Reimpianto post traumatico di incisivo centrale superiore dopo

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caso clinico
Reimpianto post traumatico di incisivo centrale
superiore dopo trattamento endodontico extraorale
e stabilizzazione con legatura chirurgica.
Analisi retrospettiva a 23 anni
Post-traumatic upper replantation of a central incisor after extraoral endodontic
therapy and surgical splinting. A retrospective analysis after 23 years
Reimpianto dentale,
anchilosi ossea,
legatura chirurgica,
endodonzia extraorale.
Dental replantation,
bone ankylosis,
surgical splinting,
extraoral endodontics.
[email protected]
Scopo del lavoro
Scopo del lavoro è illustrare la possibilità di successo del
reimpianto di un dente traumatizzato dopo terapia endodontica
extraorale, attraverso uno studio storico della letteratura e la
presentazione di un caso clinico.
materiali e metodi
Si descrive il caso clinico di un trauma con avulsione del 21. Si
è effettuato reimpianto dopo terapia endodontica extarorale e
fissazione con filo chirurgico di contenzione.
risultati
Il follow-up a distanza di 23 anni dal trauma mostra come
la situazione clinica si sia mantenuta soddisfacente senza
alcun segno di rizolisi. Alla radiografia si evidenzia l’anchilosi
completa della radice al tessuto osseo senza alcuna presenza
di legamento parodontale (osteointegrazione).
conclusioni
Il reimpianto dentale rappresenta ancora oggi una terapia consigliata che consente il recupero funzionale ed estetico del dente avulso e rimanda nel tempo l’eventuale terapia implantare.
L
a più antica testimonianza del probabile reimpianto di un dente risale a circa quattromila e
cinquecento anni fa. Nel 1914, durante lo scavo di una “mastaba” dell’oasi di El Gizah, risalente al
2400 a.C., l’archeologo viennese Junker rinvenne due
denti umani legati fra loro da un sottilissimo filo d’oro
strettamente avvolto al di sotto del loro margine coronale. Poiché, come riferisce lo scopritore, i due denti
furono rinvenuti accanto e non direttamente collegati
alla mandibola di uno scheletro, non si può escludere
che il reperto rappresenti solo il tentativo di legare un
dente ad un cadavere da imbalsamare (1, 2).
2
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Ma poiché il prof. Euler, Direttore della Clinica Odontoiatrica dell’Università di Breslavia cui fu consegnato il reperto, dichiarò che “i due denti (un dente del
giudizio legato al secondo molare contiguo) appartenevano allo stesso individuo e che il secondo molare presentava il riassorbimento quasi completo della
propria radice”, tipico dei denti reimpiantati in vita
e rimasti in sede per un certo tempo, non è da escludere che si tratti della più antica documentazione di
reimpianto in nostro possesso. Il reperto è attualmente conservato in Germania presso il Roemer Pelizaeus Museum di Hildescheim, vicino ad Hannover,
ma il sovraintendente della Sezione Egiziana, la dottoressa Schmitz, ci ha comunicato che la legatura in
oro è andata perduta (fig. 1).
Agli inizi del secolo scorso Chiavaro, Direttore della Clinica Odontoiatrica dell’Università di Roma, fornì interessanti indicazioni sulla tecnica del “reipiantamento dei denti”. Consigliò, dopo la cura canalare
con guttaperca, “di arrotondare e ridurre di un paio
di millimetri l’apice radicolare, impiantando il dente solo quando fosse cessata l’infiammazione acuta
dell’alveolo leso”. Al momento del reimpianto raccomandò di ricruentare nuovamente l’alveolo e farlo
sanguinare. Affermò di avere avuto casi di successo anche reimpiantando denti dopo un mese, purché
mantenuti in soluzione di fenolo al 25%. Se l’alveolo
si fosse ristretto durante l’attesa, consigliava di allargarlo con apposite frese “calibrate” che aveva fatto
costruire appositamente. Riportò i reperti istologici
dei suoi reimpianti sperimentali nei cani, in cui dimostrò che la radice del dente reimpiantato si univa
alla parete del processo alveolare per anchilosi, dopo che i resti del legamento alveolo-dentario, rimasti
attaccati al cemento, erano stati completamente riassorbiti (3).
