde si rinfocolassero le ire e le persecuzioni contro il povero Sulis. Ma questa volta non si facea a fidanza490, però che l’incarico d’inquisire fu dato al famigerato d. Giuseppe Valentino491, una specie di Tagliateste, un uomo che Voltaire direbbe creato dalla natura, non per essere magistrato, ma carnefice. Villamarina sapeva benissimo quel che si faceva rivolgendosi al Valentino. A tal coltello tal guaina. Però quel triste capo della reazione non contento di dominare coi mezzi dei governi dispotici, lo volle altresì con quelli dei governi immorali; non rifuggì quindi da nessuno spediente492, per turpe che fosse. Egli si credeva predestinato a moderare gli eccessi dei suoi tempi, e a ristabilire l’autorità col terrore in quella barca bosinca, come soleva ei chiamare la Sardegna(52). (51) Carlo Emanuele, non ostante l’invito di Suwarow, non poté riedere nei suoi stati continentali, per esservisi opposta l’Austria, la quale accusava il re d’aver seguito fino all’estremo la parteXLVI di Francia. “Singolare condizione di Carlo Emanuele, dice a questo proposito Carlo Botta, che la sua fede verso Francia tanto con lei [con l’Austria] non gli abbia giovato ch’ella nol rovinasse, e che la sua ruina operata dalla Francia tanto non abbia potuto coll’Austria, ch’ella il rintegrasse” (Botta, op. cit., lib. XVI, pag. 335)XLVII. (52) Barca bosinca o barca di Bosa, dicesi in Sardegna di quella casa, ove tutti vogliono comandare (Spano, Proverbi Sardi, in appendice al Vocabolario Sardo-italiano, Vol. I, pag. 9 della raccolta dei proverbi)XLVIII. 490 Non si agiva per scherzo, in maniera leggera. Giuseppe Valentino (1730-1808), giudice della Reale Udienza, Consigliere di Stato con il compito di perseguire gli angioini, a lui spettò di presiedere la Delegazione viceregia che doveva giudicare il Sulis. La tradizione storica, a partire dal Manno, lo etichettò come giudice di inaudita ferocia, ma le sue responsabilità sono state recentemente attenuate. 492 Forma popolare per espediente. 491 XLVI As all’estremolaparte. C. BOTTA, op. cit., tomo IV, libro XVI, p. 277. XLVIII “Sa barca bosinca. La barca di Bosa. Dicesi quando in una casa comandano tutti” (G. SPANO, Vocabolario sardo-italiano e italiano-sardo, cit., vol. I, s.v. barca). XLVII Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 89 Il primo quindi ad essere colpito fu il più insigne popolano di Cagliari, colui che durante nove anni si rese lo strumento dell’ordine e della moderazione. Fabbricando di suo una calunnia, e propalandola per mezzo dei suoi cagnotti493, il nobile marchese di Villamarina giunse a impiastricciare494 un romanzetto intitolato Delitto di alto tradimento. Colla495 storia alla mano si può dunque conchiudere, che questo grande uomo di stato da una parte architettasse un’accusa di fellonia496 e la divulgasse mediante lo stesso comando della piazza, il quale a sua volta prezzolava i propalatori di tanto crimine; e dall’altra creasse, come si vedrà in seguito, un tribunale statario497 al cui presidente mormorasse all’orecchio: Voglio una sentenza capitale! Già fin dai primi dello stesso settembre fu data l’ordinanza di citare il Sulis del corpo e della vita; onde egli vista la mala parata pensò di sottrarsi colla fuga alle persecuzioni dei suoi inesorabili nemici. Ma tanto era l’impegno che essi mettevano nel punire un tanto reo, che non si rimasero dall’offrire un premio al tradimento, pubblicando un bando a stampa, col quale fu imposta la taglia di cinquecento scudi sulla testa di quell’infelice patriota(53). Ecco come la reazione, che tutto fa o finge di fare a nome dell’ordine, sa pretessere498 gli atti suoi feroci, in nulla inferiori a quelli della più sfrenata canaglia! Come è doloroso, si assista al (53) Martini, op. cit., p. 45XLIX. 493 Diffondendola per mezzo di chi si mette a servizio dei forti per maltrattare i deboli. 494 Scrivere rapidamente e in modo scadente, vale inventando frettolosamente. 495 As Collo. 496 Cospirazione, ribellione al principe o allo Stato cui era stata giurata fedeltà. 497 Sommario. 498 In senso figurato, vale colorire una cosa con un’altra. XLIX “Però alla partenza del duca, ripreso animo i di lui persecutori, capitanati da Villamarina, fecero sì che venisse prescelto a nuovo inquisitore secreto delle sue opere il consigliere di stato Giuseppe Valentino, il di cui nome suonerà mai sempre tristissimo negli annali della sarda magistratura. Il di lui giudizio bastò perché il duca del Genevese decretasse l’arresto di Sulis, lo bandisse come nemico dello stato e grossa taglia ponesse sulla di lui testa” (P. MARTINI, op. cit., p. 45). 90 ANTONIO BACCAREDDA partito dell’ordine o a quello dell’anarchia, il dover sempre scusare il passato, anziché biasimarlo apertamente; e il confessare che spesso in società la medicina sia peggiore del male! Le rappresaglie sono il germe mortifero499 dei governi che le usano. 499 Il segnale premonitore della fine. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 91 X. Al primo fatale annunzio che la sua testa era messa a prezzo, Vincenzo Sulis ebbe di grazia di potersi allontanare dalla città e di ricoverarsi in una casa di antichi suoi conoscenti, tutta gente alla buona, che nulla non sapendo delle cose politiche del giorno, amavano ancor l’uomo. Ma non ostante le assidue cure e la schietta benevolenza dei suoi ospiti, ei non si sapeva ancor abbastanza al riparo contro le zelanti investigazioni dei suoi persecutori, i quali, all’allettamento del lucro promesso500, aggiungevano il valevole spediente delle intimidazioni, due cose onnipotenti presso la popolaglia, che perciò appunto con pari facilità addiventa il sicario del tiranno o il mastino del capopopolo. Or siccome il Sulis cominciava a conoscere gli uomini a proprie spese, e per conseguenza a dubitar di loro, così a capo di qualche giorno, riflettuto bene ai casi suoi, deliberò di abbandonare il proprio nascondiglio e di darsi sotto mentite vesti al fortunoso partito di spingersi col favore della notte e a piccole tappe, nell’interno dell’isola, per indi avvisare al modo e al tempo di prender mare. La notte era inoltrata di parecchie ore, ed egli dava già opere agli apprestamenti501 della nuova sua fuga, quando l’umano suo ospite gli annunziò tutto lieto l’arrivo del cognato, portatore di una lettera della diletta sua consorte. – È desso solo? – chiese il profugo – e siete sicuro che sia proprio il mio cognato? – replicò subito dopo con grande preoccupazione. – Diamine, volete che io non conosca Giambattista Rossi! – Sta bene! Fatelo pur venire. Comparve poco stante il Rossi recando in mano una lettera, che consegnò subitamente502 al cognato mormorando queste parole: – L’afflitta tua consorte ti saluta. Non ti parlo del suo spavento, né della sua disperazione. 500 All’incentivo della ricompensa promessa. Ai preparativi. 502 Immediatamente. 501 92 ANTONIO BACCAREDDA – Povera infelice! – esclamò il Sulis con voce infiochita503 dalla tenerezza. – Sì, dici bene! Infelice e più di te infelice le mille volte, perché sentirà eterno il rimorso d’aver fomentato504 le tue illusioni, quelle che ti hanno condotto a questo punto. – Ti riconosco il solo diritto di giudicare la mia, non già la condotta di mia moglie. – Sì, ma è per essa soltanto che vengo in tuo soccorso, è per essa che mi recai fino a te e che seppi qual fosse il tuo nascondiglio. Tu già sai che fra noi due non vi fu mai uniformità di carattere, né accordo di opinioni. Tu monarchico fino all’osso, io repubblicano fino al delirio, o come più ti piace, di parte angioina. – Ma militasti con me per altro. – A chi ha bisogno non si fa mai l’inventario delle sue opinioni505. Se tu avessi avuto occhi e cuore per me, avresti ben potuto impedire questa mia inconseguenza506; ma tu non hai avuto mai danaro per i tuoi, sebbene molto ne avessi e molto ne profondessi per le tue imprese audaci, e per il tuo partito, che te ne ricompensa bene, come vedi. Scusami sai! Ma io dico pane al pane. – Veggo, cognato mio, che sei severo e anche ingeneroso verso di me; ma sei giusto per altro; ragione per cui accetterò i tuoi rimproveri con rassegnazione, e il tuo aiuto con gratitudine. – Alla buon’ora! Questo è parlar da uomo. Mi basta di averti divisato507 il mio modo di sentir a tuo riguardo; e spero che piglierai in bene queste mie franche parole. Da parente a parente si può dir questo e più. Or non si parli più del passato, e si pensi invece a provvedere alla tua salvezza, perché, ohe! pare che non facciano per chiasso508 quei signori di lassù! – Io mi metto nelle tue mani, Giambattista. Quando si ha da partire? 503 Resa fioca, bassa. Alimentato. 505 Per necessità non si bada agli ideali. 506 Incoerenza. 507 Mostrato, descritto. 508 Per scherzo. 504 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 93 – Subito, perché gli affari sono avviati assai male. Io non darei un soldo della tua pelle, e non la passerei liscia nemmeno io, se venissi scoperto a farti spalla in questa faccendaccia. È chiaro e netto; mi condannerebbero come tuo complice! Non così tosto il Rossi ebbe profferito queste parole, che l’altro si rizzò sulla persona, ed assestandosi meglio gli abiti addosso, come si fa da chi ha preso la subita risoluzione di porsi in via, strinse la mano al cognato: – Eccomi, sono con te! – gli disse mettendo un lungo sospiro. Rivoltosi poi ai buoni suoi ospiti, volle compensarli dell’incomodo loro cagionato dalla non breve dimora presso di loro; ma il padron di casa,509 ricusando sdegnosamente, gli disse: – Oh riponete in tasca i vostri danari, caro signor Vincenzo! Un uomo come voi queste inezie le ricompensa a usura con una buona stretta di mano, e non con altro, mi capite? La povertà del resto non scema510 il dovere dell’ospitalità. V’abbiamo dato quello che potevamo darvi, e niente di più! Voi ve ne siete contentato, ed ecco pareggiate le nostre ragioni. Vi garba ciò? Ora coraggio e buona fortuna. Datemi un abbraccio, e Dio sia con voi! Sulis si gettò abbandonatamente511 nelle braccia del suo ospite, ma non poté profferire una sola parola, se parole eloquenti non si hanno a dire due grosse lagrime che gli colarono dagli occhi in quel doloroso momento di separazione. Quando egli si seppe lungi dall’abitazione, che gli servì di asilo durante i lunghissimi giorni trascorsi dopo la sua fuga da Cagliari, sentì sollevarsi lo spirito al pensiero che si trovava in campo aperto, e che si disponeva a ricuperare la intera libertà. Era una bella notte di settembre; la luna risplendeva nell’alto cielo in un campo azzurrigno e quasi fosforescente, ciò che rendea meno intenso, ma pur dolcissimo, lo scintillar delle stelle. Si sentiva il fiotto512 non lontano del mare, e lo stormire delle fronde degli alberi, agitate da un gagliardo vento del nord. – A meraviglia! – bisbigliò il Rossi – Il tempo è propizio, in 509 di casa, per di casa come richiesto dall’errata corrige. Non diminuisce. 511 Con estremo trasporto. 512 Flutto, rumore prodotto dal movimento del mare agitato. 510 94 ANTONIO BACCAREDDA una velata saremo a Tunisi. Ho già pensato alle provviste di bordo, io. Danaro spero che ne avrai per sopperire513 ai primi nostri bisogni in Africa. – Sì, sì, non dubitare, ve ne sarà! – Non vorrei esserti d’aggravio514... Pensa che ora i tuoi beni sono tutti confiscati. – Ma non hanno però confiscato il mio credito. Sta di buona voglia, Giambattista, che ve ne sarà per la mia e per la tua famiglia! Io voglio rimeritarti a dovere515, perché veggo il rischio cui ti esponesti per me. – Via, smetti questi discorsi! Se un estraneo ha saputo proteggerti in questi frangenti senza alcuna mercede, vorresti che io marito alla tua sorella non facessi altrettanto? Con questi e simili parlari516 arrivarono fin presso alla spiaggia appiè del colle di Buonaria(54). Si distingueva dal luogo ove si erano fermati517 un legno di basso bordo518, ormeggiato a mezzo miglio dal littorale519; e presso a terra uno schifo, che dondolava secondando l’ondeggiamento del mare520. – Vincenzo, nasconditi per ora dietro quella siepe d’alimo521; (54) Lo storico Martini narra che l’arresto del Sulis avvenne nell’atto che questi sperava di partire dalla spiaggia di BuonariaL; io lo fingo in alto mare. Avendo commesso chissà quali e quanti svarioni storici con questo mio racconto, spero venia per tale lieve, innocente e confessata licenza. 513 Provvedere alle necessità. Di ulteriore carico. 515 Ricompensarti convenientemente. 516 Discorsi. 517 fermati per fermati, come richiesto dall’errata corrige. 518 Una piccola imbarcazione. 519 Arcaismo per litorale. 520 Vicino a terra un battello di servizio di una nave, che si muoveva secondo il movimento del mare. 521 Arbusto dei litorali con foglie carnose. 514 L “Sulis fu vittima del tradimento di Giambattista Rossi, suo cognato, e di Nicolò Scotto, patrone d’una navicella napoletana. Di notte, verso la metà di settembre, vi s’imbarcava Sulis sulla spiaggia cagliaritana prossima al luogo di Buonaria” (P. MARTINI, op. cit., n. 2, p. 45). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 95 io frattanto andrò a dare il segnale ai nostri uomini della feluca522... Sai il patrone523 Niccola... Il napoletano! Senz’altre parole il cognato si allontanò, dirigendosi verso lo schifo. In quel luogo non era oggetto che non destasse nell’anima del Sulis assai vive e serie rimembranze524. Quante volte egli non avea corso e, in tempi non lontani, quel colle e quella spiaggia, e guidato dai pensieri di gloria, incitarvi col fascino straordinario della sua parola le cittadine milizie contro i nemici della sua patria! Ed ora?... Così spesso la fortuna si piace d’irridere gli uomini e d’umiliare l’animo loro. Levando lo sguardo al vicino chiostro dei frati Mercedari, che siede sul dorso del colle: – Colà – egli diceva malinconicamente fra sé – colà avrei trovato pace; oppure movendo dalla solitaria mia cella per dove ora mi avvio a guisa di un malfattore, mi sarei consacrato a redimere altri schiavi, che non sono questi che ora mi rinnegano, e che non contenti di ciò dimandano vilmente la mia testa! 522 Piccola imbarcazione. Anche patrono, vale capitano d’un bastimento. 524 Ricordi. 523 96 ANTONIO BACCAREDDA XI. – Fa vento fresco; meglio! – disse un omiciatto525 seduto presso al timone di una grossa feluca napoletana, la quale incrinata sul destro fianco scorreva velocissima sull’onda – Ammaineremo la vela quando saremo almeno alla Torre dei segnali(55); e sarà fra poco, perché si va come il vento. Non è vero, illustrissimo signor Vincenzo, che si va veramente bene? Questa dimanda era rivolta a Vincenzo Sulis, seduto sul cassero526 della navicella, vicino al patrone ed al suo cognato. – Vedo sì! – rispose l’interrogato – anzi mi par troppo bene. – Nessuna paura! Vi sono io e basta. Niccola Scotto è un vecchio marinaio; e con questo guscio527, vede, gli basterebbe l’animo di andare fino in America. Non pensi, da qui a un quarto d’ora ella potrà cuculiare528 alla sua fortuna ed ai suoi nemici... Ma, per San Gennaro! Chi l’avrebbe mai detto che vossignoria si sarebbe trovata un giorno in questo brutto guaio. Oh sorte, sorte! E tu, Giambattista, non parli, tu? – Lasciami fumare e godere questo po’ di buon tempo – disse il Rossi levandosi la pipa di bocca. – Fumare e poi cantare. Quando sono in mare io non farei altra vita; e canterò, se lo permette il signor Vincenzo. (55) Torre sul promontorio di S. Elia nel golfo di Cagliari, la cui sommità misura 73 metri dal livello del mare. Le notizie storiche che se ne hanno risalgono al 1337. Il suo nome deriva da ciò che segnala a vista del lido l’arrivo in porto dei legni esterni (Spano, op. cit., p. 382)LI. 525 Diminutivo dispregiativo di omo; vale quindi omuncolo. Parte della coperta d’una nave che dagli stili di poppa va fino all’albero maestro. 527 Scherzosamente, per piccola imbarcazione, data la somiglianza fra le due forme. 528 Canzonare, beffare. 526 LI La torre dei Segnali “viene così chiamata perché marca con segni convenzionali tutti i bastimenti tanto regii che mercantili che arrivano dall’estero [...] Nella sommità di questa torre fin dal 1859 vi è stato stabilito un Faro [...] La luce è elevata 73 metri sul livello del mare, e visibile a 15 miglia in lontananza. Era un bisogno invocato dai naviganti, per trovarsi nella punta di una lingua di terra che divide il golfo principale di Cagliari da quello di Quartu” (G. SPANO, Guida della città di Cagliari, cit., p. 383). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 97 – Ho tanto bisogno di distrarmi, che l’avrò anzi caro529 immensamente. Solo ho timore che per i disagi sofferti nei dì passati, e per la grande stanchezza che mi sento, non potrò godere a lungo di così bel piacere. Se mai mi addormentassi nel più bello, vi prego di non averlo a male. Però voi cantate finché vi garba. Ve lo dico senza cerimonie530, veh! Mi parrà anzi assai dolce il dormire al suono del mandolino, e delle vostre belle canzoni napoletane. – Va bene! Allora profitterò della vostra licenza531... Angelo – soggiunse volgendosi ad uno dei marinai della feluca – ammaina, ammaina pure un poco! Ora non importa correr tanto; siamo già al sicuro. Scommetto532 che non ci raggiungerebbe nemmeno una palla di colubrina533. – Di fatti si va molto bene con questo tuo legno – riprese a dire il Rossi, mettendosi di buon umore. – Sfido! E come si fa a non andar lesti se siamo senza carico?... – Ma con un buon nolo534 – soggiunse subito il Sulis – Né dimenticherò i vostri bravi marinai. – Mille grazie, vossignoria! – esclamò Niccola Scotto, lasciando il timone e battendo palma a palma le mani. – Evviva il signor Vincenzo Sulis! – esclamò uno dei marinai, levandosi il berretto e facendolo volare in alto. – Zitto, gaglioffo che sei! – soggiunse il Rossi – Che ti par prudente di gridare a questa maniera e di pronunziare il suo nome? – Oh sì, che non ci odano le garze535 bianche o i delfini! Bisognerebbe avere la voce dell’angelo del giorno del giudizio536. – La prudenza non è mai soverchia. 529 Mi farà piacere. Davvero, senza fare complimenti. 531 Permesso. 532 Scommetto per Scometto come richiesto dall’errata corrige. 533 Sorta di cannone, ma più piccolo. 534 Prezzo del trasporto via nave. 535 Specie di aironi. 536 Il riferimento è al passo biblico narrato nel libro dell’Apocalisse dove si dice che l’angelo “posto il piede destro sul mare e il sinistro sulla terra, emise un grido fortissimo, simile al ruggito del leone. Al suo grido risposero con le loro voci i sette tuoni” (10,3). 530 98 ANTONIO BACCAREDDA Facendo questa raccomandazione, Niccola diede di piglio al mandolino, che si era messo allato prima della partenza, e vi strimpellò un preludio colla disinvoltura di un concertista; indi con voce simpatica e vibrata cantò questi versi: Luna, più bella e fulgida Perché ti mostri a me, E d’adamanti537 semini La via dinanzi a te? Dimmi perché dal tumido538 Ed agitato mar, A me s’innalza un fervido, Un mesto sospirar? Ah sì lo so! Quel gemito È un gemito d’amor, Di dolce speme539 è simbolo Quel vago tuo fulgor. Or non contate i palpiti Del povero mio cor, Al marinaro è inospite Il gaudio dell’amor, ecc. ecc. Con questa ed altre simili canzoni il nostro cantatore si spinse540 fino a notte avanzata, e avrebbe continuato fino all’alba, se di tutti coloro che al primo cominciare541 formavano il suo uditorio, non si trovasse desto che un solo marinaro. Il più sollecito a rincantucciarsi542 fu il Rossi, e quindi a poco due marinai seguirono il suo esempio. Al Sulis molto arridea543 di udire nel vario loro ritmo quella serie di ballate, di barcarole, di romanze544, che l’altro sapea così 537 Di diamanti. Ingrossato dal vento. 539 Forma letteraria per speranza. 540 Proseguì. 541 All’inizio. 542 Rifugiarsi in un cantuccio, ritirarsi. 543 Piaceva. 544 Ballate: canzoni che gli antichi accompagnavano col ballo, poi componimento musicale; barcarole: canzonette dei gondolieri veneziani, quindi arie musicali; romanze: storie sentimentali, per musica o adatte alla musica. 538 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 99 bene illustrare con dolci e simpatiche melodie. Ma la dolcezza istessa del metro e la soavità del canto, sebbene operassero sull’animo del Sulis il loro magico potere, conquisero545 finalmente i di lui sensi, per cui sentendosi molto aggravato dal sonno, ed avvoltosi in un ampio mantello, si abbandonò a dormire così placido e sereno, come se fosse stato sopra un morbido capezzale e sotto il medesimo suo tetto. Per più tempo i sogni che ei faceva s’insertavano546 giocondamente alle dolci cadenze di quelle canzoni, atte più che a turbare a conciliare il sonno; però al cessare di esse il riposo riescì perfetto al fuggitivo, e allora veramente riparatore. Ormai, come dissi, non vegliava che il patrone, intento sempre al timone, e un marinaio, il quale tenea d’occhio alla vela. La luna frattanto volgeva al tramonto, e lo scintillare delle stelle si facea ognor più appariscente per l’accresciuto azzurro del cielo. Scemava di grado in grado la gagliardia del vento ed il fiottar del mare, quasi per propiziare ai dormenti sonni più riposati. Già l’alba rendea al timoniere più distinto l’orizzonte, e la navicella spinta dal vento volava quasi, incurante delle onde che miravano invano a farle resistenza colle loro braccie di spuma. Tenendo l’occhio fiso a oriente il patrone fe’ cenno al veleggiatore di destare i suoi compagni, di raccoglier la vela e di dar mano ai remi. Obbedì l’altro, quantunque non sapesse darsi buon conto di questi ordini; se non che fatto un miglio circa di rotta, sempre remigando in uno agli altri marinai, visto che il legno virava bel bello547 e che il patrone dava la prua548 in direzione opposta alla già tenuta prima, gli si volse a guardarlo con occhi di stupore; e Niccola Scotto a fargli cenno, come per dirgli che proseguisse senza badare ad altro. Il mutato andamento del legno per causa dei remi, destò poco stante il Sulis. – Ah ora capisco! – esclamò – Non abbiamo più le vele. – Cessato il vento ci ajutiamo coi remi; ma si va bene lo stesso... Potete dormir tranquillo, non dubitate. 545 Vinsero, abbatterono. Si univano. 547 Sempre remando tutti insieme, con lo stesso ritmo, dal momento che la barca girava. 548 Parte davanti della nave opposta a poppa. 