7 domande a 19 musicisti - L`Aquila

MUSICA+ n.44
7 DOMANDE PER 19 MUSICISTI
INTERVISTE NELLA VERSIONE INTEGRALE
GRAN BRETAGNA
GEREMIA IEZZI – Cornista – Londra
Ho iniziato i miei studi al Conservatorio "L.D'Annunzio" di Pescara sotto la guida
del M° Fiorangelo Orsini, al quale devo davvero molto. Verso la fine dei miei
studi in conservatorio, ho incontrato il M° Jonathan Williams; da quel momento
in poi, la mia vita è cambiata per sempre. Sotto i suoi consigli, dopo il diploma in
conservatorio e varie esperienze lavorative in Italia,tra cui Orchestra Mozart,
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, ho deciso di andare a studiare al Royal
College of Music di Londra. Lì ho conosciuto altre persone e fatto altre
esperienze che mi hanno portato a suonare con la Philharmonia Orchestra, dove
attualmente lavoro come terzo corno da 3 anni.
Come ho gia detto nella risposta precendente, il mio posto con la Philharmonia è
stato preceduto inizialmente da due anni di corso chiamato post-graduate nel
royal college of music, grazie ad una borsa di studio che la stessa scuola mi ha
dato dopo l' esame di ammissione. Ho deciso di fare questa esperienza all'estero
prima di tutto per evitare di serdermi sugli allori, nel senso che subito dopo il
diploma ho iniziato a lavorare abbastanza da poter credere di essere in certo
senso arrivato; ma grazie appunto a Jonathan, decisi di andare all estero, non
proprio considerando l' eventualità di rimanere, ma pensando più che altro ad
arricchire il mio bagaglio culturale e tecnico. Avendo l'età dalla mia parte(18
anni quando ho incominciato il college) non è stata molto difficile come scelta.
L'impatto per un musicista italiano all'estero secondo me è senza dubbio
positivo; anche se il più delle volte in italia non ci sono strutture e soprattutto
personale docente adeguato nelle istituzioni scolastiche, riusciamo comunque a
"sfornare" dei musicisti che non hanno nulla da invidiare all' estero.
Personalmente penso che il problema italiano non sia tanto la formazione
quanto la mentalità: al Royal College of Music, la grandissima differenza che ho
notato rispetto al sistema italiano, è la struttura di materie che circonda la
lezione individuale: il punto focale dell'insegnamento è l'imparare a suonare
insieme,"a stare in orchestra" per esempio per noi fiati,e non solo, è utilissimo
perchè offre la possibilità di suonare con vari ensemble all'interno della scuola,
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dal duo all'orchestra sinfonica, con maestri di fama internazionale come Bernard
Haitink, Esa Pekka Salonen ecc.
Sicuramente la situazione musicale italiana ha influito molto sulla mia decisione
di restare a londra. Detto ciò non sarei mai rimasto in Inghilterra per
un'orchestra di minor rilievo internazionale.
Va anche detto che di orchestre che assumono con il modello italiano ed europeo
ce ne sono solo due, tutte le altre come la Philharmonia o la London Symphony
assumono come membro dell'orchestra libero professionista( con tutti i pro e i
contro); questo modello permette la convivenza di più o meno una decina di
orchestre di gran livello solo nella città dì Londra, "costringendo" i musicisti ad
essere sempre al top della loro forma.
Riguardo ai cambiamenti da fare in Italia, penso che si possa partire da una base
legata alla mentalità: bisogna intervenire alla radice del problema quindi
dovremmo direzionarci verso la meritocrazia e lasciare i favoritismi ad un'atra
epoca.
È urgente che ognuno inizi a prendere le proprie responsabilita anche nei "piani
alti" di orchestre e teatri: purtroppo spesso ignoranza, poca lungimiranza e
l'interesse a coltivare solo i propri affari fanno ricadere tutte le volte le
responsabilità su orchestra,coro e balletto.
Sempre da cambiare a mio avviso è il sistema di reclutamento nei conservatori, è
assurdo che le graduatorie dei docenti non siano per merito artistico ma per
punti, ovvio che i punti sono importanti, ma se vogliamo far ripartire un sistema
vicino al collasso dovremmo dare l'opportunità ai grandi musicisti di insegnare
ai piu giovani e non di allontanarli definitivamente dal mondo scolastico.
DARIO SANFILIPPO – Compositore – EDIMBURGO
Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in
Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero?
Il mio percorso musicale comincia negli anni della scuola media inferiore. Allora,
il mio maestro di musica era Angelo Bella, una persona che metteva in
discussione le pratiche convenzionali della musica e che poneva gli alunni di
fronte a questioni quali improvvisazione, ritmiche non regolari, inarmonicità e
rumore. Ritengo che quella sia stata una fase cruciale, qualcosa che ha fatto
nascere in me l’interesse verso quel tipo di pratiche.
In seguito, ricordo molte giornate passate ad ascoltare musica in qualche modo
“altra” e a improvvisare con il mio amico Mario.
Grazie a mio fratello, invece, ho avuto la possibilità di cominciare a usare i primi
software per la composizione musicale verso i miei 14 anni. Il primo fu
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FastTracker, un sequencer basato su campioni audio. Quello è stato l’inizio di
una attività creativa nel campo dell’elettronica che continua tutt’oggi,
chiaramente passando attraverso molti percorsi e modificando le mie pratiche
radicalmente nel corso degli anni.
Nel 2006 decido di fare il corso di Musica Elettronica al Conservatorio di
Trapani, perchè ritengo sia arrivato il momento di studiare meglio quelle
pratiche. Sono anni importanti perchè, tramite il mio maestro di allora, si
organizzavano molti eventi a Palermo da cui sono nate molte collaborazioni.
Nello stesso periodo comincia la mia ricerca sui sistemi retroattivi. È ciò che
voglio approfondire e tutta la mia pratica, ancora oggi, è interamente basata su
quei meccanismi. Verso la fine del mio corso a Trapani ero già stato in contatto
con Agostino Di Scipio e avevo studiato molti dei suoi lavori. Trovavo (e trovo
ancora) la sua ricerca brillante e la scelta di continuare a studiare con lui a
Napoli è stata naturale. Quegli anni di formazione con Di Scipio sono stati per me
fondamentali e ricchissimi. Abbiamo lavorato tanto e abbiamo lavorato bene.
Davvero devo molto a lui. Con Di Scipio abbiamo tutt’ora diversi lavori in corso e
ci teniamo aggiornati in modo regolare. E Napoli, città stupenda con la scena
musicale tra le più vive in Europa, è stata anch’essa un’esperienza importante
per l’incontro di molti musicisti e altre persone a me care con cui abbiamo
realizzato ottimi progetti.
Dopo il mio master, mi sono trasferito prima a Londra, per un breve periodo, e
poi a Vienna, dove ho cominciato a lavorare per una piccola azienda che fa
ricerca nel settore audio. Mi occupavo della programmazione di modelli di
convertitori audio analogico/digitale. È un’attività meno artistica, ma comunque
legata alle mie pratiche. Parallelamente, continuavo a lavorare come freelancer
nel campo della performance e arte sonora. Vienna è una città con molti
musicisti interessanti, e anche in quel caso sono nate alcune collaborazioni.
Dopo circa un anno, il mio progetto di ricerca artistica viene accettato
dall’Università di Edimburgo che mi offre una borsa di studio per un dottorato.
Conoscevo alcuni docenti in quell’Università e trovavo fosse un buon ambiente.
Decido di accettare l’offerta e mi trasferisco. Edimburgo è la città dove
attualmente vivo, lavorando full-time al mio progetto, continuando l’attività da
performer e artista sonoro, e in parte insegnando.
La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di
studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso
positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di
arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia?
No, quella attuale è la mia prima esperienza di studio all’estero. Decisi di andare
a Vienna per alcuni motivi: in parte la conoscevo già e mi è sempre piaciuta
moltissimo; inoltre conoscevo diversi amici/musicisti che vivevano là e
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sembrava ci fossero delle condizioni buone anche per l’attività da freelancer. La
mia intenzione era inizialmente di lavorare come freelancer, ma dopo poco
ricevetti l’offerta da quella compagnia. In generale, l’idea di un periodo fuori
dall’Italia mi interessava in quanto situazione nuova da esplorare.
Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema
musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale,
vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard
internazionali o ancora arroccata su posizioni superate?
Conosco diversi musicisti italiani il cui lavoro è molto riconosciuto e apprezzato
in tutta Europa, e alcuni di questi non hanno una formazione accademica.
La formazione musicale italiana ha delle eccellenze con risonanza mondiale,
mentre in molti altri casi sembrano esserci delle realtà locali e autoreferenziali
piuttosto stagnanti. Non penso si possa fare un discorso a livello nazionale in
quanto il docente o il gruppo di docenti della singola istituzione fanno la
differenza.
La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha
influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come
una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti
e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del
ruolo di musicista?
La ragione per cui ho inviato la mia proposta di ricerca all’Università di
Edimburgo è perchè c’era la possibilità, come in alcuni altri paesi, di avere una
borsa di studio. L’attività da freelancer ha degli aspetti positivi ma è anche molto
difficile a prescindere dal luogo, oltre che poco piacevole nelle sue lunghe fasi
relative all’organizzazione dei concerti. Il fatto di avere un supporto finanziario,
invece, permette di lavorare a tempo pieno ai progetti musicali, ed è ciò che ho
preferito. Questo, almeno per il campo musicale, non sembrava essere possibile
in Italia.
Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha
continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe
parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli?
I due progetti più importanti, iniziati già mentre ero a Vienna e che continuano
ancora oggi, sono quelli con Di Scipio e SEC_. Per il primo, abbiamo lavorato a
delle registrazioni per un progetto di performance che pubblicheremo presto. Si
tratta di in lavoro in cui si esplorano diversi tipi di relazione uomo-macchina e
approcci alla performance con un’enfasi verso l’ambiente nell’ambito
dell’improvvisazione e dei sistemi autonomi. Inoltre stiamo lavorando a due
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articoli: uno che descriverà il progetto di performance, e uno su delle questioni
relative all’elaborazione e generazione di segnali di controllo per sistemi tempovarianti.
Con SEC_ siamo già stati in tour lo scorso anno e abbiamo anche pubblicato un
disco. Il nostro lavoro si basa sull’improvvisazione radicale, anche se i lavori su
disco vengono composti in studio. Al momento stiamo lavorando al secondo
disco e al secondo tour che dovrebbe cominciare il prossimo Ottobre.
Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia?
l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società
concertistiche, ecc) ?
Sembrerà banale, ma non credo ci sia la dovuta attenzione verso le produzioni
artistiche contemporanee, e in particolare verso quelle di ricerca. L’impressione
è che la richiesta del pubblico sia molto più forte dell’urgenza di esplorare
pratiche nuove, e che quest’ultima risulti subordinata alla prima. Con questo non
voglio assolutamente dire che il pubblico non ha rilevanza: se un lavoro viene
presentato in pubblico, lo si fa anche per il pubblico. Ma se la realizzabilità degli
eventi artistici fosse indipendente dal pubblico, si potrebbero forse ottenere dei
risultati migliori per la ricerca artistica. Bisognerebbe entrare nell’ottica in cui
un evento artistico è qualcosa che, a prescindere dalla qualità della performance,
può essere poco gradevole ma allo stesso tempo interessante. Allo stesso tempo,
la programmazione degli eventi dovrebbe essere gestita da un team abbastanza
grande di esperti in modo da assicurare varietà e coprire al meglio le conoscenze
nei diversi campi.
Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili
delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta
Formazione?
Trovo che il sistema di selezione dei docenti nei conservatori dovrebbe essere
migliorato. Si dovrebbe pensare alla scelta di essi non solo sulla base dei loro
meriti artistici e accademici, ma anche sulla loro proposta di piano di lavoro. In
ogni caso, i piani di studi sono sempre altamente personalizzati dai docenti.
Anche qui, mi aspetterei un team piuttosto vasto di esperti in modo da coprire i
vari settori. Inoltre, l’introduzione di corsi di ricerca artistica dove si prevedono
delle forme di supporto finanziario costituirebbero un importante passo avanti.
Si tratta di uno scambio tra studente e istituzione: il primo migliora la qualità
dell’università, mentre questa permette allo studente di dedicarsi
profondamente allo studio e sviluppo delle pratiche nuove.
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OLANDA
GIULIANO BRACCI – Compositore - Amsterdam
Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in
Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero?
In Italia mi sono laureato in filosofia all’Università La Sapienza di Roma e
diplomato, al vecchio ordinamento, in quella che si chiamava Scuola
Sperimentale di Composizione, al Conservatorio di Firenze, dove ho studiato con
Rosario Mirigliano.
Nel 2010, dopo il diploma, mi sono trasferito in Olanda dove ho fatto un master
al Conservatorio di Amsterdam, studiando con Richard Ayres.
Vivo in Olanda dal 2010, qui lavoro come compositore e dal 2015 sto facendo un
dottorato nel programma inter-universitario docARTES che coinvolge
l’Università di Leiden, l’Orpheus Institute di Gent in Belgio e il Conservatorio di
Amsterdam.
La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di
studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso
positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di
arricchire la propria formazione o già intenzionata ad un futuro fuori
d’Italia?
Durante gli anni di conservatorio ho frequentato corsi e seminari internazionali,
viaggiando quanto più potevo. Per qualche anno ho lavorato come musicista,
andando spesso all’estero, per una compagnia teatrale. L’ambiente musicale è un
ambiente molto internazionale e mi è sempre sembrato naturale cercare di
completare la mia formazione in un contesto europeo. In questo senso non farei
una distinzione netta tra in Italia ed estero, parlerei piuttosto di un panorama
europeo, e non solo, in cui i musicisti formano una comunità sovranazionale in
cui ci si incontra in luoghi diversi seguendo i propri percorsi di studio, lavoro e
ricerca.
Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema
musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale,
vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard
internazionali o ancora arroccata su posizioni superate?
Penso che viaggiare faccia bene, e che formarsi in un solo luogo, dentro un unico
orizzonte di riferimenti e modelli sia limitante di per sé. Io ho un’esperienza
molto positiva degli anni di studio in conservatorio a Firenze, dove il
dipartimento di composizione aveva creato le premesse per molte
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collaborazioni tra studenti, e l’organizzazione di progetti che coinvolgessero vari
corsi all’interno del conservatorio. Molto in conservatorio è dovuto alle persone
e ai singoli incontri, più che alla struttura in quanto tale, e molto importante per
me è stata la possibilità di fare anche altrove esperienze lavorative e di studio
durante quegli anni. E lo stesso è stato per molti amici con cui ho condiviso un
percorso simile.
La domanda se la formazione musicale italiana sia adeguata agli standard
internazionali mi sembra seria e angosciante, ed è una domanda che ci siamo
fatti tutti durante gli studi, con apprensione per il proprio futuro, rispondendo in
vari modi, ma soprattutto andandosene per verificare in prima persona.
Leggo spesso negli articoli che trattano questo argomento un rassicurante elogio
del talento italiano, di una eccellenza individuale, ma una risposta valida su larga
scala e non per i singoli casi (gli incontri, il singolo insegnante) è probabilmente
nel numero di iscritti stranieri ai conservatori italiani. Quanti li considerano
luoghi in cui passare i propri anni di formazione?
