Molti fattori influenzano la scelta dell’età alla quale i
vaccini vengono somministrati:
• l’interferenza potenziale con le risposte immuni da
parte degli anticorpi trasmessi passivamente dalla madre
• l’età alla quale è maggiore il rischio per la malattia
• l’età alla quale è maggiore il rischio di complicazioni
legate al vaccino
• la capacità di soggetti di una determinata età di rispondere al vaccino.
La regola generale è che i vaccini vanno somministrati all’inizio dell’età alla quale il gruppo a rischio
dimostri di dare una risposta accettabile in anticorpi.
La scelta di una determinata età è spesso un compromesso fra l’età alla quale la risposta immunologica (e
quindi l’efficacia del vaccino) è sufficientemente elevata e l’età alla quale la malattia comincia a manifestarsi:
la vaccinazione contro il morbillo è un esempio di questo compromesso. All’età di un anno la risposta alla
vaccinazione è già buona (efficacia del 95%), ma lo
sarebbe ancora di più se aspettassimo fino a 3-4 anni:
però in questo caso lasceremmo aperta una finestra (cioè
la possibilità di ammalarsi di morbillo) troppo a lungo.
Da qui il compromesso di vaccinare con la prima dose
di MPR dopo il compimento del primo anno di età.
Del neonato e del lattante:
influenza degli anticorpi
di origine materna
Prima della nascita lo sviluppo del sistema immune è
incompleto e spesso non è sufficiente per fornire difese
efficaci contro le malattie infettive. Per questa ragione
il trasferimento degli anticorpi dalla madre al prodotto
del concepimento e al neonato, prima e dopo la nascita
(nel latte materno) rappresenta un elemento essenziale
per la sopravvivenza del feto, del neonato e del lattante.
Delle difese della madre contro le malattie infettive ci
interessano solo gli anticorpi della classe IgG, gli unici
che oltrepassano la barriera placentare, per proteggere il
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7
C a p i t o l o
Età alla somministrazionE
prodotto del concepimento, perché le altre classi di anticorpi e le cellule T non possono, proprio per le differenze dell’HLA fra la madre e il feto, essere utili per le
sue difese e d’altra parte non dovrebbero superare la
barriera placentare. Queste differenze sollevano la possibilità di un attacco al feto da parte delle cellule T
della madre, ma questo pericolo è scongiurato dall’assenza di antigeni HLA nelle aree di contatto placentare;
d’altra parte il rischio che linfociti fetali possano attaccare i tessuti della madre è molto ridotto, per l’incompetenza delle cellule T del feto. Pertanto, solo gli anticorpi servono a trasmettere l’esperienza immunologica
della madre al feto, al neonato e al lattante, in attesa che
egli maturi il proprio sistema immune (Zinkernagel RM,
2003). Infatti, gli anticorpi di origine materna attenuano
l’infezione durante i primi mesi di vita, creando le condizioni ottimali per l’immunizzazione naturale del lattante contro l’agente infettivo, causa della malattia.
Le infezioni che mettono in pericolo la sopravvivenza del feto e del neonato sono rare non solo per l’immunità trasmessa dalla madre, ma per la presenza
dell’immunità di gruppo (herd immunity) nella popolazione e per il miglioramento generale delle condizioni
igieniche, avvenute negli ultimi decenni.
L’entità delle difese conferite dalla madre, mediante il passaggio di anticorpi sono proporzionali al loro
livello; anche la durata dell’immunità passiva è connessa al loro titolo, perché, come si sa, le immunoglobuline hanno un tempo di dimezzamento di circa 20
giorni, per cui più elevato è il tasso iniziale e maggiore è la loro durata nel lattante. L’effetto negativo delle
immunoglobuline di origine materna sull’immunogenicità dei vaccini, è scarso nei confronti dei vaccini costituiti da antigeni o comunque da agenti infettivi uccisi, mentre è molto evidente quando il vaccino sia costituito da agenti vivi attenuati, come il vaccino contro
morbillo-parotite-rosolia-varicella.
Nonostante queste naturali deficienze di risposta, vale ugualmente la pena di somministrare in epoca neonatale alcuni vaccini, come il BCG e la prima dose
dell’antigene di superficie del virus dell’epatite B nei
figli di madri HBsAg positive: non bisogna dimenticare tuttavia che la vaccinazione di un neonato è un com-
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7 - Età alla somministrazione
promesso fra una risposta subottimale e la necessità di
difendere il neonato il prima possibile. I 2 mesi di età
(cioè dal 61° giorno di età) sono giudicati sufficienti
per la somministrazione del vaccino contro difteritetetano-pertosse (DTPa), del vaccino contro l’Haemophilus influenzae tipo b (Hib), di quello contro la polio
e contro lo pneumococco coniugato.
Fattori importanti sulle modalità di risposta ai vaccini vivi e non vivi, in presenza di anticorpi passivi di
origine materna, sono rappresentati da (Siegrist C-A et
al, 1998; Siegrist C-A, 2001):
• il livello di anticorpi materni presenti al momento
dell’immunizzazione
• l’origine di questi anticorpi, se successiva al superamento della malattia o in seguito a vaccinazione
• il tipo di vaccino usato nella madre, nel neonato o nel
lattante
• l’influenza del vaccino sulle cellule B e/o sulle cellule T.
La scelta del terzo mese per l’inizio della vaccinazione è stata, col senno di poi, quanto mai opportuna, per
cui dispiace riscontrare che ancora la popolazione e
ancor peggio alcuni pediatri, compiono un errore d’interpretazione nel considerare il terzo mese come se
fosse sinonimo dei tre mesi compiuti: in tal modo viene sottratto al lattante un intero mese durante il quale
non viene a godere dei benefici della vaccinazione.
Ritardare la vaccinazione al di là del 90° giorno è un
errore che purtroppo, a volte, viene pagato a caro prezzo, soprattutto per la pertosse.
Terzo mese non vuol dire a 3 mesi compiuti!
Vaccinazione del neonato
Negli ultimi anni sono stati fatti numerosi tentativi per
estendere la vaccinazione ai neonati, soprattutto allo
scopo di raggiungere due obiettivi (Griebel PJ, 2009):
• la nascita è la più frequente e più importante occasione
per un contatto con le strutture pubbliche, addette alla
vaccinazione
• alla nascita iniziano le risposte protettive precoci che
proteggono il lattante suscettibile.
Come abbiamo visto, le risposte dell’organismo sono
regolate dall’età: il neonato è, da un punto di vista
immunologico, relativamente immaturo, anche se possiede un numero sufficiente di cellule T e B, tanto da
farlo considerare come un soggetto parzialmente immunocompromesso.
L’OMS calcola che circa 2,5 milioni di neonati e
lattanti, in età inferiore ai 6 mesi, muoiano per infezione ogni anno nel mondo (Siegrist C-A, 2001; Demjrjian
A e Levy O, 2009).
Il meccanismo della scarsa risposta immunologica
del neonato sembra risiedere principalmente nelle deficienze dell’immunità innata e in particolar modo del-
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le cellule presentanti l’antigene, piuttosto che in un
difetto nel repertorio dei recettori, come si riteneva in
precedenza (Valiante NM et al, 1999). È stata dimostrata una ridotta produzione di citochine, necessarie per
l’attivazione dei linfociti Th1, da parte delle cellule
presentanti l’antigene, e per l’aumentata attività delle
cellule inibitorie regolatrici dei linfociti T, limitanti le
risposte immuni adattive alla nascita (Fernandez MA et
al, 2008): è per questo che le risposte neonatali sono
spesso orientate in senso Th2.
La somministrazione in milioni di soggetti del vaccino BCG e del vaccino contro l’epatite B, alla nascita,
ha dimostrato un eccellente profilo di sicurezza.