546 100 ANTONIO BACCAREDDA – A quanto pare ho fatto un lungo sonno e buono, amico mio! – disse il Sulis con voce rauca e sommessa, sollevando lievemente la testa e stropicciandosi gli occhi. – Vossignoria può dormire ancora un poco – soggiunse il patrone – È appena l’alba. Sulis a questo si pose a sedere, muovendo intorno a sé un’attenta occhiata. – L’alba diggià? – disse con sorpresa e insieme con viva compiacenza. – Sicuro! Solo che ci si raccapezza poco con questo tramonto di luna. – Di fatti, io non saprei orizzontarmi bene. Secondo me il maggior chiarore dovrebbe venire da questa banda549 a sinistra, e invece me lo veggo a destra. – È l’effetto della luna; un’illusione e nulla più. Bisogna esser marino550 per saper ben distinguere queste cose. – Oh lo capisco benissimo! – soggiunse ingenuamente il Sulis – Io sono animale di terra. Si può dire che il mio viaggio più lungo fu da Santa Gilla alla Illetta. Or vedi che cosa è il saperne poco, e il trovarsi in alto mare! Io avrei giurato che quella stella che ci sta proprio di fronte sarebbe stata la Corona-boreale551, mentre a noi che siamo quasi rivolti verso Oriente riesce impossibile il vederla guardando a prua. – Staremmo freschi per bacco! Non ci mancherebbe altro! Frattanto il Sulis si era alzato in piedi, e guardando giusta la direzione della feluca, escì in questa interrogazione: – Come, siamo vicini a toccar terra? – Lo credo! Oh che pensava che si volesse andare a Costantinopoli? – No no, ma quella – continuava il fuggiasco con crescente esitanza, e facendo atto cogli occhi di meglio acuire ed affissare lo sguardo – ma quella... Diamine! Oh che illusione!... Ma non pare anche a voi che quella là... Non vedete a destra?... Quella è la torre dei segnali! – Oh cotesta è bella! Veramente non saprei nemmeno io... 549 Parte. Esperto di cose di mare e di navigazione. 551 Si dice che intorno alla luna vi è la corona per indicare la parte da cui nasce il vento; in questo caso, la borea, il vento gelido del nord. 550 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 101 – Non lo sapete voi?... Come è possibile questo? Voi non potete aver preso un sì grosso abbaglio. Voltosi poi al cognato, e scossolo fortemente, lo chiamò due o tre volte di seguito: – Che vi è? – disse Giambattista, mostrandosi nuovo552 di quanto accadeva, e dando di furto una dispettosa553 occhiata al patrone. – Vieni vieni e vedrai! – ripigliò il Sulis nel massimo grado di orgasmo. Indi voltosi indistintamente ai marinai: – E voi intanto virate – disse – o non saremo più in tempo! – Sentiamo che dirà il suo cognato – riprese a dire lo Scotto ammiccando554 al Rossi, e curvandosi sul timone per evitare lo sguardo esploratore di Sulis. – Non ti par egli la Torre dei segnali quella? Vedi a destra la Via del diavolo555, e ancor più in là a destra il forte di Sant’Elia? – Sì! – replicò asciuttamente il cognato. – Ma dunque si ritorna a Cagliari? – Sì! – Dici davvero? – Sì! Oh che non si va forse in terra amica? – chiese il Rossi al patrone, con fronte invetrita556, però parlando come un balbuziente. – Dunque, mio Dio, questo è un tradimento! Giambattista non rispose e voltò le spalle facendo i sordi orecchi557. – Come, tu non osi rispondermi, né guardarmi in viso? Ehi parlo a te, Giambattista!... rispondimi; è questo un tradimento, e sei tu il Giuda!... Dimmi, dimmi almeno che non hai complici... Che la mia consorte?... L’altro lo guardò fiso tacendo, e gli fece un sorriso infernale. 552 Ignaro. Sdegnosa, sprezzante. 554 Facendo l’occhiolino. 555 Nel capo Sant’Elia, la valle fra l’omonima torre e quella del Poeta è detta Sella del diavolo per la sua forma concava: “il passaggio vicino alla testa della sella è appellato il cammino del diavolo” (G. SPANO, Guida della città di Cagliari, cit., n. 1, p. 383). 556 Immobile, divenuta simile al vetro. 557 Come se fosse sordo. 553 102 ANTONIO BACCAREDDA Non potendo più contenere l’ira sua, il Sulis si avventò contro il cognato con izza558 talmente feroce, che lo avrebbe stroncato, se la sua forza fosse stata pari al suo furore. Ma tutti gli furono sopra di repente559, e per comando di Niccola Scotto, trascinandolo di forza, lo addossarono contro la spalletta dell’opera morta560. Egli tentò allora di gettarsi in mare; ma questo tentativo gli mancò pure, però che le persone dell’equipaggio lo prevenissero tenendolo ben bene agguantato colle poderose loro mani. Quel suo sdegno sparì in un baleno per altro, essendoché il Sulis esercitasse un impero straordinario561 sulle proprie passioni. – Lasciatemi, via! – egli disse subito con dignitosa calma – Vi giuro sull’anima mia, che non porrò più le mie mani sopra di voi. Tutta l’acqua del mare non basterebbe a lavarle della vostra sozzura562. State tranquilli che io non mi muoverò dal posto ove vorrete che rimanga; poiché non voglio defraudarvi563 la mercede che vi siete così nobilmente guadagnata. State pure coll’occhio teso su di me, ma non vi accostate, ve ne prego, non vi accostate! Nella feluca regnava un profondo silenzio; non vi era un solo che osasse articolar parola o innalzare lo sguardo sul viso dell’altro. Soltanto il Sulis sedutosi in mezzo del legno a maggior garantia564 dei suoi prezzolati birri565, or l’uno or l’altro di essi fulminava col suo sguardo penetrante e accusatore. Ad ora ad ora566 un sorriso lieve ed amaro sfiorava le sue labbra. Frattanto la navicella si affrettava alla fine del suo glorioso viaggio; e già la città di Cagliari erasi offerta allo sguardo del fuggitivo, quando fu visto un grosso legno da guerra, colle vele spiegate al vento, dirigere la prora567 verso la feluca. – State tranquilli, amici miei, ché tutto fu fatto a seconda della intesa avuta! Ecco là quel bastimento da guerra che muove 558 Stizza, ira. Locuzione avverbiale, vale immediatamente. 560 L’opera morta è la parte della nave dalla coperta in su. 561 Dominio assoluto. 562 Sudiceria. 563 Privarvi, derubarvi. 564 Arcaismo per garanzia. 565 Persecutori mercenari. 566 Di tanto in tanto. 567 Arcaismo per prua. 559 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 103 difilato568 verso di noi. Oh hanno issata la bandiera! È questo il segnale non è vero? È riserbata a grandi e nobili fatti quella bandiera!... Tommaso569 Scotto, vecchio marinaro, occhio al timone, da bravo! Che non ci capiti la svista di questa notte!... Vi fareste burlar troppo, in fede mia!... Ma non vi è più pericolo!... Non vedete il cavalier Mameli, che vi accenna a fermarvi(56)? La570 feluca si fermò di fatti sui remi. Vincenzo Sulis stette ad attendere con impazienza che si gettasse dal legno catturante lo schifo in mare, il che non si fece attender molto; onde egli vi si slanciò animosamente, e voltosi al padrone, così gli disse: – Addio, Niccola Scotto! Risovvenendoti di questo bel giorno a buona ragione potrai ricantare per conto tuo che Al marinaro è inospite Il gaudio dell’amor571. E vivrai giorni tristi, non pensare, se il cielo non ti torrà572 la memoria! Rivolgendosi di poi ai soldati che erano nello stesso schifo per assicurarsi della sua persona: – Eccomi in vostro potere – gridò nella massima esasperazione del dolore – So che mi attende e basta! Nondimeno benedetti voi, che consegnandomi al carnefice, mi liberate dalla vista di quel traditore – e così dicendo indicò il Rossi – Eccolo là, lo vedete? È quel desso che ora ai vostri occhi si presenta come la larva d’un uomo573! Il sole in quel punto sorse mostrandosi sull’orizzonte maestoso e splendido, come per assistere ad una festa solenne. Ma perché d’altronde indietreggerebbe inorridito come fece per (56) Raimondo Mameli, comandante di uno dei legni da guerra del naviglio sardo. 568 Diritto, veloce. È questo il nome reale dello Scotto (riportato da P. TOLA, op. cit., p. 245); per un’evidente svista il Baccaredda lo propone solo in questo caso, mentre nel resto del romanzo lo chiama Niccola. 570 As Le. 571 Baccaredda fa qui ripetere al Sulis il ritornello della canzone intonata dallo Scotto la notte prima. 572 Arcaismo per toglierà. 573 Spirito di chi è stato malvagio in vita, secondo una credenza dei Romani. 569 104 ANTONIO BACCAREDDA Atreo574? La natura è sempre più morale, è più provvida delle nostre storie e dei nostri miti. Si rimarrebbe sempre al buio, a scapito dei buoni e a tutto benefizio dei tristi! 574 Figlio di Pelope e di Ippodamia e fratello di Tieste. Divenuto ingiustamente re di Micene, suscitò l’ira di Tieste che spinse uno dei figli di Atreo, rapito da bambino, ad uccidere il padre a propria insaputa, ma fermato da Atreo, che non lo riconobbe, fu a sua volta ucciso. Venuto a conoscenza dell’inganno di Tieste, Atreo, per vendicarsi, finse di aver perdonato il fratello e lo invitò a cena, facendogli mangiare i corpi di due dei suoi figli. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 105 XII. La domane575 di questo fatto glorioso, Giambattista, secondo l’intelligenza avuta collo Scotto si recò verso le dieci del mattino in piazza d’armi. – To’! – disse ponendo in mano del patrone un pesante involto di danaro – questo è il fatto tuo; buon pro’ ti faccia. Lo Scotto prese il danaro, e senza alzar gli occhi da terra mormorò fra i denti: – A un’altra volta, compare Rossi! – Non temere, che non mancheranno altre congiunture576; tanto ora mi sono ingolfato nella politica577. A proposito, come ti pare che se l’abbia presa l’amico? – Non so veh! Io non badava che al mio fare. – Veramente neppur io osava guardarlo: gliel’abbiamo fatta nera578 davvero! – Dal modo con cui parlava mi è parso che se l’abbia bevuta come un sorso d’acquavite579. Rammenti quei due versi della mia canzone, che ha ripetuto nel partir dalla feluca?... Ebbene, lo crederesti? Mi hanno fatto una certa impressione, che non saprei spiegarti. Sull’anima mia! Sembrava che dicesse: Dio, dagli il malanno!... Capisco da me che sono sciocchezze, eppure... – Eppure non sono che sciocchezze. Soprattutto, compare, nessun rimorso. Senti, a me la coscienza non rimorde più580 per questo bel giochetto che le ho fatto una volta. Questa signora coscienza, mentre era ancora piccina piccina, si fe’ lecito un bel giorno di farmi sentire i suoi acuti dentini; ma la prima fu anche l’ultima volta sai? Perché io dato di piglio ad una buona tanaglia581, o chiave inglese che sia, le levai tutti, tutti i denti di netto. Come vedi, ora la coscienza non può più rispondermi. 575 L’indomani. Occasioni. 577 Mi sono inoltrato nel mare della politica. 578 La locuzione è usata per indicare il compimento di azioni spropositate e malvagie, a danno altrui. 579 As Acquavita. L’espressione vale bevuta tutto d’un fiato, ma avvertendo poi il bruciore del liquore. 580 rimorde più per rimorde, più come richiesto dall’errata corrige. 581 Presa una buona tenaglia. 576 106 ANTONIO BACCAREDDA Giambattista Rossi non era un uomo volgare né pensando, né oprando582. – Ebbene, quando è così, mi procurerò anch’io cotesta benedetta chiave inglese – disse lo Scotto, allontanandosi dal Rossi583 con un sorriso, e dandogli una buona stretta di mano. La tradizione storica non afferma recisamente584 che il Rossi si conducesse per venale proposito a compiere così nefanda585 impresa a danno del cognato(57); forse il lucro reale ei cedette intiero allo Scotto, per assaporare dappoi la perfida soddisfazione di mostrarsi alla consorte della sua vittima pienamente vendicato delle aperte e replicate repulse586, che essa avea dato alle colpevoli e incestuose587 sue profferte d’amore. Ciò che deliberò di fare non così tosto ebbe lasciato il degno suo complice. Presentandosi a lei, egli affettava non ostante la sicurezza disinvolta dell’uomo incolpato e insieme l’espressione del più gran dolore per il triste caso in cui sarebbesi impigliato588 per amore di lei. Ed è qui giusto il dire che la sciagurata, visto l’estremo periglio589 in cui versava il marito, credette alle simulate (57) Martini, op. cit., pag. 45 nota (2) nell’istessa paginaLII. 582 Agendo. dal Rossi per dal Rossi. come richiesto dall’errata corrige. 584 Decisamente, avverbio da reciso, di netto. 585 Turpe. 586 Arcaismo di ripulse, ostinati rifiuti. 587 Perché i due sono cognati. 588 Compromesso. 589 Forma letteraria per pericolo. 583 LII “Lo Scotto, inteso col Rossi, esigette di fatto la taglia. È vero che nelle carte della regia segreteria di stato esiste una dichiarazione del 23 settembre 1799, dove d’ordine del duca del Genevese, allora viceré, si dice che il patrone Scotto non aveva avuto parte alcuna nell’arresto di Sulis, e quindi né il taglione né alcuna sorta di compenso: e che in vece l’arresto veniva praticato d’ordine immediato del governo dalle persone a tal fine comandate. Però esistono un ordine del segretario di stato del 16 aprile 1801, a Cosimo Canelles, giudice della reale udienza, perché dal valore dei di lui beni sequestrati passasse alla stessa segreteria i cinquecento scudi del taglione per consegnarli alla persona cui era dovuto e che volle rimanere segreta; ed una posteriore memoria della segreteria di stato del 18 settembre 1811, al Canelles, dove si accenna a 800 scudi dati al napolitano. Questi non poteva essere altro che lo Scotto” (P. MARTINI, op. cit., n. 2, pp. 45-46. Il corsivo è del testo). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 107 offerte del cognato, e candidamente confidatogli il geloso segreto circa il luogo in cui avea riparato il consorte, non si era nemmeno peritata a blandirlo590, rendendo non solo meno aspri e palesi i suoi rifiuti, ma mostrandoglisi un tal pochino benigna e discreta parente. Come avrebbe potuto meglio destreggiarsi fra il danno irreparabile della cattura del marito e la convenienza di lusingare o almeno di non inasprire il cognato, dal quale appunto si prometteva la salvezza del marito istesso? A schermirsi591 dalle insidie di Giambattista, per quanto pertinaci592 e violente, si sapeva abile e forte abbastanza; non così a resistere al terrore che l’assaliva all’idea della sciagura che sovrastava al consorte. – Dunque? – chiese nella massima costernazione la consapevole moglie del Sulis, al vedere il suo cognato. – Tutto è perduto, Vincenza mia! – rispose l’altro, reclinando la testa con aria di abbandono e di compunzione593. – Ma come avvenne ciò, come? Dimmelo! Oh Dio! Temo di diventar pazza, io! – Tranquillati594 via! Siamo stati tutti vittime di un abbominevole595 inganno... – Sì, sì, di un tradimento! Dillo col suo vero nome; questo è, di un tradimento! E tu... – Ed io? – interruppe l’altro con veemenza. Susseguirono a questa interrogazione parecchi momenti di silenzio, durante i quali Vincenza, collo sguardo fitto negli occhi del cognato, si attentava di scrutare l’intimo arcano del suo cuore596. – Io – continuò a dire il Rossi per evitare colla concitazione del discorso il molesto esplorare dell’altra – io è troppo se mi veggo tuttavia salvo597... Anzi non è tempo ancora di cantar vit- 590 Preoccupata di lusingarlo. Difendersi. Il verbo schermire ha origine dal gioco della scherma e dall’alternanza tiro/difesa con la spada. 592 Ostinate. 593 Atteggiamento di dolore. 594 Dal verbo tranquillare, nel significato di farsi tranquillo, quindi tranquillizzati. 595 Arcaismo per abominevole, terribile. 596 Con lo sguardo fisso negli occhi del cognato, tentava di scoprire il segreto che nascondeva intimamente. 597 Se sono salvo nonostante quanto accaduto. 591 108 ANTONIO BACCAREDDA toria. E nemmeno il patrone Scotto... Oh nemmeno esso se la svignerà598!... Saremo tutti accusati come complici di Vincenzo... Sai che con Villamarina queste cose non passano mai senza danno. – Di fatti il vederti oggi dinanzi a me libero e tranquillo, non... – Che forse non credi – interruppe il cognato sdegnosamente – che quel furbo spacciato non l’abbia fatto a posta per farmi comparire un traditore, e così scagionare il governo dalla taccia599 di aver esso ordito quella triste gherminella contro il povero Vincenzo? – Ma voi altri eravate in alto mare; nessuno sapeva della vostra fuga, e se il patrone era un uomo fidato... – Fidatissimo!... Oh quanto a questo metterei le mie mani nel fuoco, vedi! Ma un grosso legno da guerra che se ne va colle sue grandi vele spiegate, e che ti minaccia coi suoi cannoni, fa presto sai a raggiungere una meschina600 feluca, come era la nostra... Quanto poi al non sapersi nulla della nostra fuga, io non potrei giurarlo... Un’ombra nera mi è parso d’averla vista... Non so, potrò essermi ingannato, ma qualcuno ha seguito i nostri passi fin presso al colle di Bonaria... Oh ma non disperarti così, mia Vincenza! Non sarà nulla... – Già, non sarà nulla – soggiunse l’altra singhiozzando. – Credi a me, sono i soliti spauracchi601 di un governo che teme e che sa di essere debole. E poi, chi oserebbe di torcere un sol capello a Vincenzo Sulis? Pensi tu che lo soffrirebbe il popolo? Sarebbe una seconda di cambio dell’arresto del Cabras e del Pintor. Sta certa che questo vorrà essere un cattivo affare per il governo. Lascia che la notizia sia ben divulgata, e vedrai. – Tutto questo, oh Dio, può essere, ma quello di aver messo la sua testa a prezzo!... – Le solite spagnolate di Villamarina. – L’intentargli602 un processo così terribile... 598 Scamperà. L’espressione viene da fuggire dalla vigna, quando colui che vi è andato per rubare l’uva viene rincorso dai vignaioli. 599 Accusa, imputazione. 600 Inadeguata. 601 Spaventapasseri, persona o cosa che provoca paura. 602 Promuovere contro di lui. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 109 – Quanto più terribile in apparenza, tanto più ridicolo in realtà. Nessuno farà più di quello che il re e i suoi ministri permetteranno che si faccia. O che non lo conti più per nulla il duca603?... E che, vorresti che lo abbandonasse ora, perché ei non si trova appunto in Sardegna?... – Lo faccia il cielo604! – Vedrai!... Ed ora che ti veggo alquanto più tranquilla, rispondimi, vale egli la pena che tu ti rammarichi tanto?... Uno o due giorni al più... e poi rivedrai il tuo Vincenzo... – Dio mio! – esclamò l’altra raggiante di gioia. – E lo rivedrà pure... – Chi? – chiese Vincenza scurandosi605 in viso. – Non far la semplice... Essa pure ne gioirà. – Chi? – Via, la tua cugina! – La sua, devi dire. – Sua o tua, non è tutto in comune fra voi? – così dicendo, guardò la cognata con occhi espressivi e le posò la mano sopra una spalla, con atto di grandissima confidenza. – No signore – esclamò Vincenza con vivacità, afferrando di mal garbo la mano dell’altro, e respingendola lungi da sé con impeto sdegnoso. – Sarà sua soltanto... Né io voglio saper altro! Il Rossi replicò l’atto di prima, e la cognata lo respinse del pari606, scostandosi di qualche passo da lui. – Tu non sarai di nessuno allora, tu che sei così bella e così sensibile? – Quando non sarò di mio marito, sarò della morte, io! – Sono bellissime parole queste, ma le vedove non usano parlar così – e le carezzò mollemente una guancia, come si farebbe ad un fanciullo. – Oh finiamola! – gridò l’altra stizzita; e percosse fortemente colla sua la mano dell’insolente. – È ciò che voleva dire anch’io... Sì, finiamola! Queste smorfie non si convengono607 più al tuo stato. Ventiquattr’ore fa tu eri 603 Il duca d’Aosta, che si era mostrato benevolo con il Sulis. Espressione popolare per ci pensi Dio. 605 Accigliandosi, incupendosi. 606 Locuzione avverbiale per parimenti, ugualmente. 607 Non si addicono. 604 110 ANTONIO BACCAREDDA meco docile, ragionevole e fin carezzevole,608 se ben ti rammenti. Via via! Sii buonina609 con chi ti ama ancora, nonostante i tuoi sgarbi continui. Colla tua mala grazia mi faresti gettare al disperato610, vedi! – Scostati, traditore! – gridò Vincenza, puntando con forza il palmo della mano contro il petto dell’altro, e respingendolo da sé; indi mosse per uscire dalla stanza, ma il Rossi la raggiunse tosto e l’afferrò per le mani con rabbia felina. – L’hai detta la gran parola finalmente! L’hai detta e ti sei apposta611!... Sì, che lo fui, ma per te solo; epperò non credere che io mi lasci sfuggire il destro612 di averne la ricompensa che ne sperai. Tu dovrai esser mia, crollasse il mondo, vedi, tu lo dovrai! – Non mi fai paura, no! Tu tieni strette le mie deboli mani, ma io ho libera sempre la mia volontà. L’anima è mia sempre, e con tutta l’anima mia ti dirò: Giambattista Rossi, traditore di Vincenzo Sulis, io ti odio! – Non so che farmene del tuo amore, né voglio l’anima tua – balbettò egli fremendo e schizzando fuoco dagli occhi. Dette appena queste parole, gettò d’improvviso le sue braccia sul collo della infelice; ma questa non si perdette di coraggio, e lo ributtò613 e gli resistette con istraordinaria gagliardia; onde s’impegnò fra essi una lotta fierissima. Il Rossi era un uomo nerboruto614 e violento; era poi a tutto deliberato615 contro quella povera donna; ma l’istessa rabbia che lo divorava, il fomite616 istesso della sua turpe passione, produssero in lui un orgasmo così forte, e un così frequente anelito617, che dovette abbandonare il pensiero di più oltre cimentarsi colla cognata, alla quale nel combattimento s’ingagliardivano ognor più la forza ed il coraggio. Però quel temerario non lasciò libera 608 carezzevole, per carezzevole come richiesto dall’errata corrige. Gentile, generosa. 610 Cadere nella disperazione. 611 Hai indovinato. 612 L’occasione propizia. 613 Respinse. 614 Di grossi e forti nervi, quindi con una certa muscolatura. 615 Deciso, determinato. 616 Causa ed eccitamento al male. 617 Desiderio ardente. 609 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 111 Vincenza se non quando trascinatala coll’estremo di sua possa618 verso l’uscio ebbe modo di chiuderlo a doppia mandata di chiave619. – Tregua! – disse egli sbuffando come un leone – Tregua!... Ed ora ascoltami!... Di noi si vedrà col tempo chi seppe veramente perseverare nel suo proposito... Rammentati di questo giorno però!... – Certamente! – I tuoi sciocchi rifiuti di tempo fa produssero il fatto d’ieri; un altro e più tremendo ne produrranno i tuoi d’oggi. A me già, o per un verso o per l’altro, tu procaccierai voluttà ineffabili620. Senti, tu dovrai raccapricciare di spavento solo all’udire il mio nome; perché io ti renderò tanto infelice, che non ti rimarranno nemmeno lagrime per piangere la tua sventura! – Questo accadrà a te, o Giuda, non dubitare! – Ma il cuore non ti porge proprio nulla sulla sorte del tuo Vincenzo? – Io confido nella giustizia. – Bada che quando un Villamarina dice voglio, e un Giuseppe Valentino stringe la penna, il carnefice appresta il nodo scorsoio! – Oh Dio! E si possono dire cotai cose con tanto sangue freddo, e ad una disgraziata quale io mi sono? – Per maggior tuo dolore sappi che agli occhi di Vincenzo tu sei la mia complice, e il serpente tentatore. In queste cose, capisci, parere è lo stesso che essere. – Mostro! Tu dunque meditavi da lungo tempo la nostra rovina! Ed io stolta ed inesperta consegnai il mio povero Vincenzo nelle mani del suo traditore. – Come, non sai che la vendetta si mangia fredda? – Ah è vero! Tu sei corso621. – Io sono corso622, italiano, uomo sono... E che! Doveva 618 Forza. Con due giri di chiave. La mandata è lo scatto del paletto della serratura, ottenuto con il giro di chiave nella toppa. 