La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha
influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come
una diversa qualità del lavoro, un maggiore prospettiva di riconoscimenti
e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del
ruolo di musicista?
Sicuramente la difficoltà di insegnare in un conservatorio italiano, e la difficoltà
di trovare fondi di ricerca o commissioni ha influito nella scelta di continuare a
vivere all’estero. Sono partito un mese dopo essermi diplomato e ho investito in
quel momento energie per riuscire a trovare una strada nella scrittura. Ero
curioso e felice di provare a vivere, studiare e lavorare in un altro paese, ma in
effetti già allora non vedevo prospettive concrete che mi dessero la possibilità di
restare.
Negli ultimi anni le occasioni e la qualità delle esperienze musicali, insieme al
riconoscimento del proprio lavoro, hanno avuto una parte importante nella
scelta di continuare a vivere in Olanda.
Che cosa Le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? Il
sistema di reclutamento nei Conservatori, il percorso didattico,
l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società
concertistiche, ecc) ?
Quello italiano mi sembra in molti casi un ambiente chiuso ai soli italiani. La
qualità di un ambiente di formazione, e di produzione artistica, credo sia anche
legata all’apertura agli incontri tra persone con un retroterra ed esperienze
diverse. Studiare o lavorare in un contesto in cui molti valori, posizioni e
abitudini restano impliciti, perché condivisi e mai messi in questione da un
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punto di vista “straniero”, è meno interessante, e questo alla lunga crea un
ambiente autoreferenziale e non molto appetibile. E credo che questa situazione
levi valore anche ad alcune importanti esperienze locali, ostacolandone la
possibilità di essere esposte in contesti più ampi in cui trovare respiro e
motivazioni.
Per un musicista, ma questo è vero per chiunque, è importante mettere in
questione le proprie conoscenze, le proprie abitudini e i propri modi di pensare,
e questo è tanto più difficile quanto il proprio contesto è omogeneo e ci riflette
come uno specchio.
Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili
delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta
Formazione?
Eventuali altre considerazioni.
La questione della “fuga dei cervelli” mi sembra spesso mal posta. L’attività e la
vita dei musicisti è fatta di scambi internazionali, di viaggi e traslochi, ed è
normale studiare in paesi diversi dal proprio, viaggiare per lavoro, trasferirsi.
Nei conservatori in Italia, nei corsi di alta formazione, è molto raro trovare
compagni di corso di altri paesi europei, e a dire il vero spesso è anche difficile
che vengano da un’altra regione. Che gli italiani viaggino e vivano all’estero non
è grave, è anzi una ricchezza. Il problema semmai sono le condizioni a cui
possono, se vogliono, tornare. E le condizioni perché possano scegliere di
tornare sono le stesse che rendono appetibile un posto di lavoro, o un corso di
studi, un luogo in cui vivere e stabilirsi, a un qualsiasi altro musicista, italiano e
non.
GERMANIA
Andreas Luca Beraldo – direttore d’orchestra - Mannheim
1. percorso formativo
Oramai sono vent’anni che dall’Italia mi sono trasferito in Germania con i miei
genitori. Mio padre è italiano, mia madre tedesca. Quando ci siamo spostati in
Germania avevo otto anni. Ovviamente a quell’età non si parla di una scelta
personale o consapevole ma già agli esordi dei miei studi in Germania e grazie
alla conoscenza del panorama musicale europeo che andavo acquisendo, mi resi
presto conto che la scelta di trasferirci, motivata più che altro dal lavoro di mio
padre, mi stesse aprendo tante opportunità che in Italia non avrei avuto.
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Mia mamma a quel tempo suonava il violino in modo amatoriale e forse era
proprio la sua leggerezza e il suo amore per la musica che mi fecero accostare
alla musica e che mi spinsero a studiare questo strumento. “Aspetta che saremo
in Germania e poi potrai incominciare a suonare” mi disse quando avevo sette
anni. Arrivato a Dessau incominciai a prendere lezioni di violino e già dopo
poche settimane suonai al saggio natalizio della mia classe, in terza elementare.
Presumo sia stato orribile!
Presto incominciai a suonare in orchestra, in diversi ensemble e a cantare nel
coro di voci bianche e poi nel coro degli adulti della parrocchia vicino a casa. Per
questa esperienza devo essere molto grato al direttore del coro di cui facevo
parte, perché mi lasciò cantare nonostante a quel tempo fossi stonato come una
campana. Frutto di questa sua pazienza ed incondizionata fiducia che potessi
imparare a cantare, non furono solo le varie adesioni a diversi cori
semiprofessionali come il coro da camera giovanile della Germania (Deutscher
Jugendkammerchor), ma anche la voglia di voler diventare un musicista
professionista.
Successivamente ci trasferimmo da Dessau a Essen, città natale di mia mamma,
dove conseguii la maturità. Agli studi musicali che avevo già intrapreso si
aggiunsero lezioni di pianoforte, oramai di viola al posto del violino, di armonia
e ear-training. Nel 2008 incominciai i miei studi di musica a Colonia dove
frequentai la “Schulmusik”, dove si apprendono una serie di discipline che
preparano all’insegnamento alle scuole. Una tipologia di studio tale esiste oltre
che in Germania solo in Svizzera ed in Austria ed è una idea molto buona, solo
che i contenuti dovrebbero essere ripensati per poter preparare meglio alla vita
reale di un insegnante di musica nelle scuole. Il piano di studi è pienissimo di
seminari, corsi pedagogici, coro, orchestra, musica da camera, lezioni dello
strumento in cui si è deciso di specializzarsi, poi canto e pianoforte come
strumenti supplementari, ecc. L’eccessiva frammentarietà dello studio fa
nascere i pregiudizi sui “Schulmusiker”, visti spesso come musicisti mediocri che
sanno di tutto, ma a basso livello. Ahimè a volte è proprio così. Così man mano
che studiavo decisi di “usare” la “Schulmusik” come preparazione per un
successivo studio di direzione sia orchestrale che corale. Non essendo ancora nel
sistema Bachelor/Master ero fortunatamente abbastanza libero di scegliere le
materie che volevo seguire e così scelsi di approfondire la direzione e le materie
che le gravitano attorno come l’impostazione della voce, tecnica delle prove,
analisi della partitura ecc.
Nel 2011 mi trasferii a Mannheim per studiare direzione nel sistema
Bachelor/Master. Credo che l’Hochschule für Musik di Mannheim fosse l’unica
scuola in Germania che offriva uno studio che integrava sia la direzione
orchestrale che quella corale. Questo è sempre stato e lo è ancora oggi uno dei
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miei credo: la diversificazione tra una scuola di direzione orchestrale ed una
corale è una cosa assurda che a volte nasce solo da una sorta di egoismo che
vuole esacerbare i ruoli del direttore nell’orchestra o nel coro.
A Mannheim fortunatamente potevo studiare in entrambe le diramazioni. È vero
si doveva decidere un indirizzo di specializzazione, o orchestrale o corale, ma
alla fine si frequentavano le lezioni di entrambi i profili di insegnamento, e solo
nel caso in cui si sovrapponevano gli orari di materie dei due diversi indirizzi, si
dava priorità alle lezioni del profilo che si era scelto come principale.
Scelsi il profilo orchestrale, ma comunque frequentavo sempre tutte le lezioni
dei due profili, così da poter avere un quadro completo della materia di
direzione.
I miei insegnanti sono stati, per l’orchestra Klaus Michael Arp, e per coro Georg
Grün, a cui sono succeduti a causa della cattedra vacante, Christoph Siebert,
Frieder Bernius e alla fine Harald Jers.
Già dall’inizio dei miei studi a Mannheim si instaurò una forte stima per il
professore di composizione Sidney Corbett, e con la sua classe intrattenni per
anni una stretta collaborazione. Nel 2014 diressi la registrazione delle musiche
di quattro film muti di Charley Bowers composte da studenti della classe di
Corbett. La registrazione è stata in cooperazione con ARTE e ZDF. Nel 2015
ottenni poi il mio Bachelor of Music per la direzione.
Mannheim ha rappresentato finora uno dei periodi più importanti della mia vita
sia personale che formativa. Fu lì che conobbi Jeanne Lefèvre con la quale ho
fondato l’ensemble Impronta nel 2012 e nel 2014 la casa editrice “ImprontaEdition UG” e fu lì che feci la conoscenza anche del compositore Alessio Elia, di
cui ho diretto diversi lavori a Mannheim in molte occasioni, tra cui un concerto
monografico. Molto presto crebbero tra noi una forte amicizia e stima musicale e
tutt’oggi collaboriamo sia nella casa editrice che in diversi progetti
dell’ensemble.
Sia l’ensemble che la casa editrice si dedicano alla musica odierna, non perdendo
mai la connessione con la musica di altri periodi. L’ensemble intende mettere in
relazione la musica dei nostri tempi alla musica di diversi periodi storici e, in
modo analogo, la casa editrice pubblica non solo musica contemporanea ma
anche arrangiamenti e trascrizioni di musica di altre epoche musicali. Condivido
inoltre questo pensiero con l’associazione SHE LIVES presieduta da Fabiana
Piersanti, che ebbi il piacere di conoscere tramite Alessio Elia. L’interscambio tra
apparentemente diversi ed incompatibili orizzonti musicali è molto importante
per me e credo che questa forma di dialogo di periodi storici debba
assolutamente entrare nelle teste di programmatori di concerti, direttori ed
altri. Non bisogna “ghettizzarsi” in uno specifico e specialistico campo musicale.
A volte suscita vero terrore vedere le diverse “scene musicali” che si comportano
in modo quasi settario. Ovviamente ci saranno sempre ed è giusto che ci siano
ensemble specializzati nella musica antica (anche in ragione delle esecuzioni che
tengono in considerazione le prassi esecutive del tempo), o in quella
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contemporanea, ma bisogna sempre cercare il dialogo tra le diverse espressioni
musicali, senza coltivare forme di isolamento.
Dal 2015 sto frequentando il corso di Master in direzione con Marc Kissóczy ed
Arturo Tamayo al Conservatorio della Svizzera Italiana a Lugano e sto
focalizzando gli studi sulla direzione di musica contemporanea. Può sembrare
paradossale pensando al discorso del dialogo appena fatto ma non lo è. Più che
altro bisognerebbe dire “… sto facendo il corso di Master in direzione non
trascurando la musica contemporanea”. Con Marc Kissóczy, il mio professore di
Master stabile mi occupo del repertorio classico orchestrale e a pari livello della
contemporanea con Arturo Tamayo, grande specialista di questa musica sul
podio internazionale e che gestisce il CAS (Course of Advanced Studies), corso
che si prospetta come integrativo al mio corso di Master. Direi che mi trovo in
una situazione assai fortunata per il fatto di poter continuare la formazione
nell’interscambio tra vari professori e non doverne seguire solo uno.
2. Come osserva da fuori lo sviluppo formativo musicale in Italia e la fuga
all’estero?
“Non andare mai in Italia per studiare o per lavorare.” Così mi ripeteva mio
padre, che ha fatto la scuola e l’università in Italia e ci ha lavorato per più di dieci
anni. Da quando si è trasferito in Germania per questioni di lavoro nel 1996 la
situazione in Italia mi sembra essere solo peggiorata.
Il problema principale dell’Italia o per lo meno di coloro che hanno il potere e
prendono decisioni sulla politica culturale e formativa credo che sia una
questione di orgoglio. L’Italia si adagia sulla propria tradizione musicale
pensando che nutra il paese fino ad un lontano futuro. Il grosso problema è che il
fine ‘800 è passato da parecchio tempo, ma è lì che l’Italia pensa di essere
rimasta. I fondi vengono tagliati e l’interesse politico per la formazione musicale
o la cultura in generale sembra completamente sparito. Poco fa ho incontrato un
grafico che mi mostrava le spese pubbliche destinate alla cultura ed
all’istruzione nel 2011. L’Italia con una percentuale del 1,1 % nel settore della
cultura e col 8,5 % nel settore dell’istruzione giace agli ultimi posti in Europa – la
stessa Italia che un tempo era la culla della musica occidentale.
Durante il mio percorso di studio incontrai e incontro tutt’ora (pensando anche
alla vicinanza di Lugano all’Italia) tantissimi italiani che vengono a studiare
all’estero e molto spesso per le ragioni appena menzionate. Anche Mannheim
era piena di studenti italiani e vi assicuro che nessuno di loro ci andava perché
gli piacesse la vita tedesca o il paese. La maggior parte veniva per le migliori
possibilità di studio e per un primo orientamento professionale all’estero. Ci
sono tanti che per amore per il proprio paese vorrebbero ritornare ma invece
provano a restare per motivi lavorativi all’estero. E’ opinione comune in tanti
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paesi europei e non solo, che l’Italia oramai sia un paese con scarse prospettive
musicali.
In un mondo sempre più guidato dalla globalizzazione non penso che il dovere
di ogni paese sia tenere i propri “cervelli” e così non penso neanche che lo sia
per l’Italia parlando dei suoi musicisti. Il dovere di ogni paese è di creare un
terreno fertile e creativo per la cultura e per ogni campo lavorativo, che abbia le
sue specifiche radici tradizionali, ma aperto, attraente ed accogliente per ogni
persona del mondo. Questo l’Italia in molti campi, ed in particolare per quello di
direzione del quale posso parlare più precisamente, non lo offre ed è per questo
che tanti italiani vanno all’estero ed è anche per questo che pochissima gente va
in Italia. Il pensiero non deve essere come tenere i propri cittadini nel paese ma
invece come generare uno scambio culturale internazionale.
Queste problematiche non le vedo in Svizzera. Diciamo che si può parlare di
tendenze opposte. Gli svizzeri generalmente, specialmente quelli della svizzera
tedesca o francese, provano a restare in Svizzera. L’offerta formativa nei
conservatori è di pari livello e anche meglio che in Germania, visto che qui in
Svizzera si può contare su più fondi statali. Inoltre le prospettive lavorative sono
molto buone e quindi le persone che vivono qui non hanno motivazione o
interesse e neppure la necessità, come forse le ha invece un italiano, di andare a
studiare e/o lavorare all’estero. La tendenza di chiusura della Svizzera che si
può osservare sul panorama politico si presenta anche in campo musicale.
In Germania invece osservo più una via di mezzo. Anche se i fondi culturali
vengono tagliati in continuazione come succede quasi ovunque, l’aria culturale e
musicale che si respira è molto aperta e nutrita da uno spirito molto
internazionale. Ovviamente è difficile e pericoloso generalizzare ma assai
raramente trovi un tedesco che va all’estero per via di problematiche di politica
culturale e/o prospettive lavorative o formative migliori. Quando un tedesco si
sposta dalla Germania si tratta quasi sempre del desiderio di voler arricchire il
proprio orizzonte culturale conoscendo altre persone o professori in altri paesi.
Il tedesco, nella media, non si sente spinto ad andare via, ma è molto aperto a
farlo.
