FILOSOFIA: definizioni Letteralmente Filosofia significa amore per la sapienza (Philein=amare, e sophia=sapienza). Ma è un significato che, approfondito, assume ben altro spessore. Scrive Emanuele Severino: “Quanto alla parola philosophía ("filosofia"), essa significa, appunto, alla lettera (philo-sophia) "aver cura del sapere". Se si accetta l'ipotesi che in sophós, "sapiente" (su cui si costruisce il termine astratto sophìa), risuona, come nell'aggettivo saphés ("chiaro", "manifesto", "evidente", "vero"), il senso di phàos, la "luce", allora "filosofia" significa aver cura per ciò che, stando nella "luce" (al di fuori cioè dell'oscurità in cui stanno invece le cose nascoste - e alétheia, "verità", significa appunto, alla lettera, "il non esser nascosto") non può essere in alcun modo negato. "Filosofia" significa "l'aver cura della verità", dunque - dando anche a quest'ultimo termine il significato inaudito dell' "assolutamente innegabile". La filosofia è invenzione del perché, in quanto non si limita a descrivere, ad osservare e registrare come stanno le cose, ma vuole spiegare perché stanno in un certo modo. Ed è una ricerca di senso. Dice Aristotele che la filosofia nasce dalla meraviglia. Ma è riduttivo intendere con ciò lo stupore che induce ad un esercizio intellettuale. La meraviglia (Thauma), rimanda alla paura, al terrore, della morte di una realtà che appare caotica e priva di senso. La filosofia dunque, nasce anche contro la paura. Nascita della filosofia e la curiosità: fattore curiosità, il voler capire, comprendere, cogliere cosa c'è al di là di ciò che appare, del semplice fenomeno. Il voler cogliere il tutto in un sistema unitario. Aristotele (Dante, nell’“Inferno” lo definisce “maestro di color che sanno”). Il primo libro della sua “Metafisica” può essere considerato il primo manuale di storia della filosofia, anche se lui non aveva scelto né il titolo, né tanto meno quella precisa sistemazione del testo. All’inizio della “Metafisica”, Aristotele scrive: “Gli uomini, all’inizio come adesso, hanno preso lo spunto per filosofare dalla meraviglia, poiché dapprincipio essi si stupivano dei fenomeni più semplici e di cui essi non sapevano rendersi conto, e poi, procedendo a poco a poco, si trovarono di fronte a problemi più complessi, come i fenomeni riguardanti la Luna, il Sole, le stelle e l’origine dell’universo”. Si trova, in questo brano aristotelico, un termine molto importante per la filosofia: “thauma” (meraviglia), a cui è legato il verbo “thaumazein” (provare meraviglia). La meraviglia come origine della filosofia, dice Aristotele. E il suo maestro, Platone, aveva scritto nel “Teeteto”: “E’ proprio del filosofo essere pieno di meraviglia: e il filosofare non ha altro cominciamento che l’essere pieno di meraviglia”. Purtroppo però, la traduzione con “meraviglia” non va affatto bene: la resa in italiano, che non possiede la ricchezza del greco antico, conduce ad un restringimento di significato assolutamente fuorviante. Nella lingua greca “thauma” rimanda a qualcosa di minaccioso, di inquietante: Omero, ad esempio, descrive 1 Polifemo come “un mostro che incita paura (thauma)”. Questa parola greca, che Aristotele pone all’inizio della filosofia, sta a significare anzitutto lo sgomento ancestrale nello scoprire il divenire di tutte le cose, la paura di fronte alla consapevolezza che il mondo, e noi con lui, è sottoposto ad un ciclo continuo di nascita e di morte, la volontà di trovare un rimedio alla fine, al nostro scivolare nel nulla. Nessuno può sfuggire al divenire, nessuno può sfuggire alla trasformazione, alla generazione e alla corruzione (per usare, ancora una volta, termini cari ad Aristotele!). Che la cosa ci piaccia o no, siamo su questa giostra e dobbiamo correre la nostra corsa, insieme a tutto il resto… La filosofia nasce quindi dal “thauma”, cioè dallo sguardo angosciato sul mondo preda del continuo divenire. Ed è proprio di fronte a questo divenire che si arrestarono i primi filosofi: di fronte alla molteplicità dei fatti e ai loro mutamenti continui, la filosofia si costituisce come ricerca di quell’elemento unitario che spieghi il senso e l’accedere complessivo della realtà