MUSICA+ n.44 7 DOMANDE PER 19 MUSICISTI INTERVISTE NELLA VERSIONE INTEGRALE GRAN BRETAGNA GEREMIA IEZZI – Cornista – Londra Ho iniziato i miei studi al Conservatorio "L.D'Annunzio" di Pescara sotto la guida del M° Fiorangelo Orsini, al quale devo davvero molto. Verso la fine dei miei studi in conservatorio, ho incontrato il M° Jonathan Williams; da quel momento in poi, la mia vita è cambiata per sempre. Sotto i suoi consigli, dopo il diploma in conservatorio e varie esperienze lavorative in Italia,tra cui Orchestra Mozart, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, ho deciso di andare a studiare al Royal College of Music di Londra. Lì ho conosciuto altre persone e fatto altre esperienze che mi hanno portato a suonare con la Philharmonia Orchestra, dove attualmente lavoro come terzo corno da 3 anni. Come ho gia detto nella risposta precendente, il mio posto con la Philharmonia è stato preceduto inizialmente da due anni di corso chiamato post-graduate nel royal college of music, grazie ad una borsa di studio che la stessa scuola mi ha dato dopo l' esame di ammissione. Ho deciso di fare questa esperienza all'estero prima di tutto per evitare di serdermi sugli allori, nel senso che subito dopo il diploma ho iniziato a lavorare abbastanza da poter credere di essere in certo senso arrivato; ma grazie appunto a Jonathan, decisi di andare all estero, non proprio considerando l' eventualità di rimanere, ma pensando più che altro ad arricchire il mio bagaglio culturale e tecnico. Avendo l'età dalla mia parte(18 anni quando ho incominciato il college) non è stata molto difficile come scelta. L'impatto per un musicista italiano all'estero secondo me è senza dubbio positivo; anche se il più delle volte in italia non ci sono strutture e soprattutto personale docente adeguato nelle istituzioni scolastiche, riusciamo comunque a "sfornare" dei musicisti che non hanno nulla da invidiare all' estero. Personalmente penso che il problema italiano non sia tanto la formazione quanto la mentalità: al Royal College of Music, la grandissima differenza che ho notato rispetto al sistema italiano, è la struttura di materie che circonda la lezione individuale: il punto focale dell'insegnamento è l'imparare a suonare insieme,"a stare in orchestra" per esempio per noi fiati,e non solo, è utilissimo perchè offre la possibilità di suonare con vari ensemble all'interno della scuola, 1 dal duo all'orchestra sinfonica, con maestri di fama internazionale come Bernard Haitink, Esa Pekka Salonen ecc. Sicuramente la situazione musicale italiana ha influito molto sulla mia decisione di restare a londra. Detto ciò non sarei mai rimasto in Inghilterra per un'orchestra di minor rilievo internazionale. Va anche detto che di orchestre che assumono con il modello italiano ed europeo ce ne sono solo due, tutte le altre come la Philharmonia o la London Symphony assumono come membro dell'orchestra libero professionista( con tutti i pro e i contro); questo modello permette la convivenza di più o meno una decina di orchestre di gran livello solo nella città dì Londra, "costringendo" i musicisti ad essere sempre al top della loro forma. Riguardo ai cambiamenti da fare in Italia, penso che si possa partire da una base legata alla mentalità: bisogna intervenire alla radice del problema quindi dovremmo direzionarci verso la meritocrazia e lasciare i favoritismi ad un'atra epoca. È urgente che ognuno inizi a prendere le proprie responsabilita anche nei "piani alti" di orchestre e teatri: purtroppo spesso ignoranza, poca lungimiranza e l'interesse a coltivare solo i propri affari fanno ricadere tutte le volte le responsabilità su orchestra,coro e balletto. Sempre da cambiare a mio avviso è il sistema di reclutamento nei conservatori, è assurdo che le graduatorie dei docenti non siano per merito artistico ma per punti, ovvio che i punti sono importanti, ma se vogliamo far ripartire un sistema vicino al collasso dovremmo dare l'opportunità ai grandi musicisti di insegnare ai piu giovani e non di allontanarli definitivamente dal mondo scolastico. DARIO SANFILIPPO – Compositore – EDIMBURGO Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? Il mio percorso musicale comincia negli anni della scuola media inferiore. Allora, il mio maestro di musica era Angelo Bella, una persona che metteva in discussione le pratiche convenzionali della musica e che poneva gli alunni di fronte a questioni quali improvvisazione, ritmiche non regolari, inarmonicità e rumore. Ritengo che quella sia stata una fase cruciale, qualcosa che ha fatto nascere in me l’interesse verso quel tipo di pratiche. In seguito, ricordo molte giornate passate ad ascoltare musica in qualche modo “altra” e a improvvisare con il mio amico Mario. Grazie a mio fratello, invece, ho avuto la possibilità di cominciare a usare i primi software per la composizione musicale verso i miei 14 anni. Il primo fu 2 FastTracker, un sequencer basato su campioni audio. Quello è stato l’inizio di una attività creativa nel campo dell’elettronica che continua tutt’oggi, chiaramente passando attraverso molti percorsi e modificando le mie pratiche radicalmente nel corso degli anni. Nel 2006 decido di fare il corso di Musica Elettronica al Conservatorio di Trapani, perchè ritengo sia arrivato il momento di studiare meglio quelle pratiche. Sono anni importanti perchè, tramite il mio maestro di allora, si organizzavano molti eventi a Palermo da cui sono nate molte collaborazioni. Nello stesso periodo comincia la mia ricerca sui sistemi retroattivi. È ciò che voglio approfondire e tutta la mia pratica, ancora oggi, è interamente basata su quei meccanismi. Verso la fine del mio corso a Trapani ero già stato in contatto con Agostino Di Scipio e avevo studiato molti dei suoi lavori. Trovavo (e trovo ancora) la sua ricerca brillante e la scelta di continuare a studiare con lui a Napoli è stata naturale. Quegli anni di formazione con Di Scipio sono stati per me fondamentali e ricchissimi. Abbiamo lavorato tanto e abbiamo lavorato bene. Davvero devo molto a lui. Con Di Scipio abbiamo tutt’ora diversi lavori in corso e ci teniamo aggiornati in modo regolare. E Napoli, città stupenda con la scena musicale tra le più vive in Europa, è stata anch’essa un’esperienza importante per l’incontro di molti musicisti e altre persone a me care con cui abbiamo realizzato ottimi progetti. Dopo il mio master, mi sono trasferito prima a Londra, per un breve periodo, e poi a Vienna, dove ho cominciato a lavorare per una piccola azienda che fa ricerca nel settore audio. Mi occupavo della programmazione di modelli di convertitori audio analogico/digitale. È un’attività meno artistica, ma comunque legata alle mie pratiche. Parallelamente, continuavo a lavorare come freelancer nel campo della performance e arte sonora. Vienna è una città con molti musicisti interessanti, e anche in quel caso sono nate alcune collaborazioni. Dopo circa un anno, il mio progetto di ricerca artistica viene accettato dall’Università di Edimburgo che mi offre una borsa di studio per un dottorato. Conoscevo alcuni docenti in quell’Università e trovavo fosse un buon ambiente. Decido di accettare l’offerta e mi trasferisco. Edimburgo è la città dove attualmente vivo, lavorando full-time al mio progetto, continuando l’attività da performer e artista sonoro, e in parte insegnando. La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? No, quella attuale è la mia prima esperienza di studio all’estero. Decisi di andare a Vienna per alcuni motivi: in parte la conoscevo già e mi è sempre piaciuta moltissimo; inoltre conoscevo diversi amici/musicisti che vivevano là e 3 sembrava ci fossero delle condizioni buone anche per l’attività da freelancer. La mia intenzione era inizialmente di lavorare come freelancer, ma dopo poco ricevetti l’offerta da quella compagnia. In generale, l’idea di un periodo fuori dall’Italia mi interessava in quanto situazione nuova da esplorare. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? Conosco diversi musicisti italiani il cui lavoro è molto riconosciuto e apprezzato in tutta Europa, e alcuni di questi non hanno una formazione accademica. La formazione musicale italiana ha delle eccellenze con risonanza mondiale, mentre in molti altri casi sembrano esserci delle realtà locali e autoreferenziali piuttosto stagnanti. Non penso si possa fare un discorso a livello nazionale in quanto il docente o il gruppo di docenti della singola istituzione fanno la differenza. La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista? La ragione per cui ho inviato la mia proposta di ricerca all’Università di Edimburgo è perchè c’era la possibilità, come in alcuni altri paesi, di avere una borsa di studio. L’attività da freelancer ha degli aspetti positivi ma è anche molto difficile a prescindere dal luogo, oltre che poco piacevole nelle sue lunghe fasi relative all’organizzazione dei concerti. Il fatto di avere un supporto finanziario, invece, permette di lavorare a tempo pieno ai progetti musicali, ed è ciò che ho preferito. Questo, almeno per il campo musicale, non sembrava essere possibile in Italia. Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli? I due progetti più importanti, iniziati già mentre ero a Vienna e che continuano ancora oggi, sono quelli con Di Scipio e SEC_. Per il primo, abbiamo lavorato a delle registrazioni per un progetto di performance che pubblicheremo presto. Si tratta di in lavoro in cui si esplorano diversi tipi di relazione uomo-macchina e approcci alla performance con un’enfasi verso l’ambiente nell’ambito dell’improvvisazione e dei sistemi autonomi. Inoltre stiamo lavorando a due 4 articoli: uno che descriverà il progetto di performance, e uno su delle questioni relative all’elaborazione e generazione di segnali di controllo per sistemi tempovarianti. Con SEC_ siamo già stati in tour lo scorso anno e abbiamo anche pubblicato un disco. Il nostro lavoro si basa sull’improvvisazione radicale, anche se i lavori su disco vengono composti in studio. Al momento stiamo lavorando al secondo disco e al secondo tour che dovrebbe cominciare il prossimo Ottobre. Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) ? Sembrerà banale, ma non credo ci sia la dovuta attenzione verso le produzioni artistiche contemporanee, e in particolare verso quelle di ricerca. L’impressione è che la richiesta del pubblico sia molto più forte dell’urgenza di esplorare pratiche nuove, e che quest’ultima risulti subordinata alla prima. Con questo non voglio assolutamente dire che il pubblico non ha rilevanza: se un lavoro viene presentato in pubblico, lo si fa anche per il pubblico. Ma se la realizzabilità degli eventi artistici fosse indipendente dal pubblico, si potrebbero forse ottenere dei risultati migliori per la ricerca artistica. Bisognerebbe entrare nell’ottica in cui un evento artistico è qualcosa che, a prescindere dalla qualità della performance, può essere poco gradevole ma allo stesso tempo interessante. Allo stesso tempo, la programmazione degli eventi dovrebbe essere gestita da un team abbastanza grande di esperti in modo da assicurare varietà e coprire al meglio le conoscenze nei diversi campi. Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? Trovo che il sistema di selezione dei docenti nei conservatori dovrebbe essere migliorato. Si dovrebbe pensare alla scelta di essi non solo sulla base dei loro meriti artistici e accademici, ma anche sulla loro proposta di piano di lavoro. In ogni caso, i piani di studi sono sempre altamente personalizzati dai docenti. Anche qui, mi aspetterei un team piuttosto vasto di esperti in modo da coprire i vari settori. Inoltre, l’introduzione di corsi di ricerca artistica dove si prevedono delle forme di supporto finanziario costituirebbero un importante passo avanti. Si tratta di uno scambio tra studente e istituzione: il primo migliora la qualità dell’università, mentre questa permette allo studente di dedicarsi profondamente allo studio e sviluppo delle pratiche nuove. 5 OLANDA GIULIANO BRACCI – Compositore - Amsterdam Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? In Italia mi sono laureato in filosofia all’Università La Sapienza di Roma e diplomato, al vecchio ordinamento, in quella che si chiamava Scuola Sperimentale di Composizione, al Conservatorio di Firenze, dove ho studiato con Rosario Mirigliano. Nel 2010, dopo il diploma, mi sono trasferito in Olanda dove ho fatto un master al Conservatorio di Amsterdam, studiando con Richard Ayres. Vivo in Olanda dal 2010, qui lavoro come compositore e dal 2015 sto facendo un dottorato nel programma inter-universitario docARTES che coinvolge l’Università di Leiden, l’Orpheus Institute di Gent in Belgio e il Conservatorio di Amsterdam. La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la propria formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? Durante gli anni di conservatorio ho frequentato corsi e seminari internazionali, viaggiando quanto più potevo. Per qualche anno ho lavorato come musicista, andando spesso all’estero, per una compagnia teatrale. L’ambiente musicale è un ambiente molto internazionale e mi è sempre sembrato naturale cercare di completare la mia formazione in un contesto europeo. In questo senso non farei una distinzione netta tra in Italia ed estero, parlerei piuttosto di un panorama europeo, e non solo, in cui i musicisti formano una comunità sovranazionale in cui ci si incontra in luoghi diversi seguendo i propri percorsi di studio, lavoro e ricerca. