LA CONQUISTA TURCA DI OTRANTO NELLA CRONACA DI

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KLAUS KREISER
LA CONQUISTA TURCA DI OTRANTO
NELLA CRONACA DI KEMALPASCIA ZÂDE (1468/69-1534)
Prendendo in esame la bibliografia, prevalentemente in lingua italiana e turca, sull’impresa di Otranto, ci si chiede, se uno storico della Turchia possa ancora fornire un contributo nuovo di un certo rilievo1.
Prima ancora che „erafettin Turan publicasse nel 1957 l’edizione del
settimo libro delle «Cronache della casa di Osman» di Kemalpascia Zâde, Ettore Rossi, in un importante articolo, aveva individuato le fonti più
importanti di quest’opera. Durante il Convegno otrantino del 1980 Aldo
Gallotta ha presentato la status quaestionis e ha riassunto il contenuto del
capitolo di Kemalpascia Zâde relativo alla vicenda di Otranto2.
Di Kemalpascia Zâde si sono occupati precedentemente, fra gli altri,
Joseph von Hammer3, l’arabista di Lipsia Fleischer, il bibliotecario erudito Pertsch e Pavet de Courteille. A quest’ultimo si devono l’edizione e la
traduzione del cosiddetto Mohac-Nâme. Si tratta di una relazione sulla
vittoriosa impresa militare in Ungheria del 1536. Essa fa parte del decimo libro4 dell’opera storica principale di Kemalpascia Zâde. Pavet de
Courteille, allora «Professeur adjoint à l’école annexe des langues orientales», ha costruito un testo sulla base di cinque manoscritti, stampato
con una traduzione francese nella Imprimerie Impériale («fî Madîna Pariz
al-mahmîya bi-dâr al-tabâ‘a al-sultanîye»). Su questo e altri studi su Kemalpascia Zâde sarebbe da fare un apposito discorso storiografico, al
1
Come giovane ricercatore ho potuto partecipare nel 1972 per la prima volta a un
Convegno internazionale di studio ottomanistico. Si trattava di un Convegno, quasi «in
famiglia», svoltosi nell’Istituto Orientale di Napoli e organizzato da Alessio Bombaci e Aldo Gallotta. A questi due grandi studiosi vorrei dedicare questo contributo su Kemalpascia Zâde nell’ambito della storiografia ottomana.
2
A. Gallotta, I Turchi e la Terra d’Otranto (1480-1481), in Otranto 1480. Atti del Convegno
internazionale di studio promosso in occasione del V centenario della caduta di Otranto ad opera
dei Turchi (Otranto, 19-23 maggio 1980), 2 voll., a cura di C. D. Fonseca, Galatina 1986, vol.
2, pp. 177-191, qui p. 182 ha giustamente criticato la parafrasi di un non-ottomanista
(Asım Tanı∑): «Come è noto, questa parte delle Cronache è stata tradotta da Asım Tanı∑ in
italiano e pubblicata con una presentazione di M. Corti nel 1971 (La guerra d’Otranto: «Variazione» in chiave turca, in «L’Albero» XVI/47, pp. 113-123). Mancanza di rigore filologico,
continui fraintendimenti ed omissioni non hanno reso giustizia al testo turco ed hanno sinora impedito che le notizie riferite da Ibn Kema≠l fossero utilizzate come dovevano».
3
Geschichte des osmanischen Reiches, vol. 9, Pest 1833, p. 197.
4
Il decimo defter è solo parzialmente conservato.
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Klaus Kreiser
quale in questa sede dobbiamo rinunciare. Va detto soltanto che questo
importante storico turco da più di duecento anni ha suscitato l’interesse
degli studiosi europei e che le sue opere storiche, letterarie, giuridiche e
teologiche in Turchia sono al centro di ampie e recenti ricerche5.
Le «Cronache della casa di Osman» di Kemalpascia Zâde non sono né
l’inizio né il culmine della storiografia ottomana. Ma i dieci «quaderni»
(defter), di cui si sono conservati integralmente soltanto sette6, costituiscono indubbiamente il più importante contributo della storiografia imperiale ottomana nella prima metà del Cinquecento. I capitoli relativi alla spedizione militare in Italia, avvenuta alla fine del governo del sultano Maometto II, sono fino ad oggi l’unico racconto dettagliato da parte
ottomana7. Questo racconto, che comprende nella trascrizione latina circa dieci pagine a stampa, è rappresentativo dell’intera opera per quanto
riguarda la struttura e la lingua, ma contiene anche alcune particolarità
sulle quali mi soffermerò.
In seguito tratterò, dopo una panoramica sullo sviluppo della storiografia ottomana, la vita e l’opera di Kemalpascia Zâde (I ≥bn-i Kemâl), e
poi le sue «Cronache della casa di Osman» con il capitolo su Otranto.
La storiografia ottomana
La storiografia ottomana inizia alla fine del Quattrocento. Ciò significa che i primi due secoli della storia degli Ottomani devono essere scritti
quasi esclusivamente sulla base delle fonti bizantine, arabe e occidentali,
anzitutto italiane.
Le più antiche cronache ottomane di Ahmedî (circa 1390), „ükrüllâh
(circa 1460) ed Enverî (1465) non erano opere a sè stanti, ma soltanto appendici a compendi più ampi. Soltanto all’epoca di Bâyezîd II (14811512) compaiono le prime opere storiografiche a sè stanti, cioè le cosiddette «Cronache anonime» e le opere di Â{ık Pa{a-Zâde (morto dopo il
1484) e di Oruç (circa 1500).
Da quasi un secolo la ricerca è impegnata nella valutazione di questo
materiale. Alcuni considerano una svolta nella prima storiografia otto5
Per l’attuale stato della ricerca v. l’articolo redatto a più mani Kemâlpa{azâde in
Türkiye Diyanet Vakfı I ≥slâm Ansiklopedisi 25, Ankara 2002, pp. 238-247 con contributi sulla
sua vita e sulla sua opera storica („erafettin Turan), sulla sua dottrina giuridica („ükrü
Özen) e teologica (I ≥lyas Çelebi) e sulla sua importanza come poeta (M. A. Yekta Saraç).
6
Il settimo defter viene considerato come autografo. Mancano il quinto defter, del sesto
defter le parti fino al 847/1443 e il nono defter. (V. L. Ménage, Kema≠l Pasha-Za≠de, in Encyclopaedia of Islam, .2. ediz., Leiden 1978 (in seguito citato come EI2), vol. 4, pp. 879-881.
7
Di grande valore rimangono gli articoli di I ≥. Parmaksızo©lu, Kemâl Pa{a-Zâde, in
I ≥slam Ansiklopedisi (in seguito citato come I ≥A) Istanbul 1954, vol. 6, pp. 561-566.