della natura. La filosofia, come abbiamo visto in classe, inizia quando il pensiero inizia ad interrogarsi sulla natura delle cose, sul loro principio di vita, sul principio regolatore che ne stabilisce l’ordine e le leggi. “Che cosa sono le cose che ci circondano e quale la loro origine?” E’ possibile trovare qualcosa che si sottragga alla molteplicità e al divenire, che possa sottrarsi a questo destino di morte e cui noi, in quanto individui, non possiamo sfuggire? A queste domande, che avevano da sempre interessato l’uomo, rispondono i primi filosofi: Talete, Anassimandro, Anassimene, i Pitagorici, Eraclito, Parmenide, i fisici pluralisti, ossia quei filosofi che vengono indicati con l’etichetta “presocratici”. Prima di loro la risposta consisteva nel racconto mitico che narrava in forma poetica la nascita del mondo, mentre adesso si cerca una risposta diversa, affrontando la questione con un atteggiamento teso a spiegare razionalmente la realtà. Ad un certo punto, in un preciso momento della storia della nostra civiltà, cioè nella Grecia del VII secolo a.C., l’uomo ha cessato di accontentarsi delle parole del mito, delle sue risposte e dei suoi rimedi alla paura della morte e ha cercato le risposte della filosofia. Le soluzioni che forniscono possono sembrare ingenue, ma la domanda a cui cercano una risposta, per quanto millenaria, è ancora viva e vegeta. In attesa di una soluzione che, forse, non arriverà mai. La filosofia è ricerca, è un’indagine razionale sempre aperta, poiché le risposte alle domande hanno sempre un carattere provvisorio, mai definitivo. Alla stessa domanda possono essere date risposte diverse; una stessa domanda, in periodi diversi, può portare a risposte diverse. Per quanto concerne il metodo, la filosofia mira ad essere spiegazione puramente razionale di quella totalità che essa ha come oggetto. Ciò che vale in filosofia non è il discorso narrativo, il raccontare, ma il discorso argomentativo secondo ragione, la motivazione logica, il "logos"(=la razionalità, il ragionamento). Non basta alla filosofia raccogliere esperienze, ma deve andare oltre le esperienze per trovarne la causa o le cause con la ragione. Altrettanto, rispetto alla condotta pratica la filosofia sostituisce l'accettazione acritica dei valori e delle credenze con la ricerca razionale intorno a ciò che è bene per il singolo e per la comunità. Le dottrine filosofiche sono dunque un prodotto della ragione e, lungi dalla pretesa di essere verità dogmatiche, indiscutibili, si sottopongono alla discussione, alla critica e alla confutazione, per essere sostituite con altre 2 dottrine che la ragione mostri più convincenti. In tal modo la filosofia si distingue sia dal mito sia dalla religione, poiché mito e religione non sono il frutto della pura ragione, bensì costituiscono elementi di ispirazione o rivelazione, in quanto tali non sottoposti a dibattito o critica. Aristotele chiamò "teologi" i narratori di miti come Omero ed Esiodo, mentre chiamò “fisici” i primi filosofi, cioè studiosi della natura (in greco “physis”), anche se quei primi filosofi per physis intendevano non soltanto una parte o un aspetto dell'essere, cioè la natura fisica del mondo, ma la totalità dell'essere stesso, cioè la totalità della realtà, anche quella non fisica. Infine, lo scopo della filosofia sta nel puro desiderio di conoscere e di contemplare la verità. La filosofia è disinteressato amore di verità, senza proporsi di conseguire qualche utilità pratica. La filosofia infatti nasce solo dopo che gli uomini hanno risolto i problemi fondamentali della sussistenza e si sono liberati delle più urgente di necessità materiali. Dice Aristotele: "noi non ricerchiamo la filosofia per un qualche vantaggio estraneo ad essa. Essa è da sola fine a se stessa e perciò essa sola, fra tutte le altre scienze, diciamo libera. Tutte le altre scienze saranno più necessarie, ma nessuna sarà superiore". Contemplando la totalità dell'essere cambiano necessariamente tutte le prospettive usuali, muta la visione del significato della vita e si impone una nuova gerarchia di valori. La verità contemplata infonde un’enorme energia morale ed una viva coscienza sociale. 3