Marco E. Pasqualini
Tatiana Turceninoff *
Liberi professionisti
* Igienista dentale
caso clinico
Fig. 1 Lavorando a Giza nel 1914, Hermann Junker
trovò questi molari risalenti a circa 3000-2500 anni
a.C., legati con filo d’oro forse in vita (Tratta da:
Malvin E. Ring. Storia illustrata della Odontoiatria.
Roma: Antonio Delfino Editore; 1989).
Interessanti le sue osservazioni sulle prove cliniche dei denti reimpiantati e bloccati per il predetto processo di anchilosi: “Se si batte con un corpo metallico sui
denti normali, si sente un suono profondo
ed ottuso, come se si battesse su un tavolo di legno coperto da un tappeto, mentre,
se si batte con lo stesso corpo su un dente reimpiantato, si ottiene un suono alto e
timpanico come se si battesse sullo stesso tavolo privo del tappeto. Se si imprimono movimenti di “va e vieni” ad un dente normale, si sente che esso leggermente
cede a causa della sua articolazione legamentosa alla cavità alveolare, ma se si imprime lo stesso movimento ad un dente
reimpiantato, questo non si sente cedere”.
Dopo il discutibile, ma allora dominante
allarme sull’infezione focale lanciato da
Rosenow nel 1929, i reimpianti furono decisamente condannati (4).
Ripresero solo dopo che il perfezionamento delle terapie canalari arrestò la sconsiderata terapia delle estrazioni “profilattiche” di ogni dente con patologia apicale.
Nel 1939 Hoffer e Buy diedero relazione
di una statistica di 31 casi di reimpianto eseguiti nella Clinica Odontoiatrica
dell’Università di Milano, concludendo,
sulla scorta dei controlli radiografici e dei
favorevoli risultati clinici, che “agli effetti della prognosi del loro consolidamento e della loro durata andava assegnata la
massima importanza all’integrità dell’alveolo ed alla scelta del materiale di otturazione dell’apice radicolare” (5).
Haupl, Direttore alla Clinica Odontoiatrica dell’Università di Innsbruck, alla fine
degli anni ’40 del secolo scorso, era favorevole ai reimpianti da eseguire sia con i
denti espiantati per trauma, sia con i denti impossibili da trattare con adeguata terapia canalare o apicectomia. Citava in
proposito le esperienze sui cani di Hammer e di Axhausen (6, 7, 8).
Favorevole ai reimpianti fu anche Thoma.
Nel suo “Trattato di Chirurgia Orale” vi
dedicò un intero capitolo. In esso riferì
che J. Faust aveva eseguito 270 reimpianti, con 252 risultati positivi, con periodi
di permanenza da uno a dieci anni. Aggiunse che Krueger aveva seguito radiograficamente il lentissimo riassorbimento di un dente reimpiantato e rimasto in
sede, solido e funzionante per 18 anni (9,
10 ,11).
Riferì anche che Ljungdahl e Martensson,
che avevano reimpiantato quattro incisivi
superiori due ore dopo il trauma mantenendoli bloccati per quattro mesi, avevano osservato che tre di essi, con gli apici
non ancora formati, si erano perfettamente anchilosati entro gli alveoli ed avevano
dato risposte positive alla prova elettrica
di vitalità. La radice di un incisivo centrale, con l’apice completamente formato, era invece stata riassorbita e fu estratta. Secondo i due autori, nell’incisivo ad
apice completo, i vasi pulpari, lacerati
dall’espianto, non si erano potuti riformare. Il vasto lume dell’apertura apicale e la
stasi ematica alla polpa degli altri tre denti avrebbero permesso la rivascolarizzazione del follicolo dentale, che vi era rimasto adeso. Conclusero che la differenza fra
il reimpianto dei denti non ancora definitivamente formati e quello dei denti ormai sviluppati consisteva nel fatto che “i
primi potevano riprendere la vitalità della polpa, mentre i secondi si sarebbero dovuti reinserire solo dopo un’accurata otturazione canalare”.