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La conquista turca di Otranto nella cronaca di Kemalpascia Zâde (1468/69-1534)
mana l’anno 1484, quando il sultano Bâyezîd II tornò dalla campagna
militare contro le fortezze moldove di Kilia e di Akkerman. Cemal Kafadar scrive (a mio avviso un po’ troppo accentuato): «It was upon the return from that campaign in 1484 that he (Sultan Bâyezîd II) ordered the
recording of what thus far had been mostly oral traditions about the
founding fathers (of the Ottoman dynasty). Most of the critical chronicles were published after that juncture, in a context that was ready to
hear those voices, when Bâyezîd was searching for the right dose of appeasement after his fathers harsh centralism»8.
Certo è che il sultano Bâyezîd II incaricò, verso il 1502/03, I ≥drîs-i Bitlisî con la redazione della grande Storia degli Ottomani in lingua persiana, detta «Otto Paradisi» (Ha{t Bihi{t)9 e che, alcuni anni più tardi, fu iniziata l’opera in lingua turca di Kemalpascia Zâde.
Per noi è di una certa importanza la datazione della redazione delle
«Cronache della casa di Osman» e particolarmente quella del libro settimo
contenente le notizie sull’Italia. Secondo Ahmet U©ur fu nel 1505-06 che
Kemalpascia Zâde «si mise seriamente al lavoro»10. Il nostro autore era
quindi trentenne e almeno quindici anni distante dal tempo di cui narra.
Nell’ambito del nostro autore ritengo di particolare interesse alcune
questioni generali della storiografia ottomana:
1) Il problema della committenza: Quali opere devono la loro nascita
a un committente? Nell’impero ottomano mancano, a differenza delle
città dell’Italia e della Germania dell’epoca, committenti di opere di storia locale o regionale. Gli unici potenziali committenti di storie imperiali
erano i sultani. Soltanto nel tardo Cinquecento, quindi dopo l’attività del
nostro Kemalpascia Zâde, avvenne una istituzionalizzazione di questo
compito. I „ehnâmecis, che operarono occasionalmente, si trasformarono
in storiografi imperiali «incaricati a vita»11. Va notato che il sultano
Bâyezîd commissionò due Storie imperiali, una in persiano, l’altra in turco. Va inoltre sottolineato che Kemalpascia Zâde non aveva l’obbligo di
risiedere alla corte, ma che egli, dotato di un generoso onorario, poteva
redigere la sua opera nella città di Üsküp (Skopje/Macedonia), da lui
preferita «a causa del clima»12, un luogo da lui elogiato nella sua opera
come la «Bursa di Rumelia».
C. Kafadar, Between Two Worlds. The Construction of the Ottoman State, Berkeley 1995,
p. 94.
9
Anno 908 H., così anche Ménage.
10
A. U©ur Kemalpa∑a-zade I ≥bn-Kemal, Ankara 1996, p. 32.
11
B. Kütüko©lu, Vekayinüvis, in: I ≥A (1987), vol. 13, pp. 271-287.
12
T. Chaber, Latifi oder biographische Nachrichten von vorzüglichen türkischen Dichtern,
nebst einer Blumenlese aus ihren Werken, Zürich 1800.
8
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Klaus Kreiser
2) Quale importanza per contenuto e forma ha il genre mix dei nostri
testi alto-ottomani? Come nell’Europa tardomedievale le cronache ottomane hanno una «coscienza formale chiaramente condizionata dalla letteratura». La prosa ottomana dell’epoca si orienta a modelli persiani. Le
«Cronache della casa di Osman» non fanno parte della cronachistica rimata come il I ≥skendernâme del già menzionato Ahmedî, che anch’esso
parla delle «gesta gloriose di casa Osman»13, ma le «Cronache della casa
di Osman» non rinunciano affatto ai raffinati mezzi stilistici della letteratura, quali, in particolare, connessioni nominali raffinate, numerose rime
interne e un abbondantissimo ricorso alla metaforica14.
Un esempio: «Le punte degli alberi (delle navi) si inalzavano al cielo,
i remi immergevano le loro pale fino al fondo del mare; cento navi salparono da un posto [Gallipoli] nel mare, i remi rimuovevano la superficie
del mare su entrambi le parti. Questa flotta assomigliava a un mostro
con mille braccia. Con le rumorose urla dei cocodrilli che sputavano fuoco facevano bollire il mare che assomigliava a un cammello in calore con
la schiuma alla bocca».
Kemalpascia Zâde soddisfa anche le aspettattive rivolte a un homme
de lettres ottomano dell’epoca15 corredando il suo testo con poesie in persiano, turco e (raramente) arabo. Queste poesie di due o quattro versi, a
volte chiamate beyt (distici), a volte nazm (versi), non hanno un nesso
stretto con la Storia, ma sono di carattere generale-didascalico e accentuano in un piccolo verso con rima finale ciò che è stato precedentemente narrato in prosa. Così egli scrive, dopo il racconto di una sconfitta subita da soldati ottomani contro un numero superiore di infedeli16, che
Ahmed Pa∑a «arrivò veloce come il vento del Nord» attaccando i nemici
alle spalle: «Essi fluttavano come una tempesta marina alta come un
monte, / essi soffiavano come il vento di primavera».
La «coscienza formale, chiaramente condizionata dalla letteratura», è
superiore a quella coeva in Occidente, dove i confini con la letteratura
storica sono altrettanto «problematici»17.
Il problema dello stile e della forma porta a quello del pubblico, a cui
è indirizzato questa prima Storia imperiale. Il sultano committente, coB. Flemming, Die Sprachen der türkischen Dichter, Leiden 1977, p. 323: «Ereignisepik».
A. Bombaci, La letteratura turca: con un profilo della letteratura mongola. Nuova ediz.
aggiornata, Milano 1969, p. 358: «Personaggi e fatti, per questo scrittore, non sono che un
pretesto per sfoggiare in pirotecnico scintillio tutto il repertorio di iperboli e di immagini
della retorica orientale. Nelle pagine del grande letterato ottomano fa sfoggio di sé una
eccezionale potenza di trasfigurazione fantastica e si avverte un tono vibrato che arieggia
l’epica».
15
Flemming, Die Sprachen, cit.
16
kâfir vâfirmi∑.
17
N. H. Ott, Chronik, in St. Jordan, Lexikon Geschichtswissenschaft, Stuttgart 2002, pp.
48-51.