Come già detto è difficile generalizzare e giudicare. Queste sono tutte tendenze e
osservazioni personali. Penso che l’Italia si debba assolutamente muovere, e
rivalutare l’importanza della formazione e della cultura, e non solo sul campo
politico, ma oramai data una diffusa letargia nei confronti della cultura, anche
sul campo sociale. L’aspetto di chiusura della Svizzera non mi piace e mi chiedo
fin quando la situazione potrà restare così. Sul campo politico già si vede che non
potrà durare in eterno. Non saprei dire quale potrebbe essere il legame tra
questa chiusura e il panorama formativo e lavorativo. Mi auguro semplicemente
che ci sia un gesto di apertura – forse anche a rischio di “perdere” qualcosa. La
Germania per me è un ottimo paese per vivere da musicista, perché offre un
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panorama musicale molto ampio ed aperto. Anche la musica contemporanea
ottiene i suoi spazi che ovviamente sono ancora da espandere.
3. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel
sistema musicale europeo? Si può dire che la formazione musicale
(strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli
standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate?
In un certo senso questo domanda è legata anche a quella precedente. La
formazione musicale si compone del dialogo di colui che dà e di colui che
prende. Colui che dà è il risultato dei finanziamenti che ha ricevuto la disciplina
che insegna, e dunque dell’interesse politico e sociale che la classe dirigente ha
dimostrato verso l’istruzione musicale. I professori vengono attirati ad
insegnare certamente anche da un terreno culturale fertile e vivace e la
situazione formativa che così viene a crearsi agisce su colui che prende, sullo
studente che si mette a studiare e che può usufruire di questo sistema e delle sue
possibilità.
È molto difficile giudicare le qualità della formazione italiana ma se si volesse
paragonare il livello delle possibilità formative italiane al livello delle
potenzialità dei suoi studenti risulterebbe che gli studenti italiani sono più
avanti delle strutture in cui studiano.
Posso solo dire che tutti gli studenti italiani sono contenti di arricchire il loro
percorso formativo all’estero. Fortunatamente l’insegnamento musicale è
talmente personale e gioca molto sul rapporto studente/professore che
l’impatto della struttura formativa non risulta così grande di come si possa
pensare. Ovviamente non vuol dire, che non ci sia tanto da migliorare. Parlando
della direzione gli standard tedeschi e svizzeri li vedo più alti di quanto non
siano in Italia. Mi sembra che in generale la cultura italiana si sia arroccata un
po’ troppo sull’orgoglio della sua tradizione musicale, la quale mi pare abbia
iniziato una fase di declino con la crisi dell’opera lirica all’inizio del ‘900. Allo
stesso tempo però, osservando il panorama formativo in Italia, credo si siano
preservate alcune eccellenze: il canto (specialmente nel repertorio operistico
tradizionale) e la formazione di base della composizione che risulta di livello
maggiore agli standard di altri paesi.
4. Il passaggio nel mondo lavorativo
È molto difficile vivere come musicista se non si riesce a reinventarsi
costantemente. Il mercato del lavoro è molto instabile e contratti di lavoro come
direttore o come musicista d’orchestra non sono quasi mai a tempo
indeterminato. Ma questo è anche il risultato dello sviluppo della nostra società.
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Cinquant’anni fa molto spesso si cresceva nella stessa città in cui si era nati, e lì
si lavorava per tutta la vita. Oramai bisogna esseri flessibili e disposti a spostarsi.
Ciò che osservo con grande tristezza è che la “qualità lavorativa” non conta più
molto. Aspetti politici, conoscere gente, avere fortuna, il marketing giusto ecc.
diventano più importanti. Comunque penso che sia innanzitutto la qualità del
proprio lavoro che ti rende più indipendente da questa lotteria sociopolitica. È
su quella che io punto. Credo che sia necessario conoscere ciascuno le proprie
qualità direttoriali, senza cadere in un ruolo troppo specializzato. Il direttore
secondo me deve saper gestire sia coro, che orchestra, sia ensemble piccoli che
grandi, sia musica antica che contemporanea ecc. Non posso più permettermi di
non sapere certe cose. Allo stesso tempo bisogna saper trovare un profilo
personale che ti rende distinguibile dagli altri.
Già mentre studiavo a Mannheim ho incominciato a pensare a come sarebbe
stato il mio futuro non appena terminati gli studi, e così ho fondato sia un
ensemble che la casa editrice. Penso che le mie attività future saranno un mix tra
il lavoro da direttore in primis (sia d’orchestra che di ensemble di musica
contemporanea), lavoro editoriale e quello di arrangiatore. Comunque resterò
aperto a nuove esperienze e sono curioso di vedere quali strade mi si apriranno
e che vie percorrerò.
5. Pensiero finale
Infine vorrei augurare a tutti sincerità e serenità nei propri studi e nel lavoro –
imparare dalla diversità di opinioni e modi come si fa musica. Al di là di ciò
bisogna essere disposti a guardarsi attorno sia per fare la maggior quantità di
esperienze possibili per arricchire il proprio orizzonte culturale, sia per
sopravvivere sul mercato del lavoro. In una società come la nostra non bisogna
dimenticare che la qualità del proprio lavoro e il coraggio di avere una propria
opinione sono fondamentali per trovare e restare se stessi.
FAUSTO NARDI – Direttore d’orchestra e pianista accompagnatore AMBURGO
Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in
Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero?
Dopo aver conseguito i diplomi di Pianoforte, Direzione d’orchestra e di
Composizione mi sono recato a Berlino per perfezionare il mio studio in
Direzione d’orchestra. Da quel momento ho cominciato a lavorare come
direttore d’orchestra indipendente, senza cioè ricoprire posti fissi in teatri
d’opera e come pianista preparatore di cantanti in varie Musikhochschulen
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Tedesche. Questo doppio binario continua fino ad oggi. Ora sono direttore
musicale delle esercitazioni sceniche presso il Master di Opera alla
Musikhochschule di Amburgo e continuo la mia attivitá di direttore e didatta
presso vari festival e organizzazioni.
La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di
studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso
positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di
arricchire la propria formazione o già intenzionata ad un futuro fuori
d’Italia?
Quando mi sono mosso nel 1998 dal Conservatorio di Firenze per recarmi a
Berlino non ho usufruito del programma Erasmus (non sono sicuro, ma credo
che all’epoca non ci fosse ancora l’attivazione dell’Erasmus fra i Conservatori e le
Musikhochschulen). Sicuramente non c’era tra Firenze e Berlino. Questo fatto mi
è costato fra l’altro diversi anni di studio: a Berlino ho rifrequentato in pratica il
corso di Direzione d’orchestra, beneficiando solo dell’abbuono …..(si fa per dire)
di due semestri! Benedetta sia l’equiparazione europea con il sistema
Bachelor/Master!
L’intenzione iniziale era di rimanere all’estero solo tre anni…ne sono passati
diciotto.
Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema
musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale,
vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard
internazionali o ancora arroccata su posizioni superate?
Voglio sfatare subito un mito: a mio giudizio la preparazione italiana (Liceale,
Universitaria, nei Conservatori o nelle Accademie, NELLE SCUOLE ELEMENTARI
E MATERNE!!!), è superiore a quella tedesca. Punto.
Noi abbiamo sicuramente un approccio più storico, letterario, accademico,
culturale in senso lato. I “Cervelli” italiani quindi sono più preparati
culturalmente. Quello che ci manca è il lato pratico, i centri di produzione, le
borse di studio, una certa flessibilità dei contratti (che forse in tempi recenti è
migliorata).
Sicuramente ci manca la cultura del “Fare”: le nostre opere, i nostri concerti, i
nostri eventi devono sempre essere all’altezza del nostro passato e non ci
accontentiamo se non del meglio…
In Germania invece si tira a produrre, spessissimo a costo della qualità. All’inizio
ci si fa travolgere dall’offerta ridondante di cultura, opere e concerti, ma dopo
l’infatuazione iniziale ci si accorge dell’aspetto dello “show business” che è
sicuramente troppo preponderante in Germania.
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Questo porta ovviamente a una maggiore possibilità lavorativa ma non
automaticamente a una migliore qualità.
La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha
influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come
una diversa qualità del lavoro, un maggiore prospettiva di riconoscimenti
e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del
ruolo di musicista?
Scarsa disponibilità di collocazione? Sì. Il motivo principale della mia
permanenza all’estero è stato il lavoro. In Germania si riesce abbastanza
facilmente ad avere un contratto a ore a tempo determinato (si chiamano
Lehraufträge, di solito sono limitati a 8 ore di contratto alla settimana e vengono
pagati fra i 20 e 40 Euro Lordi all’ora a seconda della materia che si insegna. Non
è possibile avere più contratti nella stessa Università per cui tutti cercano di
mettere insieme incarichi in università diverse un contratto qua uno là per
mettere insieme uno stipendio passabile. Inutile dire che durante i mesi estivi o
durante le vacanze invernali, di solito 6 settimane di pausa intorno a Pasqua,
siccome non ci sono lezioni, tutti gli insegnanti con questo tipo di contratto
guadagnano 0. Schiere di musicisti (anche pianisti!) sopravvivono (notare bene,
sopravvivono, non vivono) con contratti di questo tipo, facendo gli
accompagnatori nelle musikhochschulen, gli insegnanti, e aggiungendo dove è
possibile concerti o contratti come aggiunti nelle orchestre, nei cori, ecc…
Piuttosto difficile, come in Italia del resto, avere contratti stabili come
Professore o musicista d’orchestra,nel coro o ancora come solista vocale in un
ensemble d’opera. In Germania ci sono quindi sicuramente più offerte di lavoro,
ma nel frattempo la concorrenza è anche molto aumentata e i teatri e le
orchestre stanno chiudendo anche qua.
I concorsi a cattedra nelle Musikhochschulen non sono nazionali, ma ogni
Hochschule agisce in autonomia, questo garantisce un ricambio più continuo
durante gli anni (non esistono i concorsi mostruosi con migliaia di aspiranti, le
liste nazionali, ecc...) e fornisce opportunità frequenti per chi cerca lavoro ma
ovviamente diventa fondamentale avere la rete di conoscenze per essere invitati
alle selezioni che anche in Germania spesso avvengono in conformità a rapporti
di potere… inutile illudersi.
Che cosa Le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? Il
sistema di reclutamento nei Conservatori, il percorso didattico,
l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società
concertistiche, ecc) .
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Non mi pronuncio sulla situazione dei conservatori italiani perché è così
cambiata dai miei “tempi” che non posso veramente sostenere di conoscerla.
Sicuramente i teatri d’opera sono stati gestiti malissimo e capisco che spesso la
situazione è così deteriorata che sarebbe quasi più facile rifondarla da zero!
Purtroppo la colpa principale non è degli artisti o dei musicisti, anche se a onor
del vero per troppi anni troppe persone erano a conoscenza degli sprechi e
hanno taciuto perché conveniva a tutti e i soldi non mancavano!
Purtroppo anche in Germania la crisi si fa sentire: negli ultimi vent’anni migliaia
di posti stabili sono stati tagliati, sono diminuiti i teatri d’opera, i cori, le
orchestre della radio. Ci sono state innumerevoli fusioni fra teatri e orchestre
per risparmiare: solo per fare un esempio posso citarvi il caso di Weimar, dove
si sta pensando di chiudere il glorioso teatro d’opera per fonderlo con quello di
Erfurt. In Francia i cachet dei cantanti si stanno riducendo drammaticamente,
molti teatri sono senza guida (sovrintendenti) o lo saranno a breve. Si vive alla
giornata. In Spagna l’ubriacatura della fondazione di orchestre, teatri e sale da
concerti è finita da un pezzo e siamo tornati a più miti consigli.
Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili
delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta
Formazione?
Smettere assolutamente di cercare di copiare per forza il supposto modello
europeo che non esiste! Ogni paese ha un sistema proprio e noi dovremmo
intanto capire qual è quello che vogliamo noi! Va bene armonizzare i percorsi di
studi per facilitare la mobilità di professori e studenti (cosa sempre positiva e di
arricchimento culturale per tutti). Puntare sul repertorio italiano, Opera, opera,
opera, canto, canto, canto, opera, opera, opera!!! Questa è la nostra grande
ricchezza, ciò che abbiamo, quello per cui ci conoscono e ci ammirano e quindi
su questa tradizione dobbiamo puntare. L’Opera per noi significa tutto: lingua
italiana nel mondo, letteratura, soggetti, moda, costumi, cibo, turismo, tradizione
e innovazione. Non c’è da vergognarsi, c’è da vantarsi! Basterà concentrarsi su
tutto il patrimonio immenso che va da Monteverdi a Sciarrino per citare un
collega di successo internazionale ….e forse ci salveremo! Meno produzioni
faraoniche, meno sprechi e più repertorio!
Circa 100 anni fa, si cambiarono i programmi dei Conservatori per inserirvi la
musica strumentale, per cercare di sprovincializzare il nostro mondo musicale,
per rompere con l’egemonia asfissiante dell’opera.
Non dico che fosse un errore, è stato un momento storico che ha prodotto quella
decisione. Non va dimenticato che parallelamente ai Conservatori in quel tempo
c’era una vita teatrale e operistica ancora viva, che produceva ancora opere
(appunto!), ma anche Maestri (!), cantanti…
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Adesso invece quella tradizione si è rotta, forse siamo ancora in tempo a salvarla
ma dobbiamo sbrigarci.
I conservatori dovrebbero formare Direttori d’orchestra, Registi, Pianisti e
Cantanti basandosi sullo studio del nostro stile e delle nostre tradizioni, ma
facendolo con strutture di produzioni moderne!
I Conservatori dovrebbero produrre opere! Non come evento straordinario da
realizzarsi ogni tanto ma come obiettivo pedagogico primario e stabile. Ben
vengano le collaborazioni con i teatri locali le produzioni miste StudentiProfessori-Professionisti.
Tutti gli studenti dovrebbero arrivare al Master potendo avere nel loro
curriculum la partecipazione alla realizzazione di diverse opere. E parlo degli
strumentisti d’orchestra, dei cantanti, dei maestri, dei pianisti, e in un’ottica più
ampia ovviamente anche dei tecnici e dei compositori.
Mi piace terminare con una piccola provocazione: va benissimo studiare il
clavicembalo ben temperato o l’integrale delle sonate di Beethoven ma quanti
pianisti potranno lavorare principalmente come solisti? Cominciate a studiare
gli spartiti di Traviata, Rigoletto, Bohème…interessatevi di voci, imparate a
riconoscere gli stili vocali e a lavorare con i cantanti, forse avrete un lavoro in
futuro.
AUSTRIA
DAVID PIRRO’ – Compositore - GRAZ
Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in
Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero?
Ho cominiciato molto presto lo studio del pianoforte: oltre al repertorio classico
insegnato al conservatorio, più tardi mi sono interessato a forme musicali
diverse (jazz, rock, musica contamporanea). Al termine del mio studio di Fisica
Teorica presso l'Università di Trieste, mi sono iscritto al Conservatorio “Tartini”
(Trieste) alla Scuola di Musica e Nuove Tecnologie, dove ho conseguito il Master
nel 2007. Contemporaneamente ho lavorato come assistente del Prof. Paolo
Pachini nell'ambito di diverse produzioni (video e live-electronics) e presso il
Centro di Sonoglogia Computazionale (Prof. De Poli) a Padova.
Da nove anni lavoro lavoro presso l'Istituto di Musica Elettronica ed Acustica
(IEM) presso l'Università della Musica e delle Arti Drammatiche a Graz in qualità
di ricercatore in diversi progetti (sonificazione, spazializzazione del suono,
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interaction design) a docente (corsi di laurea in ingegneria del suono,
musicologia e computer music).
La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di
studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso
positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di
arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia?
