Numero 49 Marzo 2014 il diario on line del Lions Club Palermo dei Vespri Lions Club Palermo dei Vespri - Distretto 108 Y/b - Circoscrizione I - Zona 1 Lions Club 2 EDITORIALE DI MARZO C ari Amici, Care Amiche, la bella stagione che già inizia porta sulle nostre coste un intensificarsi di sbarchi di uomini e donne, provenienti dall’Africa, che hanno sfidato atroci sofferenze, inseguendo il sogno di una vita Gabriella Maggio migliore. Chi sopravvive ai disagi ed alle privazioni del lungo viaggio per terra e per mare una volta giunto sulla spiaggia resta spesso deluso dell’accoglienza e tende a fuggire per cercare fortuna. Ed eccoli agli incroci stradali come lavavetri o nei mercati a chiedere l’elemosina o in altre situazioni di grave indigenza. Con la loro presenza ci impongono varie considerazioni di carattere umanitario, ma anche teorico come studio del fenomeno migratorio. Non di immigrazione infatti oggi possiamo parlare, ma di migrazione, come ci suggerisce il sociologo Richard Sennett dalle pagine di La lettura, supplemento domenicale del Corriere della Sera. Questi uomini, infatti, non vengono per vivere stabilmente in un luogo, ma si spostano secondo la loro convenienza o le opportunità che trovano. Il fenomeno ci impone di rivedere il concetto di straniero nel mondo globalizzato e di pensare con attenzione ai diritti, con la consapevolezza che nessuna legge può imporre il sentimento di appartenenza. Di solito i migranti tendono a cercare l’identità attraverso la propria cultura originaria che cementa il gruppo ed in qualche modo guida, ma spesso ostacola la loro integrazione, sollecitando stereotipi xenofobi, che la crisi economica enfatizza. La memoria è importante, ma è una rete in cui non bisogna restare prigionieri, deve interagire con la cultura del nuovo paese dove si vive. Questa potrebbe essere una potenziale linea per affrontare meglio il problema,che considerato nel suo insieme appare enorme, ma ha bisogno di tempo per svilupparsi ed affermarsi come tutte le azioni culturali. Nascere in un luogo piuttosto che in un altro è un fatto casuale, pertanto anche la cultura di un popolo lo è. Partendo da questa considerazione si potrebbe iniziare un cammino. INDICE DA FARE Noi per le donne Gabriella MaggioPag. 3 Vincenzo Bellini Tommaso Aiello “ 4 Le ricette letterarie di Marinella “ 6 Giovani talenti palermitani Gabriella Maggio “ 7 Viaggiatori stranieri in Sicilia Daniela Crispo “ 10 Centoventesimo anniversario dei fasci siciliani Gabriella Maggio “ 11 L’otto marzo delle donne Carmelo Fucarino “ 12 Imagerie Médicale Natale Caronia “ 14 Il tom tom è femmina Carlo Barbieri “ 15 D’europa si continua a parlare Irina Tuzzolino “ 16 Dalla Cina all’Italia Pino Morcesi “ 17 Il mito di Faust nel cinema G. Romagnoli “ 18 Pretesto: Carmen di Bizet Carmelo Fucarino “ 19 La poesia è parola Lavinia Scolari “ 20 Tempo di poesia Gabriella Maggio “ 21 Settantesimo anniversario delle Fosse Ardiatine Gabriella Maggio “ 22 La Carmen di Amodio Salvatore Aiello “ 23 Luigi Lo Cascio ri-legge Otello Carmelo Fucarino “ 24 Il canto alato di Gonca Dogan Marta Santoro “ 26 Nuvole su Palermo Riccardo Carioti “ 27 In difesa del coniglio Carmelo Fucarino “ 28 Carlo Barbieri e Lise Bourbeau Carlo Barbieri “ 29 Hanno collaborato : Salvatore Aiello, Tommaso Aiello, Carlo Barbieri, Riccardo Carioti , Natale Caronia, Daniela Crispo, Carmelo Fucarino, Marinella, Pino Morcesi, Gianfranco Romagnoli, Marta Santoro, Lavinia Scolari, Irina Tuzzolino. Lions Club 3 NOI PER LE DONNE ARTE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE Gabriella Maggio Nicoletta Signorelli Il ratto di Proserpina Domenica 23 febbraio 2014 nello Spazio della Cavallerizza di Palazzo Sant’Elia è stata inaugurata la mostra di pittura Noi per le donne - Arte contro la violenza sulle donne , curata da A. M. Ruta. La mostra si colloca come ideale prosecuzione della precedente Artedonna, nella quale la curatrice, la brava A.M. Ruta, aveva tracciato un ampio e suggestivo percorso di storia della pittura femminile in Sicilia dal 1850 al 1950. Adesso il percorso si estende fino ai giorni nostri, accogliendo pittrici in divenire che ancora continuano la loro ricerca artistica e pittorica. Averle messe insieme offre al pubblico un buona ed efficace antologia della pittura di genere siciliana. Infatti sono donne che dipingono donne, tranne alcune come Fr. Gagliardo di Carpinello, Mariolina Spadaro, Miriam Pace, Carla Horat e Renata Bonacci hanno scelto temi naturalistici o astratti. Le altre hanno dipinto donne, della mitologia come Nicoletta Signorelli che fissa l’attimo in cui Proserpina è preda del nume che la ghermisce con violenza o invece Danila Leotta che reinterpreta il mito in chiave moderna ed enigmatica nel volto di donna in primo piano, lasciando l’esplicitazione della violenza alla dichiarata simbologia della trappola per topi, cui l’accomuna il melograno. Ma an- che donne qualsiasi, alcune rappresentate senza volto, solo corpi ciechi. Tuttavia le pittrici nei loro quadri oltrepassano il tema della violenza, pur rappresentandolo, e oppongono e propongono la loro creatività alla brutalità. La mostra, proposta dall’ Inner Wheel del Distretto 211° che ha come tema internazionale Noi per le donne, non ha fini di lucro ed è stata realizzata grazie alla generosa partecipazione della Fondazione Sant’Elia, dei Club service : Inner Wheel Palermo Decano e Palermo Centro, Soroptimist, Rotary Palermo Est, Palermo Ovest, Palermo Sud, Palermo Parco delle Madonie, Rotary Costa Gaia, Lions Club Palermo dei Vespri e Palermo Normanna ed anche dell’Associazione Volo, dell’ Associazione ANDE e della Fanale Arte Architettura. Le venti pittrici partecipanti hanno donato ciascuna una loro opera, che sarà sorteggiata per la raccolta fondi per il progetto Ibiscus ed a favore dell’Oncologia Pediatrica Catania-Palermo. La mostra è visitabile fino al 26-03-2014. Lions Club 4 VINCENZO BELLINI: UN SICILIANO TRA I GRANDI COMPOSITORI DELL’OTTOCENTO Tommaso Aiello Una vita breve è forse segno del L’0pera di Bellini rappresenta destino,ma è anche un segnale senza dubbio l’ incarnazione più inequivocabile che la fortuna si pura dell’opera romantica italiana è girata dall’altra parte.Vincenzo nella prima metà del XIX secolo. Bellini è vissuto appena 34 anTutta la sua attività,non avendo ni,ma è in buona compagnia con coltivato l’opera buffa,si impernia altri grandi del passato:J.Keats 26 sul nuovo genere,tragico per ecanni,G.Byron 36 anni,Raffaello 37 cellenza,e le undici opere che egli anni,Leopardi 39 anni e ci fermiacompose durante la sua breve vita mo qui per non intristirci troppo. sono altrettanti successi in questo Tutti però sono accomunati da campo. Forse Bellini ha minor una vita intensa tesa a lasciare sicurezza,scrive Renè Leibowitz, un’impronta indimenticabile del,un mestiere meno consumato di la propria opera.Vincenzo BelliRossini e Donizetti;forse la sua ni,siciliano,nacque a Catania nel invenzione musicale appare più 1801 da una famiglia di musicisti. limitata di quella dei suoi due Dapprima fece esperienza di mugrandi contemporanei.Ma li susica sacra,poi un soggiorno di 6 pera certo entrambi per la verità Vincenzo Bellini in una miniatura-Milano anni a Napoli culminò con il sucprofonda del sentimento,come li cesso di Bianca e Gernando che gli procurò una com- eguaglia nell’assoluta naturalezza e nella spontaneità missione dalla Scala.Il Pirata fu la sua prima collabo- dell’espressione musicale.Queste caratteristiche gli hanrazione con il librettista Felice Romani,con l’eccezione no non solo attirato l’ammirazione di molti grandi suoi de’ I Puritani,e con il quale si affermò come operista di successori(Verdi e Wagner in particolare),ma gli hanno prima grandezza.Scrisse undianche permesso di concepire ci opere in appena otto anni;alcune fra le più commoventi ne citiamo alcune che ebbero situazioni drammatiche di tutta grandissimi interpreti nelle l’arte operistica,soprattutto fra varie rappresentazioni:Il Pirata le scene d’amore. Inoltre l’arte con Gigli,Callas,Corelli,Cabaldel bel canto,la tecnica vocalè,Tullio Serafin; I Capuleti e i le in generale e l’ispirazione Montecchi con Carteri,Simiopropriamente detta della linea nato,Scotto,Pavarotti,Gruberodel canto,quali si manifestano va,Claudio Abbado, Riccardo nella prima metà del XIX seMuti;La Sonnambula con Gicolo,trovano senza dubbio la gli,Schipa,Callas,Sutherlanloro più splendida affermaziod,Tullio Serafin;Norma con ne nell’opera di Bellini. Questo Lauri-Volpi,Callas,Del Monaspiega la popolarità quasi coco,Simionato,Sutherland,Pavastante di una partitura come rotti,Serafin,Bonynge;Beatrice di Tenda con Sutherlan- Norma(1831),che gode tuttora di uno straordinario fad,Kabaivanska,Gavazzeni;I Puritani(ultima opera) con vore presso il pubblico anche per merito di una grande Lauri-Volpi,Callas,Sutherland,Tullio Serafin. cantante,Maria Callas,che ha dato un po’ dovunque delLe opere furono rappresentate nei maggiori teatri del le splendide rappresentazioni di quest’opera.Comunque mondo:Milano,Parigi,Londra,NewYork,Venezia,Dre- possiamo dire con Renè Leibowitz,che Norma “torna di sda,Edimburgo,Boston,Montreal,Vienna,Napoli,Paler- moda” ogni volta che si trova un’artista in grado di renmo e Catania. dere con la maestria necessaria la parte della protagoni- Lions Club 5 sta:e questo dimostra appunto l’altissimo valore ragmigliori interpreti giunto dalla scrittura vocale. Scrive il filosofo tedesco di Norma,tra le quaSchopenhauer”Sia qui menzionato,che li ricordiamo Aniraramente l’effetta Cerquetti,Leyla to genuinamente Gencer,Elena Souliotragico della catatis,Joan Sutherland,strofe, quello che Montserrat Caballè,Svien conseguito hirley Verret,Renata mediante la rasseScotto,non riescono a gnazione e la subliuscire dall’ombra della mazione spirituale Callas con una soluziodei personaggi,è ne interpretativa indivistato così ben moduale.Per Maria Callas tivato e trasparenil personaggio di Norma temente espresso è una parte assegnata dal come nell’opera destino:Lei stessa sosteNorma,quando si neva che,quando non saarriva al duetto rebbe stata più capace di <<Qual cor tradisti cantare l’eroina di Bel- lini,avrebbe abbondonato qual cor perdesti>>”. per sempre la scena.”Della Callas,che interpretò la NorA tanti anni di distanza dalle parole di Schopenhauer,- ma ben 92 volte,abbiamo due eccellenti e fondamensiamo ancora tutti convinti dell’alto valore di trascen- tali testimonianze registrate,entrambe del 1955:una denza e di catarsi che esprime la Norma di Vincenzo trasmissione Rai del 29 giugno con Mario del Monaco Bellini. ed Ebe Stignani,sotto la direzione di Tullio Serafin e la Un’opera che non vuole ritrarre una donna feroce e ge- registrazione della prima alla Scala del 7 dicembre. La losa e che non ha nulla a che vedere con la figura di voce della Callas è più slanciata rispetto alle precedenti Medea;un’opera invece che è la rappresentazione di un rapprentazioni,ma molto costante e l’insieme più