13
14
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La conquista turca di Otranto nella cronaca di Kemalpascia Zâde (1468/69-1534)
me risulta dalla introduzione all’opera, aveva richiesto espressamente
che essa fosse scritta in un turco comprensibile a tutti18: «Comprensibile
per nobili e plebei al modo di parlare dei Turchi. Non deve essere preferita la cerimoniale in∑a-prosa e non devono essere seguite le esagerazioni
della retorica; invece (l’opera) deve essere scritta in modo semplice e
aperto (comprensibile)».
Bensì questa frase non sia scritta proprio in modo semplice, non rimane dubbio che Bâyezîd, per i trentamila pezzi d’argento che gli costò l’opera, volle non soltanto una Storia imperiale in lingua turca, ma un prodotto comprensibile a «nobili e plebei». Ritengo che con «comprensibile»
non sia necessariamente inteso «facilemente leggibile», dato che dell’élite ottomana facevano parte anche degli analfabeti. Anche Barbara Flemming ha messo generalmente in guardia dal volere subito intendere riferito a determinati ceti sociali il termine di «élite e gente comune» (hâss u
âmm). Kemalpascia Zâde lo usa certamente per indicare un pubblico molto ampio19. Per il resto il nostro autore, il quale come sceykhulislam (capo
degli ulema) dichiarò terra nemica (dâr al-harb) l’Iran safavide e legittimò
il cihâd contro gli eretici «Teste rosse» (kızılba∑), era un fine conoscitore del
persiano. Con la sua opera Nigâristân egli tentò di superare il «giardino
delle rose» (Golestân) di Sâdî e porsi sullo stesso livello del Bahâristân di
Câmî. La scelta del turco avvenne quindi non per volgere le spalle all’ammirata letteratura e lingua persiana20 ma piuttosto per motivi prevalentemente pratici, cioè per raggiungere un numero alto di persone.
Mentre tra gli studiosi si è d’accordo sul fatto che le prime anonime
cronache ottomane hanno molte caratteristiche della «letteratura orale»,
non ci si è ancora posti la domanda se anche la cronaca di Kemalpascia
Zâde, appartenente alla letteratura alta, sia servita, in parte, per essere
recitata tra amici della storia di diverso livello culturale. La sua opera
contiene comunque parti per ogni gusto. Un’ampia diffusione era non
soltanto gradita, ma voluta dalle indicazioni relative alla lingua e allo
stile di cui abbiamo detto.
18
«Ol letâyifle sahâyif-i leyl u nehar pür nigâr olub, ol ferâyid-i fevâyidle (opere uniche) gerdân-ı zamân ârâyi∑ ve ol cevâhir-i zevâhirle gû∑-i çarh-ı gerdûn (l’orecchio della
ruota che girada) zînet bula, havâss und ‘avâma nef’-i âm olmagiçün Türkî makâlün
minvâli (secondo il modo turco di parlare) üzere rû∑en ta’bîr ve tahbîr oluna (espresso e
proclamato in parole). Tekellüfât-ı in∑âya iltizâm ve tasallüfât-ı belâ∑aya ihtimâm olunmayub, (non si deve dare la preferenza alla solenne in∑a-Prosa e non prestare attenzione
alle esagerazioni della retorica, ma si deve scrivere in modo semplice e aperto) vâzıh
takrîr ve tahrîr oluna».
19
B. Flemming, Das Verhältnis von Hoch- und Volksliteratur im Türkischen, in W. Heinrichs (ed.), Orientalisches Mittelalter, Wiesbaden 1990 (Neues Handbuch der Literaturwissenschaft 5), pp. 474-481, qui p. 477.
20
R. Brunschvig, Kemâl Pâshâzâde et le persan, in Mélanges d’orientalisme offerts à Henri
Massé à l‘occasion de son 75ème anniversaire, Teheran 1963, pp. 48-64.
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Klaus Kreiser
3) Dove e come si esprimono gli autori sulle loro fonti scritte e orali?
Le fonti delle prime cronache ottomane sono note grazie ad intense
ricerche, ma soltanto raramente si possono indicare i nomi degli autori e
di coloro che le hanno trasmesse. Anche Kemalpascia Zâde è molto riservato per quanto riguarda i suoi modelli, ma si possono individuare cinque o sei testi.
„erafettin Turan, nell’introduzione alle parti 1, 2 e 7 delle Cronache, ha
indicato le fonti scritte usate da Kemalpascia Zâde. Si tratta sostanzialmente
di antiche cronache anonime. Per quanto riguarda la spedizione militare in
Italia esse non hanno però importanza, e perciò in questa sede possono essere tralasciate. Per la fase finale dell’avventura di Otranto era invece importante come fonte di informazioni un soldato anonimo (un sipâhî).
4) La quarta e ultima questione da me affrontata è la seguente: Quali
elementi narrativi ha il capitolo su Otranto in comune con altre parti dell’opera, che trattano di conquiste e di perdite, e attraverso quali elementi
si distingue invece? L’argomento prevalente di Kemalpascia Zâde sono
spedizioni militari, assedi, conquiste, battaglie e scaramucce; insomma
un elenco di «relazioni su vittorie» (feth-nâme, gaza[vat]-nâme), le quali
costituiscono, seguendo il modello arabo, nella letteratura ottomana un
proprio genere letterario.
Nella introduzione al primo libro delle Cronache, la narrazione storica viene giustificata come relazione sulle gesta dei sultani: «Se i fogli delle cronache e i frutti degli aneddoti non fossero trasmessi, anche le gloriose leggendarie gesta dei felici sultani e dei celebri re non avrebbero
duratura per tanti anni e mesi. Nel corso dei secoli e nella ripetizione
delle età esse sarebbero forse consumate dai libri del vento e dai registri
del giorno e della notte. Dai fogli delle menzioni andrebbero distrutti gli
aneddoti delle ricchezze e le opere dei conquistatori del mondo sparirebbero da questo mondo»21.
Va comunque detto che le Cronache contengono anche brani su attività pacifiche del sovrano e dei suoi grandi, anzitutto sulla istituzione di
edifici di fondazioni (opere pie). Nel caso dei grandi militari Evrenos e
Turahan Beg, per esempio, viene menzionata espressamente la costruzione di opere pie a Vardar Yenicesi (Lavrisa/Tessaglia) e Yeni{ehir
(Giannitsav/Macedonia centrale)22.
21
«E©er sahâyif-i tevârih ve esmâr-i letâyif i{’âr olmıyaydı, selâtin-i kâmkârûn (= kâmgar) ve mülûk-i nâmdârun mefâhir-i me’sûrı ve âsâr-ı me{hûri bunca sinîn ü {ühûr baka
bulmiyadı, belki mürûr-ı a’sâr ve kürûr-i edvârla cerâyid-i rüzgâr ve defâtir-i leyl ü
nehârdan yuyulırdı. Sahâyifi ezkârdan letâyif-i esmâr mahv olub, cihândârlarun âsârı bu
cihân dârından nâ-bedîd olurdı».