I vaccini che possono al momento attuale essere somministrati alla nascita sono:
• vaccino per l’epatite B: viene correntemente raccomandato in tutto il mondo nei nati da madre HBsAg/
HBeAg positiva. Viene usato anche nei figli di madri non HBsAg positive con buona immunogenicità
(Cutts FT e Hall AJ, 2004) e senza indurre manifestazioni autoimmunitarie (Belloni C et al, 2002)
• vaccino BCG: è il più usato in tutto il mondo: sono
state somministrate 3 miliardi di dosi. Il BCG attiva
le risposte dei recettori toll-like 2 e 4 e induce risposte
immuni Th1 alla nascita (Britton WJ, 2004)
• vaccino antipolio per bocca: viene usato, in alcuni
Paesi, nel neonato in forma trivalente: esso induce immunità mucosale e umorale; costa poco e promuove
l’herd immunity. Le risposte alla somministrazione
di OPV alla nascita determina limitate risposte delle
cellule T in interferone γ e in moltiplicazione; ottiene
risposte Th2 (figura 7.1).
I vaccini che potranno essere nel futuro somministrati alla nascita, sono:
• pertosse: la somministrazione di vaccino acellulare a 2-5 giorni dalla nascita è sicuro e determina una
precoce risposta anticorpale (Belloni C et al, 2003;
McIntyre P, 2004a), che d’altra parte sembra deprimere in parte le risposte al vaccino Haemophilus influenzae tipo b e al vaccino contro l’HBV (Knuf M et al,
2008)
• pneumococco: la somministrazione del vaccino pneumococcico coniugato eptavalente nel neonato è sicuro,
ben tollerato, non induce tolleranza e presenta una risposta dei linfociti T con espressione Th2 (Richmond
P, 2004; Warira AW et al, 2006; van den Biggelaar AH
et al, 2009)
• malaria: il vaccino RTS,S, adiuvato con ASO2D attiva il recettore toll-like 4: esso è sicuro ed efficace
• virus respiratorio-sinciziale: l’aggiunta di un adiuvante, agonista dei recettori toll-like, può rappresentare un vaccino sicuro ed efficace (Delgado MF et al,
2009)
• rotavirus: il periodo neonatale viene considerato importante per la somministrazione del vaccino contro i
rotavirus (Barnes G, 2004).
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7 - Età alla somministrazione
Nato
pretermine
A termine
<1 anno
Immuniutà innata
Barriere
Riconoscimento del
patogeno
Complemento
Fagocitico
Produzione di
citochine-chemochine
Cellule NK
Proteine e peptidi
antimicrobi
Funzione adattiva
Presentazione
dell’antigene
Cellula T
Cellula B
livello IgG
livello IgA
livello IgM
Tessuto linfoide
secondario
1-2 anni
2-5 anni
5-10 anni
10-20 anni
Dati insufficienti
Figura 7.1 Acquisizione della maturazione della funzione immune (modificata da Wynn J et al, 2010)
Le linee evidenziate indicano le età alle quale viene raggiunta la funzione a livello dell’adulto.
Risposte anticorpali
alla somministrazione
del vaccino nei lattanti
Con eccezione del BCG, tutti i vaccini per lattanti,
preparati fino a oggi, richiedono molte dosi per evidenziare una protezione, quando vengano somministrati
prima dei 6 mesi di età. Sebbene le risposte in immunoglobuline della classe IgG possano essere indotte in
utero, vi sono differenze quantitative e qualitative fra
le risposte del neonato e del lattante dei primi mesi e
le risposte che si manifestano negli anni successivi.
Nei primi 3 mesi di vita le cellule immunocompetenti
di un lattante sono pronte a rispondere prontamente agli
antigeni proteici (come per esempio ai virus della polio,
ai vaccini preparati con anatossine e altri), seppure in
modo più attenuato, ma non sono ancora idonee a rispondere ai vaccini preparati con gli antigeni polisaccaridici
“nudi” della capsula dello pneumococco, del meningococco o dell’Haemophilus influenzae. Verso questi antigeni,
che facciano parte di un vaccino o che siano originati
dall’agente batterico selvaggio, non si ha risposta prima
dei 2 anni e una scarsa risposta prima dei 5 anni: il problema è stato risolto con la coniugazione del polisaccaride con una proteina di trasporto che rende immunogeno
il polisaccaride anche in un lattante di pochi mesi, proprio
in tempo per difenderlo verso un gruppo di malattie che
sono particolarmente gravi in quelle età della vita.
È ovvio che la scelta del terzo mese per iniziare le
vaccinazioni previste dal calendario è la conseguenza di
un compromesso fra la conoscenza che quanto più si ritarda l’inizio delle vaccinazione tanto maggiore è l’im-
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munogenicità e quindi l’efficacia, e la necessità di difendere il lattante il prima possibile, per metterlo in grado
precocemente di respingere l’attacco degli agenti infettivi.
Il tempo necessario perché si raggiunga una maturazione completa della risposta anticorpale è stato ben
dimostrato dall’osservazione di bassi livelli anticorpali
dopo la vaccinazione contro il morbillo, quando il vaccino venga dato a 9-11 mesi in confronto a lattanti di
età superiore ai 12 mesi di età. D’altra parte le risposte
all’immunizzazione prima dei 6 mesi hanno dimostrato
una bassa immunogenicità (Cutts FT et al, 1995; Gans
HA et al, 2001), fenomeno ascrivibile solo in parte
alla presenza di anticorpi di origine materna.
Come abbiamo visto, oltre alle differenze quantitative,
sono state rilevate anche delle differenze qualitative: la
risposta nel neonato infatti è prevalentemente di tipo
IgM, come segnale di un difetto della variazione isotopica (switch) in seguito al limitato aiuto da parte delle
cellule T. Solo dopo ripetute somministrazioni antigeniche, le cellule B del lattante dei primi mesi ricevono
sufficienti impulsi dalle cellule T per passare dalla sintesi delle IgM alle IgG. Tuttavia questo passaggio è
caratterizzato da una forte predominanza di anticorpi
IgG1 e IgG3, mentre gli anticorpi IgG2 rimangono a
bassi livelli, al contrario di quanto avviene nell’adulto.
L’induzione delle cellule B della memoria può avvenire precocemente. Così, anche se l’iniziale risposta
anticorpale rimane debole, alcuni vaccini con adiuvanti sono capaci di attivare le cellule B nel neonato per
la comparsa di cellule B della memoria, meccanismo
questo essenziale per l’effetto preventivo di tutti i vaccini (Siegrist A-C, 2001).
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7 - Età alla somministrazione
Risposte delle cellule T
alla somministrazione
del vaccino nel lattante
Le osservazioni cliniche delle diverse malattie dovute a
patogeni intracellulari, presenti nelle prime età della vita,
hanno dimostrato una limitazione dell’immunità innata
(recettori toll-like, cellule NK, IL-12, IFN-g) e dell’immunità adattiva (cellule T CD8+ citotossiche, cellule
Th1 e Th2 CD4+), responsabili dei meccanismi immunitari efficienti e dell’eliminazione delle cellule infette.
Vi sono inoltre prove dirette della funzione immatura delle cellule presentanti l’antigene del neonato,
sia in vivo sia in vitro, considerate un elemento chiave
per l’induzione delle risposte Th1 tipo adulto nelle prime età della vita.
Influenza degli anticorpi passivi,
di origine materna nel lattante
Un altro fattore di cui tener conto nelle prime età della
vita è quello legato alla presenza nel lattante di anticorpi di origine materna, passati attraverso la placenta, soprattutto nelle ultime settimane di gravidanza e durante
il parto (pompa delle immunoglobuline della placenta).
A partire dalla 28a settimana di gestazione, la “pompa”
delle immunoglobuline diviene attiva: è frequente che
nelle ultime settimane di gestazione arrivino al bambino
più immunoglobuline di quante ne circolino nella madre. Anche se è probabile che il neonato riceva più immunoglobuline specifiche per un antigene se la madre
ne possiede in elevata quantità, va ricordato che la
“pompa” non è selettiva, per cui il passaggio transplacentare per un singolo antigene è una variabile indipendente (Buffolano W, 2004). La presenza di immunoglobuline passive materne assume un’enorme importanza
per la scelta del momento più adatto`alla vaccinazione
con alcuni vaccini. Sono di sicuro molti i meccanismi
alla base dell’influenza inibitoria degli anticorpi materni sulle risposte del lattante: essa dipende essenzialmente dal titolo degli anticorpi di origine materna al momento dell’immunizzazione e dalla quantità di antigene
vaccinico, in presenza di risposte cellulari T largamente
insufficienti (Siegrist C-A, 2003). Inizialmente l’inibizione da parte degli anticorpi materni venne associata
alla vaccinazione contro il morbillo e la parotite. Tuttavia successivamente è stato visto che tale influenza si
esercita anche su vaccini non vivi attenuati, come il
vaccino contro la pertosse e le anatossine difterica e
tetanica. Tuttavia, come vedremo, la somministrazione
ripetuta di vaccino, come viene fatto di routine, è spesso sufficiente per superare l’inibizione da parte degli
anticorpi materni.