rafamore tanto impossibile sulla terra quanto necessario finato.La conduzione dell’aria è fluida,la cabaletta non negli abissi imperscrutabili del cielo. A proposito delle ha solo brio virtuoso,ma è anche drammaticamente più difficoltà interpretative delle partiture,scrive un grande plausibile.Mario del Monaco canta Pollione,ostentando direttore d’orchestra,Richard Bonynge,”che la cantan- la propria superiorità come un novus Hercules e la sua te che potrebbe interpretare una perfetta Norma,non partner è adeguatamente provocatoria.Ebe Stignani nel è mai esistita e forse non esisterà ruolo di Adalgisa non risulta essere mai.L’opera pretende quasi troppo all’altezza dei collegni,mentre sucda un soprano:il più grande potencessivamente Giulietta Simionato,ziale espressivo drammatico,una scritturata per le otto repliche in forza emotiva sovrumana,una tecprogramma alla Scala,offre un’innica di Belcanto perfetta,una voce terpretazione eccellente. di classe e grandezza e diverse altre La Callas e la Simionato,nel duetinfinite qualità”. to,sono quasi perfette.E’ ancora ArMa è proprio nel ruolo di Norma thur Schopenauer che scrive di “un che Maria Callas,mettendo in luce insieme di suprema perfetta tragele sue grandi doti di interprete,si ridia,un autentico modello di tragica allaccia a una tradizione interrotta struttura dei motivi,tragico proe provoca un’autentica rivoluziogresso dell’azione e tragico svilupne,come risulta chiaramente dalle po,che attraverso l’effetto edificante parole di Friedrich Lippmann,uno del mondo passa ai sentimenti degli dei principali studiosi di Bellini: La eroi che,a loro volta,vengono trasua interpretazione non solo rimasmessi agli spettatori”.Così succene ineguagliabile ma anche senza de, ad esempio,in uno dei momenti Maria Callas, alternative convincenti.Persino le più alti dell’opera,quando Norma e debutto americano nella Norma nel 1954 Lions Club 6 abbiamo già detto,certe pagine fra le più prestigiose di Wagner.Purtroppo a soli trentaquattro anni la morte aveva troncato non solo una brillante carriera,ma quella nuova riforma del teatro italiano che I Puritani,con geniale lungimiranza,avevano fatto intravedere. Una vita troppo breve per il più geniale compositore siciliano. Pollione si avviano verso il rogo. Perfino Wagner giudica questa scena uno dei più grandi finali della storia dell’opera. Ma torniamo per un attimo all’arco di vita del Bellini che lo porta alla composizione della Norma e diciamo subito che dopo le esperienze giovanili arriva alla partitura della Sonnambula dove l’artista appare spiritualmente trasfigurato,pronto a rispondere in pieno ai richiami del teatro e della vita. Ora davvero sono vicine le vette alte del canto,quelle che ne testimoniano la grandezza delle concezioni e la nobiltà delle aspirazioni,e che in particolare traducono i sentimenti di un cuore cui era pure concesso di conoscere i palpiti possenti della virilità.Mentre le opere precedenti sono un passaggio obbligatorio di chi si evolve e ricerca la sua strada e quindi rappresentano la produzione caduca che un artista,a detta dello stesso Bellini,deve tributare all’altare della gloria,la composizione Sonnambula e della Norma lo portano verso nuove sperimentazioni che si concretizzano ne I Puritani.Da questa composizione ne uscì uno dei più schietti melodrammi che un operista preverdiano abbia mai concepito e realizzato.Duetti,arie,cavatine,quel tale unico recitativo e quei finali concertati di Paradiso,scrive Franco Abbiati,i vocalizzi della impazzita Elvira e i sovracuti dello spasimante Arturo,si trasfigurano nell’idealizzazione musicale,depongono l’ombra terrena della scuola,del procedimento,del mestiere per assurgere agli accenti inclassificabili dell’espressione immediata,pertinente,naturale quanto la voce stessa della natura.Chi si ostina a vedere in Bellini solo un melodista ispirato,ma povero e primitivo nelle strutture armoniche,dovrebbe riascoltare il mirabile brano tratto dal finale del secondo atto di Norma(Deh,non volerli vittime),in cui l’accentuato cromatismo,le progressioni armoniche in generale e la scrittura vocale e orchestrale preannunciano,come LE RICETTE LETTERARIE DI MARINELLA Carlo Castellaneda negli Insegnamenti di Don Juan, in cui narra in prima persona le tappe attraverso le quali lo sciamano Don Juan lo guida all’iniziazione allo sciamanesimo mesoamericano, parla anche del chili, piatto di origine messicana. Ingredienti Gr.600 di carne di manzo, 1 cipolla bianca, 1 cipolla rossa,1 peperone verde, gr.500 di pomodori pelati, 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro, gr. 400 di fagioli neri( in scatola o secchi, ammollati in acqua per 12 h e lessati), 1 peperoncino piccante, 1 cucchiaio di zucchero, olio q.b., sale, cumino, cannella, coriandolo, pepe nero, cumino, 1 mestolo di brodo di carne. Preparazione Rosolare nell’olio la polpa di manzo tagliata a cubetti, le cipolle , il peperone ( senza i semi ed i filamenti), il peperoncino ( privato dei semi ) tagliato finemente per circa 10 mm. Aggiungere i pomodori schiacciati con la forchetta, il concentrato e lo zucchero, i fagioli, dopo altri 10 mm. aggiungere le spezie e se occorre un po’ di brodo di carne. Cuocere a fuoco basso per 1h. Servire con tortillas. Lions Club 7 GIOVANI TALENTI PALERMITANI Gabriella Maggio I Concerti di Natale che si sono svolti nelle Chiese storiche della città dal 26 dicembre al 6 gennaio hanno dato l’occasione al pubblico palermitano non soltanto di vedere luoghi di solito chiusi al pubblico, ma anche di apprezzare il talento di giovani cantanti e musicisti. In questo contesto ho ascoltato il concerto di musica sacra del Maestro Bartolomeo Cosenza e del suo Ensemble Da mihi virtutem . Dal momento che mi è sembrato molto interessante e che mi ha incuriosito il fatto che un giovane oggi scriva musica sacra, ho rivolto alcune domande al Maestro per farlo conoscere ai Lettori ed alle Lettrici di Vesprino. seguito il dottorato di ricerca. A tale riguardo, e con mia grande soddisfazione, sono state pubblicate in alcune riviste scientifiche dei lavori di ricerca a cui ho preso parte. Non ho neanche tralasciato gli studi musicali e scrivere un brano, in particolare di musica sacra, e poterlo eseguire ad un concerto mi riempie di gioia e mi regala tante soddisfazioni. Cosa spinge oggi un giovane musicista alla musica lirico- sacra, ispirazione personale, committenza o altro ? Io sono un credente e spero di contiIl Maestro compositore nuare a comporre con umiltà e di avere Bartolomeo Cosenza sempre obiettivi da raggiungere. Per conseguire il mio primo diploma, in organo e composiLei è un ingegnere chimico, un musicista e un com- zione organistica, ho dovuto studiare, per motivi logistipositore, può l’aspetto scientifico conciliarsi con ci, in varie Chiese di Palermo. Suonare le opere di auquello artistico musicale? tori come Girolamo Frescobaldi, Johann Sebastian Bach Penso proprio di sì. Anzi le dirò di più. Nel corso dei miei o César Franck nei luoghi sacri mi ha fatto vivere più studi musicali, in particolare quelli di composizione, il intensamente il mistero della fede e mi ha fatto capire metodo di studio razionale, tipico degli ingegneri mi ha come nella musica vi sia Dio. Ricordo ancora il concerto, aiutato moltissimo, soprattutto nell’elaborazione di algo- in occasione della 54° edizione della Settimana di Muritmi e strutture inerenti le forme compositive musica- sica Sacra a Monreale, quando ho eseguito il mio primo li. Penso che la conoscenza, in genere, non proceda per brano di musica lirico sacra: “Abbi pietà di me Signor”. settori chiusi, isolati l’uno dall’altro, ma alla fine tutto serve e si può collegare. L’armonia ad esempio può essere vista come una chimica dei suoni. Nell’ultima mia tesi di laurea in composizione (musicale), che ha come titolo “Reattori chimici e processi compositivi”, ho collegato due mondi apparentemente disgiunti, quello dei processi chimici e quello della composizione seriale e non. Questo argomento, mi è valso la lode e la menzione alla tesi. Ma lei si sente più musicista o ingegnere? Io mi sento entrambi e cerco sempre di dare il meglio di me stesso in ciascun campo. Non ho mai tralasciato gli studi del settore ingegneristico chimico, anche dopo che ho con- L’Ensemble Da mihi virtutem con Natisa Katai in Regina degli Angeli, durante un concerto nella Chiesa di Sant’Anna. Lions Club 8 Era un fuori programma, così, valori e dei principi sani, soprattutin continuazione, senza neanto in una società come la nostra che che presentarlo, lo eseguii. Alla si pone quotidianamente al di là define del concerto il parroco della gli steccati di ogni moralistica consiChiesa mi si avvicinò e mi doderazione. La musica parla a tutti, mandò chi fosse l’autore proprio perché è essenzialmente un linguagdi quell’ultimo brano appena esegio particolare e speciale che ciascuguito. Temevo il peggio. Mi feci no può riconoscere e fare proprio. coraggio e gli dissi che la musica La musica sacra è essenzialmente ed il testo di quel brano erano i comunicazione d’amore. miei. Il parroco mi sorrise e mi propose di ripetere proprio quel Ha un progetto di creare un’attebrano in occasione di una celesa, un gusto ? brazione, confidandomi di esserNon voglio creare attese o gusti si commosso all’ascolto di quella particolari. Non ho queste pretese. musica. Proprio quella parola Sono però un idealista e credo mol“commosso” fu per me come una to nelle enormi potenzialità della benedizione, una carica di enermusica. Quello che mi propongo ad gia, un incentivo a continuare ogni concerto è quello di sensibilizquello che avevo appena iniziazare quanto più persone possibili to a fare: scrivere musica sacra. con tematiche quanto mai attuali Domenico Ghegghi e Maria Francesca Mazzara Da allora decisi di dedicarmi a e scottanti. Temi come il precariato, nella Preghiera del disperato, durante il concerto al Duomo di Monreale questo genere di musica con più la disoccupazione, la crisi economiassiduità e di presentare qualche ca globale che stiamo vivendo, visti mia composizione ad ogni nuovo concerto. Così come però sempre in una chiave speranzosa. Il grande teolouno scultore lavora la materia prima ottenendo un’opera, go cristiano Karl Barth diceva che il cristiano deve avere allo stesso modo il compositore deve saper organizzare i in una mano la Bibbia e nell’altra il giornale. Allo stesso suoni, in modo da produrre musica. Una musica che sia modo il compositore deve far sì che la sua musica possa capace di parlare, di comunicare al cuore con umiltà e vestirsi di attualità e perché no, a volte deve essere annaturalezza. Il fine di ogni mia composizione è quello di che uno strumento di provocazione, solo così potrà essere sensibilizzare chi ascolta, commuovere per l’appunto, ab- profonda, incisiva e potrà arricchire di valori le nostre battendo l’indifferenza, l’apavite. Io nel mio piccolo cerco tia e il disinteresse. E’ chiaro di fornire questi input concerperò