Mensile di aggiornamento astronomico a cura di Skylive Telescopi

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Mensile di aggiornamento astronomico a cura di Skylive Telescopi Remoti
Notizie del mese di ottobre 2012
Occhi in su: il cielo di novembre 2012
Gli eventi di Skylive previsti per il mese di novembre 2012
Le immagini più belle pubblicate sul forum Skylive
Supernovae n° 9 – Novembre 2012
IL CIELO CAPOVOLTO
Un pianeta intorno alla stella a noi più vicina, Alpha Centauri. Una
taglia confrontabile a quella della nostra “amata” Terra:
di sicuro una notizia di grandissimo impatto mediatico, anche se
Skylive Telescopi Remoti è un servizio,
promosso e portato avanti da
appassionati di astronomia, che mette a
disposizione degli utenti la possibilità di
conoscere l'astronomia e di viverla in
prima persona sotto il cielo.
in realtà non porta nessuna novità in termini di ricerca della vita:
orbita troppo stretta, troppo caldo, niente vita nei nostri termini.
Peccato però che non ci sia possibilità di vita, forse sarebbe
servito per guardarci un po’ allo specchio di fronte ad una civiltà
simile alla nostra. La stella B di Alpha Centauri in fondo è simile al
Sole e se fosse esistito (o se esistesse, ancora non possiamo
Lo scopo di Skylive viene raggiunto
attraverso divulgazione astronomica on
line e live e ponendo a disposizione del
pubblico una rete di telescopi pilotabili
comodamente da casa.
scartare l’ipotesi) un pianeta in fascia abitabile simile al nostro
sarebbe stato davvero un po’ guardarsi allo specchio. E avremmo
potuto immaginare che anche su quel pianeta qualcuno, nello
stesso nostro momento, abbia potuto scoprire qualcosa intorno
ad una stella simile alla sua. Qualche scienziato su Alpha Centauri
avrebbe potuto scoprire la Terra.
Presidente IVAN BELLIA
Vice LUCA SCARPAROLO
Cosa avrebbe visto? Facciamo un po’ un gioco, un po’ di
fantascienza o di fintascienza, come preferite, e leggiamo il
report.
A cura di STEFANO CAPRETTI
“Il pianeta presenta numerose esplosioni, forse dovute ad impatti
Grafica DANY GOZZI
meteorici, eppure manifesta una spessa coltre di atmosfera che
dovrebbe aiutare a prevenire questi impatti così frequenti.
Contatti: [email protected]
Sicuramente, allora, si tratta di esplosioni che scaturiscono dalla
Sito web: http://www.skylive.it
Terra stessa... ma da cosa? L’atmosfera è caratterizzata da
Facebook:
https://www.facebook.com/skylive.tele
scopiskwall
ossigeno, idrogeno, azoto in misura preponderante ma… ci sono
tracce strane, composti mai osservati in nessuna altra zona
dell’universo. Sembrerebbe materiale esplosivo, non vorremmo che
fosse tutto legato alle esplosioni delle quali parlavamo prima. E poi
sembrerebbero veleni quelli che circolano nell’atmosfera, derivanti
da combustibili fossili.
Ci sentiamo di dire che sul nuovo pianeta, appena scoperto, la vita
ci sia stata, ma purtroppo non allo stadio intelligente che
speravamo di trovare. Se ci sono ancora forme di vita, sicuramente
non hanno un gran futuro.”
Siamo stati ad un passo dal trovare una civiltà vicina, ma quale
biglietto da visita offriamo noi a chi ci osserva, se proprio non
vogliamo presentarci bene a noi stessi?
Stefano Capretti
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012
Sommario
FA FREDDO ANCHE SU VENERE ........................................................................................................................ 5
LE NUBI DI VENERE ........................................................................................................................................... 6
BANDIERE SULLA LUNA .................................................................................................................................... 7
L’ERA DI DRAGON ............................................................................................................................................. 8
LE PIONEER NON RALLENTANO ........................................................................................................................ 9
VECCHI CAMPI MAGNETICI PER VESTA .......................................................................................................... 10
PIETRE DA MARTE .......................................................................................................................................... 11
LA PRIMA ROCCIA PER CURIOSITY .................................................................................................................. 12
DANZE DI LUCE VISTE DALLO SPAZIO ............................................................................................................. 13
IL RIMBALZO DI HUYGENS .............................................................................................................................. 14
L’ASTEROIDE PERSO E RITROVATO ................................................................................................................. 15
UN BICCHIERE DI VENTO SOLARE ................................................................................................................... 16
UN VIAGGIO TRA I TROIANI DI GIOVE............................................................................................................. 17
CICLI E OCEANI DI TITANO .............................................................................................................................. 19
L’ORIGINE DELLA LUNA NELLO ZINCO… ......................................................................................................... 21
…OPPURE NO?................................................................................................................................................ 22
UN GRANDE IMPATTO E LA LUNA SI DIVERSIFICA .......................................................................................... 23
IL FLARE SOLARE DEL 22 OTTOBRE ................................................................................................................. 24
EPPURE QUALCOSA PASSA ............................................................................................................................. 25
UNA NUOVA COMETA .................................................................................................................................... 26
VESTA INVECCHIA A MODO SUO .................................................................................................................... 27
LA STRANA SCIA DELLA TEMPESTA DI SATURNO ............................................................................................ 28
UNO SGUARDO AI NEO DEL CIELO ................................................................................................................. 29
UNO SGUARDO AI NEO DEL CIELO ................................................................................................................. 30
15 FEBBRAIO 2013, RECORD DI VOLO RADENTE PER 2012 DA14 ................................................................... 31
55 CANCRI e, UN PIANETA COSTOSO ............................................................................................................. 32
UN PIANETA A QUATTRO STELLE .................................................................................................................... 33
UNA PIZZA DI SISTEMA SOLARE ...................................................................................................................... 34
UN MISURATORE DI PIANETI .......................................................................................................................... 35
AGGIORNATA LA COSTANTE DI HUBBLE ......................................................................................................... 36
UN MOSTRO DI DIMENSIONI GALATTICHE ..................................................................................................... 37
UN MATRIMONIO TRA GALASSIE ................................................................................................................... 38
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012
NGC 3344, UNA BELLEZZA PER HUBBLE ......................................................................................................... 40
SORPRESA NELL’EVOLUZIONE GALATTICA ..................................................................................................... 41
NGC 3738 VISTA DA HUBBLE .......................................................................................................................... 42
I MOTORI DELLE GALASSIE ............................................................................................................................. 43
UN QUASAR TROPPO ENERGETICO ................................................................................................................ 44
UN FLARE DA SGR A* ...................................................................................................................................... 45
UN QUASAR SENZA UNA GALASSIA ................................................................................................................ 46
UNA GALASSIA SOFFICE SOFFICE .................................................................................................................... 47
UN PASTO CONTINUO PER LA GALASSIA ........................................................................................................ 48
QUELLA BOLLA IN M87 ................................................................................................................................... 49
UNO SCIPPO GALATTICO ................................................................................................................................ 50
TRA LE GALASSIE OSCURE .............................................................................................................................. 51
DUE BUCHI NERI INM22 ................................................................................................................................. 52
LA NUBE SCOMPARSA .................................................................................................................................... 53
LE COMETE DI BETA PICTORIS ........................................................................................................................ 54
UNA STELLA A RISCHIO ................................................................................................................................... 55
UNA NOVA A RAGGI X PER SWIFT .................................................................................................................. 56
UNA STELLA SI ACCENDE NELL’ACQUA ........................................................................................................... 57
R SCULPTORIS MESSA A NUDO ....................................................................................................................... 59
UNA FONTANA NEL CIELO .............................................................................................................................. 60
FILAMENTI PER HERSCHEL .............................................................................................................................. 61
VENTI STELLARI INCOLLISIONE ....................................................................................................................... 62
FILAMENTI IN 3D E SORPRESE SULLA MASSA ................................................................................................. 63
SUPERNOVA AL TITANIO ................................................................................................................................ 65
G2 E SCACCO MATTO ..................................................................................................................................... 67
VISTA SU 84 MILIONI DI STELLE ...................................................................................................................... 68
STELLE IMMERSE NELLA MATERIA OSCURA ................................................................................................... 69
UN BUCO NERO PICCOLO PICCOLO ................................................................................................................ 70
UNA PULSAR VELOC E ACCOMPAGNATA ....................................................................................................... 72
FOMALHAUT b E’ UN PIANETA ....................................................................................................................... 73
UNA BOLLA IN STILE HALLOWEEN .................................................................................................................. 75
LE BLUE STRAGGLER DI NGC 6362 .................................................................................................................. 76
Gli alieni della porta accanto .......................................................................................................................... 77
IMMAGINI DAL FORUM SKYLIVE .................................................................................................................... 80
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012
M1 di Rickytnt ........................................................................................................................................... 80
NGC 1333 di Alberto Tomatis .................................................................................................................... 81
SADR di Renard ......................................................................................................................................... 82
02/11/2012 – Una costellazione sopra di noi: i PESCI .................................................................................... 83
15/11/2012 – Corso di Astronomia di Base: SISTEMA SOLARE....................................................................... 83
29/11/2012 – Rassegna stampa e Cielo di Dicembre ..................................................................................... 83
Partiamo dal NORD .................................................................................................................................... 85
UNA BOLLA IN CASSIOPEA ...................................................................................................................... 89
Sud e Ovest, un cielo in secondo piano ...................................................................................................... 92
LE STELLE CHE TRAMONTANO ................................................................................................................ 92
I passaggi in meridiano ............................................................................................................................... 94
LA LUCE DELL’EST ....................................................................................................................................... 95
LE PLEIADI ............................................................................................................................................... 98
I PIANETI NEL MESE DI NOVEMBRE 2012 ....................................................................................................... 99
Mercurio ..................................................................................................................................................... 99
Venere ...................................................................................................................................................... 101
Marte........................................................................................................................................................ 103
Giove ........................................................................................................................................................ 105
Saturno ..................................................................................................................................................... 107
Urano ....................................................................................................................................................... 109
Nettuno .................................................................................................................................................... 111
GLI EVENTI PRINCIPALI DI NOVEMBRE 2012 ................................................................................................ 113
LA LUNA........................................................................................................................................................ 124
IL SOLE .......................................................................................................................................................... 126
GLI SCIAMI METEORICI ................................................................................................................................. 128
ASTEROIDI E NANOPIANETI DEL MESE ......................................................................................................... 130
COMETE DEL MESE ....................................................................................................................................... 131
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
Notizie dal Sistema Solare
FA FREDDO ANCHE SU VENERE
La sonda Venus Express dell’ESA ha osservato uno strato molto freddo nell’atmosfera di Venere, schiacciato
tra due regioni più calde e nei pressi della linea di passaggio tra notte e giorno. La gelida temperatura
potrebbe raffreddare a tal punto l’anidride carbonica da trasformarla in ghiaccio o neve.
04/10/2012 - L’ARRIVO SU MARTE (ANSA) - Il
pianeta Venere, considerato spesso un gemello
inospitale della Terra per la sua spessa
atmosfera di anidride carbonica e per la sua
superficie calda, ha nella sua atmosfera uno
strato inaspettatamente freddo: circa -175 °C
(ben più freddo di qualunque strato
dell'atmosfera terrestre), a 125 chilometri
d'altitudine rispetto alla superficie. La scoperta
grazie alla sonda Venus Express dell'ESA (a cui
l'INAF partecipa con strumentazione scientifica)
e ai dati raccolti in cinque anni di osservazioni.
Temperature così basse potrebbero portare
l'anidride cabonica a formare neve o ghiaccio.
Il dato è stato ottenuto osservando come la luce
proveniente dal Sole venga filtra attraverso
l'atmosfera del pianeta, pera rivelare la concentrazione di molecole di anidride carbonica a diverse quote
lungo il cosiddetto “terminator” – la linea di demarcazione tra il giorno e la notte. Attraverso le
informazioni sulla concentrazione di biossido di carbonio e combinando i dati sulla pressione atmosferica a
diverse altitudini, gli scienziati hanno così potuto calcolare le temperature corrispondenti.
“Dal momento che la temperatura scende al di sotto della temperatura di congelamento del biossido di
carbonio, abbiamo il sospetto che il gas si possa trasformare in ghiaccio, in quella precisa regione” dice
Arnaud Mahieux del Belgian Institute per lo Space Aeronomy e autore dell'articolo pubblicato sul Journal of
Geophysical Research. Eventuali nuvole di ghaccio o neve dovrebbero essere particolarmente riflettenti, e
quindi apparire molto luminose nella immagini di Venus Express. “Ma queste zone molto luminose
potrebbero anche essere spiegate da altri disturbi atmosferici, perciò dobbiamo essere cauti”.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
Lo studio ha anche scoperto che lo strato freddo rilevato sulla linea di demarcazione è inserito tra due strati
relativamente più caldi. “I profili di temperatura sul lato diurno caldo e sul lato notturno freddo, ad
altitudini superiori a 120 chilometri, sono estremamente diversi, così sulla linea di demarcazione siamo in
un regime di transizione con effetti provenienti da entrambi i lati” ha spiegato Arnaud Mahieux.
Le simulazioni al computer sono in grado di predire i profili osservati, ma l'ulteriore conferma sarà data
esaminando il ruolo svolto da altri gas sulla superficie di Venere, come il monossido di carbonio, l'azoto e
l'ossigeno che sono predominanti rispetto al biossido di carbonio ad alta quota.
LE NUBI DI VENERE
Una immagine della sonda Venus Express ci consente una piccola analisi dell'alta atmosfera del pianeta.
08/10/2012 – (ESA) Le nubi
puntellano regolarmente l'azzurro
cielo terrestre, ma su Venere non
vanno mai via e l'intero pianeta è
sempre costantemente avvolto in un
velo di diossido di carbonio e
diossido di zolfo largo circa 20
chilometri.
L'immagine mostra la parte alta delle
nubi
così
come
appaiono
all'ultravioletto alla sonda Venus
Express da una distanza di circa
30.000 chilometri. L'immagine risale
all'otto dicembre 2011.
Gran parte dell'immagine è occupata
dall'emisfero sud del pianeta, con il
polo sud nella parte bassa del frame
e l'equatore nei pressi della zona
alta. Lo strato di nubi si trova a circa
70 chilometri dalla superficie del
pianeta.
L'alternanza tra le zone più o meno brillanti sono causate da variazioni di assorbimento chimico da parte
degli strati alti dell'atmosfera. Le forme delle nubi mostrano evidenza di una vigorosa circolazione e delle
dinamiche atmosferiche del pianeta.
A basse latitudini si notano formazioni nuvolose associate ad attività turbolente.
La velocità del vento viene dedotta dal tracking delle nubi e supera i 100 metri al secondo, compiendo un
giro di pianeta ogni quattro giorni terrestri. Sul nostro pianeta occorrono invece 224 giorni per completare
una rivoluzione atmosferica.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
BANDIERE SULLA LUNA
Le immagini della missione LRO permettono di distinguere le ombre lasciate dalle bandiere piantate sulla
Luna dagli astronauti delle missioni Apollo e formulare ipotesi sulla loro conservazione. Ben visibili quelle
delle missioni Apollo 12, 16 e 17, ma non c'è traccia di quella di Armstrong.
04/10/2012 – (MEDIA INAF) Un totale di 6 bandiere
per 7 missioni, piantate sulla superficie lunare. Se è
vero quanto riportato dall'astronauta Buzz Aldrin
dell'Apollo11, la numero 1, una normalissima bandiera
americana realizzata da una azienda del New Jersey e
venduta alla NASA per 5,5 dollari, non sarebbe
sopravvissuta alla ri-partenza dalla superficie lunare
del modulo di atterraggio. Questo ci porta a un totale
ipotetico di 5 bandiere il cui stato di conservazione,
dopo 40 anni circa di esposizione all'impervio
ambiente circostante, è tutto da valutare. Le immagini
ad alta risoluzione della missione LRO, Lunar
Reconnaisance Orbiter, dopo averci mostrato gli
strumenti rimasti sulla superficie (vedi questo articolo
sull'Apollo15) ci permettono oggi di formulare delle
ipotesi sul destino di questi simboli della conquista
lunare, gettando luce sul mistero, con una interessante tecnica di studio delle ombre.
L'immagine di oggi è un esempio di questa tecnica. Nell'inquadratura, il sito di allunaggio dell'Apollo 17,
l'ultima missione lunare, dove sono ben visibili i resti della missione. Malgrado l'alta risoluzione
dell'immagine, identificare la bandiera distinguendone la forma è un obiettivo decisamente troppo
ambizioso, persino nell'ingrandimento (riquadro in basso a sinistra). A complicare le cose, l'attività degli
astronauti che hanno camminato e lavorato a lungo nelle zone di atterraggio, lasciando tracce sul terreno
smosso che potrebbero dare l'illusione della presenza di oggetti non presenti.
Eppure, l'immagine permette la chiara identificazione dell'ultima bandiera piantata sul suolo lunare grazie
alla scelta di scattare la fotografia quando il sole si trovava molto basso sull'orizzonte, con un angolo di
incidenza di 56 gradi, proiettando una lunga e ben identificabile ombra. Combinando questa immagine con
altre prese in diversi momenti di illuminazione radente (all'alba e al tramonto, per intenderci) è possibile
ricostruire una sequenza temporale in cui l'ombra della bandiera compie un cerchio intorno alla sua asta
(vedi a questa pagina web una interessante animazione interattiva della sequenza temporale). Oltre a farci
affermare che la bandiera è ancora al suo posto, queste immagini ci permettono di azzardare, grazie alle
dimensioni dell'ombra stessa, che il tessuto non dovrebbe essersi disintegrato dopo 40 anni di permanenza
sul suolo lunare.
LRO sta realizzando una mappa completa della luna, concentrandosi su tutti i siti di allunaggio. Finora dalle
immagini analizzate risultano chiaramente identificabili, piantate nel terreno, le bandiere dei siti degli
Apollo 12, 16 e 17. Le immagini del sito dell'Apollo11 sembrano dare ragione a Buzz, visto che nessun
oggetto svettante è stato identificato. Per le altre missioni, gli scienziati stanno ancora studiando (vedi a
questo link lo stato dell'arte di questi studi).
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
Contemporaneamente, ci si interroga sullo stato di conservazione delle bandiere sopravvissute. L'ambiente
lunare è particolarmente inospitale. Alterna temperature che oscillano da100° C a -150° C ed è sottoposto
ad una luce solare non filtrata, dove la componente UV potrebbe essere fatale per i colori del tessuto di cui
le bandiere sono fatte. L'argomento non è secondario. Basta immaginare l'impatto mediatico che potrebbe
avere una qualche futura missione lunare che si ritrovi a recuperare una ben poco simbolica bandiera
bianca. Costata poco più di 5 dollari degli anni '60, ma milioni di dollari per raggiungere la superficie lunare.
L’ERA DI DRAGON
Ha preso il volo durante la notte Dragon, la capsula spaziale costruita da Space X. La missione si chiama
Crs-1, e dopo il volo inaugurale dello scorso maggio è la prima missione commerciale..
08/10/2012 – (MEDIA INAF) Dopo il primo
volo di test dello scorso maggio, ha presto
il via durante la notte la prima missione
commerciale della capsula Dragon verso la
Stazione Spaziale Internazionale. Il lancio è
avvenuto alle 2:35 dell'8 ottobre (ora
italiana) dalla base di Cape Canaveral
(Florida), con un lanciatore Falcon 9. La
NASA ha così dato il via al primo volo
commerciale diretto alla Stazione Spaziale
Internazionale (ISS). Con il programma
Commercial Resupply Services, dal costo
complessivo di 1,2 miliardi di dollari, NASA
ha acquistato dalla Space Exploration
Technologies (Space X) di un pacchetto di 12 voli commerciali per portare nello spazio materiali per
esperimenti scientifici, pezzi di ricambio e rifornimenti per l'equipaggio fino all'anno 2016. Da quando lo
shuttle è andato in pensione, Dragon è stato il primo veicolo spaziale statunitense ad aver raggiunto in
sicurezza la Stazione Spaziale, ed è l'unico veicolo (Soyuz a parte) in grado di consegnare materiali alla
stazione orbitale e di riportare a Terra materiali, come quelli relativi agli esperimenti completati. Con
questo volo, Dragon porterà in orbita un totale di 400 chili di forniture per il laboratorio orbitante, tra cui
118 chili di forniture per l'equipaggio, 177 chili di materiale dedicato alla ricerca scientifica, 102 chili di
strumentazioni hardware e parecchi chili di altri beni di consumo. Quando tornerà sulla Terra, Dragon
porterà un carico di 758 chili di forniture. I materiali trasportati dalla capsula Dragon consentiranno di
effettuare esperimenti su cellule vegetali e test di biotecnologia umana. Un esperimento chiamato Micro 6
esaminerà gli effetti della microgravità sul lievito endogeno Candida albicans, che è presente in tutti gli
esseri umani. Un altro esperimento, chiamato Resist Tubulo, valuterà come la microgravità influenza la
crescita delle pareti cellulari in una pianta chiamata Arabidopsis.
Nessun problema per il lanciatore Falcon 9 che ha portato Dragon. Il prossimo 10 ottobre la navetta si
aggancerà alla stazione orbitale, dopo aver effettuato una serie di manovre: resterà agganciata alla ISS
orbitale per due settimane e rientrerà sulla Terra il 28 ottobre.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
LE PIONEER NON RALLENTANO
Uno studio dell'Università del Missouri analizza come l'espansione dell'Universo alteri la propagazione della
luce nel sistema solare, e così facendo offre a una soluzione a un mistero studiato per anni
08/10/2012 – (MEDIA INAF) L' anomalia
dei Pioneer, l'effetto che causa il
rallentamento anomalo delle sonde NASA
Pioneer 10 e 11, potrebbe finalmente
avere una spiegazione. Da decenni gli
esperti cercano di trovare una soluzione a
questo mistero: un rallentamento difficile
da spiegare nel moto delle due sonde,
lanciate nei primi anni settanta dalla
NASA verso gli estremi confini del Sistema
Solare, in direzioni opposte. Che
l'attrazione gravitazione del Sole causi
una decelerazione nel loro moto è
normale, ma quella decelerazione è ben
maggiore di quanto ci si aspetterebbe.
La nuova teoria arriva da uno studio di
Sergei Kopeikin, un ricercatore dell'Università del Missouri (USA): «Le sonde Pioneer – dice Kopeikin –
sembrano violare le leggi di gravità newtoniane decelerando in modo anomalo durante il loro viaggio
spaziale, ma, fin'ora, non era mai stato possibile dare delle spiegazioni secondo le leggi della fisica». Il suo
recente studio, pubblicato su Physical Review D, dimostra che la deviazione non è così strana come si
pensava.
Proprio lo scorso anno, una serie di studi avevano offerto una possibile spiegazione: la cosiddetta thermal
recoil force (un effetto non gravitazionale, legato unicamente alla radiazione termica che esce dalle sonde).
Secondo il team del Missouri, però, l'effetto di thermal recoil può spiegare al massimo il 15-20 per cento
dell'effetto osservato. La soluzione del restante 80 per cento va invece cercata nelle equazioni che
descrivono il movimento dei fotoni radio che portano sulla Terra le informazioni su posizione e velocità
delle sonde. Le gemelle Pioneer sono state letteralmente bombardate di onde radio, che rimbalzando
contro le sonde e tornando a Terra consentono di calcolare la distanza.
Per Kopeikin e colleghi, le navicelle non rallentano, ma sono le onde radio che emettono arrivano sulla
Terra a una velocità diversa da quella che ci si aspetterebbe stando alle teorie di Newton. E questo perché
l'espansione dell'Universo altera le nostre osservazioni dei fotoni che compongono le onde radio
provenienti dalle sonde, facendo sembrare che stiano rallentando.
La scoperta sull'anomalia delle sonde Pioneer è solo una parte di un progetto più grande al quale sta
lavorando il team, su come l'espansione dell'Universo alteri alcuni parametri fisici nel Sistema Solare, in
modi di cui finora gli astronomi non avevano tenuto conto: «Avere misure accurate dei parametri fisici
dell'universo ci aiuterà a porre le basi per nuovi progetti di esplorazione interstellare», ha detto Kopeikin.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
VECCHI CAMPI MAGNETICI PER VESTA
L’analisi di un frammento di eucrite trovato in Antartide sembra confermare che l’asteroide, in un lontano
passato, era avvolto in un campo magnetico generato dall’effetto dinamo.
12/10/2012 – (MEDIA INAF) L'hanno rinvenuta fra i
ghiacci del Polo Sud una trentina d'anni fa, nel
1981, ma la storia che si porta dentro è molto più
antica: risale agli albori del Sistema solare. È una
meteorite di tipo HED, in particolare un'eucrite, e
potrebbe contribuire a gettar luce sulla natura
primordiale di un corpo celeste distante da noi
centinaia di milioni di chilometri: l'asteroide Vesta,
oggetto fino allo scorso settembre di numerose
osservazioni ravvicinate da parte della sonda Dawn
della NASA. In particolare, ciò che il team guidato
da Roger Fu, dottorando in geofisica al MIT, ha
appena dato alle stampe su Science è uno studio
che confermerebbe la presenza sull'asteroide – in
un'epoca remota, 3.69 miliardi di anni fa –
dell'effetto dinamo. Ovvero, di un campo
magnetico indotto da un nucleo metallico allo stato
liquido in rotazione all'interno del protopianeta.
L'interrogatorio al quale Fu e colleghi hanno
sottoposto ALHA81001, questo il nome con il quale
è stata etichettata la meteorite antartica, si è svolto
in due passaggi. Anzitutto, per stabilirne la provenienza, gli scienziati hanno osservato la composizione
isotopica della roccia, rinvenendo così la firma pressoché inconfondibile dell'asteroide Vesta. Poi ne hanno
scansionato una dozzina di frammenti al microscopio elettronico, ed è in questa fase che sono emersi
residui evidenti di un passato magnetico, quello che i ricercatori chiamano natural remanent
magnetization. Proprio come un fossile, il reticolo cristallino di ALHA81001 ha mostrato l'impronta
dell'azione di un campo magnetico, sulla superficie dell'asteroide, di almeno 2 microtesla (sulla superficie
terrestre, per fare un confronto, la densità del flusso magnetico va dai 30 ai 50 microtesla).
«L'esistenza di meteoriti “magnetizzate” era già nota, così come l'ipotesi che Vesta avesse potuto
sviluppare un campo magnetico», ricorda Maria Cristina De Sanctis, dell'INAF-IAPS di Roma, team leader
dello spettrometro VIR a bordo di Dawn. «Questa ricerca sembra confermare l'ipotesi di un'antica dinamo
nel passato dell'asteroide. La missione Dawn ha evidenziato la presenza di un nucleo metallico di circa 100
km di raggio. Quando il nucleo era fuso, i movimenti di materia possono aver generato un campo
magnetico come quello di cui oggi si ha traccia in queste meteoriti. La presenza di un campo magnetico può
a sua volta aver “preservato” la superficie di Vesta dall'azione del vento solare, come sembrano indicare le
misure dello strumento VIR a bordo di Dawn, che rivelano uno space weathering diverso da quello che
agisce sulla Luna. E quella che emerge dalle osservazioni di Dawn, insieme ai dati di laboratorio e ai modelli
teorici, è una Vesta sempre più simile a un piccolo pianeta come la Terra».
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
PIETRE DA MARTE
Caduto nel deserto del Marocco nel luglio del 2011, il meteorite Tissint è un raro caso di roccia marziana
arrivata sul pianeta Terra e raccolta poco dopo.
