Lezione 10 - La meccanica quantistica e la complementarità

Corso di
Fondamenti storico-epistemologici della scienza tra Ottocento e Novecento
A.A. 2007-08
Lezione 10 - La meccanica
quantistica e la complementarità
Copyright, 2007-2008 © Giulio Peruzzi
Niels Bohr (1885-1962)
Niels Henrik David nasce il 7 ottobre del 1885 a
Copenhagen.
Sua madre, Ellen Adler, proveniva da una facoltosa famiglia
ebraica.
Il padre di Niels, Christian, fu un importante fisiologo
dell’epoca e alcuni dei risultati delle sue ricerche, relativi al
ruolo dell’anidride carbonica nell’associazione dell’ossigeno
all’emoglobina, sono ancora oggi noti come “effetto Bohr” e
caratterizzati dal “coefficiente di Bohr”. Per i suoi contributi
fu candidato al Nobel negli anni 1907 e 1908.
Nel 1881 e ancora nel 1883, lavorò a Lipsia nel laboratorio
del grande fisiologo tedesco Carl Ludwig (1816-1895).
Ludwig, insieme a Hermann von Helmholtz (1821-1894), Emil Du BoisReymond (1818-1896) e Ernst Wilhelm von Brücke (1819-1892), aveva
costituito a Berlino (alla fine anni 1840) un circolo “anti-vitalista”.
Christian Bohr assunse posizioni diverse da quelle strettamente
riduzionistiche.
Tali questioni erano state più volte discusse da Christian insieme a un
gruppo di amici che si ritrovava regolarmente a casa ora dell’uno ora
dell’altro. Del gruppo facevano parte il filosofo Harald Høffding (18431931), il fisico Christian Christiansen (1843-1917) – entrambi futuri
docenti di Niels all’Università – e il filologo Vilhelm Thomsen (18421927). Nelle sue Memorie, Høffding, dopo aver descritto brevemente
come fossero iniziati questi incontri e come, da occasionali, fossero
diventati regolari, osservava:
Christian Bohr…in quanto fisiologo e discepolo di Ludwig seguiva
l’indirizzo che richiede la stretta applicazione dei metodi della fisica e
della chimica alla fisiologia. Fuori dal laboratorio, però, era un
appassionato ammiratore di Goethe.
La fisiologia può essere caratterizzata come branca speciale delle
scienze naturali, in quanto il suo specifico compito è di investigare i
fenomeni peculiari dell’organismo, inteso come oggetto empirico dato,
al fine di ottenere una comprensione delle varie parti
dell’autoregolazione e di come esse siano bilanciate le une contro le
altre e condotte ad armonizzarsi con le variazioni delle influenze
esterne e dei processi interni. È quindi proprio nella natura di questo
compito riferire la parola finalità al mantenimento dell’organismo e
considerare come finalizzati i meccanismi di regolazione che servono a
questo mantenimento. È in questo senso che useremo nel seguito la
nozione di “finalizzazione” per quanto riguarda le funzioni organiche.
Affinché l’applicazione di questo concetto in ogni singolo caso non
debba risultare vuota o addirittura fuorviante, si deve tuttavia richiedere
che essa sia sempre preceduta da un’indagine del fenomeno organico
considerato, sufficientemente accurata da illuminare passo a passo lo
speciale modo nel quale essa contribuisce al mantenimento
dell’organismo.
[Steno Conference tenuta da Bohr alla Società Medica Danese a Copenhagen nel febbraio del 1949 con il
titolo La scienza fisica e il problema della vita (pubblicata nel 1957)]
Quel che Niels Bohr ricava dall’insegnamento di
Christian e dalle discussioni di questi con il suo gruppo
di amici è che, se le nozioni utilizzate nella descrizione
della natura sono definite in modo preciso, il conflitto
tra meccanicismo e finalismo si stempera.
Ecco alcuni degli elementi di epistemologia della
biologia ricorrenti nelle discussioni a casa dei Bohr:
1. Innanzi tutto era chiaro che se la nozione di
finalizzazione serviva a cogliere una caratteristica
esperita nei fenomeni biologici, allora non poteva
essere eliminata dal vocabolario descrittivo della
fisiologia senza tradire la sua natura di scienza
empirica.