che per commuovere gli to dopo concerto, grazie anche altri, il primo a commuoveral supporto dell’Ensemble Da si deve essere il compositore mihi virtutem, di cui sono stesso. Ecco perché ogni mia molto fiero ed orgoglioso. composizione nasce inizialmente come un dialogo, un Come e’ nato l’Ensemble Da ringraziamento, o una premihi virtutem? e come si ghiera a Dio, per poi diventare propone oggi? un canto sacro pieno d’amore L’ensemble che dirigo e per il per il sommo Creatore. Come quale compongo, è di recente dice Sant’Agostino infatti, “chi costituzione e debutta (all’iL’Ensemble Da mihi virtutem canta prega due volte”. nizio con il nome ensemble al concerto che si è tenuto al Duomo di Monreale. Vivaldi) in un concerto paDa sinistra verso destra i Maestri Luigi Rocca (violino), A quale pubblico si rivolge ? Guido Maduli (flauto), Nicola Genualdi (tromba), Silvio Na- trocinato dalla Regione Sicilia La mia musica si rivolge a tut- toli (viola da gamba) e Bartolomeo Cosenza (compositore il 13/12/2012 a Santa Maria ed organista). ti, senza alcuna differenza. E della Pietà a Palermo, in occosì deve essere. Penso che la casione dell’evento “Valorizmusica sia uno strumento potentissimo per divulgare dei zazione della Chiesa Santa Maria della Pietà”. Seguono, Lions Club diversi altri concerti a Palermo e provincia tra cui a Santa Flavia nella Basilica Soluntina, in occasione del “Santa Flavia Sacred Festival”; nella Cattedrale di Cefalù, in occasione dell’inaugurazione dell’“Anno della Fede” nel concerto “Sotto il suo sguardo”; a Lascari nel concerto “Musica e preghiera”, per “La Giornata della Memoria”; a Casa Professa, in occasione della giornata nazionale di tutte le vittime di mafia; nel Duomo di Monreale in occasione della rassegna “Uno strappo di musica”; nella Chiesa di Sant’Anna; a Santa Maria di Porto Salvo Anna in occasione della V edizione “Natale a Palermo”; e poi un’esibizione a RAI TRE nella trasmissione “Buongiorno Regione”. L’Ensemble Da mihi virtutem con Natisa Katai in Regina degli Angeli, durante un concerto nella Chiesa di Sant’Anna. Allo stato attuale il gruppo è formato dai Maestri del Conservatorio Vincenzo Bellini di Palermo: Nicola Genualdi (tromba), Guido Maduli (flauto), Luigi Rocca (violino) e dal Maestro Salvo Palmeri (fagotto); dai tenori Domenico Ghegghi e Pierluigi Mazzamuto; dai soprani Maria Francesca Mazzara, Natisa Katai e dal mezzosoprano Carmen Ghegghi; e dal sottoscritto (Maestro concertatore all’organo e compositore). Domenico Ghegghi e Maria Francesca Mazzara nella Preghiera del disperato, durante il concerto al Duomo di Monreale Tengo a precisare che i membri dell’ensemble, ancora prima di essere grandi professionisti e Maestri di indubbio valore artistico, sono persone splendide e di animo nobile con i quali condivido l’amore per la musica, per il bello e la cultura. L’Ensemble Da mihi virtutem al concerto che si è tenuto al Duomo di Monreale. Da sinistra verso destra i Maestri Luigi Rocca (violino), Guido Maduli (flauto), Nicola Genualdi (tromba), Silvio Natoli (viola da gamba) e Bartolomeo Cosenza (compositore ed organista). A proposito di crisi, quale particolare significato e ricadute ha o può avere oggi la crisi economica sulla produzione artistica ? La crisi economica che stiamo vivendo sta mietendo molte vittime anche nel campo artistico. 9 Chiudono i teatri, le orchestre, le associazioni musicali, complice anche l’indifferenza della nostra classe politica che considera la musica un bene su cui non occorre investire. Niente di più sbagliato. La musica, in quanto arte, deve reagire a questo degrado culturale, potendo mettere in luce problematiche sociali ed economiche. Molti dei miei brani musicali nascono dalla volontà di descrivere questa enorme crisi tramite gli occhi dei deboli che vivono nella nostra società, i senza nome che vengono schiacciati da un sistema molto più grande di loro e su cui niente possono. Questi senza nome sono i precari, i disoccupati, gli operai che perdono il posto di lavoro, gli imprenditori che chiudono la loro attività, i molti disperati che si suicidano, persone che sono vittime della recessione che vive il nostro Paese. Questi brani di musica sacra vogliono per l’appunto essere una risposta a questo decadimento non solo economico della società, ma anche morale ed etico. Un incoraggiamento a combattere. La crisi che stiamo vivendo investe tutti i settori. Ne subiscono le conseguenze soprattutto i giovani che non trovano sistemazione in campo lavorativo, soprattutto nel nostro Paese (fenomeno che anch’io condivido). Giovani precari neolaureati, ricercatori di grande capacità che studiano nel nostro Paese e che successivamente vengono richiesti per lavoro all’estero, arricchiscono con il loro bagaglio culturale altri Paesi dove vengono apprezzati e valorizzati. Questo fenomeno ovviamente causa un ingente danno economico e produttivo al nostro Paese. Brani come “La preghiera del precario” o “ La preghiera del disperato” (interpretato quest’ultimo da due artisti d’eccezione: Domenico Ghegghi e Maria Francesca Mazzara), che ho scritto, sono di fatto le preghiere di tutti quelli che vivono questa situazione di forte disagio e di frustrazione; sono la preghiera del giovane laureato, del musicista, più in generale la preghiera di chi ha investito tanto nel nostro Paese per poi non avere nulla e che quindi si sente inutile, senza ideali, senza dignità, senza lavoro. L’immagine “La Preghiera del precario” che fa da sfondo ai concerti dell’ensemble Da mihi virtutem. . L’immagine “La Preghiera del precario” Preghiere che nascono sì dalla che fa da sfondo ai concerti dell’ensemble Da mihi virtutem. . disperazione ma che si nutrono Lions Club 10 sempre di speranza e di un forte ed incessante bisogno di ritrovare nella fede cristiana Dio come unica, vera e sola certezza ed ancora di salvezza e di amore in questo mondo che sta perdendo ogni punto di riferimento. Ritrovare Dio, in questa società caratterizzata sempre più da un’eclissi dell’etica, dell’onestà, del decoro, del buonsenso e che soffoca in maniera becera l’iniziativa e di conseguenza l’inventiva e la creatività. Brani di provocazione e di preghiera per non arrendersi, per tornare a sperare in questo Paese ricchissimo di magnificenze, ricettacolo di storia, arte, musica e cultura. Canti per avvicinarci a Colui che è verità, sapienza, immenso amore e che mai ci abbandona. Ora più che mai c’è bisogno del Buon Pastore, cioè del Cristo, il Dio fattosi Uomo. Sono convinto che dietro le difficoltà di questa vita risplenda un piano di inconcepibile bellezza. VIAGGIATORI STRANIERI IN SICILIA Daniela Crispo I viaggiatori stranieri che visitano la Sicilia nell’Ottocento intrecciano curiosità e gusto per esperienze nuove ed emozionanti a ricerche storico-antropologiche di ampio respiro. Rispetto al Settecento è cambiata la prospettiva di osservazione: dalle testimonianze archeologiche del passato, dal pittoresco dei paesaggi all’osservazione degli uomini e del loro carattere, del loro rapporto con l’ambiente. E’ quanto emerge dal Diario italiano, in forma epistolare, del conte prussiano Paul Yorck von Wartenburg, che nel 1891 soggiorna venti giorni nell’isola. La Sicilia appare al conte nettamente separata dall’Italia per paesaggio naturale, per storia, per il carattere degli uomini. Per quanto riguarda la storia, la stratificazione isolana, leggibile chiaramente nei suoi monumenti e documenti, sembra non scalfirla né caratterizzarla. Nel profondo del suo essere l’Isola gli appare profondamente autoreferenziale, fuori dal tempo. Anche gli uomini, visti nella loro spontaneità come forze naturali incoercibili, non sono riconducibili precisamente ad uno o all’altro dei popoli che hanno nel tempo vissuto in Sicilia. A pochi decenni dall’Unità, il viaggiatore riteneva perciò necessario un intervento del nuovo Stato per valorizzare l’agricoltura e le tante potenzialità che l’isola offre con opportuni ed incisivi provvedimenti tecnici e legislativi in grado di utilizzare come risorsa e non come ostacolo la sua diversità. Ma aveva anche modo di percepire che una facile quanto sterile retorica costituiva l’approccio degli amministratori alla condizione dei siciliani. Lions Club 11 CENTOVENTESIMO ANNIVERSARIO DEI FASCI SICILIANI Gabriella Maggio Al centro Carmelo Fucarino Giovedì 27 febbraio 2014 presso la Società per l’Amicizia fra i popoli, per la sezione Corso di Storia della Sicilia Carmelo Fucarino ha trattato il tema “I Fasci siciliani a Prizzi e la fondazione a Lercara” nel 120° anniversario della repressione. Il relatore di origini prizzesi ha affrontato il tema con riferimento alla storia nazionale e con ampia disamina di fonti locali, compulsate durante la stesura della Stratigrafia del Comune di Prizzi come metafora della storia dell’Isola, pubblicato nel 2005. Nella sua ricostruzione storica i Fasci ” …furono il primo esempio in Italia di movimento sociale e popolare di massa con una composizione sociale diversa da luogo a luogo..” ( op.cit. p.677 vl.II) . Carmelo Fucarino ha sottolineato che i Fasci sono stati un laboratorio politico-economico unico in cui contadini, braccianti, mezzadri, artigiani e operai ed in alcuni casi ragazzi e donne avevano trovato argomenti comuni di unione e di lotta politica, che avrebbero potuto orientare diversamente la storia della Sicilia. Ma vennero duramente repressi dalle autorità e il significato del movimento ridotto a pura rivendicazione salariale. Dal dibattito è emerso il ruolo di Crispi che, legato a corrotte clientele locali impedì l’attuazione di riforme in Sicilia. Lions Club 12 L’8 MARZO DELLE DONNE Carmelo Fucarino In margine all’incontro culturale “Regine e Sante pro- vite esemplari, la prima imbevuta di illuminismo, di tettrici nella Toponomastica panormita” a cura del Cen- mecenatismo culturale ed artistico, la seconda dopo il tro di Cultura Siciliana e riguardo alla Porta Carolina, decolté dell’amata sorella Maria Antonietta quella della di fronte all’Orto Botanico, declassata a Porta Reale per spietata regina che, nuova Salomé, chiese la testa dei odio verso la regina. Altra donna ebbe una porta, Porta rivoluzionari, fra cui Pagano e Caracciolo e l’Eleonora Felice, in onore di donna Felice Orsini, moglie del vi- Pimentel Fonseca, colpevole di avere scritto una feroce ceré Marcantonio Colonna. Vero splendore di Mariano satira («Rediviva Poppea, tribade impura, d’imbecille Smiriglio. tiranno empia consorte stringi pur quanto vuoi nostra Si battaglia e si fanno pressioni sulla cattiva coscienza ritorta l’umanità calpesta e la natura…»). Al Tanucci maschilista, chiamando in causa la statistica degli omi- subentrò lord Acton con la supervisione inglese e l’incidi di genere, detti con bruttissimo neologismo “fem- trigante donnicciola lady Hemma Hamilton, sua tropminicidi”. Quelli a danno dell’altro genere sono sem- po intima. A me ha intricato la prima parte della sua plici omicidi senza aggravanti. Perciò si vuole, si