12/10/2012 – (MEDIA
INAF) Mentre il rover
Curiosity se ne va in giro a
studiare la superficie di
Marte, sulla Terra i
ricercatori si danno da fare
attorno a un frammento di
quello stesso pianeta
caduto nel deserto del
Marocco il 18 luglio dello
scorso anno. Il meteorite
Tissint è solo il quinto di
origine marziana a essere
stato raccolto dopo che la
sua caduta sulla Terra era stata osservata da testimoni. A differenza di altri casi simili in cui i meteoriti
erano stati trovati solo molto tempo dopo la loro caduta, quando ormai l'esposizione all'ambiente terrestre
ne aveva alterato le caratteristiche, offre quindi una straordinaria occasione per studiare la composizione
della superficie di Marte e, indirettamente, la sua atmosfera.
In uno studio pubblicato su Science di questa settimana, Hasnaa Chennaoui Aoudjehane dell'Università di
Casablanca e i suoi colleghi raccontano che cosa hanno capito di quel meteorite analizzandolo a fondo in
laboratorio. Spiegano prima di tutot che Tissint è stata espulso da Marte circa 700.000 anni fa, staccandosi
a sua volta dal pianeta a causa di un forte impatto, probabilmente di un asteroide. Da allora se n'è andato
in giro per il sistema solare, fino alla caduta sulla Terra lo scorso anno.
Le analisi sul frammento hanno rivelato la presenza di tre componenti distinte che derivano
rispettivamente dagli strati interni, dalla superficie e dall'atmosfera del Pianeta rosso. Per spiegare questa
conformazione, gli autori propongono la teoria che la roccia di cui è composto Tissint sia stata esposta a
fluidi che percorreavano la superficie del pianeta, che si sono depositati nelle sue crepe e fessure. L'impatto
dell'asteroide che si è schiantato su Marte (provocando l'espulsione di Tissint) deve aver causato la fusione
di queste fratture, mantenendo così nella roccia le “firme” chimiche della superficie marziana. E
producendo anche l'elemento più sorprendente ritrovato dai ricercatori nell'analisi di Tissint: vene e bolle
di vetro nero, con all'interno elementi tipici dell'atmosfera di Marte già rivelati in passato dalle missioni
spaziali, in particolare un eccesso di uno specifico isotopo dell'azoto. E così, una piccola roccia del peso di
poco più di 1 kg raccoglie in sè un identikit completo di Marte, dagli strati interni all'atmosfera.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
LA PRIMA ROCCIA PER CURIOSITY
Si chiama Jake Matijevic ed è la prima roccia esaminata da Curiosity su Marte: una somiglianza con alcune
rocce terrestri.
12/10/2012
–
(MEDIA
INAF)
PASADENA, Calif. La prima roccia
toccata da Curiosity
presenta una varietà
di componenti già
maggiore rispetto a
quanto atteso. La
roccia somiglia tra
l'altro ad alcune
strane rocce interne
del nostro pianeta.
Il team addetto al
rover ha utilizzato
due strumenti per
studiare
la
composizione
chimica della roccia "Jake Matijevic", delle dimensioni di una palla da football, ed i risultati supportano
alcune recenti e sorprendenti misurazioni e forniscono un esempio del motivo per il quale l'identificazione
delle rocce è molto importante per questa missione. La composizione delle rocce ci racconta molte cose
circa l'ambiente e i processi planetari.
Si tratta di un mix di composizione chimica simile alle rocce ignee ben note trovate in molte zone
vulcaniche della Terra. Una sola roccia è poco per conoscere con precisione i processi che si sono succeduti,
ma è un ragionevole punto di partenza per ragionare sulle origini.
Sulla Terra, le rocce con una composizione simile a quella di Jake provengono tipicamente da processi nel
mantello del pianeta, sotto la crosta, di cristallizzazione di magma relativamente ricco di acqua posto a
pressione elevata.
Due punti delle dimensioni di un penny sono state analizzate su Jake il 22 settembre: la roccia è atipica per
Marte. Povera in magnesio e ferro e ricca di altri minerali meno presenti sul pianeta rosso.
Ovviamente si tratta soltanto della prima roccia per Curiosity, e le analisi continueranno, ma è una bella
prova di quanto questo rover possa fare.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
DANZE DI LUCE VISTE DALLO SPAZIO
Da satelliti in orbita terrestre, meravigliose immagini delle aurore boreali sull'Ontario.
12/10/2012 – (NASA) La notte tra il 4 e il 5 ottobre 2012, una massa di particelle energetiche proveniente
dall'atmosfera del Sole si è mossa nello spazio, un fenomeno noto come Coronal Mass Ejection (CME). Tre
giorni dopo, la tempesta ha colpito il campo magnetico terrestre producendo le famose luci del nord. I
satelliti della NASA hanno tracciato il percorso di queste particelle, dal Sole fino alla nostra atmosfera.
Tramite il "day-night-band" di VIIRS, il Suomi National Polar-orbiting Partnership ha acquisito immagini
dell'aurora boreale la mattina del giorno 8 ottobre 2012, dal Quebec fino all'Ontario.
Le aurore si verificano tipicamente quando i flares solari e le CME arrivano a disturbare la magnetosfera, il
guschio che protegge la Terra. La collisione delle particelle con il campo magnetico, accelera le particelle
stelle fino a raggiungere gli strati alti dell'atmosfera terrestre, a circa 100-400 chilometri di altezza, dove
eccitano le molecole di ossigeno e azoto rilasciando fotoni di luce. Il risultato è dato da raggi, fogli e danze
di luce nel cielo.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
IL RIMBALZO DI HUYGENS
Dalla dinamica ricostruita dell'arrivo del lander su Titano è possibile risalire a molte curiosità circa il terreno
dell'asteroide di Saturno.
12/10/2012 – (MEDIA
INAF) La sonda Huygens
ha scavato un foro
profondo 12 centimetri
prima di rimbalzare su
un superficie piana. E
tutto questo nei primi 10
secondi
dopo
aver
toccato il suolo di Titano,
la luna più grande di
Saturno. E' questa la
ricostruzione di come nel
2005 la sonda, lanciata
con la missione Cassini
(NASA/ESA/ASI)
nel
1997, ha rimbalzato
scivolato e oscillato poco
dopo l'atterraggio.
A rivelarlo è uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Planetary and Space Science, che ha
ricostruito gli istanti immediatamente successivi all'arrivo. «Un picco nei dati dell'accelerazione suggerisce
che durante la prima oscillazione la sonda probabilmente si sia scontrata con un sasso sporgente di circa 2
cm dalla superficie di Titano, che potrebbe aver spinto nel terreno, suggerendo che la superficie ha una
consistenza morbida, simile alla sabbia umida», ha detto Stefan Schröder del Max Planck per la ricerca sul
Sistema solare, autore principale dell'articolo pubblicato su “Planetary and Space Science” in cui viene
presentata la ricostruzione dell'atterraggio. Dai dati raccolti in questi anni i ricercatori hanno visto inoltre
che durante l'atterraggio si sono sollevati aerosol di natura organica, indicando che il suolo era
probabilmente asciutto al momento dell'impatto.
La sonda dopo lo “scontro” con la roccia si è inclinata di circa 10 gradi ed è scivolata di 30-40 centimetri
sulla superficie. La sonda non ha potuto che rallentare a causa dell'attrito con la superficie per poi oscillare
avanti e indietro cinque volte.
Lo ricerca fornisce, quindi, nuove informazioni sulla natura della superficie di Titano. I dati sono stati
confrontati con i risultati di simulazioni al computer e una prova di caduta, utilizzando un modello di
Huygens progettato per replicare l'atterraggio.
«Questo studio — ha osservato Nicolas Altobelli dell'Esa — ci riporta indietro nel tempo al momento in cui
Huygens ha toccano il mondo alieno più remoto su cui si sia mai posato una sonda».
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
L’ASTEROIDE PERSO E RITROVATO
A distanza di anni, viene ritrovato e riconosciuto l'asteroide 2008 SE85, scoperto nel 2008 e poi dato per
disperso.
12/10/2012 – (ESA)
Un
asteroide
potenzialmente
pericoloso fu scoperto
ma poi perso, mentre
ora è stato di nuovo
scoperto e la sua
orbita
è
stata
confermata
da
astronomi amatori che
lavorano
insieme
all'ESA in un apposito
programma. L'oggetto
è
grande
mezzo
chilometro ma non c'è
alcun rischio per la
Terra.
L'amatore
Erwin
Schwab, tedesco, ha
condotto la propria
caccia all'asteroide a
settembre durante un
giro di osservazioni in
Spagna ed ha capito di
aver riscoperto l'oggetto già noto nel suo catalogo come 2008SE85.
Fu scoperto la prima volta a settembre 2008 dalla Catalina Sky Survey e osservato da pochi osservatori a
ottobre 2008. Da allora nessuno è più riuscito ad osservare l'oggetto e l'orbita calcolata era talmente
inaccurata che l'asteroide fu dato per perso in maniera definitiva.
Erwin ha pianificato le proprie osservazioni per cercare l'oggetto in un'area di incertezza rispetto alla
posizione prevista. Dopo poche ore, lo ha trovato a circa 2° (quattro volte la Luna piena) distante dal punto
previsto. La scoperta è stata fatta sabato 15 settembre osservando le mimagini al computer. Nuova
osservazione la domenica all'1:30, giorno del compleanno dell'osservatore.
Ora sarà possibile passare ad una maggior precisione nel calcolo dell'orbita dell'asteroide e quindi ad una
maggior confidenza sul grado di rischio.
Finora ci sono 1300 asteroidi riconosciuti come potenzialmente pericolosi, cioè che si avvicinano a meno di
7 milioni di chilometri
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UN BICCHIERE DI VENTO SOLARE
Sarebbero le particelle di vento solare ad alimentare la presenza di acqua sul nostro satellite, secondo gli
studi dei dati ottenuti dalla missione LCROSS.
15/10/2012 – (MEDIA INAF)
Sarebbe il vento solare la fonte
dell‘acqua intrappolata nel
suolo lunare, rivelata negli
ultimi anni da diverse missioni
spaziali e da nuove analisi dei
campioni
prelevati
dalle
missioni Apollo. Lavori che
avevano sopreso i ricercatori,
costringendoli a rivedere la
convinzione che il nostro
satellite
naturale
fosse
totalmente arido. Nel 2009, il
Lunar Crater Observation and
Sensing satellite della NASA
(LCROSS), atterrò in un cratere
permanentemente in ombra e
nell'impatto sollevò materiale
ricco di acqua ghiacciata.
L'acqua e sui derivati, in particolare particelle del gruppo ossidrilico, sono stati rilevati anche nella regolite
lunare, lo strato di polvere fine che ricopre la superficie del satellite.
Ora uno studio firmato da ricercatori dell'Università del Michigan e pubblicato su Nature Geoscience
sostiene che la fonte più probabile di quell'acqua sia il flusso costante di particelle provenienti dai venti
solari.
Secondo lo studio di Youxue Zhang questa riserva di acqua potrebbe essere continuamente alimentata non
solo dalle comete, ma anche dal vento solare. Le molecole di H2O rivenute da LCROSS sarebbero state
originate quasi certamente dal Sole sotto forma di ioni idrogeno. I venti solari ad altissime velocità
avrebbero poi completato il gioco trasportando gli ioni sulla Luna, dove avrebbero cominciato ad interagire
con l'ossigeno formando i gruppi OH che sono il presupposto per formare molecole d'acqua.
La ricerca apre al mondo scientifico nuovi scenari sulla presenza di acqua sui pianeti del Sistema solare. Lo
stesso meccanismo potrebbe infatti esserea all'opera su Mercurio o su asteroidi come Vesta.
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UN VIAGGIO TRA I TROIANI DI GIOVE
WISE consente di risolvere alcune delle questioni più dibattute sugli asteroidi che precedono e seguono
Giove: colore e numero.
16/10/2012 – (NASA) WISE (Wide-field Infrared Survey Explorer) della NASA ha consentito di scoprire
nuovi segreti celati negli asteroidi troiani di Giove, quelli cioè che condividono l'orbita del gigante gassoso
intorno al Sole viaggiando in gruppi, alcuni precedendo il pianeta ed altri seguendolo.
Le osservazioni sono le prime a riprendere i colori in maniera dettagliata: entrambi i gruppi sono
prevalentemente neri, rocce prevalentemente non in grado di riflettere il Sole. In più, sembra che il gruppo
che precede Giove sia più numeroso di quello che lo segue.
I nuovi risultati offrono delle chiavi di ricerca sull'origine degli asteroidi. Dove si sono formati i troiani? Di
cosa sono fatti? I due gruppi di rocce sono simili e non somigliano agli asteroidi della fascia principale tra
Marte e Giove, né ai corpi che fanno parte della fascia di Kuiper, oltre Plutone.
Oggi Giove e Saturno si trovano in orbite calme e stabili ma nel passato hanno avuto molte "discussioni"
con asteroidi vicini, che hanno avuto ovviamente la peggio. In seguito, Giove ha ri-catturato i troiani ma
non sappiamo ancora da dove questi provengano. I risultati ci dicono oggi che potrebbero essere stati
catturati localmente, il che sarebbe un gran risultato perché vorrebbe dire che questi asteroidi sono
composti dal materiale primordiale che ha dato vita al Sistema Solare.
Il primo troiano è stato scoperto il 22 febbraio del 1906 dal tedesco Max Wolf: chiamato Achilles, era una
pietra di 350 chilometri di diametro e fu soltanto il primo di tanti altri. Più tardi furono scoperti altre
asteroidi anche dietro Giove. Questi asteroidi furono chiamati Troiani dalla leggenda ben nota del cavallo di
Troia.
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I due gruppi furono poi scissi: quelli che precedono Giove furono chiamati Greci mentre quelli che lo
seguono furono chiamati Troiani, ma ogni gruppo presenta delle "spie": così Hector è tra i Greci e Patroclus
è tra i Troiani.
Anche Marte, Nettuno e persino la Terra hanno oggetti simili, come si scoprì più tardi.
Uno dei misteri di questi oggetti riguarda il loro numero: si riteneva infatti che esistessero tanti oggetti, tra i
due gruppi, per quanti sono gli asteroidi della Fascia Principale. Per scoprirlo occorreva una campagna
osservativa ben organizzata e condizioni molto più che favorevoli, prime tra tutte l'inclinazione di Giove e
della sua orbita. Un gruppo è stato a lungo predominante nei cieli boreali mentre un altro è stato visibile al
meglio nei cieli australi, il che necessitava di due diversi telescopi con tutte le conseguenti domande del
caso: le diversità esistenti sono vere oppure sono dovute al diverso strumento usato e al differente
momento?
Con WISE, in orbita dal 14 dicembre 2009, le cose sono cambiate visto che sono stati ottenuti diametri e
albedo di 1750 troiani e i dati hanno portato a stimare una popolazione maggiore del 40% del gruppo che
precede rispetto a quello che segue.
Altra difficoltà riguarda ovviamente lo studio della superficie e dell'interno degli oggetti, anche se WISE è
sensibile al bagliore termico e può fornire quindi una stima dell'albedo e quindi dei "colori" (tipo di luce
all'interno dello spettro visibile).
Sono stati così analizzati i colori di 400 troiani consentendo una classificazione, la prima in tal senso.
Non sono stati visti asteroidi ultra-rossi, tipici della fascia principale e della fascia di Kuiper, ma è stata
trovata una popolazione molto uniforme di asteroidi di tipo D, molto scuri, con altri di tipo C e P, tendenti al
grigio e al blu: forse si tratta del materiale più antico noto nel nostro sistema solare.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
CICLI E OCEANI DI TITANO
Nuove analisi mostrano caratteristiche superficiali sempre più interessanti su una delle lune più intriganti
del Sistema Solare.
17/10/2012 – (NASA) Le immagini radar di Cassini rivelano alcune nuove curiosità sulla sueprficie della
misteriosa luna di Saturno, Titano, compresa una struttura quasi circolare che somiglia tanto ad un mare
antico. I risultati sono stati presentati all'American Astronomical Society's Division of Planetary Science
Conference, in Nevada.
Radar images from NASA's Cassini spacecraft reveal some new curiosities on the surface of Saturn's
mysterious moon Titan, including a nearly circular feature that resembles a giant hot cross bun and
shorelines of ancient seas. The results were presented today at the American Astronomical Society's
Division of Planetary Sciences conference in Reno, Nev.
Il vapore proveniente dall'interno causa spesso il sollevamento della crosta fino a spezzarla. Gli scienziati
pensano che alcuni processi di questo tipo possano avvenire su Titano. L'immagine è stata ottenuta il 22
maggio 2012 da Cassini. Terreni simili erano già stati visti su Venere, laddove esiste una regione di circa 20
miglia (30 chilometri) lungo la quale si erge il vulcano Kunapipi Mons. E' stato teorizzato che la zona di
Titano, grande circa 70 chilometri, sia il risultato di fratture causate da sollevamenti del terreno,
possibilmente il risultato di magma in risalita.
Una simile caratteristica superficiale non era mai stata vista finora su Titano, che quindi non finisce ancora
di riservarci sorprese dopo otto anni di osservazioni. Sulla Terra fenomeni simili si verificano sulle Henry
Mountains nello Utah.
Un altro gruppo di scienziati, guidato da Ellen Stofan, ha scansionato le immagini dell'emisfero sud di
Titano, l'unico posto oltre alla Terra che possiede qualcosa di liquido in modo stabile sulla sua superficie
sebbene si tratti di idrocarburi e non di acqua. Le indagini hanno portato a due ottimi candidati per scenari
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"marini" su Titano: uno sembra essere un bacino di circa 400 chilometri di diametro e profondo qualche
centinaio di metri.
Alcuni sostengono che un ciclo analogo a quello che spiega i cambiamenti climatici sulla Terra (ciclo CrollMilankovich) esista anche su Titano, a causare trasferimenti a lungo termine di idrocarburi liquidi da un
polo all'altro. Secondo questo modello, il polo sud dovrebbe essere stato coperto da mari meno di 50.000
anni fa.
Un vasto, antico oceano di idrocarburi liquidi nell'emisfero sud di Titano, la principale luna di Saturno. La
scoperta è targata Cassini-Huygens ed è di primaria importanza. Titano è da tempo l'unico posto noto del
sistema solare, a parte la Terra, dove è possibile trovare liquidi in forma stabile sulla superficie. Idrocarburi,
per la precisione. Ma finora, gli idrocarburi erano stati osservati per la maggior parte nell'emisfero nord e i
ricercatori si interrogavano se fossero esistite in passato riserve analoghe nell'emisfero sud. L'immagine di
oggi, prodotta dalla sonda NASA/ESA/ASI Cassini Huygens, risponde alla domanda e rappresenta un
interessante indizio per svelare la storia delle stagioni di Titano.
Le immagini usate per realizzare questo mosaico sono state raccolte dal 2008 al 2011. La linea rossa traccia
il confine appena visibile del vasto oceano oggi scomparso. Gli scienziati stimano che questa antica area
poteva misurare 475 x 280 km. La sua profondità non doveva superare qualche metro. Oggi, questa vasta
distesa di liquido sembra essersi prosciugata e aver dato vita a uno specchio più piccolo. All'interno
dell'area originale è infatti visibile la superficie liscia (in nero) del lago Ontario, il piu grande specchio di
idrocarburi esistente al giorno d'oggi nell'emisfero sud.
La natura di questa immagine non è di facile interpretazione, non essendo una fotografia o una immagine
nel visibile a cui il nostro occhio sarebbe abituato. Quella pubblicata è una immagine SAR (radar ad
apertura sintetica), una tecnologia di osservazione attiva in banda X, molto usata nell'osservazione della
Terra. I radar SAR hanno infatti la capacità di operare in ogni condizione meteorologica e di illuminazione,
producendo dati ad alta risoluzione. Le immagini prodotte permettono tra le altre cose di valutare la
rugosità del terreno: le zone più scure corrispondono a superfici lisce, come possono essere gli specchi di
liquido, quelle via via più chiare sono progressivamente più rugose.
Le osservazioni radar della Cassini hanno definito che globalmente il liquido ricopre solo una piccola
percentuale della luna, facendo di Titano un pianeta molto più secco della terra. Le stesse osservazioni
hanno anche identificato la dislocazione di queste aree su tutto il globo del satellite. Nelle regioni
equatoriali desertiche, solo alcuni rari laghi di origine subsuperficiale sono stati recentemente identificati.
Le regioni dei poli sono risultate molto più ricche di liquido. In particolare l'emisfero nord costituisce la
maggiore riserva di idrocarburi liquidi attualmente esistente su Titano, con un centinaio di piccoli laghi e 3
“mari” piu grandi. Nell'emisfero sud l'area ricoperta dai liquidi risulta nettamente minore.
Una realtà, questa, che secondo le teorie deve essere stata ben diversa in passato. Gli scienziati ipotizzano
infatti che cicli analoghi a quelli terrestri devono provocare su Titano trasferimenti di idrocarbuti liquidi da
un polo all'altro. Se è vero che oggi il polo nord contiene la maggior parte dei liquidi, la proporzione doveva
essere inversa piu di 50000 anni fa. E il polo sud doveva essere ricoperto di vaste distese di idrocarbuti del
tutto analoghe a quella di cui oggi, si è trovata evidenza .
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
L’ORIGINE DELLA LUNA NELLO ZINCO…
Uno studio su Nature dimostra che la concentrazione e composizione isotopica dello zinco lunare è molto
diversa da quella trovata sulla Terra, su Marte e su diversi asteroidi. La spiegazione più logica è una
evaporazione dovuta al mega impatto tra la Terra e un altro corpo di grandi dimensioni, da cui sarebbe nata
la Luna.
18/10/2012 – (MEDIA INAF) La firma di un gigantesco
impatto tra la Terra e un altro pianeta, impatto da cui
avrebbe avuto origine la Luna, si può intravedere nella
distribuzione degli isotopi di zinco presenti sul nostro
satellite naturale. Ne parlano su Nature di questa
settimana Frédéric Moynier e colleghi, che hanno
compiuto uno studio comparativo delle concentrazioni di
diverse forme di zinco presenti nelle rocce provenienti da
Luna, Terra e Marte.
La Luna, con la sua superficie arida, è stata tipicamente
considerata povera di elementi volatili rispetto alla Terra, anche se le ultime osservazioni di concentrazioni
inaspettatamente alte di acqua nei minerali lunari hanno rimesso in dubbio questa visione. Studiare
direttamente la concentrazione di acqua sulla Luna però è molto difficile, e non necessariamente utile per
ricostruirne la storia. “Studiare l'abbondanza e la distribuzione di un certo elemento su un corpo celeste
vuol dire studiarne la storia in quel corpo” spiega Diego Turrini dell'Istituto di Astrofisica e Planetologia
Spaziali (IAPS) dell'INAF di Roma. “Studiare l'acqua sulla Luna da questo punto di vista è complicato, perché
non sappiamo da dove arrivi: potrebbe parlarci più delle comete che non della Luna stessa. In questa
ricerca si studia invece lo zinco perché è sicuramente sulla Luna fin dalla sua formazione, ed più volatile di
altri elementi. Una volta fuso si vaporizza e una parte si perde come gas. Ne esistono diversi isotopi con
massa diversa e il tasso di evaporazione è diverso, quelli più pesanti rimangono in quantità maggiore”.
Rispetto a rocce simili provenienti dalla Terra, da Marte o da alcuni metoriti, le rocce lunari vulcaniche
studiate da Moynier hanno concentrazioni più basse di zinco, e sono in proporzione più ricche dei suoi
isotopi più pesanti. “Sulla Terra perdite di quel tipo degli isotopi più leggeri dello zinco avvengono solo in
caso di eventi di evaporazione. I campioni lunari analizzati peraltro sono di due tipi diversi, alcuni più
superficiali e altri più profondi. Il fatto che entrambe la famiglie abbiano lo stesso depauperamento di zinco
64 (l'isotopo più leggero) significa che l'evento di evaporazione era di grande scala e non dovuto a
fenomeni locali come un vulcano” prosegue Turrini. Lo studio rivitalizza anche il dibattito sul meccanismo di
formazione della Luna. Una delle teorie in campo parla di un impatto tra la proto-Terra e un altro corpo di
dimensioni simili a quelle di Marte, a seguito del quale la Luna si sarebbe assemblata dai frammenti fusi e
poi ricompattati, provenienti in parte dalla Terra ma soprattutto dal “proiettile” che l'avrebbe colpita.
“Questi impatti giganti erano eventi relativamente comuni verso la fine della fase di formazione dei pianeti
terrestri. Uno di essi potrebbe aver portato alla formazione della Luna. Che il materiale lunare derivi
principalmente dall' impattore o dalla crosta terrestre è ancora in fase di studio” continua Turrini. “Ma
comunque sia, questo modello ha una serie di implicazioni, tra cui quella che i materiali più volatili siano
evaporati a seguito dell'impatto. Questo studio fornisce una prova geochimica a supporto di questo
modello. Dimostra che qualunque evento abbia portato alla cattura della Luna, ha reso la sua storia chimica
diversa da quella della Terra e di Marte, come dimostrato dalla diversa concentrazione e composizione
dello zinco”.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
…OPPURE NO?
Continua il susseguirsi di idee sulla formazione del nostro satellite: stavolta tocca a due pianeti grandi
cinque volte Marte.
31/10/2012 – (NASA)
Una nuova ricerca
condotta dal NASA
Lunar Science Institute
(NLSI) ha teorizzato
che la nostra giovane
Terra e la sua luna
siano state create
insieme
da
una
gigante collisione tra
due corpi planetari
ciascuno
grande
cinque volte il pianeta
Marte.
La nuova teoria di
formazione
del
sistema Terra-Luna sta
sfidando quindi la
credenza comune del gigante impatto per il quale la Luna si è formata da una colossale collisione tra la
Terra e un ipotetico protopianeta grande quanto Marte, chiamato Theia.
Le nostre conoscenze del Sistema Solare sono costantemente in aggiornamento in seguito alle nuove
scoperte. Questa ricerca illustra l'importanza dei modelli di formazione planetaria. Nella ipotesi
dell'impatto gigante, generalmente accettata, la Luna si sarebbe formata dai detriti espulsi in un disco in
orbita intorno alla Terra a partire dalla collisione di piccoli protopianeti con una giovane Terra. Una delle
sfide a questa teoria di lungo periodo delle collisioni vede un corpo impattante delle dimensioni di Marte e
con composizione probabilmente differente dalla Terra, il che avrebbe lasciato Terra e Luna con diverse
composizioni chimiche, cosa che invece non sembra essere.
Dopo la collisione, i due corpi simili per dimensione sono entrati in una nuova collisione formando una
giovane Terra circondata da un disco di materiale che si è poi combinato a formare la Luna. La ri-collisione e
la conseguente fusione hanno lasciato i due corpi con una composizione chimica simile, che è ciò che
vediamo oggi.
Il nuovo modello è stato sviluppato da Robin M. Canup del Southwest Research Institute (SWRI), Texas. La
ricerca è stata motivata da studi accompagnatori di altri scienziati che hanno studiato la storia dinamica
della luna.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
UN GRANDE IMPATTO E LA LUNA SI DIVERSIFICA
Una teoria basata sulla presenza di un determinato elemento chimico intorno ai bacini principali sostiene
una origine cataclismica per la diversità delle facce lunari.