Ljungdahl e Martensson non chiarirono
se la rivitalizzazione della polpa fosse da
riferire solo alla ripresa della circolazione emolinfatica o anche al recupero della
sensibilità nervosa, comunque indirettamente confermata dalle prove di vitalità, controllate dalle reazioni dolorose alla stimolazione elettrica (12).
Thoma si limita a riportare la comuni-
cazione, senza aggiungervi commenti. Il
fatto che egli poi documenti con una serie
di radiografie il caso di un suo reimpianto di germe dentale tolto da una cavità cistica, che giunse alla completa formazione delle radici erompendo regolarmente,
potrebbe essere tuttavia interpretato come una conferma indiretta del recupero
della conducibilità nervosa, segnalata da
Ljungdahl e Martensson.
Numerose sono le pubblicazioni in tema
di reimpianto dei denti.
Il diametro dell’apice radicolare, il tempo
e la permanenza in sede extraorale possono influenzare la rivascolarizzazione
dell’elemento reimpiantato, come dimostrano recenti studi (13, 14, 15).
La durata dei reimpianti è in diretto
rapporto:
con lo stato di integrità dell’alveolo
beante;
con l’intervallo di tempo intercorso fra
l’espianto ed il reimpianto e con la vitalità residua del dente;
con l’abilità chirurgica dell’operatore;
con l’efficacia del suo temporaneo bloccaggio ai denti vicini e della sua protezione dagli stress occlusali.
MATERIALI E METODI
Descrizione del caso
Una paziente di anni 15, caucasica, giungeva presso il nostro studio 4 ore dopo
aver subito un incidente con il motorino (29 giugno 1992) che le aveva causato
l’avulsione traumatica dell’elemento 21.
L’esame obiettivo aveva evidenziato mobilità e dislocazione completa dello stesso,
con presenza di lacerazione e sanguinamento della mucosa interessata al trauma
(fig. 2).
Per prima cosa abbiamo controllato l’alveolo beante traumatizzato dall’espianto,
ci siamo preoccupati di detergerlo dal coagulo, eliminando eventuali frammenti.
La paziente presentava viso, labbra e fornice edematosi e si trovava in uno stato di
agitazione (fig. 3). Abbiamo quindi deciso di premedicare con un sedativo (Diazepan per os 20 gocce), in quantità proporzionale all’età, al peso, alle sue condizioni
generali ed ai valori pressori; dopo il con-
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caso clinico
Figg. 4
In alto: la radice
avulsa.
In basso: la cura
canalare con
strumento meccanico
(Endomat).
Fig. 2
Il trauma avulsivo
dell’elemento 21
con lacerazione
dei tessuti molli.
Fig. 5
La radiografia dopo
la “corretta” terapia
endodontica
extraorale.
Fig. 3
Il volto della giovane
paziente di anni
15 al momento del
reimpianto (29 giugno
1992). Si evidenziano i
segni dell’incidente.
trollo radiografico di altre possibili lesioni, l’abbiamo lasciata rilassare e riposare
per 10/15 minuti prima di anestetizzare
la zona. Intanto il dente espiantato è stato
deterso dal sangue incrostato, da eventuali tracce di terra e da altre impurità utilizzando una soluzione fisiologica e un
detergente a pH neutro, evitando disinfettanti caustici o la sterilizzazione al calore.
La disinfezione del canale radicolare è
stata eseguita solo con soluzione antibiotica topica (Rifamicina) e soluzione fisiologica (NaCl 0,9%).