Esaminiamo le singole situazioni:
1)per la poliomielite l’immunità di origine materna è
presente in tutti i neonati. Ma la concentrazione di
anticorpi nel siero del lattante al terzo mese non è
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capace di interferire con l’attecchimento e la moltiplicazione del virus polio vivo attenuato, che veniva
somministrato per bocca. Va ricordato inoltre che
l’allattamento al seno non aveva alcuna influenza sul
successo della vaccinazione
2)quasi tutti i lattanti hanno in circolo anticorpi neutralizzanti contro il morbillo, nei primi mesi a titolo
elevato, poi sempre più basso, ma ancora presente
intorno al compimento del primo anno di vita. Il
vaccino contro il morbillo viene d’altra parte somministrato a concentrazioni relativamente basse
(1000 TCID50 e per una via, la parenterale, che è
diversa da quella seguita dal virus naturale). Il virus
attenuato del vaccino raggiunge nel sangue una concentrazione relativamente bassa prima di iniziare la
moltiplicazione, per cui viene rapidamente neutralizzato dagli anticorpi, anche se questi sono presenti a
minime concentrazioni. L’insorgenza di morbillo in
età prepubere, in soggetti vaccinati all’11-12° mese,
è un’evenienza ben conosciuta e spesso riportata in
letteratura. Per questo è stata scelta l’età di 13-15
mesi per somministrare il virus del morbillo, insieme
a quello della parotite e della rosolia (MPR), almeno
nei Paesi occidentali
3)l’immunità passiva contro la difterite si riscontra più
di rado di quella contro la polio e il morbillo, per la
caduta dei tassi anticorpali, caratteristica dei soggetti adulti, che non siano stati richiamati ogni 10 anni
con il vaccino dTpa (per adolescenti e adulti). La
presenza di anticorpi contro la tossina difterica in
lattanti al terzo mese porta a una modesta riduzione
della risposta immunitaria alla vaccinazione
4)anche contro il tetano non esiste nelle madri un’immunità attiva spontanea. Le considerazioni sono simili a quelle esposte in precedenza per la difterite.
Lo sviluppo dei nuovi vaccini sarà probabilmente
capace di superare l’inibizione della risposta da parte
degli anticorpi di origine materna.
Del bambino
Gran parte dei vaccini viene preparata per i bambini
dall’età di un anno fino all’adolescenza.
I singoli vaccini sono trattati nei rispettivi capitoli
della seconda parte.
Dell’adolescente
Come esistono regole per vaccinare il neonato e il lattante o per vaccinare il bambino, esistono anche regole per
vaccinare l’adolescente. Questa età, inizialmente completamente trascurata nel capitolo delle vaccinazioni, è in
seguito entrata, a pieno diritto, nel Calendario nazionale
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7 - Età alla somministrazione
e nei Calendari regionali delle vaccinazioni, che ormai si
allungano fino e oltre il giovane adulto (Crovari P, 2002;
Lagravinese D e Lopalco PL, 2002; Bona G, 2003).
Mentre fino al 2005 la vaccinazione dell’adolescente
aveva come scopo quello di richiamare precedenti vaccinazioni, dal 2005 con la comparsa di tre nuovi vaccini,
la vaccinazione di questi soggetti ha assunto un nuovo
interesse: vaccino coniugato tetravalente contro il meningococco, vaccinazione con dTpa, vaccino contro i papillomavirus (McCauley MM et al, 2008).
Una recente presa di posizione della Società Italiana
di Medicina dell’Adolescenza riguarda le vaccinazioni
di questa età della vita. Sono stati identificati tre aspetti cardine connessi con l’esecuzione delle vaccinazioni
nell’adolescente:
• controllare il calendario vaccinale effettuato fino a
quel momento, per assicurarsi che alcune vaccinazioni
raccomandate non siano state dimenticate
• rivedere quali siano i richiami necessari per rinfrescare la memoria di una vaccinazione
• effettuare le vaccinazioni che debbono essere fatte per
la prima volta in età adolescenziale.
Una recente Raccomandazione dell’AAP (American
Academy of Pediatrics), dell’ACIP (Advisory Committee on Immunization Practices), dell’AAFP (American
Academy of Family Physicians) e dell’AMA (American Medical Association), dedica ampio spazio per
sottolineare l’utilità di una visita di controllo a tutti i
giovani fra gli 11 e i 12 anni, con i seguenti scopi (Laudani E et al, 2009):
• vaccinare gli adolescenti che non siano stati in precedenza vaccinati o che non abbiano superato la malattia
(per esempio, contro l’epatite B e contro morbillo-parotite-rosolia e contro la varicella (2 dosi))
• somministrare 1 dose di vaccino tetano-difterite-pertosse acellulare (dTpa) tipo adulto; somministrare 1
dose di vaccino antimeningococco C tetravalente coniugato a tutti gli adolescenti
• somministrare 3 dosi di vaccino antipapillomavirus a
tutti i soggetti di sesso femminile nel 12° anno di età;
vi è al momento la tendenza a vaccinare altre coorti di
età superiore
• somministrare altri vaccini (contro l’influenza e l’epatite A), che risultino utili per alcuni adolescenti con
situazioni di aumentato rischio
• fornire all’adolescente specifiche informazioni di medicina preventiva, in un’età nella quale spesso ha inizio
la sessualità, sia etero- che omosessuale, che, come
conseguenza, porta direttamente a un aumento dell’incidenza delle malattie sessualmente trasmesse.
Come per molte altre attività assistenziali riguardanti l’adolescente, anche per le vaccinazioni è necessario
prevedere in ogni caso il consenso informato, e insieme
è indispensabile dimostrare un’estrema flessibilità, soprattutto per quanto riguarda la cadenza delle inoculazioni (English A et al, 2008).
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La vaccinazione degli adolescenti viene auspicata anche per i Paesi in via di sviluppo (Stevens W e Walker
S, 2004).
Le coperture vaccinali nell’adolescente sono sempre
relativamente basse, sia che riguardino il nostro Paese che
gli Stati Uniti; secondo i rilievi del 2007 (CDC, 2008):
• la copertura per il tetano con ≥1 dose di dT o dTpa,
dopo i 10 anni di età è stata del 72,3%
• la copertura vaccinale per il vaccino tetravalente coniugato contro il meningococco C è stata del 32,4%,
livello da considerare molto basso
• la copertura per l’epatite B nel 2007 è stata dell’87,6%:
nel 2010 ha raggiunto il livello di circa il 90%
• la copertura per 2 dosi o più di MPR è stata dell’88,9%;
un dato del 2010 riporta un livello di circa il 90%
• la copertura per varicella con più di 1 dose è stata del
75,7% e con 2 dosi del 18,8%
• la copertura per HPV è risultata del 25% con 3 dosi.
Sono state individuate quattro barriere che ritardano
o impediscono la vaccinazione dell’adolescente e quali
misure possono essere adottate per superarle (Humiston
SG e Rosenthal SL, 2005; Brabin L et al, 2008; Lee
GM et al, 2008; Broder KR et al, 2008):
• migliori conoscenze delle necessità sanitarie dell’adolescente, compreso il carico delle malattie e l’accesso
alle cliniche
• educazione dell’adolescente, dei genitori, degli addetti
alla salute della popolazione e dei politici
• aumento della presenza delle infrastrutture per l’esecuzione delle vaccinazioni dell’adolescente e facilitazione al loro accesso
• mancanza di continui finanziamenti per il miglioramento delle prestazioni preventive e curative per l’adolescente.
Le telefonate, anche ripetute, per ricordare hanno
soltanto un effetto minimo nel migliorare l’adesione
alla vaccinazione fra gli adolescenti che abitano in città (Szillagyi PG et al, 2006).
Epatite B
Il virus dell’epatite B (HBV), come si sa ormai con
certezza, si trasmette principalmente per via sessuale.