2. Né in Christian né, successivamente, in Niels, la
controversia tra finalismo e meccanicismo coinvolse la
possibile esistenza di entità non fisiche, quali l’anima, la
psiche o lo spirito vitale (élan vital).
Non si rifiutava l’efficacia dell’indagine fisica e chimica
degli organismi viventi, si rilevava piuttosto l’insufficienza
di una descrizione puramente meccanicista dei processi
fisiologici.
Quando Niels Bohr affronterà sistematicamente questi
problemi, non si occuperà di questioni ontologiche
proprie dell’approccio filosofico, ma di questioni legate
all’adeguatezza della descrizione scientifica ai fenomeni
presi in esame.
Le rivoluzioni della fisica del Novecento
• Il 14 dicembre del 1900 Max Planck (1858-1947) esponeva ai
membri della Società di Fisica Tedesca le assunzioni teoriche
alla base della legge di radiazione di corpo nero, quella da lui
presentata nella stessa sede due mesi prima.
• L’accettazione dell’ipotesi dei quanti avrebbe cominciato ad
affermarsi solo a partire dal 1905-1906. In quegli anni, la
chiarificazione delle basi teoriche della derivazione planckiana,
iniziati da Albert Einstein (1879-1955) e Paul Eherenfest (18801933), e le prime applicazioni dell’ipotesi dei quanti a settori
diversi da quelli del corpo nero (come l’effetto fotoelettrico e i
calori specifici), avrebbero innescato un processo di
“conversione alla discontinuità” di settori sempre più consistenti
della comunità scientica.
• Da questa conversione, più o meno convinta, prende avvio la
prima teoria dei quanti, la cosiddetta vecchia meccanica
quantistica.
I maggiori risultati della vecchia teoria dei quanti sono:
• la spiegazione dell’effetto fotoelettrico (Einstein, nel 1905, per la
quale vincerà il premio Nobel nel 1922);
• le prime teorie quantistiche dei calori specifici [Einstein, nel 1907,
Peter Debye (1884-1966), nel 1912, Max Born (1882-1970) e
Theodor von Kárman (1881-1963), nel 1912];
• l’atomo di Niels Bohr (1885-1962; nel 1913) con i suoi successivi
affinamenti introdotti, tra il 1915 e il 1916, da Bohr e da Arnold
Sommerfeld (1868-1951), che culminano nella prima spiegazione
della tavola periodica degli elementi (Bohr, 1918-22).
Questi fondamentali risultati stimolarono un crescente lavoro di
ricerca teorica e sperimentale che sarebbe confluito, tra il 1925 e il
1926, in quella che è oggi nota come meccanica quantistica, e
riferita principalmente a Werner Heisenberg (1901-1976) e Erwin
Schröndinger (1887-1961).
Terminati gli studi a Copenhagen, Bohr ottiene dalla
Fondazione Carlsberg – finanziata dalle birrerie
Carlsberg – una borsa postdottorato per trascorrere
un anno all’estero.
Trascorrerà quindi circa un anno, dall’ottobre del
1911 al luglio del 1912, prima a Cambridge con J.J.
Thomson (allora direttore del Cavendish Laboratory)
e poi a Manchester nel laboratorio di Rutherford.
È in questo periodo che molte delle idee, che lo
porteranno a proporre il suo modello atomico,
giungono a maturazione.
Thomson e Rutherford erano, proprio in quegli anni, due
protagonisti della indagine della struttura atomica.
• Thomson era l’autore, insieme a Lord Kelvin, di un
modello atomico oggi noto come “modello a panettone”,
proposto nella sua forma compiuta tra il 1902 e il 1903,
sviluppato negli anni successivi, e ancora dominante
fino al 1913.
• Rutherford era il primo ad aver dato consistenza
sperimentale al modello di “atomo nucleato”,
comunicando nel marzo del 1911 i risultati di alcune
esperienze da lui condotte insieme a Geiger e Marsden.
Una pluralità di proposte di modelli atomici
• Jean Perrin (1870-1942) introduce l’atomo planetario
nel 1901.
• Hantaro Nagaoka (1865-1950) introduce nel 1903 il
modello saturniano: nucleo centrale di carica positiva
intorno al quale gli elettroni ruotano formando anelli
analoghi a quelli prodotti dai detriti orbitanti intorno a
Saturno.
• Kelvin-Thomson: “modello a panettone” (1902-1903).
• Rutherford: prova sperimentale dell’atomo nucleato
(1911).