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? Penso che viaggiare faccia bene, e che formarsi in un solo luogo, dentro un unico orizzonte di riferimenti e modelli sia limitante di per sé. Io ho un’esperienza molto positiva degli anni di studio in conservatorio a Firenze, dove il dipartimento di composizione aveva creato le premesse per molte 6 collaborazioni tra studenti, e l’organizzazione di progetti che coinvolgessero vari corsi all’interno del conservatorio. Molto in conservatorio è dovuto alle persone e ai singoli incontri, più che alla struttura in quanto tale, e molto importante per me è stata la possibilità di fare anche altrove esperienze lavorative e di studio durante quegli anni. E lo stesso è stato per molti amici con cui ho condiviso un percorso simile. La domanda se la formazione musicale italiana sia adeguata agli standard internazionali mi sembra seria e angosciante, ed è una domanda che ci siamo fatti tutti durante gli studi, con apprensione per il proprio futuro, rispondendo in vari modi, ma soprattutto andandosene per verificare in prima persona. Leggo spesso negli articoli che trattano questo argomento un rassicurante elogio del talento italiano, di una eccellenza individuale, ma una risposta valida su larga scala e non per i singoli casi (gli incontri, il singolo insegnante) è probabilmente nel numero di iscritti stranieri ai conservatori italiani. Quanti li considerano luoghi in cui passare i propri anni di formazione? La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, un maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista? Sicuramente la difficoltà di insegnare in un conservatorio italiano, e la difficoltà di trovare fondi di ricerca o commissioni ha influito nella scelta di continuare a vivere all’estero. Sono partito un mese dopo essermi diplomato e ho investito in quel momento energie per riuscire a trovare una strada nella scrittura. Ero curioso e felice di provare a vivere, studiare e lavorare in un altro paese, ma in effetti già allora non vedevo prospettive concrete che mi dessero la possibilità di restare. Negli ultimi anni le occasioni e la qualità delle esperienze musicali, insieme al riconoscimento del proprio lavoro, hanno avuto una parte importante nella scelta di continuare a vivere in Olanda. Che cosa Le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? Il sistema di reclutamento nei Conservatori, il percorso didattico, l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) ? Quello italiano mi sembra in molti casi un ambiente chiuso ai soli italiani. La qualità di un ambiente di formazione, e di produzione artistica, credo sia anche legata all’apertura agli incontri tra persone con un retroterra ed esperienze diverse. Studiare o lavorare in un contesto in cui molti valori, posizioni e abitudini restano impliciti, perché condivisi e mai messi in questione da un 7 punto di vista “straniero”, è meno interessante, e questo alla lunga crea un ambiente autoreferenziale e non molto appetibile. E credo che questa situazione levi valore anche ad alcune importanti esperienze locali, ostacolandone la possibilità di essere esposte in contesti più ampi in cui trovare respiro e motivazioni. Per un musicista, ma questo è vero per chiunque, è importante mettere in questione le proprie conoscenze, le proprie abitudini e i propri modi di pensare, e questo è tanto più difficile quanto il proprio contesto è omogeneo e ci riflette come uno specchio. Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? Eventuali altre considerazioni. La questione della “fuga dei cervelli” mi sembra spesso mal posta. L’attività e la vita dei musicisti è fatta di scambi internazionali, di viaggi e traslochi, ed è normale studiare in paesi diversi dal proprio, viaggiare per lavoro, trasferirsi. Nei conservatori in Italia, nei corsi di alta formazione, è molto raro trovare compagni di corso di altri paesi europei, e a dire il vero spesso è anche difficile che vengano da un’altra regione. Che gli italiani viaggino e vivano all’estero non è grave, è anzi una ricchezza. Il problema semmai sono le condizioni a cui possono, se vogliono, tornare. E le condizioni perché possano scegliere di tornare sono le stesse che rendono appetibile un posto di lavoro, o un corso di studi, un luogo in cui vivere e stabilirsi, a un qualsiasi altro musicista, italiano e non. GERMANIA Andreas Luca Beraldo – direttore d’orchestra - Mannheim 1. percorso formativo Oramai sono vent’anni che dall’Italia mi sono trasferito in Germania con i miei genitori. Mio padre è italiano, mia madre tedesca. Quando ci siamo spostati in Germania avevo otto anni. Ovviamente a quell’età non si parla di una scelta personale o consapevole ma già agli esordi dei miei studi in Germania e grazie alla conoscenza del panorama musicale europeo che andavo acquisendo, mi resi presto conto che la scelta di trasferirci, motivata più che altro dal lavoro di mio padre, mi stesse aprendo tante opportunità che in Italia non avrei avuto. 8 Mia mamma a quel tempo suonava il violino in modo amatoriale e forse era proprio la sua leggerezza e il suo amore per la musica che mi fecero accostare alla musica e che mi spinsero a studiare questo strumento. “Aspetta che saremo in Germania e poi potrai incominciare a suonare” mi disse quando avevo sette anni. Arrivato a Dessau incominciai a prendere lezioni di violino e già dopo poche settimane suonai al saggio natalizio della mia classe, in terza elementare. Presumo sia stato orribile! Presto incominciai a suonare in orchestra, in diversi ensemble e a cantare nel coro di voci bianche e poi nel coro degli adulti della parrocchia vicino a casa. Per questa esperienza devo essere molto grato al direttore del coro di cui facevo parte, perché mi lasciò cantare nonostante a quel tempo fossi stonato come una campana. Frutto di questa sua pazienza ed incondizionata fiducia che potessi imparare a cantare, non furono solo le varie adesioni a diversi cori semiprofessionali come il coro da camera giovanile della Germania (Deutscher Jugendkammerchor), ma anche la voglia di voler diventare un musicista professionista. Successivamente ci trasferimmo da Dessau a Essen, città natale di mia mamma, dove conseguii la maturità. Agli studi musicali che avevo già intrapreso si aggiunsero lezioni di pianoforte, oramai di viola al posto del violino, di armonia e ear-training. Nel 2008 incominciai i miei studi di musica a Colonia dove frequentai la “Schulmusik”, dove si apprendono una serie di discipline che preparano all’insegnamento alle scuole. Una tipologia di studio tale esiste oltre che in Germania solo in Svizzera ed in Austria ed è una idea molto buona, solo che i contenuti dovrebbero essere ripensati per poter preparare meglio alla vita reale di un insegnante di musica nelle scuole. Il piano di studi è pienissimo di seminari, corsi pedagogici, coro, orchestra, musica da camera, lezioni dello strumento in cui si è deciso di specializzarsi, poi canto e pianoforte come strumenti supplementari, ecc. L’eccessiva frammentarietà dello studio fa nascere i pregiudizi sui “Schulmusiker”, visti spesso come musicisti mediocri che sanno di tutto, ma a basso livello. Ahimè a volte è proprio così. Così man mano che studiavo decisi di “usare” la “Schulmusik” come preparazione per un successivo studio di direzione sia orchestrale che corale. Non essendo ancora nel sistema Bachelor/Master ero fortunatamente abbastanza libero di scegliere le materie che volevo seguire e così scelsi di approfondire la direzione e le materie che le gravitano attorno come l’impostazione della voce, tecnica delle prove, analisi della partitura ecc. Nel 2011 mi trasferii a Mannheim per studiare direzione nel sistema Bachelor/Master. Credo che l’Hochschule für Musik di Mannheim fosse l’unica scuola in Germania che offriva uno studio che integrava sia la direzione orchestrale che quella corale. Questo è sempre stato e lo è ancora oggi uno dei 9 miei credo: la diversificazione tra una scuola di direzione orchestrale ed una corale è una cosa assurda che a volte nasce solo da una sorta di egoismo che vuole esacerbare i ruoli del direttore nell’orchestra o nel coro. A Mannheim fortunatamente potevo studiare in entrambe le diramazioni. È vero si doveva decidere un indirizzo di specializzazione, o orchestrale o corale, ma alla fine si frequentavano le lezioni di entrambi i profili di insegnamento, e solo nel caso in cui si sovrapponevano gli orari di materie dei due diversi indirizzi, si dava priorità alle lezioni del profilo che si era scelto come principale. Scelsi il profilo orchestrale, ma comunque frequentavo sempre tutte le lezioni dei due profili, così da poter avere un quadro completo della materia di direzione. I miei insegnanti sono stati, per l’orchestra Klaus Michael Arp, e per coro Georg Grün, a cui sono succeduti a causa della cattedra vacante, Christoph Siebert, Frieder Bernius e alla fine Harald Jers. Già dall’inizio dei miei studi a Mannheim si instaurò una forte stima per il professore di composizione Sidney Corbett, e con la sua classe intrattenni per anni una stretta collaborazione. Nel 2014 diressi la registrazione delle musiche di quattro film muti di Charley Bowers composte da studenti della classe di Corbett. La registrazione è stata in cooperazione con ARTE e ZDF. Nel 2015 ottenni poi il mio Bachelor of Music per la direzione. Mannheim ha rappresentato finora uno dei periodi più importanti della mia vita sia personale che formativa. Fu lì che conobbi Jeanne Lefèvre con la quale ho fondato l’ensemble Impronta nel 2012 e nel 2014 la casa editrice “ImprontaEdition UG” e fu lì che feci la conoscenza anche del compositore Alessio Elia, di cui ho diretto diversi lavori a Mannheim in molte occasioni, tra cui un concerto monografico. Molto presto crebbero tra noi una forte amicizia e stima musicale e tutt’oggi collaboriamo sia nella casa editrice che in diversi progetti dell’ensemble. Sia l’ensemble che la casa editrice si dedicano alla musica odierna, non perdendo mai la connessione con la musica di altri periodi. L’ensemble intende mettere in relazione la musica dei nostri tempi alla musica di diversi periodi storici e, in modo analogo, la casa editrice pubblica non solo musica contemporanea ma anche arrangiamenti e trascrizioni di musica di altre epoche musicali. Condivido inoltre questo pensiero con l’associazione SHE LIVES presieduta da Fabiana Piersanti, che ebbi il piacere di conoscere tramite Alessio Elia. L’interscambio tra apparentemente diversi ed incompatibili orizzonti musicali è molto importante per me e credo che questa forma di dialogo di periodi storici debba assolutamente entrare nelle teste di programmatori di concerti, direttori ed altri. Non bisogna “ghettizzarsi” in uno specifico e specialistico campo musicale. A volte suscita vero terrore vedere le diverse “scene musicali” che si comportano in modo quasi settario. Ovviamente ci saranno sempre ed è giusto che ci siano ensemble specializzati nella musica antica (anche in ragione delle esecuzioni che tengono in considerazione le prassi esecutive del tempo), o in quella 10 contemporanea, ma bisogna sempre cercare il dialogo tra le diverse espressioni musicali, senza coltivare forme di isolamento. Dal 2015 sto frequentando il corso di Master in direzione con Marc Kissóczy ed Arturo Tamayo al Conservatorio della Svizzera Italiana a Lugano e sto focalizzando gli studi sulla direzione di musica contemporanea. Può sembrare paradossale pensando al discorso del dialogo appena fatto ma non lo è. Più che altro bisognerebbe dire “… sto facendo il corso di Master in direzione non trascurando la musica contemporanea”. Con Marc Kissóczy, il mio professore di Master stabile mi occupo del repertorio classico orchestrale e a pari livello della contemporanea con Arturo Tamayo, grande specialista di questa musica sul podio internazionale e che gestisce il CAS (Course of Advanced Studies), corso che si prospetta come integrativo al mio corso di Master. Direi che mi trovo in una situazione assai fortunata per il fatto di poter continuare la formazione nell’interscambio tra vari professori e non doverne seguire solo uno. 2. Come osserva da fuori lo sviluppo formativo musicale in Italia e la fuga all’estero? “Non andare mai in Italia per studiare o per lavorare.” Così mi ripeteva mio padre, che ha fatto la scuola e l’università in Italia e ci ha lavorato per più di dieci anni. Da quando si è trasferito in Germania per questioni di lavoro nel 1996 la situazione in Italia mi sembra essere solo peggiorata. Il problema principale dell’Italia o per lo meno di coloro che hanno il potere e prendono decisioni sulla politica culturale e formativa credo che sia una questione di orgoglio. L’Italia si adagia sulla propria tradizione musicale pensando che nutra il paese fino ad un lontano futuro. Il grosso problema è che il fine ‘800 è passato da parecchio tempo, ma è lì che l’Italia pensa di essere rimasta. I fondi vengono tagliati e l’interesse politico per la formazione musicale o la cultura in generale sembra completamente sparito. Poco fa ho incontrato un grafico che mi mostrava le spese pubbliche destinate alla cultura ed all’istruzione nel 2011. L’Italia con una percentuale del 1,1 % nel settore della cultura e col 8,5 % nel settore dell’istruzione giace agli ultimi posti in Europa – la stessa Italia che un tempo era la culla della musica occidentale. Durante il mio percorso di studio incontrai e incontro tutt’ora (pensando anche alla vicinanza di Lugano all’Italia) tantissimi italiani che vengono a studiare all’estero e molto spesso per le ragioni appena menzionate. Anche Mannheim era piena di studenti italiani e vi assicuro che nessuno di loro ci andava perché gli piacesse la vita tedesca o il paese. La maggior parte veniva per le migliori possibilità di studio e per un primo orientamento professionale all’estero. Ci sono tanti che per amore per il proprio paese vorrebbero ritornare ma invece provano a restare per motivi lavorativi all’estero. E’ opinione comune in tanti 11 paesi europei e non solo, che l’Italia oramai sia un paese con scarse prospettive musicali. In un mondo sempre più guidato dalla globalizzazione non penso che il dovere di ogni paese sia tenere i propri “cervelli” e così non penso neanche che lo sia per l’Italia parlando dei suoi musicisti. Il dovere di ogni paese è di creare un terreno fertile e creativo per la cultura e per ogni campo lavorativo, che abbia le sue specifiche radici tradizionali, ma aperto, attraente ed accogliente per ogni persona del mondo. Questo l’Italia in molti campi, ed in particolare per quello di direzione del quale posso parlare più precisamente, non lo offre ed è per questo che tanti italiani vanno all’estero ed è anche per questo che pochissima gente va in Italia. Il pensiero non deve essere come tenere i propri cittadini nel paese ma invece come generare uno scambio culturale internazionale. Queste problematiche non le vedo in Svizzera. Diciamo che si può parlare di tendenze opposte. Gli svizzeri generalmente, specialmente quelli della svizzera tedesca o francese, provano a restare in Svizzera. L’offerta formativa nei conservatori è di pari livello e anche meglio che in Germania, visto che qui in Svizzera si può contare su più fondi statali. Inoltre le prospettive lavorative sono molto buone e quindi le persone che vivono qui non hanno motivazione o interesse e neppure la necessità, come forse le ha invece un italiano, di andare a studiare e/o lavorare all’estero. La tendenza di chiusura della Svizzera che si può osservare sul panorama politico si presenta anche in campo musicale. In Germania invece osservo più una via di mezzo. Anche se i fondi culturali vengono tagliati in continuazione come succede quasi ovunque, l’aria culturale e musicale che si respira è molto aperta e nutrita da uno spirito molto internazionale. Ovviamente è difficile e pericoloso generalizzare ma assai raramente trovi un tedesco che va all’estero per via di problematiche di politica culturale e/o prospettive lavorative o formative migliori. Quando un tedesco si sposta dalla Germania si tratta quasi sempre del desiderio di voler arricchire il proprio orizzonte culturale conoscendo altre persone o professori in altri paesi. Il tedesco, nella media, non si sente spinto ad andare via, ma è molto aperto a farlo. Come già detto è difficile generalizzare e giudicare. Queste sono tutte tendenze e osservazioni personali. Penso che l’Italia si debba assolutamente muovere, e rivalutare l’importanza della formazione e della cultura, e non solo sul campo politico, ma oramai data una diffusa letargia nei confronti della cultura, anche sul campo sociale. L’aspetto di chiusura della Svizzera non mi piace e mi chiedo fin quando la situazione potrà restare così. Sul campo politico già si vede che non potrà durare in eterno. Non saprei dire quale potrebbe essere il legame tra questa chiusura e il panorama formativo e lavorativo. Mi auguro semplicemente che ci sia un gesto di apertura – forse anche a rischio di “perdere” qualcosa. La Germania per me è un ottimo paese per vivere da musicista, perché offre un 12 panorama musicale molto ampio ed aperto. Anche la musica contemporanea ottiene i suoi spazi che ovviamente sono ancora da espandere. 3. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? In un certo senso questo domanda è legata anche a quella precedente. La formazione musicale si compone del dialogo di colui che dà e di colui che prende. Colui che dà è il risultato dei finanziamenti che ha ricevuto la disciplina che insegna, e dunque dell’interesse politico e sociale che la classe dirigente ha dimostrato verso l’istruzione musicale. I professori vengono attirati ad insegnare certamente anche da un terreno culturale fertile e vivace e la situazione formativa che così viene a crearsi agisce su colui che prende, sullo studente che si mette a studiare e che può usufruire di questo sistema e delle sue possibilità. È molto difficile giudicare le qualità della formazione italiana ma se si volesse paragonare il livello delle possibilità formative italiane al livello delle potenzialità dei suoi studenti risulterebbe che gli studenti italiani sono più avanti delle strutture in cui studiano. Posso solo dire che tutti gli studenti italiani sono contenti di arricchire il loro percorso formativo all’estero. Fortunatamente l’insegnamento musicale è talmente personale e gioca molto sul rapporto studente/professore che l’impatto della struttura formativa non risulta così grande di come si possa pensare. Ovviamente non vuol dire, che non ci sia tanto da migliorare. Parlando della direzione gli standard tedeschi e svizzeri li vedo più alti di quanto non siano in Italia. Mi sembra che in generale la cultura italiana si sia arroccata un po’ troppo sull’orgoglio della sua tradizione musicale, la quale mi pare abbia iniziato una fase di declino con la crisi dell’opera lirica all’inizio del ‘900. Allo stesso tempo però, osservando il panorama formativo in Italia, credo si siano preservate alcune eccellenze: il canto (specialmente nel repertorio operistico tradizionale) e la formazione di base della composizione che risulta di livello maggiore agli standard di altri paesi. 4. Il passaggio nel mondo lavorativo È molto difficile vivere come musicista se non si riesce a reinventarsi costantemente. Il mercato del lavoro è molto instabile e contratti di lavoro come direttore o come musicista d’orchestra non sono quasi mai a tempo indeterminato. Ma questo è anche il risultato dello sviluppo della nostra società. 13 Cinquant’anni fa molto spesso si cresceva nella stessa città in cui si era nati, e lì si lavorava per tutta la vita. Oramai bisogna esseri flessibili e disposti a spostarsi. Ciò che osservo con grande tristezza è che la “qualità lavorativa” non conta più molto. Aspetti politici, conoscere gente, avere fortuna, il marketing giusto ecc. diventano più importanti. Comunque penso che sia innanzitutto la qualità del proprio lavoro che ti rende più indipendente da questa lotteria sociopolitica. È su quella che io punto. Credo che sia necessario conoscere ciascuno le proprie qualità direttoriali, senza cadere in un ruolo troppo specializzato. Il direttore secondo me deve saper gestire sia coro, che orchestra, sia ensemble piccoli che grandi, sia musica antica che contemporanea ecc. Non posso più permettermi di non sapere certe cose. Allo stesso tempo bisogna saper trovare un profilo personale che ti rende distinguibile dagli altri. Già mentre studiavo a Mannheim ho incominciato a pensare a come sarebbe stato il mio futuro non appena terminati gli studi, e così ho fondato sia un ensemble che la casa editrice. Penso che le mie attività future saranno un mix tra il lavoro da direttore in primis (sia d’orchestra che di ensemble di musica contemporanea), lavoro editoriale e quello di arrangiatore. Comunque resterò aperto a nuove esperienze e sono curioso di vedere quali strade mi si apriranno e che vie percorrerò. 5. Pensiero finale Infine vorrei augurare a tutti sincerità e serenità nei propri studi e nel lavoro – imparare dalla diversità di opinioni e modi come si fa musica. Al di là di ciò bisogna essere disposti a guardarsi attorno sia per fare la maggior quantità di esperienze possibili per arricchire il proprio orizzonte culturale, sia per sopravvivere sul mercato del lavoro. In una società come la nostra non bisogna dimenticare che la qualità del proprio lavoro e il coraggio di avere una propria opinione sono fondamentali per trovare e restare se stessi. FAUSTO NARDI – Direttore d’orchestra e pianista accompagnatore AMBURGO Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? Dopo aver conseguito i diplomi di Pianoforte, Direzione d’orchestra e di Composizione mi sono recato a Berlino per perfezionare il mio studio in Direzione d’orchestra. Da quel momento ho cominciato a lavorare come direttore d’orchestra indipendente, senza cioè ricoprire posti fissi in teatri d’opera e come pianista preparatore di cantanti in varie Musikhochschulen 14 Tedesche. Questo doppio binario continua fino ad oggi. Ora sono direttore musicale delle esercitazioni sceniche presso il Master di Opera alla Musikhochschule di Amburgo e continuo la mia attivitá di direttore e didatta presso vari festival e organizzazioni. La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la propria formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? Quando mi sono mosso nel 1998 dal Conservatorio di Firenze per recarmi a Berlino non ho usufruito del programma Erasmus (non sono sicuro, ma credo che all’epoca non ci fosse ancora l’attivazione dell’Erasmus fra i Conservatori e le Musikhochschulen). Sicuramente non c’era tra Firenze e Berlino. Questo fatto mi è costato fra l’altro diversi anni di studio: a Berlino ho rifrequentato in pratica il corso di Direzione d’orchestra, beneficiando solo dell’abbuono …..(si fa per dire) di due semestri! Benedetta sia l’equiparazione europea con il sistema Bachelor/Master! L’intenzione iniziale era di rimanere all’estero solo tre anni…ne sono passati diciotto. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? Voglio sfatare subito un mito: a mio giudizio la preparazione italiana (Liceale, Universitaria, nei Conservatori o nelle Accademie, NELLE SCUOLE ELEMENTARI E MATERNE!!!), è superiore a quella tedesca. Punto. Noi abbiamo sicuramente un approccio più storico, letterario, accademico, culturale in senso lato. I “Cervelli” italiani quindi sono più preparati culturalmente. Quello che ci manca è il lato pratico, i centri di produzione, le borse di studio, una certa flessibilità dei contratti (che forse in tempi recenti è migliorata). Sicuramente ci manca la cultura del “Fare”: le nostre opere, i nostri concerti, i nostri eventi devono sempre essere all’altezza del nostro passato e non ci accontentiamo se non del meglio… In Germania invece si tira a produrre, spessissimo a costo della qualità. All’inizio ci si fa travolgere dall’offerta ridondante di cultura, opere e concerti, ma dopo l’infatuazione iniziale ci si accorge dell’aspetto dello “show business” che è sicuramente troppo preponderante in Germania. 15 Questo porta ovviamente a una maggiore possibilità lavorativa ma non automaticamente a una migliore qualità. La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, un maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista? Scarsa disponibilità di collocazione? Sì. Il motivo principale della mia permanenza all’estero è stato il lavoro. In Germania si riesce abbastanza facilmente ad avere un contratto a ore a tempo determinato (si chiamano Lehraufträge, di solito sono limitati a 8 ore di contratto alla settimana e vengono pagati fra i 20 e 40 Euro Lordi all’ora a seconda della materia che si insegna. Non è possibile avere più contratti nella stessa Università per cui tutti cercano di mettere insieme incarichi in università diverse un contratto qua uno là per mettere insieme uno stipendio passabile. Inutile dire che durante i mesi estivi o durante le vacanze invernali, di solito 6 settimane di pausa intorno a Pasqua, siccome non ci sono lezioni, tutti gli insegnanti con questo tipo di contratto guadagnano 0. Schiere di musicisti (anche pianisti!) sopravvivono (notare bene, sopravvivono, non vivono) con contratti di questo tipo, facendo gli accompagnatori nelle musikhochschulen, gli insegnanti, e aggiungendo dove è possibile concerti o contratti come aggiunti nelle orchestre, nei cori, ecc… Piuttosto difficile, come in Italia del resto, avere contratti stabili come Professore o musicista d’orchestra,nel coro o ancora come solista vocale in un ensemble d’opera. In Germania ci sono quindi sicuramente più offerte di lavoro, ma nel frattempo la concorrenza è anche molto aumentata e i teatri e le orchestre stanno chiudendo anche qua. I concorsi a cattedra nelle Musikhochschulen non sono nazionali, ma ogni Hochschule agisce in autonomia, questo garantisce un ricambio più continuo durante gli anni (non esistono i concorsi mostruosi con migliaia di aspiranti, le liste nazionali, ecc...) e fornisce opportunità frequenti per chi cerca lavoro ma ovviamente diventa fondamentale avere la rete di conoscenze per essere invitati alle selezioni che anche in Germania spesso avvengono in conformità a rapporti di potere… inutile illudersi. Che cosa Le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? Il sistema di reclutamento nei Conservatori, il percorso didattico, l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) . 16 Non mi pronuncio sulla situazione dei conservatori italiani perché è così cambiata dai miei “tempi” che non posso veramente sostenere di conoscerla. Sicuramente i teatri d’opera sono stati gestiti malissimo e capisco che spesso la situazione è così deteriorata che sarebbe quasi più facile rifondarla da zero! Purtroppo la colpa principale non è degli artisti o dei musicisti, anche se a onor del vero per troppi anni troppe persone erano a conoscenza degli sprechi e hanno taciuto perché conveniva a tutti e i soldi non mancavano! Purtroppo anche in Germania la crisi si fa sentire: negli ultimi vent’anni migliaia di posti stabili sono stati tagliati, sono diminuiti i teatri d’opera, i cori, le orchestre della radio. Ci sono state innumerevoli fusioni fra teatri e orchestre per risparmiare: solo per fare un esempio posso citarvi il caso di Weimar, dove si sta pensando di chiudere il glorioso teatro d’opera per fonderlo con quello di Erfurt. In Francia i cachet dei cantanti si stanno riducendo drammaticamente, molti teatri sono senza guida (sovrintendenti) o lo saranno a breve. Si vive alla giornata. In Spagna l’ubriacatura della fondazione di orchestre, teatri e sale da concerti è finita da un pezzo e siamo tornati a più miti consigli. Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? Smettere assolutamente di cercare di copiare per forza il supposto modello europeo che non esiste! Ogni paese ha un sistema proprio e noi dovremmo intanto capire qual è quello che vogliamo noi! Va bene armonizzare i percorsi di studi per facilitare la mobilità di professori e studenti (cosa sempre positiva e di arricchimento culturale per tutti). Puntare sul repertorio italiano, Opera, opera, opera, canto, canto, canto, opera, opera, opera!!! Questa è la nostra grande ricchezza, ciò che abbiamo, quello per cui ci conoscono e ci ammirano e quindi su questa tradizione dobbiamo puntare. L’Opera per noi significa tutto: lingua italiana nel mondo, letteratura, soggetti, moda, costumi, cibo, turismo, tradizione e innovazione. Non c’è da vergognarsi, c’è da vantarsi! Basterà concentrarsi su tutto il patrimonio immenso che va da Monteverdi a Sciarrino per citare un collega di successo internazionale ….e forse ci salveremo! Meno produzioni faraoniche, meno sprechi e più repertorio! Circa 100 anni fa, si cambiarono i programmi dei Conservatori per inserirvi la musica strumentale, per cercare di sprovincializzare il nostro mondo musicale, per rompere con l’egemonia asfissiante dell’opera. Non dico che fosse un errore, è stato un momento storico che ha prodotto quella decisione. Non va dimenticato che parallelamente ai Conservatori in quel tempo c’era una vita teatrale e operistica ancora viva, che produceva ancora opere (appunto!), ma anche Maestri (!), cantanti… 17 Adesso invece quella tradizione si è rotta, forse siamo ancora in tempo a salvarla ma dobbiamo sbrigarci. I conservatori dovrebbero formare Direttori d’orchestra, Registi, Pianisti e Cantanti basandosi sullo studio del nostro stile e delle nostre tradizioni, ma facendolo con strutture di produzioni moderne! I Conservatori dovrebbero produrre opere! Non come evento straordinario da realizzarsi ogni tanto ma come obiettivo pedagogico primario e stabile. Ben vengano le collaborazioni con i teatri locali le produzioni miste StudentiProfessori-Professionisti. Tutti gli studenti dovrebbero arrivare al Master potendo avere nel loro curriculum la partecipazione alla realizzazione di diverse opere. E parlo degli strumentisti d’orchestra, dei cantanti, dei maestri, dei pianisti, e in un’ottica più ampia ovviamente anche dei tecnici e dei compositori. Mi piace terminare con una piccola provocazione: va benissimo studiare il clavicembalo ben temperato o l’integrale delle sonate di Beethoven ma quanti pianisti potranno lavorare principalmente come solisti? Cominciate a studiare gli spartiti di Traviata, Rigoletto, Bohème…interessatevi di voci, imparate a riconoscere gli stili vocali e a lavorare con i cantanti, forse avrete un lavoro in futuro. AUSTRIA DAVID PIRRO’ – Compositore - GRAZ Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? Ho cominiciato molto presto lo studio del pianoforte: oltre al repertorio classico insegnato al conservatorio, più tardi mi sono interessato a forme musicali diverse (jazz, rock, musica contamporanea). Al termine del mio studio di Fisica Teorica presso l'Università di Trieste, mi sono iscritto al Conservatorio “Tartini” (Trieste) alla Scuola di Musica e Nuove Tecnologie, dove ho conseguito il Master nel 2007. Contemporaneamente ho lavorato come assistente del Prof. Paolo Pachini nell'ambito di diverse produzioni (video e live-electronics) e presso il Centro di Sonoglogia Computazionale (Prof. De Poli) a Padova. Da nove anni lavoro lavoro presso l'Istituto di Musica Elettronica ed Acustica (IEM) presso l'Università della Musica e delle Arti Drammatiche a Graz in qualità di ricercatore in diversi progetti (sonificazione, spazializzazione del suono, 18 interaction design) a docente (corsi di laurea in ingegneria del suono, musicologia e computer music). La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? Grazie progetto Leonardo, ho avuto la possibilià di sviluppare il tema della mia tesi di Master in collaborazione il Prof. Gerhard Eckel all'IEM di Graz. Questa esperienza è stata molto importante: mi ha dato la possibilità di conoscere una importante realtà nell'ambito della musica elettronica e di allacciare rapporti grazie ai quali ho in seguito potuto entrare all'interno dell'istituto. Inizialmente la scelta di seguire uno studio all'estero era stata principamente dettata dal desiderio di arricchire la mia formazione. In seguito però, viste le maggiori possibilità ed le stimolanti condizioni di lavoro con cui mi sono confrontato, l'idea di un futuro fuori dall'Italia si è sempre più consolidato. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? L'Università della Musica di Graz attira molti giovani musicisti e compositori italiani che vengono qui per perfezionare i loro studi seguendo I corsi per Master, post-graduate o dottorato. La mia impressione è che il loro nomero sia cresciuto notevolmente negli ultimi anni. Questi studenti, almeno quelli con cui ho contatto personalmente, in generale si distinguono per la loro creatività a musicalità. Tuttavia, oltre ad una buona preparazione tecnica e teorica (a volte superiore ai loro colleghi di altri paesi europei), ho però spesso notato una lacunosa conoscenza dei temi e discorsi, delle tecnologie e delle forme musicali più attuali nel contesto della musica elettronica. A mio avviso questo è imputabile alla formazione italiana, da sempre più incentrata su aspetti teorici consolidati che su temi attuali. La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista? 19 I fattori determinanti che hanno influito sulla mia scelta di rimanere in Austria sono stati certamente la diversa qualità (e condizioni) di lavoro, la grande e stimlante varietà dei temi affrontati, la serietà e la coerenza con cui viene affrontato il lavoro, la possibilità di sviluppare temi e lavori personali offertami e l'apertura verso nuove e diverse prospettive. Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli? Da quando lavoro all'IEM non ho avuto importanti produzioni in collaborazione con istituzioni italiane. Ci sono stati alcuni contatti o richieste, ma spesso a causa di problemi organizzativi non c'è stata realizzazione. Ho un buon contatto con il Prof. Agostino Di Scipio, di cui ho una profonda stima sia come compositore e che come docente e con cui ho avuto la possibilità di organizzare concerti e workshop qui a Graz. Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) ? La mia impressione è che le strutture organizzative rappresentino il più grosso ostacolo allo sviluppo dei musicisti e compositori italiani. Queste strutture mi sembrano spesso irrigidite, vetuste ed inutilmente complicate, sia da un punto di vista burocratico che di contenuti. Di fatto questo si traduce minori possibilità per musicisti e compositori di lavorare ed accumulare esperienza. Inoltre, per esperienza personale, posso dire che artisti stranieri sono spesso negativamente colpiti dalle complicazioni amministrative ed organizzative legate ad una esibizione in Italia. Questo contribuisce a rendere più difficile lo scambio ed il confronto con altre realtà musicali, un confronto che a mio avviso, è una condizione necessaria per la formazione dei musicisti a compositori italiani. Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? A mio parere, l'obiettivo principale deve essere quello di creare spazi e possibilità per giovani musicisti e compositori per realizzare il loro lavoro. Ovviamente la cronica assenza di fondi di cui tutti siamo a conoscenza, è un 20 ostacolo importante, ma non è il solo. Certo, quando i soldi sono pochi, l'effetto prinicpale è una drastica riduzione delle possibilità e degli spazi disponibili, ma anche un arroccamento su temi, opere ed esecutori in qualche modo “sicuri”, di indubbio valore artistico, ma spesso superati e non al passo dei tempi. Sarebbe invece più importante creare degli spazi per la sperimentazione e la presentazione continui, forse con minori disponibilità tecniche, ma con un maggiore impatto sulla scena musicale ed artistica in generale. SVIZZERA CONSUELO GIULIANELLI – Arpista - Basilea Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? Ho iniziato lo studio dell’arpa al Conservatorio e conseguito il Diploma al Conservatorio di Verona con la Prof.ssa Mirella Vita. Attualmente sono Professoressa d’arpa al Conservatorio di Feldkirch (Austria), prima arpa dell’orchestra del Musikkollegium di Winterthur, suono musica contemporanea con l’Ensemble Phoenix di Basilea, musica da camera con Camerata Variabile di Basilea, Duo flauto e arpa con la flautista Eva Oertle, Duo Guitarp chitarra e arpa con mio marito - dove oltre a suonare accompagno il mio canto - e diversi altri concerti da solista, da camera e da sola. La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la propria formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? Dopo pochi anni di libera professione (qualche ora d’insegnamento la settimana nelle appena nate Scuole Civiche di Musica, alcuni concerti da camera e recitals, concorsi giovanili, “arpa-bar” nei grand hotels in Italia e all’estero) ho conseguito il diploma di concertista alla Musik-Akademie di Basilea e ho vinto l’audizione per prima arpa all’Orchestra Sinfonica di Lucerna. Da allora mi si sono aperte le porte della professione in Svizzera e in Europa. La scelta di studiare a Basilea è stata dettata da una serie di riflessioni: a Milano il mondo delle arpiste era “sovraffollato”, alcune colleghe conosciute nelle orchestre giovanili mi avevano parlato molto bene dell’insegnante d’arpa dell’Accademia (Ursula Holliger) e parlavo già quattro lingue. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, 21 vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? Trovo che le arpiste italiane abbiano una buona preparazione e “grinta”, indispensabile per il nostro mestiere. Se però confronto le scuole in Svizzera e in Austria con quelle italiane, trovo che le scuole all’estero abbiano una grande capacità di trasformarsi e adattarsi alle necessità degli allievi, alle richieste dal mondo musicale, alle possibilità di lavoro mentre il Conservatorio in Italia, visto da lontano, mi pare un dinosauro che appartiene a un’altra epoca e che fa una grande fatica a cambiare. La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista? In Svizzera ho potuto realizzare il mio sogno di essere una musicista a 360°: ho avuto per es. la possibilità di suonare in orchestre sinfoniche, liriche, cameristiche, come solista, ottenere dei risultati secondo le mie capacità e il mio impegno e di essere pagata puntualmente ed adeguatamente per il lavoro svolto. In Italia tutto ciò non sarebbe stato possibile. Che cosa Le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? Il sistema di reclutamento nei Conservatori, il percorso didattico, l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc.)? Sarebbe necessario che la qualità e l’integrità delle persone fossero messe al primo posto. Il cambiamento che vedrei dovrebbe nascere dal di dentro, dalla volontà delle persone - perché le Istituzioni sono costituite da singoli – di operare per la Musica, per i giovani, per il nostro bel paese, per il pubblico e per il nostro futuro. Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? Non so rispondere a questa domanda. FRANCIA ANDREA CORAZZIARI – Pianista- Parigi 22 Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? Studi di pianoforte, musica da camera al Conservatorio di Roma. Diplomato dell’Accademia di Imola in pianoforte e musica da camera. Studi di musica da camera all’accademia del Trio di Trieste a Duino ed all’accademia Chigiana di Siena. Collaboratore dell’orchestra Verdi di Milano dal 2000 al 2005. Vincitore di premi in concorsi internazionali di pianoforte e musica da camera. Attualmente concertista, solista e camerista, professore di ruolo di pianoforte e musica da camera al Conservatorio del 9° arrondissement di Parigi “Nadia e Lili Boulanger”,co- coordinatore del dipartimento “strumenti polifonici”. La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? Studi presso il dipartimento di pedagogia-formazione all’insegnamento del Conservatoire National Supérieur de Musique et de Danse de Paris, diplomato con il Certificat d’aptitude in pianoforte e musica da camera (oggi equiparato a master). La scelta, dettata da una conoscenza del sistema francese avvenuta durante tournées pianistiche in Francia, è stata senz’altro spinta dall’idea di sviluppare in questo paese la mia attività di insegnamento. La scelta di vivere all’estero è stata poi conseguente a questo percorso, cui si sono aggiunte componenti personali e affettive. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? Premetto che mi sento semplicemente di scrivere a riguardo della mia esperienza, e eventualmente dare un’opinione personale su altre di mia conoscenza, non potrei esprimermi in termini assoluti. Ciò premesso, la mia impressione è che la formazione ricevuta in Italia sia adeguata e competitiva al livello internazionale; l’Italia forma degli artisti 23 inventivi, curiosi ed aperti agli influssi di altri tipi di formazione. Secondo me però questo avviene più per una presenza in Italia di insegnanti e personalità di altissimo livello (ed a volte di istituti di formazione di altissimo livello), che per una politica culturale condivisa e profonda. La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista? La scelta di restare in Francia è dovuta innanzitutto ad una chiarezza e fluidità del percorso che porta dalla formazione al mondo del lavoro nell’ambito dell’insegnamento musicale. La formidabile “rete” dell’insegnamento musicale pubblico sul territorio francese è poi certamente, a livello qualitativo e quantitativo, un altro argomento a favore della scelta; questa rete, che tende a valorizzare in molti casi le competenze dell’artista –insegnante ed esalta il lavoro di squadra di un’équipe pedagogica, corrisponde ad una mia visione personale del ruolo etico e politico del musicista nella società. Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli? Continuo ad avere contatti professionali con l’Italia, per una parte della mia attività concertistica (festival MiTo) e didattica (corsi estivi di perfezionamento). Questi contatti diventano sempre più sporadici nel corso del tempo … Collaboro con musicisti italiani per progetti cameristici stabili e occasionali. Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) ? Vedere risposta successiva per tutto ciò che è politica di formazione culturale La base di un cambiamento possibile potrebbe partire da una riflessione sulla valorizzazione del patrimonio culturale musicale, che potrebbe ingenerare dei circuiti virtuosi su molti livelli: dalla formazione culturale dei giovani al ritorno economico che se ne potrebbe avere. Si potrebbe a tal fine intensificare la collaborazione tra privati e pubblico, favorendo ad esempio fiscalmente e materialmente il mecenatismo, e creando delle reti di teatri ed enti di produzione musicale. 24 La direzione dei suddetti enti di produzione dovrebbe essere affidata a persone di altissimo livello artistico affiancate eventualmente da manager-umanisti, anche provenienti dall’estero. Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? Sulla base della mia esperienza, per quel che riguarda la formazione bisognerebbe stabilire un nesso più chiaro e diretto tra gli studi e il mondo del lavoro. Per tutto quello che riguarda l’accesso all’insegnamento, i concorsi per cattedre o posti vacanti dovrebbero essere sistematicamente essere basati su prove artistiche e didattiche, oltre che su dossier, e questo fin dalla formazione dei principianti, giovani ed adulti! Le istituzioni di insegnamento potrebbero e dovrebbero coordinarsi per poter sviluppare un’offerta chiara e sinergica per il pubblico, dalla formazione di un pubblico amatore a quella dei futuri professionisti. La relazione con il mondo della scuola dovrebbe essere rinforzata: la cultura musicale, la musica come pratica dovrebbe essere presente in tutte le aule, dalla materna agli studi secondari. Si dovrebbero rinforzare e/o rinforzare delle partnership forti tra gli istituti superiori di formazione e i luoghi di produzione musicale, teatri, società di concerti, facilitando le residenze di giovani artisti, compositori ed interpreti, per facilitare l’esperienza “sul campo” e l’inserzione nel mondo del lavoro. CARLO LAURENZI – Compositore – Parigi Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? Ho studiato chitarra privatamente con diversi insegnanti, e poi musica elettronica (poi Musica e Nuove Tecnologie) presso il conservatorio dell’Aquila, con il M° Michelangelo Lupone, con il quale ho poi parallelamente cominciato a lavorare attivamente in Italia e all’estero, completando sul campo la mia formazione come compositore, prima e dopo dopo il diploma. Attualmente lavoro come Computer Music Designer all’IRCAM di Parigi, dove collaboro con compositori di fama, provenienti da molti paesi diversi, per la concezione e realizzazione dei loro progetti di musica mista (strumenti + elettronica) in programma nella stagione concertistica dell’Istituto. 25 La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? Si. Prima della laurea sono partito per fare un Erasmus “placement” (tirocinio di lavoro specializzato) all’IRCAM, per 5 mesi, al termine del quale mi è stato chiesto di rimanere con un contratto a tempo indeterminato per un posto nel dipartimento di produzione musicale, con una netta evoluzione delle mansioni che mi erano state affidate durante l’internato. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? Direi che la formazione musicale italiana, in generale, puo’ essere, in alcuni posti in cui ci sono dei bravi insegnanti, piuttosto qualificante. In Europa i musicisti italiani di valore che hanno il coraggio di emigrare per lavorare a piu’ alto livello sono accolti con grande interesse ed enorme rispetto. Spesso sono assai meglio riconosciuti e riescono ad affermarsi molto di piu’ di quanto avrebbero potuto fare in Italia. Tuttavia pero’ globalmente il sistema educativo musicale italiano stenta ad equipararsi ai livelli di quelli di altri paesi, come la Francia ad esempio, o la Germania. La Nuova Musica è spesso presa poco e male in considerazione. Inoltre, il sistema di reclutamento degli insegnanti di conservatorio penalizza oggi molto spesso chi ha preferito sviluppare la propria attività artistica lavorando ad alti livelli nel mondo, piuttosto che chi ha preferito limitarsi ad una attività di insegnamento senza infamia e senza lode in contesti locali a garanzia di una mera sopravvivenza. L’ultimo bando di graduatoria per i docenti di conservatorio, del 2014, ne è una chiara dimostrazione, avendo tagliato fuori o sfavorito, nelle varie categorie, fior di musicisti con grandi carriere anche all’estero e titoli artistici straordinari, frutto del loro impegno nel lavoro musicale vero. In Francia, gli insegnanti di conservatorio hanno tutti come minimo una carriera e una fama internazionale, al massimo livello. La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista? 26 La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali italiane è indubbiamente alla base della mia scelta di restare all’estero. Unitamente alla loro scarsissima disposizione a favorire o privilegiare la creazione di nuove opere, da cui il mio lavoro dipende strettamente. In Francia esiste per legge la categoria degli enti di creazione e di ricerca artistica e musicale, supportati dallo stato per produrre la cultura e le opere del nostro tempo. In Italia questa categoria non esiste, di conseguenza bisogna fare tutto attraverso commissioni spesso troppo esigue per includere una dimensione tecnologica, e oltretutto senza alcuna garanzia di continuità e sviluppo di questo tipo di opere. Ho poi scelto di restare anche per la qualità molto elevata del lavoro, per la possibilità di vedere sempre riconosciuti i propri meriti, e le maggiori opportunità e prospettive di sviluppo della carriera. In Italia avere tutti questo è estremamente difficile e faticoso. Un’altra differenza importante, è che in Francia e in altri paesi, non ci sono e non ci saranno mai compositori alla guida di enti concertistici importanti, a garanzia di una direzione e un’attività artistica assolutamente meritocratica, aperta alla pluralità e alla contemporaneità. Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli? Si, certamente. La cosa piu’ interessante è che stando a Parigi e lavorando all’Ircam ho potuto raccogliere molti piu contatti di lavoro italiani che stando in Italia. Ho conosciuto qui la gran parte dei compositori e dei musicisti che operano al massimo livello nella musica contemporanea, in Italia e all’estero, tutti nella necessità passare per Parigi o altre città estere per poter lavorare. Tra i contatti piu’ significativi, quello con Martino Traversa, compositore e direttore artistico del festival “Traiettorie”, a Parma, nel quale ho partecipato in due edizioni, assieme ai musicisti dell’Ensemble Intercontemporain, operando la regia informatica e sonora di brani di Boulez (“Anthèmes2”, “Dialogue de l’ombre double”) e Stroppa (“I will not kiss your fuck… flag”). Inoltre mi è capitato di collaborare con alcuni docenti di musica e nuove tecnologie di conservatori italiani. Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) ? 27 Innanzitutto è necessario cambiare il modo di gestire gli enti di produzione e le istituzioni concertistiche italiane. La creazione di nuove opere non occupa un posto abbastanza significativo nei programmi e nelle stagioni concertistiche, di conseguenza i giovani, compositori o strumentisti, dediti alla musica di oggi, hanno poche possibilità di far nascere ed evolvere in Italia la propria carriera, o poter competere con gli altri colleghi che vengono da altre nazioni. Andrebbero poi ridotte le spese di gestione interna, che hanno da sempre appesantito il funzionamento degli enti italiani. Soprattutto pero’, piuttosto che a dei compositori, bisognerebbe affidare la direzione artistica degli enti a dei manager con uno spirito aperto e una grande cultura musicale, con ottime abilità politiche, a garanzia di una direzione e un’attività artistica assolutamente meritocratica, aperta alla pluralità, alla contemporaneità e alla novità. Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? Per quanto riguarda l’Alta formazione musicale, andrebbe proposta una formulazione adeguata dei programmi e degli ordinamenti scolastici che si ponga come obiettivo di formare musicisti e compositori che sappiano non solo essere competenti, ma anche in grado di capire e aderire completamente allo spirito dell’epoca attuale, attraverso una esposizione alla pluralità di approcci e istanze culturali e tecniche che caratterizzano la musica d’oggi a livello internazionale, come accade in moltissimi conservatori d’Europa. Bisognerebbe poi favorire il piu’ possibile l’integrazione dei conservatori italiani nei circuiti accademici internazionali, favorendo la presenza di docenti che arrivano dai piu’ importanti conservatori. Cosi’ come andrebbe favorito il percorso formativo degli studenti di conservatorio, facilitandone il transito attraverso le differenti accademie d’Europa. I conservatori dovrebbero poi chiaramente integrare il loro statuto di enti parificati a quelli universitari, e promuovere attivamente una robusta e fondata attività di ricerca musicale, sia nel dominio tecnologico che in quello strettamente musicale. Ai direttori artistici andrebbe invece imposto di programmare non meno di un 50% di musica nuova nelle stagioni per le quali operano. Alle istituzioni culturali italiane andrebbe chiesto di mettere a punto un dispositivo di legge che favorisca il piu’ possible il mecenatismo, con sgravi fiscali per il finanziamento di nuove opere musicali e nuove creazioni artistiche, e promuovere incentivi per il sostenimento di nuovi ensemble che si dedichino alla musica d’oggi. Andrebbero anche creati dispositivi di legge per favorire il cofinanziamento da parte di mecenati e dello stato, come anche di commissioni 28 speciali che promuovano e raccolgano progetti innovanti, proposti insieme da ensembles e compositori attivi nella creazione di nuova musica. LORENZO PAGLIEI – Compositore - PARIGI Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? In Italia ho studiato in Conservatorio diplomandomi in pianoforte, composizione, musica elettronica e direzione d’orchestra. In seguito ho frequentato il Corso di perfezionamento in Composizione dell’Accademia di Santa Cecilia e ho seguito vari seminari dedicati alla musica contemporanea dove ho potuto entrare in contatto sia con compositori noti sia con miei coetanei coi quali si è creato un dialogo fruttuoso e duraturo che prosegue tutt’oggi. Parlo di un periodo che va dalla metà degli anni ’90 all’inizio degli anni 2000. Prima di frequentare all’accademia di Santa Cecilia, avevo studiato al Conservatorio di Frosinone. I miei maestri sono stati Azio Corghi, Giorgio Nottoli e Salvatore Sciarrino, seguii vari seminari con Grisey, Lachenmann e ho un ricordo affettuoso di Alessandro Solbiati che incontrai a Milano. Ho avuto anche la fortuna di frequentare per un breve periodo Luciano Berio che conobbi al mio esame finale dell’Accademia di Santa Cecilia e che volle incontrarmi in seguito per dialogare sulla mia musica. Conservo di lui un ricordo intenso. Attualmente lavoro all’Ircam di Parigi come compositore in ricerca e insegno al Cursus I e II di informatica musicale che io stesso ho frequentato da studente 10 anni fa avendo vinto la selezione del Comité de Lecture. La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la propria formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? Avendo effettuato la mia formazione in Conservatorio negli anni ’90, ho seguito i cosiddetti corsi “tradizionali” e l’Erasmus ancora non esisteva per i Conservatori. Come studente del Cursus I e II dell’Ircam ottenni una borsa di studio della SACEM: una piccola agevolazione che copriva i costi del Cursus. Per un musicista essere in un paese o in un altro in realtà non è vincolante. Un musicista mette in conto di viaggiare e si sente parte di una rete globale piuttosto che restare fisso in un paese. Tuttavia appena mi sono affacciato fuori dall’Italia ho constatato un maggiore rispetto e considerazione professionale per questo lavoro. 29 Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? Un musicista italiano è parte della cultura europea e vivere fuori dal proprio paese è normale se fa questo mestiere. Penso che considerare un musicista come “italiano” sia riduttivo. D’altro canto è vero che esportiamo una sensibilità, un’identità e una cultura molto apprezzate all’estero. In Europa vedo meno giudizi in base alla provenienza e mi sento piuttosto un musicista europeo che italiano: l’Italia è la mia culla culturale, l’Europa il luogo dove faccio fiorire la mia attività e l’Europa comprende l’Italia. Prima di rispondere alla seconda domanda devo dire che, pur abitando all’estero, insegno musica elettronica al Conservatorio di Vicenza. Perciò ho sempre davanti agli occhi una prospettiva multipla: come artista residente all’estero, come docente in due paesi e attraverso le storie dei miei allievi che studiano in Italia o che partono in Erasmus. In tal senso non ho smesso di seminare cultura nel nostro paese, né voglio rinunciarci, e sono cosciente dell’importanza della mia funzione. In Italia mancano spesso le infrastrutture, si fa moltissima fatica a lavorare e a reclutare in modo diretto e realmente meritocratico i docenti, tuttavia il nostro valore aggiunto è l’umanità, la vicinanza con gli allievi e la capacità di auto organizzazione. Credo che molti docenti di Conservatorio svolgano una funzione eroica perché non sono aiutati dal sistema ministeriale che risulta troppo lento e “pauroso” nelle scelte e nei cambiamenti. Parlo come docente di una materia speciale come la musica elettronica nella quale la didattica è un’invenzione del docente e non è così sedimentata come quella di altre materie. Personalmente davanti a un sistema che non aiuta o che dà poche ore e mezzi mi sono rimboccato le maniche e ho lavorato sodo; i risultati sono evidenti: il corso è cominciato da zero con me 13 anni fa, oggi è frequentato da 35 allievi ed è appena stata aperta una seconda cattedra della mia materia. Chi insegna in Conservatorio deve essere cosciente di costituire un nodo culturale importante del paese e deve farlo funzionare nel modo migliore. Lavorando bene i risultati si vedono, pur nell’attuale difficoltà di struttura, organizzazione, reclutamento e mezzi. Incoraggio sempre i miei studenti a partire in Erasmus per far sì che relativizzino la prospettiva italiana e siano abituati al viaggio, l’avventura e il cambiamento. Un musicista deve imparare ad essere elastico e ad adattarsi: la tranquillità non è di questo mestiere. La monotonia di una sola posizione culturale è negativa. E prima si viaggia meglio è. 30 Andando via dall’Italia ogni studente comprende immediatamente la differenza fra il nostro paese e l’estero: una maggiore meritocrazia e organizzazione, infrastrutture solide, una maggiore disponibilità e apertura al nuovo. L’idea che l’Italia sia la culla della cultura porta a prospettive rischiose in cui ci si addormenta su allori e si contemplano monumenti del passato, che ormai mostrano crepe, mentre in altri paesi la cultura si crea e si vive oggi. La cultura ha senso solo se è viva e non guarda solo a ciò che ha già acquisito; non è solo restauro e conservazione ma principalmente creazione. Se lo dimentichiamo siamo morti. La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, un maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista? Sono partito per la Francia quando ero già docente precario in Italia (e lo sono tuttora dopo 13 anni di insegnamento). Sono andato all’estero perché volevo continuare e far fiorire altrimenti la mia ricerca musicale. Ciò che ho provato arrivando a Parigi è un maggior rispetto per la professionalità di un musicista, la sensazione che un artista esista e abbia una funzione nella società, una maggiore fluidità nella produzione musicale e un’accettazione della creatività contemporanea. Che cosa Le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? Il sistema di reclutamento nei Conservatori, il percorso didattico, l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) ? Non posso dire di avere un panorama esaustivo dell’organizzazione musicale in Italia. Sicuramente il male maggiore del nostro paese è la paura del merito e del talento, soprattutto di quello dei giovani. Un paese che ha paura del talento e del merito dei propri figli non va molto lontano: si abitua all’impossibilità di realizzare i propri progetti e si incammina verso la stasi e la depressione. Gli italiani all’estero lavorano benissimo e sono considerati molto bene, ho molti amici che vivono da artisti europei e, ripeto, non ha senso vederci come solo italiani. Come dicevo precedentemente c’è da cambiare il metodo di reclutamento degli insegnanti di Conservatorio: all’estero si fa una prima cernita dei candidati per curriculum, una volta selezionati si viene sottoposti a una prova davanti alla commissione giudicante nella quale si deve tenere una lezione reale con veri studenti. Parte della prova è in inglese (o in alternativa si deve passare una 31 prova di inglese). Infine, si discute di didattica con la commissione. In tal modo chi valuta ha ben chiaro chi è il candidato ed è in grado di giudicarlo. Da noi si fa una lista di titoli artistici, didattici, di servizio ed è tutto, la commissione non può giudicare se il candidato è in grado di insegnare. Questo metodo non può portare buoni frutti. Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? Riguardo la formazione musicale non bisogna aver paura del merito, del talento e delle idee. Bisogna reclutare gli insegnanti in modo trasparente, diretto e con delle prove che verifichino le loro reali capacità didattiche. In Italia si ha paura del merito e dell’imbroglio. Si mettono infinite regole per evitare imbrogli e nepotismi. Credo che un Conservatorio o una qualsiasi istituzione intelligente abbia interesse a fornire docenti di qualità a chi si iscrive. Se recluta male gli insegnanti prima o poi chiuderà. Chi recluta senza partire dal merito ha la tipica miopia del parassita che si nutre e cresce ma alla fine uccide l’organismo che gli consente di vivere. È un errore grave. Ai direttori artistici vorrei dire di non aver paura delle idee dei giovani creatori italiani e di prendersi dei veri rischi. La creatività non è un prodotto assodato e assicurato: è rischio e apertura di credito alla visionarietà. Se proponiamo solo ciò che è “sicuro” andremo verso la noia e condanneremo a morte una cultura che si ciba solo del riconoscimento di se stessa, che non dà linfa al paese; in tal modo il commercio, che già dilaga, prenderà il sopravvento totale. Qualche allievo in Erasmus è rimasto meravigliato che all’estero molti locali ospitino studenti di Conservatorio per suonare musica più o meno sperimentale qualche giorno a settimana in situazioni informali. Questi locali sono pieni di gente, c’è una voglia e un desiderio di musica incredibile. Le idee circolano in un continuo scambio fra istituzione e mondo reale, fra studente e pubblico coetaneo o di generazioni diverse. MARIA PERROTTA – Pianoforte – PARIGI LUCIO PRETE - Cantante – PARIGI 1) Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? Lo studio della musica inizia in famiglia, e faccio fatica a ricordarne veramente i primi momenti, perché è stato un dialogo giocoso col mio papà che si è trasformato naturalmente in studio, in vocazione, in sogno. A dieci anni sono entrata nel conservatorio della mia città, dove ho studiato con Antonella 32 Barbarossa; a 18 anni, rispondendo semplicemente al mio bisogno di confrontarmi e di conoscere nuove realtà sono partita. E le tappe sono state Milano, il conservatorio, dove mi sono diplomata con Edda Ponti, Parigi, dove ho studiato con Jacques Rouvier e Marie-Pierre Soma all’Ecole Normale “Alfred Cortot”, dove ho preso il Diploma Superiore di Musica da Camera; Saarbrücken, in Germania, dove ho approfondito il repertorio bachiano con Walter Blankenheim. Poi c’è stato il rientro in Italia, all’Accademia Pianistica di Imola, con Franco Scala e Boris Petrusanskij, e Roma, dove ho preso il Diploma Superiore all’Accademia Nazionale Santa Cecilia con Sergio Perticaroli. Ho frequentato corsi con Cristiano Burato e François-Joël Thiollier. Sono stata, come dire, un’allieva curiosa... Mi è piaciuto conoscere tanti contesti e avere tanti maestri, non amo irrigidire il pensiero musicale e di conseguenza la tecnica musicale in “scuole” e metodi, seppure evidentemente esistono scuole e tradizioni specifiche dalle quali muovono le nostre riflessioni. 