In questa paziente con apice completamente sviluppato si è proceduto alla terapia canalare extraorale in tempi assai
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brevi con riempimento del canale con endomethasone (figg. 4 e 5) (16).
Nel paziente giovane con apice beante e
denti permanenti alcuni autori consigliano il reimpianto diretto senza la cura canalare (17); altri si riservano di decidere
per una successiva terapia canalare dopo
eventuali controlli radiografici nel tempo
(18, 19).
Nel nostro caso, dopo l’effetto dell’anestesia, si è provveduto alla palpazione
dell’alveolo, comprimendolo fra le dita e
controllando che non vi fosse percezione di frattura delle sue sottili pareti, perché a nostra esperienza le piccole fratture marginali vanno sempre eliminate,
per evitare che, andando in necrosi, disturbino l’osteoanchilosi del reimpianto.
L’alveolo è stato quindi deterso dai coaguli ed irrigato con soluzione fisiologica
ed antibiotica. Nel reintrodurre il dente
nell’alveolo si è percepita la sensazione
che il dente fosse “risucchiato” nella cavità (fig. 6).
La sua fissazione temporanea ai denti fissi contigui è stata eseguita con legatura
metallica (ottimo il sottile filo metallico
da ortodonzia di 0,1 mm); in alternativa
si poteva usare un bloccaggio ortodontico
esteso (fig. 7).
Di fondamentale importanza è stato il
controllo che il dente, così fissato, non fos-
caso clinico
Figg. 6
A sinistra: la
pulizia dell’alveolo
traumatizzato con il
controllo di eventuali
frammenti di frattura.
A destra: la
reinserzione
dell’elemento
dentale dopo parziale
detersione con
soluzione fisiologica.
Figg. 7
A sinistra: la
legatura con filo
d’acciaio al termine
dell’intervento.
A destra: l’aspetto a
2 mesi delle mucose e
del dente reimpiantato.
Figg. 8
A sinistra: la situazione
iniziale.
A destra: il controllo a
2 mesi dal trauma.
Fig. 9
Controllo
dell’occlusione.
se sottoposto a traumi statici e dinamici:
ogni sollecitazione ne avrebbe impedito
l’eventuale anchilosi (20).
La legatura contentiva è stata tolta a di-
stanza di 2 mesi (figg. 8-11).
A qualcuno che non avesse pratica di ortodonzia o di legature temporanee di denti mobilizzati da malattia parodontale, po-
trebbe risultare difficile il bloccaggio del
reimpianto con il sottile filo metallico. In
situazioni di emergenza, dopo aver riposizionato il dente espiantato, si può collegarlo e bloccarlo ai denti fissi contigui con
un arco parziale da ortodonzia, estemporaneamente piegato secondo la curvatura
dell’arcata e bloccato ai denti, dopo mordenzatura, con resine auto o fotopolimerizzabili oppure con splintaggio diretto
con le medesime resine (21).
Alla paziente, ultimato l’intervento, è stata prescritta terapia domicilare di copertura antibiotica (Amoxicillina) ed antidolorifica (Nimesulide).
La paziente è stata avvertita che il reim-
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caso clinico
Fig. 10
La radiografia
del dente a 2 mesi. Da
notare la sottile linea
scura lungo
la juga alveolareche
simula il legamento
parodontale.
Fig. 11
Il sorriso della giovane
paziente.
pianto non poteva avere durata illimitata,
ma che avrebbe potuto comunque mantenersi stabile e funzionante per diversi anni. È stata inoltre avvisata che nel
6
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Fig. 12
Il medesimo dente a
23 anni di distanza (4
febbraio 2015).
RISULTATI
Fig. 13
Il volto della paziente.
DISCUSSIONE
momento in cui la radice del dente reimpiantato si fosse completamente riassorbita, si sarebbe potuto sostituirla con un
monoimpianto.
