Patologia generale Prof.ssa Batetta Lezione 6 – parte 2 13 Ottobre 2012 Federica Usai Torniamo a ridefinire il concetto di stress. L’organismo può adattarsi, ma se lo stress è troppo intenso abbiamo danno: se il danno è lieve può essere riparato; se il danno è intenso o dura a lungo si va incontro a necrosi. E’ importantissimo il rapporto che hanno cellula e tessuto con l’organismo esterno. Per cui quando c’è un adattamento, c’è una risposta, c’è sempre una maggiore richiesta funzionale, a quella cellula e a quel tessuto. Non a caso abbiamo preso come esempio un culturista, che possiamo dire abbia sviluppato un adattamento fisiologico. Però se quello stesso culturista sviluppa una resistenza causata dall’ipertensione arteriosa, poiché ha i muscoli ipertrofici, il suo cuore avrà problemi nel nutrire tutto quell’apparato muscolare. Nel caso dell’ipertrofia ventricolare la causa del cedimento della fibra muscolare è che questa non si accorcia più e abbiamo la dilatazione. Quel ventricolo non ha la forza di prima e si può andare in insufficienza cardiaca. In sostanza l’organismo ce la fa ad adattarsi però se si rimuove lo stimolo è meglio, per consentire il recupero della corretta funzionalità dopo lo stress. Parlando di iperplasie fisiologiche una di queste è la gravidanza, dove gli organi coinvolti saranno soprattutto gli organi bersaglio degli ormoni della gravidanza. L’apparato ormonale presente durante la gravidanza agisce a livello di tutto l’organismo, ma soprattutto a livello dell’apparato genitale femminile e delle mammelle: deve essere preparato non solo l’ambiente ideale per la crescita del feto ma anche il futuro nutrimento di quel bambino quando nascerà. Esistono anche delle iperplasie patologiche: ad esempio un adenoma ipofisario che iperproduce TSH causerà anche una ipertrofia tiroidea. Le iperplasie sono una risposta a un eccessivo stimolo da ormoni regolatori, e questa è una cosa che si incontra spesso in patologia, soprattutto nell’endocrinologia. Poi c’è la risposta compensatoria, quando c’è la rimozione del parenchima epatico questo può riproliferare, sennò si morirebbe di epatite acuta. Diciamo che il tessuto epatico è un organo stabile perché normalmente non prolifera un granchè tranne che per il normale rinnovamento, ma se viene meno parte del parenchima ecco che viene attivata la proliferazione. E vedete qui le vie che possono essere attivate, c’è lo stress meccanico che abbiamo visto nel culturista e abbiamo visto nel caso di ipertrofia ventricolare, ma abbiamo anche l’effetto o da ormoni o da fattori di crescita. E’ sempre uno stimolo che parte dall’esterno e che è in grado di attivare una trasduzione del segnale che attiva fattori di trascrizione che agiscono a livello nucleare e a livello di espressione genica. L’atrofia è determinata dalle cause opposte: utilizzando meno l’apparato locomotore viene meno il lavoro richiesto, con l’attivazione del sistema ubiquitina-proteasoma. Anche l’atrofia è spesso determinata da cause patologiche. Prima abbiamo parlato di tumore dell’ipofisi secernente TSH, ma se invece è un tumore compressivo che impedisce all’ipofisi di produrre TSH avremo atrofia tiroidea, proprio perché manca lo stimolo del TSH che agisce a livello di tiroide. La tiroide priva dello stimolo diventa atrofica come diviene atrofico l’arto se questo non viene utilizzato, ad esempio a causa dell’immobilizzazione dopo una frattura. Anche gli arti di persone che soffrono di distrofia muscolare sono atrofici. L’atrofia è quindi data da una riduzione di cellule perché viene meno la richiesta di lavoro, di tipo chimico o fisico che sia. L’unica cellula che si sgancia da questo controllo è la cellula tumorale, maligna soprattutto. La metaplasia è invece un tipo di modificazione reversibile per cui un tipo cellulare differenziato viene sostituito da un altro tipo cellulare differenziato. Un esempio è quello che succede alla mucosa respiratoria dei fumatori: l’epitelio cilindrico ciliato viene trasformato in epitelio pavimentoso pluristratificato. La metaplasia è una modificazione del tessuto in adattamento a particolari condizioni, non c’è più la presenza di ciglia vibratili, per cui a questo livello l’epitelio sarà anche più resistente però funzionalmente è meno efficace. Può verificarsi una cosa simile nell’esofago di quei soggetti che hanno un continuo reflusso gastroesofageo. La secrezione acida dello stomaco che arriva a livello della parte inferiore dell’esofago danneggia la parete stessa dell’esofago che non possiede alcun sistema di protezione alternativo dato che non possiede ghiandole mucipare e non può quindi neutralizzare quell’acido. Anche la modificazione che avviene a questo livello è una forma di metaplasia. Parliamo della morte cellulare. Viene causata per esempio con le radiazioni ionizzanti quando l’agente lesivo è molto intenso: in questo caso abbiamo la morte violenta (necrosi) e l’organismo se ne accorge. In altri casi abbiamo un modo più raffinato