Grazie progetto Leonardo, ho avuto la possibilià di sviluppare il tema della mia
tesi di Master in collaborazione il Prof. Gerhard Eckel all'IEM di Graz. Questa
esperienza è stata molto importante: mi ha dato la possibilità di conoscere una
importante realtà nell'ambito della musica elettronica e di allacciare rapporti
grazie ai quali ho in seguito potuto entrare all'interno dell'istituto.
Inizialmente la scelta di seguire uno studio all'estero era stata principamente
dettata dal desiderio di arricchire la mia formazione. In seguito però, viste le
maggiori possibilità ed le stimolanti condizioni di lavoro con cui mi sono
confrontato, l'idea di un futuro fuori dall'Italia si è sempre più consolidato.
Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema
musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale,
vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard
internazionali o ancora arroccata su posizioni superate?
L'Università della Musica di Graz attira molti giovani musicisti e compositori
italiani che vengono qui per perfezionare i loro studi seguendo I corsi per
Master, post-graduate o dottorato. La mia impressione è che il loro nomero sia
cresciuto notevolmente negli ultimi anni.
Questi studenti, almeno quelli con cui ho contatto personalmente, in generale si
distinguono per la loro creatività a musicalità. Tuttavia, oltre ad una buona
preparazione tecnica e teorica (a volte superiore ai loro colleghi di altri paesi
europei), ho però spesso notato una lacunosa conoscenza dei temi e discorsi,
delle tecnologie e delle forme musicali più attuali nel contesto della musica
elettronica. A mio avviso questo è imputabile alla formazione italiana, da sempre
più incentrata su aspetti teorici consolidati che su temi attuali.
La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha
influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come
una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti
e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del
ruolo di musicista?
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I fattori determinanti che hanno influito sulla mia scelta di rimanere in Austria
sono stati certamente la diversa qualità (e condizioni) di lavoro, la grande e
stimlante varietà dei temi affrontati, la serietà e la coerenza con cui viene
affrontato il lavoro, la possibilità di sviluppare temi e lavori personali offertami e
l'apertura verso nuove e diverse prospettive.
Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha
continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe
parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli?
Da quando lavoro all'IEM non ho avuto importanti produzioni in collaborazione
con istituzioni italiane. Ci sono stati alcuni contatti o richieste, ma spesso a causa
di problemi organizzativi non c'è stata realizzazione.
Ho un buon contatto con il Prof. Agostino Di Scipio, di cui ho una profonda stima
sia come compositore e che come docente e con cui ho avuto la possibilità di
organizzare concerti e workshop qui a Graz.
Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia?
l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società
concertistiche, ecc) ?
La mia impressione è che le strutture organizzative rappresentino il più grosso
ostacolo allo sviluppo dei musicisti e compositori italiani. Queste strutture mi
sembrano spesso irrigidite, vetuste ed inutilmente complicate, sia da un punto di
vista burocratico che di contenuti. Di fatto questo si traduce minori possibilità
per musicisti e compositori di lavorare ed accumulare esperienza.
Inoltre, per esperienza personale, posso dire che artisti stranieri sono spesso
negativamente colpiti dalle complicazioni amministrative ed organizzative
legate ad una esibizione in Italia. Questo contribuisce a rendere più difficile lo
scambio ed il confronto con altre realtà musicali, un confronto che a mio avviso,
è una condizione necessaria per la formazione dei musicisti a compositori
italiani.
Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili
delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta
Formazione?
A mio parere, l'obiettivo principale deve essere quello di creare spazi e
possibilità per giovani musicisti e compositori per realizzare il loro lavoro.
Ovviamente la cronica assenza di fondi di cui tutti siamo a conoscenza, è un
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ostacolo importante, ma non è il solo. Certo, quando i soldi sono pochi, l'effetto
prinicpale è una drastica riduzione delle possibilità e degli spazi disponibili, ma
anche un arroccamento su temi, opere ed esecutori in qualche modo “sicuri”, di
indubbio valore artistico, ma spesso superati e non al passo dei tempi. Sarebbe
invece più importante creare degli spazi per la sperimentazione e la
presentazione continui, forse con minori disponibilità tecniche, ma con un
maggiore impatto sulla scena musicale ed artistica in generale.
SVIZZERA
CONSUELO GIULIANELLI – Arpista - Basilea
Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in
Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero?
Ho iniziato lo studio dell’arpa al Conservatorio e conseguito il Diploma al
Conservatorio di Verona con la Prof.ssa Mirella Vita. Attualmente sono
Professoressa d’arpa al Conservatorio di Feldkirch (Austria), prima arpa
dell’orchestra del Musikkollegium di Winterthur, suono musica contemporanea
con l’Ensemble Phoenix di Basilea, musica da camera con Camerata Variabile di
Basilea, Duo flauto e arpa con la flautista Eva Oertle, Duo Guitarp chitarra e arpa
con mio marito - dove oltre a suonare accompagno il mio canto - e diversi altri
concerti da solista, da camera e da sola.
La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di
studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso
positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di
arricchire la propria formazione o già intenzionata ad un futuro fuori
d’Italia?
Dopo pochi anni di libera professione (qualche ora d’insegnamento la settimana
nelle appena nate Scuole Civiche di Musica, alcuni concerti da camera e recitals,
concorsi giovanili, “arpa-bar” nei grand hotels in Italia e all’estero) ho
conseguito il diploma di concertista alla Musik-Akademie di Basilea e ho vinto
l’audizione per prima arpa all’Orchestra Sinfonica di Lucerna. Da allora mi si
sono aperte le porte della professione in Svizzera e in Europa.
La scelta di studiare a Basilea è stata dettata da una serie di riflessioni: a Milano
il mondo delle arpiste era “sovraffollato”, alcune colleghe conosciute nelle
orchestre giovanili mi avevano parlato molto bene dell’insegnante d’arpa
dell’Accademia (Ursula Holliger) e parlavo già quattro lingue.
Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema
musicale europeo? Si può dire che la formazione musicale (strumentale,
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vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard
internazionali o ancora arroccata su posizioni superate?
Trovo che le arpiste italiane abbiano una buona preparazione e “grinta”,
indispensabile per il nostro mestiere. Se però confronto le scuole in Svizzera e in
Austria con quelle italiane, trovo che le scuole all’estero abbiano una grande
capacità di trasformarsi e adattarsi alle necessità degli allievi, alle richieste dal
mondo musicale, alle possibilità di lavoro mentre il Conservatorio in Italia, visto
da lontano, mi pare un dinosauro che appartiene a un’altra epoca e che fa una
grande fatica a cambiare.
La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha
influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come
una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti
e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del
ruolo di musicista?
In Svizzera ho potuto realizzare il mio sogno di essere una musicista a 360°: ho
avuto per es. la possibilità di suonare in orchestre sinfoniche, liriche,
cameristiche, come solista, ottenere dei risultati secondo le mie capacità e il mio
impegno e di essere pagata puntualmente ed adeguatamente per il lavoro svolto.
In Italia tutto ciò non sarebbe stato possibile.
Che cosa Le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? Il
sistema di reclutamento nei Conservatori, il percorso didattico,
l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società
concertistiche, ecc.)?
Sarebbe necessario che la qualità e l’integrità delle persone fossero messe al
primo posto. Il cambiamento che vedrei dovrebbe nascere dal di dentro, dalla
volontà delle persone - perché le Istituzioni sono costituite da singoli – di
operare per la Musica, per i giovani, per il nostro bel paese, per il pubblico e per
il nostro futuro.
Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili
delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta
Formazione?
Non so rispondere a questa domanda.
FRANCIA
ANDREA CORAZZIARI – Pianista- Parigi
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Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in
Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero?
Studi di pianoforte, musica da camera al Conservatorio di Roma. Diplomato
dell’Accademia di Imola in pianoforte e musica da camera. Studi di musica da
camera all’accademia del Trio di Trieste a Duino ed all’accademia Chigiana di
Siena. Collaboratore dell’orchestra Verdi di Milano dal 2000 al 2005. Vincitore
di premi in concorsi internazionali di pianoforte e musica da camera.
Attualmente concertista, solista e camerista, professore di ruolo di pianoforte e
musica da camera al Conservatorio del 9° arrondissement di Parigi “Nadia e Lili
Boulanger”,co- coordinatore del dipartimento “strumenti polifonici”.
La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di
studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso
positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di
arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia?
Studi presso il dipartimento di pedagogia-formazione all’insegnamento del
Conservatoire National Supérieur de Musique et de Danse de Paris, diplomato
con il Certificat d’aptitude in pianoforte e musica da camera (oggi equiparato a
master). La scelta, dettata da una conoscenza del sistema francese avvenuta
durante tournées pianistiche in Francia, è stata senz’altro spinta dall’idea di
sviluppare in questo paese la mia attività di insegnamento. La scelta di vivere
all’estero è stata poi conseguente a questo percorso, cui si sono aggiunte
componenti personali e affettive.
Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema
musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale,
vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard
internazionali o ancora arroccata su posizioni superate?
Premetto che mi sento semplicemente di scrivere a riguardo della mia
esperienza, e eventualmente dare un’opinione personale su altre di mia
conoscenza, non potrei esprimermi in termini assoluti.
Ciò premesso, la mia impressione è che la formazione ricevuta in Italia sia
adeguata e competitiva al livello internazionale; l’Italia forma degli artisti
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inventivi, curiosi ed aperti agli influssi di altri tipi di formazione. Secondo me
però questo avviene più per una presenza in Italia di insegnanti e personalità di
altissimo livello (ed a volte di istituti di formazione di altissimo livello), che per
una politica culturale condivisa e profonda.
La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha
influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come
una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti
e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del
ruolo di musicista?
La scelta di restare in Francia è dovuta innanzitutto ad una chiarezza e fluidità
del percorso che porta dalla formazione al mondo del lavoro nell’ambito
dell’insegnamento musicale. La formidabile “rete” dell’insegnamento musicale
pubblico sul territorio francese è poi certamente, a livello qualitativo e
quantitativo, un altro argomento a favore della scelta; questa rete, che tende a
valorizzare in molti casi le competenze dell’artista –insegnante ed esalta il
lavoro di squadra di un’équipe pedagogica, corrisponde ad una mia visione
personale del ruolo etico e politico del musicista nella società.
Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha
continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe
parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli?
Continuo ad avere contatti professionali con l’Italia, per una parte della mia
attività concertistica (festival MiTo) e didattica (corsi estivi di perfezionamento).
Questi contatti diventano sempre più sporadici nel corso del tempo … Collaboro
con musicisti italiani per progetti cameristici stabili e occasionali.
Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia?
l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società
concertistiche, ecc) ?
Vedere risposta successiva per tutto ciò che è politica di formazione culturale
La base di un cambiamento possibile potrebbe partire da una riflessione sulla
valorizzazione del patrimonio culturale musicale, che potrebbe ingenerare dei
circuiti virtuosi su molti livelli: dalla formazione culturale dei giovani al ritorno
economico che se ne potrebbe avere.
Si potrebbe a tal fine intensificare la collaborazione tra privati e pubblico,
favorendo ad esempio fiscalmente e materialmente il mecenatismo, e creando
delle reti di teatri ed enti di produzione musicale.
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La direzione dei suddetti enti di produzione dovrebbe essere affidata a persone
di altissimo livello artistico affiancate eventualmente da manager-umanisti,
anche provenienti dall’estero.
Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili
delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta
Formazione?
Sulla base della mia esperienza, per quel che riguarda la formazione
bisognerebbe stabilire un nesso più chiaro e diretto tra gli studi e il mondo del
lavoro. Per tutto quello che riguarda l’accesso all’insegnamento, i concorsi per
cattedre o posti vacanti dovrebbero essere sistematicamente essere basati su
prove artistiche e didattiche, oltre che su dossier, e questo fin dalla formazione
dei principianti, giovani ed adulti!
Le istituzioni di insegnamento potrebbero e dovrebbero coordinarsi per poter
sviluppare un’offerta chiara e sinergica per il pubblico, dalla formazione di un
pubblico amatore a quella dei futuri professionisti. La relazione con il mondo
della scuola dovrebbe essere rinforzata: la cultura musicale, la musica come
pratica dovrebbe essere presente in tutte le aule, dalla materna agli studi
secondari.
Si dovrebbero rinforzare e/o rinforzare delle partnership forti tra gli istituti
superiori di formazione e i luoghi di produzione musicale, teatri, società di
concerti, facilitando le residenze di giovani artisti, compositori ed interpreti, per
facilitare l’esperienza “sul campo” e l’inserzione nel mondo del lavoro.
CARLO LAURENZI – Compositore – Parigi
Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in
Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero?
Ho studiato chitarra privatamente con diversi insegnanti, e poi musica
elettronica (poi Musica e Nuove Tecnologie) presso il conservatorio dell’Aquila,
con il M° Michelangelo Lupone, con il quale ho poi parallelamente cominciato a
lavorare attivamente in Italia e all’estero, completando sul campo la mia
formazione come compositore, prima e dopo dopo il diploma.
Attualmente lavoro come Computer Music Designer all’IRCAM di Parigi, dove
collaboro con compositori di fama, provenienti da molti paesi diversi, per la
concezione e realizzazione dei loro progetti di musica mista (strumenti +
elettronica) in programma nella stagione concertistica dell’Istituto.
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La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di
studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso
positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di
arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia?
Si. Prima della laurea sono partito per fare un Erasmus “placement” (tirocinio di
lavoro specializzato) all’IRCAM, per 5 mesi, al termine del quale mi è stato
chiesto di rimanere con un contratto a tempo indeterminato per un posto nel
dipartimento di produzione musicale, con una netta evoluzione delle mansioni
che mi erano state affidate durante l’internato.
Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema
musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale,
vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard
internazionali o ancora arroccata su posizioni superate?
Direi che la formazione musicale italiana, in generale, puo’ essere, in alcuni posti
in cui ci sono dei bravi insegnanti, piuttosto qualificante. In Europa i musicisti
italiani di valore che hanno il coraggio di emigrare per lavorare a piu’ alto livello
sono accolti con grande interesse ed enorme rispetto. Spesso sono assai meglio
riconosciuti e riescono ad affermarsi molto di piu’ di quanto avrebbero potuto
fare in Italia. Tuttavia pero’ globalmente il sistema educativo musicale italiano
stenta ad equipararsi ai livelli di quelli di altri paesi, come la Francia ad esempio,
o la Germania. La Nuova Musica è spesso presa poco e male in considerazione.
Inoltre, il sistema di reclutamento degli insegnanti di conservatorio penalizza
oggi molto spesso chi ha preferito sviluppare la propria attività artistica
lavorando ad alti livelli nel mondo, piuttosto che chi ha preferito limitarsi ad una
attività di insegnamento senza infamia e senza lode in contesti locali a garanzia
di una mera sopravvivenza.
L’ultimo bando di graduatoria per i docenti di conservatorio, del 2014, ne è una
chiara dimostrazione, avendo tagliato fuori o sfavorito, nelle varie categorie, fior
di musicisti con grandi carriere anche all’estero e titoli artistici straordinari,
frutto del loro impegno nel lavoro musicale vero. In Francia, gli insegnanti di
conservatorio hanno tutti come minimo una carriera e una fama internazionale,
al massimo livello.