Questo caso clinico è stato seguito con
controlli semeiologici e radiologici periodici per 23 anni ed attualmente presenta ancora la stabilità anchilotica dell’elemento 21 reimpiantato nel 1992, come è
evidente nella documentazione raccolta
(figg. 12-16).
Per migliorarne l’estetica il dente è stato
trattato con un prodotto sbiancante adatto
al trattamento dei denti devitalizzati (tipo
Endo con perossido di Idrogeno al 35%),
mediante tecnica “Walking Bleach” (22).
La sostituzione del legamento alveolo dentale con l’osteoanchilosi del dente reimpiantato fa parte, paradossalmente, anche
del suo processo di rigetto.
Con il termine di anchilosi si intende la
perdita definitiva, parziale o totale, dei
movimenti di un’articolazione, provocata da alterazioni anatomiche dei suoi componenti, che nel caso dei denti espiantati
e reimpiantati è formata dal cemento radicolare, istologicamente molto simile al
tessuto osseo, dalle fibre di Sharpey, dal
legamento alveolare, dai capillari emolinfatici che lo attraversano e dallo straterello d’osso cribroso della “lamina dura” .
Con l’espianto viene improvvisamente interrotto ogni scambio emolinfatico fra il
caso clinico
Fig. 14
La radiografia di
controllo evidenzia
la mancanza della
sottile linea scura
pseudo legamentosa,
indicandone la
completa anchilosi della
radice al tessuto osseo.
Fig. 15
Aspetto della mucosa
palatale prima della
seduta di igiene.
Fig. 16
Il dente reimpiantato a 23 anni di distanza
dopo seduta di igiene orale professionale,
sbiancamento con tecnica “Walking Bleach” ed
allungamento del margine incisale con composito
fotopolimerizzante per migliorarne l’estetica,
relativamente compromessa dalla mancata
estrusione fisiologica, in quanto anchilosato.
tessuto osseo, il paradenzio e la radice del
dente a causa della lacerazione di tutto il
complesso legamentoso dell’articolazione osteocementizia: praticamente viene
distrutta gran parte della struttura che
trattiene il dente nell’alveolo (23).
Negli espianti rimangono spesso ancora integri i due strati di cemento che ricoprono la dentina radicolare e la lamina
dura che delimita l’alveolo beante. Quest’ultimo, dopo il sanguinamento iniziale,
trattiene un coagulo ematico, che sarà la
matrice del tessuto di granulazione, che
successivamente provvederà all’osteogenesi riparativa dell’alveolo beante. Se il
dente viene subito reimpiantato, e se non
sono presenti fratture ossee alveolari,
l’unica parte dell’articolazione osteodentale che l’organismo dovrà sostituire dopo
averne riassorbiti i residui lacerati, sarà
il legamento alveolare, rimanendo ancora indenni sia il cemento radicolare, sia la
corticale cribrosa dell’alveolo vuoto.
Dopo tali tempestivi reimpianti, il versamento ematico intraradicolare si organizzerà rapidamente in un sottile deposito
di fibrina successivamente sostituito da
connettivo neoformato, suscettibile di far
posto, in rapporto allo stato di immobilità in cui sarà mantenuto il reimpianto, sia
ad uno strato di tessuto fibroso denso, sia
ad uno strato di tessuto osseo vero e proprio, che si interporrà fra la lamina dura
ed il cemento radicolare.
L’anchilosi del dente reimpiantato sarà
tanto più estesa e più rigida quanto più
prevarrà il tessuto osseo di nuova formazione in rapporto allo strato fibroso iniziale, transitorio o permanente. E dallo stesso momento in cui il tessuto osseo
neoformato si unisce al cemento radicolare, iniziano anche i processi di rizolisi della radice e del conseguente “rigetto”
progressivo del reimpianto (24).
In un dente espiantato ed immediatamente reinserito il cemento radicolare, molto
simile all’osso, manterrà la stessa vitalità residua dei trapianti d’osso autologo,
che possono attecchire senza essere totalmente riassorbiti su altre sedi ossee
cruentate chirurgicamente; e questo è il
caso di quei reimpianti, praticamente immediati, che rimangono in sito per decenni, con un ridottissimo riassorbimento radicolare periferico (25).