22
IV, 229-230: «Evrenüs Beg Vardar Yenicesi’ni imâret idüb ol diyârda ikâmet idecek
...». - Turahan Beg: «Ol dahi Yeni-{ehr’i mamûr idüb nehr-i ihsanını ol viâyetde akıtdı.
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La conquista turca di Otranto nella cronaca di Kemalpascia Zâde (1468/69-1534)
Periodi di riposo tra azioni militari vengono menzionati brevemente;
spesso si tratta soltanto di tempi usati dal perfido nemico per nuovi attacchi. Così nel capitolo su Otranto: «Mentre Ahmed Pa{a risiedeva senza preoccupazioni nella fortezza, lo raggiunge la notizia che il nemico si
è avvicinato ... ».
Molto più problematica è l’integrazione del racconto della ritirata da
una marca di confine di un esercito che ha avuto soltanto un successo
temporaneo.
Prima di parlare più dettagliatamente della vicenda di Otranto, vorrei
brevemente trattare la vita e le opere del nostro autore.
Vita e opere di Kemalpascia Zâde
L’origine di Kemalpascia Zâde è molto rappresentativa per la società
ottomana nel senso stretto23. Come società ottomana in senso stretto intendo l’ambiente allargato del sultano dopo la «fase embrionale» del
principato tribale, costituito da un’èlite di schiavi, cioè dalla classe dei
kul (non esiste una nobiltà ereditaria) e dalla cavalleria feudale dei sipâhî.
Kemalpascia Zâde era un musulmano turco con radici nell’Anatolia
centrale tra Amasya e Tokat. Dopo una istruzione approfondita nella
medrese (collegio religioso dedicato all’istruzione teologica e giuridica)
suo padre lo destinò alla carriera militare. Del nonno non sappiamo nulla di preciso24. Che questi fosse stato o meno l’educatore del principe
(lâlâ) Bâyezîd o no, la famiglia era comunque vicina al principe Bâyezîd
(nato nel 1447? o 1452/3), futuro sultano, il quale risiedeva tra il 1457 e il
1481 come governatore a Amasya. Anche il padre, Süleymân Çelebi, ricopriva cariche amminstrative e militari importanti a Tokat e a Amasya.
Della madre sappiamo che era sorella di un muhiyeddin Küpeli-Zâde di
Kaziasker (magistrato supremo con funzione giudiziaria) al tempo di
Maometto II25.
Kendünden sonra o©lı Ömer Beg...- ol ki{verün ta’miri tedbirinde oldı. Harâb-âbâd-ı
sevâd-i dârü’l-küfr envâr-ı {em’-i cem-ârây-ı dîn-i mübinle münevver olub içi mescid ve
medrese ve hânekâh ve imâretle toldi».
23
Cfr. Brunschvig, Kemâl Pâshâzâde, cit., p. 48: «est assurément, par sa vie comme par
son oeuvre, l’un des écrivains les plus représentatifs de l’intellectualité religieuse et profane aux échelons les plus élévés de l’Islam ottoman, dans le premiers tiers du XVIe siècle.
Cet infatigable polygraphe en trois langues …».
24
Ménage, cit.: «the identity of his grandfather is obscure».
25
O. Rescher (trad.), E£-‹aqâ’iq en-No’mânijje von Ta£köprüzâde, Konstantinopel-Galata
1927, p.128: «Gli partorì un figlio di nome Ahmed Scia, il quale divenne più tardi con il
nome di Kemâlpasciazâde un celebre studioso».
165
Klaus Kreiser
Il nome di nascita del Nostro era Ahmed „âh, a cui fu aggiunto durante la sua carriera di studioso „emseddîn («sole della fede») e che fu
completato con il solito patronimico zâde «figlio di, discendente della
famglia NN».
Kemalpascia Zâde appare, come suo zio Küpeli-Zâde nella ricca e
brillante opera di un contemporaneo più giovane di una generazione. Si
tratta dell’erudito universale chiamato Ta{köprü-Zâde26 (1495-1561) che
compose una raccolta di biografie più o meno lunghe di studiosi della
religione e del diritto dei primi duecentocinquanta anni dell’impero ottomano, in cui vengono menzionati anche alcuni sufi-sceicchi e medici.
L’autore suddivide la sua opera, scritta in arabo («E{-„akâ’ik al-Nu’manîya»), in dieci capitoli corrispondenti, come le Cronache del Nostro,
ai periodi di governo dei sultani fino a Süleymân il Magnifico. All’inizio
del penultimo (nono) capitolo sugli studiosi sotto Selîm I, egli parla di
Kemalpascia Zâde senza menzionare anno e luogo di nascita.
Ma sappiamo da altre fonti che l’anno di nascita di questi era il
1468/69, anno che coincide con le spedizioni militari di Maometto II in
Albania e con la definitiva sconfitta dei suoi rivali più importanti in
Anatolia, i figli di Karaman. Il luogo di nascita del Nostro è probabilmente la città di Tokat nell’Anatolia settentrionale. Quando arrivarono
in Turchia le notizie dalla conquista di Otranto, Kemalpascia Zâde aveva
quindi dodici o tredici anni.
Ta{köprü-Zâde lo presenta così: «Dei maestri del suo tempo faceva
parte l’eccellente molla „emseddîn Ahmed bin Süleymân bin KemâlPa{a, noto come Kemalpascia Zâde. Suo nonno faceva parte degli emiri
dell’impero ottomano ed egli stessi cresceva in gioventù in un ambiente
molto agiato. Poi ebbe il desiderio di completarsi e così, mentre era ancora adolescente, si occupava giorno e notte della scienza. Successivamente fu mandato tra i militari».
Ta{köprü-Zâde spiega poi perché il giovane non era felice «tra i soldati» (i sipâhî, che andavano in guerra in cambio di un feudo di servizio
non ereditario): egli si trovava, secondo la sua propria affermazione tramandata da Ta{köprü-Zâde, in gioventù (probabilmentemente nel
148627) in compagnia del vesir I ≥brâhîm Pa{a28 e del celebre militare AhI letterati, poeti e studiosi, spesso nella stessa persona, sono la «classe» della società
ottomana meglio conosciuta. Migliaia, se non decine di migliaia, hanno tramandato la loro memoria in opere miscellanee bio-bibliografiche. La passione ottomana per questo tipo
di enciclopedie personali portò alla nascita di opere sugli ulema di tutto l’impero, sui poeti e su personaggi eminenti di singole città. Le opere più interessanti uniscono la precisione nelle date biografiche e nei titoli delle opere con immagini dei caratteri ben riuscite che
vanno da affettuosa ammirazione a sarcasmo.