L’inizio dell’adolescenza rappresenta quindi il momento migliore per eseguire la vaccinazione nei soggetti
che non siano stati vaccinati in precedenza. Sotto questo riguardo la legge italiana del 1991 ha anticipato
ogni altra nazione nella lotta contro l’HBV.
Una visita all’età di 12 anni fornisce la migliore opportunità per iniziare la protezione contro l’HBV nei
soggetti non precedentemente vaccinati (FitzSimons D
et al, 2007). Particolari situazioni di aumentato rischio
richiedono, anche nelle età successive, un preciso impegno nella vaccinazione (Moorecaldwell SY et al,
1997).
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7 - Età alla somministrazione
Nell’adolescente che non sia stato vaccinato, la vaccinazione contro l’HBV prevede 3 somministrazioni
per via intramuscolare, al tempo 0, dopo 1-2 mesi e
dopo 4-6 mesi. Nella somministrazione del vaccino non
è mai necessario ricominciare da capo, anche quando,
per una ragione qualsiasi, la serie sia stata interrotta.
I vaccini a disposizione per l’adolescente (fino ai 15
anni) sono l’Engerix-B (GlaxoSmithKline) da 10
mg/0,5 mL (oltre i 15 anni usare la preparazione da 20
mg/0,5 mL eventualmente con una schedula a 2 dosi;
una schedula a 2 dosi da 20 mg/0,5 mL può essere
impiegata anche nei soggetti da 11 a 15 anni), il Fendrix (GlaxoSmithKline) da 20 μg di proteina, nel quale
l’adiuvante è costituito da sale di alluminio e monofosforil-lipide A (AS04) e il vaccino HBVaxPro (Sanofi
Pasteur, MSD) da 5 mg/0,5 mL (per soggetti da 11 a
15 anni) con 3 dosi (oltre i 15 anni usare la preparazione da 10 mg/0,5 mL eventualmente con una schedula a 2 dosi). Quest’ultimo non contiene albumina.
Morbillo-parotite-rosolia (MPR)
Il ceppo contro la rosolia (RA27/3), contenuto nel vaccino, è fortemente immunogeno e scarsamente reattogeno. Tutti i vaccini tripli in commercio in Italia contengono questo ceppo.
I ceppi utilizzati nel vaccino contro la parotite, in
commercio in Italia, sono due: il ceppo Jeryl Lynn e
Jeryl Lynn modificato (4385).
Anche per il morbillo sono in commercio in Italia
vaccini, costituiti da ceppi diversi:
• il ceppo Schwarz nel Priorix Tetra (GlaxoSmithKline)
• il ceppo Moraten nell’M-M-RVAXPRO (Sanofi Pasteur MSD)
• paragonabili come reattogenicità, come immunogenicità e come effetto sul campo.
Secondo il Calendario nazionale 2005-2008 e il recente calendario USA (2011), la seconda dose del vaccino
MPR è prevista all’età di 4-6 anni, nei soggetti che siano
sfuggiti a questa vaccinazione, la seconda dose può essere somministrata a 11-12 anni. La vaccinazione non potrà
essere eseguita nelle adolescenti che siano già in stato di
gravidanza o che si pensi possano esserlo entro un mese
successivo alla vaccinazione. Il rischio teorico dell’infezione fetale da parte del ceppo vaccinale vivo attenuato,
va sempre sottolineato prima dell’esecuzione della vaccinazione con MPR nelle adolescenti.
dT (vaccino contro il tetano
e la difterite, tipo adulto) e dTpa
Di norma i richiami contro il tetano e la difterite sono
consigliati a distanza di 10 anni l’uno dall’altro: secondo il calendario proposto attualmente, l’adolescente esegue per praticità un richiamo all’età di 11-12 o a 14-15
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anni, cioè solo dopo 6-8 anni dall’ultima dose ricevuta
a 5-6 anni. In seguito l’uso del vaccino dTpa va eseguito ogni 10 anni e proseguito per la vita. Proprio per
anticipare la somministrazione del vaccino, molti calendari nazionali (per esempio quello USA) prevedono,
come abbiamo visto, di anticipare la dose dei 16 anni
agli 11-12 anni, all’inizio dell’età adolescenziale.
Da una decina di anni al vecchio vaccino dT si è
affiancato un nuovo vaccino (dTpa) che contiene, accanto alle anatossine difterica e tetanica, i tre antigeni
contro la pertosse (tossina della pertosse, emoagglutinina filamentosa, pertactina).
Con un Decreto del Presidente della Repubblica (7
novembre 2001, n. 464) viene indicata una vaccinazione ogni 10 anni con anatossina tetanica, eventualmente
associata ad anatossina difterica e ad altri antigeni (con
chiara allusione alla vaccinazione contro la pertosse)
dopo il compimento del sesto anno di vita.
Varicella
La possibilità che una varicella in un adolescente si
sviluppi in modo particolarmente grave, ha sollecitato
l’impiego della vaccinazione contro il virus varicella
zoster (VVZ) con 2 dosi anche in questa classe di età,
a distanza di almeno 1 mese l’una dall’altra. Questa
vaccinazione è stata proposta in molte regioni per i
soggetti in età superiore ai 12 anni, che abbiano una
storia negativa per varicella: come si sa i rilievi anamnestici sono per la varicella relativamente veritieri.
Vaccino meningococco C coniugato
e tetravalente coniugato
In molti calendari regionali italiani è prevista una dose
di vaccino contro il meningococco C all’età di 12 anni;
la disponibilità del vaccino tetravalente coniugato contro il meningococco A, C, W135 e Y, permette il suo
uso al dodicesimo anno di età, come viene fatto negli
Stati Uniti.
Papillomavirus
Ormai da cinque anni è prevista la somministrazione di
3 dosi di vaccino contro i papillomavirus, ai tempi 0, 1-2
e 6 mesi, ai soggetti di sesso femminile nel dodicesimo
anno di età. I vaccini a disposizione sono due: il Gardasil della Sanofi Pasteur MSD (papillomavirus 6, 11, 16 e
18), adiuvato con sali di alluminio, e il Cervarix della
GlaxoSmithKline (papillomavirus 16 e 18), adiuvato con
idrossido di alluminio e monofosforil-lipide A (AS04).
Alla fine del 2009 la copertura media italiana è stata
di poco superiore al 50%.
È auspicabile che alla coorte del dodicesimo anno si
affianchino, entro poco tempo, altre coorti di età, come
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119
7 - Età alla somministrazione
è avvenuto in molte regioni italiane: maggiore è il numero delle coorti, che vengono arruolate per questa
vaccinazione e più breve sarà il lasso di tempo per
raggiungere un rapporto costo/benefici favorevole.
Altri vaccini, per gruppi particolari
di adolescenti
Gli adolescenti per i quali è indicata la somministrazione annuale di vaccino contro l’influenza sono:
• quelli che hanno malattie croniche del sistema respiratorio
• quelli che hanno malattie croniche del sistema cardiovascolare
• quelli che risiedono in comunità di persone di tutte le
età con malattie croniche
• quelli che vengano regolarmente seguiti da centri
specializzati specifici, o che siano stati ospedalizzati
nell’anno precedente per diabete mellito, per insufficienza renale, per emoglobinopatie, per immunosoppressione, compresa quella da farmaci
• quelli che assumano regolarmente aspirina (artrite
cronica giovanile, per esempio) e che siano a rischio
di malattia di Reye, dopo l’influenza
• quelli che convivano con soggetti che si trovino nelle
situazioni sopra riportate, o con soggetti in età superiore ai 65 anni.
Alcuni adolescenti a rischio (fino a 18 anni) dovrebbero essere immunizzati con il vaccino coniugato
13-valente contro lo pneumococco, come è previsto
dal CDC o, come è previsto, per ora, in Italia con il
vaccino antipneumococcico 23-valente. In particolare
essi sono:
• quelli con asplenia anatomica o funzionale (talassemia
major soprattutto, nel nostro Paese)
• quelli con sindrome nefrosica o con insufficienza renale cronica
• quelli con fistole del liquido cefalorachidiano
• quelli portatori di una situazione di immunosoppressione, inclusa quella secondaria a infezione da HIV o
secondaria a trattamenti farmacologici (malattie neoplastiche, trapianti d’organo o di midollo osseo)
• quelli portatori di un impianto cocleare
• altri.