2)La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? Il mio ritorno in Francia è dovuto principalmente al lavoro di mio marito, Lucio Prete, musicista come me, calabrese come me, baritono nel coro dell’Opéra di Parigi, e forse più di me è lui il “cervello in fuga”. In Italia ha lavorato in cori eccellenti come quelli del Maggio Musicale Fiorentino e dell’Accademia di Santa Cecilia. Seguendo i “venti” della crisi del 2008, che colpì in generale le varie fondazioni teatrali e in modo particolarmente duro Firenze , mio marito si è ritrovato all’Opéra di Parigi, dove vinse il concorso a tempo indeterminato. Le mie esperienze di studio all’estero precedenti la mia vita attuale, come ho detto prima, sono state dettate semplicemente dalla voglia di arricchirmi e non dal desiderio di stabilirmi altrove dall'Italia, senza peraltro escluderlo. Con un po’ di umorisrmo, mi viene da pensare a Troisi che sosteneva che un napoletano ha il diritto di viaggiare senza doversi sentire necessariamente un emigrante. Ecco, ho lottato molto anch'io contro questa sensazione. Mi piace sentirmi libera di spostarmi. Mi piace coniugare più realtà. Mi piace sentire le mie radici calabresi sempre vive. 3) Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? La mia opinione è, senza alcun dubbio, che la formazione italiana sia adeguata agli standard internazionali. Spesso ho notato che proprio andando via dall’Italia ci accorgiamo di quanto sia valida la nostra formazione. Sia io che mio marito spesso ci sentiamo accolti e valorizzati anche per la nostra “italianità”, che 33 ovviamente nella vocalità in modo particolare vanta una tradizione omaggiata ovunque. È fin troppo ovvio dirlo…. Il problema non è nella formazione, anche se comincio ad avere qualche perplessità nei confronti della riforma che stanno subendo i conservatori. Ho la sensazione che abbiano cercato di imitare qualcosa di nord-europeo, ma superficialmente. I programmi mi paiono svuotati e alleggeriti. Come se il conservatorio stia quasi diventando una specie di scuola divulgativa, volta a dare una formazione generale, e non più un luogo dove formare dei professionisti. Credo in effetti che in Italia ci sia bisogno di più alfabetizzazione musicale, che a mio avviso è proprio ciò che funziona meglio altrove, per esempio in Francia, dove vi è una diffusione altissima dello studio della musica, e quindi una cultura musicale media molto alta, e dove la figura dell’amatore nutre il mondo della musica e il lavoro dei professionisti. Ma questo doveva avvenire, forse, ingrandendo e fortificando la base della piramide, non rendendo ambiguo il vertice, rappresentato dai conservatori. Credo però che sia molto difficile ancora capire i limiti e l’eventuale positività dei cambiamenti. La transizione ha tempi lunghi. 4) La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista? Questa è precisamente la storia di mio marito, che qui a Parigi ha cominciato a lavorare direttamente a tempo indeterminato, quindi con stabilità e con una qualità del lavoro alta. Mentre in Italia le istituzioni mettono in discussione proprio i valori della stabilità, della continuità, evitando di assumere a tempo indeterminato, e diminuendo i finanziamenti statali alla cultura in genere, facendo quindi perdere importanza e prestigio sociale al musicista. Devo però precisare che purtroppo la politica sta lentamente andando in questa direzione anche in Francia, e credo sia una tendenza molto generale. Io in realtà sto lavorando molto in Italia, sia svolgendo attività concertistica, sia come insegnante in conservatorio. 5) Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, negli ultimi tempi ha svolto un'attività concertistica considerevole in Italia. Ci vuole ricordare alcune tappe significative di questo ritorno concertistico? Grazie al mio agente italiano, Alberto Spano, sto lavorando molto in Italia. Tappe significative i concerti per “Gli Amici della Musica” di Firenze al Teatro della Pergola, al Teatro Argentina di Roma, all’Auditorium Cariplo di Milano, per l'Associazione Scarlatti di Napoli, all’Auditorium Toscanini di Torino, le collaborazioni in qualità di solista con orchestre importanti come la Verdi di Milano, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino, l'Orchestra della Toscana, l'Orchestra Arturo Toscanini di Parma. 34 6) Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? L’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) ? Purtroppo è molto semplice, più risorse, più stabilità, più musica. Credo che in Italia ci sia un problema di quantità. Nella cultura credo valga il principio che la quantità si trasformi in qualità. Ogni piccolo centro dovrebbe avere un teatro, una scuola di musica, un’orchestra, un coro, un cinema, una biblioteca. I vertici hanno bisogno di basi. La qualità di quantità. Questo è quello che penso. La musica deve semplicemente esistere, nella vita quotidiana. E le istituzioni, in generale, devono avere coraggio. Devono crederci insomma. Coraggio nei programmi. Coraggio nel proprio ruolo. Orgoglio del proprio ruolo. Conquistare il pubblico, non accontentare il pubblico. Credo comunque che i cambiamenti più importanti siano quelli relativi al proprio modo di pensare, evitando di restare esclusivamente nella attesa di ciò che le istituzioni debbano fare, intrappolati dalla sfiducia. Io, per esempio, come insegnante evito accuratamente di generare sfiducia nell’allievo nei confronti del futuro e del mondo lavorativo, non creando illusioni o inibendo il senso critico nei confronti della realtà, ma con la profonda consapevolezza che la più grande cosa che io possa fare è dare la sensazione che il futuro appartenga a loro. Credo infatti che i danni più grandi avvengano quando sentiamo che ciò che facciamo sia inutile. E credo che la sensazione che serpeggia in Italia sia questa, ed è contro questa sensazione che bisogna ardentemente lottare. 7) Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? In concreto forse non so…. Chiederei pero’ il coraggio di riconoscere alla musica un ruolo fondamentale nella formazione generale dell’essere umano, di riconoscere anche con chiarezza il ruolo cruciale della musica, dell’arte, e della cultura in genere, nel raggiungimento della felicità e nello sviluppo di una collettività sana . Credo che fare musica , e ancor piu, musica insieme sia un anticorpo formidabile contro tante derive . Chiederei quindi di sostenere non solo le eccellenze, ma anche le piccole realtà, le “periferie”, i piccoli teatri. La musica deve potersi espandere. Chiederei di fare della musica un diritto. SPAGNA CRISTINA CAVALLI – Pianista- Madrid 35 Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? Ho studiato Pianoforte e Musica da Camera ai conservatori di Piacenza e Cesena, proseguendo all'Accademia di Imola (nella classe di Musica da Camera di Pier Narciso Masi). Contemporaneamente seguivo i corsi di Sergio Fiorentino, e per un breve periodo quelli di Marisa Somma. Tutte e tre queste persone hanno contribuito alla mia formazione, insieme ad altre successivamente. L'esempio più forte e il maggiore punto di riferimento per me rimane quello, musicale e umano, di Sergio Fiorentino. La mia attività lavorativa si divide tra concerti e didattica: qui a Madrid sono docente in diverse strutture tra cui il CARM (Centro de Alto Rendimiento Musical), creato sotto l’egida dell’Università Alfonso X el Sabio per dare un segno di eccellenza che guarda all'Europa e anche più in là. Oltre a questo è importante per me il contatto con studenti che magari hanno anche pochi anni meno di me e vengono da parti diverse del mondo e con cui si instaura uno scambio produttivo nelle masterclass. Accanto alla didattica porto avanti l’attività concertistica tra Europa e Asia: alcuni mesi fa ho debuttato a Shanghai Symphony Hall con un recital centrato su Italia e Argentina (e un po’ di Spagna) e prossimamente sarò in Canada, Australia e poi di nuovo in Oriente. La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? Purtroppo no, mi sarebbe molto piaciuto e se occasioni come l'Erasmus fossero state fruibili ai tempi del conservatorio ne avrei approfittato certamente. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? Difficile dare una risposta univoca. Una cosa è certa: i talenti in Italia ci sono, e notevoli. Molto dipende da quel che si è ricevuto dal proprio insegnante di strumento, non solo a livello musicale però: alcuni maestri danno una buona formazione di base ai propri studenti ma spesso questi ragazzi sono poi impreparati ad affrontare il mondo musicale concreto: almeno per quelle che sono le mie ultime notizie in proposito (sarei contenta di essere smentita) i 36 conservatori non danno alcuna preparazione in termini di presentazione e promozione della propria attività, gestione di mezzi informatici e tecnologici che ormai sono essenziali nella vita di un musicista, marketing, lingue straniere padroneggiate in maniera sufficiente da permettere una interazione fluida col resto del mondo... Anche in questo l'Erasmus ha certamente dato una mano, mettendo di fronte i ragazzi alla dura realtà di doversi sforzare di più per essere considerati a livello europeo. La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista? Certamente, anche se in Italia avevo lavoro (mai in istituzioni pubbliche, ovviamente). Non sono espatriata per disperazione, ma per esasperazione sì… ci doveva pur essere qualcosa di meglio anche per chi non ha santi in paradiso ma solo voglia di lavorare seriamente cercando di dare il meglio. Secondo me si parte sempre per un insieme di fattori, mai per uno solo. Nel mio il più forte è stato il bisogno di sperimentare una realtà nuova, in un Paese che mi ispirava più fiducia rispetto al mio; dalla mia città natale mi sono spostata a Roma per sette anni e poi ho sentito la voglia di varcare i confini. E’ qualcosa di soggettivo, nessuno ha motivo di sentirsi obbligato a restare o andare, ognuno fa e sceglie, sempre sceglie, il proprio percorso. Oltre alla musica io sentivo la necessità di un Paese che funziona e socialmente più evoluto, e la Spagna (con tutti i possibili difetti e i ma) è messa decisamente meglio dell’Italia; ora non riuscirei più a rinunciare alla qualità di vita globale che ho qui. Amo l’Italia e lo farò sempre, e mi piace nel mio piccolo tentare di essere un segno positivo dell’italianità nel mondo, ma non ho progetti di ritorno. Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli? Ho organizzato in Italia un Workshop estivo di Musica da Camera, anni fa, e per due anni insieme ad un collega ho portato avanti la Direzione Artistica di una stagione di concerti a Roma; vivendo io a migliaia di chilometri di distanza è diventato piuttosto difficile, la collaborazione delle istituzioni nulla, oltre alle trafile burocratiche che sembrano create apposta per far desistere da ogni sano e buon proposito… per cui ho preferito dedicarmi a progetti diversi. Quello che mi è dispiaciuto è stato lasciare un pubblico composto da persone assetate di musica, di occasioni per condividerla, occasioni che persino nella capitale sono 37 in realtà poche: il confronto con Madrid anche qui purtroppo è desolante, non c’è paragone riguardo a quantità, varietà e fruibilità della vita culturale dove vivo ora. Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) ? Non credo di avere la preparazione tecnica necessaria per rispondere in maniera dettagliata a questa domanda. Forse sarà una considerazione semplicistica, ma io penso che l’Italia abbia semplicemente bisogno di evolversi, da tanti punti di vista. Soprattutto, di uscire da una triste situazione di guerra tra poveri ed entrare nella più cotruttiva mentalità di bene comune: ogni successo di un altro musicista è un bene anche per me, non qualcosa che mi viene tolto. Ogni volta che torno la percezione di una immobilità collettiva è sempre più forte, e non mi riferisco solamente a chi detiene il potere decisionale; sento una rassegnazione serpeggiante trasversale, nelle cose importanti e in quelle più piccole, entrata silenziosamente nel quotidiano di tante, troppe persone. Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? Conosco poco, tecnicamente, il funzionamento di questi organismi, ma le dirò questo: ogni volta che in Italia ho proposto progetti, collaborazioni, iniziative, semplicemente mi è sempre stato chiesto qualcosa in cambio come condicio sine qua non. Succede anche in altri Paesi? Certo, ma non in maniera così sistematica e capillare. MARIA ROSARIA D’APRILE – Violinista - Siviglia Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? Diploma di Conservatorio presso il Conservatorio E.R Duni di Matera e Diploma di Perfezionamento presso l’Accademia “L. Perosi” di Biella. Da quando avevo 13 anni frequentavo masterclasses estive con il mio maestro di Conservatorio e con altri maestri di fama internazionale. La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la propria formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? 38 Prima di stabilirmi in Spagna, ho vissuto 8 anni nella Svizzera italiana, a Lugano, dove ho conseguito il Master in Pedagogia Musicale, Perfezionamento e Solista. I miei studi li sono stati sostenuti da Borse di studio di Fondazioni e Privati. Di seguito al Titolo di Pedagogia, ho partecipato e vinto una selezione internazionale per professori presso il Dipartimento Scuola di Musica della stessa Università. Sono stata docente di violino per 4 anni. All’inizio di questo percorso pensavo di arricchire la mia formazione, poi ho incontrato migliori possibilità di inserimento lavorativo. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? Mi sono sempre trovata molto bene all’estero con la formazione italiana che ho ricevuto. Devo dire che la preparazione generale che possiamo ricevere noi è superiore alla spagnola, per esempio. In Svizzera ho potuto fare tesoro delle mie conoscenze acquisite in Italia. La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, un maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione el ruolo di musicista? Di seguito alla mia permanenza in Svizzera, ho passato un semestre a Salisburgo presso il Mozarteum. Li ho davvero sentito il riconoscimento dei musicisti. Gli organismi, pubblici e privati, le installazioni, le strutture sono disegnate e funzionano intorno alla figura del musicista. Essendo in possesso del Diploma Magistrale, avevo la possibilità di accedere all’insegnamento pubblico o probabilmente ad un Conservatorio, ma la mia collocazione nelle graduatorie, prima di Istituto, poi provinciali, era cosi lontana dai primi posti che ho sempre pensato di cercare lavoro altrove. (Sta parlando dell’Italia?) Le condizioni erano sempre molto meno interessanti che quelle all’estero (soprattutto in Svizzera). Come interprete strumentista, a seguito di numerose audizioni negli enti locali non mi rimaneva che offrire i miei concerti fuori dalla mia terra d’origine. Ciò che mi veniva proposto erano collaborazioni la maggior parte delle volte a nero e in condizioni direi in condizioni lamentevoli. Che cosa Le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? Il sistema di reclutamento nei Conservatori, il percorso didattico, l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) ? 