27
Diversamente Ménage.
28
morto 891/febbraio 1486.
26
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La conquista turca di Otranto nella cronaca di Kemalpascia Zâde (1468/69-1534)
med Bey Evrenos29: «Allora si presentò un ulemâ, con abbigliamento povero e strappato, e si siedette al di sopra dell’emiro senza che qualcuno
l’avesse impedito. Mi meravigliai assai e chiesi a uno dei miei compagni
chi fosse colui che si era seduto al di sopra dell’emiro».
Kemalpascia Zâde viene poi a sapere che l’ospite poco appariscente era
il molla Lütfî30 un professore di medrese di Filibe (l’odierna Plovdiv in
Bulgaria) e chiede meravigliato quanto questi guadagnava. Si meraviglia
ancora di più quando apprende che l’eminente studioso percepiva soltanto 30 pezzi d’argento al giorno, quindi quanto i meno pagati tra i professori di medrese. Nonostante ciò decide di lasciare la carriera militare per intraprendere quella scientifica, anche perché non crede di poter arrivare a
un rango militare così in alto come quello di Ahmed Bey Evrenos.
Se accettiamo questo racconto, dobbiamo immaginarci un giovane
ambizioso che mira molto in alto. Proveniente da una buona famiglia
aveva tutte le premesse per una buona carriera: un capitale per poter
studiare, consistente probabilmente, oltre al suo appannaggio di uno o
due villaggi, anche di un piccolo patrimonio e di relazioni con la corte,
con politici importanti, militari e studiosi. Nella società ottomana il capitale sociale e simbolico sostituiva la «aristocrazia». La trasmissione del
capitale avveniva mediante alleanze matrimoniali, possibili soltanto se si
conoscevano le «persone giuste».
Per il giovane Ahmed era importante anche la vicinanza di Tokat a
Amasya distante circa tre giorni di viaggio. La sua probabile città natia
era fino alla devastazione e distruzione da parte del turcomano Uzun
Hasan («Hasan il Lungo», sovrano akkoyunlu, 1472) una prosperosa
città media con più di diecimila abitanti, tra cui un terzo cristiani31. A
Amasya risiedeva, come già detto, il figlio di Maometto II, il principe
Bâyezîd, e si esercitava in provincia nel governare. La famiglia di Ahmed aveva stretti contatti con Bâyezîd, rivelatisi molto utili per il giovane studioso dopo che Bâyezîd, nel 1481, ascese al trono.
Kemalpascia-Zâde, dopo essersi congedato dal servizio militare, riprese i suoi studi, prima nell’antica capitale ottomana di Edirne e presso
il menzionato molla Lütfî, anch’egli originario di Tokat.
29
I. Mélikoff, Evrenos Oghulları in EI2, vol. 2, Leiden 1998, pp. 720-721: „emseddîn Ahmed, figlio di Ali, nipote di Gâzî Evrenos, morto 903/1498.
30
Nato a Tokat circa 1446? Ta{köprü-Zâde non menziona qui il fatto, a lui ben noto e
di cui si rammaricò, che il molla a cui Kemalpascia Zâde prestò attenzione, fu nel 1495
giustiziato come eretico nell’ippodromo di Istanbul. Essendo Kemalpascia Zâde un nemico dichiarato di tutte le correnti eretiche, ciò può essere interpretato soltanto nel senso che
il molla Lütfî subì un’ingiustizia.
31
M. Bazin, Tokat, in: EI2 vol. 10, Leiden 2000, pp. 558-560: «according to the census of
1455 it had 2,888 families, of which one-third were Christian, divided into 54 quarters,
though this development was brutally interrupted in 1471».
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L’appoggio da parte del sultano doveva però, come spesso succedeva, essere accompagnato da quello di altre persone che gli erano più vicini del giovane professore di medrese ed ex-sipâhî di Anatolia. Questo
ruolo fu giocato per il Nostro da un compagno di gioventù di Bâyezîd,
nel frattempo diventato studioso della religione e del diritto. Si tratta di
Mü’eyyed-Zâde (1456-1516)32, il quale divenne nel 1501 giudice militare
(kâdi-‘asker) di Anatolia e nel 1504-5 di Rumelia. Questa posizione era accanto, se non sopra il müftî di Istanbul, quella più alta e influente in tutta
l’amministrazione ilmîye ottomana.
Probabilmente in questi anni Kemalpascia Zâde ottenne tramite
Mü’eyyed-Zâde l’incarico compensato con 30 000 akçe di scrivere la Storia dell’impero. Questo onorario corrispondeva a tre anni di stipendio di
un piccolo professore di medrese! – In questa sede non possiamo soffermarci ulteriormente sulla carriera del Nostro, per cui ci limitiamo a costatare che egli dopo aver coperto cattedre alle medresi di Edirne e di
Istanbul, le cariche di giudice e giudice militare, raggiunse il culmine
della sua carriera con la nomina a mufti di Istanbul e {eyhülislâm nel
1526, cioè nell’anno della battaglia di Mohacz. Ta{köprü-Zâde scrive su
di lui come studioso: «Egli faceva parte di quei studiosi che si dedicano
totalmente alla scienza. Se ne occupava giorno e notte mettendo tutte le
sue idee anche subito per iscritto. Anche se il tempo si stancava, la sua
penna rimaneva instancabile».
Ta{köprü-Zâde stima i suoi scritti con «circa cento». Infatti gli studiosi hanno fino ad oggi individuato quasi duecento opere, tra cui però anche molti trattati brevi nascosti in manoscritti miscellanei. Per motivi di
tempo, in questa sede non ne possiamo trattare, anche se sarebbero interessanti per la comprensione dell’opera storica di questo intellettuale politico.
Concludendo scrive il suo biografo: «Tutti questi scritti godono di
grande stima tra i colti. Egli aveva un buon carattere e una eccellente
preparazione, uno spirito acuto e un buon e conciso modo di scrivere. Il
suo stile viene lodato per la brevità della dizione e la chiarezza dell’esposizione. Con una parola: Tra la gente fece dimenticare i suoi predecessori
e dava nuova vita alla scienza, che era stata sterile e deserta. Infatti, egli
era nella scienza un monte massiccio e una cima alta».
32
T. Menzel, Mu’ayyad-Za≠de, EI2 vol. 7, Leiden 1993, p.272: «Mu’ayyad had a brilliant
career: in 899/1494 he became k˛a≠d˛ ı≠ of Edirne; in 907/1501 head of all the ‘ulama≠ … His
great service to Turkish literature lies, however, less in his own original work than in the
magnificent liberality with which he encouraged rising young talent, like the poets
Nedja≠tı≠ and Dhatı≠, the historians Kema≠l-Pasha-Za≠de and Muhyı≠ al-Dı≠n Mehmed, the jurist Abu ‘l-Su´u≠d, and others. Mu’ayyad was also famed as a calligraphist. He was the first
Ottoman to form a private library of over 7,000 volumes, a huge figure for the time».