Negli Stati Uniti la vaccinazione contro l’influenza è
prevista per tutti i soggetti dai 6 mesi ai 18 anni.
Per gli adolescenti che stiano per intraprendere un
viaggio in zone a intermedia o ad alta endemicità è sempre indicato l’uso del vaccino contro l’epatite A (Avaxim, Epaxal, Havrix, Vaqta). Ugualmente questo vaccino
è indicato per gli adolescenti che vivano in una comunità, in seno alla quale sia in corso un’epidemia di epatite
A o che richiedano la somministrazione di fattori della
coagulazione o che facciano uso di droghe, per via venosa o per altre vie, o infine che siano omosessuali.
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Delle donne
(non in gravidanza)
e dell’uomo
È evidente che le vaccinazioni nei soggetti adulti non
ricevono la stessa attenzione delle vaccinazioni dei soggetti in età evolutiva, anche se è ormai dimostrato che
la mortalità per malattie infettive è appannaggio quasi
esclusivo in Italia dell’adulto: dei 4292 morti per malattie infettive nel 2002, solo 46 (1,1%) erano in età
inferiore ai 15 anni (ISTAT).
Le ragioni dello scarso ricorso alle vaccinazioni in
soggetti in età adulta sono molteplici:
• dubbi profondi da parte sia degli stessi medici sia della
Sanità pubblica sull’effettiva utilità, efficacia e sicurezza dei vaccini
• incertezza sulle raccomandazioni specifiche per i diversi vaccini
• preoccupazioni sulla responsabilità del medico vaccinatore
• inadeguato riconoscimento del tempo impiegato per la
vaccinazione
• scarso sviluppo dell’assistenza pubblica per l’immunizzazione degli adulti.
Anche se la maggior parte dei soggetti adulti o ha
avuto la malattia o, a suo tempo, è stata opportunamente vaccinata, il mantenimento delle difese verso alcune
malattie, come per esempio la difterite e il tetano, richiede che anche nell’adulto vengano eseguite dosi di richiamo a intervalli di 10 anni (Icardi G et al, 2002; Baldo V
et al, 2009). Comunque si sente il bisogno da più parti
di poter disporre di linee guida utili e sicure anche per
l’immunizzazione dell’adulto (tabelle 7.1 e 7.2).
Un discorso a parte meritano gli adulti che, per esigenze di lavoro, abbiano contatti con pazienti affetti da
malattie contagiose: essi sono a rischio di ammalarsi e
di trasmettere la malattia ad altri soggetti suscettibili.
Medici, studenti in medicina, infermieri e personale
ausiliario debbono proteggere se stessi e gli altri pazienti sottoponendosi alla vaccinazione, secondo le indicazioni di seguito riportate.
Vaccino difterite-tetano tipo adulti
e difterite-tetano-pertosse acellulare
per adulti
Gli adulti che non abbiano ricevuto nell’infanzia una
delle vaccinazioni obbligatorie contro il tetano o la
difterite debbono essere vaccinati con il vaccino antidifterite-tetano tipo adulto (dT) (3 dosi al tempo 0, 4-8
settimane, 6-12 mesi) o con il vaccino difterite-tetanopertosse acellulare tipo adulto (dTpa), da somministrare in 1 sola dose; ambedue i vaccini vanno richiamati
ogni 10 anni per tutta la vita. Il vaccino dT contiene
una dose di anatossina tetanica uguale a quella usata
per la vaccinazione primaria e una quantità di anatos-
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120
7 - Età alla somministrazione
Tabella 7.1 Vaccinazione dell’adulto
Vaccino
Tipo
Schema vaccinale
Indicazioni
Difterite-tetano
(dT)
Anatossine
adsorbite, tipo
adulto
Per tutti gli adulti
Vaccinazione
primaria:
•2 dosi IM, a
distanza di 1-2 mesi
•terza dose dopo
6-12 mesi
•richiami: ogni 10
anni
Precauzioni e
controindicazioni
Effetti collaterali
Primo trimestre di
gravidanza,
ipersensibilità o
reazioni
neurologiche alle
dosi precedenti;
grave reazione
locale
Reazioni locali; a volte
febbre; sintomi
sistemici; reazione
simil-Arthus in persone
con molti precedenti
richiami; rara allergia
sistemica
Difterite-tetano- Anatossine adsorbite Solo come richiamo
ogni 10 anni
di tipo adulto e
pertosse
antigeni della
(dTpa)
pertosse
Per tutti gli adulti
Da usare con una
dose, subito dopo il
parto o durante il
parto
Reazioni locali, spesso
febbre
Papillomavirus
(HPV)
DNA ricombinante
0, 1-2, 6 mesi
Fino all’età massima,
indicata in scheda
tecnica (per ora 26
anni)
Nessuna
Reazioni locali, più
spesso dolore nella
sede di iniezione
Morbillo,
parotite,
rosolia
Virus vivi attenuati
Primaria: 1 dose SC
Una seconda dose
dopo 4-8 settimane
Per adulti nati dopo il
1960, che non
abbiano avuto
morbillo o
vaccinazione
Gravidanza; immuno- Febbre >39,5 °C da 7
a 12 giorni dopo la
compromesso; storia
vaccinazione nel
di anafilassi alla
5-15%; rash transitorio
neomicina o ad altri
nel 5%. Per la parotite
componenti il
rare reazioni allergiche
vaccino
e rara parotite. Per la
rosolia, dolori articolari
>40%, dopo 3-25
giorni dalla
vaccinazione per 1-11
giorni; artrite franca in
< del 2%
Varicella
(o MPRV)
Virus vivo attenuato
2 dosi a distanza di
un mese
Per tutti gli adulti con
storia negativa per la
varicella
Scarsa febbre, lievi
Gravidanza;
reazioni locali
immunosoppressione
Influenza
Virus inattivato,
intero, o split o
subunità
Vaccinazione annuale
con nuovo vaccino
Per adulti in condizioni
di rischio; per
soggetti sani >64
anni; personale di
assistenza
Relativa
controindicazione
nel primo trimestre
di gravidanza
Lieve reazione locale in
<30%; di rado reazione
sistemica: mialgia,
malessere dopo 12 ore
dalla vaccinazione, per
1-2 giorni
Pneumococco a
polisaccaridi
“nudi”
Polisaccaridi dei 23
tipi più comuni
1 dose da ripetere
eventualmente
dopo 5 anni
Per i soggetti sani in
età >65 anni e nelle
categorie a rischio
Sicurezza in
gravidanza
sconosciuta
Scarsa febbre, lievi
reazioni locali
Polio inattivato
Virus polio ucciso;
vaccino di
aumentata
potenza
Vaccinazione
primaria: 2 dosi SC,
a distanza di 4-8
settimane; terza
dose dopo 6-12
mesi dalla seconda
Per persone di oltre
12 anni in
immunizzazione
primaria; dose di
richiamo per
viaggiatori
Sicurezza anche in
gravidanza non
conosciuta; reazioni
anafilattiche alla
streptomicina e alla
neomicina
Nessun effetto
collaterale
Epatite A
Virus inattivato
Vaccinazione con 2
dosi a 6 mesi di
distanza l’una
dall’altra
Per adulti in condizioni Sicurezza anche in
gravidanza
di rischio e per viaggi
in aree ad alta
endemia
Epatite B
HBsAg DNA
ricombinante
Sicurezza anche in
Vaccinazione primaria: Per il personale
gravidanza
sanitario in contatto
2 dosi IM nel
con il sangue; per chi
deltoide a distanza
va ad abitare in zone
di 1 mese; terza
di alta endemia per
dose dopo 5 mesi
più di 6 mesi; per
dalla seconda. Non
altri soggetti a rischio
necessari richiami
Meningococco
quadrivalente
A, C, W135, Y
Polisaccaridico
coniugato
1 dose
Sicurezza in
•Per i soggetti a
gravidanza
rischio o per viaggi in
aree ad alta endemia
•Frequenza nei collegi
Nessun effetto
collaterale
Lieve reazione locale nel
10-20% dei casi; di
rado sintomi sistemici
con febbre, cefalea,
stanchezza e nausea
Lievi reazioni locali
SC = sottocute.
