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MINERVA BANCARIA
RIVISTA BANCARIA
N. 2-3/2012
RIVISTA BANCARIA
ANNO LXVIII
ISTITUTO DI CULTURA BANCARIA «FRANCESCO PARRILLO»
Marzo-Giugno 2012
Tariffa Regime Libero:-Poste Italiane S.p.a.-Spedizione in abbonamento Postale-70%-DCB Roma
2-3
RIVISTA BANCARIA
MINERVA BANCARIA
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GIORGIO DI GIORGIO, Università LUISS - Guido Carli, Roma
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EUGENIO GAIOTTI, Banca d’Italia
CONCETTA BRESCIA MORRA, Università del Sannio
GUR HUBERMANN, Columbia University
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FRANCESCO CANNATA, Banca d’Italia
DONATO MASCIANDARO, Università Bocconi, Milano
ALESSANDRO CARRETTA, Università di Roma, Tor Vergata
FABRIZIO MATTESINI, Università di Roma, Tor Vergata
NICOLA CETORELLI, Federal Reserve Bank of New York
PINA MURÈ, Università di Roma, Sapienza
FABIANO COLOMBINI, Università di Pisa
FABIO PANETTA, Banca d’Italia
MARIO COMANA, Università LUISS – Guido Carli Roma
ALBERTO FRANCO POZZOLO, Università del Molise
RITA D’ECCLESIA, Università di Roma, Sapienza
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GIAMPAOLO DELL’ARICCIA, International Monetary Fund
ANDREA SIRONI, Università Bocconi, Milano
GIANNI DE NICOLÒ, International Monetary Fund
MARIO STELLA RICHTER, Università di Roma, Tor Vergata
CARMINE DI NOIA, Assonime
MARTI SUBRAHMANYAM, New York University
LUCA ENRIQUES, Consob
ALBERTO ZAZZARO, Università Politecnica delle Marche
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MARIO STELLA RICHTER (co-editor) - DOMENICO CURCIO (assistant editor)
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CLAUDIO CHIACCHIERINI
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CARLO BELLINI, TANCREDI BIANCHI, MARIO CATALDO,
GIAN GIACOMO FAVERIO, ANTONIO FAZIO, GIUSEPPE GUARINO,
ANTONIO MARZANO, PINA MURÈ, FULVIO MILANO, GIOVANNI PARRILLO,
CARLO SALVATORI, MARIO SARCINELLI, FRANCO VARETTO
Autorizzazione Tribunale di Milano 6-10-948 N. 636 Registrato
Proprietario: Istituto di Cultura Bancaria “Francesco Parrillo”, Milano
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Segretario
LUIGI BELLINI
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In copertina: “Un banchiere e sua moglie” di Marinus Van Reymerswaele (1493 c. - 1567) Musée des Beaux Arts - Nantes
Finito di stampare nel mese di giugno 2012
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RIVISTA BANCARIA
MINERVA BANCARIA
ANNO LXVIII (NUOVA SERIE)
MARZO-GIUGNO 2012 N. 2-3
SOMMARIO
G. DI GIORGIO
L. ARCIERO
M. CACCAVAIO
J. CARMASSI
G. DI GIORGIO
M. SPALLONE
M. CALZOLARI
Editoriale
Le “nuove” banche centrali: obiettivi,
strumenti, responsabilità
»
3
Saggi
Evaluating the impact of shock in the supply
of overnight unsecured money market funds
on the TARGET2-Banca d’Italia functioning:
a simulation approach
»
7
»
31
Interventi
Frammentazione dei mercati e marginalizzazione
della piazza finanziaria italiana
»
69
Contributi
SMEs and the challenge to go public
Rubriche
Il sistema delle agevolazioni creditizie per gli artigiani e le PMI gestito
da Artigiancassa: analisi e prospettive (G. Ienzi)
»
79
Sistemi di rating e processo override: quali implicazioni per le politiche
creditizie delle banche (A. Cordani - I. Gianfrancesco)
»
82
Differenza nel comportamento a contenzioso di crediti erogati
correttamente e scorrettamente (A. Barazzetti)
»
94
Le frodi creditizie non conoscono crisi (Osservatorio Crif)
» 114
Bankpedia:
Finanza derivata ed enti locali italiani (C. Oldani);
Sostenibilità d’impresa (V. Gentile)
» 117
Recensioni
P. Savona, Eresie, esorcismi e scelte giuste per uscire dalla crisi. Il caso Italia
(L. Paliotta)
» 125
F. Colombini - A. Calabrò, Crisi Finanziarie. Banche e Stati. L’insostenibilità
del rischio di credito (E.M. Cervellati)
» 129
C.M. Reinhart - K.S. Rogoff, Questa volta è diverso.Otto secoli di follia
finanziaria (G.N. De Vito)
» 133
Presidente del Comitato Scientifico: Giorgio Di Giorgio
Direttore Responsabile: Giovanni Parrillo
Comitato di Redazione: Eloisa Campioni, Mario Cataldo, Vincenzo Formisano, Stefano Marzioni, Giovanni Scanagatta, Giuseppe Zito
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ISSN: 1594-7556
Econ.Lit
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RECENSIONI
P. SAVONA, Eresie, esorcismi e scelte giuste per uscire dalla crisi. Il caso
Italia, Soveria Mannelli, Rubettino,
2012, pp. 104, euro 12.