Secondo il modello di Thomson
Problemi generali dei modelli atomici
[1] Qual è la natura della carica positiva necessaria a
rendere neutro l'atomo e trattenere gli elettroni? (il protone
viene scoperto nel 1919)
[2] Qual è il numero degli elettroni che costituiscono
l'atomo?
[3] Come ricavare le dimensioni atomiche?
[4] Come evitare il collasso per emissione di radiazione da
cariche accelerate?
[5] Come spiegare la forma delle serie spettrali?
[6] Quali sono i meccanismi che portano alla radiazione
spettrale e alla radioattività, e quali parti dell’atomo vi sono
implicate?
Solo nei primi mesi del 1913, lasciati gli impegni accademici e
ritiratosi in campagna con la moglie, Bohr compie la svolta decisiva
nelle sue ricerche. Fino a quel momento si è occupato solo di
questioni legate agli atomi in stati non eccitati, ma nel febbraio del
1913, conversando casualmente con un suo collega assistente nel
laboratorio di fisica del Lœreanstalt, Bohr viene a conoscenza di
alcuni risultati delle ricerche spettroscopiche, in particolare
dell’esistenza della formula di Johann Jacob Balmer.
Luce bianca (Sole)
Luce emessa dall’atomo di H
Intorno al 1910, proprio la spiegazione della numerologia spettrale è al
centro delle ricerche di un piccolo drappello di fisici che tenta di introdurre il
quanto elementare d’azione nella descrizione atomica. Due, in particolare,
influenzeranno il modello atomico di Bohr:
• Arthur Erich Haas (1884-1941), uno studente di dottorato
dell’Università di Vienna;
• John William Nicholson (1881-1955), un fisico matematico in quegli
anni attivo a Cambridge.
…nessuno penserebbe di poter gettare le basi della biologia
partendo dai colori dell’ala di una farfalla
“Si pensava – ricorda Bohr in un’intervista del 1962 – che gli
spettri fossero meravigliosi, ma che non fosse possibile fare
molti progressi in quel campo. Era come osservare l’ala di una
farfalla, con la regolarità del disegno e i suoi bei colori:
nessuno penserebbe di poter gettare le basi della biologia
partendo dalla colorazione dell’ala di una farfalla.”
“Si andava diffondendo, in relazione ad argomenti del genere
[riguardanti l’atomo e l’interpretazione delle serie spettrali],
l’abitudine di far ricorso alle idee di Planck.”
Lo stadio avanzato raggiunto dalle ricerche di Bohr sull’atomo,
gli permette subito di cogliere la particolare importanza della
formula di Balmer. “Appena vidi la formula di Balmer tutto mi
sembrò immediatamente chiaro”.
On the Constitution of Atoms and
Molecules, la “grande trilogia” del
1913, si basa su due assunti:
(1) l’equilibrio dinamico dei sistemi
negli stati stazionari può essere
discusso con l’aiuto della usuale
meccanica, mentre il passaggio dei
sistemi tra due diversi stati
stazionari non può essere trattato
su questa base.
(2) quest’ultimo processo è seguito
dall’emissione [o dall’assorbimento]
di una radiazione omogenea, per la
quale la relazione tra frequenza e
quantità di energia emessa è quella
data dalla teoria di Planck.
Tra il 1914 e i primi anni del 1920, la teoria di Bohr riceve una serie
di sorprendenti verifiche sperimentali e viene ulteriormente sviluppata
a opera, prima di tutto dello stesso Bohr e di Sommerfeld.
L’interpretazione della tavola periodica degli elementi, ottenuta da
Bohr tra il 1920 e il 1922, insieme a quella della struttura fine degli
spettri degli atomi idrogenoidi, segna il punto più alto della cosiddetta
“vecchia teoria dei quanti”.
Non a caso Einstein, nell’introduzione autobiografica a Albert
Einstein: Scienziato e Filosofo (una raccolta curata da P. A. Schilpp)
del 1949, scrive:
Il fatto che la base incerta e contraddittoria [della fisica dopo
l’introduzione del quanto d’azione di Planck] fosse sufficiente a un
uomo di istinto e di sensibilità eccezionali come Bohr per scoprire le
leggi principali delle righe spettrali dei gusci elettronici degli atomi,
nonché il loro significato per la chimica, mi sembrò quasi un
miracolo; e mi sembra un miracolo anche oggi. Questa è la più alta
forma di musicalità nella sfera del pensiero.