IM = intramuscolo.
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121
7 - Età alla somministrazione
Tabella 7.2 Calendario vaccinale degli Stati Uniti, raccomandato per gli adulti (CDC, 2010)
Vaccino
19-26 anni
27-49 anni
dT/dTpa
Papillomavirus umano
50-59 anni
≥65 anni
dT ogni 10 anni
3 dosi (femmine)
Varicella
MPR
60-64 anni
1 dose di dT o dTpa ogni 10 anni
2 dosi
1 dose
2 dosi
Influenza
Pneumococco polisaccaridico
Epatite A
Epatite B
Meningococco
1 dose ogni anno
1 o 2 dosi
1 dose
2 dosi
3 dosi
1 o più dosi
Corsivo: Per tutte le persone che abbiano l’età richiesta e che manchino di prove di essere immuni.
Neretto: Raccomandato solo se vi sono alcuni fattori di rischio (occupazionali, medici, stile di vita o altre indicazioni).
sina difterica un decimo o un ventesimo di quella presente nella vaccinazione primaria. Il vaccino dTpa contiene una dose di anatossina difterica un decimo di
quella presente nel vaccino usato per la vaccinazione
primaria, la metà per l’anatossina tetanica e un terzo
per gli antigeni della pertosse (tossina della pertosse,
emoagglutinina filamentosa, pertactina).
La sieroepidemiologia dice che nell’adulto, una gran
parte della popolazione (intorno al 35%) è priva di
anticorpi contro la difterite (Cellesi CO et al, 1989).
Le donne in stato di gravidanza che non siano state
regolarmente vaccinate sono le principali candidate
all’immunizzazione, sia per la loro stessa protezione sia
per la protezione dei loro nati; se la donna è stata vaccinata con dT da più di 10 anni, deve ricevere una dose nel secondo o nel terzo trimestre; se la donna ha
ricevuto l’ultimo dT da meno di 10 anni è bene che
riceva il vaccino dTpa immediatamente dopo il parto o
durante la gravidanza.
Soggetti che abbiano ricevuto le prime 3 dosi di vaccino debbono solo ricevere un richiamo, qualunque sia
l’intervallo di tempo, invece di ricominciare tutto da capo.
Pazienti che si ammalino di difterite o di tetano richiedono ugualmente la vaccinazione, perché, come si
sa, la malattia non induce livelli protettivi di anticorpi.
Il vaccino dTpa può essere usato anche nella prevenzione del tetano in caso di ferita sospetta, quando il paziente abbia già ricevuto le 3 dosi di DTPa nei primi
anni di vita. Dopo un’iniezione di dT o di dTpa sono
frequenti nell’adulto le reazioni locali, come dolore ed
eritema, ma le gravi reazioni (tipo fenomeno di Arthus)
sono rare. Non è necessaria la somministrazione di una
dose di richiamo con dT in chi ha avuto l’ultima dose
di vaccino nei precedenti 5 anni.
Vaccino contro il papillomavirus
La vaccinazione HPV viene raccomandata nel dodicesimo anno di vita, ma la vaccinazione può essere eseguita anche successivamente fino a 26 anni.
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Idealmente il vaccino va somministrato prima della
potenziale esposizione all’HPV, durante l’attività sessuale.
Tuttavia le donne, che sono sessualmente attive già prima
di essere vaccinate, possono ricevere il vaccino a seconda
della loro età: esse comunque beneficeranno di questa
vaccinazione, probabilmente in modo meno efficace. Possono essere vaccinate anche le donne che abbiano una
storia di verruche, o una prova di Papanicolaou anormale
o infine che siano positive alla prova per il DNA dell’HPV, perché queste condizioni non sono la prova che
l’infezione precedente sia avvenuta per tutti i tipi di HPV.
Il vaccino HPV a quattro componenti può essere
somministrato anche a soggetti maschi dai 9 ai 26 anni,
per ridurre la facilità con la quale essi possono presentare delle verruche genitali. Il vaccino HPV4 si è dimostrato più efficace quando venga somministrato prima
dell’esposizione all’HPV.
Una serie completa di HPV2 o HPV4 consta di 3
dosi: la seconda dose va data alla distanza di 1-2 mesi
dalla prima dose. La terza dose va data dopo 6 mesi
dalla prima dose.
La vaccinazione HPV può essere attuata anche in soggetti che presentino altre malattie sessualmente trasmesse.
Vaccino contro la varicella
La vaccinazione contro la varicella è raccomandata per
tutti i soggetti che risultino suscettibili. È necessario
avere una speciale considerazione per coloro che si
trovino in queste circostanze:
• stretto contatto con persone ad alto rischio per gravi
malattie (cioè conviventi, personale assistenziale in
contatto con persone immunocompromesse)
• sono ad alto rischio per esposizione o trasmissione gli
insegnanti, gli impiegati degli asili nido, delle scuole
materne, delle case di correzione, gli studenti dei collegi, il personale militare, gli adolescenti e gli adulti che
vivono con i bambini, le donne non in gravidanza, le
madri di bambini piccoli e i viaggiatori internazionali.
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7 - Età alla somministrazione
Lo stato di gravidanza costituisce una controindicazione, insieme alle immunodeficienze congenite o acquisite
(infezioni da HIV), leucemie, linfomi, cancri metastatizzati, terapie con agenti alchilanti, antimetaboliti, radiazioni e corticosteroidi a dosi elevate. Le donne gravide
vanno vaccinate dopo il parto, prima della dimissione.
La seconda dose va somministrata dopo 4-8 settimane.
Vaccino MPR
La vaccinazione MPR consta di 2 dosi, di cui la prima
va eseguita dopo il compimento del primo anno di vita
e la seconda a 4-6 anni. Tuttavia, nel soggetto adulto la
seconda dose può essere dispensata già dopo 4 settimane
dalla prima dose, quando vi siano particolari circostanze.
Vaccino contro il morbillo
Tutte le persone che risultino suscettibili e che abbiano
un’eta inferiore ai 50 anni debbono essere vaccinate
con 2 dosi: i soggetti nati prima del 1957 sono probabilmente immuni, indipendentemente dalla negatività
della ricerca degli anticorpi.
È necessario escludere dalla vaccinazione le donne in
stato di gravidanza.
Il vaccino MPR può essere somministrato dopo 4
settimane dalla prima quando:
• il soggetto sia stato esposto al virus del morbillo o sia
presente una vera e propria epidemia
• sia stato vaccinato con un vaccino ucciso alla prima
dose (evenienza non possibile in Italia)
• quando sia uno studente di liceo e di università
• quando lavori in un servizio di assistenza
• quando lavori a livello internazionale.
Per dichiarare un soggetto immune è necessario averne l’assoluta certezza, attraverso:
• la diagnosi di malattia, documentata da un certificato
medico
• la positività della ricerca degli anticorpi antimorbillo
• la documentazione della vaccinazione antimorbillo
con virus vivo attenuato, eseguita al di là del dodicesimo mese di vita.
Vaccino contro la parotite
Il vaccino contro la parotite (da associare a quello contro il morbillo e la rosolia) è indicato per tutti gli adulti che siano suscettibili. Un soggetto deve essere considerato suscettibile a meno che non abbia:
• la documentazione, rilasciata dal medico, di essersi
ammalato di parotite
• la documentazione della vaccinazione con virus vivo
attenuato al di là del quindicesimo mese di vita
• la dimostrazione di anticorpi specifici contro il virus
della parotite.
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La maggior parte degli adulti nati prima del 1957 può
a buon diritto essere considerata come immune. Nelle
persone dimostratesi suscettibili è necessario procedere
alla somministrazione del vaccino contro parotite-morbillo-rosolia (MPR).
La seconda dose di vaccino MPR può essere data
dopo 4 settimane dalla prima, quando:
• il soggetto viva in una comunità nella quale sia in corso un’epidemia di parotite
• quando si tratti di uno studente liceale o universitario
• quando lavori in un servizio di assistenza
• quando faccia parte di un servizio internazionale.
La vaccinazione contro la parotite è indicata nel personale addetto all’assistenza, che risulti suscettibile.
È necessario evitare di somministrare il vaccino contro la parotite a una donna in gravidanza.