per morire (apoptosi), l’organismo potrebbe non accorgersene, rimane tutto più silente e discreto. Abbiamo comunque diversi tipi di morte: - morte cellulare programmata che coincide praticamente con l’apoptosi, c’è un minimo di differenza; autofagia, continuamente l’organismo si rinnova però a volte si ha proprio l’esaurimento e l’autodistruzione cellulare; - oncosi e necrosi sono le morti cellulari violente di cui abbiamo parlato prima, dove la necrosi è l’osservazione post-mortem dell’oncosi; piroptosi, che non viene ancora trattata nei libri di testo, ma è ritenuta responsabile di molte patologie soprattutto metaboliche, reumatiche, e molte altre. La piroptosi è un tipo di morte indotto dall’infiammazione, si ha attivazione di caspasi e produzione di interleuchina-1 che è una citochina con un’imponente attività proinfiammatoria. E’ stata considerata anche responsabile del diabete di tipo II e di altre patologie molto diffuse. Parliamo di morte cellulare che non è stata programmata, quindi con cause violente, dove è intervenuto un agente lesivo intenso, non necessariamente prolungato. Basta pensare a un incidente stradale con traumi multipli. Le cause di malattia possono essere chimiche, tossiche, infettive, ischemiche, fisiche e metaboliche: se intense possono tutte provocare necrosi. Molti agenti, come le radiazioni e l’infiammazione, provocano la morte attraverso la formazione di specie reattive dell’ossigeno. Prendiamo in considerazione il foruncolo, che è costituito da batteri tipo lo stafilococco aureo, neutrofili morti (perché i neutrofili dopo che reagiscono muoiono), e soprattutto cellule del tessuto morte: questo non è altro che il risultato del processo infiammatorio, non del batterio, ma della risposta infiammatoria. Come vedremo quando faremo più dettagliatamente l’infiammazione acuta ma soprattutto quella cronica i granulociti neutrofili ammazzano i batteri rilasciando il contenuto dei loro granuli ma anche producendo specie reattive, radicali liberi. Anche un’iperossigenazione dannosa e varie altre sostanze chimiche portano alla formazione di specie reattive, per non parlare poi del danno da riperfusione che vedremo. La principale causa di morte è l’ischemia, ovvero il mancato afflusso di sangue al tessuto, la mancata ossigenazione, (ipossia, anossia), il mancato apporto di nutrienti. Prendiamo l’esempio di un individuo avvelenato col cianuro: l’ossigenazione c’è ma questo ossigeno non può essere utilizzato, per cui si blocca la fosforilazione ossidativa e si ha poi morte cellulare. Quando parliamo di ischemia ci viene in mente l’infarto del miocardio (infarto in generale è qualsiasi condizione in cui viene bloccato l’afflusso e porta a morte l’organo), l’ictus, che è un infarto cerebrale, l’infarto dell’intestino, o ancora condizioni che possono portare all’amputazione di piedi e gambe sempre per danno ischemico non riparabile, magari dovuto all’obliterazione di alcune arterie. In patologia umana l’ischemia è quindi una condizione molto frequente, interessa tutti quei centri metabolici, cardiologici, diabetologici che si occupano di prevenire l’infarto, intervengono sulle cause di malattie che favoriscono l’infarto e naturalmente vanno ad agire sull’evoluzione della malattia. Quando parliamo di necrosi parliamo fondamentalmente di tre aspetti: - deplezione di ATP, formazione di ossigeno e radicali liberi, aumento del calcio intracellulare. Tutto questo cosa comporta? C’è una diminuzione dell’ossigeno, successivo ingresso sodio e quindi acqua, attivazione di fosfolipasi,… Tutto ciò comporta danno a livello di membrana. Anche se il danno non è molto intenso ma viene comunque provocata un’alterazione a livello mitocondriale, ci sarà un’alterazione nella permeabilità della membrana mitocondriale con fuoriuscita di citocromo C e conseguente avvio verso l’apoptosi. Domanda: le cellule necrotiche rilasciano dei mediatori dell’infiammazione? No, le cellule necrotiche rilasciano degli enzimi e altre sostanze. I mediatori dell’infiammazione vengono rilasciati dalle cellule che intervengono nella risposta immunitaria. Si ha poi un rilascio di AMP ma lo vedremo fra poco. Il danno può essere non tanto grave ma durare per un periodo di tempo molto lungo e dare comunque morte. Prendiamo l’esempio di una coronaria non completamente occlusa in cui si ha poi il ripristino della circolazione. O meglio ancora quando è presente un’ischemia dovuta alla rottura di una placca arteriosa. Se l’individuo è fortunato si trova vicino a un centro che riconosce immediatamente l’infarto e può avviare immediatamente una terapia trombolitica, cioè di rottura di quel trombo che occlude il tutto. E’ una questione di fortuna: ancora oggi molte persone muoiono perché vengono mandate a casa in quanto sofferenti di dolori intercostali o di mal di stomaco, che erano dolori dovuti a infarto del miocardio ma che non sono stati riconosciuti. La morte può avvenire anche 24 ore dopo (a meno che non sia infarto fulminante