La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha
influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come
una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti
e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del
ruolo di musicista?
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La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali italiane è
indubbiamente alla base della mia scelta di restare all’estero. Unitamente alla
loro scarsissima disposizione a favorire o privilegiare la creazione di nuove
opere, da cui il mio lavoro dipende strettamente.
In Francia esiste per legge la categoria degli enti di creazione e di ricerca
artistica e musicale, supportati dallo stato per produrre la cultura e le opere del
nostro tempo. In Italia questa categoria non esiste, di conseguenza bisogna fare
tutto attraverso commissioni spesso troppo esigue per includere una
dimensione tecnologica, e oltretutto senza alcuna garanzia di continuità e
sviluppo di questo tipo di opere.
Ho poi scelto di restare anche per la qualità molto elevata del lavoro, per la
possibilità di vedere sempre riconosciuti i propri meriti, e le maggiori
opportunità e prospettive di sviluppo della carriera. In Italia avere tutti questo è
estremamente difficile e faticoso.
Un’altra differenza importante, è che in Francia e in altri paesi, non ci sono e non
ci saranno mai compositori alla guida di enti concertistici importanti, a garanzia
di una direzione e un’attività artistica assolutamente meritocratica, aperta alla
pluralità e alla contemporaneità.
Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha
continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe
parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli?
Si, certamente. La cosa piu’ interessante è che stando a Parigi e lavorando
all’Ircam ho potuto raccogliere molti piu contatti di lavoro italiani che stando in
Italia. Ho conosciuto qui la gran parte dei compositori e dei musicisti che
operano al massimo livello nella musica contemporanea, in Italia e all’estero,
tutti nella necessità passare per Parigi o altre città estere per poter lavorare.
Tra i contatti piu’ significativi, quello con Martino Traversa, compositore e
direttore artistico del festival “Traiettorie”, a Parma, nel quale ho partecipato in
due edizioni, assieme ai musicisti dell’Ensemble Intercontemporain, operando la
regia informatica e sonora di brani di Boulez (“Anthèmes2”, “Dialogue de
l’ombre double”) e Stroppa (“I will not kiss your fuck… flag”).
Inoltre mi è capitato di collaborare con alcuni docenti di musica e nuove
tecnologie di conservatori italiani.
Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia?
l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società
concertistiche, ecc) ?
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Innanzitutto è necessario cambiare il modo di gestire gli enti di produzione e le
istituzioni concertistiche italiane. La creazione di nuove opere non occupa un
posto abbastanza significativo nei programmi e nelle stagioni concertistiche, di
conseguenza i giovani, compositori o strumentisti, dediti alla musica di oggi,
hanno poche possibilità di far nascere ed evolvere in Italia la propria carriera, o
poter competere con gli altri colleghi che vengono da altre nazioni. Andrebbero
poi ridotte le spese di gestione interna, che hanno da sempre appesantito il
funzionamento degli enti italiani.
Soprattutto pero’, piuttosto che a dei compositori, bisognerebbe affidare la
direzione artistica degli enti a dei manager con uno spirito aperto e una grande
cultura musicale, con ottime abilità politiche, a garanzia di una direzione e
un’attività artistica assolutamente meritocratica, aperta alla pluralità, alla
contemporaneità e alla novità.
Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili
delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta
Formazione?
Per quanto riguarda l’Alta formazione musicale, andrebbe proposta una
formulazione adeguata dei programmi e degli ordinamenti scolastici che si
ponga come obiettivo di formare musicisti e compositori che sappiano non solo
essere competenti, ma anche in grado di capire e aderire completamente allo
spirito dell’epoca attuale, attraverso una esposizione alla pluralità di approcci e
istanze culturali e tecniche che caratterizzano la musica d’oggi a livello
internazionale, come accade in moltissimi conservatori d’Europa. Bisognerebbe
poi favorire il piu’ possibile l’integrazione dei conservatori italiani nei circuiti
accademici internazionali, favorendo la presenza di docenti che arrivano dai piu’
importanti conservatori. Cosi’ come andrebbe favorito il percorso formativo
degli studenti di conservatorio, facilitandone il transito attraverso le differenti
accademie d’Europa.
I conservatori dovrebbero poi chiaramente integrare il loro statuto di enti
parificati a quelli universitari, e promuovere attivamente una robusta e fondata
attività di ricerca musicale, sia nel dominio tecnologico che in quello
strettamente musicale.
Ai direttori artistici andrebbe invece imposto di programmare non meno di un
50% di musica nuova nelle stagioni per le quali operano.
Alle istituzioni culturali italiane andrebbe chiesto di mettere a punto un
dispositivo di legge che favorisca il piu’ possible il mecenatismo, con sgravi
fiscali per il finanziamento di nuove opere musicali e nuove creazioni artistiche,
e promuovere incentivi per il sostenimento di nuovi ensemble che si dedichino
alla musica d’oggi. Andrebbero anche creati dispositivi di legge per favorire il
cofinanziamento da parte di mecenati e dello stato, come anche di commissioni
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speciali che promuovano e raccolgano progetti innovanti, proposti insieme da
ensembles e compositori attivi nella creazione di nuova musica.
LORENZO PAGLIEI – Compositore - PARIGI
Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in
Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero?
In Italia ho studiato in Conservatorio diplomandomi in pianoforte,
composizione, musica elettronica e direzione d’orchestra. In seguito ho
frequentato il Corso di perfezionamento in Composizione dell’Accademia di
Santa Cecilia e ho seguito vari seminari dedicati alla musica contemporanea
dove ho potuto entrare in contatto sia con compositori noti sia con miei coetanei
coi quali si è creato un dialogo fruttuoso e duraturo che prosegue tutt’oggi. Parlo
di un periodo che va dalla metà degli anni ’90 all’inizio degli anni 2000. Prima di
frequentare all’accademia di Santa Cecilia, avevo studiato al Conservatorio di
Frosinone. I miei maestri sono stati Azio Corghi, Giorgio Nottoli e Salvatore
Sciarrino, seguii vari seminari con Grisey, Lachenmann e ho un ricordo
affettuoso di Alessandro Solbiati che incontrai a Milano. Ho avuto anche la
fortuna di frequentare per un breve periodo Luciano Berio che conobbi al mio
esame finale dell’Accademia di Santa Cecilia e che volle incontrarmi in seguito
per dialogare sulla mia musica. Conservo di lui un ricordo intenso.
Attualmente lavoro all’Ircam di Parigi come compositore in ricerca e insegno al
Cursus I e II di informatica musicale che io stesso ho frequentato da studente 10
anni fa avendo vinto la selezione del Comité de Lecture.
La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di
studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso
positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di
arricchire la propria formazione o già intenzionata ad un futuro fuori
d’Italia?
Avendo effettuato la mia formazione in Conservatorio negli anni ’90, ho seguito i
cosiddetti corsi “tradizionali” e l’Erasmus ancora non esisteva per i Conservatori.
Come studente del Cursus I e II dell’Ircam ottenni una borsa di studio della
SACEM: una piccola agevolazione che copriva i costi del Cursus.
Per un musicista essere in un paese o in un altro in realtà non è vincolante. Un
musicista mette in conto di viaggiare e si sente parte di una rete globale
piuttosto che restare fisso in un paese. Tuttavia appena mi sono affacciato fuori
dall’Italia ho constatato un maggiore rispetto e considerazione professionale per
questo lavoro.
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Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema
musicale europeo? Si può dire che la formazione musicale (strumentale,
vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard
internazionali o ancora arroccata su posizioni superate?
Un musicista italiano è parte della cultura europea e vivere fuori dal proprio
paese è normale se fa questo mestiere. Penso che considerare un musicista come
“italiano” sia riduttivo. D’altro canto è vero che esportiamo una sensibilità,
un’identità e una cultura molto apprezzate all’estero. In Europa vedo meno
giudizi in base alla provenienza e mi sento piuttosto un musicista europeo che
italiano: l’Italia è la mia culla culturale, l’Europa il luogo dove faccio fiorire la mia
attività e l’Europa comprende l’Italia.
Prima di rispondere alla seconda domanda devo dire che, pur abitando
all’estero, insegno musica elettronica al Conservatorio di Vicenza. Perciò ho
sempre davanti agli occhi una prospettiva multipla: come artista residente
all’estero, come docente in due paesi e attraverso le storie dei miei allievi che
studiano in Italia o che partono in Erasmus. In tal senso non ho smesso di
seminare cultura nel nostro paese, né voglio rinunciarci, e sono cosciente
dell’importanza della mia funzione.
In Italia mancano spesso le infrastrutture, si fa moltissima fatica a lavorare e a
reclutare in modo diretto e realmente meritocratico i docenti, tuttavia il nostro
valore aggiunto è l’umanità, la vicinanza con gli allievi e la capacità di auto
organizzazione. Credo che molti docenti di Conservatorio svolgano una funzione
eroica perché non sono aiutati dal sistema ministeriale che risulta troppo lento e
“pauroso” nelle scelte e nei cambiamenti.
Parlo come docente di una materia speciale come la musica elettronica nella
quale la didattica è un’invenzione del docente e non è così sedimentata come
quella di altre materie. Personalmente davanti a un sistema che non aiuta o che
dà poche ore e mezzi mi sono rimboccato le maniche e ho lavorato sodo; i
risultati sono evidenti: il corso è cominciato da zero con me 13 anni fa, oggi è
frequentato da 35 allievi ed è appena stata aperta una seconda cattedra della
mia materia.
Chi insegna in Conservatorio deve essere cosciente di costituire un nodo
culturale importante del paese e deve farlo funzionare nel modo migliore.
Lavorando bene i risultati si vedono, pur nell’attuale difficoltà di struttura,
organizzazione, reclutamento e mezzi.
Incoraggio sempre i miei studenti a partire in Erasmus per far sì che
relativizzino la prospettiva italiana e siano abituati al viaggio, l’avventura e il
cambiamento. Un musicista deve imparare ad essere elastico e ad adattarsi: la
tranquillità non è di questo mestiere. La monotonia di una sola posizione
culturale è negativa. E prima si viaggia meglio è.
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Andando via dall’Italia ogni studente comprende immediatamente la differenza
fra il nostro paese e l’estero: una maggiore meritocrazia e organizzazione,
infrastrutture solide, una maggiore disponibilità e apertura al nuovo. L’idea che
l’Italia sia la culla della cultura porta a prospettive rischiose in cui ci si
addormenta su allori e si contemplano monumenti del passato, che ormai
mostrano crepe, mentre in altri paesi la cultura si crea e si vive oggi. La cultura
ha senso solo se è viva e non guarda solo a ciò che ha già acquisito; non è solo
restauro e conservazione ma principalmente creazione. Se lo dimentichiamo
siamo morti.
La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha
influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come
una diversa qualità del lavoro, un maggiore prospettiva di riconoscimenti
e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del
ruolo di musicista?
Sono partito per la Francia quando ero già docente precario in Italia (e lo sono
tuttora dopo 13 anni di insegnamento). Sono andato all’estero perché volevo
continuare e far fiorire altrimenti la mia ricerca musicale.
Ciò che ho provato arrivando a Parigi è un maggior rispetto per la
professionalità di un musicista, la sensazione che un artista esista e abbia una
funzione nella società, una maggiore fluidità nella produzione musicale e
un’accettazione della creatività contemporanea.
Che cosa Le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? Il
sistema di reclutamento nei Conservatori, il percorso didattico,
l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società
concertistiche, ecc) ?
Non posso dire di avere un panorama esaustivo dell’organizzazione musicale in
Italia. Sicuramente il male maggiore del nostro paese è la paura del merito e del
talento, soprattutto di quello dei giovani. Un paese che ha paura del talento e del
merito dei propri figli non va molto lontano: si abitua all’impossibilità di
realizzare i propri progetti e si incammina verso la stasi e la depressione. Gli
italiani all’estero lavorano benissimo e sono considerati molto bene, ho molti
amici che vivono da artisti europei e, ripeto, non ha senso vederci come solo
italiani.
Come dicevo precedentemente c’è da cambiare il metodo di reclutamento degli
insegnanti di Conservatorio: all’estero si fa una prima cernita dei candidati per
curriculum, una volta selezionati si viene sottoposti a una prova davanti alla
commissione giudicante nella quale si deve tenere una lezione reale con veri
studenti. Parte della prova è in inglese (o in alternativa si deve passare una
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prova di inglese). Infine, si discute di didattica con la commissione. In tal modo
chi valuta ha ben chiaro chi è il candidato ed è in grado di giudicarlo. Da noi si fa
una lista di titoli artistici, didattici, di servizio ed è tutto, la commissione non può
giudicare se il candidato è in grado di insegnare. Questo metodo non può portare
buoni frutti.
Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili
delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta
Formazione?
Riguardo la formazione musicale non bisogna aver paura del merito, del talento
e delle idee. Bisogna reclutare gli insegnanti in modo trasparente, diretto e con
delle prove che verifichino le loro reali capacità didattiche.
In Italia si ha paura del merito e dell’imbroglio. Si mettono infinite regole per
evitare imbrogli e nepotismi. Credo che un Conservatorio o una qualsiasi
istituzione intelligente abbia interesse a fornire docenti di qualità a chi si iscrive.
Se recluta male gli insegnanti prima o poi chiuderà. Chi recluta senza partire dal
merito ha la tipica miopia del parassita che si nutre e cresce ma alla fine uccide
l’organismo che gli consente di vivere. È un errore grave.
Ai direttori artistici vorrei dire di non aver paura delle idee dei giovani creatori
italiani e di prendersi dei veri rischi. La creatività non è un prodotto assodato e
assicurato: è rischio e apertura di credito alla visionarietà. Se proponiamo solo
ciò che è “sicuro” andremo verso la noia e condanneremo a morte una cultura
che si ciba solo del riconoscimento di se stessa, che non dà linfa al paese; in tal
modo il commercio, che già dilaga, prenderà il sopravvento totale.
Qualche allievo in Erasmus è rimasto meravigliato che all’estero molti locali
ospitino studenti di Conservatorio per suonare musica più o meno sperimentale
qualche giorno a settimana in situazioni informali. Questi locali sono pieni di
gente, c’è una voglia e un desiderio di musica incredibile. Le idee circolano in un
continuo scambio fra istituzione e mondo reale, fra studente e pubblico coetaneo
o di generazioni diverse.
MARIA PERROTTA – Pianoforte – PARIGI
LUCIO PRETE - Cantante – PARIGI
1) Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale
in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero?
Lo studio della musica inizia in famiglia, e faccio fatica a ricordarne veramente i
primi momenti, perché è stato un dialogo giocoso col mio papà che si è
trasformato naturalmente in studio, in vocazione, in sogno. A dieci anni sono
entrata nel conservatorio della mia città, dove ho studiato con Antonella
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Barbarossa; a 18 anni, rispondendo semplicemente al mio bisogno di
confrontarmi e di conoscere nuove realtà sono partita. E le tappe sono state
Milano, il conservatorio, dove mi sono diplomata con Edda Ponti, Parigi, dove ho
studiato con Jacques Rouvier e Marie-Pierre Soma all’Ecole Normale “Alfred
Cortot”, dove ho preso il Diploma Superiore di Musica da Camera; Saarbrücken,
in Germania, dove ho approfondito il repertorio bachiano con Walter
Blankenheim. Poi c’è stato il rientro in Italia, all’Accademia Pianistica di Imola,
con Franco Scala e Boris Petrusanskij, e Roma, dove ho preso il Diploma
Superiore all’Accademia Nazionale Santa Cecilia con Sergio Perticaroli. Ho
frequentato corsi con Cristiano Burato e François-Joël Thiollier. Sono stata, come
dire, un’allieva curiosa... Mi è piaciuto conoscere tanti contesti e avere tanti
maestri, non amo irrigidire il pensiero musicale e di conseguenza la tecnica
musicale in “scuole” e metodi, seppure evidentemente esistono scuole e
tradizioni specifiche dalle quali muovono le nostre riflessioni.