39 Sono residente in Spagna, Andalusia, da 6 anni e in questo periodo ho potuto assistere a 2 concorsi di reclutamento di docenti (circa uno ogni 4 anni) e numerosi bandi indetti da Conservatori o Accademie omologate ai quali quasi tutti i ragazzi appena o da poco diplomati vi hanno partecipato con risultati positivi. Questo favorisce molto più la occupazione dei professionisti del settore. D’altra parte pero le orchestre dal 2008 (tempo della crisi) hanno diverse difficoltà. Si parla di mancanza di formazione al marketing e all’organizzazione musicale. Le materie didattiche che in Italia si approfondiscono soltanto a seguito del Diploma/Laurea, dovrebbero, a mio avviso, essere materia di studio che accompagnano i corsi medi e superiori. Altro valore aggiunto delle audizioni all’estero: chiarezza e poca corruzione in sede di audizione/concorso. Cosa che ahimè in Italia, ho vissuto in forma costante e cronica. Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? Riformare strutturalmente e attualizzare i programmi degli Istituti Artistici, creare ponti culturali con Paesi in Europa. Creare e fomentare alternative di economia tra il pubblico e il privato. Far vivere la realtà artistica da vicino interessando anche la cultura mediatica e storico/sociale. GIUSEPPE DEVASTATO – Pianista – Madrid Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? G: Mi sono formato presso il Conservatorio Statale di Musica “D. Cimarosa” di Avellino, laureandomi a pieni voti in Pianoforte con Carlo Alessandro Lapegna, Composizione con Giacomo Vitale e Strumentazione per Banda da solo. Sin da ragazzo per cercare di farmi conoscere ho preso parte a diversi Concorsi Nazionali e Internazionali collezionando 28 premi, tutto questo mi ha permesso di poter suonare per un pubblico e iniziare (come si suol dire) a farmi le ossa, dato che per mentalità italiana se non sei già nessuno non hai spazi. Attualmente svolgo l’attività concertistica in tutto il mondo (Europa, Asia e America) tenendo recital e parallelamente quella di compositore (recentemente ho ricevuto un ulteriore riconoscimento in America con la Medaglia d’Oro al Global Music Awards 2015 di Los Angeles per la mia ultima composizione “Toccata” ed il nuovo disco “The Pianist Composer”). Sono docente di Pianoforte e Musica da Camera presso l’Universidad de Musica y Artes Escenicas “Alfonso X el Sabio” di Madrid, unica Università in tutta la Spagna a rilasciare un titolo di studio equipollente in Europa. 40 La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? G: La mia attuale collocazione lavorativa semplicemente l’ho guadagnata col sudore, ovvero sono venuto a Madrid nel 2011 stanco di subire ingiustizie in Italia. Non ho nessun timore nel dire che se vuoi avere un lavoro nel nostro Paese del Bel Canto (forse una volta, perché oggi nemmeno più questo abbiamo) devi appartenere ad una casta, che sia religiosa, politica o altro non fa nessuna differenza. Non essendo per principio una persona che scende a compromessi, dopo aver subito umiliazioni e delusioni ho semplicemente fatto la valigia e preso un aereo verso Madrid dove ho fatto due colloqui di lavoro (suonato e insegnato ad alunni di diverso livello) e nello stesso giorno mi hanno assunto. In questi lunghi quattro anni ho lavorato sodo e a settembre 2015 sono stato invitato dall’Universita Alfonso X el Sabio ed ho accettato con grande felicità. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo ? G: Assolutamente più facile rispetto l’Italia, per la ragione che all’estero ti valutano con criteri meritocratici e non con lo stemma di appartenenza. Il musicista italiano è molto rispettato all’estero perché per fortuna abbiamo ancora la grande tradizione della scuola italiana basata su una buona preparazione; e poi la nostra musicalità, secondo mio modesto parare, fa si che possiamo difenderci abbondantemente. Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? G: Penso che la formazione italiana sia una delle più complete anche se con l’avvento del nuovo ordinamento di studi stiamo perdendo colpi. Riguardo la mia esperienza attraverso Masterclass tenute in giro, posso constatare che la preparazione italiana regge ancora il confronto con i paesi dell’Est Europa, ma dedicherei più ore allo strumento che solo alla teoria. La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? 41 G: Purtroppo si e sono più preoccupato per le nuove generazioni, non conosco adesso quale siano i requisiti per poter insegnare in Conservatorio ma da quel che sento in giro si continua ad agire scorrettamente. Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista? G: Assolutamente sì, da quando mi sono trasferito ho sentito una energia diversa e tutto questo ha favorito lo sviluppo della mia carriera in soli quattro anni. Sono stato considerato dal primo momento, rispettato e ho avuto la possibilità di poter far conoscere la Scuola Napoletana attraverso concerti e docenza. Credo che vivere all’estero sia più difficile perché non conosci nessuno, ma allo stesso tempo hai una gran voglia di affermarti e anche se devi sgomitare, come anche nel nostro Paese, almeno lotti alla pari e ti danno una possibilità per dimostrare qualche cosa. Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli? G: Sì certo, nonostante tutto amo il mio Paese e la mia città, sono di Napoli. Continuo ad avere contatti con alcune istituzioni musicali: il CDPM di Bergamo che ogni anno mi invita a tenere masterclass, la Filarmonica di Benevento, l’Accademia Musicale Europea napoletana del Mº Luciano Ruotolo, con musicisti tra cui il Direttore Francesco Ivan Ciampa, Antonio Di Palma (nipote di Aldo Ciccolini) e varie realtà musicali legate alla Scuola Napoletana da cui provengo. Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) ? G: Soprattutto la mentalità arcaica legata a dei sistemi che già erano in vigore negli anni settanta. Basta guardare i programmi delle Fondazioni o teatri e vi si trovano sempre nomi che finiscono in “ovonov, escu, enko, etc, etc,” solo per dire che avere nomi dei paesi dell’est è più di richiamo per il pubblico e molto vantaggioso per l’istituzione che spende circa la metà rispetto a un musicista italiano. Darei più spazio ai giovani, in Italia ci sono tantissimi talenti che per emergere devono andare fuori cercando la loro strada mentre potrebbero tranquillamente trovarla nel loro Paese. 42 Abolire la formula degli scambi, io invito te, tu me! Oggi sorrido perché un collega mi diceva che adesso non si chiama più scambio concertistico ma “cortesia”, trovo tutto questo ripugnante verso se stessi, la musica e la società. Investire di più nella cultura, vedi la Spagna che nonostante la crisi è riuscita a restare a galla e risalire proprio perché ha investito quel poco che aveva anche nella cultura, concerti, mostre e tutto ciò che poteva rendere visibile il paese. Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? G: Di utilizzare un sistema meritocratico, basato sul valore della persona e non sui titoli acquisiti attraverso concertini fatti nella parrocchia del paesello mentre coloro che preparano programmi difficili esibendosi in tutto il mondo e rappresentando il proprio paese, sono invece esclusi per insufficienza di punteggi artistici. Come ben sappiamo ci sono tantissimi casi come questi e chi ne soffre non è solo l’Istituzione stessa ma bensì la società. Eventuali altre considerazioni. Mi auguro che le prossime generazioni possano avere più chiarezza e maggiori opportunità e che non debbano andar via come me. Per chi mi vorrà seguire può farlo sul mio sito web: www.giuseppedevastato.it FRANCESCA ROMANA DI NICOLA – Arpista – San Sebastian Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? In Italia, mi sono diplomata in Italia in arpa presso il Conservatorio "A.Casella" dell'Aquila con A. Bianchi con il massimo dei voti e la lode; nel 2006 ho vinto una borsa di studio presso I'Accademia del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino sotto la direzione di Zubin Mehta, e nel 2008 ho conseguito l'idoneitá per l'Orchestra Giovanile Italiana. Contemporaneamente ho preso la specializzazione in "Discipline Musicali ad Indirizzo Solistico" con 110 e lode. Dopo aver vinto una borsa di studio Erasmus sono partita nel 2007 per la Spagna a San Sebastian (Conservatorio Superiore"Musikene" dei Paesi Baschi) , ho deciso di stabilirmi li e perfezionarmi con la professoressa francese Frederique Cambreling, ottenendo nel 2012 un secondo titolo superiore (corso della durata di 4 o 5 anni) Nel 2011 ho vinto una borsa per l'Accademia di musica Contemporanea di Lucerna sotto la guida di Pierre Boulez, grazie alla quale ho approfondito il repertorio 43 contemporaneo, costituendo una svolta importante nell’ambito personale e della carriera. Contemporaneamente ho collaborato con I'Orchestra Sinfonica di Pescara, l'Officina Musicale Italiana, l'Orchestra Regionale Umbra, la Camerata Strumentale di Prato in Italia. In Spagna con l'Orchestra Filarmonica di Oviedo, l'Orchestra Sinfonica dei Paesi Baschi ( presso la quale lavoro attualmente) con con l'Orchestra Sinfonica di Bilbao. l'ensemble Zahir di Siviglia, l'Ensemble Kaabestri. In Germania con la Das Neue Orchester di Colonia. In Algeria, come solista invitata presso l'Orchestre Symphonique Nationale Algerien. In Francia,con l'Orchestre de Pau Pays de Bearn e l'Ensemble Intercontemporain di Parigi, con il quale ho partecipato ad una tournée europea sotto la direzione di Pierre Boulez, presso prestigiose sale da concerto tra cui il KKL di Lucerna, la Salle Pleyel di Parigi, il Prinzenregententeather di Monaco di Baviera, Il Concertgebouw di Amsterdam, il Royal Festival Hall di Londra. La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? Si , e decisamente posso affermare che la svolta della mia vita a livello personale umano e di carriera, è avvenuta proprio grazie all’Erasmus. L’inizio di tutto è stato il fatto di aver vinto la borsa Erasmus del Conservatorio Casella che mi ha permesso di partire per la Spagna nel 2007. Le incognite erano tante, e sinceramente non pensavo di stabilirmi all’estero in un primo momento, semplicemente sentivo dentro il desiderio e la necessita’ di aprire nuovi orizzonti, nuove possibilitá ed esperienze. Oltre ad arricchire la mia formazione musicale cercavo nuovi stimoli, l’incontro con una cultura di un paese diverso, dare impulso a una nuova ricerca a livello personale musicale e umano. E cosi’ è stato, l’Erasmus è una esperienza incredibile che consiglio davvero a tutti gli studenti. Ringrazio in particolare il professore di musica da camera Alvaro Lopez per aver creato il primo contatto con il Conservatorio Musikene dei Paesi Baschi, per avermi appoggiato e sostenuto sempre con tenacia ed affetto prima, durante e dopo la fantastica esperienza Erasmus. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? 44 Credo che in generale la formazione musicale italiana sia abbastanza solida per quanto riguarda la teoria musicale di base, ma spesso a livello specificatamente strumentale i programmi, la struttura degli esami e i piani di studio si sono rivelati abbastanza obsoleti o inefficaci rispetto agli standard internazionali, soprattutto in vista di uno sbocco professionale. Un aspetto che mi ha colpito molto del sistema musicale all’estero è che in generale la preparazione e formazione musicale è tuttuno con la preparazione – educazione “psico-fisica ” allo strumento. Esistono materie importantissime che fanno parte integrante della formazione dei giovani musicisti come riconduzione posturale, fisioterapia applicata allo strumento suonato e alla struttura fisica del musicista; la coscienza del lavoro personale che il musicista deve svolgere a livello corporale e mentale; l’analisi della compensazione posturale dello sforzo fisico e della postura, lo studio dei metodi di concentrazione e respirazione, nonché la preparazione all’affrontare mentalmente e fisicamente il pubblico, gli esami, delle eventuali lesioni, la prevenzione di tendiniti, la stanchezza ecc. La formazione del musicista è completa: fin dall’inizio del percorso di studi viene offerta non solo una educazione musicale, ma anche una formazione fisico – psichica appropriata. Un altro aspetto importante è l’obbligo della liuteria, lo studio tecnico dello strumento per gli strumentisti, elementi di riparazione e “primo soccorso” nella manutenzione dello strumento. In sostanza ci sono una serie di elementi considerati fondamentali per l’equilibrio di un musicista che in Italia non sono tenuti seriamente o almeno sufficientemente in considerazione . La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista? Si purtoppo. A malincuore devo ammettere che la qualitá del lavoro all’estero risulta migliore, poiché comparando lo stesso tipo di lavoro in Italia e all’estero, fuori ci sono moltissimi vantaggi come per esempio lo statuto speciale di Artista, l’esistenza di borse di compensazione economica ai musicisti intermittenti free lance, diritti speciali di esecuzione AIE , una retribuzione fino a tre volte superiore rispetto all’Italia, ma soprattutto un grandissimo riconoscimento morale istituzionale, culturale (oltre che legale) alla figura del musicista. Ho visto negli anni come molti amici musicisti italiani abbiano affrontato senza aiuto di nessun tipo dinamiche avverse : cercando di arrivare a fine mese compaginando piu’ lavori, spesso con contratti in nero o pseudo contratti con retribuzioni infraumane, o nel peggiore dei casi l’abbandono totale della musica . 45 Personalmente mi ritengo molto molto fortunata. Certamente ho dovuto fare delle scelte e moltissimi sacrifici, ma sono felice di poter svolgere la professione per cui ho studiato con passione e vivere di questo splendido lavoro, per cui ho lottato sempre con energia. Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli? Ho continuato ad avere contatti professionali con l’Italia, dove con piacere e affetto torno a lavorare a volte per esempio con l'Orchestra Regionale Umbra e la Camerata Strumentale di Prato. Mi é capitato invece il piu’ delle volte di venire a suonare in Italia all’interno di gruppi musicali esteri.Ricordo dei bellissimi concerti nel 2011 con L’Ensemble Intercontemporain a Milano e Torino dove ha diretto Pierre Boulez, in quella che è stata la sua ultima apparizione in pubblico. Oppure due anni fa con l’Orchestra dei Paesi Baschi, quando ho suonato alla Biennale di Venezia di Musica Contemporanea. Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) ? A livello istituzionale e politico dovrebbe esserci un maggiore impegno e sforzo per risollevare gli enti di produzione. Alla base occorre un cambio di mentalitá da parte della societá in generale nei confronti della figura professionale del musicista. Per quanto riguarda in particolare le amministrazioni degli enti organizzatori, le orchestre, i teatri, le societá concertistiche ecc. non è possibile considerare la gestione di un ente musicale semplicemente come fosse una “fabbrica”, le dinamiche sono molto piu’ complesse. In molti casi purtoppo i vertici non sono formati adeguatamente alla gestione di un ente musicale, oppure, cosa ancora peggiore, non hanno la benché minima idea della musica o di quali siano le problematiche dei musicisti. In geneale occorre una presa di coscienza seria del patrimonio culturale musicale che abbiamo, del nostro grandissimo potenziale musicale interno. Le istituzioni devono tutelare il piu’ possibile il musicista professionale, invece in Italia questa figura lavorativa in molti casi non e’ non è sufficientemente protetta o addirittura considerata, a livello legale in quanto a formazione e a lavoro si percepisce un caos totale. A livello delle istituzioni dei Conservatori è importantissimo continuare a sostenere ogni singolo alunno affinché possa avere la possibilitá di fare della musica il proprio mestiere incentivando le attivitá e le opportunitá.. 46 . Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? Oltre alla eccessiva precarietá musicale che costringe molte persone a lasciare la propria patria o cercare altri sbocchi lavorativi ben lontani dalla proria formazione, ci sono troppe realtá musicali sommerse e/o soffocate da una legislazione ambigua. Occorre una tutela legislativa e un riconoscimento “vero” alla professione del musicista. Eventuali altre considerazioni. La cosa incredibile é che all’estero siamo sempre stimati da tutti , l’Italia è considerata la patria del linguaggio musicale che ha conquistato il mondo, ma nella nostra terra non diamo importanza al nostro patrimonio e questo è davvero molto , molto triste. Perció se all’interno delle istituzioni e ai vertici non si prende coscienza del fatto che i professionali della musica stanno scomparendo e/o risultano profondamente vulnerabili e vulnerati, non è possibile alcun cambio, non c’è via d’uscita, poiché questa è una perdita del bene piu’ prezioso per un paese: il potenziale umano. Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? Dopo aver iniziato lo studio del contrabbasso, sotto la guida del Maestro Leonardo Presicci, presso il liceo musicale di Taranto, mi sono trasferito a Roma per continuare gli studi con il Maestro Massimo Giorgi.Ho ottenuto il diploma del 1997 e nello stesso anno ho vinto la seconda ed. del Concorso W. Benzi nella città di Alessandria. Ho potuto arricchire il mio bagaglio culturale avvalendomi di prestigiosi insegnanti come Dorin Marc, Pino Ettorre e Antonio Sciancalepore. La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? 47 La mia unica esperienza all’estero, durante la fase formativa, è stata a Ex en Provance (Francia), dove ho avuto modo di studiare con il Maestro Jean-Marc Rollez. Sono arrivato in Francia grazie a una borsa di studio che mi ha permesso di entrare a far parte della O.J.M. (Orchestre de Jenues de le Mediterranèe), avendo l'opportunità di perfezionarmi in un ambito ricco di stimoli e diversità musicali dovuti al fatto che l'orchestra raccoglieva al suo interno musicisti provenienti da tutti i Paesi del Mediterraneo. Non immaginavo un futuro lavorativo all'estero. La Francia rappresentava una mera opportunità formativa. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? Credo di poter affermare, senza facili campanilsmi, che il metodo di insegnamento italiano sia fra i migliori al mondo, riconosciuto e apprezzato a livello internazionale. Certamente il sistema potrebbe essere migliorato e arricchito di iniziative che possano favorire il corso formativo degi alunni, ma senza dubbio il corpo docente italiano è fra i più qualificati sul mercato.Lo stile musicale del bel paese che abbiamo il privilegio di rappresentare, ci viene tramandato dai nostri Maestri e noi abbiamo la responsabilità di custodirlo e trasmetterlo a coloro che si avvicinano a questo mondo. La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista? La scelta di trasferirmi all’estero è stata suggerita da una situazione precaria che vivevo in Italia. Nonostante avessi vinto tre audizioni nella O.R.L. (Orchestra Regionale del Lazio), non godevo di una sicurezza economica e lavorativa in vista del futuro. Spinto da questa precarietà ho iniziato a guardarmi intorno e la realtà spagnola mi sembrava soddisfacesse le mie esigenze e le mie aspettative. In effetti dopo aver vinto, nel 2001, il concorso presso l'Orchestra di Còrdoba, ho potuto constatare che all'estero la nostra professione ha maggiori riconoscimenti sociali rispetto all'Italia. Quando ti chiedono di che ti occupi e dici di essere musicista, non segue la domanda di rito: e poi? Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli? 48 Continuo a mantenere contatti con l' Italia, da cinque anni collaboro con la OIDI (Orchestra Internazionale d'Italia) al Festival della Valle d'Itria, a Martina Franca. Per me è un grande onore poter fare musica in un ambiente cordiale e familiare, in una orchestra che vanta una gestione virtuosa grazie al suo Presidente Sandro Marcotulli, che ha saputo mantenere coesa, per quasi trent'anni, questa realtà composta da prestigiosissimi Maestri provenienti da tutto il mondo. Negli ultimi anni, la presenza del Direttore Fabio Luisi, ha esaltato le doti dal punto di vista artistico, già bene espresse dal lavoro pregresso del Maestro Alberto Triola. Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) ? La musica rispecchia la nostra società e il nostro modo di essere italiani, nel bene e nel male aimè. Lascerei in cassaforte il nostro belcanto, il fraseggio elegante, i Direttori come Franco Ferrara e cambierei qualche burocrate magari non troppo onesto. Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? Dal momento che mi viene offerta questa bellissima opportunità di esprimere un mio parere sul Vs. autorevolissimo giornale, punterei a fare un appello ancora più in alto, chiedendo ai politici di impiegare al meglio le risorse economiche a diposizione del Paese in ambito artistico e culturale. La cultura deve essere la colonna portante della nostra società, al fine di creare una massa critica che possa fare la differenza e ci permetta di affrontare con serenità e onestà intellettuale il futuro. Il mio impegno politico come consigliere dei Comites di Madrid mira al raggiungimento di questo ideale e in qualità di Presidente della Commissione Cultura, mi dedico alla divulgazione all'estero delle eccellenze del nostro patrimonio artistico-culturale. STATI UNITI FABRIZIO MANCINELLI – Compositore di musica applicata – Los Angeles Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? 49 Dopo aver studiato pianoforte privatamente per un qualche anno, ho frequentato i corsi di Composizione (Vecchio Ordinamento) e Direzione d’Orchestra, conseguendo entrambi i titoli con lode nel 2006. Successivamente sono stato borsista presso l’Accademia Musicale Chigiana nel 2006 e 2007, frequentando il corso di Musica per Film con il premio Oscar Luis Bacalov. Attualmente vivo e lavoro a Los Angeles nel campo della musica applicata (Cinema, Tv e media) La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? Grazie ad una borsa di studio Fulbright ho potuto conseguire un post-graduate in Musica per Film, Tv e Videogames presso la University of Southern California. Da sempre, anche dietro consiglio di docenti e maestri di cui son stato assistente, desideravo arricchire la mia preparazione culturale e musicale in ambito internazionale, con uno sguardo rivolto al futuro ed al mio desiderio di esercitare l’attivita’ di compositore. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? Posso dire di aver avuto molta fortuna per quanto riguarda i docenti che ho incontrato nel mio percorso italiano (Alessandro Cusatelli per la Composizione e Marcello Bufalini per la Direzione d’Orchestra – ma ho piacere di menzionare anche Luisa Prayer e Sergio Prodigo in particolare, che al pari di altri hanno contribuito in maniera unica alla mia formazione). Tuttavia devo tristemente constatare che, specialmente nel campo della composizione il nostro bel Paese e’ ancora prigioniero di una scuola che ha annichilito la nostra migliore tradizione musicale, creando da un lato emuli di una ideologia musicale ormai ferma a 50 anni fa e dall’altro cumuli di brani gia’ sentiti mille volte. Con le dovute eccezioni ovviamente. La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti 50 e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista? Tutti i summenzionati fattori hanno inciso con la mia scelta, con la non trascurabile considerazione della tradizione italiana di liquidare gli onorari a 90 giorni (se va bene – in un caso ho dovuto attendere 3 anni). Qui, da solo e senza conoscere nessuno (preventivamente) ho avuto la fortuna di lavorare per clienti come Disney, Lionsgate, Hallmark, NBC e di comporre le musiche originali per i Golden Globes. Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli? Collaboro occasionalmente con la Rai (che e’ il mio piu’ conistente editore in Italia), ma sempre piu’ spesso scelgo di lavorare con privati (piu’ puntuali nella liquidazione delle spettanze economiche) come Mediaset e studi privati (Pubblicita’, arrangiamenti). Uno degli onori piu’ grandi e’ stato collaborare con lo studio Bozzetto (Bruno Bozzetto, autore di “Allegro Non Troppo”), pari per me alla soddisfazione che ho di lavorare qui in America con Disney. Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) ? Preferisco non esprimermi in merito, ma una cosa la dico: credo che, contrariamente alla nostra “cultura”, il posto fisso non dovrebbe esistere nella realta’ musicale. Suonare in un’orchestra non deve essere ridotto al “timbrare un cartellino”, ma rinnovarsi e rimanere sempre preparati come per un’audizione. Troppe volte mi sono scontrato con realta’ poco piacevoli in cui un sindacato interrompeva una prova o i musicisti suonavano contro voglia. Qui negli Stati Uniti il compositore viene visto come parte del team dai musicisti dell’orchestra – un suo successo e’ un successo per tutti. Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? La situazione e’ complessa, con i costanti tagli statali alle Istituzioni culturali e con l’impossibilita’ per i privati di finanziare in un adeguato sistema di detrazione fiscale gli Enti che fanno cultura (come avviene qui). Sicuramente molte cose sono gia’ cambiate dai miei diplomi nel 2006 (10 anni fa!!!!), ma ad 51 esempio capire che la musica contemporanea non e’ piu’ quella degli anni ’60 (bensi’ quella composta nella contemporaneita’) sarebbe un primo passo. La musica applicata, la musica pop dovrebbero entrare a far parte degli ordinamenti di tutti i conservatori e non di un limitato numero di essi in una sorta di sperimentazione perenne. E probabilmente uno sguardo piu’ attento ai paesi Europei ed extra-europei (senza paura di dover imparare qualcosa ed insegnare qualcos’altro) gioverebbe. Eventuali altre considerazioni. Ovviamente i corsi qui negli Stati Uniti hanno costi esorbitanti (anche 40.000/50.000 dollari per un anno di corso)...e questo e’ il rovescio della medaglia...ovviamente. PAOLO MARCHETTINI – Compositore – New York Ci può riassumere brevemente le tappe della sua formazione musicale in Italia e la sua attuale attività lavorativa all’estero? -Diploma in Clarinetto 1997 (con G. Russo) -Diploma di Composizione 2001 (con Ivan Vandor) - Musica Corale e Direzione di Coro 2001(con C. Dall’Albero) presso Conservatorio Santa Cecilia di Roma - Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Perfezionamento in Composizione (A. Corghi) 2005 -Laurea DAMS Universita’ Tor Vergata, Roma 2005 Attualmente: Composition Faculty, Berklee College of Music (Boston) Theory Faculty, Manhattan School of Music (New York) La sua attuale collocazione lavorativa era stata preceduta da un periodo di studi all’estero, attraverso Erasmus o borse di studio o altro? In caso positivo, la scelta era stata dettata semplicemente dal desiderio di arricchire la sua formazione o già intenzionata ad un futuro fuori d’Italia? Precedentemente Masterclasses in Francia. Dottorato in Composizione presso Manhattan School of Music di New York (con Richard Danielpour) Desiderio di arricchirmi come artista e uomo. Desiderio di cambiamento. Qual è, a suo avviso, l’impatto di un giovane musicista italiano nel sistema musicale europeo ? Si può dire che la formazione musicale (strumentale, vocale, 52 compositiva o direttoriale) italiana sia adeguata agli standard internazionali o ancora arroccata su posizioni superate? L’impatto di un giovane musicista varia di caso in caso. Quel che ho notato e’un certo immobilismo, soprattutto in Italia, e scarsa voglia di approfondire artisti nuovi. Spesso anche dopo successi internazionali, non seguono altre occasioni di approfondimento. A mio parere la preparazione dei, buoni, musicisti Italiani, e’ ancora valida. La scarsa disponibilità di collocazione nelle istituzioni musicali in Italia ha influito sulla scelta di restare all’estero? Quanto invece altri fattori, come una diversa qualità del lavoro, una maggiore prospettiva di riconoscimenti e di considerazione del proprio merito, una maggior considerazione del ruolo di musicista? Maggiore riconoscimento all’estero. Maggiore professionalita’. Maggiori possibilita’ di affermarsi con il proprio talento, e serieta’, piuttosto che attraverso altre vie. Maggiori guadagni e possibilita’ di crescere come artista. Maggiore valorizzazione. Dopo aver stabilito la propria sede lavorativa e di vita all’estero, ha continuato ad avere contatti professionali con l’Italia? Se sì potrebbe parlarci di quelli che ritiene essere stati i più considerevoli? Si’. ho contatti piuttosto regolari con alcune istituzioni Italiane. In particolare Nuova Consonanza, di cui faccio parte come socio, e L’Orchestra Regionale Toscana, che mi ha commissionato diversi lavori. Che cosa le sembra maggiormente necessario di cambiamento in Italia? l’organizzazione degli enti di produzione (orchestre, teatri, società concertistiche, ecc) ? In Italia, si e’ancora spesso legati a logiche a mio avviso stagnanti, e non produttive. Andrebbero incoraggiati Sponsor privati, non contando solo su sovvenzioni statali che sono sempre piu’scarse. Gli enti dovrebbero essere meno chiusi nelle loro conoscenze, ed avere anche un approccio meno provinciale con l’estero. Ma il discorso e’ troppo lungo e complesso per essere affrontato in poche righe. Eventualmente quali istanze potrebbero essere presentate ai responsabili delle istituzioni, direttori artistici o dirigenti ai vertici del sistema dell’Alta Formazione? Ho bisogno di rifletterci piu’ a lungo. Eventuali altre considerazioni. L’Italia ha paura del cambiamento. Si ha paura di cio’ che e’ nuovo, e cio’ che 53 cambia. Anche noi Italiani che viviamo all’estero, veniamo a volte visti con sospetto. Questo atteggiamento a mio parere deve cambiare. 54