La scoperta dell’afnio, da Hafniae, nome latino di Copenhagen, è
di von Hevesy e Coster, entrambi in quegli anni a Copenhagen, e
viene comunicata da Bohr proprio nel corso della cerimonia per il
conferimento del suo premio Nobel (dicembre 1922).
Come scrive Weisskopf, in un suo intervento al Congresso
internazionale sulla storia della fisica delle particelle tenutosi a Parigi nel
luglio del 1982:
La scoperta della meccanica quantistica fu il risultato degli sforzi
di molti scienziati, al contrario della teoria della relatività. Ma ci fu
un centro di questo sviluppo: Copenhagen, con Niels Bohr come
figura guida. A Copenhagen, quasi ogni anno, si tenne una
conferenza, e sempre a Copenhagen molti dei più attivi fisici
teorici trascorsero periodi di tempo più o meno lunghi,
presentando le loro idee in forma ancora incompleta a Niels Bohr
e con lui discutendole. Molte delle idee fondamentali della
meccanica quantistica sono state messe a fuoco proprio nel corso
di quelle discussioni con Bohr, molte più di quanto la letteratura
sembri indicare: Bohr, infatti, solo raramente ha messo il suo
nome sugli articoli. È questa la ragione per cui nella figura le più
importanti scuole di fisica teorica che hanno contribuito alla teoria
quantistica sono rappresentate in cerchio intorno a quella di
Copenhagen.
La meccanica quantistica (1925-26)
Cronologia:
1925 – Heisenberg, Born e Jordan, e
indipendentemente Dirac, danno la prima
formulazione della meccanica quantistica, la
cosiddetta meccanica delle matrici.
1926 – Schrödinger introduce la seconda
formulazione della meccanica quantistica, la
cosiddetta meccanica ondulatoria e dimostra la
sua equivalenza formale con la meccanica delle
matrici.
1926 – Fermi e Dirac indipendentemente
introducono la seconda statistica quantistica dopo
quella di Bose e Einstein: la statistica di FermiDirac riguarda le particelle materiali (elettroni,
protoni, neutroni), quella di Bose-Einstein le
particelle dei campi di interazione (come il
fotone).
1927 – Heisenberg presenta le relazioni di
indeterminazione.
Onda?
O particella?
La meccanica quantistica in realtà ci insegna che
l’alternativa classica, onda o particella, non è ben posta: un
elettrone può comportarsi come un’onda o come una
particella a seconda del tipo di dispositivo sperimentale che
viene utilizzato. Il “fenomeno” è un complesso di cui fa
parte il sistema fisico da osservare e lo strumento di
misura.
•
Aumentando l'energia aumenta
la risoluzione. Le particelle
possono comportarsi come onde
la cui lunghezza d’onda va come
l’inverso dell’energia: più piccola
è la lunghezza d’onda (più alta è
l’energia) maggiore è la
risoluzione.
•
E = mc2 Una particella di massa
m può essere “creata” solo se si
dispone di abbastanza energia.
•
Gli acceleratori si basano su
questi due fondamentali caratteri
(quantistico e relativistico) degli
“oggetti” microfisici e, allo stesso
tempo, permettono una loro
verifica.
Tra il 1926 e il 1927 molti degli artefici della meccanica
quantistica passano qualche tempo all’Istituto di Copenhagen.
E così Bohr ha occasione di discutere, a più riprese, dei
problemi della interpretazione della meccanica quantistica con
Dirac, Heisenberg, Schrödinger, Pauli e molti altri.
Frutto di quelle discussioni saranno la scoperta delle relazioni
di indeterminazione da parte di Heisenberg, pubblicate in un
articolo nel marzo del 1927, e l’introduzione del principio di
complementarità, proposto da Bohr per la prima volta nella
relazione al Congresso per il centenario della morte di Volta,
svoltosi a Como nel settembre del 1927.
Il principio di complementarità di Bohr si configura, in un certo
senso, come un’interpretazione filosofica delle relazioni di
indeterminazione, ma in realtà è qualcosa di più: è il tentativo
di spiegare l’evidenza macroscopica di descrizioni
mutuamente esclusive dei fenomeni.