23/10/2012 – (SPACE.COM) La più grande
macchia nera della Luna, nota come
Oceano delle Tempeste, potrebbe
derivare da un impatto gigante che ha
creato un mare di magma di dimensioni
gigantesche e profondo centinaia di
miglia. Queste scoperte potrebbero
aiutare a spiegare il motivo per il quale le
due facce della Luna sono così diverse tra
di loro. Gli scienziati hanno analizzato
l'Oceano Procellarum, o Oceano delle
Tempeste, una macchia scura posta sulla
faccia vicina della Luna e dal diametro di
più di 3000 chilometri. La faccia vicina
della Luna è abbastanza diversa dall'altra. Ad esempio, pianure molto ampie coperte da rocce vulcaniche e
note come "maria" (mari) coprono circa un terzo della faccia vicina ma pochissime sono presenti sul lato
opposto. I ricercatori hanno ipotizzato un gran numero di spiegazioni a questa diversità: alcuni hanno
suggerito che potrebbe esserci stata una seconda luna in orbita terrestre che poi avrebbe finito con il
fondersi con la Luna che vediamo attualmente. Altri hanno proposto che la forza mareale terrestre abbia
causato distorsioni. Similarmente, anche gli emisferi nord e sud di Marte sono in forte contrasto tra di loro
ed anche in tal caso è stato tirato in ballo un possibile mostruoso impatto. Ora scienziati giapponesi
sostengono che una gigante collisione possa spiegare la doppia faccia della Luna e l'origine dell'Oceano
delle Tempeste.. I ricercatori hanno analizzato la composizione della superficie lunare attraverso i dati
dell'orbiter lunare Kaguja/Selene. I dati rivelano la presenza di una varietà di pirossene caratterizzata da
povertà di calcio con concentrazione intorno all'Oceanus Procellarum e a grandi crateri da impatto come
Aitkenand Imbriumbasins. Questo tipo di pirossene è legato alla fusione di materiale dal mantello lunare e
porta a pensare che l'Oceano delle Tempeste sia ciò che resta di un impatto cataclismico.
La collisione dovrebbe aver generato un mare di magma del diametro di circa 3 chilometri e profondo
centinaia di chilometri. Le collisioni che hanno dato vita a questa zona e ad altri grandi bacini dovrebbero
aver strappato completamente la crosta originaria sul lato vicino della Luna. La crosta che più tardi si è
formata dalla roccia fusa del dopo-impatto sarebbe diversa da quella del lato nascosto della Luna, il che
spiegherebbe le diversità notate.
L'idea è e sarà a lungo dibattuta visto che non esistono segni topografici evidenti sulla natura di bacino da
impatto della zona. Forse la data è troppo antica, più di 4 miliardi di anni fa, e i segni sono stati spazzati via.
La scoperta fornisce comunque un primo indizio della dinamica, che andrà studiata e analizzata con
ulteriori dati.
Dettagli sono sul numero del 28 ottobre di Nature Geoscience.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
IL FLARE SOLARE DEL 22 OTTOBRE
Una bellissima immagine composita di immagini ottenute da SDO durante il flare solare del 22 ottobre.
23/10/2012 – (NASA) L'immagine rappresenta un solar flare del 22 ottobre 2012 ed è ottenuta
combinando immagini a differenti lunghezze d'onda, ottenute dall'osservatorio SDO della NASA.
Le lunghezze d'onda sono a 131 e 335 Angstrom, particolarmente buone per osservare i solar flare e le
regioni attive.
Il 22 ottobre 2012 il Sole ha emesso un altro flare di medio livello, alle 2.51 p.m.EDT. E' emerso dalla stessa
regione del flare di tipo M9 del 20 ottobre scorso, una regione chiamata AR 1598. Il flare è classificato come
un M5, il che vuol dire che è più debole del precedente.
La stessa regione attiva ha emesso una massa coronale relativamente lenta.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
EPPURE QUALCOSA PASSA
Un nuovo studio basato sui dati di Cluster (ESA) mostra come la nostra magnetosfera non sia così
impenetrabile.
25/10/2012 – (NASA) Un nuovo studio
basato sui dati della missione Cluster dell'ESA
mostra che è più facile di quanto atteso per il
vento solare penetrare la magnetosfera
terrestre. Gli scienziati della NASA hanno
osservato direttamente, per la prima volta, la
presenza di alcune onde nel vento solare,
chiamate Kelvin-Helmholtz, che possono
aiutare a trasferire energia nello spazio vicino
alla Terra sotto circostante che le precedenti
teorie non prevedevano.
Un articolo pubblicato il 9 agosto 2012 su
Journal of Geophysical Research mostra che la presenza di queste onde aiuta le particelle cariche in arrivo
dal vento solare a far breccia nella magnetopausa, la regione esterna del guscio magnetico del nostro
pianeta. Come risultato, il perimetro della bolla magnetica terrestre si comporta meno come una continua
barriera e più come un guardiano che a volte consente l'ingresso ad elettroni e protoni.
Il complesso ambiente nei pressi della Terra varia continuamente ma è sempre riempito da un complesso e
forte campo magnetico. Le variazioni di pressione del vento solare e l'orientamento variabile del campo
magnetico possono portare a cambiamenti sul modo di rispondere della magnetosfera al vento solare.
Capire come il vento solare impatta su questi cambiamenti trasferendo materia, momento ed energia è una
delle questioni più importanti.
L'ultima scoparte è stata resa possibile dalle sonde Cluster, presenti nei dintorni terrestri in volo
controllato. Quando passano dalla magnetosfera allo spazio interplanetario e tornano indietro, forniscono
una visione tridimensionale del processo che connette la Terra al Sole.
Precedenti scoperte derivanti dalle misurazioni hanno mostrato che la magnetopausa è comunemente
soggetta alle onde di Kelvin-Helmholtz, caratterizzate da una forma abbastanza familiare: sembrano come
grandi onde dell'oceano alzate da fonti venti. Queste onde generano turbolenza come le creste delle onde.
Nel caso del vento solare, le onde sono composte da gas elettrico chiamato plasma che si sviluppa lungo il
perimetro esterno della magnetosfera. Il plasma e le onde di Kelvin-Holmholtz intrappolano i campi
magnetici il che è cruciale per determinare il modo in cui il vento solare possa entrare nella magnetosfera.
Ora un team di scienziati è riuscito ad osservare direttamente queste onde di Kelvin-Helmholtz a grande
altezza, puntando ad ovest in direzione del lato del tramonto. Sotto queste condizioni, i dati di Cluster
rivelano le onde. La magnetopausa è il perimetro tra la magnetosfera relativamente indisturbata e la
regione contenente il vento solare contenente il plasma solare che ha attaversato il fronte d'urto che
protegge la Terra proprio dal vento solare. Gli scienziati sono stati anche in grado di caratterizzare come
differenze nell'orientamento influenzino notevolmente le onde di Kelvin-Helmholtz come risultato nella
variazione dello spessore, ma non solo, dello strato di confine.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
UNA NUOVA COMETA
Scoperta dalla PAN-STARRS e confermata, di magnitudine 21 alla scoperta ed una chioma di 5 arcosecondi.
25/10/2012 – Cbet n°3264 rilasciata il 22 ottobre 2012 annuncia la scoperta di una nuova cometa, di
magnitudine 21 alla scoperta, da parte della Pan-STARRS survey su immagini ottenute con il telescopio da
1,8 metri ad Haleakala il giorno 13 ottobre. Il nome assegnato è C/2012 U1 (PANSTARRS).
Il team a Remanzacco ha proceduto ad un follow-up dell'oggetto con esposizioni infrarosse in buone
condizioni di seeing, evidenziando la natura cometaria con una chioma di 5'' di diametro.
M.P.E.C. 2012-U66 ha assegnato i dati preliminari di orbita in T=2014 giugno 30.96; eccentricità = 1.0;
Perielio = 58.03; Q = 6.31 UA; Inclinazione = 66.73.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
VESTA INVECCHIA A MODO SUO
L'asteroide subisce un processo di space weathering (l'alterazione della superficie esposta all'ambiente
spaziale) tutto suo, diverso da quello di Luna e altri asteroidi. Lo dimostrano due ricerche pubblicate su
Nature, con i ricercatori dell'INAF tra gli autori.
31/10/2012 – (MEDIA INAF) Quali forze
plasmano la superficie di Vesta, l’asteroide (o
“pianeta mancato”, come stiamo imparando a
considerarlo) studiato dalla sonda della NASA
Dawn? Su questa domanda si concentrano i due
studi pubblicati su Nature di questa settimana,
un altro capitolo dell’identikit di questo
asteroide che i dati di Dawn ci stanno
restituendo, tassello per tassello. Questa volta
all’attenzione degli studiosi è uno degli aspetti
di Vesta che agli astronomi è sempre sembrato
più curioso e interessante. L’apparente assenza
sulla sua superficie di processi di “space
weathering”, l’alterazione della superificie esposta all’ambiente spaziale che è tipica dei corpi planetari non
circondati da aria. Come appunto la Luna e molti asteroidi, salvo che su Vesta non si trovavano gli stessi
effetti osservati altrove.“L’effetto dello space weathering su Vesta è stato materia di dibattito per diversi
anni: le bande di assorbimento dei materiali sono molto evidenti e fanno pensare a processi differenti da
quelli in atto sulla Luna e altri asteroidi” dice Eleonora Ammannito dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia
Spaziali dell’INAF, co-autrice degli studi su Nature e vice responsabile dello strumento VIR sulla sonda
Dawn.Il primo dei due studi, che ha come prima firma Thomas McCord del Bear Fight Institute di Winthrop,
negli USA, dimostra che ci sono due tipi principali di materiali su Vesta: quelli brillanti e quelli scuri. Mentre
i primi, spiegano gli studiosi, sembrano materiali basaltici “indigeni” di Vesta, quelli scuri sono stati
probabilmente acquisiti a causa di impatti di altri corpi ricchi di carbonio. Impatti successivi avrebbero
portato questi materiali più scuri a mescolarsi al suolo dell’asteroide (o “regolite”, come andrebbe
correttamente chiamato).Il secondo studio è guidato invece da Carle Pieters della Browne University, nel
Rhode Islansd, e conferma che Vesta subisce un tipo di space weathering tutto suo, diverso da quello di
altri corpi. Mancano infatti i composti che di solito hanno a che fare con l’effetto di space weathering,
ovvero le nanoparticelle metalliche (tipicamente di ferro) trovate nelle analisi di campioni lunari o da
asteroidi come Itokawa. Di queste particelle non c’è traccia su Vesta, in compenso il materiale esposto in
superficie su diversi crateri recenti scompare gradualmente sullo sfondo man mano che il cratere invecchia.
I dati spettroscopici rivelano invece che su Vesta il regolite diventa localmente omogeneo nel corso del
tempo, soprattutto a causa del rimescolamento su piccola scala dei diverse componenti della superficie.
Anche in questo caso, i dati depongono a favore dell’idea che la principale forza attiva nel plasmare la
superficie di Vesta e la composizione del regolite siano gli impatti di corpi ricchi di carbonio, piuttosto che il
vento solare o i raggi cosmici come su altri corpi.“Il contributo del team INAF ai due articoli è sostanziale: le
ricerche svolte sono basate principalmente sull’interpretazione dei dati di VIR, lo spettrometro ad immagini
italiano a bordo della sonda Dawn. I risultati presentati in Nature ci danno indicazioni complementari sui
processi primordiali, come il trasporto di materiale ricco in acqua, e quelli tuttora in atto, come la
rielaborazione della superficie per l’effetto dello Space Weathering” dice Maria Cristina De Sanctis, leader
dello strumento VIR sempre per lo IAPS-INAF.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
LA STRANA SCIA DELLA TEMPESTA DI SATURNO
Due anni di tempesta nell’alta atmosfera del pianeta si lasciano alle spalle fenomeni estremi e ancora
inspiegati, come un improvviso innalzamento della temperatura e quantità anomale di etilene. Lo dicono i
dati infrarossi dalla sonda Cassini.
26/10/2012 – (MEDIA INAF) «È qualcosa che non s'era mai visto prima. Mai, in nessun
pianeta del Sistema solare». Leigh Fletcher, dell'Università di Oxford, è allibito. E con lui
gli scienziati che da circa due anni stanno con gli occhi incollati ai dati provenienti dalla
sonda spaziale Cassini, gioiello NASA-ESA-ASI, e da due fra i migliori telescopi terrestri al
mondo – il Very Large Telescope dell'ESO, in Cile, e l'Infrared Telescope Facility della
NASA, in cima al vulcano Mauna Kea, alle Hawaii. Ma cos'è che li lascia così increduli? Una tempesta. O
meglio, le conseguenze di una tempesta, in corso nella stratosfera di Saturno da ormai due anni, e con
strascichi per ora inspiegabili. Come la formazione di quantità ingiustificabili di etilene e un'impennata
anomala della temperatura in alcune regioni dell'alta atmosfera del pianeta. La storia ha inizio il 5 dicembre
2010. Da noi, qui nell'emisfero nord della Terra, era quasi inverno. Ma lassù su Saturno, dove le stagioni si
avvicendano a ritmo assai più lento (un anno dura 30 dei nostri), nell'emisfero settentrionale è ancora
primavera. Al periodo delle tempeste estive mancano ancora anni (il solstizio è atteso per il 2017), eppure
quella che, in quel giorno di due anni fa, gli strumenti della sonda Cassini osservano prendere forma è una
signora burrasca. Battezzata “la grande tempesta di primavera” (o “la grande tempesta del nord”, proprio
qui su Media INAF), innesca un vortice di dimensioni spaventose, tale da superare, all'apice della sua
grandezza, persino la grande macchia rossa di Giove. Un vortice all'interno del quale si verificano fenomeni
estremi, a partire dai fulmini, diecimila volte più intensi di quelli terrestri. Con il trascorrere dei mesi, la
violenza degli elementi si placa, seppure non del tutto (la macchia saturnina dovrebbe sparire del tutto solo
alla fine del 2013, prevedono gli scienziati). Ma le conseguenze che si lascia a terra, o meglio nell'alta
atmosfera, sono ancora lì. E sollevano parecchi interrogativi. Per coglierle in tutta la loro portata, gli occhi
non sono lo strumento adatto: occorre un termometro, o meglio una vista a raggi infrarossi, come quella
dello strumento CIRS a bordo di Cassini: uno spettrometro composito a infrarossi, in grado non solo di
prendere la temperatura ma anche di svelare la chimica del pianeta. E il rapporto di CIRS ha dell'incredibile.
La temperatura del vortice raggiunge picchi molto maggiori del previsto, fino a 83 gradi al di sopra di quella
dell'atmosfera nei paraggi. Inoltre, isolate dall'ambiente circostante da una parete di venti che circolano in
senso orario, vengono rilevate quantità enormi di gas come l'etilene e l'acetilene. «Il picco di temperatura è
così estremo da non crederci, soprattutto in questa regione dell'atmosfera di Saturno, che è tipicamente
molto stabile», dice Brigette Hesman, della University of Maryland. «Per avere sulla Terra un'escursione
termica analoga, dovremmo passare dal pieno inverno di Fairbanks, in Alaska, alla piena estate del deserto
del Mojave». Per non parlare dell'etilene. È un gas inodore e incolore, disponibile sulla Terra sia da fonti
naturali che artificiali, ma per nulla tipico di Saturno. Ebbene, la quantità rilevata dagli scienziati all'interno
del vortice supera di 100 volte quella ritenuta possibile per il pianeta. I ricercatori si stanno ancora
interrogando sulla sua origine, ma già hanno escluso che possa provenire da una grande riserva presente
nel profondo dell'atmosfera. «Mai prima d'ora ci eravamo imbattuti nell'etilene su Saturno, dunque è stata
una vera sorpresa», ammette il responsabile dello strumento CIRS, Michael Flasar, del Goddard Space Flight
Center della NASA. Insomma, il lavoro non mancherà. Da questi primi dati sono usciti due articoli (uno
appena pubblicato su Icarus, il secondo uscirà il 20 novembre su ApJ), e già gli scienziati si fregano le mani
sapendo che all'apice della stagione delle tempeste, nel 2017, Cassini sarà la sonda giusta al posto giusto,
ancora in piena attività là attorno alla turbolenta atmosfera di Saturno.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
UNO SGUARDO AI NEO DEL CIELO
Un piccolo resoconto della caccia ai NEO: ancora due asteroidi con valore 1 nella scala Torino.
29/10/2012
–
(AMERICASPACE)
Spaventarsi, ma non
troppo. E' vero che è
meglio dare una
occhiata per cercare
di prevenire impatti
sul nostro pianeta da
parte di corpi celesti
abbastanza grandi da
farci male, ma la
probabilità di un
simile cataclisma è
molto molto bassa
per i nostri tempi.
Gli
oggetti
più
pericolosi
sono
chiamati Near-Earth
Objects (NEO), asteroidi e pochissime comete la cui orbita può avvicinarsi alla Terra. Circa 9000 NEO sono
stati scoperti ad oggi, per la grandissima parte asteroidi. Di questi, circa 1350 sono considerati PHA, cioè
Potentially Hazardous Asteroids. Un PHA è tale se la sua orbita scende al di sotto di 0,05 UA dalla Terra e
possiede un diametro sotto i 150 metri circa. Ovviamente un oggetto di simile dimensioni potrebbe far
molto male al nostro pianeta e a noi. Un ultimo censimento è stato portato a termine dalla survey
NEOWISE, che ha utilizzato WISE della NASA. Ad oggi si stima di aver trovato tra il 20 e il 30% di questi
oggetti. La buona notizia è che non dovrebbe esserci sfuggito nulla di particolarmente grande. Nulla di 10
chilometri, cosa che causò la scomparsa dei dinosauri dalla Terra 65 milioni di anni fa.
La cattiva notizia è che anche un oggetto di circa 100 metri potrebbe causare devastazioni locali, tsunami e
tante altre cose spiacevoli. Il fatto è questo: oggetti simili potrebbero anche essere sfuggiti ed essere
ancora sconosciuti.
Per misurare la pericolosità di un NEO gli astronomi usano due scale. La più semplice è la scala Torino, che
va da zero a 10 in ordine crescente di probabilità di impatto con conseguenze in cambiamenti climatici e
gravi per la civiltà. Soltanto due asteroidi hanno una classifica superiore allo zero, ad oggi. Si tratta di 2007
VK184, che ha una probabilità su 1820 di colpirci a giugno 2048, e 2011 AG5, che ne ha 1 su 500 di colpirci a
febbraio 2040. Entrambi hanno diametri tra 130 e 140 metri. Il maggior ranking di sempre spetta
all'asteroide Apophis, di 350 metri, che raggiunse il valore 4 nella scala Torino scatenando tantissime storie
più o meno fasulle. Oggi Apophis sta buono a valore zero visto che il ricalcolo dell'orbita ha scongiurato del
tutto gli impatti.
Dormite tranquilli... e guardate il cielo!
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Pag. 29
Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
UNO SGUARDO AI NEO DEL CIELO
Attraverso ottica adattiva può essere possibile osservare le eruzioni vulcaniche sulla piccola luna di Giove,
Io.
30/10/2012 – (SPACE.COM) Un team di astronomi SETI hanno dimostrato che è possibile osservare attività
vulcaniche su Io, una luna di Giove, dalla nostra distanza di centinaia di milioni di chilometri.
Con 44 notti di osservazioni telescopiche, il gruppo ha mostrato che è possibile vedere le eruzioni sulla
piccola luna, con dettagli fino a 100 chilometri di diametro, attraverso una particolare tecnica telescopica.
Non abbiamo quindi bisogno di una sonda per osservare i vulcani di Io? Sarebbe una scoperta davvero utile
considerando che missioni su Giove non sono previste fino ai prossimi anni trenta. Se si vuol continuare a
studiare le attività vulcaniche occorre quindi migliorare l'osservazione telescopica da casa.
La tecnica usata è l'ottica adattiva, una tecnologia che aiuta i telescopi convenzionali ad ottenere immagini
prive degli effetti della turbolenza atmosferica terrestre. Uno specchio deformabile che si adatta a quel che
riconosce come effetti di turbamento atmosferico.
Il sistema migliore ad oggi è in grado di calcolare 1000 aggiustamenti al secondo, e migliorare questo
aggiustamento equivale ad ottenere immagini migliori e più dettagliate. Nel caso concreto è stato possibile
osservare l'eruzione del vulcano Tvashtar nel 2006-2007 insieme alla sonda New Horizon, che arriverà su
Plutone nel 2015.
Finora la tecnica adattiva è stata usata anche per Europa, per esopianeti e per l'atmosfera di Giove e si
presume che un giorno ci consentirà di studiare addirittura le esolune in cerca di fenomeni vulcanini fuori
del sistema solare.
Le eruzioni di queste lune potrebbero essere così forti da poter essere osservate direttamente. I processi di
Io sono poco noti ad oggi visto che mancano delle osservazioni di lungo periodo di questa piccola luna. In
13 notti di osservazione da giugno 2010 il team di astronomi ha osservato ben nove esplosioni.
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Pag. 30
Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –NOTIZIE DAL SISTEMA SOLARE
15 FEBBRAIO 2013, RECORD DI VOLO RADENTE PER 2012 DA14
Un asteroide di 45 metri di diametro passerà internamente all'orbita dei satelliti geostazionari. Un record di
avvicinamento.
30/10/2012
–
(COSMOMAGAZINE)
SYDNEY - Un asteroide
delle dimenzioni di un
palazzo
cittadino
si
avvicinerà alla Terra
come nessun altro finora
ha mai fatto. L'evento
avverrà a febbraio 2013.
L'asteroide si chiama
2012 DA14 e ha un
diametro di circa 45
metri, con massa di circa
130 mila tonnellate. E'
stato scoperto a inizio
2012 e passerà tra la
Terra
e
i
satelliti
geostazionari
di
comunicazione il giorno
15 febbraio 2013 ad una
distanza di soli 22.500
chilometri nel punto di
maggior avvicinamento.
Nessuna possibilità di collisione, ovviamente, ma asteroidi come questo ci ricordano costantemente che
siamo possibili bersagli cosmici.
E' importante monitorare tutti gli asteroidi che passano vicino il nostro pianeta: la NASA ne ha identificati
circa 4700, alcuni dei quali hanno diametri anche di tre chilometri.
Una collisione con un oggetto anche piccolo potrebbe essere disastrosa: se 2012 DA14 colpisse la Terra
(cosa che non farà) potrebbe arrecare danni pari a quelli di una bomba atomica. Il Barringer Crater in
Arizona fu provocato proprio da un asteroide di 50 metri di diametro, ed il cratere misura 1200 metri in
diametro ed è profondo 170 metri.
Vederlo passare così vicino sarà una grande occasione per studiarlo, comunque, e di conseguenza cercare
di capire ancora di più qualcosa sulla formazione del Sistema Solare.
Non arriverà alla nostra atmosfera, quindi non si romperà, ma le forze terrestri potrebbero cambiarne la
forma e la composizione.
Non sarà visibile ad occhio nudo ma attraverso binocoli e telescopi.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –ROBA DAGLI ALTRI MONDI
Roba dagli altri mondi
55 CANCRI e, UN PIANETA COSTOSO
Un gruppo di astronomi americani ha individuato un pianeta che sembra composto per almeno un terzo di
diamante, intorno ad una stella simile al Sole. Il pianeta si chiama 55 Cancri e, a 40 anni luce dalla Terra
11/10/2012 (MEDIA INAF) - C'è qualcosa che
brilla nel cielo, ma non è una stella: è un
pianeta di diamante, chiamato 55 Cancri e. È
vero non brilla, ma secondo i ricercatori che lo
hanno studiato è costituito per almeno un terzo
da materia in tutto simile a quella dei diamanti.
Quello studiato da un gruppo di ricercatori
dell'Università di Yale è un esopianeta grande
due volte la Terra, scoperto nel 2004: «La
superficie di questo pianeta è probabilmente
coperta di grafite e diamante piuttosto che
acqua e granito», ha detto Nikku
Madhusudhan, ricercatore di fisica e
astronomia a Yale.
Gli astronomi ritengono che il pianeta sia composto per la maggior parte da carbonio, ferro e carburo di
silicio: almeno un terzo del pianeta è probabile sia fatto proprio di cabonio sotto forma di diamante.
La ricerca, pubblicata su Astrophysical Journal Letters, descrive 55 Cancri e come una “super Terra”: il suo
raggio, misurato nel 2011 con il telescopio spaziale Spitzer, supera di 2,3 volte quello della Terra e la sua
massa, simile a quella di Nettuno, è otto volte maggiore. È uno dei cinque pianeti che orbitano attorno a
una stella simile al Sole, 55 Cancri, localizzata a 40 anni luce dalla Terra, ma comunque visibile a occhio
nudo nella costellazione del Cancro. 55 Cancri e è un pianeta super caldo: può raggiungere temperature
fino a 2148 gradi Celsius. Il suo anno dura solo 18 ore, ben poco in confronto ai 365 giorni della Terra.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –ROBA DAGLI ALTRI MONDI
UN PIANETA A QUATTRO STELLE
Un gruppo di amatori tramite PlanetHunter aiuta gli scienziati a scovare un pianeta in orbita in un sistema
di ben quattro stelle
16/10/2012 (NASA) - La scoperta di pianeti continua ad espandersi oltre i confini del terreno per
professionisti. Una unione di scienziati e astrofili ha infatti portato al primo caso di pianeta orbitante
intorno ad una stella doppia che, a sua volta, è orbitata da un'altro sistema binario.
Aiutati da volontari amanti del cielo tramite Planethunters.org, un team di astronomi ha identificato e
confermato la scoperta del fenomeno, noto come pianeta circumbinario in un sistema di quattro stelle.
Soltanto sei pianeti sono noti per orbitare due stelle, ma nessuno aveva la presenza di ulteriore sistema
binario in orbita.
Chiamato PH1 in onore di Planet Hunter, il programma è studiato anche per attrarre il pubblico oltre che
per aiutare gli scienziati in lavori di "quasi" routine spulciando tra i dati rilasciati e pubblicati da Kepler.
Un po' più grande di Nettuno e presumibilmente un gigante gassoso, PH1 orbita intorno alla propria stella
in un periodo di 137 giorni. A più di 900 Unità Astronomiche invece è presente la seconda coppia di stelle.
Via Lattea e altre galassie
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Pag. 33
Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –ROBA DAGLI ALTRI MONDI
UNA PIZZA DI SISTEMA SOLARE
Uno studio mostra come i sistemi planetari tendano ad essere decisamente appiattiti in termini di
inclinazioni orbitali
16/10/2012 (SPACE.COM) - Il nostro Sistema Solare ha la forma di una pizza: la maggior parte dei pianeti si
trova infatti sullo stesso piano orbitale e sembra proprio che non sia una rarità nell'ambito dei sistemi
planetari visto che un nuovo studio vede questi oggetti più piatti di una pizza.
Gli astronomi dell'UCLA hanno studiato i dati di Kepler trovando che più dell'85% dei pianeti alieni ha
inclinazioni minori del 3% rispetto al piano stellare: un disco piatto e tondo, come una pizza appunto.
Sette degli otto pianeti nostrani hanno inclinazioni minori del 3% e l'eccezione è Mercurio con il 7%
relativamente all'eclittica mentre Plutone non è più classificato come pianeta (presenta una inclinazione del
17%).
Una situazione del genere è molto comune, se la confrontiamo con gli altri sistemi planetari in giro per
l'universo. Da marzo 2009, mese del lancio, Kepler ha scovato più di 2.300 possibili pianeti alieni ma le
statistiche ci inducono a pensare che ne esistano più di 100 miliardi soltanto nella nostra Galassia. Staremo
a vedere quante pizze ci sono in giro
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –ROBA DAGLI ALTRI MONDI
UN MISURATORE DI PIANETI
Misurare con precisione le dimensioni dei pianeti extrasolari attorno alle stelle più brillanti, per capire la
loro struttura interna e la loro evoluzione. Ecco l'obiettivo principale della missione appena approvata
dall'Agenzia Spaziale Europea
23/10/2012 (MEDIA INAF) - Sarà il nostro 'metro
spaziale' che permetterà di conoscere con grande
precisione quanto sono grandi i pianeti extrasolari. E
soprattutto, quelli simili per dimensioni e masse alla
Terra. CHEOPS – questo il nome della nuova missione
dell'Agenzia Spaziale Europea ufficialmente approvata
il 19 ottobre scorso – partirà per questo suo
particolare obiettivo scientifico nel 2017. Particolare
ma anche determinante per conoscere come sono
fatti i pianeti extrasolari comparabili alla Terra.