2)La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo
di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso
positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di
arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia?
Il mio ritorno in Francia è dovuto principalmente al lavoro di mio marito, Lucio
Prete, musicista come me, calabrese come me, baritono nel coro dell’Opéra di
Parigi, e forse più di me è lui il “cervello in fuga”. In Italia ha lavorato in cori
eccellenti come quelli del Maggio Musicale Fiorentino e dell’Accademia di Santa
Cecilia.
Seguendo i “venti” della crisi del 2008, che colpì in generale le varie fondazioni
teatrali e in modo particolarmente duro Firenze , mio marito si è ritrovato
all’Opéra di Parigi, dove vinse il concorso a tempo indeterminato.
Le mie esperienze di studio all’estero precedenti la mia vita attuale, come ho
detto prima, sono state dettate semplicemente dalla voglia di arricchirmi e non
dal desiderio di stabilirmi altrove dall'Italia, senza peraltro escluderlo.
Con un po’ di umorisrmo, mi viene da pensare a Troisi che sosteneva che un
napoletano ha il diritto di viaggiare senza doversi sentire necessariamente un
emigrante. Ecco, ho lottato molto anch'io contro questa sensazione. Mi piace
sentirmi libera di spostarmi. Mi piace coniugare più realtà. Mi piace sentire le
mie radici calabresi sempre vive.
3) Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel
sistema musicale europeo? Si può dire che la formazione musicale
(strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli
standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate?
La mia opinione è, senza alcun dubbio, che la formazione italiana sia adeguata
agli standard internazionali. Spesso ho notato che proprio andando via dall’Italia
ci accorgiamo di quanto sia valida la nostra formazione. Sia io che mio marito
spesso ci sentiamo accolti e valorizzati anche per la nostra “italianità”, che
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ovviamente nella vocalità in modo particolare vanta una tradizione omaggiata
ovunque. È fin troppo ovvio dirlo…. Il problema non è nella formazione, anche se
comincio ad avere qualche perplessità nei confronti della riforma che stanno
subendo i conservatori. Ho la sensazione che abbiano cercato di imitare
qualcosa di nord-europeo, ma superficialmente. I programmi mi paiono svuotati
e alleggeriti. Come se il conservatorio stia quasi diventando una specie di scuola
divulgativa, volta a dare una formazione generale, e non più un luogo dove
formare dei professionisti. Credo in effetti che in Italia ci sia bisogno di più
alfabetizzazione musicale, che a mio avviso è proprio ciò che funziona meglio
altrove, per esempio in Francia, dove vi è una diffusione altissima dello studio
della musica, e quindi una cultura musicale media molto alta, e dove la figura
dell’amatore nutre il mondo della musica e il lavoro dei professionisti. Ma questo
doveva avvenire, forse, ingrandendo e fortificando la base della piramide, non
rendendo ambiguo il vertice, rappresentato dai conservatori. Credo però che sia
molto difficile ancora capire i limiti e l’eventuale positività dei cambiamenti. La
transizione ha tempi lunghi.
4) La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia
ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori,
come una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di
riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior
considerazione del ruolo di musicista?
Questa è precisamente la storia di mio marito, che qui a Parigi ha cominciato a
lavorare direttamente a tempo indeterminato, quindi con stabilità e con una
qualità del lavoro alta. Mentre in Italia le istituzioni mettono in discussione
proprio i valori della stabilità, della continuità, evitando di assumere a tempo
indeterminato, e diminuendo i finanziamenti statali alla cultura in genere,
facendo quindi perdere importanza e prestigio sociale al musicista. Devo però
precisare che purtroppo la politica sta lentamente andando in questa direzione
anche in Francia, e credo sia una tendenza molto generale. Io in realtà sto
lavorando molto in Italia, sia svolgendo attività concertistica, sia come
insegnante in conservatorio.
5) Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, negli ultimi
tempi ha svolto un'attività concertistica considerevole in Italia. Ci vuole
ricordare alcune tappe significative di questo ritorno concertistico?
Grazie al mio agente italiano, Alberto Spano, sto lavorando molto in Italia. Tappe
significative i concerti per “Gli Amici della Musica” di Firenze al Teatro della
Pergola, al Teatro Argentina di Roma, all’Auditorium Cariplo di Milano, per
l'Associazione Scarlatti di Napoli, all’Auditorium Toscanini di Torino, le
collaborazioni in qualità di solista con orchestre importanti come la Verdi di
Milano, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino, l'Orchestra della
Toscana, l'Orchestra Arturo Toscanini di Parma.
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6) Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia?
L’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società
concertistiche, ecc) ?
Purtroppo è molto semplice, più risorse, più stabilità, più musica. Credo che in
Italia ci sia un problema di quantità. Nella cultura credo valga il principio che la
quantità si trasformi in qualità. Ogni piccolo centro dovrebbe avere un teatro,
una scuola di musica, un’orchestra, un coro, un cinema, una biblioteca. I vertici
hanno bisogno di basi. La qualità di quantità. Questo è quello che penso. La
musica deve semplicemente esistere, nella vita quotidiana. E le istituzioni, in
generale, devono avere coraggio. Devono crederci insomma. Coraggio nei
programmi. Coraggio nel proprio ruolo. Orgoglio del proprio ruolo. Conquistare
il pubblico, non accontentare il pubblico.
Credo comunque che i cambiamenti più importanti siano quelli relativi al
proprio modo di pensare, evitando di restare esclusivamente nella attesa di ciò
che le istituzioni debbano fare, intrappolati dalla sfiducia. Io, per esempio, come
insegnante evito accuratamente di generare sfiducia nell’allievo nei confronti del
futuro e del mondo lavorativo, non creando illusioni o inibendo il senso critico
nei confronti della realtà, ma con la profonda consapevolezza che la più grande
cosa che io possa fare è dare la sensazione che il futuro appartenga a loro. Credo
infatti che i danni più grandi avvengano quando sentiamo che ciò che facciamo
sia inutile. E credo che la sensazione che serpeggia in Italia sia questa, ed è
contro questa sensazione che bisogna ardentemente lottare.
7) Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai
responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del
sistema dell’Alta Formazione?
In concreto forse non so….
Chiederei pero’ il coraggio di riconoscere alla musica un ruolo fondamentale
nella formazione generale dell’essere umano, di riconoscere anche con chiarezza
il ruolo cruciale della musica, dell’arte, e della cultura in genere, nel
raggiungimento della felicità e nello sviluppo di una collettività sana .
Credo che fare musica , e ancor piu, musica insieme sia un anticorpo formidabile
contro tante derive . Chiederei quindi di sostenere non solo le eccellenze, ma
anche le piccole realtà, le “periferie”, i piccoli teatri. La musica deve potersi
espandere.
Chiederei di fare della musica un diritto.
SPAGNA
CRISTINA CAVALLI – Pianista- Madrid
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Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in
Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero?
Ho studiato Pianoforte e Musica da Camera ai conservatori di Piacenza e Cesena,
proseguendo all'Accademia di Imola (nella classe di Musica da Camera di Pier
Narciso Masi). Contemporaneamente seguivo i corsi di Sergio Fiorentino, e per
un breve periodo quelli di Marisa Somma. Tutte e tre queste persone hanno
contribuito alla mia formazione, insieme ad altre successivamente. L'esempio
più forte e il maggiore punto di riferimento per me rimane quello, musicale e
umano, di Sergio Fiorentino.
La mia attività lavorativa si divide tra concerti e didattica: qui a Madrid sono
docente in diverse strutture tra cui il CARM (Centro de Alto Rendimiento
Musical), creato sotto l’egida dell’Università Alfonso X el Sabio per dare un segno
di eccellenza che guarda all'Europa e anche più in là. Oltre a questo è importante
per me il contatto con studenti che magari hanno anche pochi anni meno di me e
vengono da parti diverse del mondo e con cui si instaura uno scambio
produttivo nelle masterclass.
Accanto alla didattica porto avanti l’attività concertistica tra Europa e Asia:
alcuni mesi fa ho debuttato a Shanghai Symphony Hall con un recital centrato su
Italia e Argentina (e un po’ di Spagna) e prossimamente sarò in Canada,
Australia e poi di nuovo in Oriente.
La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di
studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso
positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di
arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia?
Purtroppo no, mi sarebbe molto piaciuto e se occasioni come l'Erasmus fossero
state fruibili ai tempi del conservatorio ne avrei approfittato certamente.
Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema
musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale,
vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard
internazionali o ancora arroccata su posizioni superate?
Difficile dare una risposta univoca. Una cosa è certa: i talenti in Italia ci sono, e
notevoli. Molto dipende da quel che si è ricevuto dal proprio insegnante di
strumento, non solo a livello musicale però: alcuni maestri danno una buona
formazione di base ai propri studenti ma spesso questi ragazzi sono poi
impreparati ad affrontare il mondo musicale concreto: almeno per quelle che
sono le mie ultime notizie in proposito (sarei contenta di essere smentita) i
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conservatori non danno alcuna preparazione in termini di presentazione e
promozione della propria attività, gestione di mezzi informatici e tecnologici che
ormai sono essenziali nella vita di un musicista, marketing, lingue straniere
padroneggiate in maniera sufficiente da permettere una interazione fluida col
resto del mondo... Anche in questo l'Erasmus ha certamente dato una mano,
mettendo di fronte i ragazzi alla dura realtà di doversi sforzare di più per essere
considerati a livello europeo.
La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha
influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come
una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti
e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del
ruolo di musicista?
Certamente, anche se in Italia avevo lavoro (mai in istituzioni pubbliche,
ovviamente). Non sono espatriata per disperazione, ma per esasperazione sì… ci
doveva pur essere qualcosa di meglio anche per chi non ha santi in paradiso ma
solo voglia di lavorare seriamente cercando di dare il meglio.
Secondo me si parte sempre per un insieme di fattori, mai per uno solo. Nel mio
il più forte è stato il bisogno di sperimentare una realtà nuova, in un Paese che
mi ispirava più fiducia rispetto al mio; dalla mia città natale mi sono spostata a
Roma per sette anni e poi ho sentito la voglia di varcare i confini. E’ qualcosa di
soggettivo, nessuno ha motivo di sentirsi obbligato a restare o andare, ognuno fa
e sceglie, sempre sceglie, il proprio percorso.
Oltre alla musica io sentivo la necessità di un Paese che funziona e socialmente
più evoluto, e la Spagna (con tutti i possibili difetti e i ma) è messa decisamente
meglio dell’Italia; ora non riuscirei più a rinunciare alla qualità di vita globale
che ho qui. Amo l’Italia e lo farò sempre, e mi piace nel mio piccolo tentare di
essere un segno positivo dell’italianità nel mondo, ma non ho progetti di ritorno.
Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha
continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe
parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli?
Ho organizzato in Italia un Workshop estivo di Musica da Camera, anni fa, e per
due anni insieme ad un collega ho portato avanti la Direzione Artistica di una
stagione di concerti a Roma; vivendo io a migliaia di chilometri di distanza è
diventato piuttosto difficile, la collaborazione delle istituzioni nulla, oltre alle
trafile burocratiche che sembrano create apposta per far desistere da ogni sano
e buon proposito… per cui ho preferito dedicarmi a progetti diversi. Quello che
mi è dispiaciuto è stato lasciare un pubblico composto da persone assetate di
musica, di occasioni per condividerla, occasioni che persino nella capitale sono
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in realtà poche: il confronto con Madrid anche qui purtroppo è desolante, non c’è
paragone riguardo a quantità, varietà e fruibilità della vita culturale dove vivo
ora.
Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia?
l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società
concertistiche, ecc) ?
Non credo di avere la preparazione tecnica necessaria per rispondere in maniera
dettagliata a questa domanda. Forse sarà una considerazione semplicistica, ma
io penso che l’Italia abbia semplicemente bisogno di evolversi, da tanti punti di
vista. Soprattutto, di uscire da una triste situazione di guerra tra poveri ed
entrare nella più cotruttiva mentalità di bene comune: ogni successo di un altro
musicista è un bene anche per me, non qualcosa che mi viene tolto. Ogni volta
che torno la percezione di una immobilità collettiva è sempre più forte, e non mi
riferisco solamente a chi detiene il potere decisionale; sento una rassegnazione
serpeggiante trasversale, nelle cose importanti e in quelle più piccole, entrata
silenziosamente nel quotidiano di tante, troppe persone.
Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili
delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta
Formazione?
Conosco poco, tecnicamente, il funzionamento di questi organismi, ma le dirò
questo: ogni volta che in Italia ho proposto progetti, collaborazioni, iniziative,
semplicemente mi è sempre stato chiesto qualcosa in cambio come condicio sine
qua non. Succede anche in altri Paesi? Certo, ma non in maniera così sistematica
e capillare.
MARIA ROSARIA D’APRILE – Violinista - Siviglia
Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e
la sua attuale attività lavorativa all’estero?
Diploma di Conservatorio presso il Conservatorio E.R Duni di Matera e Diploma di
Perfezionamento presso l’Accademia “L. Perosi” di Biella. Da quando avevo 13 anni
frequentavo masterclasses estive con il mio maestro di Conservatorio e con altri
maestri di fama internazionale.
La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi
all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la
scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la propria
formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia?
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Prima di stabilirmi in Spagna, ho vissuto 8 anni nella Svizzera italiana, a Lugano,
dove ho conseguito il Master in Pedagogia Musicale, Perfezionamento e Solista. I
miei studi li sono stati sostenuti da Borse di studio di Fondazioni e Privati. Di seguito
al Titolo di Pedagogia, ho partecipato e vinto una selezione internazionale per
professori presso il Dipartimento Scuola di Musica della stessa Università. Sono stata
docente di violino per 4 anni. All’inizio di questo percorso pensavo di arricchire la
mia formazione, poi ho incontrato migliori possibilità di inserimento lavorativo.
Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema
musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale,
compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o
ancora arroccata su posizioni superate?
Mi sono sempre trovata molto bene all’estero con la formazione italiana che ho
ricevuto. Devo dire che la preparazione generale che possiamo ricevere noi è
superiore alla spagnola, per esempio. In Svizzera ho potuto fare tesoro delle mie
conoscenze acquisite in Italia.
La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha
influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una
diversa qualità del lavoro, un maggiore prospettiva di riconoscimenti e di
considerazione del proprio merito, una maggior considerazione el ruolo di
musicista?