33
Ta{köprü-Za≠de cit.
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La conquista turca di Otranto nella cronaca di Kemalpascia Zâde (1468/69-1534)
Quando il Nostro morì nel 1534, un collega compose il seguente cronogramma arabo: «Con lui morì la scienza»33.
Il necrologio di Ta{köprü-Zâde dedica soltanto una frase alla sua opera storica principale e menziona soltanto sommariamente la sua produzione poetica.
Va ancora ricordato che l’attività di Kemalpascia Zâde non era limitata alla vecchia e nuova capitale Edirne e Istanbul, ma che egli partecipò,
nel 1516/17, alla spedizione militare di Selim I in Siria e Egitto, durante
la quale fu nominato giudice militare di Anatolia34.
Nonostante la sua formazione militare e la sua predilezione per la
storia dei sultani conquistatori, Kemalpascia Zâde probabilmente non
partecipò attivamente alle battaglie, a differenza di altri storici importanti come ‘Â{ıkpa{a-Zâde e Sa’deddîn, di cui si dirà fra poco.
Le Cronache della casa di Osman («Tevârih-i Âl-i Osmân»)
Ritorniamo alla storiografia imperiale. Nonostante la loro grande fama, le «Cronache della casa di Osman» non furono usate molto né in
Oriente né in Occidente. L’opera, come si è già detto, si è conservata non
completamente. Il numero dei manoscritti delle singole parti è limitato, e
si tratta per lo più di copie tarde, mentre si è conservato soltanto un manoscritto considerato autografo.
Lo scarso uso è probabilmente dovuto al fatto che l’opera fu messa in
ombra dall’opera principale di Sa‘deddîn, detto Hoca Efendi, un influente consigliere del sultano che scrisse una generazione più tardi e sul
quale ci dobbiamo brevemente soffermare.
Sa’deddîn redasse con la sua Storia degli Ottomani dalle loro origini
fino a Selim I, intitolata «Corona delle Cronache» (Tacü’t-Tevârih), un’opera «fondamentale»35, presto nota e tradotta al di fuori della Turchia36.
Una prima traduzione parziale in latino, a cura dell’interprete della corte
viennese Spiegel, venne già fatta – cosa che oggi ci sembra quasi incredibile – quando Sa’deddîn era ancora in vita37. Il numero dei manoscritti
Ménage cit. secondo Ferı≠du≠n.
F. Babinger, Die Geschichtsschreiber der Osmanen und ihre Werke, Leipzig 1927, p. 124.
36
Traduzione ingl. London 1652, ital. Cronica del’origine e progressione della casa ottomana composta da Saidino Turco, Wien 1649, 2. parte Madrid 1655; trad. latina Wien 1655,
franc. Paris 1710.
37
Annales Sultanorum Othmanidarum: A Tvrcis Sva Lingva Scripti / Hieronymi Beck a
Leopoldstorf ... Constantinopoli aduecti MDLI, ... a Joanne Gaudier dicto Spiegel, interprete Turcico, Germanice translati. Ioannes Levnclavivs ... Latine redditos illustrauit &
auxit, vsque ad annum M.D.XXCVIII. (con la collaborazione di Leunclavius, Johannes; Sadeddin Efendi (Hoca); Beck, Hieronymus; Spiegel, Johannes G. - Editio Altera Francofvrdi: Marnius & Aubrius, 1596 , 260 pp., [13] foll.: ill).
34
35
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La conquista turca di Otranto nella cronaca di Kemalpascia Zâde (1468/69-1534)
della «Corona delle Cronache» in biblioteche turche ed estere è molto alto, a
differenza di quello dei manoscritti dell’opera storica di Kemalpascia Zâde.
Il capitolo su Otranto
Torniamo a Kemalpascia Zâde. Alcuni studiosi sottolineano che egli, diversamente dai suoi predecessori, cerca di spiegare cause ed effetti e di chiarire le decisioni di portata storica. Con ciò si attribuisce indirettamente alla
annalistica più antica una elencazione di «eventi» piuttosto cronologica che
causale. Certamente, in ambito ottomano, la distinzione precisa tra annali e
cronache non è meno problematica che nel tardo Medioevo occidentale. Comunque sia, il nostro cronista vede nel capitolo su Otranto il problema di
una narrazione troppo rigorosamente cronologica. Infatti, egli avrebbe dovuto inserire gli eventi successivi alla morte di Maometto II nel successivo
libro ottavo, ma egli giustifica l’inserimento dell’attacco di Ferrante (Rayke
Beg) a Otranto nel libro settimo con la morte, avvenuta nel frattempo, di
Maometto II: «Perciò abbiamo ritenuto opportuno di inserirlo qui».
Kemalpascia-zâde (1468/69-1534)(da: A. U©ur, Kemalpa{a-zade. I ≥bn-Kema≠l, Ankara 1996; dal manoscritto H 1263 del Topkapı-museo, Istanbul)
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Nel capitolo della cronaca di Kemalpascia Zâde riguardante l’Italia, viene fornito in diverse occasioni «materiale sul retroscena» e viene illustrato
come si svolgevano le decisioni. Meno sorprendente è il fatto che il sultano
venga indicato come l’autore della decisione: «Sua maestà (Maometto II) ordinò allo stratega conquistatore di paesi Gedik Ahmed Pa{a, dopo aver conquistato Kefelonya e Avlonya, di sottomettere (teshîr) il paese di Polya e di
cacciare (def’) i nemici dai cattivi pensieri ... Egli doveva incorporare questa
provincia (vilâyet) nel Dâr al-Islâm (ecumene dell’Islam) ed eliminare dal suo
interno la traccia della miscredenza (kufr)».
Qui non vengono soltanto elencati gli ordini, ma viene anche spiegata
la necessità di eliminare dal paese di Polya la miscredenza. Va notato che
Kemalpascia Zâde non parli affatto della situazione «geopolitica» del
punto più stretto dell’Adriatico di fronte a Avlonya, e neanche di una legittimazione dell’azione sulla base della successione nell’Impero d’Oriente (Bisanzio).
Le Cronaca di Kemalpascia Zâde indica come unico motivo delle conquiste ottomane l’«aggiungere al territorio dell’Islam» (dâr-ı I ≥slâm'a zamm).