“CHEOPS sarà in grado di misurare, in quella frazione
di sistemi extrasolari dove i pianeti transitano davanti
alla loro stella madre, la loro dimensione con grande
accuratezza” spiega ai nostri microfoni Isabella
Pagano, dell'INAF-Osservatorio Astrofisico di Catania,
una dei tre membri del team italiano proponente la missione. “Questo parametro è molto importante
perché ci permetterà di risalire alla densità di quei pianeti e quindi alla loro struttura interna.
Un'informazione decisiva per capire come i pianeti si siano formati e più in generale come siano fatti i
sistemi planetari al di fuori del nostro”.
La partecipazione italiana a CHEOPS, la prima dell'ESA di classe S, ovvero piccola, è assai significativa, sia dal
punto di vista scientifico sia tecnologico. C'è infatti un nutrito gruppo di ricercatori INAF e dell'Università di
Padova che segue progetti di ricerca e caratterizzazione di pianeti extrasolari, forti anche della recente
entrata in funzione dello spettrografo HARPS-N installato al Telescopio Nazionale Galileo sulle Isole Canarie.
Molti degli esopianeti che verranno scoperti in questo contesto saranno parte degli obiettivi di CHEOPS,
creando così una forte sinergia tra i due strumenti. Sotto l'aspetto tecnologico, l'INAF supporterà l'ASI nella
realizzazione degli specchi principale e secondario del telescopio di bordo, dello schermo che protegge il
satellite e la sua strumentazione dalla radiazione solare e alla calibrazione del sistema di puntamento.
Nel progetto sono coinvolti per l'INAF gli Osservatori Astrofisici di Catania e Torino, gli Osservatori
Astronomici di Padova e Palermo e la Fondazione Galileo Galilei. Partecipa inoltre l'Università di Padova.
L'Agenzia Spaziale Italiana fornirà un contributo determinante alla missione, affidando all'industria italiana
la realizzazione degli specchi, dello schermo e di parte del sistema di puntamento e supportando gli
scienziati per le attività di loro responsabilità. La missione potrà inoltre contare sull'utilizzo del Centro ASI di
Malindi come stazione di terra e sull'ASI Science Data Center (ASDC) come contributo alla riduzione e
all'archiviazione dei dati.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –VIA LATTEA E ALTRE GALASSIE
Via Lattea e altre galassie
AGGIORNATA LA COSTANTE DI HUBBLE
Spitzer, il telescopio spaziale della NASA, è riuscito a misurare con la massima accuratezza mai raggiunta il
tasso di espansione dell'Universo, grazie alla sua visione ad infrarosso. Il valore della costante di Hubble e è
ora stato stimato a 74,3 più o meno 2,1 chilometri al secondo per megaparsec
04/10/2012 (da MEDIA INAF) - Utilizzando il telescopio
spaziale Spitzer della NASA, gli astronomi sono riusciti a
misurare con la maggiore precisione mai raggiunta il
valore della costante di Hubble, ossia il tasso di
accelerazione dell'espansione dell'universo. La costante
di Hubble è un numero dal quale non si può prescindere
in cosmologia e prende il nome da Edwin P. Hubble che,
nel 1920, dimostrò che l'universo è in crescita costante
dalla sua nascita, insomma dal momento del Big Bang.
Nel 1990 gli astronomi hanno scoperto che l'espansione
dell'Universo accelera costantemente. Per capire l'età
dell'universo è fondamentale quantificare il sua tasso di espansione, e qui entra in gioco la costante di
Hubble (Ho). Ma come ha fatto Spitzer a misurare questo valore? Ha studiato le variabili Cefeidi, stelle
'pulsanti' di cui si possono calcolare con relativa facilità, a partire dalla loro luce, distanza dalla Terra e
velocità a cui si allontano da noi. A differenza del telescopio spaziale Hubble che lavora a lunghezza d'onda
nello spettro della luce visibile e che era stato giù utilizzato in passato per questo tipo di misurazioni,
Spizter ha ottenuto risultati più accurati in infrarosso, facendo scendere il tasso d'incertezza del 3%. Glenn
Wahlgren, scienziato della NASA e membro del programma Spitzer a Washington, ha evidenziato che la
visione ad infrarosso del telescopio spaziale offre una vista migliore delle stelle variabili Cefeidi,
permettendo di perfezionare le precedenti misurazioni del Hubble. Il nuovo valore della costante di Hublle
è stimato a 74,3 più o meno 2,1 chilometri al secondo per megaparsec (un megaparsec è pari a circa 3
milioni di anni luce). «Spitzer – ha detto Micheal Werner del Jet Propulsion Laboratory della NASA, a
Pasadena – è andato oltre le nostre aspettative. Ci ha stupito perché per primo ha studiato le atmosfere
degli esopianeti e ora capiamo che un valido e fondamentale strumento astronomico e cosmologico».
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –VIA LATTEA E ALTRE GALASSIE
UN MOSTRO DI DIMENSIONI GALATTICHE
Nuove surveys nell'infrarosso svelano una classe di buchi neri nell'universo primordiale dalle dimensioni
gigantesche
08/10/2012 (da ROYAL ASTRONOMICAL
SOCIETY) - Gli scienziati dell'università di
Cambridge hanno utilizzato le surveys infrarosse
del cielo per scoprire una nuova popolazione di
enormi buchi neri supermassivi con alti tassi di
crescita nel primo universo. I buchi neri erano
rimasti sconosciuti finora dal momento che si
trovano in bozzoli di spessi strati di polveri. Il
nuovo studio ha svelato che questi emettono un
vasto ammontare di radiazione attraverso
l'interazione con le galassie di appartenenza. Il
risultato è pubblicato sul Monthly Notices of the
Royal Astronomical Society.
L'oggetto di studio è un buco nero supermassivo
chiamato ULASJ1234+0907, posto nella Vergine
ad una distanza superiore a 11 miliardi di anni
luce, quindi risalente al primo universo. Il mostruoso buco nero ha una massa superiore ai 10 miliardi di
masse solari, circa 10.000 volte più grande del buco nero della nostra Galassia, il che lo rende uno dei più
grandi mai visti finora.
La ricerca indica che potrebbero esserci circa 400 buchi neri di queste dimensioni nella parte di universo
osservabile, il che potrebbe avere un impatto significante sugli studi di questi oggetti estremi. Molti buchi
neri di questo tipo sono stati visti grazie al materiale che attraggono e che spiraleggia verso il buco nero
stesso, riscaldandosi. Gli astronomi possono vedere questa radiazione e osservarne il sistema.
Sebbene questi buchi neri siano stati studiati per molto tempo, i nuovi risultati indicano che alcuni dei più
massivi potrebbero essere ancora nascosti alla nostra vista. Quelli recentemente scoperti divorano
l'equivalente di diverse centinaia di Soli ogni anno, alimentando la propria crescita. I buchi neri
supermassivi sono ora pensati come residenti nei centri galattici. Nelle galassie più massive dovrebbero
crescere, secondo i modelli, tramite violente collisioni galattiche che innescano processi di formazione
stellare e forniscono quindi ulteriore cibo ai mostri. Queste collisioni producono inoltre polvere all'interno
delle galassie, racchiudendo i buchi neri in scatole di polvere per un periodo pari al tempo impiegato dagli
stessi buchi neri a divorarle.
In confronto ad oggetti come ULASJ1234+0907, il più spettacolare esempio di buco nero in crescita
nell'universo locale è il ben noto Markarian 231, posto a soli 600 milioni di anni luce da noi. Studi dettagliati
hanno evidenziato che Markarian 231 è stato soggetto ad un violento impatto con un'altra galassia in un
recente passato. Il nuovo buco nero è una versione molto più estrema di questa vicina galassia, ad indicare
che le condizioni in cui versava il primo universo erano molto più turbolente ed inospitali di quanto non lo
siano oggi.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –VIA LATTEA E ALTRE GALASSIE
UN MATRIMONIO TRA GALASSIE
NGC 660 è un bellissimo esempio di polar ring galaxy, un anello posto ad una galassia in seguito ad una
fusione. Splendida foto di Gemini
19/10/2012 (da GEMINI) - Cosa ha visto il telescopio Gemini in questa immagine? Poesia in movimento: la
coda colorata e ben evidente contesa tra la nascita e la morte di due galassie in stato di unione. Tutte le
azioni appaiono in un singolo frame, con la galassia NGC 660 al centro dell'attenzione.
Le galassie di questo tipo sono molto peculiari. Gli astronomi hanno trovato soltanto una manciata di
oggetti simili a questo, con una galassia a fare da anello alla seconda. Molte hanno un primordiale sistema a
spirale, chiamato galassia lenticolare, ma NGC 660, posta a 40 milioni di anni luce in direzione dei pesci, è
l'unica galassia di tipo "polar-ring" nota ad avere una galassia lenticolare di tipo "tardo" come galassiamadre. Tutto, comunque, si traduce in un anello di stelle, gas e polveri che si estende per decine di migliaia
di anni luce nello spazio, quasi perpendicolarmente al disco principale.
Ci sono due possibili spiegazioni a questi scenari: 1) una interazione tra due galassie allineate con la giusta
angolazione; 2) quando la galassia principale strappa gravitazionalmente materiale da una galassia di
passaggio ricca di gas, lo acquisisce a formare questo anello.
Ciò che si nota dalla nuova immagini di Gemini non è un corpo singolo ma il corpo di una galassia che va a
circondare il cuore di un'altra.
Nascita della violenza
Brian Svoboda, dell'università dell'Arizona che ha recentemente studiato la chimica e la temperatura di
NGC 660, crede che questa splendida morfologia derivi da una precedente interazione con una galassia
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –VIA LATTEA E ALTRE GALASSIE
ricca di gas. La geometria dell'anello contiene più gas della galassia-madre, il che porta a pensare ad una
violenta formazione. Una delle principali caratteristiche di NGC 660 è che l'anello non è esattamente polare
ma inclinato di 45° dal piano del disco e le simulazioni non riescono a riprodurre la fusione in questo modo,
anche se riproducono lo scenario di accrescimento.
L'anello polare si risolve in centinaia di oggetti, in larga parte stelle supergiganti blu e rosse. Le stelle più
giovani nell'anello hanno una età di circa 7 milioni di anni indicando un processo ancora in fase di
svolgimento.
L'accostamento tra la parte di formazione stellare e il piano di polveri è splendido, qualcosa di difficilmente
visibile nell'universo.
Se NGC 660 è una fusione di due galassie, gli astronomi dovrebbero trovare un nucleo collassato ed una
esplosione di formazione stellare, ben visibili. Un accrescimento gravitazionale porterà il gas nell'anello
polare senza interagire più di tanto con il gas della galassia-madre. In genere i fenomeni di fusione galattica
danno vita a code molto lunghe, simbolo di molte interazioni mareali. Tipicamente, quando le galassie si
passano vicine, le forze mareali espellono stelle, gas e polveri in una bellissima coda di detriti extragalattici.
I modelli delle polar-ring hanno prodotto invece sistemi privi di code, creando invece formazione stellare
nell'anello. Sembra esserci una buona probabilità che l'origine dell'anello risieda nell'accrescimento
mareale: l'anello potrebbe avere una età di un miliardo di anni.
Vita dalla morte?
Non visibile ad occhio nudo ma soltanto a lunghezze radio è invece il nucleo compatto (meno di 32 anni
luce) della galassia in merging. Dovrebbe essere un superammasso di stelle in una densa nube di gas e
polvere, contenendo fose poche migliaia di stelle calde, blu e giovani.
Le galassie tipicamente hanno una prevalenza di stelle rosse e antiche nel loro nucleo, ma uno degli scenari
violenti alla base di NGC 660 ha innescato un burst di formazione stellare nel nucleo stesso. Si è creata una
onda d'urto che ha spingo al collasso di enormi masse di gas creando giganti stelle blu con masse anche
superiori alle cento masse solari. Queste sono esplose ben presto come supernovae, generando ulteriori
onde d'urto con un effetto domino che ha perpetuato la formazione stellare nel nucleo di NGC 660. Si
tratta, quindi, anche di una starburst galaxy.
LA MATERIA OSCURA
L'anello ruota ad una velocità comparabile a quella della galassia che fa da "dito". Determinare la velocità a
diverse distanze dal centro del sistema aiuta nella ricerca di materia oscura in NGC 660. Le osservazioni
radio hanno mostrato che mentre la velocità più vicina al nucleo è normale, quella nella parte più esterna
dell'anello rimane molto alta: i modelli prevedono invece una caduta significante del valore visto che
dovrebbe esserci meno gas e questa discrepanza gioca a favore della presenza di materia oscura.
Gli astronomi ritengono che la materia oscura influenzi le dinamiche di tutte le galassie, ma ovviamente
ancora non se ne sa molto.
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NGC 3344, UNA BELLEZZA PER HUBBLE
Il telescopio spaziale punta il proprio obiettivo su una bellissima galassia a spirale barrata vista di faccia
20/10/2012 (da NASA) - NGC 3344 è una bellissima galassia a spirale grande la metà della nostra, posta a 25
milioni di anni luce e che ci si mostra, per fortuna, proprio di faccia, consentendoci di studiarne la struttura
intera in dettaglio. Si compone di un anello esterno che spiraleggia intorno ad un anelo più interno con una
sottile struttura a barre nel centro. Una barra è una distribuzione allungata di stelle e gas al centro di una
spirale. Le regioni centrali sono dominate da stelle giovani, con zone di formazione stellare molto attive.
Le barre centrali si trovano in circa due terzi delle galassie a spirale. Quella di NGC 334 è chiaramente
visibile, sebbene non si presenti in modo molto netto in alcune galassie. L'alta densità di stelle nelle regioni
centrali dona una influenza gravitazionale che interferisce sul movimento delle altre stelle della galassia.
Tuttabia, le stelle esterne si stanno muovendo in maniera atipica, sintomo che la presenza della barra non
può essere ricondotta soltanto alla materia visibile. E' possibile che in passato NGC 3344 sia passata nei
pressi di un'altra galassia acquisendone le stelle, ma ovviamente occorreranno studi più approfonditi per
risolvere il mistero.
L'immagine è una combinazione di esposizioni prese nel visibile e nel vicino infrarosso tramite Hubble. Il
campo inquadrato è di 3.4x3.4 minuti d'arco, circa un decimo del diametro della Luna piena.
Credit: ESA/Hubble & NASA
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SORPRESA NELL’EVOLUZIONE GALATTICA
Ciò che sembrava un periodo lungo e monotono nell'evoluzione galattica si rivela invece un periodo di
intenso cambiamento
20/10/2012 (da NASA) - Uno studio globale di centinaia di galassie osservate dal telescopio spaziale Keck
alle Hawaiie da Hubble ST ha rivelato un inatteso trend di cambiamento che si estende fino a 8 miliardi di
anni o più.
Si è sempre ritenuto che i dischi galattici nell'universo vicino si presentino per come sono ora dopo una
formazione avuta circa 8 miliardi di anni fa, lasciando a tutto il tempo successivo soltanto un piccolissimo
ruolo di accrescimento. Il trend osservato invece mostra l'opposto: le galassie sembrano cambiare durante
questo periodo.
Oggi, la formazione stellare prende forma in galassie con ordinati sistemi discoidali, come la nostra galassia
o la galassia di Andromeda, laddove la rotazione domina sugli altri moti interni. Le più distanti galassie a
formazione stellare (blu) nello studio tendono ad essere differenti, mostrando moti disorganizzati in
direzioni multiple. C'è quindi una netta differenza tra l'ordinato movimento attuale e la disorganizzazione
che dissipa i moti nel passato: le galassie durante questi 8 miliardi di anni si sono organizzate formando
dischi ben precisi.
Le galassie blu (il colore indica una formazione stellare interna) mostrano meno disorganizzazione e velocità
di rotazione maggiori rispetto a quelli osservati nel presente. Questo trend è vero per galassie di ogni
massa, ma i sistemi più massivi mostrano sempre i più alti livelli di organizzazione.
I ricercatori sostengono che le distanti galassie blu oggetto di studio si sono gradualmente trasformate in
galassie con disco rotante come la nostra.
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Precedenti studi hanno rimosso le galassie che non somigliavano a quelle ordinate che siamo soliti vedere
oggi. Eliminandole, però, questi studi hanno esaminato soltanto quelle rare galassie nel distante universo
che si comportavano come ci si sarebbe aspettati, senza mostrare cambiamenti fino ad oggi.
Il nuovo studio ha guardato invece tutte le galassie con linee di emissione brillanti abbastanza da poter
essere usate per calcolare i moti interni: ha studiato un campione di 544 galassie blu con gli spettri avuti da
DEEP2 (Deep Extragalactic Evolutionary Probe) Redshift Survey e con una distanza compresa tra 2 e 8
miliardi di anni luce e con un range di massa tra 0,3& e 100% della massa della Via Lattea.
La nostra galassia deve aver subito lo stesso processo delle galassie a campione, disponendosi piano piano
per come la osserviamo oggi. Negli ultimi 8 miliardi di anni, il numero di fusioni tra galassie grandi e piccole
è decresciuto, così come il conseguente tasso di formazione stellare e le esplosioni di supernovae: questi
fattori potrebbero aver giocato un ruolo nella creazione e nell'evoluzione osservato.
Ora sarà possibile aggiustare le simulazioni al computer riguardanti l'evoluzione galattica fino a replicare
quanto osservato ad oggi.
NGC 3738 VISTA DA HUBBLE
Il telescopio spaziale immortala una galassia nana a starburst appartenente al gruppo di M81 nell'Orsa
Maggiore
22/10/2012 (da SPACE TELESCOPE) - Il telescopio
spaziale della NASA/ESA, Hubble, ha immortalato la
galassia irregolare NGC 3738, una galassia starbust
quindi con intensa formazione stellare. Si trova nel
mezzo di un violento episodio di nascita stellare
durante il quale sta convertendo le sue riserve di
idrogeno accolte nel centro galattico. L'immagine
evidenzia questo gas attraverso la punteggiatura rossa
intorno a NGC 3738. Posta nell'Orsa Maggiore, NGC
3738 si trova a 12 milioni di anni luce dal Sole e
appartiene al gruppo di Messier 81. E' stata osservata
per la prima volta da William Herschel nel 1789 ed è
un esempio di galassia nana molto compatta, azzurra,
il tipo più debole di galassia a starurst. Si tratta di
piccole galassie confrontate alle spirali più grandi, con
un diametro di circa 10.000 anni luce, un decimo della dimensione della Via Lattea.
L'apparente colore blu deriva da ampi ammassi di stelle calde e massive, che ionizzano il gas interstellare
circostante con la loro intensa radiazione ultravioletta. Queste galassie sono relativamente deboli e di
forma irregolare. Non hanno una forma distintiva, come può essere un nucleo definito o un sistema di
bracci di spirale: la loro forma è molto caotica e sembrano essere i primi oggetti ad essersi formati
nell'universo il che potrebbe fornire delle chiavi importanti per apprendere qualcosa in più sulla formazione
stellare dopo il Big Bang. L'immagine è composta da immagini visuali e infrarosse prese da Hubble, in un
campo di 3.4x3.4 arcominuti.
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I MOTORI DELLE GALASSIE
Una nuova immagine potrebbe far luce sulla natura e sul modo di formazione dei getti relativistici galattici e
quindi sulla formazione ed evoluzione galattica
22/10/2012 (da International
Centre for Radio Astronomy
Research) - Un getto di
materiale che si estende per
più di due milioni di anni luce
dal centro di una distante
galassia e che appare molto
simile alla fase di postaccensione di un aereo da
combattimento, tranne per il
fatto che stavolta il motore è
un buco nero supermassivo e
che il getto si muove a velocità
prossime alla velocità della
luce.
Il getto è noto come PKS 0637-752 ed è stato osservato dall'Australia Telescope Compact Array (ATCA) in
Australia, evidenziando forme simili a diamanti per tutto il tragitto della struttura, lunga ben due milioni di
anni luce. La ricerca, a firma del Dr. Leith Godfrey, ICRAR, e del Dr. Jim Lovell, UTA, viene pubblicata su
Astrophysical Journal Letters e pone in risalto regioni brillanti e regioni più scure, molto simili ai fenomeni
chiamati "shoxk diamonds".
Una nuova immagine di un getto già studiato rivela aree quasi regolari, più brillanti rispetto al resto del
getto, in un percorso che ricalca molto da vicino la fase di post-combustione di un motore di aereo. Una
possibilità è che questa caratteristica venga prodotta nello stesso modo che siamo soliti vedere per i
motori: sappiamo fin dagli albori della radioastronomia che i getti si producono quando il materiale cade in
un buco nero supermassivo al centro di una galassia, ma maggiori dettagli sono sempre stati un mistero.
Se le zone più brillanti fossero causate da fenomeni simili a quelli che siamo soliti vedere in prossimità dei
getti di aerei, allora potremmo avere importanti informazioni riguardanti la potenza del getto e la densità
del gas che ne circonda lo spazio. Questi getti sono tra gli oggetti più grandi dell'universo, con una
dimensione pari a circa 100 volte quella della Via Lattea.
Se vogliamo conoscere il modo di formazione ed evoluzione delle galassie abbiamo fondamentale bisogno
di questi getti e di comprenderli: sono estremamente potenti e si ritiene che possano essere in grado di
bloccare la formazione stellare nella loro galassia di origine, limitando anche la crescita della galassia stessa.
Questo getto in particolare emette una gran quantità di radiazione X, il che è difficile da spiegare con i
modelli attuali. Questa scoperta è quindi un passo avanti nella comprensione del modo in cui questi giganti
cosmici emettono radiazione X così forte.
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UN QUASAR TROPPO ENERGETICO
Come è stata prodotta l'inattesa quantità di radiazione gamma proveniente dalla sorgente denominata PKS
1222+216 nel giugno del 2010?
24/10/2012 (da MEDIA INAF) È una tranquilla giornata di giugno del 2010,
quando Fermi, l'osservatorio spaziale della NASA che osserva l'universo nei raggi
gamma, rivela un impressionante aumento della luminosità di un quasar fino ad
allora piuttosto tranquillo, denominato PKS 1222+216. La notizia spinge gli
astrofisici dei due telescopi MAGIC (Major Atmpspheric Gamma Imaging
Cherenkov) sull'isola di La Palma nell'arcipelago delle Canarie, a puntare i loro strumenti verso quella
sorgente. Con grande sorpresa, MAGIC rileva un'intensa emissione variabile nel tempo: in appena dieci
minuti, il flusso registrato raddoppia il proprio valore. I risultati delle osservazioni di MAGIC sorprendono
letteralmente gli scienziati. Da un lato, infatti, la variazione di dieci minuti indicherebbe che la regione che
emette i fotoni gamma abbia dimensioni molto ridotte e che quindi fosse presumibilmente molto prossima
al “motore” centrale del quasar, dove la materia “spiraleggia” e viene “ingoiata” da un buco nero
supermassiccio. D'altro lato, però, questa regione dovrebbe essere estremamente opaca ai raggi gamma di
energia così elevata e dovrebbe rilasciare principalmente raggi ultravioletti e X, perché i fotoni gamma,
interagendo facilmente con la radiazione elettromagnetica di queste frequenze, scompaiono
trasformandosi in coppie elettrone-positrone. Iniziano quindi i primi tentativi di dare una spiegazione
plausibile a quello che deve essere successo a PKS 1222+216. L'interpretazione più immediata indicherebbe
che, malgrado l'estrema piccolezza, la regione di produzione si trovi lontano dal motore centrale. Ma
questa soluzione è semplice solo sulla carta perché costringe a ipotizzare l'esistenza di nuovi meccanismi
che possano portare a un'emissione così intensa. Forse, per trovare una descrizione convincente a queste
osservazioni c'è bisogno di un deciso cambio di prospettiva. Proprio quello che propongono i ricercatori
italiani Fabrizio Tavecchio (INAF, Osservatorio Astronomico di Brera), Marco Roncadelli (INFN, Pavia),
Giorgio Galanti (Università dell'Insubria) e Giacomo Bonnoli (INAF, Osservatorio Astronomico di Brera) in un
articolo appena pubblicato sulla rivista Physical Review D. Diverse teorie sviluppate per estendere il
Modello Standard prevedono l'esistenza di particelle elementari ultraleggere, collettivamente note con
l'acronimo ALP (Axion-Like Particle). Una caratteristica di queste ipotetiche particelle è che esse non
interagiscano con alcuna particella nota tranne che con il fotone. Così un raggio gamma si trasformerebbe –
in presenza di un campo magnetico – in una ALP e viceversa. Queste trasformazioni vengono chiamate
“oscillazioni” fotone-ALP e potrebbero essere la chiave per risolvere l'enigma dell'emissione proveniente da
PKS 1222+216. Un grande numero di raggi gamma potrebbe diventare ALP prima di subire l'assorbimento e
quindi fuoriuscire “indenni” dalla regione centrale del quasar, per poi riconvertirsi in raggi gamma ed essere
rivelati dai telescopi. “È importante sottolineare che il nostro è uno scenario possibile e attraente ma non è
l'unico”, commenta Fabrizio Tavecchio. “Sono state avanzate altre proposte: tutte, però, assumono che i
raggi gamma siano emessi da regioni molto distanti dal buco nero e questo è molto difficile da riconciliare
con il breve tempo di variabilità. L'osservatorio per raggi gamma CTA (Cherenkov Telescope Array),
programmato per il prossimo decennio, permetterà di studiare con molta più profondità questo tipo di
eventi, e quindi ci potrà aiutare a convalidare o rigettare il modello”. La stessa fiducia sui nuovi esperimenti
in programma la ripone anche Marco Roncadelli che sottolinea: “Un fatto intrigante è che il valore
dell'oscillazione fotone-ALP in questo caso coincide con quello proposto da De Angelis e me per spiegare
un'anomalia osservata anche nei blazar, e la conferma o la smentita della nostra proposta è alla portata sia
di CTA che dell'esperimento ALP a DESY, il laboratorio di fisica delle particelle di Amburgo”.
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UN FLARE DA SGR A*
NuSTAR, il telescopio più potente nei raggi X, ha la fortuna di osservare un eccesso di radiazione dal buco
nero galattico, probabilmente uno spuntino
24/10/2012 (da NASA) PASADENA, Calif. - Il più nuovo occhi a raggi X del cielo, il Nuclear Spectroscopic
Telescope Array (NuSTAR) ha catturato per la sua prima volta il buco nero posto al centro della nostra
galassia. Le osservazioni mostrano questo buco nero proprio durante un flare.
Siamo stati fortunati a catturare un outburst dal nostro buco nero durante la campagna di osservazioni,
portata avanti dal California Institute of Technology a Pasadena. I dati aiuteranno a comprendere al meglio
il comportamento di questa zona galattica ed il motivo per il quale qualche volta ci sono dei flare di poche
ora prima di tornare alla normalità.
NuSTAR è stato lanciato il 13 giugno ed è l'unico telescopio in grado di produrre immagini focalizzate alle
più alte energie X. Per due giorni a Luglio ha puntato Sagittarius A*, una radiosorgente compatta al centro
della Via Lattea. Le osservazioni mostrano un buco nero massivo proprio in questa direzione.
Confrontato con i buchi neri posti al centro di altre galassie, Sgr A* è relativamente calmo: quelli più attivi
tendono a fagocitare stelle ed altro materiale nei dintorni mentre il nostro si limita a qualche isolato
spuntino, o non mangia affatto, ma il processo è ancora poco conosciuto. Quando i buchi neri consumano il
carburante (gas, stelle o anche asteroidi) eruttano con un eccesso di energia.
NuSTAR riesce a catturare raggi X provocati dal riscaldamento di materia consumata dal buco nero fino a
temperature di 100 milioni di gradi Celsius, laddove le particelle vengono spinte a velocità vicine a quella
della luce.
Si è a lungo pensato che gli spuntini dei buchi neri producessero raggi X duri, ma NuSTAR è il primo
telescopio abbastanza sensibile da poterli scoprire e analizzare.