Di seguito alla mia permanenza in Svizzera, ho passato un semestre a Salisburgo
presso il Mozarteum. Li ho davvero sentito il riconoscimento dei musicisti. Gli
organismi, pubblici e privati, le installazioni, le strutture sono disegnate e funzionano
intorno alla figura del musicista. Essendo in possesso del Diploma Magistrale, avevo
la possibilità di accedere all’insegnamento pubblico o probabilmente ad un
Conservatorio, ma la mia collocazione nelle graduatorie, prima di Istituto, poi
provinciali, era cosi lontana dai primi posti che ho sempre pensato di cercare lavoro
altrove. (Sta parlando dell’Italia?) Le condizioni erano sempre molto meno
interessanti che quelle all’estero (soprattutto in Svizzera). Come interprete
strumentista, a seguito di numerose audizioni negli enti locali non mi rimaneva che
offrire i miei concerti fuori dalla mia terra d’origine. Ciò che mi veniva proposto
erano collaborazioni la maggior parte delle volte a nero e in condizioni direi in
condizioni lamentevoli.
Che cosa Le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? Il
sistema di reclutamento nei Conservatori, il percorso didattico, l’organizzazione
degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) ?
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Sono residente in Spagna, Andalusia, da 6 anni e in questo periodo ho potuto
assistere a 2 concorsi di reclutamento di docenti (circa uno ogni 4 anni) e numerosi
bandi indetti da Conservatori o Accademie omologate ai quali quasi tutti i ragazzi
appena o da poco diplomati vi hanno partecipato con risultati positivi. Questo
favorisce molto più la occupazione dei professionisti del settore. D’altra parte pero le
orchestre dal 2008 (tempo della crisi) hanno diverse difficoltà. Si parla di mancanza
di formazione al marketing e all’organizzazione musicale. Le materie didattiche che
in Italia si approfondiscono soltanto a seguito del Diploma/Laurea, dovrebbero, a mio
avviso, essere materia di studio che accompagnano i corsi medi e superiori. Altro
valore aggiunto delle audizioni all’estero: chiarezza e poca corruzione in sede di
audizione/concorso. Cosa che ahimè in Italia, ho vissuto in forma costante e cronica.
Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle
istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta
Formazione?
Riformare strutturalmente e attualizzare i programmi degli Istituti Artistici, creare
ponti culturali con Paesi in Europa. Creare e fomentare alternative di economia tra il
pubblico e il privato. Far vivere la realtà artistica da vicino interessando anche la
cultura mediatica e storico/sociale.
GIUSEPPE DEVASTATO – Pianista – Madrid
Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in
Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero?
G: Mi sono formato presso il Conservatorio Statale di Musica “D. Cimarosa” di
Avellino, laureandomi a pieni voti in Pianoforte con Carlo Alessandro Lapegna,
Composizione con Giacomo Vitale e Strumentazione per Banda da solo.
Sin da ragazzo per cercare di farmi conoscere ho preso parte a diversi Concorsi
Nazionali e Internazionali collezionando 28 premi, tutto questo mi ha permesso
di poter suonare per un pubblico e iniziare (come si suol dire) a farmi le ossa,
dato che per mentalità italiana se non sei già nessuno non hai spazi.
Attualmente svolgo l’attività concertistica in tutto il mondo (Europa, Asia e
America) tenendo recital e parallelamente quella di compositore (recentemente
ho ricevuto un ulteriore riconoscimento in America con la Medaglia d’Oro al
Global Music Awards 2015 di Los Angeles per la mia ultima composizione
“Toccata” ed il nuovo disco “The Pianist Composer”).
Sono docente di Pianoforte e Musica da Camera presso l’Universidad de Musica y
Artes Escenicas “Alfonso X el Sabio” di Madrid, unica Università in tutta la
Spagna a rilasciare un titolo di studio equipollente in Europa.
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La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di
studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso
positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di
arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia?
G: La mia attuale collocazione lavorativa semplicemente l’ho guadagnata col
sudore, ovvero sono venuto a Madrid nel 2011 stanco di subire ingiustizie in
Italia.
Non ho nessun timore nel dire che se vuoi avere un lavoro nel nostro Paese del
Bel Canto (forse una volta, perché oggi nemmeno più questo abbiamo) devi
appartenere ad una casta, che sia religiosa, politica o altro non fa nessuna
differenza.
Non essendo per principio una persona che scende a compromessi, dopo aver
subito umiliazioni e delusioni ho semplicemente fatto la valigia e preso un aereo
verso Madrid dove ho fatto due colloqui di lavoro (suonato e insegnato ad alunni
di diverso livello) e nello stesso giorno mi hanno assunto.
In questi lunghi quattro anni ho lavorato sodo e a settembre 2015 sono stato
invitato dall’Universita Alfonso X el Sabio ed ho accettato con grande felicità.
Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema
musicale europeo ?
G: Assolutamente più facile rispetto l’Italia, per la ragione che all’estero ti
valutano con criteri meritocratici e non con lo stemma di appartenenza.
Il musicista italiano è molto rispettato all’estero perché per fortuna abbiamo
ancora la grande tradizione della scuola italiana basata su una buona
preparazione; e poi la nostra musicalità, secondo mio modesto parare, fa si che
possiamo difenderci abbondantemente.
Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o
direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora
arroccata su posizioni superate?
G: Penso che la formazione italiana sia una delle più complete anche se con
l’avvento del nuovo ordinamento di studi stiamo perdendo colpi.
Riguardo la mia esperienza attraverso Masterclass tenute in giro, posso
constatare che la preparazione italiana regge ancora il confronto con i paesi
dell’Est Europa, ma dedicherei più ore allo strumento che solo alla teoria.
La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha
influito sulla scelta di restare all’estero?
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G: Purtroppo si e sono più preoccupato per le nuove generazioni, non conosco
adesso quale siano i requisiti per poter insegnare in Conservatorio ma da quel
che sento in giro si continua ad agire scorrettamente.
Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, una
maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio
merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista?
G: Assolutamente sì, da quando mi sono trasferito ho sentito una energia diversa
e tutto questo ha favorito lo sviluppo della mia carriera in soli quattro anni.
Sono stato considerato dal primo momento, rispettato e ho avuto la possibilità di
poter far conoscere la Scuola Napoletana attraverso concerti e docenza.
Credo che vivere all’estero sia più difficile perché non conosci nessuno, ma allo
stesso tempo hai una gran voglia di affermarti e anche se devi sgomitare, come
anche nel nostro Paese, almeno lotti alla pari e ti danno una possibilità per
dimostrare qualche cosa.
Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha
continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe
parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli?
G: Sì certo, nonostante tutto amo il mio Paese e la mia città, sono di Napoli.
Continuo ad avere contatti con alcune istituzioni musicali: il CDPM di Bergamo
che ogni anno mi invita a tenere masterclass, la Filarmonica di Benevento,
l’Accademia Musicale Europea napoletana del Mº Luciano Ruotolo, con musicisti
tra cui il Direttore Francesco Ivan Ciampa, Antonio Di Palma (nipote di Aldo
Ciccolini) e varie realtà musicali legate alla Scuola Napoletana da cui provengo.
Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia?
l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società
concertistiche, ecc) ?
G: Soprattutto la mentalità arcaica legata a dei sistemi che già erano in vigore
negli anni settanta. Basta guardare i programmi delle Fondazioni o teatri e vi si
trovano sempre nomi che finiscono in “ovonov, escu, enko, etc, etc,” solo per dire
che avere nomi dei paesi dell’est è più di richiamo per il pubblico e molto
vantaggioso per l’istituzione che spende circa la metà rispetto a un musicista
italiano.
Darei più spazio ai giovani, in Italia ci sono tantissimi talenti che per emergere
devono andare fuori cercando la loro strada mentre potrebbero tranquillamente
trovarla nel loro Paese.
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Abolire la formula degli scambi, io invito te, tu me! Oggi sorrido perché un
collega mi diceva che adesso non si chiama più scambio concertistico ma
“cortesia”, trovo tutto questo ripugnante verso se stessi, la musica e la società.
Investire di più nella cultura, vedi la Spagna che nonostante la crisi è riuscita a
restare a galla e risalire proprio perché ha investito quel poco che aveva anche
nella cultura, concerti, mostre e tutto ciò che poteva rendere visibile il paese.
Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili
delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta
Formazione?
G: Di utilizzare un sistema meritocratico, basato sul valore della persona e non
sui titoli acquisiti attraverso concertini fatti nella parrocchia del paesello mentre
coloro che preparano programmi difficili esibendosi in tutto il mondo e
rappresentando il proprio paese, sono invece esclusi per insufficienza di
punteggi artistici. Come ben sappiamo ci sono tantissimi casi come questi e chi
ne soffre non è solo l’Istituzione stessa ma bensì la società.
Eventuali altre considerazioni.
Mi auguro che le prossime generazioni possano avere più chiarezza e maggiori
opportunità e che non debbano andar via come me.
Per chi mi vorrà seguire può farlo sul mio sito web: www.giuseppedevastato.it
FRANCESCA ROMANA DI NICOLA – Arpista – San Sebastian
Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in
Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero?
In Italia, mi sono diplomata in Italia in arpa presso il Conservatorio "A.Casella"
dell'Aquila con A. Bianchi con il massimo dei voti e la lode; nel 2006 ho vinto una
borsa di studio presso I'Accademia del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino sotto
la direzione di Zubin Mehta, e nel 2008 ho conseguito l'idoneitá per l'Orchestra
Giovanile Italiana.
Contemporaneamente ho preso la specializzazione in "Discipline Musicali ad
Indirizzo Solistico" con 110 e lode.
Dopo aver vinto una borsa di studio Erasmus sono partita nel 2007 per la Spagna a
San Sebastian (Conservatorio Superiore"Musikene" dei Paesi Baschi) , ho deciso di
stabilirmi li e perfezionarmi con la professoressa francese Frederique Cambreling,
ottenendo nel 2012 un secondo titolo superiore (corso della durata di 4 o 5 anni)
Nel 2011 ho vinto una borsa per l'Accademia di musica Contemporanea di Lucerna
sotto la guida di Pierre Boulez, grazie alla quale ho approfondito il repertorio
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contemporaneo, costituendo una svolta importante nell’ambito personale e della
carriera.
Contemporaneamente ho collaborato con I'Orchestra Sinfonica di Pescara,
l'Officina Musicale Italiana, l'Orchestra Regionale Umbra, la Camerata Strumentale
di Prato in Italia. In Spagna con l'Orchestra Filarmonica di Oviedo, l'Orchestra
Sinfonica dei Paesi Baschi ( presso la quale lavoro attualmente) con con l'Orchestra
Sinfonica di Bilbao. l'ensemble Zahir di Siviglia, l'Ensemble Kaabestri. In Germania
con la Das Neue Orchester di Colonia. In Algeria, come solista invitata presso
l'Orchestre Symphonique Nationale Algerien. In Francia,con l'Orchestre de Pau Pays
de Bearn e l'Ensemble Intercontemporain di Parigi, con il quale ho partecipato ad una
tournée europea sotto la direzione di Pierre Boulez, presso prestigiose sale da
concerto tra cui il KKL di Lucerna, la Salle Pleyel di Parigi, il Prinzenregententeather
di Monaco di Baviera, Il Concertgebouw di Amsterdam, il Royal Festival Hall di
Londra.
La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di
studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso
positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di
arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia?
Si , e decisamente posso affermare che la svolta della mia vita a livello personale
umano e di carriera, è avvenuta proprio grazie all’Erasmus.
L’inizio di tutto è stato il fatto di aver vinto la borsa Erasmus del Conservatorio
Casella che mi ha permesso di partire per la Spagna nel 2007.
Le incognite erano tante, e sinceramente non pensavo di stabilirmi all’estero in un
primo momento, semplicemente sentivo dentro il desiderio e la necessita’ di aprire
nuovi orizzonti, nuove possibilitá ed esperienze. Oltre ad arricchire la mia
formazione musicale cercavo nuovi stimoli, l’incontro con una cultura di un paese
diverso, dare impulso a una nuova ricerca a livello personale musicale e umano.
E cosi’ è stato, l’Erasmus è una esperienza incredibile che consiglio davvero a tutti
gli studenti.
Ringrazio in particolare il professore di musica da camera Alvaro Lopez per aver
creato il primo contatto con il Conservatorio Musikene dei Paesi Baschi, per avermi
appoggiato e sostenuto sempre con tenacia ed affetto prima, durante e dopo la
fantastica esperienza Erasmus.
Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema
musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale,
vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard
internazionali o ancora arroccata su posizioni superate?
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Credo che in generale la formazione musicale italiana sia abbastanza solida per
quanto riguarda la teoria musicale di base, ma spesso a livello specificatamente
strumentale
i programmi, la struttura degli esami e i piani di studio si sono rivelati abbastanza
obsoleti o inefficaci rispetto agli standard internazionali, soprattutto in vista di uno
sbocco professionale. Un aspetto che mi ha colpito molto del sistema musicale
all’estero è che in generale la preparazione e formazione musicale è tuttuno con la
preparazione – educazione “psico-fisica ” allo strumento. Esistono materie
importantissime che fanno parte integrante della formazione dei giovani musicisti
come riconduzione posturale, fisioterapia applicata allo strumento suonato e alla
struttura fisica del musicista; la coscienza del lavoro personale che il musicista deve
svolgere a livello corporale e mentale; l’analisi della compensazione posturale dello
sforzo fisico e della postura, lo studio dei metodi di concentrazione e respirazione,
nonché la preparazione all’affrontare mentalmente e fisicamente il pubblico, gli
esami, delle eventuali lesioni, la prevenzione di tendiniti, la stanchezza ecc. La
formazione del musicista è completa: fin dall’inizio del percorso di studi viene offerta
non solo una educazione musicale, ma anche una formazione fisico – psichica
appropriata.
Un altro aspetto importante è l’obbligo della liuteria, lo studio tecnico dello
strumento per gli strumentisti, elementi di riparazione e “primo soccorso” nella
manutenzione dello strumento.
In sostanza ci sono una serie di elementi considerati fondamentali per l’equilibrio di
un musicista che in Italia non sono tenuti seriamente o almeno sufficientemente in
considerazione .
La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha
influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come
una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti
e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del
ruolo di musicista?
Si purtoppo. A malincuore devo ammettere che la qualitá del lavoro all’estero risulta
migliore, poiché comparando lo stesso tipo di lavoro in Italia e all’estero, fuori ci
sono moltissimi vantaggi come per esempio lo statuto speciale di Artista, l’esistenza
di borse di compensazione economica ai musicisti intermittenti free lance, diritti
speciali di esecuzione AIE , una retribuzione fino a tre volte superiore rispetto
all’Italia, ma soprattutto un grandissimo riconoscimento morale istituzionale,
culturale (oltre che legale) alla figura del musicista.
Ho visto negli anni come molti amici musicisti italiani abbiano affrontato senza aiuto
di nessun tipo dinamiche avverse : cercando di arrivare a fine mese compaginando
piu’ lavori, spesso con contratti in nero o pseudo contratti con retribuzioni
infraumane, o nel peggiore dei casi l’abbandono totale della musica .
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Personalmente mi ritengo molto molto fortunata. Certamente ho dovuto fare delle
scelte e moltissimi sacrifici, ma sono felice di poter svolgere la professione per cui
ho studiato con passione e vivere di questo splendido lavoro, per cui ho lottato
sempre con energia.
Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha
continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe
parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli?
Ho continuato ad avere contatti professionali con l’Italia, dove con piacere e affetto
torno a lavorare a volte per esempio con l'Orchestra Regionale Umbra e la Camerata
Strumentale di Prato.