620 Causerai piaceri inesprimibili. 621 corso per Corso come richiesto dall’errata corrige. 622 corso per Corso come richiesto dall’errata corrige. 619 112 ANTONIO BACCAREDDA godermi in pace la tua fedeltà ad un uomo, la cui fortuna e i cui trionfi mi erano come tante spine al cuore? Io lo vidi onorato, potente, temuto, tutto essere; ho dovuto pur io onorarlo e temerlo. Da lunga stagione quindi fermai in cuore di abbattere un tanto uomo, e di adeguarlo623 ai miei piedi. Veggo finalmente nei tuoi occhi quel pianto che ti profetai624 nella giusta mia collera. Io non conosco le gioie dell’innocenza; sento che la colpa ha pur essa le sue gioie, e che queste sono intime e potenti quanto altre mai! Addio! Dette queste parole aprì l’uscio e partì. – Giuda! – gridò Vincenza con tremenda voce, mentre l’altro scendeva le scale. Questo grido gl’intronò gli orecchi625 e gli echeggiò nel cuore; e quando, transitando626 per le vie di Cagliari vedea che la gente lo guardava in cagnesco e lo segnava a dito, mormorando inintelligibili parole627, quel grido gli risuonava agli orecchi come per sintetizzare tali atti e parole di malevolenza. Abbattendosi628 a passare dinanzi alla casa di Villamarina, volle rinfrancarsi delle sofferte emozioni coi complimenti dell’uomo di governo soddisfatto. – Annunziatemi al generale – egli disse ad uno dei soldati d’ordinanza629 che stavano nell’ufficio di Villamarina – Ditegli che Giambattista Rossi desidera di ossequiarlo. L’ordinanza fece l’ambasciata630. Nel ritornare si rivolse bruscamente al Rossi con queste parole: – Il marchese chiede se voi siete stato soddisfatto del vostro avere631? – Sì... 623 Portarlo alla stessa altezza. Predissi. 625 Lo stordì, come accade con il rumore del tuono. 626 Passando. 627 La gente lo guardava in modo ostile e minaccioso indicandolo e mormorando parole incomprensibili. 628 Trovandosi improvvisamente. 629 Cioè di coloro che svolgevano l’incarico di servizio e di assistenza al loro superiore in armi. 630 Riferì il messaggio. 631 Di quanto ricevuto come compenso. 624 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 113 – Ebbene, non occorre altro per ora; potete partire. – Ma io desidero salutarlo... E poi... – Egli ve ne dispensa632. – Avrete frainteso... – Il marchese non vuol ricevervi. Se ciò non vi basta, siete voi che volete fraintendere. Un congedo dato in tal guisa si capiva benissimo dal Rossi che significato si avesse; onde chinato a terra lo sguardo partì, sentendosi tutto ad un tratto gelare le membra, e bruciar le guance di vergogna. – Che alterigia633! – borbottò fra sé – In cotesti e simil traffici chi compra forse è migliore di chi vende? Intanto nel taccuino della propria coscienza egli scrisse – Uno! 632 633 Vi esonera. Superbia. 114 ANTONIO BACCAREDDA XIII. Una congiura suppone dei congiurati; un capo congiurato suppone degli altri congiurati sotto di lui; ed ecco che per condurre a fine una sì triste commedia si ebbe la fronte634, nel giorno istesso dell’arresto del Sulis, di far imprigionare una moltitudine di altri cittadini, accusati di complicità nell’aerea635 cospirazione contro la vita del re e della reale famiglia. Quali potevano essere poi cotesti complici? Era naturale! Gli antichi seguaci del capopopolo di Cagliari, e coloro che ne erano stati per più tempo gli scherani636. Il processo affidato a Giuseppe Valentino procedeva a gonfie vele. Nel dì sette del successivo novembre il viceré Carlo Felice637 creava una specie d’alta Corte di giustizia, composta di cinque magistrati, che fedeli e concordi rispondessero al sanguinario Villamarina. In somma si chiedeva una sentenza di morte, e morte era dovunque Giuseppe Valentino influiva come magistrato, o come consigliere di Stato, o come Commissario del governo(58). Carlo Felice, a dir vero, non dovea veder molto chiaro in quella matassata638 di processo politico. Frammezzo a quelle lustre639 di legalità e di devozione alla corona egli scerneva640 un non so che di misterioso e d’indefinito; però vedea gli unghioni, ma non (58) Martini, op. cit., pag. 11LIII. 634 Locuzione per ebbe l’ardire. Senza fondamento, falsa. 636 Assassini. 637 Carlo Felice (1765-1831) fu viceré di Sardegna dal 1799 al 1806, sotto il fratello Carlo Emanuele IV; quindi dal 1814 al 1821 sotto il fratello Vittorio Emanuele I. Alla rinuncia al trono di quest’ultimo divenne egli stesso re di Sardegna (cfr. F. C. CASULA, op. cit., p. 329). 638 Insieme di matasse, ovvero di trame ordite a danno del Sulis. 639 Simulazioni seducenti per buttare polvere negli occhi, vale apparenze, ma anche covo di belve e Baccaredda gioca su questa bivalenza con la successiva espressione “vedea gli unghioni, ma non le tigri”, a sottolineare l’incapacità regale di capire a fondo gli avvenimenti. 640 Distingueva, intravedeva. 635 LIII “Giuseppe Valentino, strumento di dispotismo più stamentario che viceregale, immolava sovra i rizzati patiboli i seguaci dell’Angioi” (P. MARTINI, op. cit., p. 11). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 115 le tigri. Il dabbenuomo credette di scongiurare ogni possibile pericolo decretando nel 16 del susseguente dicembre, che ai cinque già designati a giudicare il Sulis altri due se ne aggiungessero, e fra questi ultimi, l’onorando641 d. Gavino Nieddu giudice della Reale Udienza. Come è che Carlo Felice non si chiese in quella vece il perché quel gran colpevole, amico sincero dell’ordine, monarchico fino alle midolla, devoto alla reale famiglia e protetto dall’istesso duca d’Aosta, fosse così accanitamente perseguitato dai fautori dell’ordine pubblico, dai servitori della corona, e per di più accusato di fellonia? Ma Carlo Felice era un povero mortale, nato per stare alla coda, non alla testa degli uomini642; un essere che avendo le abitudini di un ruminante643, del ruminante avea pur la mente ed il carattere, con tuttoché un animo retto avesse e così informato a giustizia, che per amore di essa soventi volte commetteva atti, non pure iniqui, ma contrari altresì a giustizia. Fin l’unica virtù sua partecipava della natura mulina644. Non è quindi da stupire che egli governasse alla guisa di Claudio645, colla mente e la volontà dei suoi consiglieri, che non valevano proprio una patacca646. Era veramente mirabile il vedere tanti uomini autorevoli e di alto paraggio647 concertare cotesto gran quisito648 criminale, arrabattarvisi attorno per quasi un anno, e proporlo poi a risolvere in un sol giorno al povero Sulis. Tuttavia se animose le accuse, se torbide le intenzioni, se potenti le volontà in quel processo degno del medio evo, eranvi 641 Degno di essere onorato, da onorare. Prendere l’ultimo posto anziché comandare. 643 Cioè di quei mammiferi che ingoiano rapidamente molto cibo e lo rimasticano poi lentamente, immagine resa in senso figurato che vale riconsiderare con il pensiero. 644 Dei muli. 645 Claudio, zio di Caligola, fu eletto imperatore nel 41. Nel suo governo, lasciò che lo consigliassero i liberti e le mogli; numerose furono le congiure contro la sua persona, ma gli furono fatali i suoi stessi familiari, che lo uccisero nel 54. 646 Moneta di poco valore, per cui l’espressione sta per non valevano nulla. 647 Condizione sociale. 648 Forma popolare per quesito. 642 116 ANTONIO BACCAREDDA nel foro cagliaritano assai chiare intelligenze più del bisogno capaci a distrigare sì arruffato problema649; eranvi fra essi uomini consigliati, coraggiosi e di carattere, i quali lodatori del fortunato tribuno fino alla sazietà, non avrebbero certo patito che egli nell’ora della disdetta650 avesse a sottostare alle scempie accuse dei suoi sfrontati nemici. E poi come sostenere che un Costantino Musio651 fosse l’avvocato regio del fisco652 con voto deliberativo, egli che avea con tanta ingratitudine dettato il libello d’accusa, qualificando il Sulis reo d’alto tradimento(59)? Quel desso che il medesimo Sulis nell’infausto 1795 campò653 dall’ira popolare, la quale avea sì barbaramente immolato i rimpianti Pitzolo e La Planargia(60)? Bisognava dunque reagire contro sì immani iniquità, e farsi tutti a gara a patrocinarlo654 con animo ardente, onde non si avesse a dir mai che essi erano stati gli adulatori codardi dell’uomo fortunato e potente... Ma il difensore di Vincenzo Sulis fu d’uo(59) Martini, op. cit., pag. 65LIV; e Tola, op. cit., articolo Vincenzo SulisLV. (60) Martini, op. cit., pag. 27; nota (2) nell’istessa paginaLVI. 649 Vi erano nel Palazzo di Giustizia di Cagliari molte persone in grado di districare perfettamente un caso tanto contorto. 650 Sfortuna. 651 Costantino Musio (1760-1844), avvocato, fu segretario generale del marchese della Planargia, fece parte della commissione incaricata di giudicare il Sulis in qualità di reggente provvisionale dell’Ufficio dell’Avvocato Fiscale Generale. 652 fisco per fisco, come richiesto dall’errata corrige. 653 Scampò, sfuggì. 654 Reagire contro tanto gravi ingiustizie e fare a gara per sostenerlo. LIV “Musio poscia dettò il libello d’accusa, qualificando Sulis reo d’alto tradimento, come capo orditore, indi alla venuta del re, di vasta congiura, per rovesciarne il governo” (P. MARTINI, op. cit., p. 66). LV In realtà, il Tola non fa alcun riferimento al Musio e al capo d’imputazione in base al quale il Sulis venne condannato. LVI “Nel giorno immediato al trucidamento del Pitzolo ed all’arresto del marchese della Planargia furono incarcerati dalla plebe il Pau, gli allora avvocati patrocinanti Antonio Pasella e Costantino Musio, ed il cav. Agostino Carta: i quali per Sulis, Cabras e Sisternes si salvarono da danni maggiori. Giuseppe Valentino fuggì da Cagliari” (P. MARTINI, op. cit., n. 2, p. 27). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 117 po655 nominarlo d’ufficio nella persona di Antonio Melis, sostituto dell’avvocato dei poveri presso la reale udienza(61)! Il lettore freni la sua sorpresa. Nelle 24 ore concesse a quel povero Cireneo656 per meditare l’ardua difesa, la sua abitazione fu del continuo e d’ogni intorno custodita da bajonette657. Queste cose si facevano in Cagliari nel mese dei fiori658, e nell’anno di grazia 1800. Venne finalmente il giorno posto per il giudizio del capocongiurato, che come tale ebbe la preminenza659 su gli altri congiurati, e l’alto privilegio di essere il solo a riportare la condanna. Per i complici suoi, il pudore di quei giudici non poté sostenere che si profferissero altre sentenze, sebbene agli uomini dell’ordine riescisse agevole di tenerli in carcere per tutto il tempo che loro piacque: per dieci, quindici ed anche vent’anni. Pajono cose incredibili; ma la storia di tutti i giorni ci avvezza purtroppo ad essere di facile fede nelle cose turpi e vituperevoli660. Chi volesse avere un’idea, così a occhio e croce, del famoso tribunale di Sant’Uffizio che giudicò il Sulis, non ha che a recarsi in memoria le così dette economiche661 che si facevano in Cagliari sotto i bei tempi del viceré Montiglio, e del luogotenente DeAssarta662, di cara e soavissima memoria. Per chi poi non se ne (61) Martini, op. cit., pag. 66LVII. 655 Locuzione per necessario. Chi fatica per un altro o ne porta la pena, dal nome di colui che aiutò Cristo a portare la croce fino al Golgota. 657 Arma bianca da punta che si innesta in cima al fucile. 658 Maggio. 659 Precedenza perché più importante. 660 La storia quotidiana ci abitua anche a fidarci in situazioni disonorevoli. 661 Giudizi sommari; Baccaredda spiega l’espressione poco oltre. 662 Giuseppe Maria Montiglio (1768-1840), viceré di Sardegna con funzioni luogotenenziali, esercitò un’amministrazione attiva, legata alla funzionalità dei trasporti e alle divisioni territoriali avviate con l’Editto delle Chiudende. Suo succes656 LVII “Dappoiché ne ricusarono il patrocinio i più chiari uomini del foro, e tra questi i di lui piaggiatori nei giorni della sua potenza, per debito d’ufficio lo assunse Antonio Melis, sostituto dell’avvocato dei poveri presso alla reale udienza” (P. MARTINI, op. cit., p. 66). 118 ANTONIO BACCAREDDA rammentasse o nol sapesse, dirò queste due parole: – Erano le economiche certi giudizi improvvisi, statari, inappellabili, nei quali si faceva economia di tutto – di tempo, di giustizia e d’umanità, tranne che di corda663. Questi giudizi, nei quali i miseri accusati che vi capitavano sotto, rimanevano spesso anche indifesi, produssero i loro frutti saporosi664 e stupendi, mandando talvolta al patibolo di tali che furono indi per regio Editto proclamati innocenti e riabilitati nel nome. La carta stampata fin da quei tempi aggiustava di grandi cose! Per altro da un governo che si arrogava la santa missione, e con essa, la santissima intenzione di educare la Sardegna, si poteva bene anche per isbaglio ricevere di simili ceffate665. Peccato che le venivano sempre da una mano infame! Ma forse era nell’ordine delle cose. Già sul capo del Sulis pendeva la morte, quando Nieddu (uno dei suoi giudici) pigliava a parlare. Con grand’animo giudicollo innocente, ed al suo giudizio due dei colleghi del già pronunciato voto di morte si ricredettero. Preso allora maggior lena e coraggio, resistette alla maggioranza, che voleva firmasse egli la sentenza capitale, e le oppose, agli atti notoriamente ingiusti non estendersi la legge che astringeva i dissenzienti a segnare il voto del maggior numero(62). (62) Martini, op. cit., pag. 67, veggasi anche la nota (1) nell’istessa paginaLVIII. “In questo memorabile giudizio [dice il Tola] rivulse egregiamente la probità e la costanza di d. Gavino Nieddu, il quale, non piagiatore del Sulis nella prospera, non oppressore suo nella triste fortuna, si alzò coraggiosamente in consiglio, e propugnò con intrepida voce un enorme voto che già soverchiava. La maravigliosa fermezza di questo eccelso maestrato, degna è che passi alla memoria dei posteri, i quali, finché la virtù sarà in onore, lauderanno sempre lui, che degli uomini no, sore fu Giacomo De Asarta (1786-1857), viceré fino al 1843, soppresse l’amministrazione delle torri costiere (cfr. F. C. CASULA, op. cit., rispettivamente p. 1005 e p. 507). 663 Per le impiccagioni. 664 Saporiti. 665 Schiaffi, ma anche insulti. LVIII “Ho confermato, con l’aggiunta di molti particolari, il racconto analogo di Pasquale Tola, Dizionario biografico degli illustri Sardi, art. Sulis” (P. MARTINI, op. cit., n. 1, p. 67). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 119 Cotanta fermezza e coraggio camparono il Sulis dall’estremo supplizio666; onde l’ebbe a buon mercato se la immite667 sentenza, data da sì immiti giudici, solo lo condannasse alla prigionia perpetua. Per fatti di questo più recenti, ma di affine natura, bene io vorrei poter qui associare al nome dell’illustre Gavino Nieddu, quello dell’onorando magistrato Francesco Maria Serra(63), per il santo zelo e l’eroico coraggio da esso lui spiegati in tempi che correvano pur tanto calamitosi per la Sardegna, nei quali la coscienza d’un magistrato dovea starsi sempre fra due sotto la pressione di un potere dispotico, o eleggendo l’ingiusto per la propria salvezza, o deliberando per il giusto colla propria jattura668; per questo vorrei, dico, a lui consacrare una pagina immortale di splendide lodi, se io potessi fare cose immortali e le sapessi splendide; epperò, in onta al mio animo volenteroso e compreso669 d’ammirazione per un tanto uomo, abbandono ad altri di me più valido la nobile impresa di degnamente gloriarlo. Come al Sulis fu letta la sentenza, ei né si alterò in viso, né fe’ atto alcuno che denotasse smarrimento o sdegno; studiò anzi di serbare il più che gli riescì possibile un contegno freddo e sostenuto, come si conveniva all’uomo che da sé solo riconosceva il premio delle proprie virtù, o il biasimo dei propri traviamenti670. – Sento – ei diceva in mente sua – di poter essere ancor superiore alla mia sventura. Sia fatta la volontà dei miei nemici. Vedendo che dopo la lettura della sentenza, quel chiunque si fosse cancelliere di quel qualunque tribunale di Pilato671, se ne ma solo del cielo, ebbe temenza, e di una vita non voluta dalla inesorata giustizia fu insieme vindice, valoroso e magnanimo salvatore” (Tola, op. cit., vol. III, art. Vincenzo Sulis). (63) Il commendatore Francesco Maria Serra, Senatore del regno e presidente della Corte d’Appello in Cagliari. 666 Tali fermezza e coraggio salvarono il Sulis dalla morte. Crudele. 668 Disgrazia. 669 Pervaso. 670 Allontanamenti dalla retta via. 671 Cioè di ignavi. Pilato è infatti il prefetto della Giudea sotto cui morì Gesù, proprio a causa del suo voluto disinteresse, rappresentato dall’immagine del lavarsi le mani. 667 120 ANTONIO BACCAREDDA stava al suo cospetto ritto e stecchito come un’antenna672, quasi in atto di leggere un’appendice alla già letta sentenza, escì a dire alquanto impazientito: – Sentiamo via, che altro si vuole da me? Gli fu allora notificato che la prigionia perpetua, per comandamento del viceré, l’avrebbe scontata presso il forte dello Sprone in Alghero673; onde si disponesse tosto a porsi in viaggio per quella volta(64). Nella susseguente notte, di fatti, scortato da un drappello674 di truppa regolare a cavallo, il Sulis si avviò al suo destino, il che fu eseguito con tutta la chetezza675, per tema che il popolo, con qualche inconsulto colpo di mano, involasse676 alle ire furibonde di tanti suoi nemici, la designata preda. Forse il popolo avrebbe con curiosità e in silenzio assistito al passaggio dello scaduto, però che non è detto che il popolo sia sempre idolatra677, o che taluno abbia sempre ad esserne l’idolo. Più soventi esso mette in azione la favola di Saturno678. Egli arrivò colla sua scorta ad Alghero il 25 maggio 1800, dopo tre giorni di viaggio. Nel punto che stava per porre il piede sulla soglia della sua prigione, stette un momento a guardare la torre dello sprone; la misurò dall’alto in basso con uno sguardo, che (64) “Nel Maggio 1800 fu confinato nella torre dello sprone in Alghero. Un anno dopo il ministro britannico appo del re rigettò sdegnosamente la proposta di porlo [il Sulis] in mani degli inglesi” (Martini, op. cit., pag. 67). 672 Come un palo. dell’Esperó Real o dello Sperone risale al periodo spagnolo; ha pianta circolare ed è composta da due ambienti spaziosi sovrapposti; si giunge al piano superiore grazie ad una scala, ricavata dallo spessore del muro perimetrale. Si trova nella piazza oggi dedicata allo stesso Sulis, sul lungomare della cittadina catalana. 674 Piccola squadra di soldati, uniti dal medesimo incarico. 675 Arcaismo per tranquillità. 676 Sottraesse. 677 Forse il popolo avrebbe assistito con curiosità e in silenzio al passaggio dell’uomo diminuito in prestigio e potere, ma non è detto che il popolo adori sempre idoli. 678 Saturno è l’antichissima divinità italica dei campi, identificato dai Romani con il dio greco Crono: secondo la leggenda mangiava i suoi figli appena nascevano. Intende così dire che il popolo distrugge i propri idoli. 673 Torre Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 121 sarebbe parso tranquillo, se non lo avesse accompagnato da queste poche parole: – Ecco la mia tomba, o galantuomini! Non l’avrei sperata così suntuosa679. In questa sorta di rimunerazioni gli uomini usano largheggiar sempre. Davvero che poteva esser peggiore la sorte mia! Nessuno osava profferir parola. Quel silenzio accorava e insieme umiliava il prigioniero. – Che io non possa più inspirare nemmeno la compassione! – pensò fra sé, indi si volse alla gente che gli facea scorta. Il solo ciglio senza lagrime era quello di Vincenzo Sulis. Ei sembrava che Virgilio avesse scritto per lui: Mens immota manet, lacrymae volvuntur inanes680. 679 Arcaismo per sontuosa, sfarzosa. La mente resta immota, le lacrime scorrono inutili (VIRGILIO, Eneide, libro IV, v. 4449). 680 122 ANTONIO BACCAREDDA XIV. Confinato entro il deserto suo carcere, due sole volte al giorno gli veniva fatto di udire la voce dell’uomo, e di ravvisarne le sembianze681. Sulle prime non gli sarebbe parsa una privazione, tanto egli era inasprito contro quella, che si vuole l’ultima ed elaborata fattura di Dio682; ma in seguito gli riescì gradita, necessaria anzi a gran segno la vista di quel suo guardiano, contuttoché egli gli si offrisse mai sempre con viso arcigno, e gli parlasse rudemente brevi e tronche683 parole. Per altro in quel diportamento684 d’uomo duro e intrattabile, il prigioniero vi scorgea un non so che di artifiziale, anzi uno sforzo mal simulato per travisare una natura buona e sensibile. Il lettore pensi al buon Schiller, al carcere di Pellico685, ed avrà presso a poco l’idea del carceriere di Sulis. Dopo trascorso un mese, che al nostro povero prigioniero parve un lungo anno, il burbero guardiano cominciò bel bello a smettere quel suo severo cipiglio686; le sue labbra si spianavano a quando a quando per dischiudersi a qualche parola di più del rituale ed eterno – buon giorno e buona notte. Talvolta si lasciava ire687 fino a bisbigliare qualche barzelletta, come si usa coi bambini, o di ascoltare, ma alla sfuggiasca688 (intendiamoci!) il racconto di qualche breve episodio della vita del suo prigioniero, sì che nel giro di due mesi il carcerato e il carceriere erano, senza che sel sapessero, due cordiali amici. Racconta oggi, racconta domani, si poteva ormai dire che la intiera vita politica di Sulis era per minuto nota e notissima all’altro, il quale, 681 Riconoscerne la fisionomia. L’uomo fu creato per ultimo, secondo quanto narrato in Gn 1,26: «Finalmente Dio disse: “Facciamo l’uomo [...]”». 683 Spezzate. 684 Arcaismo per portamento. 685 Silvio Pellico (1789-1854) fu rinchiuso nella fortezza dello Spielberg, in Moravia, a causa della propria azione patriottica con la Carboneria e nel resoconto della sua detenzione, Le mie prigioni, racconta la mitezza del suo carceriere, il “vecchio” Schiller. 686 Atteggiamento del viso con ciglia aggrottate e fronte increspata. 