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UN QUASAR SENZA UNA GALASSIA
Una recente osservazione mostra un quasar non circondato apparentemente da materiale in grado di
alimentare il buco nero. Troppa polvere, sembra la soluzione del caso
24/10/2012 (da NASA) Gli astronomi di Hubble
hanno osservato uno dei più distanti quasar
dell'universo e sono stati sorpresi da quel che non
hanno visto: la galassia e le stelle che alimentano
il buco nero! La migliore spiegazione può essere
data dal fatto che le stelle stesse siano
completamente nascoste da strati densi di
polvere galattica, e se così fosse occorrerà
attendere il james Webb Telescope per scoprire
la galassia che contiene questo quasar.
Le primissime galassie convenevano polvere: il
primo universo non prevedeva la presenza di polvere fino alle prime generazioni di stelle, che l'hanno
fornita tramite le fusioni nucleari. Con l'invecchiamento di queste prime stelle il mezzo interstellare si è
riempito di polvere. Il quasar risale ad un tempo preistorico dell'universo, quando l'età non era ancora
giunta a un miliardo di anni dopo il Big bang.
I quasars sono nuclei brillanti di galassie che vedono molto materiale fluire in un buco nero supermassivo
che dà vita a energia che fuoriesce dal disco di accrescimento. Questa luce può apparire sottoforma di
getto. Se il getto brilla in direzione della Terra, allora l'oggetto ci appare più brillante dando vita ad un
quasar che surclassa anche di migliaia di volte la luminosità della galassia stessa.
Il team di astronomi sospetta che il buco nero stia divorando l'equivalente di una massa solare ogni anno
ma potrebbe essere stato molto più vorace in passato, acquisento circa 3 miliardi di masse solari in poche
centinaia di milioni di anni. Se vuoi nascondere le stelle con la polvere, occorre creare tante stelle massive
dalla breve vita ed occorre farlo in tempi molto rapidi in modo che supernovae ed altri canali di perdita di
massa stellare possano riempire velocemente l'ambiente di polvere. Serve inoltre un altro fenomeno che
spazza via la polvere per tutta la galassia, nascondendola completamente. Il quasar è stato identificato
prima dalla Sloan Digital Sky Survey (SDSS). Soltanto una manciata di oggetti ultra luminosi così lontani sono
stati trovati dalla stessa survey in un quarto di cielo. Le osservazioni successive hanno scoperto molta
polvere nella galassia ma non hanno mai mostrato il modo in cui questa fosse distribuita e se le stelle e gli
ammassi potessero essere visibili.
Hubble è stato utilizzato per sottrarre la luce del quasar dalle immagini e guardare a quel che circonda il
buco nero, e quindi per osservare le stelle. Una volta che il quasar è stato rimosso, nessuna luce stellare è
stata identificata: la galassia non è visibile. E' molto più debole di quanto si attendesse. Visto che non si
possono vedere le stelle, possiamo dire che la galassia che contiene il quasar non è affatto normale ma
appartiene alle galassie di polvere.
Il risultato è stato pubblicato il 10 settembre su Astrophysical Journal Letters
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UNA GALASSIA SOFFICE SOFFICE
Una survey evidenzia una gigantesca galassia ellittica priva di addensamento stellare nel nucleo. Due
possibili scenari per spiegare il fenomeno
26/10/2012 (da NASA) Gli
astronomi addetti ad Hubble
hanno ottenuto una nuova
immagine di una galassia
ellittica che potrebbe essere nel
panico per l'azione di uno o più
buchi neri al suo interno.
Abbraccia poco più di un
milione di anni luce in
dimensione ed è quindi circa 10
volta il diametro della nostra Via
Lattea. Membro di una atipica
classe di galassie con un diffuso
nucleo riempito da una nebbia
di luce stellare laddove normalmente dovrebbe esserci un picco di luce intorno ad un buco nero centrale,
come una città non circondata da una periferia.
Le immagini e i dati hanno consentito di misurare la luce stellare nella galassia, nota come A2261-BCG
rivelando che il nucleo esteso misura circa 10.000 anni luce, il più grande mai osservato.
Un nucleo galattico tipicamente ha una dimensione correlata a quella della galassia nel suo totale, ma in
questo caso la regione centrale è molto più grande di quanto atteso rispetto alle leggi solite. Infatti, è più di
tre volte più grande del centro di altre galassie molto luminose. Posta a 3 miliardi di anni luce, la galassia è
la più massiva e brillante dell'ammasso chiamato Abell 2261.
Due possibilità per spiegare lo strano caso. Uno scenario vede una coppia di buchi neri in fusione in grado di
attrarre stelle. Altra idea è che i buchi neri in fusione siano stati espulsi dal nucleo galattico che, senza più
un'ancora centrale, ha visto le stelle iniziare a sparpagliarsi creando questa strana struttura soffice.
Le precedenti osservazioni hanno rivelato che i buchi neri supermassivi, con masse di milioni o miliardi di
masse solari, risiedono nei centri di tutte le galassie e possono giocare un ruolo importante nella forma
delle regioni centrali.
Aspettarsi di trovare un buco nero in ogni galassia è come aspettarsi di trovare un nocciolo in ogni pesca:
con le osservazioni di Hubble abbiamo tagliato la pesca e non abbiamo trovato il nocciolo. Non sappiamo
per cerco se il buco nero c'è oppure no, ma i dati mostrano una totale assenza di concentrazione di stelle.
I risultati sono apparsi su The Astrophysical Journal il 10 settembre. Dei due buchi neri, uno dovrebbe
essere nativo della galassia mentre l'altro dovrebbe essere stato acquisito in seguito da una galassia minore
inglobata in quella ellittica più grande.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –VIA LATTEA E ALTRE GALASSIE
UN PASTO CONTINUO PER LA GALASSIA
Uno studio dell'Università di Yale ha dimostrato che la Via Lattea continua ad assorbire piccoli ammassi
stellari, attirati dalla forza di gravità. Questo spiegherebbe la formazione e la crescita delle galassie. La
ricerca è stata resa possibile grazie alla Sloan Digital Sky Survey
26/10/2012 (da
MEDIA
INAF)
Scorpacciata
di
stelle per la Via
Lattea,
che
sembra
non
smettere
di
inglobare
ammassi stellari.
Grazie alla Sloan
Digital Sky Survey
III (SDSS-III), i
ricercatori hanno
scoperto
un
gruppo di stelle,
probabilmente
resti di antichi
ammassi,
letteralmente ingeriti dalla nostra galassia.
«La forza di gravità della nostra Via Lattea – ha sottolineato l'autrice dello studio Ana Bonaca (Yale) – attira
piccole galassie e ammassi stellari che poi diventano parte di essa».
Non è la prima volta che gli studiosi osservano un fenomeno simile: la Via Lattea aveva già mangiato in
passato delle galassie nane. Gli ultimi dati analizzati da Bonaca e dal suo team dimostrano che il fascio di
stelle inglobato dalla Via Lattea apparteneva a una galassia di piccole dimensioni, insomma un piccolo
snack.
Lo studio in questione si è concentrato soprattutto su una regione meridionale del cielo galattico, difficile
da analizare. Questa nuova ricerca, pubblicata su The Astrophysical Journal Letters, è fondamentale per
comprendere la struttura della Via Lattea.
Si ritiene infatti che le galassie si formino in maniera gerarchica, inglobando altre galassie di minori
dimensioni, che vengono attirate dalla forza di gravità. Il fascio di stelle studiato è stato chiamato
Triangulum e studiato grazie ai dati della Sloan Digital Sky Survey III, un'estesa cartografia digitale del cielo
frutto di una collaborazione internazionale.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –VIA LATTEA E ALTRE GALASSIE
QUELLA BOLLA IN M87
Una nuova potente osservazione radio mostra una bolla invisibile in ottico ma molto evidente nello spettro
X
29/10/2012 (da ASTRON) Utilizzando un nuovo radiotelescopio, gli astronomi hanno prodotto una delle più
belle immagini mai scattate a basse frequenze di bolle giganti prodotte da buchi neri supermassivi. Le
osservazioni sono state effettuate a frequenze traq 20 e 160 MHz, normalmente utilizzate per le
comunicazioni con aerei di linea. L'immagine sembra mostrare un pallone gigante riempito da plasma che
emette in radio, con dimensioni superiori a quelle di una intera galassia.
Alcuni buchi neri stanno acquisendo materia ancora oggi. Parte di questa materia non cade nel buco nero
ma viene espulsa come sottili flussi di particelle che viaggiano a velocità prossime a quelle della luce.
Quando li flusso rallenta, crea un sottile pallone che può ingolfare l'intera galassia. Invisibile ai telescopi
ottici, la bolla è molto ampia a basse frequenze radio. Il nuovo International LOFAR Telescope, disegnato da
ASTRON, è l'ideale per osservare questo fenomeno.
L'immagine è in grado di far risaltare il legame stretto tra buco nero, galassia contenitrice e zone limitrofe:
la galassia fornisce materia al buco nero e questo ritorna energia alla galassia.
L'immagine si riferisce alla galassia gigante ellittica M87, al centro dell'ammasso della Vergine. E' 2000 volte
più massiva della nostra e contiene al suo centro il buco nero più massivo scoperto a quella distanza, con
sei miliardi di masse solari. La materia viene convertita in parte in radiazione ed in parte più grande in
potenti getti di particelle relativistiche, responsabili della emissione radio osservata.
Per determinare l'età della bolla, gli scienziati hanno aggiunto osservazioni radio a diverse frequenze
provenienti dal Very Large Array in New Mexico e le osservazioni con il radio telescopio da 100 metri nei
pressi di Bonn. La bolla è sorprendentemente giovane, circa 40 milioni di anni: non si tratta neanche del
resto di attività passate ma è attualmente alimentata da particelle nuove espulse dal buco nero centrale.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –VIA LATTEA E ALTRE GALASSIE
UNO SCIPPO GALATTICO
Uno studio involontario mostra come la Grande Nube di Magellano sottragga stelle alla Piccola Nube di
Magellano
29/10/2012 (da Harvard-Smithsonian Centre for Astrophysics) Scene di scippi tra due galassie vicine: nuove
simulazioni hanno convinto sul fatto che la Grande Nube di magellano sottragga stelle alla Piccola Nube di
Magellano e la prova finale viene dalle survey che cercavano qualcosa di totalmente diverso, come gli
oggetti oscuri della Via Lattea.Gli astronomi hanno monitorato la Grande Nube alla caccia di oggetti massivi
e compatti, noti come MACHOS: dovrebbero essere oggetti molto deboli, con la massa di una stella più o
meno, ma la loro esatta natura non è nota ancora. Qualche survey si è occupata di questa ricerca visto che
potrebbe trattarsi di un componente importante della materia oscura.
Affinché questo sia vero, questi MACHOS dovrebbero essere talmente deboli da non essere osservabili
direttamente quindi ci si è concentrati sul fenomeno del microlensing per il quale un oggetto vicino che
passa di fronte ad un oggetto più lontano ne amplifica la luminosità.
Studiando la Grande Nube di Magellano si sperava di vedere dei MACHOS della nostra Galassia. Il numero
di microlensing osservati è stato molto esiguo, insufficiente per verificare qualsiasi teoria sulla materia
oscura, ma grande abbastanza per fare il conto delle stelle della Via Lattea. Invece che dai MACHOS, il
microlensing osservato è stato provocato da un flusso di stelle staccate dalla Piccola Nube di Magellano! Un
crimine di dimensioni galattiche, in pratica. Le simulazioni al computer hanno mostrato che la spiegazione
più praticabile ai microlensing osservati è riconducibile ad una popolazione di stelle rimosse dalla Grande
Nube ai danni della Piccola Nube. Soltanto una cosa del genere potrebbe spiegare il tasso e la durata del
microlensing osservato. La ricostruzione della scena prevede una forte collisione tra le due galassie,
avvenuta centinaia di milioni di anni fa. La ricerca conforta anche la recente teoria per la quale le due Nubi
sono al primo passaggio nei dintorni della nostra Galassia, non risultandone quindi satelliti.
Per ora è solo una simulazione, ma astronomi stanno cercando queste stelle in un flusso di gas che unisce le
due galassie di Magellano.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –VIA LATTEA E ALTRE GALASSIE
TRA LE GALASSIE OSCURE
I protagonisti della prima osservazione di galassie oscure, prive di stelle e fatte solo di materia oscura e gas,
discutono le implicazioni della loro scoperta. Queste galassie avrebbero un ruolo importante nell'evoluzione
di quelle brillanti, compresa la Via Lattea
31/10/2012 (da MEDIA INAF) Siamo abituati a
pensare alle galassie come a grandi “isole” di
stelle, gas e polvere. Ma i modelli teorici
dell'astrofisica ci dicono che possono esistere
anche altri tipi di galassie, prive di stelle e
composte prevalentemente da gas denso. Per
questo
motivo,
praticamente
invisibili.
Recentemente, un gruppo di astronomi ha per la
prima volta osservato galassie di questo tipo,
osservando la luce fluorescente che proveniva
dal loro gas (idrogeno), illuminato dalla luce
ultravioletta di un quasar posto nelle vicinanze.
In un dibattito online sul sito della Kavli
Foundation, alcuni dei protagonisti di questa
osservazione si sono seduti a un tavolo per discutere le sue implicazioni e che ruolo potessero avere queste
galassie oscure nell'Universo primordiale. Martin Haehnelt del Kavli Institute for Cosmology dell'Università
di Cambridge, membro del team scientifico che ha rilevato questo particolare tipo di galassie, ritiene che
siano molto importanti per lo studio della nostra Via Lattea. “Pensiamo che il precursore della Via Lattea
fosse una galassia brillante e molto più piccola, che in seguito si è fusa con le vicine galassie ‘oscure'. In
questo modo si è formata la Via Lattea”.
Ma cosa sono esattamente le galassie oscure?
Secondo Haehnelt sarebbero composte da materia oscura e gas, ma per qualche motivo non sono state in
grado di formare stelle. Inoltre secondo alcuni modelli teorici sembra che fossero molto comuni
nell'Universo primordiale, quando le galassie avevano più difficoltà a formare le stelle, a causa della bassa
densità del loro gas. Solo più tardi cominciarono a formarle, diventando ciò che vediamo oggi. Un altro
membro del team, Sebastiano Cantalupo dell'Università della California, ritiene che le galassie scure siano i
mattoni delle galassie moderne. “Nella nostra attuale teoria sulla formazione delle galassie, pensiamo che
le galassie grandi si siano formate dalla fusione di galassie più piccole. Le galassie scure portano alle grandi
galassie molto gas, accelerando quindi la formazione stellare in quelle più grandi”. Le tecniche utilizzate per
rilevare le galassie scure possono anche fornire un nuovo modo per conoscere altri fenomeni dell'Universo,
tra cui quello che alcuni chiamano la “rete cosmica”, filamenti invisibili di gas e materia oscura che
dovrebbero permeare l'Universo, alimentando le galassie e gli ammassi di galassie in cui i filamenti si
intersecano.
“Mi chiedo se possiamo davvero utilizzare questa tecnica per vedere l'emissione di gas filamentosi nella
rete cosmica e se sì, quanto siamo prossimi a vederla?” ha chiesto un terzo membro del team, Simon Lilly
del Politecnico federale di Zurigo, in Svizzera. “Credo che la scoperta delle galassie scure sia un passo
significativo per raggiungere quest'obiettivo”.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
Tra le stelle
DUE BUCHI NERI INM22
Convivono nel cuore dell’ammasso globulare M22, a diecimila anni luce dalla Terra. Scoperti grazie ai
ricevitori radio del Very Large Array (VLA), costringono gli astronomi a rimettere mano ai modelli che
descrivono la dinamica di questi concentrati di stelle..
04/10/2012 (MEDIA INAF) - S'aggiravano nei meandri di
quel suk stellare che è M22, un ammasso globulare
contenente centinaia di migliaia di stelle l'una a ridosso
dell'altra, a caccia d'un pezzo da collezione, il rarissimo
buco nero di massa intermedia (oggetti di cui già abbiamo
parlato su Media INAF: qui, qui e qui). Ma si sono imbattuti
in uno scenario completamente imprevisto: di buchi neri
ne hanno trovati due. È successo a un team di astronomi
guidato da Jay Strader, della Michigan State University, e la
scoperta è finita ora sulle pagine di Nature. I due gemelli
inattesi sono relativamente piccoli, di massa cosiddetta
stellare (10-20 volte quella del Sole), dunque non
intermedia come speravano gli autori del ritrovamento. Ma
incappare in due buchi neri che convivono nello stesso
ammasso globulare, nella nostra galassia, non solo è un evento mai accaduto prima: va anche contro tutti i
modelli più accreditati sull'evoluzione di questi densi sistemi stellari. «Siamo rimasti sorpresi», dice infatti
Laura Chomiuk, coautrice dell'articolo, «perché la maggior parte dei teorici era concorde sul fatto che,
nell'ammasso, di buchi neri ce ne dovesse essere al massimo uno». In effetti, sebbene i modelli ammettano
che, in un tipico ammasso globulare, di buchi neri di massa stellare se ne possano formare a centinaia, tutti
tranne uno dovrebbero essere espulsi dalle forti interazioni gravitazionali in atto. La presenza di due buchi
neri che convivono nello stesso ammasso mostra dunque che il meccanismo di espulsione potrebbe non
essere così efficace come la maggior parte dei modelli prevede. E apre le porte all'ipotesi che ce ne possano
essere anche più di due: fino a un totale, scrivono gli autori, che va da cinque a un centinaio. Insomma, gli
astrofisici teorici avranno di che divertirsi. Un caso di serendipità, questo ritrovamento, reso ancor più
sorprendente dallo strumento grazie al quale i due buchi neri sono stati individuati: le 27 radioantenne del
VLA, il Very Large Array dell'NRAO, il National Radio Astronomy Observatory americano. Sorprendente,
dicevamo, perché mai prima d'ora s'era scoperto un buco nero in un ammasso globulare direttamente
grazie a un'osservazione in onde radio. I questo campo i radiotelescopi erano sempre rimasti relegati nelle
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
retrovie, entrando in gioco solo in un secondo tempo. Spettava ai telescopi spaziali in banda X l'onere e
l'onore d'avvistare per primi i buchi neri, intercettando le emissioni ad alta energia generate dai gas che li
circondano. In questo caso, invece, lo sguardo sensibile ai raggi X del satellite Chandra della Nasa, pur
essendosi posato nel 2005 su M22, non ha notato nulla. E anche questo ulteriore rebus alimenta nuove
ipotesi – sul rapporto fra luminosità in radio e in X delle emissioni da buchi neri in relazione alla loro massa
– che potrebbero portare a rivedere i modelli comunemente accettati.
LA NUBE SCOMPARSA
Molti quasar sono circondati da nubi luminose di gas che però sembrano scomparire tra un'osservazione e
l'altra. Il mistero sembra ora risolto da uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal.
04/10/2012 (MEDIA INAF) - I quasar continuano
a presentare misteri per gli studiosi: oggetti
luminosi simili a una stella, molto distanti ma
decine di volte più luminosi di molte galassie. I
ricercatori della Penn State University guidati da
Nurten Filiz Ak e Niel Brandt hanno risolto il
caso delle nuvole di gas scomparse. Nello studio,
pubblicato il primo ottobre su The Astrophysical
Journa, vengono descritti 19 quasar su 582 le cui
nuvole di gas sembrano essere sparite nel giro di
pochi anni. Filiz Ak ha affermato: «Sappiamo che
i quasar hanno strutture create da gas che si
muovono ad alta velocità grazie ai cosiddetti
‘venti di quasar' e sappiamo anche che queste strutture possono scomparire». Ma perché accade questo?
I quasar prendono la loro energia dai gas che cadono nei buchi neri al centro delle galassie: questi gas
raggiungono altissime temperature e emettono una forte energia luminosa di colore rosso. Alcuni gas,
però, non arrivano a cadere nel buco nero e sfuggono al controllo gravitazionale, spinti da forti “venti”
provenienti dal centro del quasar, che possono raggiungere una velocità di migliaia di chilometri per
secondo. «Questi venti – ha detto Niel Brandt – giocano un ruolo importante nel regolare l'attività del buco
nero al centro del quasar, così come nella formazione stellare nella galassia circostante”.
I quasar sono circondati da nuvole giganti di gas ad altissime temperature che sfuggono al controllo del
buco nero. Quando la luce emessa dal quasar attraversa queste nuvole nel suo cammino verso la Terra, una
parte della luce viene assorbita a particolari lunghezze d'onda corrispondenti agli elementi tra le nuvole. In
molti casi, però, questa nuova di gas sembra scomparire tra un'osservazione e l'altra dello stesso quasar.
Possono esserci diverse spiegazioni per la scomparsa delle nubi di gas, ma la più semplice e plausibile è che
in alcuni quasar la nube di gas abbia subito una rotazione dall'ultima osservazione, e quindi non si trovi più
lungo la linea di vista dalla Terra. Date le dimensioni considerevoli del campione di quasar studiato, il team
è stato in grado di dare maggire forza a questa ipotesi «Siamo in grado di quantificare questo fenomeno»,
ha detto Ak. Quasi il 3% dei quasar mostrano nubi di gas che scompaiono nel corso di un triennio di
rilevamenti effettuati con la Sloan Digital Sky Survey (SDSS). Secondo i ricercatori, in media la nube di gas di
un quasar rimane visibile dalla Terra per un secolo, prima di venire “eclissata”.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
LE COMETE DI BETA PICTORIS
Il telescopio spaziale Herschel trova olivina ai confini del sistema di Beta Pictoris. Un confronto con il nostro
sistema solare.
04/10/2012 (ESA) - Materiale che sembra essere uguale a quello
delle nostre comete è stato scovato in una fascia di polvere
intorno alla giovane stella Beta Pictoris dall'Osservatorio Spaziale
Herschel.
La stella ha venti milioni di anni e si trova a 63 anni luce dalla
Terra. Possiede un pianeta gigante gassoso con un disco di
polveri che potrebbe evolvere in un toro di corpi ghiacciati molto
simile alla Fascia di Kuiper che si trova, da noi, oltre Nettuno.
Grazie alle osservazioni di Herschel, la composizione di queste
polveri è stata analizzata per la prima volta.
Di interesse particolare è stata l'olivina, un minerale che
cristallizza fuori dal disco protoplanetario nei pressi della stella neonata e che riesce ad incorporarsi in
asteroidi, comete e pianeti.
L'olivina è rintracciabili in diverse configurazioni: una varietà ricca di magnesio si trova nei piccoli e primitivi
corpi ghiacciati come le comete, mentre una varietà ricca di ferro è tipicamente riscontrabile negli asteroidi
più grandi che hanno subito un riscaldamento maggiore.
Herschel ha scovato la varietà ricca di magnesio ad una distanza tra 15 e 45 UA dalla stella Beta Pictoris,
laddove la temperatura è di -190°C circa. Per confronto, la Terra si trova a 1 UA dal Sole mentre la Fascia di
Kuiper si estende da 30 a 50 UA dalla nostra stella. Le osservazioni di Herschel hanno consentito di calcolare
che i cristalli di olivina rappresentano circa l'84% della massa totale della polvere trovata in questa regione.
La scoperta consente di concludere che l'olivina si è condensata originariamente nelle comete e che
soltanto in seguito è stata rilasciata nello spazio attraverso collisioni tra questi corpi ghiacciati.
Il 4% è molto simile a quella presente nelle comete 17P/Holmes e 73P/Schwassmann-Wachmann 3, che
contengono dal 2 al 10% di olivina ricca di magnesio. Dal momento che questo elemento può cristallizzare
entro le 10 UA dalla stella centrale, la scoperta avvenuta in un disco freddo significa che deve essere stata
trasportata dalle regioni centrali del sistema fino ai suoi bordi più esterni.
Il meccanismo radiale di trasporto è noto dai modelli di evoluzione dei dischi protoplanetari in rotazione,
nel momento in cui condensano intorno alle nuove stelle. Il mix è stimolato dal vento e dal calore della
stella centrale, che spinge materiali verso l'esterno con differenti temperature e moti turbolenti.
L'efficienza di questo trasporto deve essere simile tra il giovane Sistema Solare e il sistema di Beta Pictoris.
Eppure Beta Pictoris ha una massa maggiore di quella solare, è otto volte più brillante e la sua architettura
planetaria è molto differente rispetto al nostro attuale Sistema Solare
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
UNA STELLA A RISCHIO
Scoperta da un gruppo di astronomi americani una stella che orbita attorno al buco nero al centro della
nostra galassia in appena 11 anni e mezzo. Assieme a un'altra stella poco più distante, consentirà di
misurare come la gravità del buco nero deforma lo spazio tempo. Lo studio su Science.
05/10/2012 (MEDIA INAF) - Nessun'altra
stella nella Via Lattea si avvicina così tanto
al “mostro”, il buco nero supermassiccio
che si trova al centro della nostra galassia.
S0-102, la stella descritta su Science dai
ricercatori guidati da Andrea Ghez
dell'Università della California a Los
Angeles, orbita attorno al buco nero in
appena 11 anni e mezzo. Finora si
conosceva solo una stella con un'orbita
così breve intorno al buco nero: S0-2, che
completa il suo giro in un periodo di 16
anni.
L'importanza della scoperta non è
meramente legata a un nuovo record di
velocità: combinando lo studio delle due
stelle, i ricercatori potranno ora verificare
alcune delle predizioni della relatività
einsteiniana su come lo spazio e il tempo si
deformino nelle regioni circostanti un buco
nero. “E' il modo in cui le due stelle ballano
assieme il tango che ci permetterà di
rispondere, certe misure non si potevano
fare con una stella sola” chiarisce Ghez,
che dal 1995 ha studiato e catalogato oltre
3000 stelle in orbita attorno al buco nero. Per farlo, ha usato il W.M. Keck Observatory nelle isole Hawaii
riprendendo la regione centrale della galassia con la massima risoluzione angolare possible.
Le due stelle orbitano attorno al buco nero proprio come i pianeti orbitano attorno alle stelle, su una
traiettoria ellittica. Misurando l'ellisse è possibile risalire alla massa del buco nero. Ma soprattutto,
studiando come la traiettoria devia rispetto a un'ellisse perfetta quando la stella è nel punto più vicino al
buco nero, è possibile rilevare la curvatura dello spaziotempo che è il “marchio di fabbrica” della relatività
generale. Per farlo naturalmente serviranno misure di estrema precisione dell'orbita delle due stelle, in
particolare di questa appena scoperta, molto meno luminosa dell'altra. Per riuscirci, Ghez e i colleghi
contano soprattutto su futuri telescopi di nuova generazione come il Thirty Meter Telescope (TMT), che
dovrebbe sorgere sempre a Mauna Kea nelle Hawaii dove già si trova il telescopio Keck..
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
UNA NOVA A RAGGI X PER SWIFT
Una rara Nova X, un segnale della possibile presenza di un buco nero in un sistema binario.
05/10/2012 (MEDIA INAF) - Può
essere definita la settimana dei
Buchi Neri, oggetti che solo in senso
lato hanno a che fare con vicende
recenti che però al contrario non
hanno nulla del loro fascino. Prima
Nature, poi Science, le due più
prestigiose riviste scientifiche al
mondo, hanno pubblicato lavori
dedicati a scoperte relative ai buchi
neri. La stella sul ciglio del burrone,
pronta per cadere a capofitto nel
buco nero al centro della nostra
galassia (vedi media inaf) o il doppio
buco nero trovato nell'ammasso globulare M22, sempre nella nostra galassia. E non si poteva concludere
questa settimana con la rilevazione di un altro buco nero. Ma questa volta non è tanto il buco nero che
deve attrarre la nostra attenzione, quanto la rara Nova X che ha permesso di rilevarlo. Infatti una Nova X è
una sorgente che emette raggi X per un breve lasso di tempo, compare all'improvviso nel cielo X, raggiunge
il massimo della sua emissione nel giro di alcuni giorni e poi decade lentamente su tempi scala di mesi. La
comparsa di una sorgente brillante di raggi X è dovuta all'improvvisa caduta di una copiosa quantità di gas
che precipita su un oggetto compatto: una stella di neutroni o un buco nero.