Una diretta testimonianza delle discussioni all’Istituto di
Copenhagen si trova nel libro pubblicato da Heisenberg nel 1971
dal titolo Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti 1920-1965:
“In quei mesi Bohr e io discutemmo molto sull’interpretazione fisica
della meccanica quantistica. Abitavo allora in una mansarda
all’ultimo piano dell’Istituto […] e Bohr saliva spesso da me a notte
fonda, e insieme cercavamo di immaginare i più diversi esperimenti
concettuali per controllare se avevamo davvero capito tutti gli
aspetti della teoria. Ci rendemmo conto, così facendo, che ognuno
tendeva a risolvere le difficoltà in modo diverso. Bohr cercava di
conciliare l’impostazione corpuscolare con quella ondulatoria
salvando entrambe: ciò perché, sebbene l’una escludesse l’altra,
egli sosteneva che per descrivere in modo completo i processi
atomici occorreva ricorrere ad entrambe. […] A mio modo di
vedere occorreva invece cercare di giungere all’interpretazione
generale corretta con mezzi rigorosamente logici, partendo
dall’interpretazione di risultati particolari, già a portata di mano”.
“La nostra interpretazione dei dati sperimentali – scrive Bohr – si
basa essenzialmente sui concetti classici”, ed è per questo che ci
poniamo il problema se un elettrone sia un’onda o un corpuscolo.
Nel caso classico, però, la relazione tra oggetto osservato e
strumento di misura può essere, almeno in linea di principio,
controllata perfettamente, e quindi, se l’elettrone è un corpuscolo
non può essere un’onda, o viceversa: in altre parole il fisico classico
è in grado di dedurre dal risultato della misura che una delle due
descrizioni è errata.
Nel caso quantistico invece, dato che “una realtà indipendente nel
senso fisico usuale [classico] del termine non può essere attribuita
né al fenomeno né agli strumenti di misura”, il fisico deduce che
l’elettrone è un’onda o un corpuscolo a seconda dello strumento di
misura che utilizza. Per ottenere “una generalizzazione naturale del
modo classico di descrivere le cose”, conclude Bohr, è necessario
“considerare l’insieme delle rappresentazioni mutuamente esclusive
dei fenomeni”.
Il dibattito Einstein-Bohr
• Prima fase: V Congresso Solvay (ottobre 1927) e successivo VI
Congresso Solvay (ottobre del 1930). La discussione tra i due
scienziati si incentra sull’analisi di esperimenti mentali che Einstein
propone con l’intento di dimostrare l’inconsistenza della meccanica
quantistica.
• Seconda fase: Einstein sembra essersi convinto della
consistenza della teoria e cerca di dimostrare che essa non
fornisce una descrizione completa dei fenomeni fisici; questa fase
culmina nella pubblicazione del 1935 su “Physical Review”
dell’articolo di Einstein, Podolsky e Rosen dal titolo Can QuantumMechanical Description of Physical Reality Be Considered
Complete?, al quale segue la replica di Bohr.
• Terza fase: specie nei periodi di permanenza di Bohr all’Institute
for Advanced Studies di Princeton (nel 1939, nel 1948 e nel 1954),
Bohr e Einstein hanno ancora occasione di confrontarsi sui
problemi interpretativi della meccanica quantistica.
Cronologia:
La descrizione quantistica della realtà fisica può essere considerata completa?
Einstein era forse contrario alla meccanica
quantistica?
No, Einstein è uno degli artefici della meccanica
quantistica. Le sue perplessità sono più
profonde.
Nel 1926 Born proponeva quella che è nota
come interpretazione statistica dell’onda di
Schrödinger, e nel 1927 Heisenberg ricavava le
relazioni di indeterminazione.
Questi contributi portavano a concludere che
nell’ambito della meccanica quantistica esiste un
elemento di casualità ineliminabile: non è
possibile, neppure in linea di principio, ricavare
dai fenomeni quantistici tutte le informazioni che
permettono in meccanica classica di descrivere
l’evoluzione dei singoli sistemi fisici con leggi
causali e deterministiche.
! Per Bohr questa inanalizzabilità dei processi di misura in termini
di causalità classica era un elemento ineliminabile della teoria.
! Einstein invece era convinto che ogni teoria nella quale si
assumeva la casualità dovesse essere interpretata come teoria
intermedia al di là della quale doveva esistere una teoria più
profonda nella quale la causalità sarebbe stata recuperata.