687 Arcaismo per andare. 688 Di sfuggita. 682 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 123 così a mo’ di consolazione, si permetteva di conchiudere talvolta con queste parole: – Signor mio, voi per dire una cosa, foste un poco scapato689 nella vostra prima giovinezza; e siccome si dice che Domeneddio non paga il sabbato, così egli ha pensato di pagare la domenica, troncando nel suo più bello i vostri trionfi e intorbidando la vostra fortuna690. Sopportate dunque in pace ogni cosa, e dite con rassegnazione di buon cristiano: – Se non per questo, per quello. – Hai ragione, Alberto mio! – Io non sono vostro, né di nessuno! – soggiunse il carceriere scurandosi in viso tutto ad un tratto, come se quelle parole avessero ridestato nel suo cuore amare e secrete rimembranze, oppur l’idea del suo ingrato dovere – Vuol ella sapere, per dire una cosa di chi sono? Io sono del mio dovere; perché io non accendo un lume al diavolo e l’altro a S. Michele691. – Brontola fin che ti garba, tu sei mio malgrado di te. Desideri che te ne dia ragione? – Sarei curioso di conoscerla. – Perché con tutto il tuo viso burbero, con coteste tue maniere ruvide e sgarbate, tu mi sei caro più che non pensi, appunto perché ti so fedele al tuo dovere; e così diminuisci in gran parte gli aspri dolori del mio spirito, tanto incrudelito contro gli uomini. – Veramente pare che io sia il solo che eserciti con voi l’opera di misericordia di visitare i carcerati. In tre mesi che siete qui dentro... Il Sulis a queste parole si scosse di repente. – Eh, signor mio, vi siamo a momenti! – continuò a dire il carceriere – Il 25 maggio mi foste consegnato; oggi siamo al 23 agosto... Fate il conto! Dunque in tre mesi, per dire una cosa, non un’anima che abbia dimandato di voi. – Nessuno! – interruppe l’altro con visibile espressione di cordoglio; e inclinò il capo. 689 Senza capo, scapestrato. Ottenebrando i vostri successi. 691 Locuzione per non servo due padroni, cioè non ho comportamenti ambigui o incoerenti. 690 124 ANTONIO BACCAREDDA – Ecco... No... Nessuno, nessuno... Non è poi vero! Nel primo mese della vostra prigionia ricevetti tre o quattro lettere al vostro indirizzo. Sembravano scritte dalla stessa mano... Anzi, da quel che ho potuto giudicare, da mano di donna. Il Sulis trasalì; ma fece forza a se stesso, e tosto si ridusse in calma. Presa alquanto lena692, e voltosi con aria di dolce rimprovero verso il carceriere, gli disse sommessamente: – E perché non consegnarmele allora?... – Bagatelle693! Cogli ordini severi che ho... Vi sarebbe tanto da farmi perdere il posto di torriere694 in un batter di ciglio. Capirete benissimo che il mio dovere l’ho saputo fare anche a dispetto del cuore; quindi le lettere mandai di cheto695 a chi di dovere, e buona notte! – Ah, caro Alberto, mi hai fatto un gran male a dirmi questo! – E perché? – chiese il carceriere addolorato. Ma il Sulis accortosi subito dello stato d’animo d’Alberto, non fece attender molto la sua risposta. – Però non pentirti di aver fatto il tuo dovere... Del resto che potevano contenere quelle lettere? Di me ormai non si curano che i soli nemici. – I nemici soltanto eh?... – E tu, tu che me li fai sopportare con pazienza – soggiunse subito il prigioniero. Il giorno in cui seguì questo discorso, Alberto nel separarsi dal suo prigioniero sembrava spinto dal desiderio di muovergli una qualche interrogazione; e stette un momento fra due696. Vinse in ultimo la curiosità, e più propriamente il morale bisogno che ormai lo trascinava a conoscere le segrete afflizioni di quell’uomo infelice. – Per dire una cosa – balbettò dopo una lunga esitanza il carceriere – avete famiglia voi? – L’ebbi – rispose sospirando l’altro. 692 Energia, fiato. Arcaismo per bagattelle, vale sciocchezze. 694 Guardiano della torre. 695 Di nascosto da voi. 696 Sembrava spinto dal desiderio di fargli una domanda e rimase incerto nella scelta fra andar via o chiedere. 693 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 125 – Siete dunque solo al mondo? – Il serpente si è introdotto nel paradiso della vita – la famiglia – e vi ha lasciato il suo veleno – il dubbio697! La morte del cuore! E non mi vuoi solo? – Per bacco! Ho fatto male a ridestare in voi coteste dolorose memorie... Ah! Se sapeste... Io pure... Ma, per dire una cosa, non dico più nulla. Le sofferenze fisiche e morali sostenute dal Sulis con esemplare costanza, ed il suo fermo e nobile carattere, fecero che il guardiano, addimesticatosi698 del tutto con lui, lo tenesse come suo amico e confidente; onde non solo s’interteneva con esso lui qualche ora in famigliare conversazione, ma spesso gli consentiva quelle maggiori agevolezze, che in vero eccedevano un pochino le attribuzioni del proprio suo ufficio. Per altro il Sulis usava con grande moderazione e riserva di tali e tante condiscendenze, temente non avessero un bel giorno a compromettere colui che ormai riguardava come il primo suo amico. Ma ad un’anima temprata a forti passioni, ad uno spirito indipendente e libero, ad una mente ricordevole dei casi più minuti della sua vita, e diremo, ad un cuore fatto per espandersi in un vortice di affetti, per provarsi nell’azione di atti ardimentosi e nobili, poteva egli bastare la consolazione di una mite amicizia, che tutta risentiva di quella sua vita egra699 e stazionaria? Tetri perciò, profondamente malinconici ei trascinava i suoi giorni; e ad ogni momento, per ogni cosa, in tutti i pensieri suoi, gli si affacciava l’orribile idea che egli li700 avrebbe inesorabilmente tutti consumati nello squallore d’un carcere, nella solitudine, nella monotona compagnia del suo pensiero affaticato già tanto dalle più amare ricordanze; e in così si chiedeva sempre l’infelice, se più grande fosse il danno o il beneficio di ricordar tutto. – Oh! Se la mia povera testa – ei pensava talvolta – non reggesse a lungo a sì dura prova, e se il cuor mio secondasse col suo lamentar lungo questo febbrile lavorio della mente... Oimè, la pazzia allora!... Che pensiero spaventoso è mai questo!... Deh 697 Esegesi del passo biblico (Gn 3,1-6) che narra del peccato di Eva e Adamo tentati dal serpente nel paradiso terrestre. 698 Forma non popolare per addomesticare, affiatatosi. 699 Forma letteraria per triste. 700 As gli. 126 ANTONIO BACCAREDDA dammi, o Dio, dammi la forza di combattere contro questo pensiero; fa’ che io possa resistergli tanto più gagliardamente, quanto esso più mi si mostra valido e ostinato... No no, non posso soffermarmi sopra questa idea; è forza che io la discacci, pensando al giorno della mia morte, che porrà fine ai miei patimenti!... E chi può dire che io morrò in un carcere? I casi della vita sono tanti... Non potrebbe liberarmene la mano di un amico, la mia mano istessa? A questa idea egli si arrestò mezzo fra atterrito e fiducioso, perché se la sua mente l’accoglieva come cosa degna di essere coltivata, il suo cuore la respingeva con subita riprovazione701, non perché la dignità sua rifuggisse da un atto contrario alla legge positiva, però che la libertà sia il supremo dei beni, dopo la vita, e la legge di tutte le leggi; ma perché ciò compiendo egli cagionerebbe al suo buon amico irreparabili guai. Dunque il pensiero della fuga lungi da lui finché il suo carceriere fosse stato Alberto; per cui egli ricadeva nel primitivo abbattimento, pensando che in tanta desolazione altro non gli avanzava che il debole barlume di una grazia sovrana702, o il gelido riposo della tomba. Era una mattina del settembre del 1800, un’ora prima del meriggio, quando Alberto entrò nella camera di Sulis, colle traccie in volto di una violenta emozione, che erasi studiato di combattere o di nascondere almeno. Aveva gli occhi ancor rossi dal pianto. – Signor Vincenzo – egli disse con voce commossa – io vi chieggo703 un favore! – Amico mio, è il primo che mi dimandi. Affé704 mia sarei troppo ingrato se te lo niegassi! Dì dì pure, ma fa presto, perché già prevedo che dovrà costarmi assai il mantenere la promessa. – Per dire una cosa, lo credo anch’io – soggiunse l’altro affissando gli occhi in quelli di Sulis, e facendo un certo sorriso, che destò meno l’ilarità che la compassione in cuore del suo amico. – E sia! Ma desidero però che ti spieghi. – Là fuori vi è una donna... 701 Immediato biasimo, pronta disapprovazione. Non gli restava che la debole speranza della grazia da parte del re. 703 Arcaismo per chiedo. 704 Esclamazione d’uso popolare che vale a fede mia, in verità. 702 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 127 Sulis, che stava assiso, all’udire queste ultime parole, balzò in piedi con impeto così subitaneo, che il povero Alberto dovette indietreggiare sorpreso e quasi atterrito. – Era ben presago705 il mio cuore, quando ti dissi che mi sarebbe costato troppo il favore che mi chiedevi? Il carceriere non rispose che lagrimando a questa interrogazione; indi mosse lentamente verso Sulis, e prendendogli la mano se la portò al cuore con ineffabile tenerezza. Il povero uomo non poteva formar parola, ma il suo sguardo, pieno di pietà e di dolcezza, tutto avea detto al cuore esulcerato del prigione706. – Dille che entri – mormorò il Sulis, abbassando il capo e mettendo un profondo sospiro. – Sì, ma siate umano verso di lei. Già al solo vederla ne sentirete pietà... Farebbe compassione a un macigno... Tanto vero che io non seppi resistere alle sue preghiere, e per dire una cosa, mi sono messo dopo le spalle e dovere e consegna, e avvenga che può707. 705 Aveva previsto giusto. Al cuore piagato del prigioniero. 707 Non mi curo del mio dovere e degli ordini ricevuti, e accada ciò che deve. 706 128 ANTONIO BACCAREDDA XV. Partito che fu il guardiano, Sulis stette per qualche tempo immobile a guardare l’uscio; e frattanto il cuore gli batteva sì forte, che sembrava gli si volesse scoppiare. Si sentì quindi a poco posseduto da un tale languore, che dovette farsi sostegno con una mano appoggiandola a un rozzo tavolo che gli stava presso. Egli era pallido come uno spettro, e gli tremava tutta la persona, come se vinta dal ribrezzo della febbre. L’uscio si dischiuse al fine, ma lentamente e senza alcun rumore. Vide allora il Sulis presentarsi una donna vestita a bruno, col viso smunto e pallido, colla fronte dimessa. Il primo atto di lei fu d’inginocchiarsi sulla soglia, pur tenendo le mani giunte e le braccia protese in alto. L’uscio si era frattanto rinchiuso dopo le sue spalle. Regnava un silenzio così tetro e pauroso, che lingua umana non potrebbe a parole renderne l’idea. Come lo squallore di quel carcere, come la sparutezza708 di quei due sembianti, così era ferale quel loro silenzio. – Vincenzo, io non ho altra colpa che di aver creduto al tuo traditore. Per ottenere il perdono di questo mio errore venni pellegrinando da Cagliari fino al tuo carcere. Mi perdoni tu?... Sulis corse subito a rialzare la consorte, e senza far parola le baciò la fronte con sentimento di profonda compassione. Alcuni altri momenti di silenzio susseguirono alle parole di Vincenza e all’atto di Sulis. – Il mio cuore ti ha sempre creduto innocente, ma il mio labbro non osò mai pronunziare, come ora che ti veggo, questa santa parola. Grazie, moglie mia, grazie che tu venendo a me mi ridoni la religione della famiglia! Il mio cuore non faceva altro voto, io non sentiva altro bisogno che questo. Vincenza guardò attorno a sé, e inorridita ascose il suo volto nel seno del consorte. – Povero infelice! – esclamò soffogata dal pianto. – Non ti faccia orrore questo luogo; tu l’hai ribenedetto, come hai rinnovato d’allegrezza il mio animo. 708 L’apparenza magra ed emaciata. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 129 – Oh fu un orrendo delitto di abusare così della mia fiducia! – I delitti sono le spine che affliggono l’umanità; le virtù le convertono in corona e ce le fanno sostenere con rassegnazione... Oh ma parlami di te ora... Oh Dio! A che sei ridotta... Come ti riveggo... Se non ti avesse presentito il cuore, i miei occhi non ti avrebbero riconosciuta, no! – Nulla io non ti dirò di quello che ho sofferto, perché ti farebbe molta pena... Parlami, parlami invece di te, o povero sfortunato! – La vita dei prigionieri, moglie mia! Lunghe ore di noia, altrettante di tristezza, ma nera709, insoffribile, quando il mio amico non viene a liberarmene togliendomi dalla solitudine. – Il tuo amico? – chiese con stupore la consorte. – Ti pare che io non debba averne più, perché sono in un carcere? – Forse... Ah sì, il tuo carceriere, ora t’intendo! Lo avessi tu veduto piangere al mio pianto... Quanto soffriva il poverino!... E tutto per amor tuo, sai?... Non ha potuto resistere alle mie preghiere... Ed eccomi mercé sua710 vicino a te! Se tu sapessi quanti rifiuti ho dovuto trangugiare711 in Cagliari, allorché dimandava la grazia di visitarti in questo tuo carcere! Coloro che potevano esaudirmi erano tutti tuoi nemici; ed ecco che stanca di non udire altro che disumani rifiuti, deliberai di tentar la sorte e di venirmene fin qui tutta soletta. Il cielo prima di morire non mi ha voluto niegare questa estrema consolazione. – Vincenza, non disperiamo; in avvenire potremo vederci delle altre volte assai. – Eh in avvenire sì! Ma quando non si è sofferto tanto, quando si ha ancora della salute... Sulis guardò attentamente la consorte, e si sentì stringere il cuore. – Dio mio! Come parli ora... Non ripetere queste tristi parole, te ne prego! – Veramente, se sono venuta per consolarti... Ho fatto male, hai ragione... Perdonami! 709 nera per vera come richiesto dall’errata corrige. Grazie a lui. 711 Subire amaramente. 710 130 ANTONIO BACCAREDDA – Non basta dir questo, bisogna che mi prometta di non ascoltar tanto il tuo dolore, e di vivertene calma il più che potrai in compagnia del tuo buon fratello; tanto e tanto, vedi, non si guadagna nulla ad accorarci712 così. Sai bene che io poi non sto così male, come forse sperano i miei nemici; perché ho quello che essi non hanno, amica la coscienza; e tuttoché nel fondo di un carcere solitario, ho un amico, lo stesso carceriere che essi mi hanno dato. Ne avranno essi di così fedeli e disinteressati? Ne dubito! Eppoi ora che mi è concesso di stimarti come una volta!... Oimè, Dio solo sa quanto! Per questo ecco che io benedico ancora la vita!... Così dicendo egli passò sugli occhi il dorso della mano; indi proseguì: – Del resto perdonai tutti, io... – Tutti? – interruppe la dolente con espressioni di maraviglia – Anche quello sciagurato713?... – Tutti dissi? Ah la virtù di questa parola è più grande della virtù del cuor mio, che sempre si ostina a cancellarlo dal numero degli uomini! – T’intendo, tu non puoi perdonargli, anche volendo; e nemmeno io, sai? La religione di Cristo impone obblighi sovrumani... – Ecco appunto perché dessa è divina! – soggiunse subito l’altro quasi del tutto rasserenato. Levato quindi il suo sguardo al cielo, e fermatolo dappoi sul viso pallidissimo della moglie: – Ebbene – egli continuò a dire – spetta a me per il primo il perdonargli! Vincenza, or tu segui il mio esempio... Il colpevole veramente è chi non perdona mai! La infelice sopraffatta dai singhiozzi soggiunse a stento e con voce rimessa: – Così Iddio abbia misericordia di lui! Quietato d’un poco lo spirito di que’ due infelici, essi presero a confidarsi con animo più riposato le proprie vicissitudini. Sulis le parlò della sua captività714, e delle cure che gli prodigava mai sempre il carceriere; Vincenza gli narrava a sua volta i lunghi spa- 712 Prendercela tanto a cuore, addolorarci, affliggerci. Giambattista Rossi. 714 Arcaismo, dal latino captivitatem, prigionia. 713 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 131 simi durati dalla prima ora della di lui fuga, e la disperazione che l’assalse715 per l’ostinato suo silenzio dopo la patita condanna, non avendo egli mai dato risposta a nessuna delle tante lettere che gli aveva indirizzato; ciò che sempre più la confermava nel desolante sospetto che egli la credesse complice in quell’orribile tradimento. – E di lui – chiese con visibile ripugnanza il Sulis – che ne è di lui716?... – Dal giorno della tua condanna ei non fu più visto a Cagliari. Nessuno non ne seppe più nulla! La presenza del carceriere interruppe la loro conversazione, che avea durato parecchie ore, le quali per altro erano sembrate assai brevi a quei due sciagurati. – Figli miei – mormorò il sopraggiunto – mi duole al cuore di dovervi separare, ma non posso fare altrimenti. Ciò non disse per ragioni di dovere, ma per semplice prudenza; onde gli fu forza disporli alla separazione; e questa affrettava con ogni maggior insistenza, per quanto gliene sanguinasse il cuore, vedendoli massimamente in sì cordiale e intimo colloquio. Vincenza si mostrò quanto più seppe tranquilla. Consegnò al consorte un portafoglio e insieme un medaglione contenente il di lei ritratto. – Questa mia immagine ti risovvenga717 che in vita o estinta, invocherò sempre da Dio la sua misericordia sopra il tuo capo. Contempla dunque questa mia immagine, quando più aspro ti riescirà il martirio della tua prigionia. Rivoltasi di poi quasi sorridente al custode, gli pose in mano un ricco anello, e accompagnò il presente con queste parole: – Serbatelo per mia memoria, ottimo uomo! Il guardiano ricusò facendosi rosso in viso, e disse: – Questa non è memoria; per dire una cosa, la è una ricompensa bella e buona questa. – Dio solo può rimeritare718 la vostra pietà! 715 Arcaismo per assalì. Il riferimento è ancora a Giambattista Rossi. 717 Ti ricordi. 718 Ripagare. 716 132 ANTONIO BACCAREDDA – Alberto! – esclamò Sulis con serio cipiglio; e coll’indice accennò all’anello offertogli in dono. – Farò quello che volete! Ora, cari miei, fatevi coraggio... A tale invito marito e moglie si abbracciarono in silenzio, e così trassero fino all’uscio, ove si separarono dandosi un bacio lungo, appassionato, doloroso. Se anche fra nemici è triste e penosa la separazione, pensi il lettore quanto lo fosse per quelle due povere creature, alle quali altro non era rimaso719 al mondo che il solo bene di amarsi, sebbene a perpetuo divisi. – Non la rivedrò più! – pensò il Sulis quando si vide solo – È orribile che gli uomini possano più di Dio! In tempo che egli formava quest’ultimo pensiero, l’uscio si dischiuse ed entrò di nuovo Vincenza, precipitandosi nelle braccia del marito. – Un altro addio! L’ultimo che ti do sulla terra è questo! – ella disse, ma il pianto non le permise di dir altro! In quel punto Sulis sollevò al cielo uno sguardo pieno di indefinibile passione. Alberto non seppe altrimenti né meglio infrenare720 quella piena di dolore, veramente grande, che fingendosi adirato, e facendo sentire in tuono di rimprovero la sua voce soffocata dai singhiozzi. Sebbene seppellito nel fondo di un carcere e abbandonato dal resto degli uomini, non sempre per questo il Sulis rimpiangeva la perduta libertà. Talvolta sentiva in cuor suo di poter resistere longanime721 alle avversità della sua sorte, e di ritrovare quasi un compenso nella sua vita solitaria e tranquilla. Ma perché appunto non poteva esser misantropo722 che a brevi intervalli, essendo nell’anima sua un fondo immenso di fede, di energia, e un istinto indomito di movimento e d’azione, quella sua esistenza inerte e stagnante, logorava dì per dì il suo corpo, e con esso lo spirito. Volendo smorzare gli effetti sinistri che in lui operava cotesto genere di vita tanto contrario alla sua indole fisica e morale, gli venne un giorno in animo di porre in iscritto le proprie avventu719 Per rimasto. Arrestare, frenare. 721 Indulgente. 722 Avverso ai propri simili, tendente all’isolamento. 720 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 133 re. Ne palesò il disegno al suo amico, il quale opponendo per dovere un rifiuto a parole, per sentimento gli recava poco appresso l’occorrente per scrivere723. È inutile il dire che Alberto volea sempre dir la sua sui pensieri scritti dal Sulis, tanto che questi non facea una sola riga di scritto, che non gliela confidasse con iscrupolosa sollecitudine, di che l’altro se ne tenea sopra ogni dire, ravvisando in ciò la confidenza che si avea in lui non solo come amico, ma anche come critico. Per usare in fatti a dovere724 di entrambi questi diritti, invitò un giorno il Sulis a cancellare dal suo manoscritto senza por tempo in mezzo725 questo bel pensiero: – Amo assai più una libertà dubbiosa che una schiavitù felice. – Ma non vedi – gli diceva il prigioniero sorridendo – che io scrissi il detto famoso di un gran patriota polacco726, non già un mio pensiero e molto meno un mio desiderio! – O vostro o altrui, queste parole, per dire una cosa, non le deve tollerare un onesto carceriere. – Lo cancellerò, anzi eccolo già cancellato – riprese l’altro dando un frego727 sul manoscritto – Per altro lungi da te il sospetto che io possa abusar mai della tua amicizia, dove pur mi si presentasse propizia l’occasione di evadermi da questo carcere; e Dio sa se mi è cara la libertà! 723 Il Tola informa che Vincenzo Sulis stese la propria autobiografia nel 1832, quando già era esule a La Maddalena (cfr. P. TOLA, op. cit., p. 246). 724 a dovere per addovero come richiesto dall’errata corrige. 725 Locuzione per immediatamente. 726 Con un certo anacronismo il Baccaredda attribuisce al Sulis la citazione del pensiero di un patriota polacco che potrebbe essere Adam Mickiewicz (17981855), poeta romantico, il quale scrive “Lepszy w wolnosci kasek lada jaki, nizli w niewoli przysmaki” (meglio un boccone qualsiasi in libertà, che le delizie in schiavitù. Il verso in polacco è parte della lirica Pies i wilk inserita nella silloge Dziela wszystkie, vol. I, Wroclaw-Warszawa-Kraków-Gdansk, 1971, p. 97). Mickiewicz rielabora poeticamente una frase del cronachista rinascimentale Marcin Bielski, diventata in Polonia una sorta di proverbio: “Lepsza wolnosc chuda niz niewola hojna” (meglio la libertà in povertà che la schiavitù in ricchezza. La frase appare in M. BIELSKI, Sprawa rycerska wedlug postepku i zachowania starego obyczaju, Kraków, 1569). 727 Locuzione per cancellando. 134 ANTONIO BACCAREDDA – Lo capisco benissimo. Dunque se io fossi tutt’altro uomo che non sono, tentereste davvero di fuggire, così per dire una cosa? – Eh sì, ma lo tenterei così per fare una cosa! – rispose l’altro sorridendo. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 135 XVI. Dopo qualche giorno Alberto spalancando l’uscio introdusse due altri prigionieri: – Eccovi dei compagni, e a quanto pare di vostra antica conoscenza – disse,728 e se ne partì poco lieto in viso, e molto preoccupato. La spudoratezza di quel governo economico fece sì che i molti supposti complici del Sulis fossero, anche senza condanna, condannati al carcere, sprezzante che la storia avrebbe tenuto esso solo colpevole di congiura contro la libertà di tanti cittadini(65). Sulis non avea troppo di che compiacersi di cotesti suoi compagni di sventura, i quali erano già stati i suoi fidi seguaci nel tempo di sua maggior fortuna. Ora i satelliti di quell’astro luminoso sono con lui per sempre scomparsi dall’orizzonte, e con lui travolti in tanta miseria. Ma essi altro non veggono al presente che la propria disdetta e per cagion sua soltanto si stimano ridotti in cattività729; onde ei li guarda in silenzio con occhi di grande compassione, ripensando come essi fossero stati le tante volte i ciechi stromenti della sua (65) Martini, op. cit., pag. 68. – veggasi anche la nota (1)LIX. 728 disse, per disse come richiesto dall’errata corrige. A causa sua si considerano ridotti in prigionia. In precedenza aveva scritto captività. 729 LIX “Re Vittorio Emanuele non esitò di tornare in libertà quegl’infelici che erano sopravvissuti alle lunghe pene della prigionia”; “In difetto del processo contro Sulis e suoi complici, che si suppone portato a Torino, mi servirono di grande aiuto lo spaccio del 14 giugno 1820 del ministro Balbo al conte di Pratolungo, e la risposta di costui del 15 luglio. Se ne deduce lo stato in cui era rimasta l’inquisizione criminale contro ai complici di Sulis, ed un’altra contro i congiurati del 1801, della quale parlerò in appresso; non che la facoltà data dal re al conte di Pratolungo d’impartire in suo nome ai prigionieri di stato ditenuti nelle carceri di Cagliari, Sassari ed Alghero il condono delle rispettive pene e detenzione, ove così lo stimasse, ed in quel modo che gli sarebbe più a grado, procedendo a ciò in tempo prossimo alla di lui partenza. Nel 24 dello stesso mese di luglio, in cui ricorreva il giorno natalizio del re, il conte pubblicava la grazia, fissando ai graziati le seguenti residenze: d’Alghero, a Vincenzo Sulis [...] alcuni nell’intervallo di 21 anni furono scarcerati, i più morirono nella detenzione” (P. MARTINI, op. cit., rispettivamente p. 68 e ivi, n. 1. Il corsivo è del testo). 136 ANTONIO BACCAREDDA volontà, nelle ire politiche, e per la triste necessità dei tempi, non sempre informata a sentimenti d’intemerata virtù. Li commiserava sì, ma non poteva stimarli. S’immagini ora quale supplizio fosse il suo, costretto a vivere con persone di tal calibro, e che a tutte ore gli rimproveravano la propria sorte, con espressioni dettate dall’acerbo dolore, e tolte dal dizionario della plebe730! Ed egli frattanto ripensava ai giorni passati nella tetra solitudine di quel suo carcere, e li rimpiangeva pur tanto, come se fossero stati tutti lieti e felici. Ecco il linguaggio che quegli sciagurati tennero un giorno al loro antico padrone: – Qual uomo noi credevamo onnipotente e terribile! Eccolo qua tutto in un pezzo, e così dappoco731 che non sa nemmeno consolarci colla parola nelle nostre disgrazie. Eppure la parola l’aveva un giorno pronta e valevole, quando si trattava di sguinzagliarci contro a chi732 attraversava i suoi ambiziosi disegni. Il consigliere del viceré Vivalda, il comandante dei cacciatori miliziani, il caporione733 dei caporioni del popolo, non vi sembra egli un ecce homo734? Chi l’avrebbe detto? Vincenzo Sulis, al cui nome tremavano tutti, e grandi e piccoli!... Quello che era come un Dio, venerato e temuto, vedetelo qua miserabile al pari di noi! – E non è poco castigo questo – mormorava il Sulis, con un sorriso amaro – essere come voi e con voi, che mi abbeverate di fiele735 a tutte l’ore, perché sono appunto un miserabile! – Senti – soggiunse uno di quei due prigionieri – e tendi ben bene le orecchie, o capopolo della malora! Tu hai da studiare la maniera di farci uscire da questa maledetta torre, quando no, vedrai! L’hai pure avuto l’ingegno per ideare quei certi brulotti736 730 Con espressioni volgari dettate dal recente dolore. Incapace, di nessun valore. 732 Costruzione arcaica per contro chi. 733 Capo, ma è voce ironica, di biasimo. 734 Letteralmente, ecco l’uomo, come disse Pilato mostrando Gesù alla folla dopo averlo fatto flagellare; si usa per indicare persona percossa, malconcia e insanguinata. 735 Bile degli animali, tanto amara da portare, per estensione di significato, al senso figurato di odio, rancore. 736 Galleggianti carichi di materiale combustibile da lanciare contro le imbarcazioni nemiche. Sulis li utilizzò nel 1793 contro i Francesi (cfr. n. 139). 731 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 137 che destinavi a incendiare la flotta francese. Ci rammentiamo benissimo che per te non vi avea cosa che fosse difficile, solo che tu lo volessi; giacché da tutto ti distrigavi737 con onore. Così, o ti esca dal cervello o dalla punta delle dita, il come fuggire di qui dentro è forza che venga da te. – Fuggire, buona gente, e come si fa? – egli dimandava sforzandosi a parlare con pace e dolcezza – Non vedete dove siamo confinati? Tutto consiste in questo ampio camerone circolare, né vi è altra escita all’infuori di quella porta, che sfida le cannonate, e di quella finestra sulla volta tanto in alto e difesa da quella robusta inferriata. Avremmo uopo della scala misteriosa di Giacobbe738 per arrivare fin là. – Tu ci hai da pensare – si rispondeva allora dagli altri – Codesta scala misteriosa tu devi farla o per amore o per forza. – Questa minaccia in bocca ai miei scherani di una volta non mi fa che ridere. Sentite: quando era libero avrei sagrificato la vita per la libertà; immaginate ora che non farei per ricuperarla! Ebbene, se potessi sfondare queste muraglie con un pugno, non muoverei un dito, solo perché sperate di farmi paura colle vostre ridicole gradassate739. Voi credete che la sventura mi abbia a tale ridotto da temere voi altri? – E così dicendo si rizzò stendendo contro i suoi compagni i pugni serrati e spalancando ferocemente gli occhi che scintillavano fuoco – Sì!740 Temere appunto voi altri cialtroni, imbecilli, codardi, che siete! Né un solo di voi apra bocca in questo momento, che il dolore e lo sdegno tanto più si fanno giganti, quanto più voi vi mostrate vigliacchi e insolenti. Non una parola di più, mi capite? Lo scoppio di un fulmine avrebbe in quello istante meno atterrito quei due miserabili, che la voce del loro antico capitano; per cui si guardavano fra di loro di sott’occhi stando muti e interdetti. Vincenzo Sulis si era ripresentato agli antichi suoi scherani fiero e terribile come una volta, e così sicuro di sé, che ad essi pareva tuttavia di vederlo ancora nella pienezza del suo potere, 737 Per districavi, ti toglievi d’impaccio. Giacobbe “fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli Angeli di Dio salivano e scendevano su di essa” (Gn 28,12). 739 Spacconate. 740 Sì! per sì come richiesto dall’errata corrige. 738 138 ANTONIO BACCAREDDA libero e signore dei formidabili suoi battaglioni di cacciatori miliziani, come quando dettava la legge a tutta la popolazione di Cagliari. Come li vide mansi741 e tranquilli, mise un fremito cupo e prolungato, quasi per esprimere la transizione742 che egli facea dall’ira alla compiacenza di sapersi ancora rispettato e temuto. – Così va molto meglio – egli ripigliò poco dopo – poiché se sarete ragionevoli e sommessi, le cose potrebbero mutarsi di molto così per voi che per me. Non smisero gli altri di lamentare in seguito, né di fargli i consueti rimproveri, ma li facevano compostamente e senza bravate743; e così trascorsero venti e più giorni, a capo dei quali Alberto annunziò loro la dispensa dal servizio di carceriere, causa l’avanzata sua età; disse inoltre che fra pochi giorni sarebbe stato surrogato744 da due guardiani delle carceri di Sassari. Addolorato da tale annunzio il Sulis pensò pure che in breve si sarebbe sciolto dall’obbligo di rassegnarsi alla sua perpetua prigionia, acquistando libertà d’azione per tentare la sospirata fuga dal carcere. Da quel punto si diede dunque a macchinare in suo segreto; e solo all’arrivo dei nuovi carcerieri si lasciò ire a fare in ombra qualche confidenza ai suoi compagni. – Credo giunto il tempo di pensare ai casi nostri – ei disse loro con indefinibile circospezione – Non mi dava il cuore di tentar qualcosa quando vi era il nostro buon Alberto; ora però che ci sono capitati tra i piedi cotesti signorini, che vogliono fare i rodomonti745, mi viene quasi il ghiribizzo di far loro una burla746. – A noi la faremo747, se non sapremo riescire. – Sì, ma come mi ci mettessi da senno748!... Soprattutto, amici miei, fate gli indiani749, e non vi lasciate sfuggir mai una 741 Arcaismo per mansueti. Emise un rumore indistinto, cupo e prolungato, quasi per esprimere il passaggio da un sentimento all’altro. 743 Senza provocazioni o minacce. 744 Sostituito. 745 Prepotenti, dal famoso eroe ariostesco Rodomonte, fra i personaggi dell’Orlando furioso. 746 Mi viene quasi l’idea bizzarra di far loro uno scherzo. 747 faremo per faranno come richiesto dall’errata corrige. 748 Locuzione per davvero, sul serio. 749 Fate finta di non conoscere o capire qualcosa. 742 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 139 parola, né a voce alta né sommessa. Fingete anzi di essere crucciati750 con me; non vi riescirà difficile il farlo. Or vedete quella finestra? Ebbene per di là abbiamo a passar tutti, se saprete fare a modo mio. La prudenza sarà il primo gradino della nostra scala, sarà la costanza il secondo, e poi faccia Dio! – Se tu lo vuoi davvero è fatta! – E dicendo queste e simili cose gli altri abbracciavano farneticando751 il Sulis, il quale ebbe subito a raccomandar loro il senno e la discrezione. – Quanto sono mai impure le fonti della benevolenza! – pensava fra sé, vedendosi fatto segno a tanti abbracciamenti – E poi amate gli uomini se potete, e insuperbite della loro amicizia! Nel meditare sopra un piano da eseguire, nel ricercare con cura solerte i mezzi più acconci752, nel prevenire le più lievi difficoltà, e insieme nell’aver la costanza di durar nell’impresa, e il sangue freddo di compierla, Vincenzo Sulis potea avere chi l’agguagliasse753, chi lo superasse non mai! Già dinanzi al suo sguardo si offriva l’intiero piano, e così in ogni sua parte compiuto, che nulla più ormai non gli mancava che di eseguirlo. Avea mirabilmente teso da lungi le fila della sua tela754, senza nulla rivelare ai suoi compagni, i quali argomentavano tuttavia dal suo contegno che qualcosa di ardito ei mulinasse nella mente755. – Eh! – dicevano essi fra loro – Vincenzo la sa lunga davvero; lasciamolo fare, perché è uno stregone! Fiso sempre nel disegno che avea deliberato di effettuare, nel seguente tenore parlò un giorno ad uno dei guardiani: – Galantuomo, i vostri e i miei padroni non si cureranno di sapere certamente se in questo756 torrione si stia molto o poco a disagio; dico anche che se ci hanno cacciato qui entro è bene757 perché vorranno che vi stiamo sicuri e cheti. 750 Arrabbiati. Dicendo frasi senza senso. 752 Idonei. 753 Forma letteraria per eguagliasse. 754 È la fase iniziale per la realizzazione di un tappeto con il telaio. È qui usata in senso figurato per indicare la lunga preparazione del piano di fuga. 755 Organizzasse. 756 se in questo per se in come richiesto dall’errata corrige. 757 bene per bene, come richiesto dall’errata corrige. 751 140 ANTONIO BACCAREDDA – Lo credo anch’io! – rispose il guardiano con un ghigno758 tutto degno di lui. – Bene! Quanto a tutto questo non abbiamo che ridire759, e vi assicuro, parlo almeno per conto mio, che ormai ho messo il mio cuore in pace. Ciò che essi, i vostri e i nostri padroni,760 non vorranno, si è che da noi si abbia a stare e di notte e di giorno, e d’inverno e d’estate, sempre esposti a tutte le inclemenze del tempo, ora bagnati dagli spruzzi dell’acqua marina, ora insecchiti761 dal soffio molesto del vento, che a tutte ore viene a visitarci nostro malgrado. Io scommetto che se lo sapessero avrebbero un tantino di compassione di noi, e qualche cosa farebbero per mitigare tante sofferenze, perché alla fin fine non siamo né di sasso, né bestie, per star qui sempre sub Iove frigido762. La frase latina toccò il cuore del guardiano, per il che stette infra due se dovea rispondere, o partire senza dire parola; onde l’altro rincalzò subito: – Vorreste farci la carità di dir loro come stanno le cose? – E che sperate da essi? Sentiamo! – Oh per bacco! Una cosa da poco, per esempio un’invetriata su quella finestra; o se questo è troppo, un qualche cencio, così da fare alla meglio un padiglione763 per ripararvici sotto almeno d’inverno e in tempo di notte. Sono lunghe le notti, sapete, quando si è presi dal freddo! Non trascorse una settimana che il guardiano recò loro due vele alquanto lacere, ma tuttavia ancor buone a comporne un padiglione, secondo che il Sulis avea divisato di fare764. Così passarono l’inverno e la primavera. Al principiare della state765, i prigionieri disfecero il padiglione, e le vecchie vele allo- 758 Riso sarcastico, beffardo. Non abbiamo niente da ridire. 760 padroni, per padroni come richiesto dall’errata corrige. 761 Seccati. 762 Al gelo. Il verso completo è: “manet sub Iove frigido / venator tenerae coniugis immemor” (ORAZIO, Odi, I, v. 25), cioè il cacciatore resta sotto il freddo cielo, dimentico della dolce moglie. 763 Tenda di diverso genere, secondo gli usi, di stoffa variamente accomodata. 764 Pensato, immaginato, ma anche si era proposto di fare. 765 All’inizio dell’estate. 759 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 141 garono in buon assetto da banda766, ottenendo di così serbarle per le vegnenti stagioni767 d’autunno e d’inverno. – Signorini, egli è tempo di por mano all’opera. – Oh finalmente! – Zitti e giudizio, cari miei! Ora bisogna disfare bel bello una sola di queste vele e come vi dirò io. Delle fila faremo funicelle, delle funicelle a suo tempo una scala veramente misteriosa, perché la terremo a suo tempo ascosa sotto quest’altra vela, che bisogna serbare intatta a bella posta. – E poi? – E poi? Che forse ora è tempo di pensare al poi? Coraggio dunque, figlioli. Non ci vergogniamo di questo lavoro. La favola racconta che qualche cosa di simile facesse Ercole per far piacere ad Onfala768; la nostra Onfala sarà la libertà. Detto fatto: fu messa mano all’opera,769 e così proseguirono animosi e costanti, che il prodotto del loro diuturno lavoro andava quasi di pari coll’ardente desiderio che essi avevano di recarlo a fine. Per ovviare al pericolo di essere sorpresi, uno di essi se ne stava del continuo in orecchio all’uscio, ed al minimo rumore di passi, dava ai suoi compagni il convenuto770 segnale, e tutti allora lesti lesti a riporre sotto la vela le cordicelle già lavorate o il materiale a ciò predisposto, a tal che i guardiani non ebbero mai sentore di nulla; e gli altri poterono condurre il loro lavoro con alacrità e speranza di ben presto ultimarlo771. Il loro capo mastro (e chi poteva essere se non il Sulis?) si esercitava a quando a quando a lanciare al disopra delle spranghe dell’inferriata una di tali cordicelle, a capo della quale avea legato un piccolo sasso; e tanto si era addestrato in questa opera, che in pochi giorni riescì con sorprendente sicurezza a fare che la cordicella cascasse sull’una delle spranghe, e tratta poscia dal peso del 766 Collocarono da una parte le vecchie vele ripiegate. Conservarle per le stagioni prossime. 768 Onfale, regina della Lidia, comprò Ercole che era stato venduto come schiavo da Ermes. Per compiacere la propria salvatrice, Ercole indossò abiti femminili e imparò a filare la lana. 769 opera, per opera; come richiesto dall’errata corrige. 770 Precedentemente stabilito. 771 Condurre il lavoro con solerzia e speranza di concluderlo presto. 767 142 ANTONIO BACCAREDDA picciol772 sasso vi scorresse sopra come in una carrucola(66). Siffatto esercizio era necessario per il tempo in cui fosse compiuta la divisata773 scala a corde, all’uopo di lanciarla sulla inferriata della finestra, e colà adoperarsi mediante un chiodo, pur esso da gran tempo gelosamente riposto sotto le vele, a smuovere le spranghe di ferro che loro impedivano la escita dal carcere. Di questa operazione delicata e importante se ne era riserbato il monopolio774 Vincenzo Sulis, perché egli sapeva che per condurlo con profitto e sicurezza vi era mestieri di pazienza e di metodo. Egli poi con diligenza somma curava di far cadere sul cavo della mano tutto il materiale cavaticcio775 del muro, e lo gittava fuori del vano sul tetto del carcere, per non lasciar traccia del suo lavoro nel pavimento. Per secondare776 le impazienze dei suoi collaboratori, assai più che per pigliar lena, si arrese a farsi dar la muta777 in tal malagevole lavoro, sostenuto per tante ore sopra quella scala pensile, non omettendo778 mai per altro di raccomandare la massima cautela. Ma ciò riescì a nulla, poiché un giorno, mentre gli imprudenti se lo aspettavano meno, videro spalancarsi l’uscio ad un tratto e prorompere nella prigione i due guardiani, lieti di averli colti sul (66) Manno, op. cit., pag. 171 e 172LX. 772 Forma letteraria per piccolo. Immaginata. 774 Se ne occupava esclusivamente lui. 775 Materiale prodotto dallo scavo del muro. 776 Compiacere. 777 Farsi sostituire nel servizio. 778 As ommettendo. 773 LX “Ma nell’estate l’ordito di quelle tele si trasformò lentamente in una cordicella adeguata all’altezza della finestra; e legatovi un sasso, ebbe il Sulis a lanciarlo tante volte in alto, che poté infine, imbroccando nel vano dell’inferriata, farlo scendere a terra, scorrendo a modo di carrucola sopra una di quelle spranghe. Preso l’abito di quello scagliamento, ed ingrossate con egual mezzo altre funi che reggessero una scala a corda, saliva egli giornalmente, nelle ore di non preveduta visita, infino all’inferriata; e questa nel lavoro paziente di più mesi trovavasi già pressoché scassinata, allorquando l’impazienza di un compagno che volle abbreviare con mano più spedita l’opera lenta ma meno rumorosa del Sulis, diè l’allarme ai custodi” (G. MANNO, op. cit., n. 4, p. 172). Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 143 fatto, e premurosi di portar via ogni cosa779 e scale e vele e chiodo, per poter con tai prove validare la loro denunzia780 al comandante della piazza d’Alghero. L’immediata conseguenza della fallita impresa fu il raddoppiare contro i prigionieri la vigilanza, il rigore ed anche le sevizie, già senza di ciò troppo afflitti per aver veduto svanire ogni speranza di salvezza. Vincenzo Sulis non si perdé d’animo, ma ne fu a tal segno accorato, che da quel giorno in poi non indirizzò più una parola ai suoi compagni; e se ne stava in disparte quasi sempre seduto, col capo appoggiato alle mani e incurante del gran rammaricare che si facea intorno a lui. Fu visto un giorno rizzarsi improvvisamente, e stralunando781 in modo pauroso gli occhi, cadere poco stante di colpo sul pavimento. Vedendolo in quello stato tetanico782 e immerso nel sangue scaturito da una larga ferita, che nel cadere così repentinamente si era fatto sul capo, lo tennero addirittura per ispacciato783. Ned egli si mosse punto; e quando un’ora dopo sopravvenne uno dei guardiani, se ne stava tuttavia nella medesima giacitura784; né dava altro segno di vita, tranne che un respirar lento e rantoloso785 e qualche moto convulso della bocca. – È un colpo di apoplessia bello e buono – esclamò uno de’ carcerati. Il guardiano osservando con aria di diffidenza i carcerati, disse asciuttamente e a spilluzzico786: – Temo invece che sia un colpo di furberia. Però tra il sì e il no, siccome io sono mezzo flebotomo, comincierò dal cavargli sangue; e poi se occorre gli farò dell’altro. Vedremo! Sarebbe vera- 779 cosa per cosa, come richiesto dall’errata corrige. Per poter avvalorare con tali prove la loro denuncia. 781 Sbarrando. 782 Stato fisico prodotto da chi è colpito dal tetano, malattia mortale caratterizzata da tensione rigida dei muscoli. 783 Per morto. 784 Posizione. 785 Respiro lento e affannato come quello di un moribondo. 786 Locuzione avverbiale di basso uso, vale a stento. 780 144 ANTONIO BACCAREDDA mente un gran peccato che questo santo uomo tirasse le cuoia787 entro questo brutto carcere. Né disse a fidanza, poiché dato di piglio ad un coltellino che si avea allato, gli punse una vena del braccio, praticandogli una così copiosa sottrazione di sangue, che mai la maggiore788. Perdurava non ostante lo stato d’adinamia del Sulis, e il guardiano da capo a perfidiare789 col sospetto che egli affettasse a malizia un sì gran male; onde si accinse con ogni maniera di tormenti, che diceva rivulsivi, a cimentare quella povera creatura790, che tuttavia con istoica791 fermezza tollerava ogni cosa, senza batter palpebra. Ma la tenace volontà di quell’uomo straordinario, la forte tempra della sua fibra, poterono più del sospetto e della ferocia del suo manigoldo, il quale dovette desistere dall’inumano proposito di ridurlo da quello stato. Che non avrebbe superato il Sulis, solo che lo avesse voluto? E ottenne, mercé la simulazione di un tanto malanno, di mutar luogo; ciò che seguì in capo a due giorni, essendo giunto l’ordine di tradurlo792 nelle carceri di Sassari. A questo termine le condizioni di sua prigionia eransi d’assai migliorate, ma con esse accresciute del pari le difficoltà di fuggire, almeno coi mezzi cui per l’ordinario793 fanno ricorso i prigionieri. 787 Espressione gergale per morisse, che nasce dalla somiglianza del turgore del cadavere con il cuoio teso. 788 Era impossibile praticarne una superiore. 789 Perdurava nonostante lo stato d’immobilità (lett. anomala debolezza muscolare) del Sulis, e il guardiano da capo a ostinarsi con perfidia nell’azione. 790 Quindi si accinse con ogni tipo di tormenti, compresa l’applicazione di farmaci revulsivi (che provocano anche la formazione di vesciche), a mettere alla prova quella povera creatura. 791 Stoica, impassibile. 792 Trasferirlo. 793 Locuzione che vale solitamente. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 145 XVII. La fama dell’arrivo di Sulis nelle carceri di Sassari era corsa per tutta la città; e in quei cuori nobilissimi e facili all’entusiasmo si apprese vivo l’interesse per quell’uomo straordinario, sebbene in politica ei non fosse un tempo unito di fazione794 a quegli abitanti, essendo Sassari città esclusivamente angioina. Ma il rispetto dovuto alla sventura fece sì che essi nel Sulis non iscorgessero che l’uomo caduto in misero stato, e più assai che nella fortuna, grande e ammirabile nell’avversità. E veramente cotest’uomo non fu mai tanto intrepido, longanime e generoso, quanto lo fu durante la sua cattività, obblioso degli ingrati (che furono molti), memore dei benefattori (che furono pochi); capace di rassegnazione, non di avvilimento a fronte del suo grande e immeritato infortunio. Ecco dove stimo eroe quello che altrove non fu che il semplice protagonista di questo racconto. Molti perciò fra i sassaresi diedero a divedere795 il vivo desiderio di visitare l’illustre prigione; ma a nessuno venne concesso un tanto favore, se se ne eccettuano i due distinti cittadini Pietro Pinna e Salvatore Saba, che meno sospetti al governo per l’austero e moderato animo loro, e alieni da ogni intruglio politico796, ottennero di poter qualche rara volta visitare lo scaduto tribuno cagliaritano. La lucidezza della mente, onde ei discorreva degli avvenimenti nei quali avea preso tanta parte, e la mitezza d’animo e l’equanimità797 con cui li giudicava, riempivano di maraviglia quei nuovi suoi amici, che in breve si sentirono ammaliati dal potere che questo uomo esercitava sull’animo di tutti coloro che l’avvicinavano. Allora essi per esperienza propria si faceano ragione del perché avesse egli potuto per tanto tempo dominare e aggiogare al suo carro così la plebe, che quei personaggi di chiaro ingegno e d’animoso carattere, i quali eransi appunto segnalati in Cagliari dal 93 al 99 dello scorso secolo798. 794 Non fosse della stessa fazione, dello stesso orientamento politico. Mostrare chiaramente. 796 Estranei ad ogni intrigo. 797 L’imparzialità. 798 Del 1700. 795 146 ANTONIO BACCAREDDA Due anni erano di già trascorsi dopo la sua condanna, ed un mese dopo il suo trasferimento dalla torre dello Sprone in Alghero alle carceri di Sassari. Egli non avea più nulla saputo né dei parenti, né degli amici suoi di Cagliari, se pur colà ve ne avea per lui. Due anni di lontananza dagli occhi valgono quanto mezzo secolo di lontananza dal cuore799, il quale nel prescrivere la sua azione è sovente molto più avaro del codice civile e penale. D’altra parte che giova pensare all’uomo seppellito nel fondo d’un carcere? Chi si occupa dell’attore che sta dietro le quinte del palco scenico, rischia di perdere il filo dell’azione. Ricordar tutti del resto, e presenti e assenti, sarebbe un imporre leggi alla limitazione delle facoltà umane. Forse cotesti pensieri passavano nella mente del nostro prigioniero, resi ancor più malinconici dal tramonto di un giorno di giugno, quando una donna vestita a bruno800 e col viso coperto da un denso velo, entrò nella sua stanza. L’accompagnava un carceriere, il quale con aria di consapevolezza la salutò e se ne partì senza far parola, lasciando il prigioniero colla incognita da solo a sola801. Un mondo di timori e di speranze indefinite facevano palpitare il di lui cuore, incapace di prender partito fra sì opposti affetti. Chi poteva esser quella donna? Forse la moglie? Non osava abbandonarsi a sì lusinghiera speranza; e frattanto la sua mente si perdeva in un vortice di vaghe e strane congetture. L’incognita finalmente lo tolse da quello stato d’animo, levandosi il velo e dandosi a riconoscere802 per la sorella di uno dei guardiani del carcere. – Signore – ella disse con voce sommessa – siate prudente, e fate di maniera che nessuno sappia di questo mio travestimento, nemmeno il fratel mio, perché guai a me! Se mi vedete mascherata in questa guisa, gli è per volere dei vostri amici... – Chi sono essi? 799 Dal proverbio Lontan dagli occhi lontan dal cuore, ad indicare che la lontananza fisica smorza le passioni. 800 A lutto. 801 Lasciando il prigioniero solo con la sconosciuta. 802 Presentandosi. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 147 – Mio Dio, ma chi possono essere,803 dimando io? Or tiriamo innanzi... Voi vi vestirete e subito con queste mie vesti; nell’uscire di qui vi calerete questo velo sul viso, come feci io per entrarvi, e vi studierete d’imitare al possibile il portamento di una donna. Questa pezzuola804 bianca porterete a quando a quando agli occhi, dando vista di asciugarvi le lagrime; e così potrete meglio celare le sembianze vostre agli occhi dei guardiani. Io venni qui con un permesso in tutta regola del governatore istesso, che i vostri amici mi consegnarono ed ottennero a nome di una vostra parente. Or non vi occorre di saper altro. – Che io mi presti a una frode simile? – Certo, e senza di ciò non si scappa dalla prigione. A me poi non pensate punto, ché io non posso correre alcun pericolo, potendo escire di qui quando che sia per riguardo di mio fratello. Del resto io sono stata largamente ricompensata per far questa bella scena. Voi non dovete pensare che a vestirvi di fretta e furia e ad avviarvi alla porta del carcere. Nel mentre che ella porgeva al Sulis le vesti da lei prima indossate, gli mormorava all’orecchio: – Non dimenticate però di dare una buona mancia al guardiano che vi scorterà fino alla porta. La mancia anzi gliela darete al momento di escire; è necessario di procurargli una distrazione potente; capirete, il danaro! Al resto penseranno poi i vostri amici. Fra lo stupore per quella scena inattesa, e le instanti805 preghiere della inviata dei suoi buoni amici, non ebbe forza il prigioniero di opporre il suo niego, per cui invasato dall’idea di ricuperare la tanto sospirata libertà806, e medesimamente fatto sicuro che la sua liberatrice non avrebbe a patir danno per sì arrischiato stratagemma condotto a sua sola salvezza, in un baleno si rivestì di quelle donnesche spoglie807, e col velo calato sul volto, escì dalla sua camera così tremante e turbato, che a stento poteva muovere i passi. 803 essere, per essere come richiesto dall’errata corrige. Pezzo di tela, fazzoletto. 805 Forma letteraria per insistenti. 806 Non ebbe forza di opporre il suo rifiuto, per cui esaltato dall’idea di recuperare la tanto sospirata libertà. 807 Immediatamente si vestì con quegli abiti femminili. 804 148 ANTONIO BACCAREDDA – Per di qua, signora, per di qua – gli disse uno dei guardiani, portando una mano al berretto e con l’altra aprendo un uscio interno della prigione – Si vede bene che questa non è la sua casa; e così sia per cento anni. Il guardiano affissò lungamente il Sulis, squadrandolo dal capo ai piedi; onde il poveretto tenendosi808 perduto, si coprì il volto colla pezzuola che avea tra mani, e si mise a singhiozzare dirottamente. – Eh! Lo capisco anch’io – esclamò l’altro con voce lamentosa – Quel povero uomo,809 così malaticcio com’è, fa una gran compassione. Ma se ella vedesse tutti i giorni questi prigionieri, come gli vediamo noi, scommetto che anch’ella finirebbe per farvi il callo810. Capisco, una parente! Frattanto il Sulis si trovò rimpetto811 ad un grosso cancello di ferro. Prima che il carceriere si accingesse ad aprirlo, il Sulis ebbe l’accorgimento di far scivolare nelle mani dell’altro uno scudo (vera benandata812 in questo caso), pur sempre tenendosi la pezzuola in viso, sapendosi non troppo protetto dal velo. – Non s’incomodi, signora; noi queste cose quando non le facciamo per dovere, le facciamo per misericordia. Dicendo queste parole scosse forte il suo mazzo di chiavi, e presa di esse quella che faceva per lui, aprì il cancello, e lasciò passar oltre il Sulis; indi lo serrò con somma diligenza dopo di sé. Non rimaneva che di aprire la porta d’uscita, ed anche questa fu dischiusa ai passi del prigioniero. L’ansia mortale che lo possedeva gli avea tolto le forze e l’ardire, onde nel porre il piede sul limitare del carcere, si sentì mancare di tratto813 e cadde sulle ginocchia, tenendosi istintivamente con una mano al guardiano, coll’altra sorreggendosi alla meglio contro uno degli spigoli della porta. – Adagio! – gridò il guardiano curvandosi verso il caduto. 808 Credendosi. uomo, per uomo come richiesto dall’errata corrige. 810 Locuzione d’uso soprattutto popolare per abituarsi ad una situazione spiacevole. 811 Di fronte. 812 Espressione d’uso non popolare, mancia che si dà ai servitori quando si lascia una locanda o una casa. 813 di tratto per di fatto come richiesto dall’errata corrige. All’improvviso. 809 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 149 In quel momento solo il velo copriva le sembianze del fuggitivo, giacché eragli caduta di mano la pezzuola, che non si curò di raccattare, lieto di essersi tirato su alla meglio e di aver guadagnato uno dei due scalini che metteano direttamente nella via. – Signora, signora! Non vede che ha smarrito la pezzuola?... Eccola! – si fece a gridare il guardiano, alla cui voce corse in tutta fretta la sentinella impiantandosi fin presso il limitare della prigione, in attitudine di ben osservare quanto ivi si passava. Per non destar sospetto, convenne al Sulis di tornar indietro cheton chetone814. – Io sto fresco adesso! – pensò fra sé – Benedette tante premure! Ripreso il fazzoletto ritornò sui passi già fatti, sempre in silenzio e con lento incedere. Udì al fine il rumore solenne del catenaccio che si era chiuso bruscamente dietro le sue spalle. I cherubini in cielo gridando osanna all’Altissimo non cantano melodie sì dolci, né l’accordo dei loro strumenti formar puote815 concenti816 più soavi ed estasianti di quello che destato avea nell’orecchio del Sulis l’aspro e duro strepito di quel chiavistello. Io credo che lo stesso Alfieri avrebbe partecipato a cotesti gusti musicali, sebbene a lui tanto ripugnasse di sentirsi chiuder le inferriate dopo le spalle. Qual sospirone817 mise egli a quel suono, e come gli tardava di allontanarsi da quella triste dimora! Ma fatti appena pochi passi, né troppo ben distinguendo dove egli si fosse, si sentì fermare da due persone, che sembravano in tal luogo a disegno818 convenute. – Chi è di là! – disse il Sulis mezzo allibito dallo spavento. – Amici! Se tu sei Vincenzo Sulis – fu risposto da una voce amica – Sono Salvatore Saba, non mi riconosci più? – Oh sì veramente il mio salvatore819, col tuo degno amico Pietro, che Dio vi benedica! 814 Piano piano. Arcaismo per può. 816 Forma letteraria per concerti, cioè accordo armonico di voci e strumenti. 817 sospirone per sospirare come richiesto dall’errata corrige. 818 Con un secondo fine. 819 salvatore per Salvatore come richiesto dall’errata corrige. 815 150 ANTONIO BACCAREDDA E qui vi furono mutui abbracciamenti e lagrime e proteste generose di sentita amicizia820. Poco stante mossero difilati a luogo di salvezza. Ma cara assai ebbe a costare la magnanima impresa a quei due rari amici, perché (è lo stesso Manno che lo riferisce) le mogli loro e i piccoli figliuoli furono tradotti in carcere; né valse a salvare la donna del Pinna il riguardo dovuto ad un puerperio di soli due giorni821. Ma Sulis e i liberatori suoi seppero contrapporre a queste ferocie tratti magnanimi. Avvedutosi egli nel sicuro suo asilo del turbamento dei suoi salvatori, consapevoli già di quella iniquità, non poté che a stento conseguire la confessione dell’avvenuto, e la contemporanea dichiarazione del proposito loro fermissimo di stancare piuttosto la crudeltà del Governo di Sassari, anziché rivelar l’accordato asilo. Questa eroica ospitalità condusse allora il Sulis ad eroica abnegazione822. Fuggitosi di soppiatto823, presentossi824 non aspettato alla porta del suo carcere, donde inviò preghiera al governatore di rimettere in libertà quelle due famiglie(67). Quali ostaggi, quali torture! Volli riportare le testuali parole dell’illustre storico per accrescere valore ad un fatto, la cui enormità potrebbe farlo sospettare creato da una malsana e reproba825 fantasia. E per un altro un assai edificante spettacolo il vedere tanta virtù contrapposta all’ignavia e all’abbominazione di chi si arroga il compito di migliorare un popolo, che ei crede tanto discosto alla civiltà826. Però se i cattivi governi ancor durano, incolpiamone la corruzione dei nostri costumi, essendo la sola moralità il mortifero ambiente di (67) Manno, op. cit., p. 172-3. 820 Qui vi furono scambievoli abbracci, lacrime e dichiarazioni solenni di vera amicizia. 821 Né servì ad evitare la carcerazione della donna il fatto che avesse partorito da soli due giorni. 822 Altruismo. 823 Di nascosto. 824 Forma arcaica e letteraria per si presentò. 825 Perversa e malvagia. 826 Lontano dalla civiltà. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 151 tai governi. La Carlotta Corday dei tiranni è la virtù827; la virtù intima, soda, domestica, che dell’individuo e della famiglia fa un baluardo contro cui si spezzano le armi della forza bruta. Ma non sogniamo il secolo d’oro828! Dopo questo avvenimento l’illustre prigioniero fu ricondotto ad Alghero nello istesso forte dello Sprone; e se ebbe la ventura di non vi ritrovare i suoi antichi compagni di cattività, la sua sorte gli avea serbato per guardiano un uomo sospettoso, vigliacco, crudele. La sera del 18 giugno del 1802829 come appunto rientrava in Alghero in mezzo ad una buona accompagnatura di soldati, certo non a scorta d’onore, egli vide la città illuminata a festa ed il popolo esultante. – Che è questa novità? – chiese ad uno dei soldati che gli stavano presso. – Si festeggia l’avvenimento al trono di re Vittorio Emanuele I. – È morto forse Carlo Emanuele? – Abdicò! Il cuore a questo annunzio balzò in seno al prigioniero. La speranza, anzi la certezza della sua prossima liberazione gl’inondò l’anima d’indicibile gioia. Avrebbe pur voluto unire le sue acclamazioni a quelle del popolo; ma la condizione di prigioniero lo fece accorto830 che ciò avrebbe fatto assai malvedere. Serrò quindi nel suo intimo tutta la gioia che lo possedeva; e in questo stato di felicità mise il piede nella torre dello Sprone come se la fosse stata la reggia del suo antico benefattore; però che ai suoi occhi non offrisse contrasto alcuno lo squallore di quel carcere coll’aspetto festivo831 della città. L’anima solo crea o 827 Tirannicida è la virtù. Maria Anna Carlotta de Corday (1768-1793), girondina normanna, uccise, nel 1793, Marat, violento rappresentante del popolo nella Repubblica francese. 828 Erano quattro le età del mondo immaginate nell’antichità: dell’oro, dell’argento, del rame e del ferro, in quest’ordine decrescente anche per splendore e prosperità. 829 Vittorio Emanuele I salì al trono il 5 giugno del 1802; nella realtà storica, la fuga del Sulis e il suo rientro in carcere avvennero nel 1812. 830 Gli fece capire. 831 Festoso. 152 ANTONIO BACCAREDDA distrugge la nostra felicità; il mondo esterno vi concorre solo a guisa di complemento832. – Sendo833 re non vorrà essere meno buono per me di quello che fu sendo duca – pensava il Sulis – Egli mi renderà la libertà, la famiglia, l’onore, i miei beni. Sì, lo spero! Egli mi farà giustizia contro i miei vili nemici! Fisime degne di un grand’uomo, ma non di quei tempi, né di quegli uomini! Da quell’epoca anzi ebbero principio le sue vere torture morali. Guardato a vista come un uomo volgare o come un essere posseduto dal demonio, in tutte le sue mosse, in ogni sua parola s’intravedeva il pensiero ascoso di deludere l’altrui vigilanza. Non era già più un prigioniero politico, ma un malfattore qualunque; non più un eroe scaduto, ma uno spirito turbolento e malefico, nato fatto per finire i suoi giorni dentro un carcere. Una mano misteriosa lo avea pietosamente fino a quei giorni sovvenuto di danaro; prima gli si permetteva la lettura di qualche libro; ma dopo il suo ritorno da Sassari tutto gli fu tolto e niegato. Così per altri dieci anni si condusse quello infelice, il cui spirito con moto isocrono834 oscillava dalla noia alla tristezza, senza intervallo, né requie. Eppure in quel lungo giro d’anni,835 grandi e inaudite cose avvennero in Europa. Il figlio della rivoluzione836, addivenuto il genio delle battaglie, riempiva di sua fama il mondo, e la fortuna e l’audacia gli sgomberavano fatalmente il passo, adeguando al livello delle vittime della mitraglia quelle del despotismo837. Du temps l’empire Par l’aigle sera traversé. Mais, Napoléon, ta mémoire Ne se montrera dans l’histoire Que sous le voile de nos pleurs: Lorsqu’à t’admirer tu m’entraînes, 832 Locuzione per marginalmente. Per essendo. 834 A cadenza costante. 835 d’anni, per d’anni come richiesto dall’errata corrige. 836 Napoleone Bonaparte. 837 Arcaismo per dispotismo, atteggiamento del despota. 833 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 153 La liberté me dit ses chaines, La vertu m’apprend ses douleurs838(68). Il nostro prigioniero udiva qualche rada volta parlare delle splendide e fortunate gesta di quell’uomo meraviglioso, e in suo cuore diceva: respice finem839! E allora pensava al come si sarebbero comportati gli uomini dopo il tramonto di sì luminoso astro; già egli prevedeva che i lodatori avrebbero convertito in odiosa o ipocrita nenia840 il loro inno di gloria; che i beneficati gli avrebbero rivolto le spalle; e i nemici, in prima sì pavidi, gli avrebbero fatto sfrontatamente le fiche841. Era naturale che egli, senza immodestia, riferisse anche un poco a sé codeste morali riflessioni; e in questo fare non potea darsi pace né capacitarsi, come Vittorio Emanuele si fosse del tutto dimenticato di lui, egli che meglio degli altri dovea esser certo della sua innocenza, apprezzarne l’animo retto, conoscerne i nemici. Ma il duca d’Aosta cessò coll’essere re, non pure per il Sulis ma per la Sardegna ancora; e ben disse l’egregio storico Pietro Martini asserendo, che la fama sua sarebbe rimasta senza appunti in Sardegna se fosse scomparso in mezzo del favore popolare, o se re non fosse stato, o divenutolo non avesse posto più piede nell’isola(69). Ciò che maggiormente contribuì a farlo uscire d’inganno842 sul conto di Vittorio Emanuele e del suo governo, si fu la triste fine toccata il 2 settembre del 1813 allo sventurato Salvatore (68) Chateaubriand, Les malheurs de la révolution – Ode. (69) Martini, op. cit., p. 43. 838 L’impero sarà attraversato dall’aquila del tempo. Ma, Napoleone, il ricordo di te si mostrerà alla storia velato dal nostro pianto: quando mi spingi ad ammirarti, la libertà mi racconta le sue catene, la virtù mi insegna la sua sofferenza. 839 La frase completa è: “Si quid agas, prudenter agas et respice finem” (Qualunque cosa fai falla con prudenza e guardando all’obiettivo da raggiungere; ESOPO, Fabulae, libro III, XXII, v. 5). 840 Discorso prolisso e noioso. 841 Locuzione che indica un segno dispregiativo, consistente nel serrare le mani a pugno lasciando sporgere il pollice fra l’indice e il medio. 842 Toglierlo dall’illusione. 154 ANTONIO BACCAREDDA Cadeddu843, la quale tanto funestò la città di Cagliari e acerbamente commosse l’animo di tutti i buoni(70). – Ecco – gli disse il guardiano con modo procace, e dandogli una bieca occhiata844 – ecco come finiscono i vostri pari!... Il Sulis non volle lasciare senza risposta un tal linguaggio insolente, e squadrato dall’alto in basso e con dignitoso rispetto il suo aguzzino, così gli disse: – Sì, i miei pari, che sono gli onesti, finiscono sul patibolo, quando i tuoi ne addiventano i giudici, i guardiani o peggio. E se il tuo disegno è di rifilar la parlantina, riporta pure ai tuoi degni padroni queste parole; anzi dì loro che io le ho profferite col miglior mio senno. Fulminato da sì terribile annunzio il nostro prigioniero stette per più tempo immobile, annichilito, senza aver lena di parlare, di piangere, di pensare a sì deplorevole e spaventoso delitto. Vi ebbe un istante in cui credette di aver traudito845, tanto846 gli era parsa cosa enorme quella sinistra notizia. Tuttavolta alle funeste e turpi cose, aggiustando facile fede l’animo suo, ormai troppo al male educato dalla esperienza, il dubbio insortogli ebbe in lui un’assai breve dimora. – Come – disse fra sé – quell’anima così benefica e gentile; quell’uomo così venerando per età, per dottrina e per virtù illiba(70) Martini, op. cit., pp. 235-44. 843 Salvatore Cadeddu, avvocato, fu segretario dell’Università degli studi e contadore della città di Cagliari, congiurò contro Villamarina, organizzando un tumulto popolare, ma venne arrestato e impiccato nel 1812 (cfr. F. C. CASULA, op. cit., p. 254). 844 Gli disse il guardiano in modo sfrontato e dandogli una occhiata malvagia. 845 Credette di essersi ingannato nell’udire. 846 traudito, tanto per traudito tanto, come richiesto dall’errata corrige. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 155 te, morire per mano del carnefice(71)? Oh! È pur vero che i popoli meritano tutto, anche i cattivi governi! E poco dopo come vinto da mortale abbattimento, proruppe in queste parole: – Oimè, mio Dio! Sorreggi tu la mia fede vacillante; che nella stretta di tanto dolore non soccomba sotto il peso del dubbio! (71) Veggasi l’elogio che fa di quest’uomo venerando lo storico Martini a p. 242 dell’op. citLXI. LXI “Amato come egli era e riverito dai concittadini, per la gravezza degli anni, per le cariche onoratamente coperte nel liceo e nel municipio, per la gentilezza dei modi, per le pratiche divote e per la fama costante di buon cittadino, non fuvvi uomo d’animo sensitivo che non ne compiangesse l’infortunio, in quel giorno soprattutto che perdette miseramente la vita” (P. MARTINI, op. cit., p. 242). 