Mi é capitato invece il piu’ delle volte di venire a suonare in Italia all’interno di
gruppi musicali esteri.Ricordo dei bellissimi concerti nel 2011 con L’Ensemble
Intercontemporain a Milano e Torino dove ha diretto Pierre Boulez, in quella che è
stata la sua ultima apparizione in pubblico.
Oppure due anni fa con l’Orchestra dei Paesi Baschi, quando ho suonato alla
Biennale di Venezia di Musica Contemporanea.
Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia?
l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società
concertistiche, ecc) ?
A livello istituzionale e politico dovrebbe esserci un maggiore impegno e sforzo per
risollevare gli enti di produzione.
Alla base occorre un cambio di mentalitá da parte della societá in generale nei
confronti della figura professionale del musicista.
Per quanto riguarda in particolare le amministrazioni degli enti organizzatori, le
orchestre, i teatri, le societá concertistiche ecc. non è possibile considerare la gestione
di un ente musicale semplicemente come fosse una “fabbrica”, le dinamiche sono
molto piu’ complesse.
In molti casi purtoppo i vertici non sono formati adeguatamente alla gestione di un
ente musicale, oppure, cosa ancora peggiore, non hanno la benché minima idea della
musica o di quali siano le problematiche dei musicisti.
In geneale occorre una presa di coscienza seria del patrimonio culturale musicale che
abbiamo, del nostro grandissimo potenziale musicale interno.
Le istituzioni devono tutelare il piu’ possibile il musicista professionale, invece in
Italia questa figura lavorativa in molti casi non e’ non è sufficientemente protetta o
addirittura considerata, a livello legale in quanto a formazione e a lavoro si
percepisce un caos totale.
A livello delle istituzioni dei Conservatori è importantissimo continuare a sostenere
ogni singolo alunno affinché possa avere la possibilitá di fare della musica il proprio
mestiere incentivando le attivitá e le opportunitá..
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.
Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili
delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta
Formazione?
Oltre alla eccessiva precarietá musicale che costringe molte persone a lasciare la
propria patria o cercare altri sbocchi lavorativi ben lontani dalla proria formazione, ci
sono troppe realtá musicali sommerse e/o soffocate da una legislazione ambigua.
Occorre una tutela legislativa e un riconoscimento “vero” alla professione del
musicista.
Eventuali altre considerazioni.
La cosa incredibile é che all’estero siamo sempre stimati da tutti , l’Italia è
considerata la patria del linguaggio musicale che ha conquistato il mondo, ma nella
nostra terra non diamo importanza al nostro patrimonio e questo è davvero molto ,
molto triste.
Perció se all’interno delle istituzioni e ai vertici non si prende coscienza del fatto che
i professionali della musica stanno scomparendo e/o risultano profondamente
vulnerabili e vulnerati, non è possibile alcun cambio, non c’è via d’uscita, poiché
questa è una perdita del bene piu’ prezioso per un paese: il potenziale umano.
Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e
la sua attuale attività lavorativa all’estero?
Dopo aver iniziato lo studio del contrabbasso, sotto la guida del Maestro Leonardo
Presicci, presso il liceo musicale di Taranto, mi sono trasferito a Roma per continuare
gli studi con il Maestro Massimo Giorgi.Ho ottenuto il diploma del 1997 e nello
stesso anno ho vinto la seconda ed. del Concorso W. Benzi nella città di Alessandria.
Ho potuto arricchire il mio bagaglio culturale avvalendomi di prestigiosi insegnanti
come Dorin Marc, Pino Ettorre e Antonio Sciancalepore.
La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi
all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la
scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la sua
formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia?
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La mia unica esperienza all’estero, durante la fase formativa, è stata a Ex en Provance
(Francia), dove ho avuto modo di studiare con il Maestro Jean-Marc Rollez. Sono
arrivato in Francia grazie a una borsa di studio che mi ha permesso di entrare a far
parte della O.J.M. (Orchestre de Jenues de le Mediterranèe), avendo l'opportunità di
perfezionarmi in un ambito ricco di stimoli e diversità musicali dovuti al fatto che
l'orchestra raccoglieva al suo interno musicisti provenienti da tutti i Paesi del
Mediterraneo. Non immaginavo un futuro lavorativo all'estero. La Francia
rappresentava una mera opportunità formativa.
Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema
musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale,
compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o
ancora arroccata su posizioni superate?
Credo di poter affermare, senza facili campanilsmi, che il metodo di insegnamento
italiano sia fra i migliori al mondo, riconosciuto e apprezzato a livello internazionale.
Certamente il sistema potrebbe essere migliorato e arricchito di iniziative che
possano favorire il corso formativo degi alunni, ma senza dubbio il corpo docente
italiano è fra i più qualificati sul mercato.Lo stile musicale del bel paese che abbiamo
il privilegio di rappresentare, ci viene tramandato dai nostri Maestri e noi abbiamo la
responsabilità di custodirlo e trasmetterlo a coloro che si avvicinano a questo mondo.
La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha
influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una
diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti e di
considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di
musicista?
La scelta di trasferirmi all’estero è stata suggerita da una situazione precaria che
vivevo in Italia. Nonostante avessi vinto tre audizioni nella O.R.L. (Orchestra
Regionale del Lazio), non godevo di una sicurezza economica e lavorativa in vista
del futuro. Spinto da questa precarietà ho iniziato a guardarmi intorno e la realtà
spagnola mi sembrava soddisfacesse le mie esigenze e le mie aspettative.
In effetti dopo aver vinto, nel 2001, il concorso presso l'Orchestra di Còrdoba, ho
potuto constatare che all'estero la nostra professione ha maggiori riconoscimenti
sociali rispetto all'Italia. Quando ti chiedono di che ti occupi e dici di essere
musicista, non segue la domanda di rito: e poi?
Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha continuato
ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe parlarci di quelli che
ritiene essere stati i più considerevoli?
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Continuo a mantenere contatti con l' Italia, da cinque anni collaboro con la OIDI
(Orchestra Internazionale d'Italia) al Festival della Valle d'Itria, a Martina Franca. Per
me è un grande onore poter fare musica in un ambiente cordiale e familiare, in una
orchestra che vanta una gestione virtuosa grazie al suo Presidente Sandro Marcotulli,
che ha saputo mantenere coesa, per quasi trent'anni, questa realtà composta da
prestigiosissimi Maestri provenienti da tutto il mondo. Negli ultimi anni, la presenza
del Direttore Fabio Luisi, ha esaltato le doti dal punto di vista artistico, già bene
espresse dal lavoro pregresso del Maestro Alberto Triola.
Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia?
l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società
concertistiche, ecc) ?
La musica rispecchia la nostra società e il nostro modo di essere italiani, nel bene e
nel male aimè. Lascerei in cassaforte il nostro belcanto, il fraseggio elegante, i
Direttori come Franco Ferrara e cambierei qualche burocrate magari non troppo
onesto.
Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle
istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta
Formazione?
Dal momento che mi viene offerta questa bellissima opportunità di esprimere un mio
parere sul Vs. autorevolissimo giornale, punterei a fare un appello ancora più in alto,
chiedendo ai politici di impiegare al meglio le risorse economiche a diposizione del
Paese in ambito artistico e culturale. La cultura deve essere la colonna portante della
nostra società, al fine di creare una massa critica che possa fare la differenza e ci
permetta di affrontare con serenità e onestà intellettuale il futuro. Il mio impegno
politico come consigliere dei Comites di Madrid mira al raggiungimento di questo
ideale e in qualità di Presidente della Commissione Cultura, mi dedico alla
divulgazione all'estero delle eccellenze del nostro patrimonio artistico-culturale.
STATI UNITI
FABRIZIO MANCINELLI – Compositore di musica applicata – Los Angeles
Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in
Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero?
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Dopo aver studiato pianoforte privatamente per un qualche anno, ho
frequentato i corsi di Composizione (Vecchio Ordinamento) e Direzione
d’Orchestra, conseguendo entrambi i titoli con lode nel 2006. Successivamente
sono stato borsista presso l’Accademia Musicale Chigiana nel 2006 e 2007,
frequentando il corso di Musica per Film con il premio Oscar Luis Bacalov.
Attualmente vivo e lavoro a Los Angeles nel campo della musica applicata
(Cinema, Tv e media)
La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di
studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso
positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di
arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia?
Grazie ad una borsa di studio Fulbright ho potuto conseguire un post-graduate
in Musica per Film, Tv e Videogames presso la University of Southern California.
Da sempre, anche dietro consiglio di docenti e maestri di cui son stato assistente,
desideravo arricchire la mia preparazione culturale e musicale in ambito
internazionale, con uno sguardo rivolto al futuro ed al mio desiderio di
esercitare l’attivita’ di compositore.
Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema
musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale,
vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard
internazionali o ancora arroccata su posizioni superate?
Posso dire di aver avuto molta fortuna per quanto riguarda i docenti che ho
incontrato nel mio percorso italiano (Alessandro Cusatelli per la Composizione e
Marcello Bufalini per la Direzione d’Orchestra – ma ho piacere di menzionare
anche Luisa Prayer e Sergio Prodigo in particolare, che al pari di altri hanno
contribuito in maniera unica alla mia formazione). Tuttavia devo tristemente
constatare che, specialmente nel campo della composizione il nostro bel Paese e’
ancora prigioniero di una scuola che ha annichilito la nostra migliore tradizione
musicale, creando da un lato emuli di una ideologia musicale ormai ferma a 50
anni fa e dall’altro cumuli di brani gia’ sentiti mille volte.
Con le dovute eccezioni ovviamente.
La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha
influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come
una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti
50
e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del
ruolo di musicista?
Tutti i summenzionati fattori hanno inciso con la mia scelta, con la non
trascurabile considerazione della tradizione italiana di liquidare gli onorari a 90
giorni (se va bene – in un caso ho dovuto attendere 3 anni). Qui, da solo e senza
conoscere nessuno (preventivamente) ho avuto la fortuna di lavorare per clienti
come Disney, Lionsgate, Hallmark, NBC e di comporre le musiche originali per i
Golden Globes.
Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha
continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe
parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli?
Collaboro occasionalmente con la Rai (che e’ il mio piu’ conistente editore in
Italia), ma sempre piu’ spesso scelgo di lavorare con privati (piu’ puntuali nella
liquidazione delle spettanze economiche) come Mediaset e studi privati
(Pubblicita’, arrangiamenti). Uno degli onori piu’ grandi e’ stato collaborare con
lo studio Bozzetto (Bruno Bozzetto, autore di “Allegro Non Troppo”), pari per
me alla soddisfazione che ho di lavorare qui in America con Disney.
Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia?
l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società
concertistiche, ecc) ?
Preferisco non esprimermi in merito, ma una cosa la dico: credo che,
contrariamente alla nostra “cultura”, il posto fisso non dovrebbe esistere nella
realta’ musicale. Suonare in un’orchestra non deve essere ridotto al “timbrare un
cartellino”, ma rinnovarsi e rimanere sempre preparati come per un’audizione.
Troppe volte mi sono scontrato con realta’ poco piacevoli in cui un sindacato
interrompeva una prova o i musicisti suonavano contro voglia. Qui negli Stati
Uniti il compositore viene visto come parte del team dai musicisti dell’orchestra
– un suo successo e’ un successo per tutti.
Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili
delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta
Formazione?
La situazione e’ complessa, con i costanti tagli statali alle Istituzioni culturali e
con l’impossibilita’ per i privati di finanziare in un adeguato sistema di
detrazione fiscale gli Enti che fanno cultura (come avviene qui). Sicuramente
molte cose sono gia’ cambiate dai miei diplomi nel 2006 (10 anni fa!!!!), ma ad
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esempio capire che la musica contemporanea non e’ piu’ quella degli anni ’60
(bensi’ quella composta nella contemporaneita’) sarebbe un primo passo. La
musica applicata, la musica pop dovrebbero entrare a far parte degli
ordinamenti di tutti i conservatori e non di un limitato numero di essi in una
sorta di sperimentazione perenne. E probabilmente uno sguardo piu’ attento ai
paesi Europei ed extra-europei (senza paura di dover imparare qualcosa ed
insegnare qualcos’altro) gioverebbe.
Eventuali altre considerazioni.
Ovviamente i corsi qui negli Stati Uniti hanno costi esorbitanti (anche
40.000/50.000 dollari per un anno di corso)...e questo e’ il rovescio della
medaglia...ovviamente.
PAOLO MARCHETTINI – Compositore – New York
Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e
la sua attuale attività lavorativa all’estero?
-Diploma in Clarinetto 1997 (con G. Russo)
-Diploma di Composizione 2001 (con Ivan Vandor)
- Musica Corale e Direzione di Coro 2001(con C. Dall’Albero) presso Conservatorio
Santa Cecilia di Roma
- Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Perfezionamento in Composizione (A.
Corghi) 2005
-Laurea DAMS Universita’ Tor Vergata, Roma 2005
Attualmente:
Composition Faculty, Berklee College of Music (Boston)
Theory Faculty, Manhattan School of Music (New York)
La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi
all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la
scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la sua
formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia?
Precedentemente Masterclasses in Francia.
Dottorato in Composizione presso Manhattan School of Music di New York (con
Richard Danielpour)
Desiderio di arricchirmi come artista e uomo. Desiderio di cambiamento.
Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema
musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale,
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compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o
ancora arroccata su posizioni superate?
L’impatto di un giovane musicista varia di caso in caso.
Quel che ho notato e’un certo immobilismo, soprattutto in Italia, e scarsa voglia di
approfondire artisti nuovi.
Spesso anche dopo successi internazionali, non seguono altre occasioni di
approfondimento.
A mio parere la preparazione dei, buoni, musicisti Italiani, e’ ancora valida.
La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha
influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una
diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti e di
considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di
musicista?
Maggiore riconoscimento all’estero. Maggiore professionalita’. Maggiori possibilita’
di affermarsi con il proprio talento, e serieta’, piuttosto che attraverso altre vie.
Maggiori guadagni e possibilita’ di crescere come artista. Maggiore valorizzazione.
Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha continuato
ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe parlarci di quelli che
ritiene essere stati i più considerevoli?
Si’. ho contatti piuttosto regolari con alcune istituzioni Italiane.
In particolare Nuova Consonanza, di cui faccio parte come socio, e L’Orchestra
Regionale Toscana, che mi ha commissionato diversi lavori.
Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia?
l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società
concertistiche, ecc) ?
In Italia, si e’ancora spesso legati a logiche a mio avviso stagnanti, e non produttive.
Andrebbero incoraggiati Sponsor privati, non contando solo su sovvenzioni statali
che sono sempre piu’scarse.
Gli enti dovrebbero essere meno chiusi nelle loro conoscenze, ed avere anche un
approccio meno provinciale con l’estero. Ma il discorso e’ troppo lungo e complesso
per essere affrontato in poche righe.
Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle
istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta
Formazione?
Ho bisogno di rifletterci piu’ a lungo.
Eventuali altre considerazioni.
L’Italia ha paura del cambiamento. Si ha paura di cio’ che e’ nuovo, e cio’ che
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cambia. Anche noi Italiani che viviamo all’estero, veniamo a volte visti con sospetto.
Questo atteggiamento a mio parere deve cambiare.
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