Tutto questo è stato possibile grazie al satellite della NASA Swift, che lo scorso 16 settembre ha registrato
un lampo di raggi X duri, provenienti da una sorgente situata in direzione del centro della nostra galassia. Le
prodezze del satellite Swift non sono nuove alle nostre cronache, visto il forte contributo italiano con INAF
e ASI, ma in questa occasione sembra essersi superato, almeno a leggere le parole Neil Gehrels PI della
missione: “La scoperta di una nuova nova nella banda X è un evento molto raro”. Le emissioni X della Nova
hanno “attivato” il Burst Alert Telescope a bordo di Swift due volte nella mattina del 16 settembre ed
un'altra volta il giorno successivo. “Questa ripetuta esplosione di raggi X e la sua posizione, situata a
qualche grado dal centro della nostra galassia verso la costellazione del Sagittario, hanno fatto
immediatamente capire che non si trattava di un Gamma Ray Burst” dice Gianpiero Tagliaferri dell'Istituto
Nazionale di Astrofisica e Responsabile Scientifico del team Italiano nel progetto Swift.
“L'andamento che stiamo osservando nei raggi X è tipico delle nove in cui l'oggetto centrale è un buco nero.
Quando l'emissione X sarà cessata speriamo di poter misurare la sua massa e confermare la presenza del
buco nero” dice Boris Sbarufatti giovane astronomo dell'Osservatorio Astronomico di Brera dell'INAF, che
attualmente lavora presso il centro operativo di Swift della Penn State University, in Pennsylvania. Il buco
nero deve far parte di un sistema binario con una stella compagna di tipo solare, un sistema che gli
astronomi chiamano “binaria X di piccola massa”.
“Swift – ricorda Barbara Negri, Responsabile ASI Esplorazione e Osservazione dell'Universo – è un satellite
dedicato allo studio dei GRB a cui contribuiscono sia ASI che INAF. In particolare l'Italia ha fornito gli specchi
del telescopio X (XRT) e mette a disposizione la stazione di terra di Malindi”.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
UNA STELLA SI ACCENDE NELL’ACQUA
Scoperta per la prima volta grazie alle osservazioni del satellite dell’ESA la presenza di vapor d’acqua, pari a
2000 oceani terrestri, in una nube di gas e polveri dove sta formandosi una stella simile al Sole. Un risultato
di fondamentale importanza nello studio dei processi che portano alla formazione dei sistemi planetari, tra
cui il nostro Sistema solare..
09/10/2012 (MEDIA INAF) - hissà come sarà tra qualche centinaio di milioni di anni il sistema stellare che si
sta formando nella nube L1544, in direzione della costellazione del Toro. Magari attorno a quel nuovo astro
che avrà caratteristiche simili al nostro Sole si formeranno pianeti su cui potrebbero svilupparsi forme di
vita. È di sicuro ancora troppo presto per dirlo, ma oggi gli scienziati sanno per certo che lì, in
quell'ammasso ancora informe di polveri e gas, c'è un ingrediente che è tra quelli fondamentali per
sostenere la vita, almeno nelle forme che conosciamo: l'acqua.
A rivelare la presenza di questo elemento, osservato per la prima volta anche sotto forma di vapore in
quella che può essere considerata la ‘culla' di una nuova stella e di un futuro sistema planetario, è stato lo
studio condotto da un team di ricercatori guidato da Paola Caselli dell'Università di Leeds e associata INAF a
cui partecipano Claudio Codella dell'INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri e Brunella Nisini dell'INAFOsservatorio Astronomico di Roma. Determinanti per la scoperta sono state le osservazioni condotte dal
satellite dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA) Herschel Space Observatory e del suo spettrometro HIFI
(Heterodyne Instrument for the Far-Infrared spectrometer).
Erano anni che gli astronomi cercavano di misurare l'abbondanza dell'acqua nelle nubi pre-stellari, ma
senza successo. Solo l'entrata in funzione del telescopio spaziale Herschel, lanciato nel 2009, ha permesso
finalmente di rivelarne la presenza in quelle regioni dove stanno formandosi nuovi astri. “Il motivo di
questa difficoltà è che l'interno delle nubi pre-stellari è troppo freddo perché l'acqua sia in forma di vapore
e possa essere osservata” dice Claudio Codella. “Infatti riteniamo che la maggior parte dell'acqua sia
congelata sulla superficie dei grani di polvere che compongono le nubi, ricoprendoli con spessi mantelli di
ghiaccio, dove anche altre molecole organiche si formano e rimangono intrappolate. Questi grani di polvere
sono i costituenti principali delle future comete, asteroidi, lune e pianeti”.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
Insomma, veri e propri mattoni che stanno alla base di tutto il processo della formazione di stelle e pianeti,
che per questo possono fornirci informazioni fondamentali anche sulla nostra origine. È quindi
estremamente importante studiare la loro composizione chimica ed in particolare la quantità
dell'ingrediente cruciale per la vita: l'acqua.
E in questo ambito, le misure di Herschel hanno davvero prodotto dei risultati eccezionali, non fermandosi
solo a individuare la presenza di acqua in L1544, ma spingendosi fino a consentire agli scienziati di stimare
la sua abbondanza nella nube. “Grazie allo strumento HIFI a bordo di Herschel, il vapor d'acqua è stato
finalmente non solo rivelato in una nube pre-stellare, ma addirittura quantificato” sottolinea Brunella
Nisini. “La massa totale di vapor d'acqua individuata il L1544 è corrispondente a circa 2000 oceani terrestri,
mentre è presente una ben più grande riserva di acqua ghiacciata, corrispondente a circa 2,6 masse di
Giove. Questo valore è stato stimato in base a modelli chimici che riproducono la quantità di vapor d'acqua
osservato”.
HIFI ha identificato nello spettro della radiazione infrarossa proveniente da L1544 una riga prodotta
dall'acqua sia in emissione che in assorbimento, con un profilo che indica che il collasso gravitazionale della
nube è appena iniziato: le molecole di acqua osservate stanno muovendosi verso il centro della nube, la
culla della futura stella.
“Per mantenere l'acqua in forma di vapore nel centro freddo e denso della nube,è necessaria la presenza di
particelle energetiche (raggi cosmici Galattici)”, spiega Paola Caselli, che ha guidato il lavoro i cui risultati
sono in corso di pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal Letters. “I raggi cosmici entrano nella
nube, collidono con l'idrogeno molecolare, ovvero l'ingrediente gassoso più' abbondante, il quale a sua
volta produce una debole luce ultravioletta. Questa illumina i mantelli ghiacciati della polvere, liberando le
molecole dell'acqua e mantenendo il vapor d'acqua ad un livello che solo Herschel è in grado di rivelare”.
I risultati ottenuti con le misure di Herschel rivelano la stretta connessione tra polvere e gas in una nube,
appena prima la formazione di una stella e forniscono la prima osservazione dell'abbondanza di acqua
all'interno di una nube genitrice di una futura stella come il nostro Sole e del suo potenziale sistema
planetario. Queste fondamentali osservazioni sono tutte italiane, in quanto sono state ottenute utilizzando
il tempo garantito italiano dello strumento HIFI di Herschel, ricevuto per il coinvolgimento del nostro Paese
nella costruzione dello strumento. HIFI è stato progettato e costruito da un consorzio di agenzie, istituti di
ricerca e dipartimenti universitari europei, canadesi e americani. Per l'Italia ha partecipato l'Agenzia
Spaziale Italiana, l'INAF-IFSI e l'INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
R SCULPTORIS MESSA A NUDO
È la prima volta che si riesce a guardare 'dentro' il guscio di una gigante rossa. E quello che hanno visto gli
astronomi era del tutto inaspettato. Una struttura di materiale a spirale giustificabile solo dalla presenza di
un'altra stella orbitante.
11/10/2012 (MEDIA INAF) - Un guscio
con una spirale all'interno. È la scoperta
fatta da un team di astronomi usando il
radiotelescopio ALMA (Atacama Large
Millimeter/submillimeter Array) dell'ESO.
Gli astronomi, autori della ricerca che
appare sull'edizione settimanale di
Nature, hanno infatti scoperto una
struttura a spirale del tutto inaspettata
nel materiale che circonda la vecchia
stella R Sculptoris, una gigante rossa.
“È la prima volta che una struttura di
questo tipo, con un guscio sferico esterno, viene trovata intorno a una gigante rossa”, ci dice Claudia
Paladini astrofisica italiana che lavora all'Università di Vienna e tra gli autori della ricerca.
Il guscio sferico esterno non è una novità, è il materiale che viene espulso da una gigante rossa , cioè da una
stella morente. “ALMA ha però permesso” – aggiunge Claudia Paladini – “di poter andare più a fondo nel
guscio scoprendo una spirale di materiale espulso. E questo, secondo i modelli al computer che abbiamo
eseguito, testimonia la presenza di un'altra stella orbitante R Sculptoris, che si dimostra essere un sistema
binario”.
Poiché espellono grandi quantità di materia, le giganti rosse come R Sculptoris sono tra i principali
produttori di quella polvere e quel gas che rappresentano la maggior parte della materia prima che formerà
le future generazioni di stelle, di sistemi planetari e successivamente di esseri viventi.
“Infatti – spiega Claudia Paladini – R Sculptoris è una stella con un'atmosfera ricca di carbonio, e il carbonio
è una delle basi della vita così come la conosciamo”.
Ma c'è un altro elemento che rende l'analisi di R Sculptoris con ALMA particolarmente significativo:
nell'ultima fase della loro vita, le stelle di massa fino a otto volte quella del Sole diventano giganti rosse e
perdono grandi quantità di massa in un denso vento stellare. Durante la fase di gigante rossa le stelle
mostrano periodicamente pulsazioni termiche, brevi fasi in cui uno strato di elio intorno al nucleo della
stella brucia in modo esplosivo. Gli impulsi termici si verificano ogni 10000 – 50000 anni e durano solo
poche centinaia d'anni. “Le nuove osservazioni di R Sculptoris considerate in relazione alla sua stella binaria
– dice l'astrofisica co-autrice dello studio – ci hanno permesso di stabilire che l'ultimo impulso termico è
avvenuto circa 1800 anni fa ed è durato circa 200 anni. E che la stella compagna ha modellato la struttura a
spirale nel vento di R Sculptoris”. Ed è la prima volta che si riesce a determinare quando e durata del
processo.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
UNA FONTANA NEL CIELO
Il telescopio spaziale Hubble immortala una nebulosa planetaria in formazione: una immagine bellissima
che però ha arrovellato il cervello degli astrofisici per molto tempo.
11/10/2012 (NASA) - L'universo è
pieno di strani oggetti, molti dei quali
sono tanto strani quanto belli. Tra
questi, le nebulose planetarie sono
probabilmente
uno
dei
più
affascinanti del cielo notturno.
Nessun altro tipo di oggetto ha una
così ampia varietà di forme e
strutture. Il telescopio NASA/ESA
Hubble ha fornito una bellissima
immagine di Hen 3-1475, una
nebulosa planetaria in formazione.
Le nebulose planetarie sono gusci di
gas in espansione provenienti dalla
morte di stelle di taglia medio
piccola. Il loro bagliore è dovuto alla
radiazione che proviene dal nucleo
caldo della stella, che resta dopo
aver espulso gli strati più esterni.
Ogni nebulosa planetaria è unica in sé: Hen 3-1475 è un grande esempio di nebulosa in formazione, una
fase nota come nebulosa protoplanetaria.
La stella non è ancora calda abbastanza da ionizzare il guscio di gas, perché il nucleo ancora non è del tutto
nudo, così la nebulosa non brilla di luce propria ma del riflesso della radiazione. Quando il nucleo avrà
espulso tutto il materiale, la nebulosa inizierà ad essere irradiata maggiormente e il suo gas sarà ionizzato
dando vita alla nebulosa planetaria vera e propria.
Hen 3-1475 si trova nel Sagittario a circa 18.000 anni luce da noi. La stella centrale è più luminosa del Sole
di circa 12 mila volte e presenta un anello di polvere unitamente a due getti a forma di S che emergono
dalle regioni polari. Questi getti sono dati da gas ad alta velocità, che viaggia a centinaia di chilometri al
secondo.
La formazione di questi getti bipolari ha incastrato a lungo gli astronomi: come può una stella sferica dar
vita a strutture così complesse? Recenti studi mostrano che la forma particolare e la velocità dei getti sono
create da una sorgente centrale che espelle flussi di gas in direzioni opposte e che precede una volta ogni
migliaia di anni (precede, inteso come movimento di precessione). E' come un enorme innaffiatore per
giardino rotante al centro della notte, e non a caso questo oggetto è chiamato "garder-sprinkler Nebula".
L'immagine è stata scattata dall Wide Field Camera 3 di Hubble Space Telescope.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
FILAMENTI PER HERSCHEL
Splendide immagini dell'osservatorio spaziale dell'ESA, che svela dettagli e segreti di una regione di
formazione stellari nella zona di Cygnus X.
12/10/2012 (Herschel) - L'immagine
mostra DR21, una struttura a filamento
molto massiva orientata da nord a sud
nella regione di intensa formazione
stellare di Cygnus X. Risiede ad una
distanza di circa 4500 anni luce dalla Terra
nella costellazione del Cigno.
Una combinazione di tre mappe ottenute
dall'osservatorio spaziale Herschel dell'ESA
rivela delle strutture molto dettagliate di
materiale interstellare freddo, in colore
rosso. Questo materiale è organizzato in
filamenti, molti dei quali convergono verso
la zona principale. Questi filamenti
appaiono di circa 1 anno luce in diametro,
mentre altre osservazioni hanno indicato
che alcuni di questi materiali sembrano
cadere all'interno della struttura centrale.
Quando la materia collassa nel filamento si
raffredda, il che la rende più rossa
nell'immagine.
All'interno della struttura, sorgenti bianche compatte e brillanti indicano stelle giovanissime in formazione,
comprese alcune di massa molto elevata. Lungo l'intero filamento, che abbraccia circa 13 anni luce, ci sono
22 ammassi densi di gas e polvere dai quali si stanno formando nuove stelle massive. Dato l'ammasso di gas
nella regione, DR21 dovrebbe diventare il più massivo giovano ammasso stellare della regione di Cygnus X.
Herschel ci mostra anche l'evoluzione della formazione stellare lungo DR21, che aumenta la propria
brillantezza grazie al gas ed alla polvere riscaldati dalle stelle massive. Verso l'alto, i filamenti più piccoli
sono ancora in fase di fusione quindi la formazione stellare è ancora in fase di innesto.
Le stelle di grande massa sono rare relativamente a quelle simili al sole ma a causa della loro immensa
radiazione e la loro morte violenta hanno una forte influenza sull'evoluzione del mezzo interstellare della
Galassia. Soffiando venti molto forti, scavano delle bolle nelle nebulose ed alcune si notano anche in questa
regione di DR21.
L'immagine porta a pensare che la convergenza di filamenti in aree come questa sia un modo naturale per
formare ammassi contenenti stelle di grande massa.
Il nome DR21 deriva dai due astronomi, Downes e Rinehart, che per primi hanno catalogato l'oggetto negli
anni Sessanta.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
VENTI STELLARI INCOLLISIONE
Per la prima volta, XMM-Newton e Swift osservano la collisione tra venti stellari emessi da due potenti
stelle in sistema binario nel Cigno.
12/10/2012 (ESA) - Due stelle massive
in orbita reciproca vedono collidere i
propri venti stellari e grazie a XMMNewton dell'ESA ed a Swift della NASA
per la prima volta possiamo osservare
questo fenomeno.
I venti stellari, spinti via dalla
superficie delle stelle massive tramite
intensa radiazione, possono avere una
profonda influenza sull'ambiente
circostante. In alcuni posti possono
innescare il collasso di nubi circostanti
di polvere e gas dando vita a
formazione stellare.
In altri casi possono soffiar via le nubi prima che queste possano iniziare a produrre stelle. Ora, XMMNewton e Swift hanno trovato una stele di Rosetta per questi venti in un sistema binario noto come Cyg
OB2 #9, posto in una regione di formazione stellare nel Cigno laddove i venti di due stelle massive in
reciproca orbita collidono ad elevate velocità. Cyg OB2 #9 è rimasto un puzzle per tanti anni: le sue peculiari
emissioni radio avrebbero potuto essere spiegate se l'oggetto non fosse stato una singola stella ma un
sistema binario, e questa ipotesi è stata confermata nel 2008.
Al tempo della scoperta, tuttavia, non c'era la prova della collisione dei venti. La firma spettrale avrebbe
potuto essere stata trovata seguendo le stelle al punto di maggior vicinanza reciproca della loro orbita,
percorsa in 2,4 anni: una opportunità che si è presentata tra giugno e luglio 2011.
I potenti venti stellari, nel momento in cui il telescopio spaziale si è voltato a guardarli, stavano sbattendo
l'uno contro l'altro a velocità di qualche milione di chilometri per ora, generando un plasma riscaldato a
milioni di gradi in grado di emettere a raggi X.
I telescopi hanno registrato incrementi energetici che sono stati poi confrontati con la normale emissione X
osservata nel momento in cui le stelle si trovavano nel punto orbitale più distante.
Ci sono pochissimi altri esempi di venti in sistemi binari, ma questo può realmente essere considerato
l'archetipo di questo fenomeno.
In altri esempi la collisione è turbolenta. I venti di una stella possono andare a collidere sull'altra stella nel
momento di maggior vicinanza causando una caduta di emissione in raggi X, ma in Cyg OB2 #9 non si
verifica questa osservazione quindi si ha soltanto collisione tra venti stellari.
Questo particolare sistema binario rappresenta una pietra importante nella nostra conoscenza delle
collisioni di venti stellari e delle emissioni associate.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
FILAMENTI IN 3D E SORPRESE SULLA MASSA
Un nuovo studio del RAS mostra come più della metà della materia dell'universo potrebbe essere presente
laddove i filamenti cosmici si incontrano.
16/10/2012 (Royal Astronomical Society) - Gli astronomi addetti all'Hubble Space Telescope hanno studiato
un gigantesco filamento di materia oscura in 3D per la prima volta. Esteso a 60 milioni di anni luce da una
dei più massivi ammassi di galassie noti, il filamento è parte della rete cosmica che costituisce la struttura a
larga scala dell'universo, resto dei primi momenti dopo il Big Bang. Se l'enorme massa misurata è
rappresentativa del resto dell'universo, allora queste strutture possono contenere più della metà di tutta la
massa nota nell'universo stesso. Il lavoro è presentato su un articolo inserito in Monthly Notice of the Royal
Astronomical Society.
La teoria del Big Bang predice che le variazioni nella densità di materia avvenute nei primi momenti
dell'universo hanno portato a grumi di materia nel cosmo, fino a condensarsi in una rete di filamenti.
Questa visione è supportata dalle simulazioni al computer riguardanti l'evoluzione cosmica, che portano a
pensare ad un universo strutturato come una rete, con lunghi filamenti che si connettono tra di loro in
punti occupati da massivi ammassi di galassia. Questi filamenti, anche se vasti, sono formati principalmente
da materia oscura, incredibilmente difficile da osservare.
La prima convincente identificazione di una sezione di uno di questi filamenti risale agli inizi del 2012. Oggi
un team di astronomi è andato oltre, entrando nella struttura del filamento in tre dimensioni. Osservare un
filamento in 3D elimina molte delle inesattezze e lacune che comportano le immagini in doppia
dimensione.
Il team ha combinato immagini ad alta risoluzione della regione intorno all'ammasso galattico MACS
J017.5+3745, ottenute da Hubble, dal Subaru Telescope del NAOJ e dal Canada-France-Hawaii Telescope,
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
con i dati spettrografici delle galassie presi dal WM Keck Observatory e dal Gemini. Analizzando tutto
questo si ottiene una visione completa della forma del filamento oltre la nostra linea di visuale.
Diversi ingredienti hanno consentito di ottenere questo modello in 3D.
Primo: un obiettivo molto promettente. Le teorie di evoluzione cosmica portano a pensare che gli ammassi
galattici si formino laddove i filamenti della rete cosmica si incontrano, con i filamenti stessi a fornire
materia agli ammassi. L'ammasso studiato è attualmente in crescita e questo è sicuramente un buon punto
di partenza per studiare la rete cosmica.
Secondo ingrediente: tecniche di lensing gravitazionale avanzato. La teoria della relatività generale di
Einstein sostiene che il percorso della luce è deviato dal passaggio ravvicinato con grandi masse. I filamenti
sono formati in gran parte da materia oscura, non visibile direttamente, ma la loro massa è abbastanza
grande da deviare la luce e distorcere le imagini delle galassie di sfondo, in un processo chiamato lente
gravitazionale. Il team ha sviluppato nuovi strumenti per convertire l'immagine distorta in una mappa della
massa.
Terzo ingrediente: immagini ad alta risoluzione. La lente gravitazionale è un fenomeno subdolo e necessita
di immagini molto dettagliate. Le osservazioni di Hubble hanno consentito di studiare la precisa
deformazione nella forma di numerose galassie amplificate dall'effetto. Questo a sua volta ha rivelato la
localizzazione degli addensamenti della materia oscura.
Ultimo: misure di distanza e movimento. Le osservazioni di Hubble hanno dato le mappe migliori mai
ottenute in due dimensioni, per quanto riguarda un filamento, ma per vederne la forma in 3D occorrono
ulteriori oservazioni e dati. Le immagini a colori, così come le velocità misurate con la spettrometria,
utilizzano quindi i dati di altri telescopi consentendo di localizzare migliaia di galassie nel filamento e
capirne il moto.
Un modello che combina dati posizionali e di velocità per tutte le galassie è stato costruito fino a ricostruire
la forma in 3D del filamento. Come risultato, il team è stato in grado di misurare le vere proprietà della
elusiva struttura senza più incertezze e dubbi provenienti dalle sole due dimensioni.
I risultati ottenuti spingono i limiti delle predizioni fatte dai modelli teorici e dalle simulazioni numeriche.
Con una lunghezza di almeno 60 milioni di anni luce, il filamento è estremo persino su larga scala e se la
massa misurata fosse davvero rappresentativa dei filamenti posti nei pressi degli ammassi giganti allora
questi legami diffusi tra i nodi della rete cosmica potrebbero contenere persino più massa di quanto
teorizzato finora. In tal modo, metà di tutta la massa dell'universo potrebbe nascondersi proprio in queste
strutture.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
SUPERNOVA AL TITANIO
Uno studio russo pubblicato su Nature misura la quantità di titanio generato dalla Supernova 1987A,
misurando le righe di emissione dell'elemento nei raggi X. Un altro brillante risultato permesso dalla
missione INTEGRAL dell'ESA, che festeggia i dieci anni..
18/10/2012
(MEDIA
INAF) - Siamo tutti
polvere
di
stelle.
Provengono dalle stelle
gli elementi chimici
pesanti di cui siamo in
parte fatti e di cui sono
composti gli oggetti
che ci circondano,
come silicio, zolfo,
ferro, nickel. Ma anche
titanio.
Sono
per
l'appunto il titanio e la
misura
della
sua
abbondanza
i
protagonisti di un
recente
articolo
realizzato grazie ai dati
della missione INTEGRAL e pubblicato oggi su Nature. L'articolo ha riscosso un grande successo al meeting
annuale dedicato alla missione che si sta svolgendo in questi giorni a Parigi e rappresenta un ottimo modo
per celebrare i primi dieci anni di volo del telescopio spaziale dell'ESA.
L'articolo è firmato da un gruppo di ricercatori dello Space Research Institute di Mosca capitanati dal russo
S.A. Grebenev, e riporta la misura della quantità di titanio 44 (un isotopo di questo elemento chimico)
generato nella Supernova 1987 A. Il titanio è un elemento che non si trova libero in natura ma è presente in
molti minerali (corrisponde allo 0,6% della massa terrestre) ed è ampiamente utilizzato nell'industria per la
realizzazione di utensili in grado di resistere a temperature estreme. Fino ad oggi, la sua provenienza era
ignota. Era uno degli elementi pesanti che finora si poteva solo ipotizzare venissero generati nelle
esplosioni delle supernovae.
I modelli teorici individuavano nel decadimento radioattivo di questo elemento un contributo possibile alla
emissione infrarossa, ottica e ultravioletta delle supernovae. O dei loro resti, poiché il contributo del titanio
non avrebbe luogo nei primissimi anni dopo l'esplosione della supernova, periodo dominato dal
decadimento del cobalto, ma entrerebbe in gioco in una fase successiva.
A riprova sperimentale di questi modelli teorici, le osservazioni di INTEGRAL hanno permesso di realizzare
una stima diretta della quantità di titanio nella Supernova 1987 A, misurando le righe di emissione
dell'elemento nei raggi x. Una conferma sperimentale mai ottenuta in passato in modo così preciso e
diretto.
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Pag. 65
Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
Ma come spesso accade nella storia della ricerca scientifica, il risultato odierno prende spunto da un
passato lontano, ben precedente al lancio della missione. Racconta Pietro Ubertini, protagonista della
ricerca italiana nell'astrofisica delle alte energie e attuale Direttore dello IAPS di Roma: “Quella della
Supernova 1987 A è una caccia che va avanti da 25 anni. Ricordo molto bene quando esplose a inizio 1987
creando una vera e propria mobilitazione generale tra i ricercatori. La supernova era visibile nel continente
australiano e un paio di mesi dopo l'evento, con un gruppo di colleghi dell'allora CNR, in collaborazione con
la NASA e l'Università australiana, organizzammo una campagna osservativa da pallone ad Alice Springs, nel
centro del deserto australiano. Era un'epoca in cui la maggior parte dell'astrofisica delle alte energie era
fatta da pallone e, fin da allora, con una grande partecipazione degli italiani. Nei tempi immediatamente
successivi all'esplosione, nelle emissioni della supernova era visibile solo il cobalto. Per i due decenni
successivi, prima da pallone poi dallo spazio, sono stati condotti una serie infinita di esperimenti per
cercare e misurare gli elementi generati nell'attività di questa supernova.”
Una ricerca approdata oggi ai risultati forniti da INTEGRAL e pubblicati proprio nel decimo anniversario dal
lancio della missione, avvenuto il 17 ottobre 2002 dal cosmodromo di Baikonur, nel Kazakhstan. Grazie alla
sua copertura del cielo nella banda energetica che va dai raggi X ai raggi gamma a bassa energia, INTEGRAL
ha colmato la lacuna elettromagnetica tra i telescopi satellitari che lavorano nei raggi X e gli osservatori
terrestri che indagano il cielo nelle sue emissioni gamma ad altissima energia. Con il suo monitoraggio
continuo e la sensibilità senza precedenti dei suoi strumenti, INTEGRAL aveva già permesso, nei suoi dieci
anni di attività, di scoprire due nuove classi di binarie ai raggi X, di caratterizzare l'emissione diffusa alle alte
energie proveniente dalla nostra Galassia e di studiare in dettaglio i buchi neri supermassicci presenti
all'interno di galassie lontane. L'estensione della sua operatività fino al 31 dicembre 2014 colloca INTEGRAL
tra le missioni spaziali più longeve e prolifiche dell'ESA. E promette grandi risultati anche per i prossimi
anni. Continua Ubertini: “La 1987 A è stato un evento da cui abbiamo imparato molto. Ma questa
supernova è situata nella Grande Nube di Magellano all'enorme distanza di 55.000 parsec da noi (circa
182.000 anni luce). Allo stato attuale, possiamo solo immaginare cosa si potrebbe vedere se una supernova
esplodesse più vicino a noi. La comunità scientifica dell'astrofisica delle alte energie è tutta in attesa di una
supernova galattica. E' quello che tutti noi stiamo aspettando da oltre 20 anni. E speriamo vivamente che
questo possa accadere mentre INTEGRAL è ancora funzionante, poiché al momento è l'unico strumento che
ci permetterebbe di fare una radiografia completa di un evento così straordinario. Possiamo solo provare
ad immaginare quanto tutto questo farebbe avanzare la nostra conoscenza sull'evoluzione dell'Universo.”