156 ANTONIO BACCAREDDA XVIII. Poiché parlando del nostro protagonista ci è forza prendere gli anni per settimane; così dopo di questo infausto episodio della sua monotona prigionia, lascieremo trascorrere sine linea847 quasi un intiero anno. Siamo nel 1814. In quest’anno Sulis fu onorato della visita di d. Efisio Luigi Pintor. Al vedere dopo tanti anni il suo antico maestro ed amico, il Sulis gli andò incontro e gli si precipitò nelle braccia. Con eguale trasporto di amore ricambiò d. Efisio quel primo saluto, così eloquente e doloroso al suo cuore. – Dove vi ritrovo dopo quattordici anni, povero infelice! Pur troppo si sono avverate le mie profezie! – Non avrebbe preveduto però mai – soggiunse amaramente il Sulis – che sarebbero scorsi dodici lunghi anni del regno di Vittorio Emanuele senza la mia grazia. Eppure so che a quando a quando si pone in libertà qualcuno dei miei famosi complici(72). – Il nostro re – mormorò con circospezione d. Efisio – non è certo un Tiberio, ma ha però il suo Sejano848. – Villamarina? Dica meglio il suo mastino. Volle soggiungere qualche altra parola, ma si frenò subito, affettando la massima calma. Il volto di d. Efisio era coperto da mortale pallore; non più si scorgeva in lui l’uomo d’una volta; una cura segreta849 tradiva gli sforzi che egli facea per dissimularla al suo amico. (72) Martini, op. cit., pag. 68LXII. LXII 847 Cfr. nota LIX. Letteralmente senza una riga, per senza scriverne. Si tratta di un’espressione usata da Plinio (23-79), poeta latino, nella sua Naturalis historia, che al capitolo 35 scrive: “Nulla dies sine linea”, riferendosi al pittore Apelle che quotidianamente si esercitava nella propria arte. 848 As Sajano. Elio Seiano, accattivatosi le grazie del crudele imperatore Tiberio (14-37), ne divenne il primo consigliere, ordendo frattanto un piano per eliminare non solo Tiberio, ma anche il resto della sua famiglia e ascendere al trono. Troppo tardi l’imperatore si accorse delle trame del suo ministro, che fece mettere a morte. 849 Preoccupazione non rivelata. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 157 – Ma che ha ella? – chiese il Sulis, addandosi850 dello stato di d. Efisio. – Temo che la politica abbia anche a me fatto il suo presente851... Però non ne parliamo altrimenti(73). – Ebbene mi parli allora della mia consorte. Come sta essa? Si è finalmente rassegnata alla sua sorte?... D. Efisio si smarrì in cuore a questa tremenda interrogazione; ma fece sembianza di essere tranquillo. – Sì, la vostra moglie sta molto meglio di tempo fa – riprese a dire poco stante – Ormai si sente forte a non curar più i suoi e i vostri nemici. Io vi reco i suoi saluti… – Come mi fanno bene queste sue parole! Che Iddio gliele rimeriti! Il saluto che il Pintor avea recato al prigioniero fu l’ultimo che gli mandava dalla terra la sua consorte, cessata di vivere qualche giorno prima di quello in cui siamo col racconto. D. Efisio non ebbe cuore di cagionargli sì acerbo dolore, vedendolo più che ei non sperava calmo e sereno. A che dargli una sì tremenda notizia? Sulis frattanto continuava a dire: – Dunque essa è rassegnata, mi dice? Con questa idea sento che il carcere non mi è poi di così grave martirio. E mi ama sempre?... Non rida, la prego! Io sono così egoista… Difatti fra tutte le manifestazioni del nostro egoismo, questo dell’amore è il più ipocrita, perché ottiene i suoi fini mascherandosi coll’amore per gli altri. – Purtroppo mi aspettava da voi un simile linguaggio; però non secondiate queste idee sconsolanti. La solitudine è una cattiva compagna, e bisogna difenderci contro le sue perfide suggestioni. (73) “Insin dall’infanzia udii dire che, venuta alla rada di Cagliari una nave della marina militare francese, quivi per opera dei repubblicani il Pintor bebbe col caffè quel veleno che nell’anno quartodecimo del secolo trasselo alla tomba nell’ancor verde età di anni quarantotto” (SiottoPintor, Storia della vita di Giuseppe Manno, pag. 46). 850 851 Avvedendosi. Regalo. 158 ANTONIO BACCAREDDA – Non abbia alcun timore per me. La tempra straordinaria del mio spirito, quella che mi ha fatto affrontare e superare tanti pericoli, e che mi ha reso saldo contro le minacce e le lusinghe, è l’istessa che mi mantiene qui, in questo mio carcere, tollerante, securo, coraggioso sempre. E per dar tosto all’altro una testimonianza di quanto andava dicendogli, si fece a parlare con ilarità mista di sarcasmo, delle compiute sue imprese, su di ogni cosa fermandosi con particolari dettagli e con sensate considerazioni. – Perché vuol’ella che mi disperi? Io ho sostenuto tutto in una volta le fatiche e i travagli della vita; ora è giusto che ne goda tutto in una volta il riposo. A me è intervenuto come a quegli attori drammatici, che dopo di aver rappresentato con valore una parte di forza, e presentandosi tuttavia cogli indumenti di un eroe per ricevere sul proscenio852 le salutazioni del pubblico, si sentono cascar sul capo il sipario, la cui stanga li853 ha storditi e rovesciati a terra. Ma io, tuttoché rovescioni, vo starmene colle mie spoglie da eroe, che spero di avermele rassettate con decenza, al pari di Giulio Cesare854. Se pure avvenisse che la Storia si abbattesse a passare un giorno presso al mio carcere, forse non isdegnerebbe di gettare uno sguardo su di me, e mi riconoscerebbe dalla foggia delle mie vestimenta855. Felice chi crede alle riabilitazioni e alle glorie postume in grazia della storia! L’immortalità della fama!856 Non le pare egli il pregiudizio di chi presume di non averne alcuno? – Siete scettico dunque? – Sono come chi ha vissuto molti anni solo e meditando. Oh come dal fondo tetro di questo carcere ho potuto discerner meglio le cose! Coloro, che trovansi nel profondo di un burrone veggono di pien meriggio lo scintillar delle stelle. Sì, mio amico! La vita è una parabola, di cui una parte si ascende colle illusioni, 852 Palcoscenico. As gli. 854 Giulio Cesare (100-44 a.C.) morì assassinato da alcuni congiurati fra i quali il figlio Bruto. 855 Dalla fattura dei miei abiti. 856 fama! per fama: come richiesto dall’errata corrige. 853 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 159 e l’altra si scende coi disinganni. Tolga Iddio che l’ultimo disinganno non sia nella tomba857! Il volto del Pintor si compose a mestissima espressione a queste ultime parole. Una nube oscurò la sua pallida fronte, sulla quale la serenità della fede avea sempre mantenuto costante e inalterato il suo dominio. Egli certo non si aspettava un tal discorso, sebbene fosse apparecchiato858 a udire parole risentite e sdegnose; il perché volle subito opporre al tetro scetticismo, che avea già fatto presa nello spirito dell’amico, i tesori inestimabili della fede. Sperava coll’autorità della sua dottrina di scuotere e ammonire quell’infelice, oppresso meno dai casi della vita, che dalle immanenti persecuzioni del pensiero. – Oh come dovrei esser severo, o Vincenzo,859 nel rispondere a queste vostre parole! Quale forza può aver fatto crollare la salda vostra fede? – Se ella potesse entrare nel mio cuore, ne escirebbe pazza! Sì, lo confesso, ho bisogno di credere, e non posso; e tutto mi fa dubitare. – Dove temessi questi vostri discorsi io avrei spavento di me stesso; ma li voglio affrontare colla sicurezza che m’infuse la scienza di coloro che mi educarono a credere e a sperare. – La scienza umana, sì! – esclamò il prigioniero, componendo le labbra ad un amaro sorriso – Dessa mette sugli occhi del cieco il loto, ma non ha per lui le acque portentose della piscina di Siloe(74). – Vincenzo, la ragione potrebbe intristirvi. – Lo veggo, sì lo veggo, noi due siamo egualmente intolleranti, ella della ragione, io dell’autorità; badi però che la ragione è sempre autorevole, mentre l’autorità non è sempre ragionevole. (74) S. Giovanni, cap. IXLXIII. 857 Cioè che una volta morti non si scopra che non esiste il paradiso, consolazione dei cristiani nelle avversità terrene. 858 Pronto, preparato. 859 Vincenzo, per Vincenzo come richiesto dall’errata corrige. LXIII “Passando vide un uomo cieco dalla nascita [...] sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: Va’ a lavarti nella piscina di Siloe (che significa Inviato). Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva” (Gv 9,1-7). 160 ANTONIO BACCAREDDA L’altro sentendosi piccato860 dalle osservazioni del Sulis, replicò con enfasi mal celata: – Non vi lasciate trascinare dalla cattiva tentazione di ribellarvi contro ciò che ha fatto curvare la mente dei dotti; si richiede dappoi molto studio a rimetterci in sentiero. Sulis non seppe più contenersi ed escì impetuosamente in queste parole: – Oh in quanto a questo io posso quasi credermi più dotto di lei, d. Efisio, sebbene sembri cosa molto temeraria a dirsi! Ma gli è solo perché io ho sofferto molto più di lei. Quattordici anni di carcere e di solitudine! Ella è ancora in fortuna861, caro d. Efisio, e non può quindi conoscere quali e quanti saranno coloro che nell’ora della disdetta,862 l’abbandoneranno; che dico? Il giorno solo che si sapesse che ella non è più utile ad essi! Allora capirebbe il significato vero di tutte coteste strette di mano, di codesta profusione di lodi, d’inchini e di tanti sorrisi spiranti863 affetto e tenerezza. Io sì lo so quel che vi è di nuovo quando la fortuna ci abbandona! Pensare a quella falange di barbarossi sempre pronti a darmi la soja864 e a benedirmi quando io sapeva tenere bene al guinzaglio quella marmaglia che avrebbe attentato alla loro pelle, manomesso i loro scrigni. Il viceré Vivalda istesso, se ne rammenterà ella almeno, lo spero, faceva egli cosa che non la volesse il signor Vincenzo(75)? Pensare che cotesti avvocatoni che ora trinciano865 in lungo e in largo a Cagliari nelle sale dei consigli866, (75) Il viceré Vivalda “non usciva di titubazione nel disporre dei gravi negozi, se il signor Vincenzo (ché così chiamavalo) non lo fermava col suo suffragio” (Manno, op. cit., p. 428). L’illustre storico sardo dichiara tuttavia di non aver mai veduto menzionare nei dispacci del Vivalda, od in altro ufficiale documento della sua segreteria, il nome del gran tribuno cagliaritano. Al lettore i commenti su ciò, e sulla scomparsa degli atti processuali contro il Sulis. 860 Offeso. Ha ancora la sorte propizia. 862 disdetta, per disdetta come richiesto dall’errata corrige. 863 Sorrisi che lasciano trasparire, che emanano. 864 Locuzione per adularmi. 865 Esprimono i loro pareri con sicurezza. 866 consigli per Consigli come richiesto dall’errata corrige. 861 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 161 nelle dotte adunanze, nelle eleganti conversazioni, me li867 ho pur visti tutti ossequienti ai miei piedi e umili come tanti agnellini. Ebbene quando si trattava che il povero Vincenzo Sulis era in gran pericolo, e che gli occorreva un difensore per salvarlo dal patibolo, chi di essi rispose alla giusta chiamata? Nessuno, nessuno! Fu forza nominare d’ufficio il mio difensore. Ah! Bello, generoso, grande tutto questo! Mi lasci dire, d. Efisio ché ne ho proprio il cuore ricolmo! Ella ha studiato molto, moltissimo, lo so; e colla sua metafisica è arrivata a intendere che sia l’uomo, questo enorme fantasma che ci accompagna fino a mezzo della vita, facendoci commettere un mondo di corbellerie, e trappolandoci868 tutte le volte che ci imbattiamo nei nostri simili. Ma gli uomini che esistono,869 non già l’uomo che è scomparso dalla terra, bisogna imparare a conoscere, signor mio; gli uomini sì, e ciò a prezzo della nostra fede e della nostra felicità; perché l’esperienza, funesta scuola della vita, in ciascun giorno mi dice: la tua idea era un sogno, la giovinezza ti ha ingannato; l’uomo in cui hai tu creduto è il bene in potenza, ma non è uscito dagli scaffali della tua libreria o dai penetrali del tuo cuore870; coloro invece che pongono in azione il male nel gran dramma della vita, sono appunto gli uomini, proteiformi871 come l’errore, come il male, come la deformità! Pintor non potendo più padroneggiarsi soggiunse quindi tosto: – Vincenzo! La vostra calma di poco fa mi ha tratto in errore, ma ora veggo chiaramente che nel silenzio dell’isolamento avete vissuto solo col pensiero, facendone uno strumento di distruzione. Chi ha il coraggio di annientar872 tutto, non è poi infelice quanto crede di essere. Ebbene, io voglio riannodare nel vostro misero spirito gl’infranti legami della fede; io vi voglio rendere più infelice che non siate873 per iscuotere l’atonia874 del vostro 867 As gli. Facendoci commettere un’enorme quantità di sciocchezze e ingannandoci. 869 esistono, per esistono come richiesto dall’errata corrige. 870 Dagli angoli più remoti del cuore. 871 Versatili, multiformi. 872 As annientir. 873 siate per siete come richiesto dall’errata corrige. 874 Indifferenza. 868 162 ANTONIO BACCAREDDA cuore malato, per rinvigorire in voi il bisogno della speranza nell’istessa grandezza del dolore. Or bene, allorché avrete imparato che mai sia perdere un essere veramente caro, travolto nell’arcano abisso della morte, allora il pensiero del nulla svanirà dalla vostra mente, che è il solo nulla scompagnato dal cuore! – Mi spieghi questo mistero, la prego! – chiese il Sulis reso attonito dalle tremende parole del suo amico. – Lo farò sì, poiché me ne par giunto il tempo. Coraggio, dunque, o infelice mio amico; la donna che avete cotanto amato, quel vostro angelo di amore e875 di rassegnazione più non esiste! Io ne raccolsi l’ultimo spiro876, io vi reco l’ultimo suo addio! – Povera la mia consorte! – egli bisbigliò piegando la fronte e cuoprendosi il viso colle mani(76). (76) Sebbene sappia di buon luogo che la consorte del Sulis morisse in Cagliari verso il 1846 presso il suo fratello Girolamo Zedda, tuttavia non mi peritai di darle una morte anticipata, pensando come non potesse nuocere all’integrità dei fatti che raccontai, che questa donna, la quale non aveva alcuna entità storica, o se pur l’ebbe, fu solo per riverbero di suo marito, sia trapassata prima o dopo di lui. 875 876 As è. Forma poetica per respiro. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 163 XIX. Questi colpi inattesi e pieni di ambascia877 furono per lui come le colonne miliari878 della sua egra pellegrinazione su questa terra. Quale altro dolore poteva ormai tornargli straniero? Ond’egli incedendo perseverante e senza più lamentare, portava docile la sua croce in nulla presago del proprio avvenire, indifferente del passato e sazio del presente. Egli avea assistito impassibile dal fondo del suo carcere alla coalizione di tutta Europa contro Francia ed il suo despota; all’abdicazione di costui, all’innalzamento al trono di Luigi XVIII, alla caduta del regno d’Italia, ai famosi cento giorni che precedettero l’ultima rovina di Napoleone; agli agitamenti dei liberali di Spagna, di Grecia e d’Italia per cambiar nome alle cose e per disporsi a sostenere nuove illusioni o perdendo o vincendo. Venne finalmente il 24 luglio 1820879, giorno onomastico del re Vittorio Emanuele; in questo giorno istesso ebbe la grazia il Sulis, e quelli fra i supposti suoi complici che erano sopravvissuti alle lunghe pene della prigionia(77). Fu questo un atto di riparazione del re? Se non lo fu, questa serotina880 grazia è soprammodo umoristica; se lo fu, bisogna convenire che Vittorio Emanuele maturasse assai bene le cose prima di farle. Un tale atto, come è naturale a capirsi, fu magnificato clemente da coloro che se ne stanno sempre col plettro in mano volti ad Oriente; sicché i cronisti881, raccolte le odi e scompostone il ritmo, scrissero comando882 in buona prosa i loro annali, a studioso conforto e a salutare esempio delle generazioni avvenire. (77) Martini, op. cit., p. 68LXIV. 877 Angoscia. Segnali che i Romani ponevano lungo le strade maestre a indicazione delle miglia; in senso figurato, sta per tappe fondamentali. 879 Vincenzo Sulis, nella sua Autobiografia, indica erroneamente la data del 4 luglio 1821 (V. SULIS, op. cit., p. 167) e con lui il Tola (P. TOLA, op. cit., p. 246). 880 Fiore o frutto tardivo. 881 sicché i cronisti per sicché cronisti come richiesto dall’errata corrige. 882 comando per cornando come richiesto dall’errata corrige. 878 LXIV Cfr. nota LIX. 164 ANTONIO BACCAREDDA Peraltro se si avessero quattro occhi, o forse meglio se l’occhio si avesse dei ciclopi883, che l’unico l’hanno proprio nel bel mezzo della fronte, le istorie si leggerebbero assai meglio che non si faccia; giacché per intenderle vi ha d’uopo884 di una seconda ed eletta vista che risolva l’equivoco della frase, che ne costruisca in unità i disparati elementi e sopratutto che azzecchi ciò che lo storico ha taciuto per frode, per negligenza o per ignoranza. Ei mi parrebbe che con cotesto occhio benedetto si leggerebbero di molte e belle cose e singolari e curiose intorno alla vita di Vincenzo Sulis. Con questa seconda vista si chiarirebbe forse bene la storia del nostro tribuno, ponendola a ragguaglio con quella del 1821, che ci presenta da una parte generosi e illusi cittadini, chi più chi meno, subire la sorte istessa del Sulis, e dall’altra, persone di più alto paraggio far delle abili defezioni, godersi l’impunità e in ultimo cingere la corona. Ma i ciclopi, narra la favola, erano figli del cielo e della terra. Indovinate mo’885 che altro di più essi leggerebbero là entro in quelle storie, se fossero altresì figli dell’inferno! La libertà, quest’unica eragli rimasta in terra, ma scemata di lunga mano dall’impostogli confine(78), e segnatamente dall’indigenza. Messo appena il piede fuori del carcere, suo primo pensiero fu di scrivere all’illustre Lodovico Baille886 la seguente lettera: Alghero, 29 agosto 1820 Con questa vengo ad offrirle la mia servitù, tale quale feci al suo signor padre, ed al reverendo suo signor fratello d. Faustino, dal quale fui difeso dalla morte al tempo delle mie disgrazie, e per il quale solamente vivo dopo la particolare (78) Vedi la nota ant.LXV 883 Mitologici giganti dotati di un solo occhio, figli di Urano (cielo) e Gea (terra). As duopo. 885 Adesso. È espressione tipica dell’Italia centro-meridionale. 886 Ludovico Baille (1764-1839), figlio di Giovanni Cesare, si trasferì a Torino come addetto al Ministero della Legislazione spagnola, rientrando a Cagliari nel 884 LXV Cfr. nota LIX. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 165 grazia di Dio e del mio benignissimo sovrano; che mi fece rinascere dopo 21 anni di penosissima carcerazione(79). Come saprà, io non possiedo più nulla sulla terra, avendomi di tutto spogliato il governo del mio benignissimo sovrano. Ora accetto con rassegnazione l’esilio, ma di troppo grande supplizio mi tornerebbe lo stendere la mano all’elemosina, io che ho sempre vissuto col frutto del mio lavoro quando era libero. Ella che conosce le mie disgrazie, e che sa quanto poco io le abbia meritate, per essere innocente delle appostemi colpe, non vorrà certo patire che io trascini la mia esistenza nella miseria, massime nella grave mia età, ed in paese dove arrivo col marchio della riprovazione e colla fama della mia lunga cattività. Ella, caro d. Lodovico, che è agente consolare di Spagna, potrebbe farmi nominare suo vice-console in qualche porto dell’isola, o altrimenti pormi in grado di guadagnare, mediante lavoro, il mio pane quotidiano. Si assicuri che questa sarebbe una vera carità, e me la prometto dal suo cuore pietoso; onde implorerò a tutte ore la celeste benedizione sul capo della V.S. come la mia prima provvidenza dopo Dio ed il benignissimo mio protettore e Sovrano, il quale mi ha graziato indi a 21 anni di carcerazione. Qualora alla S.V. piacesse onorarmi di una risposta, io l’attenderò con vivo desiderio e con grande impazienza (79) Fin qui lo storico Martini (op. cit., p. 69LXVI); il restante della lettera è di mia invenzione: “Faustino Cesare Baille, amico come era dell’avvocato Melis, a lui porse aiuto nello strettoio delle 24 ore: tale e tanto che, mentre a Melis rimase il peso della compilazione del sommario del processo, al Baille, versatissimo nella giurisprudenza civile e criminale, quello di scrivere la difesa. Sulis ne fu sempre riconoscente al Baille” (Martini, op. cit., nota (1), p. 69). 1800, dove fu presidente della Biblioteca Universitaria. Condusse importanti studi sulla storia della Sardegna e compose sonetti, come d’altronde suo fratello Faustino Cesare, citato poco oltre. LXVI La lettera è nella n. 1, pp. 69-70. 166 ANTONIO BACCAREDDA nell’isola della Maddalena, la terra ove mi è dato di finire la tribolata mia esistenza. Di V.S. Ill.ma. Devotissimo ed Umilissimo Servo VINCENZO SULIS. Nella grave887 età di settantacinque anni egli mosse dunque il piede dalla prigione per l’esilio. L’isola della Maddalena fu da esso lui prescelta come luogo di confino; e vi trasse col desio di chi ha bisogno irresistibile di trovar pace. Arrivato in quello scoglio, cui il cielo impartiva la benedizione del suo sorriso, si curvò al suolo e lo baciò ripetutamente con espressione mista di tenerezza e di mestizia. – Terra del mio esilio, e mia ultima dimora – egli esclamò stando tuttavia ginocchioni – siimi ospitale e amica, come io sarò tuo discreto e leale ospite! Io fruirò dei tuoi doni con gratitudine, dei tuoi rigori con pazienza, né mai il mio labbro dirà parola di biasimo o di lagnanza contro di te, o la mia penna scriverà cosa che valga ad alienarti l’affetto degli uomini. Chi è immemore dell’ospitalità ricevuta è sette volte codardo e sette volte malvagio! L’avea in quell’isola precorso888 la fama di sue segnalate imprese, e della lunga prigionia sofferta; onde gli si proffersero tutti ossequienti e benevoli. Ma alle lusinghiere dimostrazioni di quei buoni isolani egli contrappose la sua grande modestia. Desideroso di trarre una vita solitaria ed ascetica negli ultimi suoi giorni, ebbe divisato di consacrarsi intiero a soccorso degli infelici, di rendersi a Dio. Si vide di bel nuovo provveduto di danaro, fermamente dall’istessa misteriosa mano di tempo fa; e poté con quanto sopravanzava ai suoi più stretti bisogni, sovvenire i poverelli,889 e coll’opera sua assidua assistere gl’infermi. Che altra consolazione potea rimanergli all’infuori di quelle che derivano dalla beneficenza890 e dalla preghiera? In così fatta età, dopo quanto avea veduto e sofferto, che altro potea esser per 887 Avanzata. Preceduto. 889 poverelli, per poverelli come richiesto dall’errata corrige. 890 Arcaismo per beneficienza. 888 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 167 lui la vita se non un apprestamento891 alla morte? Così il cuor suo, invigorito dal dolore ed educato dalla solitudine, ritornò ad essere l’amico dell’uomo, compassionandolo892 anziché odiarlo; giacché è la società che, in cambio di farlo migliore, lo ha pervertito. L’intelligenza, fatale forse come i mali che ricompera893, lo aveva finalmente riconciliato con sé e con gli uomini! Dovrò dirlo senza ambagi894 e timori? Vincenzo Sulis era ridivenuto un fervido credente. Né ciò gli si addebiti come un sintomo di debolezza causata dai patimenti e dagli anni. A che indisìa895 la severa scuola della vita? In che si affidano le fastose promesse di codesto strombettato progresso, che ti pone sempre dinanzi agli occhi lo stesso problema da risolvere? I soccorsi della scienza forse che sono fatti per consolare l’uomo infelice? Della896 scienza moderna massime, che altro non vede che amminicoli897 (come sennatamente898 dice il De Meis(80)); che altro di meglio non sa offrire (e l’offre solo ai suoi cultori) che i passatempi del microscopio e delle storte899 per farsi ricca di fenomeni? E poiché è d’uopo scusare non soltanto le opinioni, ma il sentimento in questi benedetti tempi di libertà, farò scudo al mio protagonista del motto magistrale degli stessi odierni liberi pensatori, sul cui vessillo veggo scritto: – Ciascuno secondo la sua fede900. Quanti (80) A. C. De Meis, Dopo la LaureaLXVII. 