e allora lì non c’è niente da fare). A Seattle ad esempio c’è la più bassa incidenza di morte per infarto perché le autoambulanze sono già medicalizzate, gli operatori davanti a un paziente con infarto si mettono in contatto col medico di un centro ospedaliero tramite un centralino e questo gli può dare così le indicazioni precise su cosa somministrare al paziente e sul dosaggio. Esempio: il cuore di un uomo (o di una donna diabetica di 50 anni, ha lo stesso rischio infartuale di un uomo) subisce una brusca interruzione per la rottura di una placca arteriosclerotica, si è formato un coagulo esuberante e di conseguenza non passa più sangue. Che cosa succede? Non passano né ossigeno né nutrienti: si blocca la produzione di ATP, ma la cellula inizialmente può intraprendere la via anaerobia, ha le riserve di glicogeno che possono essere utilizzate nella glicolisi. Attraverso la via glicolitica viene prodotto l’acido lattico dalla conversione del piruvato. Quando la cellula ha esaurito le sue risorse energetiche e non può più produrre ATP si bloccano le pompe sodio-potassio, il potassio esce dalla cellula e il sodio entra portandosi dentro anche l’acqua, perché ricordiamo che il sodio è una sostanza osmoticamente attiva. C’è quindi un rigonfiamento della cellula che può essere risolto nel giro di breve tempo se viene ripristinata la normale perfusione del tessuto. Nel frattempo entra anche il calcio e abbiamo non solo rigonfiamento cellulare ma anche rigonfiamento degli organuli cellulari. Avendo prodotto acido lattico, creiamo un ambiente acido all’interno della cellula, e l’aumento del calcio intracellulare ha la capacità di attivare degli enzimi litici, in primis le fosfolipasi. L’aumento del calcio intracellulare è quasi un momento di non ritorno per il destino della cellula. L’azione delle fosfolipasi vuol dire rottura delle membrane plasmatica, mitocondriali, nucleari e lisosomiali. I lisosomi rilasciano gli enzimi litici che vengono attivati dal pH acido presente ora all’interno della cellula e causato dall’acidificazione da parte dell’acido lattico (idrogenioni). Questo comporta digestione a tutti i livelli, rottura delle membrane, delle proteine comprese quelle strutturali e contrattili. Abbiamo quindi l’impossibilità di tornare indietro e soprattutto di riprodurre ATP in queste condizioni. Un altro problema che si può verificare è il danno da riperfusione: il soggetto ha superato il primo momento dopo il trauma, può essere considerato fuori pericolo ma poi magari muore dopo che viene ripristinata la circolazione nel distretto che ha subito danni. Questa era una situazione clinica molto frequente, ma visto che al giorno d’oggi si conoscono le conseguenze di queste complicanze si riesce a prevenire. Il danno da riperfusione non si manifesta immediatamente. La cellula era nella fase reversibile e si stava avviando verso la fase di irreversibilità: ci sono cellule sofferenti ma non ancora morte, mitocondri alterati ma non irreversibilmente danneggiati. Con la riperfusione arriva l’ossigeno, ed è possibile che non si riesca ad utilizzare correttamente l’ossigeno, che non viene ben gestito ma viene ridotto solo parzialmente causando la formazione di specie reattive, dei radicali liberi. Assieme alla componente ematica nutrizionale arrivano le cellule del sangue e quindi anche le cellule del sistema immunitario, granulociti, macrofagi, ecc. Queste cellule tissutali danneggiate possono quindi essere riconosciute dal sistema immunitario. Quindi il danno da ischemia e riperfusione è associato alla produzione di citochine proinfiammatorie, all’aumento delle molecole di adesione nella parete dei vasi vicini alla zona interessata che devono consentire alle cellule infiammatorie di migrare, e quindi richiamo di leucociti, polimorfonucleati,... Se l’ATP non viene più prodotto, c’è una caduta dei livelli di ATP e un aumento della concentrazione di AMP. L’AMP viene trasformato in ipoxantina attraverso un enzima che si chiama xantino-deidrogenasi. In condizione ischemica questo enzima non funziona più, anzi, in presenza di proteasi attivate calciodipendenti, diventa una xantino-ossidasi, che anziché utilizzare NAD+ come la xantino-deidrogenasi, utilizza l’ossigeno. La xantino-ossidasi trasforma l’ipoxantina in acido urico ed essendo in grado di utilizzare l’ossigeno ne impedisce la riduzione completa trasformandolo in anione superossido. L’ischemia ha causato dei cambiamenti all’interno della cellula tali da modificare anche il modo di utilizzo dell’ossigeno, che viene utilizzato da un enzima che prima lo ignorava completamente in quanto deidrogenasi. Da qui a opera della superossido-dismutasi c’è la formazione di acqua ossigenata ma anche di altri radicali liberi, quindi un aumento in generale della produzione di radicali liberi a livello di mitocondri. Ricordiamo però che la presenza dei mitocondri non efficienti causa la produzione di radicali liberi anche indipendentemente da questo meccanismo.