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G2 E SCACCO MATTO
Una simulazione al computer ricostruisce il destino di una nube di gas e polveri scoperta recentemente nei
pressi del buco nero al centro della nostra galassia. A partire dal prossimo anno inizierà ad essere
"mangiata". Non scomparirà, ma verrà in buona parte disgregata.
24/10/2012 (MEDIA INAF) - Un banchetto con i
fiocchi, quello che si prepara per il buco nero
supermassiccio al centro della nostra galassia.
Che pare sul punto di inizare a mangiarsi una
misteriosa nube di gas e polveri nei suoi paraggi,
intravista dagli astronomi per la prima volta nel
2002, e studiata in maggior dettaglio solo
quest'anno. Ora, una simulazione al computer
preparate
da
tre
giovani
ricercatori
dell'Università della South Carolina prova a
mostrarci che cosa succederà quando quella
nube (chiamata G2) arriverà tanto vicina al buco
nero che questo inizierà a “mangiarla”. In breve,
G2 sopravviverà in parte, ma con una forma
diversa e un futuro incerto.
Dietro alla ricerca ci sono il fisico Peter Anninos
e gli astrofisici Stephen Murray e Chris Fragile, la
studentessa di quest'ultimo Julia Wilson. Usando un supercomputer da 3000 processori, 50 mila ore di
tempo di computazione e il codice Cosmos++ sviluppato dagli stessi Anninos e Fragile, i ricercatori hanno
condotto otto diversi scenari di simulazione in 3D, usando tutti i dati a disposizione sui due oggetti. Il buco
nero, noto come Sgr A* (Sgr sta per “Sagittario”, la zona del cielo in cui è visibile guardandolo dalla Terra) è
relativamente ben noto, e ha una massa di circa 3-4 milioni di volte il nostro Sole. Su G2 sappiamo molto
poco. La polvere al suo interrno sembra avere una temperatura di circa 550 gradi. Il gas invece, per lo più
idrogeno, arriva a 10,000 gradi Kelvin. La sua origine è ancora sconosciuta. Spiega Murray che “potrebbe
essere una vecchia stella che ha perso la sua atmosfera esterna, o qualcosa che ha tentato di diventare un
pianeta ma non ci è riuscito”.
Fatto sta che a partire dal prossimo settembre si avvicinerà troppo al buco nero, e inizierà a riscaldarsi a
temperature altissime, diventando visibile in raggi X e onde radio. La nube però non raggiungerà il punto di
non ritorno, oltre il quale un oggetto non può più sfuggire all'attrazione gravitazionale del buco nero. Ciò
non vuol dire che uscirà indenne dall'incontro. “La maggior parte della sua energia cinetica e del suo
momento angolare verrà dissipata, e si frantumerò in una struttura incoerente. Per lo più si unirà al disco di
accrescimento attorno al buco nero, o ne verrà catturata. Diventerà così diffusa che difficilmente il gas
potrà mantenere la sua traiettoria orbitale”.
L'intero evento dovrebbe consumari in meno di un decennio. La simulazione è visibile su Web, all'indirizzo
http://fragilep.people.cofc.edu/research/cloud.html
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VISTA SU 84 MILIONI DI STELLE
Utilizzando un'impressionante immagine da nove miliardi di pixel ottenuta dal telescopio infrarosso per
survey VISTA all'Osservatorio di Paranal dell'ESO, un'equipe internazionale di astronomi ha prodotto un
catalogo di più di 84 milioni di stelle.
24/10/2012 (ESO) - Utilizzando un'impressionante immagine da nove miliardi di pixel ottenuta dal
telescopio infrarosso per survey VISTA all'Osservatorio di Paranal dell'ESO, un'equipe internazionale di
astronomi ha prodotto un catalogo di più di 84 milioni di stelle, nella zona centrale della Via Lattea. Questa
gigantesca collezione di dati contiene un numero di stelle più di dieci volte maggiore rispetto agli studi
precedenti e rappresenta un significativo passo avanti per la comprensione della galassia in cui abitiamo.
Questa immagine fornisce a chi la guarda una visuale incredibile, con la possibilità di ingrandimento, sulla
zona centrale della nostra galassia. È così grande che, se la si stampasse con la risoluzione tipica per un
libro, sarebbe lunga 9 metri e alta 7.
"Osservando in dettaglio la miriade di stelle che circonda il centro della Via Lattea possiamo imparare molto
sulla formzione ed evoluzione non solo della nostra galassia, ma delle galassie a spirale in generale", spiega
Roberto Saito (Pontificia Universidad Católica de Chile, Universidad de Valparaíso e The Milky Way
Millennium Nucleus, Cile), autore principale dello studio.
La maggior parte delle galassie a spirale, tra cui la nostra ospite, la Via Lattea, presentano una grande
concentrazione di stelle molto vecchie che circonda il centro, chiamato dagli astronomi rigonfiamento
galattico. Capire la formazione e l'evoluzione del rigonfiamento della Via Lattea è fondamentale per
comprendere la galassia nella sua interezza. Non è facile però ottenere osservazioni dettagliate di questa
regione.
"Le osservazioni del rigonfiamento galattico della Via Lattea sono molto difficili perchè il rigonfiamento
risulta oscurato dalla polvere" dice Dante Minniti (Pontificia Universidad Catolica de Chile, Cile), coautore
dello studio. "Per penetrare nel cuore della galassia dobbiamo osservare in luce infrarossa, che viene meno
influenzata dalla polvere".
Il grande specchio, l'ampio campo di vista e i rivelatori infrarossi molto sensibili del telescopio VISTA (Visible
and Infrared Survey Telescope for Astronomy) da 4,1 metri di diametro lo rendono il miglior strumento per
questo scopo. L'equipe di astronomi utilizza dati del programma VVV (VISTA Variables in the Via Lactea),
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
una delle sei survey pubbliche effettuate con VISTA. I dati sono stati usati per creare una monumentale
immagine a colori di 108200 per 81500 pixel, per un totale di nove miliardi di pixel. Questa è una delle più
grandi immagini astronomiche mai realizzate. L'equipe ha ora utilizzato questi dati per compilare il più
grande catalogo mai prodotto delle concentrazioni di stelle nel cuore della Via Lattea.
Per aiutare l'analisi di questo catalogo enorme viene rappresentata graficamente la magnitudine di
ciascuna stella in funzione del colore, in quello che si chiama diagramma colore-magnitudine. Questo
grafico, realizzato per la prima volta per l'intero rigonfiamento galattico, contiene un numero di stelle più di
dieci volte maggiore di quello degli studi precedenti. I diagrammi colore-magnitudine sono strumenti
importanti usati spesso dagli astronomi per studiare le diverse proprietà fisiche delle stelle, come
temperatura, massa ed età.
"Ogni stella occupa, in ogni momento della propria vita, una regione precisa in questo diagramma che
dipende da quanto la stella è brillante e calda. Poichè i nuovi dati ci offrono un'istantanea di tutte le stelle
in un colpo solo, possiamo censire tutte le stelle in questa zona della Via Lattea", spiega Dante Minniti.
Il nuovo diagramma colore-magnitudine del rigonfiamento galattico contiene una miniera di informazioni
sulla struttura e sul contenuto della Via Lattea. Un risultato interessante svelato con i nuovi dati è il grande
numero di nane rosse poco luminose. Queste sono ottimi candidati per la ricerca con il metodo del transito
di nuovi esopianeti di piccole dimensioni.
"Uno dei punti importanti del programma VVV è che è una delle survey pubbliche di VISTA effettuate
dall'ESO. Questo significa che rendiamo pubblici tutti dati attraverso l'archivio dell'ESO: ci aspettiamo
perciò molti altri risultati interessanti da questa grande risorsa," conclude Roberto Saito.
STELLE IMMERSE NELLA MATERIA OSCURA
L’eccesso di fondo cosmico a infrarossi potrebbe essere dovuto, almeno in parte, a popolazioni di stelle
immerse negli aloni di dark matter che circondano le galassie.
24/10/2012 (MEDIA INAF) Strappate dalle loro galassie di
origine, vagano senza più radici
immerse nella materia oscura. Gli
astronomi le chiamano “stelle
intra-halo”, non più legate
gravitazionalmente a una singola
galassia. Ma i loro effetti
continuano a farsi sentire. Un
risultato in uscita questa
settimana su Nature – ottenuto
analizzando i dati raccolti con il
telescopio spaziale a infrarossi
Spitzer della NASA da un team di
astronomi guidato da Asantha Cooray, dell'Università della California sede di Irvine – le addita come
possibili fonti della radiazione infrarossa di fondo in eccesso, un enigma sul quale gli scienziati s'interrogano
da tempo.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
Sembra infatti esserci nell'universo più luce di quella che dovrebbe. Ovvero, sommando tutta la luce
emessa dalle galassie conosciute si ottiene un risultato inferiore a quella effettivamente osservata, anche
sotto forma di fluttuazione, in banda infrarossa. Due, fino a oggi, erano le ipotesi sull'origine di questo
sovrappiù: galassie troppo lontane per essere individuate, oppure galassie vicine ma ancora sconosciute in
quanto troppo deboli. Entrambe le spiegazioni sono però incompatibili con i dati ottenuti da Spitzer, dice
Edward Wright, professore a UCLA e coautore dello studio uscito su Nature.
Ecco così entrare in gioco le stelle immerse nella materia oscura. «Secondo il nostro modello», dice infatti
Francesco De Bernardis, dal 2010 ricercatore postdoc nel gruppo di Cooray (dopo un dottorato a La
Sapienza di Roma), raggiunto al telefono da Media INAF, «la presenza delle stelle “intra-halo” è in grado di
spiegare i dati raccolti nel vicino infrarosso».
Insomma, la materia oscura, punteggiata di stelle abbandonate, non è poi così oscura come ci si aspettava?
«Il risultato che abbiamo ottenuto è certo interessante, ma occorre attendere ulteriori osservazioni»,
avverte De Bernardis, «perché noi ci siamo concentrati su due specifiche frequenze del vicino infrarosso,
ma saranno necessarie analisi anche in altre frequenze per una conferma del nostro modello».
UN BUCO NERO PICCOLO PICCOLO
I dati ottenuti da Chandra e XMM-Newton per la galassia NGC 4178 portano ad una stima del buco nero
centrale di sole 200 mila masse solari. Eppure i modelli non ne prevedevano neanche la presenza.
25/10/2012 (CHANDRA) - Uno
dei buchi neri meno massivi
mai osservati al centro di una
galassia è stato identificato
grazie a Chandra, l'osservatorio
della NASA, unitamente ad altri
osservatori. La galassia-madre
è di un tipo che non ci si
aspettava potesse contenere
un buco nero supermassivo
quindi si presume che questo
possa avere una diversa
origine.
Il buco nero è posto al centro
della spirale NGC 4178,
mostrata nell'immagine della
Sload Digital Sky Survey. Il
quadrato in risalto mostra una
sorgente X nella posizione del
buco
nero,
al
centro
dell'immagine di Chandra. Una
analisi dei dati porta a stimare una massa davvero povera rispetto a quella dei cugini supermassivi che
occupano i centri galattici.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
I risultati sono pubblicati su Astrophysical Journal del 1 luglio da Nathan Secrest della George Mason
University, Virginia.
Le proprietà della sorgente X, incluse brillantezza e spettro, e la sua brillantezza alla lunghezza infrarossa,
indicano che il buco nero stia rapidamente acquisendo materiale dalle zone circostanti. Gli stessi dati
indicano che la luce generata dal materiale in caduta sia pesantemente assorbita dal gas e dalla polvere che
circondano il buco nero stesso.
Una nota relazione tra la massa del buco nero e l'ammontare della radiazione X generata è stata utilizzata
per stimare la massa dell'oggetto. Questo metodo fornisce una stima minore di 200.000 masse solari.
Questo combacia con le stime provenienti da altri metodi impiegati ed è minore rispetto ai tipici buchi neri
galattici che "pesano" da milioni a miliardi di masse solari.
NGC 4178 è una spirale posta a 55 milioni di anni luce dalla Terra. Non contiene un bulge centrale di stelle
concentrate. Oltre NGC 4178, altre quattro galassie senza bulge sono ritenute ad oggi potenziali contenitrici
di buchi neri supermassivi. Di questi quattro buchi neri, due hanno masse che potrebbero essere prossime
a quelle del buco nero in NGC 4178.
La massa del buco nero in NGC 4395 è stimata in circa 360.000 masse solari, come pubblicato da Peterson e
collaboratori il 20 ottobre 2005 su Astrophysical Journal.
Precedentemente gli astronomi avevano scovato una correlazione molto stretta tra la massa del buco nero
e la massa del bulge delle galassie ospitanti. I modelli teorici sviluppati per spiegare questi risultati invocano
la fusione tra galassie e predicono che le galassie senza un bulge non possiedono, probabilmente, un buco
nero centrale supermassivo. Il risultato trovato per NGC 4178 e per le quattro galassie "parenti" va contro
queste predizioni e può suggerire la presenza di più meccanismi di formazione per i buchi neri centrali.
Altre tre sorgenti X sono presenti nelle immagini di Chandra: se queste appartengono a NGC 4178 si tratta
probabilmente di sistemi binari comprendenti un buco nero o una stella di neutroni. Il più brillante dei tre
potrebbe essere un buco nero di massa intermedia, con una massa di circa 6000 masse solari.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
UNA PULSAR VELOC E ACCOMPAGNATA
Si chiama J1311-3433 ed è il primo pulsar velocissimo e il primo in un sistema binario trovato nelle ricerche
“alla cieca” basate solo sui dati del satellite Fermi. La scoperta dell’Einstein Institute di Hannover, oggi su
Science Express.
26/10/2012 (MEDIA INAF) - La sensibilità dell'osservatorio per raggi gamma Fermi, la potenza di calcolo del
supercomputer dell'Albert Einstein Institute di Hannover e un pizzico di astuzia astronomica hanno portato
a una importante 'prima' in astrofisica: la rivelazione di un pulsar velocissimo direttamente dalla sua
emissione nei raggi gamma. La notizia appare oggi su Science Express. Il nuovo pulsar superveloce
(chiamato J1311-3433 dalle sue coordinate nel cielo) è una sorgente di raggi gamma nota da circa 20 anni,
che fino ad ora era rimasta non identificata. I dati del satellite FERMI avevano rivelato le caratteristiche
tipiche dell'emissione di una stella di neutroni, ma gli astronomi radio non avevano trovato nulla di
interessante alla posizione della sorgente.
In casi come questo, gli astronomi gamma applicano speciali algoritmi di analisi “alla cieca” per cercare di
mettere in luce le pulsazioni di una ipotetica stella di neutroni. In questo modo sono state scoperte tre
dozzine di nuovi pulsar che emettono emissione gamma pulsata ma non danno nessun segnale in radio. I
nuovi pulsar scoperti da Fermi sono stelle di neutroni isolate che ruotano con periodi di frazioni di secondo,
medio-lunghi per le stelle di neutroni. Gli astronomi sarebbero molto interessati a scoprire oggetti che
ruotano più velocemente, ma il tempo di calcolo necessario per queste ricerca “alla cieca”cresce in modo
drammatico all'accorciarsi del periodo. Per di più, i pulsar velocissimi, quelli che ruotano centinaia di volte
al secondo, sono spesso in sistemi binari con una compagna alla quale hanno succhiato materia ed energia.
Questo rende la ricerca “alla cieca” ancora più complicata perché bisogna tenere conto anche dei parametri
(ovviamente sconosciuti) di un ipotetico sistema binario. Inchiodare nei raggi gamma i pulsar superveloci
binari è già molto difficile quando le osservazioni radio forniscono con precisione tutti i parametri. Farlo alla
cieca è stato fino ad oggi un sogno proibito. Anche la rivelazione di J311-3433 sarebbe rimasto un sogno
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
proibito se non fossero intervenuti degli aiuti da altre branche dell'astronomia. Mentre le osservazioni X
hanno rivelato la probabile controparte della sorgente gamma, una fortunata sequenza di osservazioni
ottiche rivelava la presenza di una sorgente variabile in modo ritmico, con un periodo di 93 minuti, in
corrispondenza della sorgente X. Solo una stella di neutroni in un sistema binario poteva essere
responsabile di un simile comportamento. La conoscenza del periodo orbitale del sistema diminuisce lo
sforzo di calcolo richiesto che, seppure gigantesco, diventa possibile. Scienziati dello Albert Einstein
Institute di Hannover non hanno avuto esitazione e hanno dedicato alla ricerca delle pulsazioni la potenza
del loro supercomputer che, nell'attesa di potersi cimentare con la ricerca di onde gravitazionali, ha
dimostrato di essere un ottimo cacciatore di pulsar gamma. Con J1311-3433 ha trovato pane per i suoi
denti ma alla fine ce l'ha fatta: il pulsar ruota 400 volte al secondo e il sistema binario è di dimensioni molto
piccole. La stella compagna equivale ad 8 volte la massa di Giove e dista dalla stella di neutroni circa una
volta e mezza la distanza tra la terra e la Luna. Tutto il sistema starebbe comodamente all'interno del
nostro Sole (come rappresentato nella figura accanto).
E' una doppia prima, primo pulsar velocissimo e primo esempio di pulsar in un sistema binario trovato nelle
ricerche “alla cieca” partendo solo dai dati dell'osservatorio Fermi. Un sogno che diventa realtà. I
radioastronomi si sono sentiti sfidati da J1311-3433: si sono messi d'impegno e lo hanno osservato con tale
accanimento che, alla fine, il pulsar si è arreso e si è fatto vedere anche in radio. Tuttavia questo non toglie
niente alla bellezza del risultato gamma che appare oggi su Science Express.
FOMALHAUT b E’ UN PIANETA
Una nuova analisi dei dati di Hubble sembra togliere ogni dubbio sulla natura dell'oggetto che orbita
intorno alla stella Fomalhaut: si tratta di un pianeta circondato da polvere
26/10/2012 (NASA) Una seconda occhiata ai
dati di Hubble ha
rianimato l'idea per la
quale
la
stella
Fomalhaut detenga un
esopianeta massivo. Lo
studio indica che il
pianeta, noto come
Fomalhaut b, è un raro
e
unico
oggetto
completamente
circondato da polvere.
Fomalhaut è la stella più
brillante
della
costellazione del Pesce
Australe e si trova a 25
anni luce da noi. A novembre 2008 gli astronomi hanno annunciato l'esopianeta Fomalhaut b come il primo
ad essere stato direttamente immortalato in luce visibile intorno ad una stella diversa dal Sole. L'oggetto è
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
stato fotografato proprio all'interno di un grande anello di polveri che circonda la stella. Locazione e massa,
non più di tre masse gioviane, sembravano corrette per la gravità e per l'orbita all'interno dell'anello.
Recenti studi hanno invece sostenuto la non correttezza di questa interpretazione planetaria. Basati sul
moto apparente dell'oggetto e sulla mancanza di una conferma infrarossa da parte di Spitzer, gli scienziati
hanno arguito che questo oggetto potesse essere una nube di polvere di breve durata scorrelata da
qualsiasi pianeta.
Una nuova analisi, tuttavia, riporta in voga la teoria planetaria.
Sebbene i dati siano stati abbastanza controversi rispetto all'articolo che annunciava il nuovo pianeta,
sembra proprio che ad oggi la situazione sia più chiara e lasci intatta la conclusione dell'articolo stesso,
ovvero che Fomalhaut b sia in effetti un pianeta massivo. Lo studio iniziale riportava che la brillantezza del
"pianeta" fosse cambiata di un fattore due e questa sarebbe stata una evidenza del fatto che il pianeta stia
crescendo tramite acquisizione di gas. Gli studi di follow-up hanno interpretato diversamente questa
variazione, come la prova che l'oggetto sia in realtà soltanto una nube di polvere di natura temporanea.
Nel nuovo studio, gli astronomi hanno rianalizzato i dati di Hubble dal 2004 al 2006 riscoprendo il pianeta in
osservazioni ottenute in luce visibile e ottenendo nuove conferme in luce violetta: il pianeta sembra essere
rimasto con la stessa brillantezza.
Il team ha cercato di trovare Fomalhaut b in infrarosso tramite il Subaru Telescope alle Hawaii ma non è
stato possibile, il che implica che Fomalhaut b deve avere una massa minore di due masse gioviane.
Altro contenzioso riguardava l'orbita. Se Fomalhaut b è responsabile del solco nell'anello intorno alla stella,
allora deve seguire l'orbita tracciata ed ora dovrebbe essere nel tratto più lento. La velocità implicata nello
studio originale appare invece troppo alta. In più, alcuni ricercatori hanno argomentato che il pianeta abbia
seguito un'orbita inclinata che taglia il piano dell'anello.
I dati di Hubble hanno consentito di stabilire che Fomalhaut b si sta muovendo ad una velocità e con una
direzione che invece sono consistenti con l'idea originaria, quindi il solco nell'anello sembra proprio essere
stato scavato dal pianeta stesso.
Se Fomalhaut b fosse stato un semplice ammasso di polveri, del resto, le forze gravitazionali lo avrebbero
dissipato in circa 60 mila anni.
Dal momento che il pianeta è stato scoperto nella luce della polvere circostante e non per quella emessa
dalla propria atmosfera, non appartiene più ai pianeti immortalati in via diretta ma tra quelli identificati
tramite immagini dirette.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
UNA BOLLA IN STILE HALLOWEEN
Immortalata dall'ESA una bolla che somiglia al viso di un lupo e che cela il forte vento soffiato da una Wolf
Rayet
29/10/2012 (ESA) Halloween arriva anche
nello spazio sottoforma
di una faccia da
fantasmino che emette
a raggi X, così come
vista da XMM-Newton
dell'ESA. L'entità strana
è una bolla soffiata da
un vento stellare di una
stella tanto potente da
vivere velocemente e
morire
altrettanto
velocemente.
La bolla si trova a 5000
anni luce nel Cane
Maggiore e può essere
immaginata come il
muso di un cane o di un
lupo.
Abbraccia una zona di
cielo di circa 60 anni
luce di diametro ed è
stata soffiata dalla stella di Wolf-Rayet HD 50896, la stella rosa vicina al centro dell'immagine.
La bolla è il risultato di una stella massiva e calda, con massa tipicamente maggiore di 35 masse solari, che
espelle materiale attraverso un forte vento stellare. Il gas è riscaldato a un milione di gradi ed emette a
raggi X. Il plasma è evidenziato da un colore azzurro.
Quando i venti raggiungono il materiale circostante, lo accendono in tonalità di rosso così come si nota
nelle guance del viso. L'alone verde è il risultato dell'onda d'urto della radiazione stellare che raggiunge il
materiale già espulso nello spazio.
Una emissione X in alto a sinistra fornisce un orecchio al lupo mentre una regione più densa in basso a
destra completa il disegno.
Questa bolla si disperderà nell'ambiente circostante mentre la stella terminerà la propria vita come una
supernova.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –TRA LE STELLE
LE BLUE STRAGGLER DI NGC 6362
Il telescopio spaziale Hubble fornisce un close up davvero eccezionale di uno degli ammassi globulari più
antichi della Galassia, mostrando molte stelle ringiovanite
29/10/2012 (SPACE TELESCOPE) - Il telescopio spaziale Hubble offre una impressionante visione del centro
dell'ammasso globulare NGC 6362. L'immagine di questa collezione sferica di stelle entra veramente nel
centro dell'ammasso, che contiene una enorme concentrazione di astri con diversi colori.
Gli ammassi globulari sono oggetti gravitazionali che accolgono stelle antiche, con età in genere di 10
miliardi di anni e comunque molto più antiche del Sole. Sono molto comuni, se ne contano più di 150 nella
nsotra Galassia e molti altri sono stati trovati in altre galassie.
Sono le strutture più antiche dell'universo, direttamente osservabili e quindi importantissimi fossili del
cosmo. Dalla luce delle stelle si possono capire molte cose. Per molti anni sono stati infatti dei veri
laboratori per testare le teorie di evoluzione stellare.
Recentemente le precise misurazioni operate all'interno di questi ammassi hanno portato a teorie
ampiamente accettate. In particolare, alcune stelle sembrano più blu delle loro compagne anche a parità di
età, il che ha portato alla classificazione delle blue straggler. NGC 6362 ne contiene davvero tante.
Presenti prevalentemente al centro di questi oggetti, sembra che derivino dalla collisione di due stelle
antiche con relativo trasferimento di materiale in sistemi binari. Questo afflusso di nuovo materiale
rigenera le stelle, le riscalda e quindi le ringiovanisce apparentemente, fornendo un atipico colore azzurro
per stelle di una certa età.
NGC 6362 si trova a 25000 anni luce nell'Altare e fu osservato per la prima volta nel 1826 da James Dunlop.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –RIFLETTORI DEL MESE
Riflettori del mese
Gli alieni della porta accanto
I telescopi ESO svelano, anche se da confermare con una conferenza ufficiale, un pianeta di massa terrestre
intorno alla stella più vicina, Alpha Centauri. Troppo vicino alla stella, ma forse non è l'unico del sistema.
17/10/2012 (ESO) - Gli astronomi europei hanno scoperto un pianeta di massa simile a quella della Terra in
orbita intorno a una stella del sistema di Alfa Centauri - il più vicino alla Terra. È anche l'esopianeta più
leggero mai scoperto intorno a una stella simile al Sole. Il pianeta è stato scoperto usando lo strumento
HARPS installato sul telescopio da 3,6 metri all'Osservatorio di La Silla dell'ESO in Cile. I risultati saranno
pubblicati on-line dalla rivista Nature il 17 ottobre 2012.
Alfa Centauri è una delle stelle più brillanti nel cielo australe e il sistema stellare più vicino al nostro Sistema
Solare - a solo 4,3 anni luce di distanza. In realtà è una stella tripla: un sistema costituito da due stelle simili
al Sole in orbita stretta l'una intorno all'altra, Alfa Centauri A e B, e da una stella rossa più distante e debole
nota come Proxima Centauri. Fin dal diciannovesimo secolo gli astronomi hanno speculato sull'esistenza di
pianeti in orbita intorno a questi corpi celesti, le più vicine dimore possibili per la vita al di là del Sistema
Solare, ma ricerche di precisione sempre crescente non avevano rivelato nulla. Fino ad ora.
"Le nostre osservazioni con lo strumento HARPS si svolgono in un periodo di più di quattro anni e hanno
rivelato un segnale piccolo, ma reale, da un pianeta che orbita intorno a Alfa Centauri B ogni 3,2 giorni" dice
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –RIFLETTORI DEL MESE
Xavier Dumusque (Osservatorio di Ginevra, Svizzera e Centro de Astrofisica da Universidade do Porto,
Portogallo), primo autore dell'articolo. "È una scoperta straordinaria e ha spinto al limite la nostra tecnica!".
L'equipe europea ha rivelato il pianeta osservando le piccole oscillazioni nel moto della stella Alfa Centauri
B, dovute all'attrazione gravitazionale del pianeta in orbita. L'effetto è molto piccolo - fa spostare la stella
avanti e indietro di non più di 51 centimetri al secondo (1,8 km/ora), all'incirca la velocità di un bambino a
quattro zampe. Questa è la massima precisione mai ottenuta con questo metodo.
Alfa Centauri B è molto simile al Sole ma leggermente più piccola e debole. Il pianeta appena scoperto, di
massa poco più grande di quella della Terra, orbita a circa sei milioni di chilometri della stella, molto più
vicino di quanto sia Mercurio al Sole nel Sistema Solare. L'orbita dell'altra componente luminosa della stella
doppia, Alfa Centauri A, la mantiene a centinaia di volte di distanza, ma dovrebbe essere un oggetto molto
brillante nel cielo del pianeta.