> Vi era inoltre una posizione diversa tra i due riguardo al tema
dello sviluppo della conoscenza fisica.
Secondo Einstein una teoria più generale deve poter essere
formulata in modo logicamente chiuso, indipendentemente da una
teoria meno generale che ne costituisce un caso limite. Invece la
formulazione dei principi della meccanica quantistica è, per Bohr,
intrinsecamente impossibile senza ricorrere alla meccanica
classica: la meccanica quantistica infatti, ha bisogno della
meccanica classica per la sua stessa fondazione, come dimostra il
principio di complementarità che sancisce l’irrinunciabile necessità
di ricorrere a nozioni classiche per interpretare i dati sperimentali.
La complementarità e la filosofia di Niels Bohr
I suoi più significativi “scritti filosofici” si trovano oggi raccolti in quattro
volumi (pubblicati nel 1934, nel 1958, e postumi, nel 1963 e nel
1998).
L’introduzione di Bohr al secondo volume della raccolta, dal titolo
Saggi 1933-1957 sulla fisica atomica e la conoscenza umana, inizia
con le seguenti parole: “L’importanza della scienza fisica per lo
sviluppo del pensiero filosofico generale si basa non solo sui suoi
contributi a una sempre maggiore e più salda conoscenza della
natura di cui facciamo parte, ma anche sulle opportunità sempre
nuove che essa offre all’esame e all’affinamento dei nostri strumenti
concettuali”. Per Bohr, il principio di complementarità non è solo la
chiave interpretativa della meccanica quantistica, ma un principio
generale della conoscenza umana, il punto di approdo di riflessioni da
lui avviate fin dall’epoca in cui era studente universitario, un modo per
comprendere il rapporto tra le questioni relative alla funzione del
linguaggio e il problema della separazione tra soggetto e oggetto nei
diversi contesti della conoscenza umana.
Gli esempi più significativi discussi da Bohr in molti suoi scritti,
già a partire dalla fine degli anni Venti, riguardano la biologia, la
psicologia, l’antropologia e le scienze sociali. Al centro stanno
questioni “discusse dai filosofi fin dall’antichità” del tipo:
Che cosa è “la vita”?
Quale rapporto tra la sensazione del libero arbitrio che governa
la vita psichica e l’apparente ininterrotta catena causale che
accompagna i processi fisiologici?
Quale rapporto esiste tra la mente e il corpo?
Quale relazione esiste tra quella che viene chiamata
predisposizione naturale o carattere ereditario di una
popolazione e la sua cultura?
Quale rapporto tra individui e società e tra società o culture
diverse?
Vari brani illustrano quanto simili problemi avessero affascinato
Bohr fin dall’epoca dei suoi studi universitari.
Nell’uso comune del linguaggio, la stessa parola viene
impiegata, in contesti differenti, per denotare aspetti della
conoscenza umana che non sono solo diversi, ma mutuamente
esclusivi: si usa per esempio la stessa espressione “sto male”
in riferimento sia a un nostro stato di coscienza sia alla
concomitante reazione del nostro corpo.
Proprio riflettendo su simili ambiguità insite nel linguaggio
comune, Bohr aveva scritto in una lettera al fratello Harald nel
giugno del 1910:
“Probabilmente la sola risposta è che le sensazioni, come la
cognizione, devono essere dislocate in piani che non possono
essere comparati”.
E su temi analoghi aveva già insistito nel 1905, quando aveva discusso
per la prima volta (nel corso delle riunioni del gruppo dell’Ekliptika,
costituito da dodici studenti che si erano conosciuti seguendo il corso di
Høffding di introduzione alla filosofia) il testo del poeta e filosofo danese
Paul Martin Møller (1794-1838) dal titolo Avventure di uno studente
danese, che Bohr in seguito amò spesso citare:
“[…] e allora inizio a pensare ai miei pensieri di pensare; e ripenso di
pensare ai miei pensieri di pensare, e mi divido in una regressione
infinita di ego ognuno dei quali osserva l’altro. Non so più a quale
ego debba fermarmi come reale, perché non appena mi fermo c’è
qualche altro ego che si ferma proprio lì. Mi sento confuso, ho le
vertigini come se stessi guardando in un abisso senza fondo, e la
fine del mio pensare è un tremendo mal di testa”.