Vaccino contro la rosolia
Aver scelto, per difendersi dalla rosolia congenita, la
vaccinazione dei soli soggetti femminili in età pubere
o immediatamente prepubere è risultata alla distanza
una scelta poco opportuna; grave sarebbe stato mantenerla oggi, soprattutto perché disponiamo di un virus
attenuato contro la rosolia (RA 27/3) altamente efficace, che ha minor bisogno delle piccole reinfezioni esogene per mantenere un livello anticorpale sufficiente.
Fra gli adulti chi vaccinare?
I soggetti di sesso femminile in età feconda, che prevedano per il futuro una gravidanza, debbono essere
sottoposti al dosaggio degli anticorpi specifici contro la
rosolia: le donne che risultino suscettibili debbono essere vaccinate per evitare il rischio di una rosolia congenita. Da ricordare che la vaccinazione contro la rosolia non deve essere eseguita in gravidanza per la
possibilità che il virus attenuato possa superare la barriera placentare e invadere il prodotto del concepimento. Fortunatamente, almeno secondo i numerosi studi
fatti fino a oggi, il virus attenuato non è in grado comunque di produrre danni al feto, per cui un’eventuale
vaccinazione in gravidanza non deve costituire una motivazione per un aborto terapeutico.
Fra i soggetti adulti, per i quali è consigliata la vaccinazione, vanno ricordate anche le persone addette
all’assistenza, che possono, una volta contagiate, diffondere l’infezione fra gli assistiti.
La definizione di soggetto immune deve essere particolarmente accurata e documentata, perché il rilievo
anamnestico non ha per la rosolia alcun valore. Un
soggetto viene detto immune quando vi sia:
• la positività dei test sierologici specifici (livello anticorpale uguale o superiore a 1:8)
• la documentazione di vaccinazione con virus vivo attenuato.
Il 25% dei soggetti adulti, soprattutto di sesso femminile, sottoposti a vaccinazione contro la rosolia, pre-
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7 - Età alla somministrazione
senta artralgie; segni e sintomi di artrite insorgono in
modo transitorio nel 10% dei soggetti.
Per un mese dopo la vaccinazione deve essere evitata la gravidanza.
Vaccino antinfluenzale
Nei giovani adulti l’immunizzazione fornisce una protezione dalla malattia fra il 65 e l’80%. Sfortunatamente fra le persone in età superiore ai 60 anni, proprio
quelle per le quali sarebbe stato più utile l’impiego
della vaccinazione, il vaccino è efficace solo in meno
del 50% nel prevenire la malattia clinica, anche se fornisce molti benefici nell’accorciarla e nell’impedire
l’ospedalizzazione e la morte.
Per questa ragione il vaccino è raccomandato non
solo per gli anziani, ma per tutti quei soggetti che siano in una condizione di rischio medico (soggetti con
alterazioni croniche dei sistemi cardiovascolare, polmonare, renale, con anemia grave, con compromissione
della funzione immune, inclusa l’infezione da HIV,
diabete mellito, trattamenti prolungati con aspirina), o
di rischio occupazionale, come gli operatori sanitari
che, se infettati, possono concorrere alla diffusione della malattia. Anche i soggetti che esercitano lavori o
professioni indispensabili per la società, dovrebbero
sottoporsi alla vaccinazione.
Se lo si ritiene utile, possono essere vaccinate anche
donne in stato di gravidanza, al di là del primo trimestre, durante la stagione influenzale.
Vaccino antipneumococcico
polisaccaridico
Il numero crescente di sepsi pneumococciche in soggetti adulti immunocompromessi (AIDS) e la comparsa
di ceppi di Streptococcus pneumoniae antibiotico-resistenti hanno indotto molti Paesi ad allargare le indicazioni del vaccino antipneumococcico polisaccaridico.
L’efficacia di questo vaccino non è in discussione, come nel passato: essa raggiunge e supera il 50% in soggetti al di sotto dei 55 anni, ma è bassa in soggetti di
oltre 75 anni. Purtroppo fra gli immunocompromessi
1’efficacia è ancora più bassa.
La vaccinazione viene particolarmente raccomandata
per i seguenti gruppi a rischio:
• adulti immunocompetenti a rischio per malattie croniche (cardiovascolari, polmonari, diabete mellito, alcolismo, cirrosi, impianto cocleare) o che abbiano un’età
superiore ai 50 anni
• adulti immunocompromessi (disfunzione o mancanza della milza, malattia di Hodgkin, linfomi nonHodgkin, mieloma multiplo, insufficienza renale cronica, sindrome nefrosica, trapianto di organi)
• adulti con infezioni sintomatiche o asintomatiche da HIV.
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Per alcuni soggetti viene consigliata una rivaccinazione con questo vaccino a distanza di 4-5 anni: soggetti con insufficienza renale cronica o sindrome nefrosica, asplenia anatomica o funzionale e persone immunocompromesse.
Vaccino contro l’epatite A
Adulti per i quali è consigliabile la vaccinazione contro
l'epatite A:
• omosessuali e persone che facciano uso di droghe per
iniezione
• soggetti che lavorino in laboratori di ricerca dedicati
allo studio dell’HAV
• persone con malattie croniche di fegato o che ricevano
concentrati di fattori della coagulazione di origine umana
• persone che viaggino o lavorino in Paesi in cui l’epatite A è endemica
• genitori che abbiano adottato un bambino, originario
di un Paese ad alta endemicità. In questo caso la prima
delle 2 dosi va somministrata il prima possibile e la
seconda, applicando la schedula accelerata, almeno 2
settimane prima dell’arrivo del bambino adottato.
Di regola la seconda dose viene somministrata dopo
6-12 mesi (Havrix) o 6-18 mesi (Vaqta).
Vaccino contro l’epatite B
È consigliato per tutto il personale sanitario, medici
inclusi.
Il vaccino contro l’epatite B è efficace in più del 90%
dei giovani adulti sani nel prevenire l’infezione. La
risposta anticorpale è infatti inversamente proporzionale all’età, per cui fra i 50 e i 59 anni un livello protettivo di anticorpi viene elicitato solo nel 70% dei vaccinati e fra i soggetti in età superiore ai 60 anni solo nel
50%. I soggetti di sesso femminile hanno una risposta
leggermente migliore dei soggetti di sesso maschile. Il
deltoide è la sede preferita per l’inoculazione.
La durata dell’immunizzazione è incerta, per ora la
somministrazione routinaria di un richiamo non è ancora raccomandata. Anche fra gli adulti vanno sottoposti a vaccinazione i soggetti appartenenti alle classi a
rischio comportamentale, medico o occupazionale.
I pazienti in emodialisi debbono ricevere un vaccino
con 40 µg per dose.
La gravidanza non è considerata una controindicazione.
Da ricordare che esiste anche un vaccino contro l’epatite A e B nella stessa preparazione.
Vaccino meningococcico
(C coniugato o quadrivalente
polisaccaridico o quadrivalente coniugato)
Il vaccino va somministrato alle persone che si trovino
in queste condizioni:
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7 - Età alla somministrazione
Tabella 7.3 Vaccinazioni raccomandate per adulti con condizioni a rischio (Società Italiana d’Igiene, 2010)
Vaccino

Infezione da HIV
Condizioni
di immunoConta Linf. T CD4+
Indicazione
Gravi- compromisdanza sione (escl.

>200
HIV), farmaci, <200
cell./µL
cell./µL
radiazioni
Diabete,
cardiopatie,
malattie
polmonari
croniche,
alcolismo
cronico, fumo
Difterite-tetanopertosse (dTpa)
Asplenia
Insufficienza
(compresa
renale,
splenectomia
Epatopatia nefropatia Personale
selettiva
sanitario
in fase
cronica
e deficit
terminale,
terminale del
emodialisi
complemento)
1 dose ogni 10 anni
Papillomavirus umano
(HPV)
3 dosi per le donne fino a età indicata in scheda tecnica (0, 1-2, 6 mesi)
MPR
Controindicato
2 dosi (0, 4-8 settimane)
Varicella
Controindicato
2 dosi (0, 4-8 settimane)
Influenza
1 dose all’anno
Pneumococco
(vaccino
polisaccaridico
23-valente)
1 dose
Epatite A
2 dosi
Epatite B
2 dosi
2 dosi
3 dosi
Meningococco
3 dosi
1 dose
1 dose
3 dosi
1 dose
Raccomandato in presenza di fattori di rischo (clinico, occupazionale, stile di vita o altro)
Per tutti i soggetti che incontrano i requisiti di età e/o in assenza di evidenza di immunizzazione pregressa
• asplenia anatomica o funzionale, deficienze permanenti di fattori del complemento
• studenti che vivano in collegio
• persone che lavorino in laboratori specializzati per il
meningococco
• reclute militari
• persone che viaggino in aree ad alta endemia (cintura
della meningite nell’Africa subsahariana, durante la
stagione secca, da dicembre a giugno).
per cui esso può continuare a contribuire, sia pure in
misura ridotta, alla ricostruzione delle cellule T (Douek
DC e Koup RA, 2000) (figura 7.2.)
