Intervista ad Adriana Mulassano e Bianca Cimiotta Lami Roma

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Intervista ad Adriana Mulassano e Bianca Cimiotta Lami
Roma, Accademia Koefia, 26 marzo 2009
A cura di Isabella Orefice
Partiamo con Roma. Qual è il futuro della moda a Roma?
(Adriana Mulassano) Francamente, il futuro della moda a
Roma non c’è. Alta Roma1 non esiste, il museo c’è ma è
depotenziato…
A quale museo ti riferisci?
(Adriana Mulassano) Al Museo Boncompagni Ludovisi che
nasce nel 1996, un progetto di un museo permanente della
moda a Roma, curato dalle studiose Stefania Giacobini, Patrizia
Vacalebri, Bonizza Giordani Aragno e Sofia Gnoli e sotto la
guida della direttrice, la dottoressa Gianna Piantoni. Ora il
Museo è diretto dalla dottoressa Mariastella Margozzi.
(Bianca Cimiotta Lami) Fondamentale a Roma è la costruzione
di un accademia che punti sull’artigianato, considerando il
valore aggiunto. Noi di Koefia organizziamo un 4° anno di
specializzazione per soggetti per creare continuità con le
première delle grandi sartorie. E gli stilisti hanno bisogno di
questo personale specializzato. Insieme a Valentino ci stiamo
attivando affinché si possano salvare questi mestieri
dell’artigianato a Roma.
(Adriana Mulassano) È certamente una peculiarità della città di
Roma; a Milano c’è solo industria e solo per aziende. È un
concept diverso!
Sarebbe davvero una bella idea! Che rapporti ci sono tra
l’Accademia di costume e moda e l’Accademia Koefia?
Nel 1988 nasce l’Agenzia per la moda spa, come sinergia tra le istituzioni del territorio.
Nel 2002 si trasforma in Società consortile per azioni sulla base dell’impegno di Camera di
commercio, Comune di Roma e Regione Lazio. Nel 2009 a questi tre partner si aggiunge
anche la Provincia, che entra a far parte della compagine societaria Alta Roma.
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(Bianca Cimiotta Lami) Ottimi! Ho organizzato un corso di
giornalismo di moda, dopo 3 anni sono andata via e subito lo hanno
attivato per altri tre anni con Adriana Mulassano.
(Adriana Mulassano) Condivido il senso del corso. Noi condividiamo
più linee dell’Accademia, e, di fondo, la serietà della scuola.
(Bianca Cimiotta Lami) È una struttura a cui sono molto affezionata;
ero l’Ufficio Stampa dell’Accademia.
(Adriana Mulassano) Al corso di giornalismo avevamo circa venti
alunni l’anno, che curavamo passo passo.
(Bianca Cimiotta Lami) Le persone che sono state formate attraverso
questo corso si sono subito inserite nelle testate giornalistiche; durante
il corso si è creato un patrimonio di conoscenze e un linguaggio
giornalistico nuovo. Credo che in un’accademia inoltre si debba
insegnare uno stile che si trasfonda anche nella vita…
(Adriana Mulassano) È fondamentale fare una rete tra le accademie.
(Bianca Cimiotta Lami) In Accademia ci sono stati bravissimi docenti.
Ora, però, l’Accademia versa in pessime condizioni. Un’Accademia
che non sta bene è un problema per tutti. Spero a questo punto che vi
sia una riqualificazione. L’idea nata negli anni ’70
dell’imprenditore/stilista ha certamente creato il boom del prêt-à-porter;
sono nate tante scuole e si è affermata la figura del designer-stilista, del
creativo che non deve assolutamente saper cucire.
Oltre alle accademie romane, quali sono, secondo voi, le scuole di
moda in Italia?
(Adriana Mulassano) Certamente il Polimoda a Firenze, l’Istituto
Marangoni a Milano…
(Bianca Cimiotta Lami) Marangoni ha un gran numero di frequentanti,
oltre 300 alunni, mentre Polimoda ritengo che sia più legata a una
visione americana della formazione e che quindi stia perdendo il suo
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carattere prettamente italiano. Linda Loppa, l’attuale direttrice, l’ho
ospitata a Roma negli anni Novanta.
(Adriana Mulassano) Mi chiedo: con tutte le scuole di livello
internazionale, che senso ha una scuola del genere in Italia? Un
studente straniero ha a disposizione tante scuole in Europa e non
capisco perché dovrebbe venire in Italia.
(Bianca Cimiotta Lami) Certo, le nostre accademie sono poche, ma
tutte di altissimo livello, insieme a quelle francesi.
(Adriana Mulassano) Beh, l’Accademia di arte drammatica è uno
sfacelo… Un settore completamente abbandonato! Potrebbe accadere
anche per la moda e sarebbe davvero grave farci derubare di tale
patrimonio in un Paese come l’Italia!
(Bianca Cimiotta Lami) Secondo il carattere italico: genio e stupidità.
(Adriana Mulassano) In Italia persiste una grande diffidenza nei
confronti delle professioni creative.
(Bianca Cimiotta Lami) I genitori non vedono prospettive se
intravedono nei loro figli una qualche ascendenza artistica.
Come vi siete conosciute?
(Bianca Cimiotta Lami) L’ho stanata… Sapevo che era a Roma e
quindi…
Raccontateci di voi, della vostra carriera.
(Adriana Mulassano) Mah, dopo la maturità con una media del 10, mio
padre mi ha fatto la domanda: cosa vuoi fare adesso? E io gli rispondo
che vorrei andare in America. Lui mi regala il viaggio e tre mesi di
soggiorno; dopo i tre mesi decido di restare a New York e comincio a
lavorare. Mentre lavavo i bicchieri in un bar, un signore mi rivolge la
parola: «Ti interessa lavorare nella moda?». Io perplessa rispondo:
«Non so!». Lui aggiunge: «Se ti interessa, questo è il mio biglietto da
visita». Questo signore era Richard Avedon. Ho lavorato con lui un
anno e mezzo e mi sono trovata benissimo. Un uomo fantastico che non
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mi ha mai detto di andare a lavorare in un giornale americano. Nel
1961 passo a lavorare al «Corriere della Sera» e per la rivista «Amica».
Irene Brin mi adorava, tanto che aveva predisposto che mi occupassi
della terza pagina del «Corriere»; me ne sono occupata fino al 1990.
Era l’unica giornalista in quel periodo?
(Adriana Mulassano) Fino alla fine degli anni Ottanta non eravamo
tante e ci dividevamo un po’. Nel 1990 dall’Ufficio Pubblicità mi arriva
una telefonata minatoria, in cui mi chiedono di non parlare male di
Valentino. Ne parlo subito col Direttore il quale mi spiega che c’è da
tener presente la “questione pubblicità”. Vado via dal «Corriere» e
decido di lavorare per Giorgio Armani come Capo Ufficio Stampa.
Armani, Versace e Ferrè posso considerarli a gran voce una “mia
scoperta”.
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