Il primo esopianeta intorno a un stella simile al Sole è stato trovato dalla stessa equipe nel 1995 e da allora
sono state confermate più di 800 scoperte, ma la maggior parte è di pianeti molto più grandi della Terra e
molti sono grandi come Giove. La sfida con cui gli astronomi si devono confrontare ora è di trovare e
caratterizzare un pianeta di massa simile a quella della Terra in orbita nella zona abitabile intorno a un'altra
stella. Il primo passo è stato fatto ora.
"Questo è il primo pianeta di massa simile a quella della Terra mai trovato intorno a un stella simile al Sole.
La sua orbita è molto vicina alla stella e deve essere troppo caldo per la vita come la conosciamo", aggiunge
Stéphane Udry (Osservatorio di Ginevra), co-autore dell'articolo e membro dell'equipe "ma potrebbe anche
essere uno tra tanti in un sistema planetario". Gli altri risultati che abbiamo ottenuto con HARPS così come
le nuove scoperte di Kepler mostrano chiaramente che la maggioranza dei pianeti di piccola massa si trova
in questi sistemi".
"Questo risultato rappresenta un gradne passo avanti nell'individuazione di un gemello della Terra nelle
immediate vicinanze del Sole. Viviamo tempi emozionanti!" conclude Xavier Dumusque.
L'ESO terrà un conferenza stampa on-line per offrire ai giornalisti l'opportunità di discutere i risultati e
l'impatto sulla scienza. Per partecipare si prega di leggere l'annuncio per la stampa.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –SCATTI DI LUCE
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –SCATTI DI LUCE
IMMAGINI DAL FORUM SKYLIVE
Il forum Skylive si trova all’indirizzo http://www.skylive.it/forum5
M1 di Rickytnt
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –SCATTI DI LUCE
NGC 1333 di Alberto Tomatis
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 –SCATTI DI LUCE
SADR di Renard
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 – PROSSIMI APPUNTAMENTI DI SKYLIVE
I PROSSIMI APPUNTAMENTI DI SKYLIVE
02/11/2012 – Una costellazione sopra di noi: i PESCI
Giorgio Bianciardi ci guida alla scoperta della costellazione dei PESCI. Venerdi 2 novembre ore 21.30 in
diretta dal telescopio n° 4 di Skylive.
15/11/2012 – Corso di Astronomia di Base: SISTEMA SOLARE
Stefano Capretti conduce la decima serata del Corso di Astronomia di Base 2012, dedicata al Sistema
Solare. Giovedi 15 novembre ore 21.30 in diretta dal telescopio n° 4 di Skylive.
29/11/2012 – Rassegna stampa e Cielo di Dicembre
Stefano Capretti ci riepiloga le principali notizie divulgate durante il mese di novembre e ci introduce al
cielo di dicembre con costellazioni, eventi celesti, pianeti, asteroidi e comete. Giovedi 29 novembre ore
21.30 in diretta dal telescopio n° 4 di Skylive.
Eventuali ulteriori appuntamenti saranno segnalati tramite e-mail e sulla pagina Facebook di Skylive:
https://www.facebook.com/skylive.telescopiskwall
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 – CIELO DI NOVEMBRE
Almanacco del cielo astronomico
Il cielo astronomico di novembre di prima serata è caratterizzato essenzialmente dal suo lato orientale,
laddove sorgono le costellazioni del periodo di fine autunno e inverno.
Figura 1: La sfera celeste il 15 NOVEMBRE 2012 ore 22.00
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 – CIELO DI NOVEMBRE
In prima serata il cielo del lato sud, dove gli oggetto celesti raggiungono le massime altezze e si rendono
quindi più visibili, continua a riservare zone di cielo pressoché spente, illuminato ogni tanto da qualche
astro di passaggio e sporadico.
Andiamo tuttavia per gradi, così come siamo soliti fare, partendo dall’orizzonte Nord del cielo.
Partiamo dal NORD
La cosa più facile è, come sempre, partire dall’orizzonte Nord, dal momento che il cielo notturno, in quella
direzione, mostra sempre le stesse costellazioni, in ogni periodo dell’anno.
Il cielo dell’orizzonte Nord è caratterizzato ovviamente dalla presenza della stella Polare e delle
costellazioni che le ruotano intorno come conseguenza della rotazione della Terra sul proprio asse.
Figura 2: La posizione della stella polare, ad indicare quasi precisamente il punto cardinale nord
Se non sappiamo trovare la stella Polare può venirci incontro una bussola, ma il modo migliore per
conoscere il cielo è trovare ad occhio la stella che indica il Nord. A tale scopo, ci serviamo di una
costellazione sempre visibile in ogni periodo dell’anno e molto brillante, tanto da essere scorta anche nei
cieli cittadini: l’Orsa Maggiore. La sua forma è ben nota e somiglia ad un mestolo.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 – CIELO DI NOVEMBRE
Figura 3: l'orsa maggiore nel cielo di novembre, ore 22.00
Una prova che potete fare per misurare la vostra vista consiste
nell’analisi della seconda stella del manico. Dovreste riuscire a
vedere facilmente che si tratta di una stella doppia, data dalle
componenti di nome Mizar e Alcor.
Figura 4: mizar e alcor
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 – CIELO DI NOVEMBRE
Prolungando di tre volte circa il segmento formato dalle stelle Merak (beta Uma) e Dubhe (alfa Uma) si
arriva alla Stella Polare. Si trova ad una altezza che corrisponde alla latitudine del vostro luogo di
osservazione, quindi se vi trovate a Roma la stella Polare si troverà a 42° di altezza nel cielo.
Figura 5: come trovare la polare ED IL CEFEO dall’orsa maggiore
Una volta trovata l’Orsa Maggiore e la Stella Polare, siamo già a buon punto perché abbiamo già individuato
un punto cardinale e possiamo iniziare a riconoscere le costellazioni principali del lato nord del cielo.
In questo periodo dell’anno, l’Orsa Maggiore inizia a risalire lungo il lato di nord-est, guadagnando in
altezza e disponendosi sulla sua “coda”, quasi in verticale.
Come prima cosa, si può prolungare il segmento che ci ha consentito di trovare la Polare fino alla prossima
stella brillante che si incontra. Si tratta di Alrai, nella costellazione del Cefeo. Sarà a questo punto semplice
individuare tutta la costellazione del Cefeo, dal momento che Alrai rappresenta la punta del tetto della
casetta raffigurata dalla costellazione, che in questo periodo dell’anno ci appare “sdraiata” verso sinistra.
Come seconda cosa, trovata l’Orsa Maggiore si può partire dal suo centro e cercare la sua dirimpettaia
rispetto alla Polare, Cassiopea, per una semplice ragione: in ogni momento dell’anno può essere trovata
sempre dalla parte diametralmente opposta all’Orsa Maggiore rispetto alla Stella Polare.
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Figura 6: TROVARE CASSIOPEA DA ORSA MAGGIORE E POLARE
In questo periodo dell’anno, dal momento che l’Orsa Maggiore sta salendo verso nord-est, Cassiopea inizia
la discesa verso nord-ovest. Le costellazioni danno vita ad una rincorsa infinita ma non tramonteranno mai
alle nostre latitudini trattandosi di costellazioni circumpolari. In prima serata Cassiopea sarà ancora molto
alta ma durante la nottata tenderà ad abbassarsi sempre di più per ritrovarsi bassa prima dell’alba, a fronte
di una Orsa Maggiore che avrà guadagnato la zona alta del cielo.
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UNA BOLLA IN CASSIOPEA
In genere ci dedichiamo a qualche stella, ma stavolta andiamo ad osservare uno spettacolo che si trova
nella costellazione di Cassiopea, quasi al confine con la costellazione del Cefeo.
Figura 7: NGC 7635 in Cassiopea, la bubble nebula
NGC 7635 – BUBBLE NEBULA
Nebulosa ad emissione posta nella costellazione di
Cassiopea al confine con Cefeo.
Gas e polveri sono eccitati da una potentissima
stella centrale di tipo Wolf-Rayet.
Distante 11.000 anni luce, si estende per circa 10
anni luce di diametro.
Al suo centro, la struttura che dà vita al nome
Bubble Nebula, uno splendido rigonfiamento
generato dal vento solare della potente stella
centrale.
Proprio nel mese di ottobre 2011 la NASA ha
pubblicato una immagine spettacolare di una
nebulosa ad emissione catalogata come NGC 7635,
ma meglio nota come Bubble Nebula.
La struttura grande è una nebulosa ad emissione,
cioè una nebulosa il cui gas assorbe la radiazione di
stelle potenti e le riemette nello spettro di luce
visibile ai nostri occhi. Questo processo di
ionizzazione e ricombinazione degli atomi del gas
della nebulosa fornisce il colore rosso tipico delle
nebulose ad emissione. Al centro, la bolla scavata
dal vento solare che rende questa nebulosa una
Bubble.
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 – CIELO DI NOVEMBRE
Figura 8: La bubble nebula vista dalla nasa
Ovviamente non aspettatevi di mettere l’occhio al telescopio e vederla così perché normalmente sarà già
difficile osservare una macchia indistinta e tendente al grigio, a meno che non abbiate cieli perfetti e
strumentazione di alto livello.
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Dal punto di vista stellare, invece, sembra brutto non dedicarsi a Cassiopea dal momento che è la
costellazione più alta tra quelle brillanti del lato nord.
Figura 9: la costellazione di cassiopea
CAPH
A.R 00h 09m 11,5s - Decl. +59° 08’ 57,09’’
Caph è la stella beta della costellazione di Cassiopea.
Si tratta di una stella variabile con periodo di 0,104300 giorni, ed una
variabilità di luminosità nell'ordine dei centesimi di magnitudine.
Appartiene alle variabili di tipo Delta Scuti.
Alcuni testi, in realtà, non riportano questa variabilità.
Si tratta di una stella all'inizio del processo che la trasformerà in
gigante rossa.
Le sue stelle, che vengono sempre
indicate con una “doppiavvù”, in questo
periodo formano una “emme” nel cielo e
sono date da Caph, la stella beta, da
Shedir, la stella alpha, da Gamma
Cassiopeiae al centro della costellazione,
da Ruchbah, la stella delta, e da Epsilon
Cassiopeiae.
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Sud e Ovest, un cielo in secondo piano
LE STELLE CHE TRAMONTANO
Nel mese di novembre ci sono ancora, in primissima serata, barlumi di cielo estivo soprattutto
approfittando del fatto che l’orario solare aumenta le ore di buio a vantaggio delle ore serali. Il Triangolo
Estivo è allora ancora presente nelle sue due punte rappresentate da Vega nella costellazione della Lira e
Deneb nella costellazione del Cigno. Il periodo di osservazione per questa zona di cielo è ormai
limitatissimo: Altair è già scomparsa dietro l’orizzontementre il Cigno va a rasentare l’orizzonte in una
posizione verticale che gli fa assumere la nomina di Croce del Nord.
Figura 10 Il triangolo estivo ad ottobre
Le altre costellazioni prossime al tramonto, e quindi spostate sul lato ovest del cielo, sono il grande
quadrato di Pegaso e la costellazione sovrastante di Andromeda. L’altezza di quest’ultima è ancora molto
buona, quindi c’è ancora possibilità di ottenere ottime visioni della galassia M31.
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Figura 11 Orizzonte ovest, il 15 NOVEMBRE 2012 ore 22.00
La zona bassa del cielo è occupata dalle piccole costellazioni estive di Cavalluccio, Delfino e Volpetta,
oramai fuori stagione.
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I passaggi in meridiano
Come accennato, le costellazioni che passano in meridiano in prima serata nel mese di novembre sono
ampie zone di cielo che accolgono poche luci degne di nota, in attesa dell’arrivo delle costellazioni più belle
come il Toro, che sorge comunque ben prima di mezzanotte, ed Orione con il suo bellissimo seguito.
Figura 12 L'orizzonte sud il 15 NOVEMBRE 2012 ore 22.00
La zona centrale del cielo di novembre, in direzione sud, è occupata dalla costellazione della Balena della
stella Diphda, con i Pesci ancora più in alto verso Sud-Ovest.
HAMAL
AR 02:07:10 – Decl. +23:27:43
Magn. Assoluta 0.47 – Vis. 2.00
Distanza 66 anni luce.
Pesci e Balena, che transitano in meridiano, sono costellazioni
davvero povere di oggetti e stelle, tuttavia la zona spenta è
“macchiata” dalla luce di una coppia di stelle, più in alto e poste
sopra Giove (solo nel 2011, ovviamente). Si tratta delle stelle più
brillanti dell’Ariete, ed il loro nome è Hamal e Sheratan.
Verso sud-est l’imponente costellazione del fiume Eridano,
davvero immensa per dimensioni ma abbastanza spenta in
quanto ad interesse stellare.
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Figura 13 Ariete, con hamal e sheratan
LA LUCE DELL’EST
Le vere novità del cielo si stanno preparando a ricoprirlo di luci per l’autunno inverno. Da est, infatti, già in
prima serata è possibile osservare tutto quello che di bello ci fornirà il cielo del periodo che sta per arrivare,
dalle Pleiadi nel Toro a Sirio nel Cane Maggiore e Procione nel Cane Minore. Tutta la bellezza del cielo
invernale è sorta, ora basta attendere che si alzi.
Figura 14: il cielo di est a novembre 2012
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Di tutto lo splendore presente sul versante orientale, il punto cardine di tutto il cielo è rappresentato dalla
costellazione di Orione, che ci consente di trovare tutte le altre costellazioni limitrofe, che vengono
chiamate il “seguito di Orione”.
Alcune sono – come detto – ancora basse, ma possiamo basarci su Orione per spostarci verso il Toro. Come
riconoscere Orione? Dalla sua forma inconfondibile e brillantissima, e soprattutto da tre stelle allineate che
vanno sotto il nome di Cintura di Orione.
Figura 15: la costellazione di orione
Le tre stelle che formano la cintura sono allineate dall’alto al basso nella immagine, sul lato destro appena
sotto il centro della foto. Sono tutte stelle azzurrine, caldissime, ed il loro nome, dall’alto in basso, è
Mintaka, Alnilam (la centrale) e Alnitak.
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Proprio dal loro allineamento è possibile risalire il cielo fino ad incontrare una stella molto brillante e di
marcato colore arancione. Si tratta della stella più brillante del Toro, chiamata Aldebaran.
Figura 16: Trovare il toro da orione
ALDEBARAN
AR 04:35:55 – Decl. +16:30:31
Magn. Assoluta -0.63 – Vis. 0.87
Distanza 65 anni luce.
Aldebaran è una delle quattro stelle anticamente considerate
regali, insieme a Regolo, Fomalhaut e Antares. Si tratta di una
stella di dimensioni giganti ed il suo colore rosso è donato da
una temperatura più bassa di quella del nostro Sole, pari a circa
4.200 gradi Kelvin.
Spostandoci verso sinistra, in parallelo ad Aldebaran, è possibile
vedere un’altra stella molto brillante ma di un colore biancoazzurrino: anch’essa è stella del Toro, e si chiama Al Nath. E’ la
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stella beta del Toro.
Proseguendo il segmento che parte dalla Cintura di Orione e che arriva ad Aldebaran è possibile incontrare
un gruppetto di stelle.
LE PLEIADI
Più in alto, sopra Aldebaran, sarà possibile scorgere uno dei pochi ammassi aperti, forse l’unico, visibile ad
occhio nudo anche da cieli come quello di Roma. Si tratta di M45, l’ammasso aperto delle Pleiadi. Chi è
dotato di una ottima vista riesce a vederne almeno sette stelle… un ottimo test per la vostra vista!
Ovviamente evitata le serate in cui la Luna con il suo bagliore dà fastidio: l’immagine precedente è relativa
a metà ottobre, quando la Luna si trova proprio a ridosso del Toro. Scegliete altre serate! Chi è dotato di un
binocolo potrà avere una osservazione fantastica di questo gruppetto di stelle, dell’età di dieci milioni di
anni.
Figura 17 Le pleiadi, nel toro
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I PIANETI NEL MESE DI NOVEMBRE 2012
Mercurio
Mercurio si rende visibile al tramonto fino al giorno 11 del mese, tramontando alle 17.56 ad inizio mese e
alle 17:24 a metà mese. Si mostra con magnitudine lievemente positiva. Riappare come stella mattutina a
partire dal giorno 23, quando sorge intorno alle ore sei e guadagna in magnitudine passando dalla 1.8 a
valori negativi a fine mese. Il suo diametro nei momenti di visibilità è di circa 7''. Congiunzione eliaca
inferiore il 17 novembre..
Figura 18: Effemeridi di Mercurio
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Figura 19: Posizione di Mercurio nel mese
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Venere
Venere è visibile come stella del mattino, sorgendo a inizio mese prima delle quattro ma perdendo a fine
mese dal momento che si avvicina al Sole di circa 6° di elongazione. La sua magnitudine è sempre di -4 con
un diametro di 12'' appena. Ancora ben visibile, comunque.
Figura 20: Effemeridi di Venere nel mese
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Figura 21: Posizione di Venere nel mese
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Marte
Marte si sposta da Ofiuco a Sagittario durante il mese ma la sua visibilità è limitata al tramonto,
tramontando ad inizio mese alle 19 e a fine mese intorno alle 19 meno un quarto. Magnitudine costante a
1,2, il suo diametro è di 3,5''. Si avvicina al Sole di circa 8 gradi durante il mese..
Figura 22: Effemeridi di Marte nel mese
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Figura 23: Movimento di Marte tra le stelle
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Giove
Giove è visibile per tutta la notte nella costellazione del Toro in attesa della sua opposizione, e regala
splendidi panorami. Brilla come non faceva da anni, raggiungendo una magnitudine di -2.8 ed un diametro
di ben 48'', con altezze classiche della costellazione del Toro.
Figura 24: Effemeridi di Giove nel mese
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Figura 25: Movimento di Giove nel mese
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Saturno
Saturno riappare tra le luci dell'alba dopo la congiunzione trascorsa da poco. Sorge alle sei ad inizio mese
ed alle quattro passate a fine mese, sfruttando l'inclinazione dell'eclittica per riproporsi subito abbastanza
alto all'alba. Brilla di magnitudine 0.6 con un diametro al netto degli anelli di circa 15''.
Figura 26: Effemeridi di Saturno nel mese
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Figura 27: Movimento di Saturno nel mese
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Urano
Urano è visibile nei Pesci per buona parte della notte anche se ad inizio mese tramonta alle quattro ed a
fine mese prima delle due. Sempre di magnitudine 5,7 e con un diametro di 3,6'', è comunque ancora un
buon periodo per osservare questo pianeta.
Figura 28: Effemeridi di Urano nel mese
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Figura 29: Movimento di Urano nel mese
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Nettuno
Nettuno è visibile nella costellazione dell'Acquario, tramontando però presto: prima dell'una ad inizio mese
e prima delle 23 a fine mese. Sempre di magnitudine 7,9 il pianeta offre un diametro di 2.2''.
Figura 30: Effemeridi di Nettuno nel mese
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Figura 31: Spostamento di Nettuno nel mese
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GLI EVENTI PRINCIPALI DI NOVEMBRE 2012
In questo paragrafo vengono riportati gli eventi visibili. Gli eventi lunari sono rintracciabili alla sezione Luna.
Dati orbitali ed eventi orbitali (afeli, perieli) sono rintracciabili nella sezione Pianeti. Opposizioni di asteroidi
sono rintracciabili nella sezione Asteroidi.
1\11\2012 h.16:23
Congiunzione: Luna-Aldebaran
Luna 3°,4 a sud della stella Alfa Tauri. Migliore osservazione intorno alle ore 18.50 quando gli astri sorgono
2\11\2012 h.01:59
Congiunzione: Luna-Giove
Luna 1°,2 a sud del pianeta Giove, nel Toro.
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5\11\2012 h.04:35
Occultazione: Luna-SAO96985
La Luna occulta la stella SAO 96985 di magnitudine 5,45. La stella sparisce alle 4.35 dietro il lembo
illuminato ed esce dal lato opposto alle ore 5.42.
7\11\2012 h.02:15
Occultazione: Luna-Kappa Cnc
La Luna occulta la stella di magnitudine 5,23 Kappa Cancri. La stella si immerge dietro il lato illuminato
della stella ed esce alle ore 3.32 dal lato opposto.
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11\11\2012 h.19:37
Congiunzione: Luna-Venere
Luna 6° a sud del pianeta Venere. Osservabilità intorno alle ore 6.30
12\11\2012 h.01:54
Congiunzione: Luna-Spica
Luna 1°,2 a sud della stella Alfa della Vergine. Il quadro è abbellito da Venere e Saturno. Osservabilità dopo
le 5.30 fino all'alba.
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12\11\2012 h.22:03
Congiunzione: Luna-Saturno
Luna 4°,8 a sud di Saturno. Migliore osservabilità intorno alle ore 6 del giorno successivo, quando tuttavia
le luci dell'alba saranno molto forti.
13\11\2012 h.23:12
Eclisse Totale: Sole
Eclisse Totale di Sole, non visibile dall'Italia.
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16\11\2012 h.00:07
Congiunzione: Venere-Spica
Venere 4°,1 a nord della stella Alfa della Vergine. Migliore osservabilità dopo la levata degli astri, intorno
alle 5.30.
16\11\2012 h.18:17
Occultazione: Luna-15 Sgr
La Luna occulta la stella 15 Sagittarii di magnitudine 5,29. La stella si immerge nel lato oscuro e riemerge
alle 19.15 dalla sottile falce illuminata, quando la Luna sta per tramontare.
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16\11\2012 h.17:30
Occultazione: Luna-Mu Sgr
La Luna occulta la stella Mu Sagittarii di magnitudine 3,80. La stella scompare dietro il lembo oscuro della
Luna e riappare dalla sottile falce illuminata alle ore 18:27.
17\11\2012 h.18:25
Occultazione: Luna-43 Sgr
La Luna occulta la stella 43 Sagittarii di magnitudine 4,88. La stella sparisce alle 18:25 dietro il lembo
oscuro della Luna per riapparire dal falcetto illuminato intorno alle ore 19.10
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18\11\2012 h.21:27
Occultazione: Luna-Dabih
La Luna occulta la stella beta-1 Capricornii di magnitudine 3. La stella sparisce dietro il lembo oscuro della
Luna e riappare dal lato opposto alle ore 22:10 con la Luna quasi al tramonto.
19\11\2012 h.18:17
Occultazione: Luna-Nu Aqr
La Luna occulta la stella Nu Aquarii di magnitudine 4,5. La stella scompare dietro il lembo oscuro e riappare
dalla parte opposta alle ore 18.05.
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20\11\2012 h.20:16
Occultazione: Luna-30 Aqr
La Luna occulta la stella 30 Aqr, di magnitudine 5,55. Occultazione visibile soltanto dalle regioni
meridionali d'Italia. La stella sparisce dietro la parte scura della Luna e riappare quasi subito dalla metà
illuminata.
23\11\2012 h.23:16
Occultazione: Luna-51 Psc
La Luna occulta la stella 51 Piscium di magnitudine 5,83. Visibile solo dall'Italia settentrionale, la stella
scompare dietro il lembo scuro e riappare quasi subito poco più sotto, dalla zona illuminata. Per il resto
d'Italia si ha passaggio radente.
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25\11\2012 h.18:34
Congiunzione: Marte-Kaus Borealis
Marte 60' a nord della stella Lambda Sagittarii di magnitudine 2,82. Astri molto bassi all'orizzonte.
27\11\2012 h.06:12
Congiunzione: Venere-Saturno
Venere 34' a sud del pianeta Saturno. Nei pressi anche Mercurio.
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28\11\2012 h.00:09
Congiunzione: Luna-M45
Congiunzione tra Luna e Pleiadi, con il satellite 4°,9 a sud dell'ammasso aperto del Toro. Poco più in alto
Giove.
28\11\2012 h.15:33
Eclisse Parziale: Luna
Eclisse Parziale di Luna di penombra, visibile dall'Italia soltanto nella parte finale. La Luna sorge alle 16.50,
nessuno spettacolo per gli osservatori.
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28\11\2012 h.23:04
Congiunzione: Luna-Aldebaran-Giove
Luna 3°,8 a nord di Alfa Tauri. Presente anche Giove, che invece è in congiunzione con la Luna il 29
novembre alle ore 02:40 ad una separazione di 59'.
30\11\2012 h.19:10
Occultazione: Luna-68 Ori
La Luna occulta la stella 68 Orionis di magnitudine 5,76. La stella entra nel lato illuminato della Luna e
riesce dal lato opposto alle 20.08.
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LA LUNA
07/11/2012: Ultimo Quarto
08/11/2012: Massima librazione
13/11/2012: Novilunio
20/11/2012: Massima librazione
20/11/2012: Primo Quarto
28/11/2012: Eclisse Parziale
28/11/2012: Plenilunio
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Figura 32: Effemeridi della Luna nel mese
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IL SOLE
Figura 33: Grafico delle ore di buio del mese
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Figura 34: Effemeridi del Sole nel mese
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GLI SCIAMI METEORICI
Gli sciami meteorici del mese di ottobre sono riepilogati di seguito in tabella:
SCIAME
TAURIDI
DELTA EURIDANIDI
TAURIDI NORD
ZETA PUPPIDI
LEONIDI
ALPHA
MONOCEROTIDI
PICCO
05/11
10/11
12/11
13/11
17/11
21/11
ZHR
5
2
5
3
var
var
RADIANTE
AR 03h28m – Decl 13°
AR 03h 52m – Decl. -09°
AR 03h 52 – Decl. 22°
AR 07h 48m – Decl. -42°
AR 10h 12m – Decl. +22°
AR 07h 20m – Decl. +03°
Figura 35 Radianti DELLE TAURIDI
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Supernovae n° 9 – Novembre 2012 – CIELO DI NOVEMBRE
Figura 36 radiantE DELLE LEONIDI E DELLE ALPHA MONOCEROTIDI
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ASTEROIDI E NANOPIANETI DEL MESE
14\11\2012 h.20:00
Opposizione: (704) Interamnia
Pianetino (704) Interamnia di magnitudine 9.9 in opposizione eliaca nella costellazione del Perseo.
30\11\2012 h.23:00
Opposizione: (349) Dembowska
Pianetino (349) Dembowska di magnitudine 9.6 in opposizione eliaca nel Toro.
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COMETE DEL MESE
Le comete visibili nel mese di novembre saranno parecchie anche se difficilmente scendono a magnitudini
rilevanti.
Riassumiamo con una tabellina le principali comete visibili:
Prima serata
Notte
Prima dell’alba
C/2011 F1 LINEAR (mag.9)
C/2012 K5 (LINEAR) (mag.10)
168P/Hergenrother (magn.10)
C/2010 S1 LINEAR (mag.13)
C/2012J1 CATALINA (magn.13)
C/2012 CH17 (MOSS) (magn.13)
260P/2012 K2 McNaught (mag.13)
168P/Hergenrother (magn.10)
C/2009 P1 Garradd (mag.13)
C/2011 UF305 LINEAR (mag.13)
C/2010 S1 LINEAR (mag.13)
260P/2012 K2 McNaught (magn.13)
C/2012J1 CATALINA (magn.13)
C/2012 K5 (LINEAR) (mag.10)
C/2011 UF305 LINEAR (mag.13)
C/2009 P1 Garradd (mag.12)
C/2012 F6 LEMMON (mag.13)
260P/2012 K2 McNaught (magn.13)
Figura 37: Percorso celeste di 168P Hergenrother e C/2011 F1 (LINEAR)
Immagini elaborate a partire dal software PERSEUS.
Dati delle effemeridi ottenuti dal sito http://www.skylive.it
Per approfondimenti, http://www.skylive.it/CieloAstronomicoDelMese.aspx?Mese=9&Anno=2012
Gli orari si riferiscono al baricentro d’Italia, Roma.
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