891 Avvicinamento. Compatendolo. 893 Inevitabile forse come i mali che redime. 894 Direttamente, senza giri di parole. 895 Verso quali desideri spinge. 896 As della. 897 Per ammennicoli, cose di poco conto. 898 Assennatamente. 899 Recipienti con lungo collo ricurvo verso il basso usati nei laboratori per compiere esperimenti chimici. 900 «“Il Signore stesso a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo” (1Ts 4,15). Egli, che per volontà e comando del Padre giudicherà tutti con giustizia e darà a ciascuno secondo la sua fede e le sue opere» (SANT’AGOSTINO, Replica al sermone degli Ariani, cap. XI, par. 9). 892 LXVII Angelo Camillo De Meis (1817-1891), patriota abbruzzese, scienziato e docente di filosofia a Bologna e a Parigi, scrisse Dopo la laurea nel 1868. 168 ANTONIO BACCAREDDA spiriti forti stringendo l’arma suicida si confessano più deboli di Pascal, di Moor, di Pellico, di Tommaseo901! Vorrei quasi dire che ormai si richiede maggior fede ad essere materialisti e atei che credenti della fede dei più902. Non mi si creda per questo un Tommaso da Kempis903. Del resto Vincenzo Sulis avendo tutto perduto904, in chi dovea egli confidare? Rispettiamo dunque il dolore ineffabile di chi non può trovar conforto che ai piedi dell’altare905. E dall’altare il Sulis riattinse lena, vigore, volontà a fare il bene, e a farlo per sentimento, non più potendolo per riflessione. Le occupazioni giornaliere e più favorite di lui erano, come già dissi, nel prestarsi a sollievo degli infermi. Coloro fra questi che erano per di più indigenti, ricevevano da lui, oltre a quei conforti dimandati dal loro stato di salute, anche dei soccorsi in danaro. Non è a dire qual fama egli erasi in breve tempo procacciata906 d’uomo benefico e pio. Il suo nome correva in bocca a quegli abitanti, sempre associato a benedizioni e a parole di ammirazione e di gratitudine; e non potevano capacitarsi come egli fosse stato condannato a quella sì dura e lunga prigionia, e come in questa avesse conservato sempre il suo buon cuore, o altrimenti se lo avesse educato al bene. La sua prima cura di ogni giorno, e ciò fin dai primordi della sua dimora alla Maddalena, era rivolta a visitare l’ospedaletto di quel comune, in cui di fatto e per tacito consenso di tutti era considerato come il patrono e il direttore. – Ottimo signore – gli diceva il medico di quello stabilimento sanitario, un uomo illuminato e di proposito – voi forse ignorate tutto il bene che fate. Voi soccorrete gli afflitti e in uno offri- 901 Blaise Pascal (1623-1662), filosofo francese giansenista. Niccolò Tommaseo (1802-1874), filosofo e uomo politico, venne incarcerato per la partecipazione alla rivolta veneziana del ‘48 ed esiliato dagli Austriaci a Corfù. 902 Cioè dei cristiani. 903 Tommaso Hemerken (1380-1471), detto da Kempis, mistico tedesco cui è generalmente attribuito il testo L’Imitazione di Cristo, la più completa esposizione della devotio moderna, corrente religiosa di riforma spirituale. 904 As tuttoperduto. 905 Cioè nella religione. 906 Procurata, guadagnata. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 169 te l’esempio del bene, senza fare il picchiapetto o il bacchettone907. Qualche facoltoso signore, vergognandosi della sua colpevole avarizia, vedo già che apre la mano alla beneficenza; vedo che i monelli vanno via via smettendo il mal vezzo908 di oltraggiare la sventura e la vecchiaia. Vedete là presso a quel letto – e ciò dicendo accennò ad un uomo dalla barba e dai capelli canuti, curvo sotto il peso degli anni e, a quanto mostrava, assai sofferente – lo vedete? Quel desso fu tratto in questo luogo di dolore, e giorno e notte presta l’opera sua a pro degl’infermi, per il desiderio d’imitarvi. Oh è ben grande questo! Egli è divenuto la provvidenza di questi infelici, dopo di voi, s’intende. – Questo vi fa supporre il vostro spirito generoso, e la grande amicizia che avete per me – rispose modestamente il Sulis, stringendo la mano al medico. – Credete che io voglia adularvi? Quanto ora dissi vi sarà da lui medesimo confermato; e come sarà felice di poterlo fare! Se sapeste il fascino irresistibile che voi operate sull’animo suo, e l’entusiasmo che lo investe al solo udire il vostro nome! Il Sulis senza far parola si appressò al vegliardo, e il medico gli tenne dietro. – Voi dovete esser di molto infelice, se trovate consolazione presso al letto degli ammalati – mormorò il Sulis, rivolgendogli la parola con affabilità e mestizia909. L’interrogato non rispose altrimenti che con un leggiero e affermativo segno del capo. – Davvero che m’interessate molto, o buon uomo! Spero che vorrete provarmi colla vostra fiducia la benevolenza che l’ottimo nostro medico mi assicura che voi nutrite per me. Ci uniscono in amicizia le comuni e pietose nostre occupazioni, e gli affanni che ci hanno condotto a questo. Così dicendo gli stese amorevolmente la mano, che l’altro baciò con trasporto di devozione e d’affetto. – Grazie! – esclamò finalmente il vecchio, con voce così stenta, che si durava gran fatica ad intenderlo – Grazie anche a nome 907 Sinonimi per indicare colui che si mostra pedante nelle pratiche religiose, appunto picchiandosi il petto. 908 La cattiva abitudine. 909 Benevolenza e tristezza. 170 ANTONIO BACCAREDDA dei poverelli che questa mano ha soccorso! Io non sperava che vi foste degnato di scendere fino a me, che sono così miserabile. – Ebbene, se siete miserabile non è forse questo un titolo di più al mio affetto? Rassicuratevi, o povero mio infelice; quali che sieno le vostre tribolazioni, il mio povero cuore vi sarà sempre aperto, come è la mia muta e solitaria casa sempre ospitale all’amicizia ed al dolore. Ci consoleremo a vicenda. Più vi sarò infelice, e più vi amerò. L’altro ribaciò commosso la mano dell’illustre esule. Né il medico era di questi meno commosso nel suo segreto compiacendosi di aver dato causa910 a questa scena pietosa. 910 Aver originato. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 171 XX. Forse il Sulis pensò subito che il nuovo suo amico non avrebbe avuto molto di che consolarsi del suo contatto, e partecipando al genere di vita che egli traeva austera e da stoico. Schivo di riandare le passate cose, egli dava sollievo alle presenti sue afflizioni solo con la meditazione e con la preghiera. Quando si è molto innanzi cogli anni si vive solo di pensiero; e questo genere di vita contemplativa ed interna non è troppo atto a tener gaio e sollevato lo spirito dell’uomo, querulo911 quando medita a quel che avrebbe potuto fare, querulo quando ripensa a quel che ha fatto, querulo di esser nato, querulo di dover morire. Il benefizio del pensiero ne controbilancia esso i disfavori? Chi non usa di questo privilegio che deifica l’uomo, anche nella fatica, vedi sereno e quieto; chi ne usa, neppur giacendo riposa. Oimè! Temo già soluto il problema! Durante le lunghe notti, vegliate nella tristezza del suo ritiro, di rado qualcuno veniva a turbarlo, sapendosi da tutti che egli sopra ogni cosa era vago di solitudine e di quiete; onde, per vincere la monotonia di quella sua vita uggiosa912, prese egli il partito di scrivere la lunga storia delle sue vicende. Qualche volta mentre scrivea, lo si vedeva acceso di subito entusiasmo, tale altra l’ira lo accendea con irrefrenata violenza, e allora sdegnoso gittava da sé lungi la penna, e si mordea le mani con impeto feroce; e a questo, il suo buon amico, che non perdea un solo dei suoi movimenti, gli si appressava riguardoso, e con ineffabile dolcezza lo esortava a serenare il conturbato suo spirito. – Vi ringrazio dell’interesse che prendete per me – egli diceva allora, pentito di aver ceduto alla foga della sua passione – Voi colla vostra amorevolezza mi richiamate a me stesso. È un rimprovero troppo benevolo questo che voi mi fate, lo veggo; pure basterà questo solo a correggere lo strano e ardente mio carattere. Così parlava il Sulis, e come per imporsi la moderazione che in tai momenti lo abbandonava, riedeva913 all’opera interrotta; studiandosi di essere al possibile calmo e rassegnato. 911 Forma letteraria per lamentevole. Noiosa, priva di gioie. 913 Ritornava, riprendeva. 912 172 ANTONIO BACCAREDDA Succedevano talvolta alle silenziose ore dello sconforto, alcuni istanti di gaiezza e di fiducia; e allora egli esclamava con dolce inflessione di voce: – Noi siamo pure ingiusti qualche volta a lagnarci del mondo! Rammentiamo solo le malvage azioni degli uomini, e mai, o molto di rado almeno, le loro virtù. Fui, è vero, bersagliato914 assai dalla fortuna, e molti uomini sperimentai915 crudeli; ma abbandonato non mi seppi mai. In questa terra istessa, ignorata da tutti, una mano benefica e misteriosa mi salva dall’indigenza; voi dividete generoso con me le tetre ore dell’esilio, e vegliate su di me colle cure amorose di un fratello, di un vecchio amico. Talora, abbattuto dallo sconforto, toglieva anche dalle più lievi cose argomento a lamentare di tutto, e con umor cupo e selvaggio fuggiva ancora la compagnia di quell’unico suo amico; e in questo stato traeva verso i luoghi più romiti916 dell’isola, per alimentare colle nere fantasime917, create dall’egro suo spirito, la tetraggine da cui si sentiva compreso918. Favoriva questi accessi di misantropia l’aspetto malinconico e imponente del mare, sulla cui sponda spesso si assideva a contemplarne i fiotti biancheggianti, a udirne il tetro muggito, che si perdeva nel cupo silenzio del suo cuore. Allora la sua mente si elevava al cielo, nel quale soltanto confidava; e in così, affissando nel mare il suo occhio ammirato, esciva in queste parole: – Ti contemplo, o mobile e immensa via che ti perdi al mio sguardo desioso, e che immagino debba tu addurre a paesi, nei quali esistono uomini più felici, più virtuosi che non sono quelli che io mi conobbi; nei quali non si atterghi919 all’amore l’interesse, dove il sorriso non illanguidisca920, e i fiori non appassiscano mai! Ecco perché questa via, sospesa sopra l’abisso, confina al cielo. Vieni, o flutto soave, che ti perdi con un sospiro su questa sponda sabbiosa, non lasciando di te che un fuggevole vestigio921 914 Preso di mira. Conobbi per esperienza diretta. 916 Solitari. 917 Incubi. 918 Pervaso. 919 Anteponga. 920 Svanisca. 921 Ricordo. 915 Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 173 di spuma, immagine della vita terrena! Il tuo sospiro mi rinvergini l’anima, mi rinvigorisca il cuore colla dolce e consolante giovinezza della fede. Potessi abbandonarmi a voi, onde che in me destate l’idea dell’infinito, così liberandomi da me stesso, di cui ho tanto spavento. In vostra balia non farei naufragio, no! Perché credo e spero; perché l’anima mia sente l’istinto della vita immortale! Era una scena solenne, cui in silenzio e in disparte assisteva l’amico del Sulis, temente di toglierlo a quell’estasi beata. Dopo alcuni momenti, per altro, gli si appressò, e postagli dolcemente la mano sopra una spalla: – Come a quest’ora, e solo in tal luogo? – gli disse in tuono di amorevole rimprovero. L’altro gli si rivolse, avendo al viso922 la placida e mesta impronta della rassegnazione, l’ultima compagna di chi ha riposto la sua fiducia nella vita futura. – È tanto buon stare qui – gli rispose placidamente il Sulis – Più è lugubre e malinconico il luogo, più egli si confà col mio spirito. Dopo una breve pausa il Sulis si decise di seguire l’amico, e con lui trasse fino alla propria abitazione, dove arrivò che era già notte. Era quella una notte di febbraio923 del 1833; il vento più dell’usato sibilava forte e monotono; i due vecchi se ne stavano assisi uno rincontro924 all’altro, silenziosi e cogitabondi925. Trascorsa circa un’ora dopo il loro ritorno, il Sulis si rizzò, e trascinandosi col tardo926 suo passo verso uno stipo927, lo aprì e ne trasse fuori un manoscritto. – Voi mi avete dimandato le cento volte il racconto dei miei casi – egli prese a dire mezzo sorridente – Mi ricusai sempre a farlo, perché ciò mi sembrava un peccato di vanità. Per altro questo peccato, volere o non volere, l’ho già commesso in questi ulti- 922 al viso per in viso come richiesto dall’errata corrige. febbraio per ottobre come richiesto dall’errata corrige. 924 As ricontro. 925 Pensierosi. 926 Lento. 927 Armadietto fissato al muro. 923 174 ANTONIO BACCAREDDA mi mesi scrivendo le mie memorie, che si contengono appunto in questo manoscritto che vedete(81). Desiderate ora che ve ne legga qualche brano? – Vi ascolterò religiosamente – rispose l’altro – e dove vi manchi la lena a proseguire, leggerò io, se vi aggrada. L’esule imprese928 a leggere a voce alta il suo manoscritto, nel quale erano con lucidezza929 di mente, con precisione di modi, con ordine di tempo esposti i fatti più osservabili della sua vita politica. Giunto al passo in cui si narravano i casi del 1799, e vinto meno dalla stanchezza che dalla profonda emozione che in quel punto lo possedeva, depose il manoscritto e tacque. Poco stante ripigliò, sentendosi alquanto rinfrancato, e lesse quel triste episodio del tradimento del cognato, riportando le parole da lui dette nell’atto stesso che si abbandonava nelle mani dei soldati: – Eccomi in vostro potere – continuò il Sulis – So che mi attende, e basta! Nondimeno, benedetti voi che, consegnandomi al carnefice, mi liberate dalla vista di quel traditore. Eccolo là, lo vedete? È quel desso che ora ai vostri occhi si presenta... Ma non poté proseguire; la voce gli spirò sulle labbra, il manoscritto gli cadde dalle mani. A questo, l’altro pallido e allibito giacque sul petto, e con voce fioca e tremante mormorò, quasi fuori di sé: – Come la larva d’un uomo!... – Che! Voi sapete? – chiese stupefatto il Sulis, avanzandosi verso l’altro – Che avete?... Perché così commosso?... Perché?... – Gli è che questa larva d’uomo dura tuttavia per spaventare gli uomini… E te, una seconda volta! – Che volete dire, chi siete?... – Vincenzo, non ascoltar la giusta ira tua! – interruppe l’altro gettandosi ai piedi di Sulis. – Ma che sogno io forse?... E sei tu Giambattista Rossi!... – Vincenzo, ascolta per carità la storia della mia vita. Dessa è (81) Il biografo sardo Tola, asserisce che il Sulis scrivesse le sue memorie durante l’esilio nell’isola della MaddalenaLXVIII. 928 929 Iniziò. Lucidità. LXVIII P. TOLA, op. cit, n. 1, p. 244. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 175 breve... Ma è atroce, terribile!... Tu la udrai, e avrai compassione di me. – Come! Dopo trentatré anni, sotto il mio medesimo tetto? Oh Dio, ma che ti ho mai fatto, perché tu mi abbia a punire così crudelmente? Ed io non ti ravvisai... – E chi lo avrebbe potuto?... E sono io forse più lo stesso? Deh, mia vittima, ascoltami! Te ne prego per l’anima santa della tua consorte! Ascoltami, o mio Vincenzo! Udendo il suono di quella voce sepolcrale, e rimirando quelle sparute sembianze, Vincenzo Sulis930 non riesciva a ravvisare il suo traditore, tanto l’avevano trasfigurato, più che gli anni, le lunghe e atroci sofferenze; e con tutto ciò sentiva nel profondo dell’anima sua, che colui era per l’appunto Giambattista Rossi. – Chi direbbe che egli sia quel desso? – diceva il Sulis fra lui e sé – Quegli occhi che un dì splendevano di luce così sinistra, come è che ora hanno sguardi così dolci e insinuanti? Come è che ora nel suo volto l’espressione del dolore meno rattrista del suo sorriso d’una volta? Oh! Se costui è Giambattista Rossi, egli è pure un uomo penitente che mi sta ai piedi, e mille volte più misero che io non mi sia! Vi sarebbe egli un cuore al mondo, che potrebbe non sentire pietà alla vista di tanto dolore? Chi oserebbe discacciare quest’uomo? Oh! Anima mia, non chiuderti ora alla compassione, poiché mai più in vita potesti adoperarla più degnamente, più santamente d’adesso! Il pallor del volto, la costernazione d’animo, l’atteggiamento umile e supplichevole del Rossi, inspiravano veramente pietà; col suo frequente anelito, col suo silenzio istesso sembrava che dicesse al Sulis queste parole del poeta: Sappi che tosto che l’anima trade, Come fec’io, il corpo suo l’è tolto Da un demonio, che poscia il governa, Mentre che ‘l tempo suo tutto sia volto(82). (82) Dante, Inferno, canto XXXIIILXIX. 930 As Sulis,. LXIX Si tratta dei vv. 129-132. 176 ANTONIO BACCAREDDA – Alzati! – disse il Sulis con voce compassionevole, e riacquistando l’abituale sua placidezza – Alzati, Giambattista, né dir di più; nominando la mia consorte, tu mi facesti risovvenire che io t’avea da lungo tempo perdonato. – E da molti anni pure io porto il peso del mio delitto, non pensare! Da molti anni io ti seguo o Vincenzo! Il mio spirito era sempre vicino a te, e colla mente divideva i dolori della tua prigionia. Ma quanto più di te torturato ed oppresso! Ad Alghero, a Sassari, e quindi di nuovo ad Alghero, dovunque ti seguiva il mio piede; ma qui, in quest’isola finisce la mia pellegrinazione; poiché vi ebbi il tuo perdono. Te benedetto che hai questa buon’azione da presentare a Dio! – La mano misteriosa che mi soccorreva era forse la tua? – Sì, mio Vincenzo! Il Sulis si accostò al cognato, e lo baciò in bocca con sentita e profonda pietà. – Con questo bacio ritorniamo ad essere fratelli, e per sempre. Dio avrà misericordia di noi! Un anno dopo questa fraterna riconciliazione, il 13 febbraio del 1834, Vincenzo Sulis spirava nelle braccia di Giambattista Rossi, lasciando di sé tal nome, conforme dice l’illustre suo biografo(83), che nella sarda storia sarà più singolare che raro. Nessuna pietra fu posta per rammentare ai superstiti la vita tribolata di quell’uomo, così generoso e modesto nella prosperità, così lunganime931 nella sventura, così perseverante nelle convinzioni; ma sebbene negletta e ignorata la sua fossa, ben sapeva discernerla il misero Giambattista Rossi; né per quanto ei si sentisse affranto dagli anni e dalle angosce; né per quanto terribile imperversasse il tempo, ei non lasciò un sol giorno di pregare e di piangere sulla solitaria fossa della miseranda e placata sua vittima. (83) Tola, op. cit., articolo Vincenzo Sulis. “Un uomo [dice il Manno a p. 173 dell’op. cit.] che in altro paese, o in altre condizioni di vita, sarebbe salito a miglior celebrità”. 931 Per longanime, che sopporta a lungo, costantemente. Vincenzo Sulis. Bozzetto storico 177 Servì senza ambizione lo stato; tollerò senza abiezione932 il carcere; e quel che più degno è di lode, questo è, che sopportò con equità d’animo la calunnia(84). Queste parole scrisse il Botta in lode del celebre Priocca933 ministro del re di Sardegna; queste parole io scolpirei sulla tomba dello sventurato Vincenzo Sulis. (84) Carlo Botta, op. cit., lib. XV, p. 300. 932 Con dignità. Priocca per Priacca come richiesto dall’errata corrige. Damiano di Priocca, segretario di Stato per gli Affari Esteri, ministro di Carlo Emanuele IV. 933 INDICE GIUSEPPE MARCI Introduzione pag. VII SIMONA SERRA Notizia bio-bibliografica LXV SIMONA PILIA Nota al testo Vincenzo Sulis. Bozzetto storico LXVII pag. 3 Volumi pubblicati SCRITTORI SARDI 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) 12) 13) 14) 15) 16) 17) Domenico Simon, Le piante, a cura di Giuseppe Marci Francesco Ignazio Mannu, Su patriota sardu a sos feudatarios, a cura di Luciano Carta Antonio Cano, Sa Vitta et sa Morte, et Passione de sanctu Gavinu, Prothu et Januariu, a cura di Dino Manca Giuseppe Cossu, La coltivazione de’ gelsi e propagazione de’ filugelli in Sardegna, a cura di Giuseppe Marci Proto Arca Sardo, De bello et interitu marchionis Oristanei, a cura di Maria Teresa Laneri Salvatore Satta, L’autografo de Il giorno del giudizio, edizione critica a cura di Giuseppe Marci Giuseppe Manno, Note sarde e ricordi, a cura di Aldo Accardo e Giuseppe Ricuperati, edizione del testo di Eleonora Frongia Antonio Mura, Poesia ininterrompia e Campusantu marinu, a cura di Duilio Caocci Giovanni Saragat, Guido Rey, Alpinismo a quattro mani, a cura di Giuseppe Marci Giuseppe Todde, Scritti economici sulla Sardegna, edizione delle opere a cura di Pietro Maurandi, testo a cura di Tiziana Deonette Giovanni Delogu Ibba, Index libri vitae, a cura di Giuseppe Marci Predu Mura, Sas poesias d’una bida, nuova edizione critica a cura di Nicola Tanda con la collaborazione di Raffaella Lai Francisco de Vico, Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña (7 voll.), a cura di Francesco Manconi, edizione di Marta Galiñanes Gallén Vincenzo Sulis, Autobiografia, edizione critica a cura di Giuseppe Marci, introduzione e note storiche di Leopoldo Ortu Antonio Purqueddu, De su tesoru de sa Sardigna, a cura di Giuseppe Marci Sardus Fontana, Battesimo di fuoco, prefazione di Aldo Accardo, introduzione di Giuseppina Fois, edizione del testo a cura di Eleonora Frongia Andrea Manca Dell’Arca, Agricoltura di Sardegna, a cura di Giuseppe Marci 18) Pietro Antonio Leo, Di alcuni antichi pregiudizii sulla così detta sarda intemperie e sulla malattia conosciuta con questo nome lezione fisico-medica, a cura di Giuseppe Marci, presentazione di Alessandro Riva e Giuseppe Dodero, profilo biografico di Pietro Leo Porcu 19) Sebastiano Satta, Leggendo ed annotando, edizione critica a cura di Simona Pilia 20) Il carteggio Farina - De Gubernatis (1870-1913), edizione critica a cura di Dino Manca 21) Giovanni Arca, Barbaricinorum libelli, a cura di Maria Teresa Laneri, saggio introduttivo di Raimondo Turtas TESTI E DOCUMENTI 1) 2) 3) 4) 5) 6) Il libro sardo della confraternita dei disciplinati di Santa Croce di Nuoro (XVI sec.), a cura di Giovanni Lupinu Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis Il Condaghe di San Michele di Salvennor, a cura di Paolo Maninchedda e Antonello Murtas Il Registro di San Pietro di Sorres, introduzione storica di Raimondo Turtas, edizione critica a cura di Sara Silvia Piras e Gisa Dessì Innocenzo III e la Sardegna, a cura di Mauro G. Sanna Il Vangelo di San Matteo voltato in logudorese e cagliaritano, a cura di Brigitta Petrovszki Lajszki e Giovanni Lupinu