• il midollo osseo eritropoietico con i decenni è meno
presente ed è sostituito da midollo grasso (Weinberger
B et al, 2008)
• l’assenza di autoanticorpi organo-specifici e l’aumento di autoanticorpi non organo-specifici, in presenza
di una diminuzione di circa 10 volte nel numero delle
Nella tabella 7.3 sono riportate le condizioni di rischio.
Dell’anziano
Da studi recenti è risultato evidente che alcuni parametri dell’immunità si riducono e si deteriorano negli anziani, mentre altri rimangono invariati o addirittura
crescono (Kumar R e Burns EA, 2008).
In particolare sono risultate alcune apparenti contraddizioni (Franceschi C et al, 2000):
• si ritrova un relativamente alto numero di cellule T in
presenza di un timo fortemente involuto; vi sono tuttavia prove che le modificazioni del timo in rapporto
all’età siano soprattutto quantitive e non qualitative,
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Volume del timo (%)
100
80
Tessuto adiposo
60
Midollare
40
20
0
Corteccia
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90 100
Età in anni
Figura 7.2 L’involuzione del timo e della sua funzione con
l’età
14/05/12 10:42
125
7 - Età alla somministrazione
cellule B circolanti accanto a un aumento dei livelli
plasmatici di IgG e IgA
• aumento delle citochine proinfiammatorie, come IL-1
e IL-6, dell’interferone γ e delle chemochine, insieme all’aumento dei recettori solubili per alcune citochine proinfiammatorie (tumor necrosis factor I e II),
insieme a una diminuzione dell’IL-2 e IL-4 (Maggi
S, 2010). L’alterato profilo delle citochine è la diretta
conseguenza di un’alterazione dei sensori dei patogeni, i famosi recettori toll-like che si trovano sulle
cellule presentanti l’antigene (McElhaney JE, 2009).
Un altro elemento che emerge dagli studi sulle caratteristiche immunologiche delle persone anziane e dei
centenari sani è la progressiva espansione del pool delle cellule T della memoria. Questo fenomeno è più evidente per i linfociti CD8+ che per i CD4+. È stato visto
che i linfociti CD8+ della memoria, mancano dell’espressione della molecola co-stimolatoria CD28: questi
linfociti CD8+CD28- hanno un’evidente incapacità a
proliferare, insieme a una riduzione della lunghezza del
telomero e a un’alterazione del profilo delle citochine
(Effros RB, 2007; Targonski PV et al, 2007).
Sulla base di queste constatazioni, il vecchio adagio
che l’immunosenescenza è un semplice deterioramento,
può essere messo da una parte. Oggi esso deve essere
sostituito dal concetto della teoria del rimodellamento
con l’invecchiamento. Secondo questo punto di vista
la senescenza è il risultato netto dell’adattamento continuo dell’organismo alle modificazioni regressive che
avvengono negli anni. Secondo questa ipotesi le risorse
dell’organismo sono di continuo ottimizzate e l’immunosenescenza deve essere oggi considerata come un
processo molto dinamico, che include sia perdite che
guadagni (Boraschi A et al, 2010) (figure 7.3 e 7.4).
Su queste basi può essere ritenuto che, anche se esistono nell’anziano difetti nell’immunità acquisita, sia umorale che cellulare, l’aumentata suscettibilità alle infezioni
può essere il risultato anche di altri difetti nel funzionamento dei granulociti e dei macrofagi, così come di importanti modificazioni dell’assetto ormonale generale
(Fulop T et al, 2009). Un’impostazione del genere fornisce nuove opportunità di interventi preventivi, da attuare
con l’uso delle vaccinazioni (Kanna KV e Markham RB,
1999). Va inoltre tenuto conto che le malattie infettive in
questa popolazione tendono a essere più gravi e ad avere
maggiori conseguenze sulla salute generale, come la morbilità, la qualità della vita e la mortalità (Maggi S, 2010):
per esempio la polmonite e l’influenza sono la causa di
morte quattro volte più frequente in adulti di oltre 65
anni. La prevalenza d’altra parte passa da 10 casi su
100.000 abitanti in adulti dai 55 ai 64 anni a 500 su
100.000 nei soggetti in età superiore agli 85 anni.
La possibilità, attraverso il vaccino antivaricella, di
potenziare l’immunità cellulo-mediata nell’anziano, ha
suggerito il suo uso per ridurre la frequenza dell’herpes
zoster (Trannoy E et al, 2000). Analogamente è stato
visto che la persona anziana è in grado di rispondere
al vaccino contro l’influenza, al vaccino contro lo pneumococco e ad altri vaccini, soprattutto se adiuvati
(McElhaney JE, 2009; Maggi S, 2010). L’impiego regolare delle vaccinazioni di richiamo mantiene la capacità del sistema immune di rispondere agli antigeni e
di mantenere più a lungo tassi anticorporali elevati
(Kaml M et al, 2006).
Di recente è entrato in commercio il vaccino pneumococcico coniugato 13 valente, con l’indicazione per
i soggetti in età superiore ai 50 anni: un importante
passo avanti nella prevenzione della frequente polmonite dell’anziano
Pool di cellule B
La maggior
parte delle ossa
contiene midollo
ricco di cellule
ematopoietiche
Elettroforesi del siero
Punte M (gammopatia
benigna monoclonale)
Elettroforesi del siero
Diminuzione del
midollo osseo
ematopoietico.
Midollo osseo giallo
con deposito di grassi,
ridotta sopravvivenza
di nicchia? Ridotta
presenza di
progenitori delle
cellule B
Neonato e lattante
Cellule B
della memoria
e pool
di plasmacellule
Persona anziana
• Gran numero
di cellule B näive
con diversa
specificità
• Piccolo numero
di cloni di cellule
B della memoria
Pool
di cellule B
näive
• Ridotta
produzione di
cellule B näive
• Accumulo di
cellule B della
memoria e di
plasmacellule
• Specificità
limitata
Figura 7.3 Risposta delle cellule B alla vaccinazione agli estremi della vita (modificata da Maggi S, 2010)
BARTOLOZZI_07.indd 125
14/05/12 09:53
126
7 - Età alla somministrazione
Cellula T
• ridotta linfopoiesi delle cellule T
• diminuzione nella proporzione delle cellule T näive
• aumento del numero delle cellule T della memoria
• disturbata capacità proliferativa
• ridotta trasmissione di segnali
• alterata risposta delle cellule della memoria agli antigeni
Macrofago
• riduzione dell’attività fagocitica
• difetti dell’espressione e della
funzione dei recettori toll-like
• ridotta espressione delle moloecole
MHC di classe II della superficie
• aumentata produzione della
prostaglandina E2
Cellula staminale ematopoietica
• ridotta capacità di rigenerazione
• ridotto numero di cellule pre- e pro-B
• aumentata alterazione del DNA
• senescenza moltiplicativa per esaurimento
• del telomero
Invecchiamento
Cellula B
• diminuzione della linfopoiesi delle cellule B
• ridotta produzione di immunoglobuline specifiche
• produzione di anticorpi a bassa affinità
• difetto nel recettore di segnalazione delle cellule B
Cellula natural killer
• aumento delle cellule natural killer
• attività citotossica diminuita
• ridotta produzione di citochine in risposta
a IL-2 o IL-12
Figura 7.4 Cambiamenti nel sistema immune causati dall’invecchiamento (modificata da Kumar R e Burns EA, 2008)
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