Un brano che illumina l’altro tema centrale delle meditazioni filosofiche di
Bohr: l’impossibilità, particolarmente evidente nell’introspezione
psicologica, di tracciare una netta distinzione tra soggetto e oggetto, o
anche, nel caso specifico, tra spettatore e attore.
Tra la fine degli anni ‘20 e i primi anni ‘30 la riflessione di Bohr sul
rapporto di complementarità tra biologia e fisica si concretizza in
affermazioni che oscillano tra l’impossibilità pratica di mantenere in vita
l’organismo osservato e l’impossibilità di natura epistemica di descriverlo:
Da un lato Bohr sostiene che esiste un limite tra biologia e fisica in quanto
qualunque esperimento mirante all’esatta determinazione dello stato di un
organismo vivente non può che risolversi con l’uccisione dell’organismo, e
conclude: “la stretta applicazione di quei concetti che sono adatti alla nostra
descrizione della natura inanimata dovrebbe stare in una relazione di
esclusione rispetto alla considerazione delle leggi del fenomeno della vita”.
Dall’altro, Bohr afferma che sia la meccanica classica sia la meccanica
quantistica sono capaci di descrivere in modo completo solo sistemi chiusi,
mentre gli organismi viventi hanno un metabolismo che implica un costante
scambio con l’ambiente, e quindi “non è mai possibile determinare quali
atomi appartengano in realtà all’individuo vivente”. Il supplemento teleologico
che sembra richiesto dalla spiegazione biologica rende la fisica incapace di
dominare le leggi caratteristiche della vita.
Il più noto intervento di Bohr sull’applicazione della
complementarità in biologia è probabilmente quello dal titolo
Luce e vita, tenuto nell’agosto del 1932 a Copenhagen al
Congresso di elioterapia.
In esso Bohr sostiene l’esistenza di “una mutua esclusione tra
aspetti tipici della vita come la conservazione o la generazione
degli individui, da una parte, e la suddivisione necessaria ad
ogni analisi fisica dall’altra. Proprio per questo essenziale
carattere di complementarità, il concetto di fine, che è estraneo
all’analisi meccanica, trova un certo campo di applicazione in
biologia”.
La scoperta della struttura del DNA da parte di Francis Crick
(1916 - ) e James Watson (1928 - ) nel 1953 determina
tuttavia una svolta nelle riflessioni di Bohr.
La complementarità in biologia viene a questo punto messa in
relazione con la complessità degli organismi viventi, come si legge
in una conferenza da lui tenuta nel 1960 a Copenhagen al
Congresso Internazionale di Scienze Farmaceutiche:
“La ragione per usare la descrizione complementare in biologia non
è connessa con il problema di controllare l’interazione tra oggetto e
apparato di misura, già considerato nell’ambito della cinetica
chimica, ma con la complessità praticamente inesauribile degli
organismi. […] Fintanto che la parola “vita” viene mantenuta per
ragioni pratiche o epistemologiche, l’approccio duale [cioè
complementare] continuerà sicuramente a persistere”.
In altre parole, Bohr si va convincendo che il limite di applicazione
della fisica alla biologia è legato essenzialmente a questioni di
natura epistemica piuttosto che di natura pratica, risolvendo
l’ambiguità contenuta nel suo scritto del 1931 sopra citato.
E nel testo, pubblicato postumo, della sua conferenza del 1962 dal
titolo Luce e vita rivisitate, tenuta in occasione dell’inaugurazione
dell’Istituto di Genetica dell’Università di Colonia, Bohr sottolinea che
anche se termini teleologici come “vita” potranno continuare a essere
utilizzati in modo complementare alla terminologia della biologia
molecolare, ciò non vuol dire che si pongano limiti nell’applicazione
alla biologia dei principi fondamentali della fisica atomica.
“Alla fine – prosegue Bohr – è una questione di come si progredisce
nella ricerca biologica. Credo che il senso di meraviglia che i fisici
provarono trent’anni fa abbia preso una nuova direzione. La vita sarà
sempre una meraviglia, ma ciò che cambia è l’equilibrio tra il senso di
meraviglia e il coraggio di provare a capire”.
Per Bohr, insomma, la riflessione filosofica non può prescindere dai
concreti sviluppi della scienza: non è la scienza che deve adattarsi alla
filosofia, ma la filosofia che deve fare i conti con la scienza.