dice vita, vera regina e governante al posto del distratto e trasversalmente e a gretti fini elettoralistici, relegare le inetto marito, intento a cagliare ricottine alla Favorita. donne in una riserva In particolare mi ha indiana, ove il solo sorpreso del suo difatto di essere donna spotismo illuminato garantisca l’elezione, la fondazione della naturalmente in liste Colonia di S. Léucio bloccate prefabbrie delle sue seterie, atcate e senza le “ortiva dal 1789 al 1799, rende”, “pericolose” e in principal modo preferenze (d’accoril suo Codice-Stado i partiti padronali tuto, antesignano e naturalmente andel cattolicesimo che Grillo & C.). Ci sociale alla Thomas sarebbe da chiedere Moore o alla Toniochi sceglierà queste lo. Fu la vera parità unte, i capi dei paruomo-donna, senza titi maschilistici o steccati e protezioFoto Archivio dell’autore altre donne delegate ni. In essa uomini a questa professione. In altri termini anche con i pochi e donne vissero uguali, con uguali prerogative e pari voti di famiglia si può entrare a governare l’Italia, essen- compensi. Alle donne fu riconosciuto il diritto di studo semplicemente prime nella lista chiusa, con il solo diare, ereditare, possedere proprietà, educare i figli e “pregio” e capacità di appartenere al genere femminile. soprattutto scegliersi liberamente il marito. Con questi criteri si potrebbe riportare in Parlamento Naturalmente con la propaganda savoiarda del loro a governarci anche il cavallo di un celebre imperatore, Regno perfetto contro la barbarie borbonica si buttò oggi forse meglio il “fedele” cane, il parente più stretto il bambino assieme all’acqua sporca. Paradigma la ferdi famiglia. rovia Napoli-Portici, irrisa come giocattolo regio. Per Nell’incontro sopradetto ho voluto ricordare una don- tutti però valga il giudizio di Alexandre Dumas padre, na eccezionale nel bene, ma anche nel male, la terribi- amico, cronista e finanziatore per gioco di Garibaldi: le vendicatrice Maria Carolina, moglie sedicenne per «Nel 1778, quando cioè Saint-Simon aveva appena doprocura del nostro Ferdinando, quello della Palazzina dici anni, e Fourier non ne aveva cinque, il re FerdinanCinese e di Ficuzza, passato da IV a zero. Tredicesima do non solo ideò il falansterio, ... ma lo mise ad effetto, figlia dei diciotto della prolifica Maria Teresa, visse due dandogli leggi più umanitarie di quelle compilate da’ Lions Club due capiscuola, e da’ loro due discepoli. Aspetto alla costituzione di San Leucio, quelle di Saint-Simon e di Fourier son timidi saggi di socialismo» (Da Napoli a Roma, Napoli 1863, tradotto dal napoletano Eugenio Torelli Viollier, “il garibaldino che fece il Corriere della Sera”). Intanto un principio etico fondamentale: «I Doveri negativi son quelli, che impongono l’obbligo di astenersi dall’offender alcuno in qualunque maniera. Or in tre maniere si può offendere alcuno. Si può offendere nella persona, nella roba, e nell’onore». Ad essi si affiancano quelli positivi che «impongono di fare a tutti il maggior bene che si possa. Questi sono o generali, o particolari. I generali riflettono sopra tutti i nostri simili». Perciò, «la virtù, e l’eccellenza nell’arte, che si esercita, debbon essere la caratteristica dell’onore, e della singolarità; e questa, qual debba esser tra voi, sarà qui sotto prescritta. Nessun di voi pertanto, sia uomo, sia donna, presuma mai pretendere a contrasegni di distinzione, se non ha esemplarità di costume, ed eccellenza di mestiere». Prima del lodatissimo Olivetti di Ivrea ai lavoratori fu assegnata una casa con acqua corrente e servizi igienici, fu creata un’assistenza malattie e ospedali a carico dello Stato, il campo più attivo e moderno del Regno borbonico. Suscita una certa commozione la lettura dell’articolo III Sul matrimonio, cristiano e moraleggiante, che inizia: «La donna fu concessa da Dio all’uomo per sua ragionevol compagna». Detto del matrimonio, dell’età e della ripartizione del lavoro di entrambi chiarì: «Nella scelta non si mischino punto i Genitori, ma sia libera de’ giovini, da confermarsi», con un preciso e romantico rituale di scambio di bouquet di fiori. In merito «essendo lo spirito, e l’anima di questa Società l’eguaglianza tra gl’Individui, che la compongono, abolisco tra’ medesimi le Doti». Indicato l’uomo come capo naturale di questa unione, la natura «gli proibì nel tempo stesso di opprimere e di maltrattare la sua moglie. Con tuono di maestà in ogni occasione gl’intima l’obbligo di amarla, di difenderla, e di garantirla da’ pericoli, a’ quali la sua debolezza la porterebbe. Il marito deve alla moglie la protezione, la vigilanza, la previdenza, gli alimenti, e le fatiche più penose della vita. La moglie deve al marito la giusta preferenza, la tenera amicizia e la cura sollecita per cimentare da più in più la cara unione». Perciò, «comando ad ogni marito di questa Società di non tiranneggiar mai la sua moglie, né di essere ingiusto, togliendole quella ricompensa che sia dovuta alla di lei virtù: ad ogni moglie, che rendasi cara al suo marito; che nelle cure, e ne’ travagli sia la sua fedele compagna». Sembra il nostro codice civile. L’istruzione elementare fu obbligatoria e gratuita, e 13 quello che più strabilia in tema di parità, il diritto allo studio fu esteso in ogni Comune con «la Scuola normale, in cui s’insegna a’ fanciulli, ed alle fanciulle sin dall’età di anni 6 il leggere, lo scrivere, l’abbaco». Quando in Inghilterra il lavoro minorile era soggetto ad età e orari disumani, qui si stabilì l’ingresso a 15 anni con turni regolari per tutti con otto ore giornaliere e con un salario sufficiente a sostentare le famiglie. La disoccupazione giovale fu combattuta e risolta: «Per non farli andare altrove a cercar la maniera d’impiegarsi, ho (il Re, promulgatore dello Statuto) provveduto questo luogo di macchine, di strumenti e di artisti abili ad insegnar loro le più perfette manifatture». Se tutto questo potrebbe sembrare ovvio nella società italiana del 2014, si rifletta su questo articolo in epoca di maggiorascato maschile: «Abbian i figli porzion eguale nella successione degli ascendenti; né mai resti escluso la femina dalla paterna eredità, ancorché vi sian de’ maschi». Ed educatori riflettete: «Se i Genitori danno la vita, i Maestri danno la maniera di sostenerla. Quegli obblighi dunque, che i figli hanno a’ Genitori, quelli stessi i discepoli hanno a’ Maestri. Ad essi debbono l’amore, e la gratitudine: ad essi l’ubbidienza, ed il rispetto». Solo questo, per ragioni di spazio, ho potuto ricordare di questo Statuto che invito a leggere intero per ricavare qualche riflessione sull’uso improprio, immorale e mistificatorio, che si è fatto della Storia della Nazione. GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA La Redazione di Vesprino augura a tutte le donne di potere realizzare serenamente il proprio progetto di vita Lions Club 14 IMAGERIE MÈDICALE Natale Caronia Col termine di imagerie mèdicale i nostri cugini francesi indicano quella serie di indagini strumentali che servono alla diagnostica clinica. Notoriamente fanno parte di tale strumentazione le apparecchiature a raggi X, la TAC, gli ultrasuoni, la risonanza magnetica e la medicina nucleare. Spesso viene chiesta la modalità di funzionamento di questi sistemi diagnostici, quale la più opportuna e se le radiazioni sono pericolose, così come i mezzi di contrasto impiegati. Ritenendo di qualche utilità affrontare l’argomento e, in sintonia con il Direttore editoriale Gabriella Maggio Carioti, cercherò di divulgare in maniera piana la costellazione strumentale che ho visto irrompere prepotentemente nel mondo sanitario nel volgere di pochi decenni sconvolgendo, in senso positivo, la potenzialità diagnostica. Similmente si è avuto il lievitare dei prezzi della diagnostica, perché la tecnologia ha un costo ed è imperativo scegliere oculatamente la tecnica più appropriata e quella che esponga il paziente a rischi minori. I Raggi X Come spesso accade nella storia dell’uomo, la scoperta dell’uso clinico dei raggi X avvenne nel 1895, quasi per caso, con la radiografia di una mano fatta dal fisico tedesco Wilhelm Roentgen, che ricevette il Nobel nel 1901 per questa scoperta. La prima radiografia rappresenta un’applicazione pratica degli studi sulle scariche elettriche nei tubi di Crookes. Questo fisico, ancor prima di Roentgen, aveva notato che le pellicole fotografiche poste vicine ai tubi nel corso degli esperimenti venivano impressionate; ma non aveva approfondito le ricerche su questo fenomeno. I raggi X vennero inizialmente così chiamati per la loro natura sconosciuta. Oggi sappiamo che sono delle radiazioni elettromagnetiche della stessa famiglia della luce, delle onde radio, raggi gamma etc., da cui differiscono solo per la lunghezza d’onda, che è compresa tra i 10 nanometri ed un picometro. Il tubo a raggi X è costituito da un’ampolla sotto vuoto con agli estremi un polo negativo ed un polo positivo; al polo negativo esiste un filamento, come nella vecchia lampadina ad incandescenza, che viene riscaldato e che produce una nuvola di elettroni. Applicando una forte differenza di potenziale (di diecine di migliaia di volts a basso amperaggio) tra polo negativo e positivo, la nuvola di elettroni viene scagliata contro l’anodo. Oggi sappiamo che i raggi X vengono prodotti per un effetto di frenamento degli elettroni che colpiscono l’anodo, in quanto l’energia ceduta dagli elettroni scagliati dal catodo (polo negativo) contro gli atomi dell’anodo (polo positivo) viene restituita in parte come raggi X ed in parte sotto forma di calore. La breve lunghezza d’onda permette alle radiazioni X di attraversare i corpi, i quali assorbono i raggi in maniera proporzionale al rispettivo numero atomico (densità); l’attenuazione differente subita durante l’attraversamento permette di discriminare i tessuti molli (cute, muscoli) dai duri (ossa, metalli). I raggi così “filtrati” all’uscita dai corpi in esame sono resi visibili su schermi fluorescenti o registrati su pellicola o captati dai moderni sistemi di rilevamento allo stato solido. L’inconveniente dei raggi X è che sono radiazioni ionizzanti, ossia capaci di produrre ioni lungo il loro percorso, quindi di danneggiare i tessuti viventi, modificare i cromosomi e determinare alterazioni genetiche. E tuttavia non bisogna averne paura in quanto in natura siamo sottoposti continuamente a radiazioni ionizzanti da parte del sole; tuttavia è opportuno che le indagini radiografiche siano effettuate a ragion veduta e che il rischio (remoto) sia compensato da un beneficio effettivo e reale. E’ noto a tutti il risultato positivo ottenuto a livello mondiale e come con lo screening mammografico abbia salvato innumerevoli donne, come pure noti sono i risultati ottenuti nella lotta contro la tubercolosi con lo screening delle comunità. Successivamente vedremo insieme come il matrimonio tra i raggi X e computer abbia generato la TAC. Lions Club 15 IL TOMTOM È FEMMINA Carlo