Così evita nel caso della Serbia e della Bosnia di indicare come motivo della
guerra l’acquisto di materie prime. E nel quarto libro si dice di Kratovo (nell’odierna Macedonia) che essa fu «aggiunta», insieme ai villaggi e alle cittadine dei suoi dintorni, all’Islam come terra della pace. Le miniere, qui situate, ricche di oro e di argento, venivano consegnate agli ufficiali turchi38.
38
IV, p.19: «Sultan ... Kıratova’yı ve civârında olan kurayı ve kasabayı dârü’s-selâm-ı
I ≥slâm’a rabt eyledi. Havâlisindeki ma’âdeni – ki kuyuları altun, gümü{ suyıyla mâlî idi –
ümenaya zabt eyledi».
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Klaus Kreiser
Il nostro autore usa la sua vena poetica per descrivere la bellezza del
paesaggio delle città e delle province conquistate. Per Otranto e la Puglia
egli ha inserito nella sua cronaca brevi elogi in prosa e in versi.
Immediatamente dopo l’indicazione del motivo della guerra, ciò «l’eliminazione della miscredenza», il lettore (rispettivamente ascoltatore)
apprende che la Puglia è una grande regione del mondo (iklîm) ubicata
al mare, caratterizzata dalla sua estensione (vüs’at ve fesâhet), (ma anche)
nota a causa della grandezza del suo esercito miscredente (bed-kî{) e della numerosità dei nemici (‘aded-i ‘uded). E inoltre che si trattava di una regione fertile e con terre ben coltivate.
Segue un primo distico in turco (beyt-i Türkî): «I suoi prati pieni di fiori assomigliano al giardino del paradiso, / la sua spiaggia assomiglia a
un giovanotto che cammina».
Kemalpascia Zâde, dopo aver narrato l’avvicinamento della flotta alla
costa pugliese, descrive in termini convenzionali la bellezza dei giovanotti e delle schiave e elogia la città di Otranto con le seguenti parole:
«Nel paese, di cui stiamo parlando, c’erano luoghi insoliti e deliziosi e
grandi città (emsâr). Ci sono villaggi ben tenuti senza fine. C’è una città
circondata da mura da ogni parte (? berü kenârında). In confronto ad altre
città essa è come la luna piena tra le stelle; una città ben costruita, che era
come il nero della pupilla (merdüm-i çe{m). Paragonata alle grandi città di
altri paesi, essa assomigliava di notte alla notte (che promette fortuna)
della rivelazione».
Qui manca qualsiasi accenno alla urbanistica reale della città. Il lettore moderno viene irritato dall’uso di un paragone preso dal calendario
festivo islamico. E la conquista deve ancora avvenire!
Segue un elogio della città in quattro versi, in cui al toponimo Otranto viene dato una spiegazione turca, facendolo derivare dalla base del
verbo turco otur- che significa «abitare, risiedere»:
Komu{lar adın anun Ot[u]randa
Melâmet olmaz, anda oturanda
Safâ ü ‘îy{le ger yaz u kı{ı
Geçürmek isterisen otur ânda
«Essi hanno dato a questa (città) il nome di Otranda.
Ciò non si può rimproverare a coloro che vivono lì.
Se vuoi passare con piacere e divertimento l’estate come l’inverno,
allora ti devi trasferire lì»39.
39
Tentativo di traduzione ad opera di Asım Tanı{ in M. Corti, Otranto allo specchio, Milano 1995, p. 17: «Il suo nome è Otranto, / Biasimare non si potrebbe chi l’abita. / Se vuoi
trascorrere vita serena, / Vai ad abitare là».
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La conquista turca di Otranto nella cronaca di Kemalpascia Zâde (1468/69-1534)
Senza nessun collegamento viene poi trattato l’assedio e la conquista
della città con la cattura di migliaia di donne e ragazzi, di anziani e giovani.
Avendo i sultani ottomani anche condotto guerre contro sovrani musulmani, ci si chiede che senso veniva attribuito alla lotta contro appartenenti alla stessa religione. L’«aggiungere» dei loro paesi all’impero ottomano viene dal nostro giustificato prevalentemente con una generica disobbedienza. Egli usa il termine arabo rabt per «costringere».
Diversamente dai principi cristiani, emiri musulmani possono eventualmente essere graziati, come il beg anatolo di Saruhan sotto Bâyezîd I:
«Il sovrano giusto e incoronato dal cuore generoso gli perdonò il suo errore. Con la mano della buona volontà egli tolse dal suo viso la polvere
della vergogna»40.
Il ritiro degli Ottomani dall’Italia viene spiegato con la partenza di
Ahmed Gedik Pa{a, il quale, dopo la morte di Maometto II, aspettava a
Istanbul nuove istruzioni da Bâyezîd. A causa della rivolta di Cem, fratello di Bâyezîd, «da questa parte sarebbe venuto meno la possibilità di
aiuto».
Le frasi finali del capitolo su Otranto, a differenza delle pagine precedenti piene di alta prosa del cihâd (guerra santa), sono scritte in un tono
asciutto chiaramente diverso da quello alto iniziale: «Nella loro situazione disperata (gli Ottomani assediati a Otranto) non lasciavano (vivere)
nella fortezza né cani né gatti, ma li mangiavano. Alla fine erano costretti
a arrendersi e a consegnare la fortezza, dicendosi: «La vita è migliore
della morte». Questo triste racconto è stato tramandato da un sipahi, che
si trovò a Otranto quando fu conquistata. Egli aveva vissuto personalmente queste vicende terribili e le aveva tramandato»41. La rarità della
menzione di una vergognosa consegna di una fortezza nella storiografia
alto-ottomana giustifica, così spero, questa citazione.
L’anno di Otranto era nella storiografia ottomana soltanto un episodio.
Già nel portolano di Pîrî Reis manca ogni riferimento al particolare destino
della città e dei suoi abitanti42. Il già menzionato Sa‘d al-Dîn, detto Hoca
Efendi (1536-1599), un successore di Kemalpascia Zâde come ∑eyhülislâm,
dedica alla conquista e alla perdita della Puglia meno di una pagina43.
40
P.73: «}ehriyâr-ı âdil ve tâcdâr-ı deryâ-dil hefveni (errore)‚ afv kıldi. Dest-mâl-i
istimâletle (istimale = buona volontà) yüzünden hacâlet (vergogna) tozını sıldı».
41
«Gâyetde ıztırârlarından hisâr içinde köpek ve kedi komadalır yediler; âhir-kâr
nâçâr olub âmânla kal’ayı virdiler, ölümden dirlik ye∑ dediler. Bu kıssa-i pür-gussenün
(gussa = dispiacere) râvisîsi ki Otranda alındıkda içinde bulunan sipahileridendir, ol
ahvâl-ı pür-ehvâle kemâhe vâkıf olub rivayet ider eyidür».