Per Bohr i problemi filosofici non riguardavano né l’esistenza o la
realtà, né la struttura e i limiti della ragione umana. Essi erano
problemi di comunicazione, riguardavano le condizioni generali
della comunicazione concettuale. “Da che cosa dipendiamo noi
esseri umani in ultima istanza? Dipendiamo dalle nostre parole.
Siamo sospesi nel linguaggio. Il nostro compito consiste nel
comunicare agli altri esperienze e idee. Dobbiamo continuamente
sforzarci di estendere l'ambito delle nostre descrizioni, ma in modo
tale che i nostri messaggi non perdano il loro carattere di obiettività
e di mancanza di ambiguità”.
E i suoi interessi per il linguaggio e la complementarità hanno una
portata che va oltre le riflessioni epistemologiche. Durante e dopo
la seconda guerra mondiale, Bohr si appellerà ai capi di Stato
perché si adoperino alla realizzazione di un “mondo aperto” nel
quale sia salvaguardata la libera circolazione dell’informazione:
non solo per arrivare a una effettiva convivenza pacifica, ma anche
per garantire il progresso della conoscenza umana.
La seconda guerra
mondiale e l’utopia di un
“mondo aperto”
La seconda guerra mondiale
segna una svolta nella vita
dell’umanità, in particolare nel
significato e nel ruolo che la
scienza e la tecnologia hanno in
essa. Per molti scienziati (tra cui
Bohr, costretto a fuggire dalla
Danimarca tra il 1943-1945) la
principale preoccupazione in quel
periodo è di sensibilizzare
scienziati e uomini di governo
riguardo alle implicazioni politiche
e umane delle nuove armi.
Bohr, tornato in Danimarca alla fine della guerra continuerà il suo impegno sia nella politica sia
nella scienza nel tentativo di concretizzare il suo ideale di mondo aperto. Sul piano politico il suo
intervento più significativo è la Lettera aperta alle Nazioni Unite del 9 giugno 1950, nella quale
sostiene:
“Qualunque garanzia che il progresso delle scienze sia usato solo a
beneficio del genere umano presuppone lo stesso tipo di atteggiamento
di quello richiesto per realizzare la cooperazione tra le nazioni in tutti i
settori della cultura. […] La situazione richiede oggi l’atteggiamento più
spregiudicato in tutte le questioni connesse con le relazioni
internazionali. Oggi infatti è più necessario che mai rendersi pienamente
conto dei doveri e delle responsabilità che l’essere cittadini del mondo
comporta. […] Il fine da porre sopra ogni altro è quello di un mondo
aperto, nel quale ciascuna nazione possa affermarsi solo nei limiti in cui
sia in grado di contribuire alla cultura comune e di aiutare le altre grazie
alla propria esperienza e alle proprie risorse. […] I ragionamenti qui
presentati suggeriscono che ogni iniziativa, proveniente da qualsiasi
parte, che si muova nella direzione di una rimozione degli ostacoli alla
libera informazione reciproca e al libero scambio, sarebbe della massima
importanza per rompere l’attuale situazione di stallo e incoraggiare altri a
muoversi nella stessa direzione”.
Diversa fortuna hanno invece le iniziative di Bohr e altri
scienziati dirette a favorire la collaborazione internazionale in
ambito scientifico.
I tempi sono maturi: dopo la guerra diventa chiaro che la ricerca
nell’ambito della fisica nucleare e nel settore nascente della fisica
delle particelle elementari è possibile solo unendo le risorse umane e
materiali di più nazioni. Bohr è tra coloro che concorrono alla
fondazione del CERN il 15 febbraio del 1952, la cui divisione teorica
viene provvisoriamente ospitata dall’Istituto di Copenhagen, prima di
passare nel 1957 nella sua attuale sede a Ginevra. Bohr è anche
uno dei punti di riferimento per la costituzione nel settembre del 1957
del Nordisk Institut for Theoretisk Atomfysik, noto ancora oggi con
l’acronimo Nordita, che riunisce Danimarca, Finlandia, Islanda,
Norvegia e Svezia, con l’intento di formare giovani fisici teorici
provenienti da vari paesi. Ed infine, l’ultima iniziativa di Bohr sarà la
fondazione del Laboratorio Nazionale di Risø finalizzato a
“promuovere l’uso pacifico dell’energia atomica per il bene della
comunità”, inaugurato il 6 giugno del 1958.