I denti reimpiantati più tardivamente hanno perduto la vitalità residua del cemento
radicolare, ormai ridotto ad uno strato di
tessuto necrotico, da sostituire. L’osteogenesi riparativa dello strato intermedio lo
raggiungerà, fagocitandone progressivamente i tessuti già morti, che sostituirà
con l’osteoanchilosi della radice. Essa rimarrà comunque saldamente incarcerata
ed incorporata nell’osso neoformato fino
alla sua rizolisi totale ed alla caduta della corona ormai privata del proprio supporto. Ciò che è stato appena descritto è
il caso di tutti i reimpianti “archeologici”
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caso clinico
di denti espiantati traumaticamente e rimessi tardivamente nei propri alveoli.
Il processo di riassorbimento delle radici
prosegue talvolta per anni, secondo tempi proporzionali all’intervallo intercorso
fra gli espianti e i reimpianti, riuscendo
tuttavia a conservarne per lungo tempo
la funzione grazie, paradossalmente, alla
stessa meccanica “espulsiva” dell’osteoanchilosi “includente”.
Ci troviamo di fronte al medesimo processo di “osteointegrazione” che ritiene
saldamente, per anchilosi, anche gli impianti, senza alcuna interposizione di
connettivo fibroso fra il metallo biocompatibile non riassorbibile di cui sono formati ed il tessuto osseo che vi si appone,
modellandosi direttamente su tutte le irregolarità del profilo microscopico della
sua superficie (26).
CONCLUSIONE
Il reimpianto di un dente avulso può avere
risultati positivi a lungo termine se il tempo di permanenza extraorale è reso minimo da un reinserimento rapido con mezzi di contenzione appropriati. L’eventuale
infezione del canale radicolare viene prevenuta con una terapia endocanalare.
La letteratura ha dedicato numerosi lavori al reimpianto dei denti (27, 28, 29),
evidenziando come quello di denti parzialmente formati (in cui gli apici radicolari non sono ancora completati) è seguito
da una percentuale maggiore di successi rispetto al reimpianto dopo 2-3 ore di
permanenza extraorale e dopo terapia
endodontica.
La circolazione sanguinea in denti non
completamente formati viene riabilitata velocemente rimanendo una relativa
connessione attraverso il largo cribo apicale con il parodonto. Nei denti completamente formati la sconnessione vasculo-nervosa che avviene con il trauma non
permette un ripristino della circolazione
sanguinea con conseguente perdita della
vitalità, pertanto la polpa deve essere sostituita con una terapia canalare.
La decisione di reimpiantare un dente
avulso deve essere presa in considerazione dopo il calcolo della lunghezza del pe-
8
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riodo di tempo in cui il dente è rimasto
fuori dal cavo orale e dallo studio di sviluppo dello stesso. Sottolineiamo che il
reimpianto non può avere una durata illimitata, ma potrà reggersi per parecchi
anni mantenendo uno spazio osseo adatto per l’eventuale sostituzione conservativa con un monoimpianto (30). ●
aim of the work
The aim of this research is to illustrate the possibility of success of traumatized tooth replanted
after an extraoral endodontic therapy, based on
the available study literature and the report of a
case.
materials and methods
The authors describe the case of a trauma with
avulsion of 21. The treatment consisted in replantation following an extraoral endodontic therapy
and a fixation with surgical splinting.
results
The follow-up at 23 years after trauma shows
that the clinical situation remained satisfactory
without any sign of root resorption. Radiography
shows the complete ankylosis of the root to the
bone without the presence of periodontal ligament (osseointegration).
conclusions
The replantation of a tooth is still a recommended
therapy that enables the functional and aesthetic recovery of an avulsed tooth and postpones a
subseguent implant therapy .
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