42
A. Bausani, L’Italia nel Kitab-i Bahriye di Piri Reis, in Il Veltro, 23/2-4 (marzo-agosto
1979), pp. 173-195.
43
Hoca Sa‘deddîn, Tâcü’t-tevârih, Istanbul 1279/1862, vol. 1, p. 566sg.
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L’analisi del contenuto del nostro testo deve tener presente che questo settimo libro delle «Cronache della casa Osman» fu redatto soltanto
anni dopo l’impresa militare italiana. Come già detto, il nostro autore, a
differenza di altri storici ottomani, tratta dettagliatamente questa impresa risultata alla fine fallimentare. Non sappiamo se lo fece per presentare
ai futuri sultani un esempio per incoraggiarli a altre imprese simili. Evitando speculazioni, non lo chiamerei un consulente politico del sultano
che gli voleva presentare le possibilità e i rischi di una nuova spedizione
militare in Italia.
Possiamo però supporre che l’autore considerava la spedizione militare di Maometto II in Puglia come preparazione e giustificazione di una
conquista più ampia di parti dell’Italia. Ciò non viene sottolineato
espressamente, ma mi sembra che egli vi accenni chiaramente con la frase «ol diyârı kendüye uc idinüb yakı≠n yerlerine akın gönderdi», cioè:
«ed egli (Ahmed Gedik Pa∑a) faceva questi paesi per sè come marca di
confine, attaccava i luoghi vicini con truppe d’assalto». Nella guerra permanente di espansione, la marca di confine (uc) è una zona in cui si insediano, con beni e privilegi, i condottieri vittoriosi (uc begleri) e il loro seguito44.
Poniamoci alla fine la domanda: Chi erano i conquistatori di Otranto
e di parti della Puglia? Il nostro autore non parla mai di «Turchi» o di
«Ottomani». Egli chiama le truppe vittoriose «l’esercito dell’Islam» (cey∑i I ≥slâm), «i musulmani» (ehl-i I ≥slâm) o i «gâzî». Vengono usati anche termini generici come «truppa vittoriosa». Senza entrare nel dibattito tra gli
specialisti di storia ottomana sul significato di gâzî, va detto in questa sede soltanto che l’uso del termine gâzî da parte di Kemâlpascia-Zâde indica che si trattava di un esercito non esclusivamente islamico.
I nemici vengono dal nostro autore quasi sempre piuttosto insultati
che meglio specificati. Il semplice termine per «nemico» (dü∑men), nel capitolo sulla spedizione in Italia, viene usato una sola volta, mentre per il
resto viene usato per lo più il più concreto kâfir (singolare) e küffâr (plurale), cioè «infedele/i» variato – variatio delectat - con altri termini disprezzanti. Una volta si parla dei «cadaveri» (ölü) dei Franchi (fireng).
Non mancano nomi di animali per indicare le due parti: i gâzî sono leoni
o falchi, i loro antagonisti porci o scimmie (∑îr, ∑âhbâz; toñuz, hınzır).
L’«esercito dell’Islam» del nostro testo era dunque un esercito variegato.
L’ex-sipâhî Kemalpascia-Zâde sottolinea il contributo dei cavallieri feudali.
Altrettanto sicuro è la partecipazione dei giannizzeri, i quali trovarono la loro organizzazione classica verso la fine del governo di Maometto II45. Una
44
45
174
Kafadar, Between Two Worlds, cit., pp. 142-143, 146.
R. Murphey, Yeñi ¤eri, in EI2 vol. 11, Leiden 2002, pp. 322-331.
La conquista turca di Otranto nella cronaca di Kemalpascia Zâde (1468/69-1534)
volta essi vengono menzionati esplicitamente, ma la loro presenza risulta anche dal fatto che le armi da fuoco leggeri e più pesanti furono usati
soltanto da essi. Il terzo elemento erano probabilmente i marinai.
Tra i gâzî c’erano probabilmente anche cristiani. Grazie alle ricerche di
Halil I ≥nalcık conosciamo sipâhî cristiani originari della Bosnia e dell’Albania. Lo stesso studioso ha individuato specialisti di armi, non convertiti all’Islam, che erano al servizio dei Turchi. Accanto alla «cavalleria pesante» dei reggimenti dei sipâhî c’erano probabilmente anche cavalieri
leggeri irregolari (akıncı). Ciò causava certamente problemi logistici durante lo sbarco, non frequente nella guerra ottomana46. Tali cavalieri leggeri irregolari (akıncı) in altre parti della nostra cronaca vengono menzionati spesso47, non però nel capitolo sull’attacco alla Puglia.
Del resto era già noto da tempo, ma è stato messo in rilievo soltanto
da Heath W. Lowry, che il reclutamento di questa cavalleria irregolare,
almeno durante due grandi spedizioni militari dell’epoca, fu fatto prevalentemente tra i cristiani dei Balcani. Nel suo libro The Nature of the Early
Ottoman State lo studioso americano, sulla base di ordini di reclutamento
di Maometto II (1472) e di Bâyezîd II (1484) sostiene che in quest’epoca i
concetti di gaza o cihâd («Guerra Santa») e akın (saccheggio, razzia)48, originariamente connotati religiosamente, non sarebbero stati più distinti49.
Concludo nella speranza di aver potuto chiarire, quale grande perdita
di conoscenza storica avremmo avuto, se non si fosse conservato il libro
settimo della nostra cronaca contenente il capitolo sull’Italia.
46
1645.
Esempi di successo risalgono a secoli successivi: Rodi 1522/23, Cipro 1571, Creta
47
Indicazione delle pagine per i defter 1 e 2 presso A. Özcan in Türkiye Diyanet Vakfı
I ≥slâm Aniklopedisi vol.2, Istanbul 1989, s. v. Akıncı pp. 249-250
48
Non meraviglia che la storiografia turca abbia respinto decisamente l’opinione degli
«europei», secondo cui si sarebbe trattato di truppe indisciplinate, tese soltanto a razzìe:
cfr. Özcan, cit.
49
H. W. Lowry, The Nature of the Early Ottoman State, New York 2003, p. 54: «The Ottoman gazis/akıncıs included both Muslims and non-Muslims united in the singleminded
aim of material betterment. Participating in a gaza/akın gave nonmembers of the ruling elite the opportunity of upward social mobility on the basis of their contribution. It was this,
rather than religious zeal, which attracted ever-growing bodies of warriors to Ottoman
banner. By becoming an Ottoman the doors of opportunity were opened. The frontier represented the possibility of wealth, security, and advancement, factors which worked like
a magnet to attract men of ambition».
175
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