Barbieri* TomTom. Sembra il nome di un capotribù centrafricano o di uno stregone Voodoo, ce n’era uno in un film di 007... ma non divaghiamo. Il TomTom è un tipetto indipendente che crea dipendenza e provoca incazzatorie. Praticamente è femmina. Non a caso noi uomini scegliamo sempre, fra le opzioni possibili, che a guidarci sia una voce femminile, magari con quell’accento “tetesco” che a noi “maletetti italiani “ incute ancesrale timore. Un aggeggio capace di portarti a destinazione, certamente, ma anche di farti lasciare comode autostrade per ignobili trazzere, di farti prendere sensi unici dalla parte sbagliata, di invitarti a svoltare dritto dentro il Tevere facendoti venire il sospetto che i cartografi abbiano memorizzato come esistente e ancora funzionante, che so io, il Ponte Rotto o un ponte di barche alleato. Ho lasciato una sola volta la mia macchina parcheggiata sotto casa senza ricoverarla in garage, e il giorno dopo me la sono trovata con un vetro rotto e il cruscotto violentato: si erano fottuti il navigatore con tutto il cucuzzaro di accessori. Ho saputo poi dal concessionario che i furti dei satellitari sulle auto come la mia sono frequenti, mentre arrabbiatissimi clienti giurano su internet che gli ingegneri della casa tedesca, forse abituati al germanico rispetto per la proprietà privata, avevano progettato il tutto in modo da renderlo facilmente asportabile togliendo solo poche viti. Non comprerò mai più un’auto con navigatore satellitare. Non comprerò naturalmente neanche uno di quegli antiestetici TomTom che si appiccicano con ventose e che temi sempre che si stacchino mentre vai a 130 sull’autostrada. Ma dal momento che ormai non posso farne più a meno (l’ho detto: il TomTom è femmina) ho deciso per una rivoluzione copernicana: non più il navigatore come accessorio della mia auto, ma il contrario. Comprerò l’auto come accessorio al navigatore. Vi spiego. Ho scoperto che alcune auto hanno sul cruscotto comodissimi posticini, di cui non si sono accorti neanche i progettisti, dove si può poggiare o addirittura incastrare il telefonino. E dal momento che sugli smartphone, come per esempio il mio I-Phone, si può installare il TomTom , il gioco è fatto. Comodissimo. Costa pure poco. E si aggiorna automaticamente, e gratis. Dimenticavo: è bene usare il telefonino TomTom-izzato solo con moglie o compagna a bordo, e vi dico perché. Le donne cercano sempre di prendere in castagna il TomTom, ne sono gelose, un po’ perché noi uomini prestiamo più attenzione alle sue indicazioni che alle loro, e un po’ per via della voce femminile con la quale, secondo le nostre dolci partner, chissà quali storie intrecciamo in loro assenza. Questa antipatia stimolerà l’attenzione della donna che, decisa a dimostrarvi che lei è più brava, starà con gli occhi aperti e vi impedirà non solo di entrare nei sensi vietati in cui vuole cacciarvi il rivale, ma anche di uscire dalla macchina dimenticandoci dentro il prezioso telefonino bene in vista. Vi costerà qualche “Ma proprio non ci stai con la testa? Quest’affare ti sta facendo rincoglionire!”... Ma tanto noi uomini ci siamo abituati, no? *Già postato su http://www.ilfattobresciano.it C. B. vive tra Roma e Palermo. Ha scritto Pilipintò, Una pietra al collo, Il morto con la zebiba. Lions Club 16 D’EUROPA SI CONTINUA A PARLARE Irina Tuzzolino D‘Europa si continua a parlare, ma in termini puramente economici di pesanti compiti a casa che sono metafora di tasse e sacrifici. Presentata così l’UE non attrae più, sembra un inutile peso, in una situazione già difficile, soprattutto per chi non ha attenzione per la storia. E così in tutti i Paesi crescono i movimenti che hanno in programma di uscire dall’euro, senza chiarire come e a quale prezzo. Si accontentano dell’annuncio. Le elezioni europee potrebbero essere una risorsa per imprimere una svolta ad una situazione di stallo, ma in questo momento vengono usate dagli europeisti e dagli antieuropeisti per sostenere il loro punto di vista senza addentrarsi in programmi e progetti. Troppe polemiche e troppa aritmetica rischiano di provocare una grande confusione. Manca un progetto europeo grande o meglio grandioso tanto forte da vincere le resistenze e far rinascere speranza e fiducia. Del ‘900 oggi sembrano vive le separazioni ed i conflitti fra gli Europei, piuttosto che i grandi progetti di unità e cooperazione formulati da Altiero Spinelli, Robert Schuman, Konrad Adenauer. Sembra lontano l’ideale dell’Europa come Paese policentrico, universo cosmopolita, anche se di fatto basta guardarci attorno per percepirlo anche in molti dettagli della quotidianità. Ma per questo non abbiamo occhi, preferiamo immaginarci progetti a nostro danno, orditi dai nostri partner europei, piuttosto che assumerci la parte di responsabilità che ci spetta in termini di inefficienza e trascuratezza. L’unione politica potrebbe essere una soluzione al problema generale nel lungo periodo. Ma gli Stati dovrebbero rinunziare ad una parte cospicua della loro sovranità e soprattutto dovrebbero cominciare sin da ora a rinnovare una cultura europeista, che da tempo, almeno nel nostro Paese, si è indebolita. Eppure l’Europa da lungo tempo è una realtà culturale ben individuata e riconosciuta come tale. Tralasciando il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, che mi sembra troppo lontano nel tempo, è dal ‘700 che essa è percepita come unità culturale dai più diversi Autori a cominciare da Voltaire. Un decisivo passo avanti verso l’unificazione sono stati, secondo me, la moneta comune e gli stage degli studenti medi ed universitari, ma a quanto pare non sono stati sufficienti. Lions Club 17 DALLA CINA ALL’ITALIA Pino Morcesi Una gualchiera medioevale fabrianese Un tempo le invenzioni nate in Oriente venivano perfezionate in Occidente e da qui diffuse in tutto il mondo. Oggi avviene il contrario, perché abbiamo abdicato alla nostra creatività ed inventiva e ci sentiamo succubi di quella che viene chiamata Cindia, cioè Cina ed India, di cui guardiamo ammirati il tasso di crescita, sebbene in questi mesi stia rallentando. Il cammino della carta quale noi la usiamo è stato lungo, ma risolutiva è stata la modifica apportata alla sua fabbricazione dalla cartiera di Fabriano intorno alla metà del 1200. Infatti i Cinesi usavano la carta già nel II sec. a. C. La carta era ricavata dalla corteccia del gelso macerata nell’acqua, la pasta ottenuta era trattata con colle per renderla resistente ed impermeabile agli inchiostri. Il segreto della fabbricazione della carta fu ovviamente tenuto nascosto per qualche secolo, ma poi venne conosciuto, favorendone così una larga utilizzazione. Sono stati gli Arabi a diffonderne in Occidente l’uso. Si narra infatti che due fabbricanti di carta cinesi siano finiti prigionieri degli Arabi e che sotto tortura abbiano rivelato i segre- ti dell’arte. La carta avanza quindi insieme alla civiltà araba, conquistando l’Europa. Ma non tutte le persone che contano la vogliono usare per redigere documenti ufficiali perché si deteriora facilmente in quanto le colle usate la rendono facile preda degli insetti. Infatti Federico II di Svevia ne proibisce l’uso nella sua Cancelleria. Gli artigiani di Fabriano però trovano il modo di migliorare la qualità della carta cominciando dalla sfilacciatura degli stracci di cotone da cui ricavare la pasta per preparare la carta nelle gualchiere, dove si sfrutta l’energia dell’acqua del fiume e dalle colle più efficaci, che rendono più resistente la carta, ricavate dagli scarti della lavorazione delle pelli. La sicurezza nell’impiego della carta nei documenti ufficiali è garantita dalla filigrana che viene inserita in ogni foglio. A queste innovazioni si unisce il costo contenuto che permette la diffusione dell’uso della carta di cui poi si gioverà l’invenzione dei caratteri mobili della stampa. Ancora oggi Fabriano è sinonimo di scrittura: il computer ha fatto aumentare il consumo di carta. Lions Club 18 IL MITO DI FAUST NEL CINEMA Gianfranco Romagnoli Richard Burton ed Elizabeth Taylor E’ un topos della nostra cultura occidentale il mito di Faust, ossia il desiderio della giovinezza e del potere conseguiti mediante un patto con il diavolo: un contratto a termine che ha come prezzo l’anima. Dalla sua origine in un racconto medioevale tedesco, questo mito è stato fonte di ispirazione di opere letterarie (ricordiamo tra gli autori Marlowe, Goethe e Thomas Mann), musicali (Berlioz, Gounod) e cinematografiche: è di queste ultime che ora ci occuperemo. Il primo di questi film lo troviamo agli albori della cinematografia: è La damnation de Faust, realizzato nel 1903 dal regista-attore francese Georges Méliès, considerato uno dei padri dell’arte cinematografica che egli praticò sul versante del fantastico.Sempre nell’era del cinema muto segue, nel 1910, il Faust di Henri Andreani e David Barnett , un cortometraggio muto del 1910, diretto da Henri Andréani, David Barnett ed Enrico Guazzoni. basato sull’opera Faust di Charles Gounod e sul libretto di Jules Barbier e Michel Carré,interpretato da Ugo Bazzini, Fernanda Negri Pouget, Alfredo Bracci e Giuseppe Gambardella. Con lo stesso titolo, Faust, esce in America nel 1915 un film diretto e interpretato dal regista e attore inglese Edward Sloman., ed ancora, nel 1922, in Inghilterra,. Il Faust di Challis Sanderson, interpretato da Sylvia Caine (Margherita), Lawford Davidson (Mefistofele), Gordon Hopkirk (Valentino), Minnie Rayner (Marta), Dick Webb (Faust). Ancora si intitola Faust un film, uscito in Germania nel 1926, del regista espressionista tedesco Friederich Wilhelm Murnau, tra i cui interpreti ricor- diamo il grande Emil Jannings nella parte di Mefistofele, Gösta Ekman (Faust) e Camilla Horn (Gretchen). Nell’era del cinema sonoro il primo film italo -francese sul mito di Faust è, nel 1949, La bellezza del diavolo di René Clair , interpretato da Gérard Philipe, Michel Simon Nicole Besnard, Carlo Nonchi e Paolo Stoppa. Segue nel 1960 il Faust di Peter Gorski interpretato regista-attore tedesco Gustaf Gründgens. Nel 1967 si impene all’attenzione del pubblico il film Doctor Faustus, tratto dalla tragedia del drammaturgo elisabettiano Cristopher Marlowe, diretto ed interpretato da Richard Burton con Elizabeth Taylor nella parte di Elena, la mitologica bellezza che Faust ottiene in sposa, cui fa seguito, nel 1967, il film musical britannico di Stanley Donen con Peter Cook ,Dudley Moore, Eleanor Brown e Raquel Welsh. Dopo il Faust del regista ceco Jan Svanjmayer (1994) e il Fausto 5.0 del regista catalanoi Alex Ollé (Spagna 2001) è degno di nota il Mephisto del regista ungherese Istvan Szabò interpretato da bravissimo Klaus Maria Brandauer (!981), vincitore di vari premi internazionali tra cui nel 1982 il premio Oscar per il miglior film straniero. Ricordiamo ancora, in chiusura, Bedazzled (200) film statunitense comico.fantastico diretto da Harold Ramis con Elizabeth Hurley e Brendan Fraser; Faust, Love of the Damned (Spagna 2001) per la regia di Brian Yuzna con Mark Frost, Isabel Brook e Jennifer Rope, e il Faust del russo Aleksandr Sokurov (2011), premiato al Festival di Venezia. Lions Club 19 PRETESTO: CARMEN DI BIZET Carmelo Fucarino A parte la quarantina di film e le fantasie di musica da camera (una di Busoni), mai opera lirica ha avuto tanto successo popolare, da quella prima sfortunata alla Opéra-comique di Parigi il 3 marzo del 1875, tanto da divenire base e pretesto per trasposizioni “altre”, con le quali sulle melodie popolari spagnole e il naturale incanto della plaza des toros e del toreador, creati da due parigini doc, tanti si sono sbizzarriti in ideazioni ed orchestrazioni di generi diversi. Già ad inizio quella novella di Prosper Mérimée del 1845 era stata rielaborata in opéra-comique dal giovane musicista che vi aveva introdotto la coppia Escamillo e Micaela e reso malfamato il buon don José, ma aveva creato soprattutto e scritto quella perla della celeberrima habanera (la danza di La Habana) L’amour est un oiseau rebelle. A parte l’ammirazione dei musicisti come Čajkovskij, Puccini e Brahms, e di pensatori come Nietzsche e Freud, la reazione scandalizzata dei perbenisti fu violenta e decretò un iniziale insuccesso con l’avvio di quella crisi psichica e fisica che condurrà alla morte a soli 37 anni il musicista. Per le trasposizioni cominciò nel 1943 Robert Russell Bennett con la sua Carmen Jones, adattamento e orchestrazione per un musical a Broadway su testi e musica di Oscar Hammerstein II. Nel 1949 vi mise mano il geniale creatore di balletti, Roland Petit, con il primo suo balletto Carmen, interprete assieme alla congeniale Zizi Jeanmaire, su musica di Bizet e con una coreografia che seguiva una trama presso a poco simile. Il successo fu enorme come le sue cinquemila repliche, che continuano acclamate nei teatri del mondo. Nel 1967 Rodion Shchedrin ne trasse un altro balletto, rivisto e modernizzato nel 2000 da Matthew Bourne con il suo The Car Man. Divenne musical drammatico con Peter Brook nel 1981, per tornare balletto con le coreografie di Ramόn Oller nel 2007 e con Carmen. The passion di Mauricio Wainrot per The Royal Winnipeg Ballet nel 2008. Come si vede la traiettoria che ha condotto alla realizzazione di Amedeo Amodio per l’Aterballetto, con adatta- mento e interventi musicali originali di Giuseppe Calì, si pone su questa scia di metalettura e di ri-creaszione. È l’elemento passionale e sensuale, quell’insistenza sulla fisicità a dare il là alla interpretazione della musica di Bizet e alla vicenda noir di amore e di morte. Con una sostanziale differenza. Nel tragico epilogo Carmen in abito bianco, la veste della purezza virginale delle nozze, smette gli abiti della seduttrice e si purifica in una plateale uscita verso il suo destino di morte. Certo ritorna la moda ormai consolidata della scena spoglia e dei parallelepipedi ruotanti, ma dobbiamo farcene una ragione. Quello che interessa è la resa musicale e la lettura scenica e coreografica. L’Abbagnato giocava in casa, anche se spesso avviene che nemo propheta in patria. In questa occasione la bravura dell’étoile ha avuto l’unisono della simpatia del pubblico. Tuttavia caldi applausi sono stati tributati ai pur valenti e spesso perfetti Nicolas Le Riche, Ashley Bouder e Alexandre Gasse. Così è risultato efficace e prorompente in dinamismo il balletto del Massimo, in alcune performance corali di rara efficacia. La coreografia di Amodio è ormai collaudata da quella sua prima uscita nel 1995. Forse frastorna il pubblico il ricorso a quell’incipit dalla fine, dalla chiusura del sipario con le ultime note dell’opera Carmen, con la quotidianità delle azioni e la morte che si appresta a segnare una vicenda terrena, per risalire in flashback alla storia di malavita e di amori dirompenti. Sa molto di pirandelliano e dei Sei personaggi in cerca di autore quello sciogliersi dei teatranti tornati al loro banale quotidiano nei personaggi di Mérimée e dare loro nuova, reale vita oltre alla dismessa finzione scenica. Ma sono notazioni che nulla tolgono alla lettura personale della vicenda e della musica di Bizet. Forse è mia impressione, ma in qualche coreografia insistita si sentiva una certa stanchezza, una sensazione di stasi che nuoceva alla dinamicità della musica. Abusata la lunga, lenta vestizione del torero e della Carmen che si avvia sposa della Morte, l’insistenza su evanescenti e morbide figure sceniche. Lions Club 20 LA POESIA È PAROLA. V RASSEGNA POETICA PALERMITANA Lavinia Scolari Giovedì 20 Marzo 2014, nella preziosa cornice della Biblioteca Comunale di Palermo, si è svolta la V Rassegna Poetica Palermitana organizzata dall’associazione VOLO, in collaborazione quest’anno, per la prima volta, con l’associazione L&D (Letteratura e Dintorni). Accompagnati dalla chitarra di Antonina D’Anna e dal violino di Chiara Bellavia, poeti ben noti del panorama poetico siciliano si sono susseguiti in un pomeriggio all’insegna della parola, del ricordo, e della musicalità del verso. Aprono il pomeriggio i saluti di Maria Di Francesco, Presidentessa dell’associazione VOLO e voce attiva e instancabile della Rassegna Palermitana. Parola è Poesia, questo il titolo dell’incontro, ideato e curato come ogni anno dalla Prof.ssa Gabriella Maggio, che inaugura l’appuntamento citando il Montale delle Poesie Disperse: è proprio vero che tutti scrivono poesie. Ed è bello che sia così. La poesia - ricorda Gabriella - ci parla della vita, pone delle domande e ci offre delle risposte. Ma non è proprietà solo di chi la compone. La poesia è anche di chi la legge. E di chi l’ascolta, come in questa ricca serata. A dare il via alle letture, la poetessa e pittrice Carla Amirante, con due componimenti tratti dalla sua ultima raccolta Il faro, in cui il sentimento dell’esistere, spesso filtrato dalla memoria del mito, si accompagna a un’indefessa speranza. Tony Causi, per la prima volta ospite dell’evento, ha dato prova di un’armoniosa sintesi di sentimenti e introspezione, ambientati in uno sfondo naturalistico dove la poesia dipinge scenari segreti. Il Prof. Carmelo Fucarino, da storico e studioso delle letterature antiche, ci ha regalato due inediti di grande bellezza, pregni di cultura classica, in cui ha celebrato la nascita della phoné, il suono, destinato a tramutarsi in logos, la parola, discorso e principio razionale, che pare alludere alla vicenda del mondo che rinasce nei suoni. Colta e delicata la rivisitazione del Carme IV di Catullo “Phaselus ille, quem videtis, hospites, [/ ait fuisse navium celerrimus], «quella barca, che vedete, amici miei, [dice di essere stata la più rapida delle navi...]». Il tema del ricordo e della florida giovinezza del passato si sposa bene con il recupero poetico del maestro latino, Catullo, forse il più grande poeta che abbia mai cantato d’amore. Il Leitmotiv dell’amore è un tratto peculiare anche dei versi di Emanuele Lanzetta, che nella sua Verranno a chiederti del nostro amore, il cui titolo è una citazione dotta, offre una riscrittura del tema dell’amore perduto, intenso e passionale, dove la lirica parla al ricordo dei sensi. Le poesie di Francesca Luz- Lions Club zio, critica letteraria e poetessa, sono accomunate dal tema dell’idea, l’idea che nasce e accompagna l’autore fuori dal guscio del proprio io, e l’idea come direzione di vita da seguire, che indica il movimento incessante della “ricerca del futuro”, da cui uno dei componimenti trae il titolo. La ricorrenza della Pasqua è invece l’argomento di attualità sacra delle due opere di Pietro Manzella, che in Eden e nel suo intenso dialogo con Dio, rivela un poetare mosso da un anelito di profonda umanità e di ricerca, anche struggente, della Veritas. Egle Palazzolo, scrittrice e poetessa che non ha bisogno di presentazioni, legge con spontaneità e dolcezza due componimenti in cui il motivo del ripiegamento interiore e del rifiuto della speranza, in un bel contrasto con la fresca spontaneità dell’autrice, ci racconta di un cuore vibrante, ma timoroso di aperture. Bellissimi i suoi versi sui sogni: «Non toccare i miei sogni, non sforbiciarli (...) non sono tuoi». Al poeta successivo, Pippo Pappalardo, dobbiamo il merito di averci ricondotto alle origini, il nostro dialetto, la lingua di casa e della memoria, la prima lingua, un patrimonio da non dimenticare: Paisi miu e Sugnu Vecchiu hanno il sapore nostalgico e profondo della vera poesia di Sicilia. Sulla scia di questo ritorno alla natura aspra e profumata di Trinacria, si colloca Elisa Roccazzella, poetessa prolifica e più volte premiata, che legge dalla sua raccolta I favi di Ibla due componimenti musicali e pittorici: La gioia del sorbo e Vecchie case dipingono agli occhi della mente il paesaggio soleggiato e arcano della nostra isola. La talentuosa Elena Saviano, scrittrice nota anche a livello nazionale, conferma le sue doti poetiche di scrittura armoniosa, equilibrata e sapiente con Eros e Stupore. Chiude la serata dei poeti in Rassegna Biagio Balistreri con i suoi DNA e Desiderio, tratte dalla raccolta Fabbricante di Parole, che procedono con uno stile naturale e mai ampolloso, di grande efficacia comunicativa e musicalità del verso. Sono in seguito intervenuti altri poeti presenti tra il pubblico che hanno letto versi editi e inediti, arricchendo così l’incontro, in un’atmosfera di festa e condivisione. Il saluto spetta alla curatrice della Rassegna, Gabriella Maggio, poetessa dall’ispirazione fiorente e vivida, che ci offre il contraltare della Poesia come Parola, in un componimento che riscrive il tema dell’incomunicabilità servendosi dell’immagine classica e statuaria della Nike e raccontando lo scontro atavico tra una tenace istanza della parola e una cocciuta e indolente sordità. 21 TEMPO DI POESIA Gabriella Maggio Oggi 21 marzo si celebra la giornata mondiale della poesia. Propongo ai Lettori ed alle Lettrici di Vesprino un sonetto di Shakespeare: XXIII Come un pessimo attore in scena colto da paura dimentica il suo ruolo, oppur come una furia stracarica di rabbia strema il proprio cuore per impeto eccessivo, anch’io, sentendomi insicuro, non trovo le parole per la giusta apoteosi del ritual d’amore, e nel colmo del mio amor mi par mancare schiacciato sotto il peso della sua potenza. Sian dunque i versi miei, unica eloquenza e muti messaggeri della voce del mio cuore, a supplicare amore e attender ricompensa ben più di quella lingua che più e più parlò. Ti prego, impara a leggere il silenzio del mio cuore è intelletto sottil d’amore intendere con gli occhi. (Salerno Editrice a c. di Tommaso Pisanti) Lions Club 22 SETTANTESIMO ANNIVERSARIO DELLE FOSSE ARDEATINE Gabriella Maggio Il Presidente della Repubblica al Mausoleo Ardeatino Oggi ricorre il 70° anniversario della strage delle Fosse Ardeatine*. Il 24 marzo 1944, dopo un attentato dei Partigiani in via Rasella dove erano morti 33 soldati tedeschi, scattò la rappresaglia tedesca sulla popolazione romana inerme, secondo la regola 10 italiani per un tedesco. L’esecuzione venne effettuata nelle cave di pozzolana vicine alla via Ardeatina, dove rimasero i corpi senza vita ed oggi sorge il Mausoleo Ardeatino, in memoria. Certamente non bisogna dimenticare ed è necessario ricordare anche ai giovani, poco attenti alla storia, gli orrori della guerra vissuta direttamente dai nonni o dai bisnonni. La memoria aiuta o dovrebbe aiutare a non commettere gli stessi errori. Ma c’è anche il dovere di guardare avanti, alla realtà dell’Unione Europea, nata sulle macerie morali e materiali della guerra. Come ha detto Giorgio Napolitano: La pace non è un regalo, è una conquista. E noi la dobbiamo all’unità europea. Sebbene in questi ultimi tempi si parli poco e in tono polemico e deluso dell’Europa ed i particolarismi nazionali si facciano sentire, c’è bisogno d’Europa. Le prossime scadenze elettorali potrebbero essere uno strumento utile per adeguare l’U. E alle nuove esigenze degli Europei. Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è intervenuto al Mausoleo Ardeatino alla cerimonia commemorativa del 70° anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. “La pace non è un regalo, è una conquista. E noi la dobbiamo all’unità europea” il massacro di 335 civili e militari italiani, fucilati a Roma il 24 marzo 1944 dalle truppe di occupazione tedesche come rappresaglia per l’attentato partigiano compiuto da membri dei GAP romani contro truppe germaniche in transito in via Rasella, attentato che aveva causato, sul posto e nelle ore successive, la morte di 33 soldati del reggimento “Bozen” appartenente alla Ordnungspolizei dell’esercito tedesco, reclutato in Alto Adige. Per la sua efferatezza, l’alto numero di vittime e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, esso divenne l’evento-simbolo della durezza dell’occupazione tedesca di Roma. *Le “Fosse Ardeatine”, antiche cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina, scelte quali luogo dell’esecuzione e per occultare i cadaveri degli uccisi Lions Club 23 LA CARMEN DI AMODIO Salvatore Aiello Foto Teatro Massimo E’ andato in scena al Massimo di Palermo il balletto Carmen su musica di Bizet con adattamento ed interventi musicali originali di Giuseppe Calì, coreografia di Amedeo Amodio nata nel 1995 per l’Aterballetto. Nella conferenza stampa ha ricordato Amodio la genesi della sua Carmen, concepita allorché da ragazzino, faceva parte del corteo dei paggi che affiancavano l’ingresso di Anna Bolena della Callas e ha ricordato ancora il coreografo che al termine dell’opera si creò un gran frastuono per smontare le scenografie, così ha pensato di ambientare il suo spettacolo, fatto di personaggi che per caso si incontrano dando vita ad una storia tragica di amore e morte obbediente ad un fato imperscrutabile che vuole inverare in Carmen la libertà di scegliere di amare chi si vuole. Carmen è un personaggio della drammaturgia operistica che non conosce tramonto e che si sostanzia di sangue e di arena in una Spagna assolata e tormentata messa in risalto dalla grande vena ispiratrice di Bizet che ha anche saputo creare, per compiacere la borghesia in contrasto con la passionaria protagonista, la docile e tenera Micaela. Chi credeva che Amodio rispettasse in pieno lo svolgimento dell’opera è rimasto certamente deluso perché la sua operazione era invece la scarnificazione di essa; ciò che infine per lui conta è l’attualità dei personaggi e delle loro reazioni istintivamente colti a nudo. La sua coreografia ha messo al bando ogni virtuosismo, ogni riferimento particolare, in qualche momento in contrasto con ciò che la musica raccontava per cui i protagonisti sulla scena agivano liberamente, senza irreggimentati schemi, senza visibili particolari effetti coreutici. La palermitana Eleonora Abbagnato, attesissima, per la prima volta affrontava il personaggio dopo averlo interpretato nella creazione di Roland Petit dando ancora un saggio delle sue abilità tecniche, del maturato dominio del palcoscenico e della sua espressività, pochi gesti, passi poco tumultuosi ma sempre tesi a raccontarci le vicende della sigaraia in perfetta sintonia con Nicholas Le Riche un Don Josè abile, vittima e succube del lacerante ostaggio dei sensi che lo porterà al femminicidio finale allorchè il sangue sgorgherà sul vestito bianco di Carmen. In risalto l’ingenua Micaela di Ashley Bouder e con loro completavano il quartetto l’Escamillo di Alxandre Gasse un giovane che ha esibito talento e totale partecipazione al ruolo. Valido l’apporto dell’orchestra guidata dall’attenta discreta direzione di Mikhail Agrest e del Corpo di ballo del teatro Massimo. Le scene e i costumi erano di Luisa Spinatelli. Lions Club 24 LUIGI LO CASCIO RI-LEGGE OTELLO Carmelo Fucarino Già l’operazione della lettura di un’opera classica era avvenuta con le Baccanti di Euripide (non vi includo l’ardua prosa di Kafka). L’autore-attore-regista aveva voluto riscrivere con l’ottica e la realtà mediatica il mito, capolavoro unico ed inimitabile del tragediografo ateniese. E l’operazione era riuscita a salvare e immettere nell’affabulazione del teatro moderno un testo che pur nella struttura classica mantiene ancora oggi la sua magia linguistica, proprio perché necessariamente soggetto alla traduzione moderna. Con Shakespeare l’operazione risultava più ardua, sia per la spigolosità del testo inglese, con il suo arcaismo linguistico e con la prolissità delle strutture logiche del “bardo” anche nella sua patria. La traduzione nella nostra lingua elimina certamente la patina arcaica, ma la fedeltà al testo non può cancellare il barocchismo, spesso pesante, un certo andamento raziocinante, che ormai non sopportiamo neppure nel prossimo a noi Pirandello. Perciò il miracolo di questa rielaborazione del mito del Moro di Venezia, che oggi anche nella realizzazione dell’opera verdiana scaligera, si evita di colorare in nero. Quindi la tirata dotta iniziale sulla negritudine e la “diversità” per la quale Jago si era definito, his Moorship’s ensign, “alfiere di Negreria”, lacerante verso il Labbragrosse (thicklips), e che aveva suscitato scandalo ed orrido disgusto negli USA e un vespaio di ipotesi sul “black” o semplicemente “brown”, la morbosa querelle iniziata da S.T. Coleridge e riassunta da C. Bradley (Shakespearian Tragedy, London, 1957, pp. 163-164) che trovava che «avrebbe avuto qualcosa di mostruoso il pensare che una bella fanciulla veneziana si innamori di un autentico negro». Il libero adattamento di Lo Cascio, Gigi con affetto, è un tipico esempio del miracolo del metateatro sul quale è stata costruita questa azzardosa ri-lettura. Accettabile o criticabile per presunti o reali eccessi, flashback narrativi e innesti “altri”, a patto che questi si ritrovino e stigmatizzino nelle ardite rielaborazioni offerte da professionisti del Nord in altri Otelli e Carmen ed altre scommesse sceniche, troppo elogiati da critici free lance nostrani. Un saggio di incipit è l’ode al fazzoletto, mentre nella moda corrente dei supporti mediatici scorrono su uno schermo le manipolazioni di cellule della vita (penso). Quel fazzoletto diventa simbolo e uno dei protagonisti che regolano la vicenda, il feticcio che dirige le azioni, fino a diventare sudario funebre a chiusura di sipario. La scena resta essenziale, ma estremamente allusiva e “parlante”, a parte le sedie volanti ormai di rito. Poi l’a-storicità della vicenda, che salta la mediazione della scena teatrale e rimanda a quella Novella settima della Deca terza degli Ecatommiti di Giambattista Giraldi (1504-1573), Cinzio come Apollo e Artemide dal delio Cinto. Perciò diventa, come nel novelliere, “cuntu”, che è l’affabulazione delle nostre nonne siciliane, qui avviata e condotta per tutto il tempo scenico dal soldato narratore, mediatore tra realtà scenica e finzione (i personaggi pirandelliani?). Perciò questo ardito sconcertante scarto tra il dramma che si realizzò un tempo diacronico tra cene e schiamazzi nel mitico Globe Theatre e il palcoscenico del Teatro Biondo con un pubblico più composto e assorto, ove prende vita lu cuntu. Teatro nel teatro di un dramma in cui i personaggi prendono corpo e narrano la loro vita, attraverso una serie di stupendi monologhi, che diventano prove di bravura dei quattro attori, che hanno superato se stessi. Lions Club Lo snodo di una storia umana rappresentata-rivissuta in quadri che sconvolgono lo sviluppo del divenire cronologico per apparire convulsione atemporale di “memoria poetica”. La provocazione di Otello per la fiamma che incendia la virginale Desdemona, ripresa inconscia delle note eterne dei klea andròn, le lacrimevoli sventure e le egregie imprese, quelle che turbarono i primi palpiti della fanciulla Nausicaa per il vecchio Odisseo, o le pur celebri “le donne i cavalieri le armi gli amori” di quell’Ariosto che campeggia immenso nella fuga sulla luna del furente Otello, diverso dal vanesio Astolfo, alla ricerca del rovinoso fazzoletto e dell’ampolla con le lacrime dell’amata. È la fanciulla votata al tradimento come predice lo stesso padre ammonendo Otello: «Look to her, Moor, if thou hast eyes to see: She has deceived her father, and may thee». Quell’Otello che era stato tragico fino alla follia in quella iterazione di convulse parole e in quel trasalimento furente, pezzo di grandissima bravura del magico Vincenzo Pirrotta. Follia, si badi, diversa dalla parodia comica dell’Orlando che sradica alberi e lancia all’aria armenti, ma resa nello squassare da pathos antico del corpo e dell’anima fino allo sfinimento. Eppure l’impressione che ne ho ricavata è che il vero protagonista è stato il dramma interiore del perverso Jago, un personaggio dimidiato alla ricerca del suo vero essere, se mostro immondo o angelica farfalla. Sì, il bla-bla sul deserto che produce la gelosia, sull’irrefrenabile indomabile “possesso” maschilista che offre la stura alle lamentazioni sui “femminicidi”. Ma se Otello non ha dubbi nella decisione e concede l’ultima preghiera («Have you pray’d to-night, Desdemona?»), il dramma resta invece equivoco e ambiguo nel profondo Es di Jago, senza giustificazioni e senza pentimenti assolutori. Il vero protagonista è lui che manipola e regge l‘azione con la sua viscida perfidia dall’inizio alla fine, il burattinaio, il manipolatore, Satana incarnato che insinua «I am not what I am», serpente che stravolge addirittura le parole di Dio «I am that I am» (Esodo, 3, 14). Lui che dice e dissimula, onesto e perfido fino all’inverosimile («Bontà esser cosa contraria alla coscienza, uccidere per volontà di uccidere»). E in questa identificazione Lo Cascio è stato anche lui mostruoso e geniale. Otello appare oggetto e vittima, capro espiatorio dell’umana crudeltà, dell’esiziale sete di potere. Incapace di discernere: «Mondo infame! Sono arrivato al punto di ritenere mia moglie virtuosa, e di credere ch’ella non lo sia; di ritenere te un uomo onesto, e di credere che tu non lo sia!». E alla fine «I kiss’d thee ere I kill’d thee: no way but this; Killing myself, to die upon a kiss». Ha paura di quel sangue che macchiò 25 in eterno lady Macbeth: «Here’s the smell of the blood still. All the perfumes of Arabia will not sweeten this little hand». E prima e non ultima in questa straordinaria interpretazione del dramma dell’odio e della dissimulazione dell’insinuante viscido Jago, relegata in un angolo la gelosia tradizionale del Moro, la provocazione della lingua siciliana dei personaggi, sola esclusa la diafana universale Desdemona, unica estranea vittima sacrificale della cattiveria umana, in confronto a tutti gli altri sanguigni coprotagonisti. Probabilmente se ne accorgeranno in Italia, ma in Sicilia il ricorso alla lingua siciliana è stato quasi inavvertito, anzi ha conferito al linguaggio una sua pregnanza, una sua essenzialità che per nulla disturbava nella fonazione e nell’udito. Quel suono caldo e melodioso che ne è uscito, chiaro e senza forzature folcloristiche o idiotismi di stretta marca, non certo dialetto della Kalsa, come qualcuno ha erroneamente azzardato. È il dialetto del siciliano di oggi, non dotto come quello di Meli o maccheronico come quello di Verga, gaglioffo e pornografico come quello di Micio Tempio, criptico e a creazione gaddiana nella strutturazione semantica come l’invenzione di Camilleri. Il siciliano di Otello e di Jago è quello semplice, ritmico e completo, nato dalla commistione tra lingua materna, tramandata da generazioni, e traslitterazione nell’italiano televisivo. È la lingua che Luigi ha praticato e ricorda dentro di sé nelle scorribande scolastiche, prima del salto altrove. È perciò la lingua nuova, processo in fieri, che senti dal barbiere o dal verduraio, che non è più il gergo incanaglito e oscuro di un tempo (si provi a capire l’esperimento dialettale originale di Visconti con La terra trema), ma questa “mescidazione” linguistica che aggiunge all’italiano dei media la icastica, epigrammatica complessità semantica del siciliano, lingua che si è arricchita con tutte le significazioni dei conquistatori, ne ha ricavato semantemi intraducibili, eppure di una chiarezza stupefacente. Questa armonia, questo particolare impasto ritmico linguistico, con il supporto dei versi, endecasillabi ed altri, ha reso miracoloso il comunicare dei personaggi. Un grandioso sberleffo quel “voscenza” di un commiato. Che Shakespeare fosse lo Scrolla-lancia di Messina? A proposito Shakespeare si espresse nel suo dramma con una combinazione di prosa, poesia rimata e versi unrhymed or “blank”, cioè pentametri giambici, come il teatro greco antico aveva usato nei dialoghi il colloquiale prosastico trimetro giambico. Lions Club 26 IL CANTO ALATO DI GONCA DOGAN INCANTA IL PUBBLICO DELLA MAZZOLENI Marta Santoro Gonca Dogan Sulle ali del belcanto era il titolo del concerto della XXIX Stagione degli Amici dell’Opera Lirica Ester Mazzoleni che il 22 marzo ha avuto come sede la suggestiva sala Almeyda dell’Archivio Storico Comunale di Palermo protagonista Gonca Dogan, una nuova vestale del belcanto ottocentesco impegnata a riproporre lo stile e soprattutto i segreti che aleggiano nelle opere di Bellini e Donizetti meno note ma che grazie alla renaissance sono rientrate nel repertorio. Si deve a Maria Callas della Bolena e a Leyla Gencer della trilogia elisabettiana il riproporre, nel XX° secolo, il soprano drammatico di agilità la cui memoria si era persa con l’avvento della scuola verista e dei suoi interpreti. Gonca Dogan, turca anche lei, si riappropria degli insegnamenti della Gencer felice di collocarsi come erede della grande maestra di cui ha assimilato l’alta lezione e soprattutto la totale passione per la Musica. I brani scelti hanno visto ripercorrere un arco interpretativo assai significativo e raramente proposto in concerto; dalle belliniane Adelson e Salvini e Norma, approdava alle donizettiane arie da: Caterina Cornaro, Roberto Devereux, Anna Bolena e Maria Stuarda con un’incursione nel Faust , nella Rondine e nella Rusalka. Rondine. Alberto M aniaci Un parterre vivamente attento ed entusiasta è stato calamitato dalla personalità interpretativa ed esecutiva della cantatrice che come una fedele Aracne, ha tessuto la sua tela dispensando e mettendo in luce un canto alato per gli ampi archi di fiato, tecnicamente sorretto, rilucente per bellezza di timbro, smalto argenteo, facilità della zona acuta adeguatamente sorvegliata. E’ difficile scegliere fior da fiore, nel complesso ci sentiamo di apprezzare la sua facilità di comunicare, attraverso la musica, la storia dei personaggi a tuttotondo rivissuti nella loro psicologia, abbandonandosi quindi a momenti di dolore, tensione, tenerezze, invettive e attimi di alta immedesimazione ed ispirazione raggiunti soprattutto nella “Canzone alla luna” e in “Casta diva”. Sulle ali del belcanto si è cimentato il bravo, giovane pianista Alberto Maniaci un autentico talento che ama l’Opera e si sente, allorché riesce a respirare con la cantante sostenendone momento per momento tutte le aspettative, dando anche prova del suo pianismo nell’emozionante esecuzione dell’Intermezzo di Manon Lescaut e dell’Overture della Rusalka. Una serata da non dimenticare con un pubblico numeroso e pienamente appagato. Lions Club NUVOLE SU PALERMO Foto di Riccardo Carioti 27 Lions Club 28 IN DIFESA DEL CONIGLIO Carmelo Fucarino ? QUESTO O È l’ultimo trend italiano, il coniglio da salotto per un milione e mezzo di italiani, dicono i buonissimi crociati animalisti. Penserete, un discreto numero di italiani ha deciso di mangiare sano e allevarsi il coniglio biologico in casa. Nella Padania, da Torino a Venezia, la carne di coniglio è cucinata in mille modi, è leggera ed economica, di gusto delicato. I piatti sono vari e appetitosi, basta visionare le gustose ricette on line. E no! Non si tratta di dieta e di cucina. È una nuova moda che si prevede fascinosa e ricca di aficionados e di fanatici. È la nuova tendenza di sostituire i padroni di divani e morbidi e caldi letti di civili abitazioni, cioè il “fedelissimo” per antonomasia (più dell’Arma, anche se tale dote è risultato del ben vivere e dell’imprinting, altro che “vita da cane”) e il “micissimo” delle altezzose fusa, il trend di adottare a loro posto il timido e tremebondo coniglio come animale, si dice emotivamente così, “di affezione”. Perché i figli sono un impiccio, lungo quanto la vita, a parte i dispiaceri, gli animali relativamente. Si soffre e si fanno funerali, ma sempre animale è con un arco di vita più breve del celebre cane di Odisseo. Se vuoi farti la vacanza esotica, porti il caro amico in pensione, sia cane o gatto, oppure tartaruga in letargo, pappagallo clonato e suonato, anche serpente da salotto o coccodrillo. Metodo più spiccio, se ne hai le tasche piene, puoi sbarazzartene anonimamente in au- QUESTI ? tostrada o da un ponticello su un ruscelletto. Al limite nel Po o nel Tevere. Ma andiamo al nostro sempliciotto e timidotto. Quando li allevavamo in casa, se lo prendevo in mano sentivo il cuoricino battere impazzito sotto le dita e i suoi occhietti sgomenti ti facevano pietà, e il suo zigare assordante, più struggente del definitivo scappellotto dietro il collo. Ora la Feder F.I.D.A (in sito, Federazione Italiana Diritti Animali, ONLUS, «nasce dall’esigenza di vedere umani ed animali uniti in una sorta di SINDACATO che difenda e rappresenti i diritti degli uni e degli altri!») si è mobilitata e ha già raccolto, dice, undicimila firme in tre giorni da parte di un gruppo di “amanti dei conigli”, per fare rientrare queste indifese bestiole nella classificazione di “animali di affezione. Se così sarà, come per cani e gatti, scatterà il divieto di “consumarli” in griglia o tegame e di farsi pelliccette o pullover con la loro lana. Così si preconizza il crescere della voluttà del coniglio casalingo, tra poltrone e coperte di seta, perché l’animale (immagino quelli giganteschi da record) è affettuoso, intelligente, capace di integrarsi facilmente in un appartamento cittadino, creare un forte e solido legame affettivo con chi lo coccola e nutre (in Petsparadise, Consigli su come mantenere un coniglio in appartamento). Certo, l’integrazione. Per gli extracomunitari Lions Club non basta l’integrazione, si chiede l’inclusione. Anche il Sivelp (Sindacato Italiano Veterinari Liberi Professionisti, dal sito ufficiale «un’associazione di categoria, apartitica ed apolitica, nata per promuovere, in totale indipendenza, istanze ed interessi della Medicina Veterinaria libero-professionale», Responsabile pubblicazioni Dr. Angelo Troi), si mette a disposizione con cardiologi, neurochirurghi specializzati, dermatologi e gastroenterologi, come fa per i cani e i gatti. Ci mancherebbe, lasciar fuori da questa assistenza veterinaria specialistica il pauroso e timido coniglietto. Promettono di occuparsi dell’assistenza di base (gestione corretta, trattamenti routinari, profilassi). Ma sentite, anche di “chirurgia di base come la sterilizzazione”. Povero coniglietto, amico dei miei deliziosi, poveri pranzi! Eri vissuto nei ritmi tuoi naturali di vita. Certo, hai rischiato nei roveti e nei boschi di essere preda di lupi, volpi e rapaci, la poiana delle mie parti non scherza. Poi dai tempi in cui l’uomo rese domestici gli animali hai goduto i tuoi momenti belli, entusiasmanti, direi appassionanti. Cosa ti restava nella tua breve vita, oltre al mangiare foglie fresche e carote per nutrirti? Metti la grande goduria, la pazzia di una breve, ma intensa esistenza che si sfrenava nel sesso. Questo immenso unico piacere, farlo con tutto l’abbandono… come un coniglio. Ora perché la casalinga insoddisfatta strusci le labbra contro le tue, vogliono chiuderti in una stanza a scivolare sulle ceramiche, quando arriva l’altro ospite, il cagnaccio fedele, obbligarti a fare la pestifera e disgustosa pipì in luogo deputato, segregarti da ogni altro contatto o colloquio o strusciamento “conigliesco” e… castrarti. Auguro a simili difensori dei diritti degli animali di essere castrati non oltre i dieci anni. Non ha il mio caro coniglietto il diritto “umanissimo” del sesso a gogò, per il quale è famoso, per anttonomasia, fra tutti gli animali domestici? L’unica sua voluptas negatagli per evitare prole indesiderata… da salotto, come per le loro padroncine e consorti? Perché poi la gallina così affettuosa, fedele e intelligente, come quella della canzone, non deve avere gli stessi diritti di “animale d’affezione”? Non avrebbe neppure bisogno di essere castrata. Senza gallo fa le uova sterili. E si eviterebbe l’aviaria. 29 CARLO BARBIERI E LISE BOURBEAU* Carlo Barbieri**≠ E’ importante ricordarsi che gli altri non possono mai farci sentire colpevoli, perchè il senso di colpa può venire soltanto dall’interno. Lise Bourbeau Hitler sarebbe stato d’accordo. Carlo Barbieri da “Cambiamo il punto di vista”, inedito destinato a rimanere tale. *Studiosa del comportamento umano ** Scrittore, autore di “La pietra al collo”, “Il morto con la zebiba”.