È sufficiente scorrere il Prologo di questo
pamphlet per capire subito a quale crisi
si riferisce il prof. Savona e soprattutto
qual è l’approccio che egli predilige per
mettere a fuoco le cause che sono alla
base dei recenti accadimenti economici
italiani. Nel trattare una materia che ha
implicazioni politiche e sociali, sovente
anche drammatiche, egli usa infatti un
linguaggio accattivante che oscilla tra
lo spicciolo, l’ironico e lo scherzoso.
I mali dell’Italia (alto debito pubblico,
istruzione insufficiente, comportamenti
carenti di carattere-sincerità-serietà) sono atavici, secondo l’A., se già Giolitti
nel 1899 e Prezzolini nel 1908 li mettevano in evidenza. Come dire che forse
essi affondano le radici nella nostra antropologia culturale.
Se sulla natura della crisi del 1929-33
ancora oggi si discute, su quella iniziata
nel 2007 vi è ampio consenso. Le cause
degli squilibri monetari e finanziari non
sono state individuate per tempo in
quanto si è creduto troppo nella perfetta
razionalità dei mercati. L’A. sostiene che
la crisi si è estesa all’economia reale
per l’ingresso sul mercato di oltre tre miliardi di nuovi lavoratori a basso costo
che hanno fatto aumentare la domanda
di materie prime ed anche l’offerta di
beni finali creati dai nuovi produttori.
La diagnosi più accreditata vede l’inizio
della crisi nell’enorme crescita dei crediti sub-prime negli Usa. In particolare,
due banche a statuto pubblico hanno
concesso mutui per l’acquisto di abitazioni senza valutare l’effettiva capacità di
rimborso dei mutuatari. Ma rispetto ad
analoghe esperienze del passato, questa volta la finanza innovativa ha confezionato titoli derivati costituiti da quote di
sub-prime miscelate ad altri titoli a medio
basso rischio. Inoltre, le agenzie di rating, invece di svolgere un ruolo obiettivo, hanno espresso una valutazione positiva che ha permesso la vendita del
prodotto finanziario creando una “piramide di carta” incommensurabile. L’ubriacatura finanziaria si è trasmessa all’economia reale. La facilità di ottenere finanziamenti e mutui edilizi ha indotto
gli operatori a speculare nel settore delle costruzioni. Redditi, consumi e occupazione sono cresciuti artificialmente
ed i governi, consapevoli o no, ne hanno
tratto vantaggi politici. L’eccesso di consumi ha fatto crescere il disavanzo della bilancia commerciale americana e indebolito il dollaro.
Le casse cinesi si sono gonfiate di dollari ed anche per diversificare il portafoglio
la Cina ha iniziato a convertire i dollari in
euro dando ancora più forza all’euro,
tant’è che esso ha sfiorato il rapporto di
1,6 nei confronti del dollaro. Le esportazioni europee non sono state penalizzate perché la domanda mondiale tirava
e taluni prodotti di alta qualità hanno re-
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sistito all’apprezzamento dell’euro. Se
ne dedusse che questo apprezzamento
fosse irrilevante per lo sviluppo dell’Europa. La grande crescita dei paesi asiatici, i ritmi sostenuti degli Usa e quelli
soddisfacenti dell’Europa hanno spinto
il mondo a vivere uno dei momenti di
maggior sviluppo della storia moderna.
Gli economisti americani - si pensi ai
Nobel Sargent e Sims e alla teoria delle
“aspettative razionali” - credevano di
aver scoperto la pietra filosofale che tramuta tutto in oro. Ma il risveglio è stato
per tutti drammatico.
Nell'aprile 2007 un fondo d'investimento francese dichiarò di non poter fronteggiare il rimborso delle quote di partecipazione perché aveva investito in derivati
che contenevano crediti sub-prime che
non erano stati rimborsati, finendo per
“intossicare” anche quelli sani con cui
coabitavano. Dall’inventario di tali crediti è scaturita la decisione delle banche e
delle finanziarie di non farsi più credito
reciproco e di diminuire quello concesso
alla clientela.
Se i crediti sub-prime non fossero stati
usati dalla finanza speculativa, con il
beneplacito delle agenzie di rating, forse
il mercato globale sarebbe stato colpito
in misura molto minore. Ma banche, finanza e autorità non erano in condizione di capire la gravità della crisi e quando questa è venuta alla luce hanno iniziato a discutere di “azzardo morale”
perpetrato dagli operatori. Per dare una
lezione al mercato, si è lasciata fallire
la Lehman Brothers con un costo totale
quattro volte superiore a quello che gli
Usa avrebbero sopportato se avessero garantito il rimborso dei 2.000 miliardi di dollari di crediti sub-prime. Le autorità monetarie e di controllo americane,
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secondo l’A., si sono caricate di responsabilità che oggi tentano di scaricare
solo sulle banche e sulle finanziarie. Anche l’Europa ha accusato le banche di
non aver capito per tempo gli effetti dell’inondazione finanziaria americana, ma,
quando la solvibilità di alcuni debiti sovrani è stata messa in dubbio, essa, invece di fare da prestatore di ultima istanza, ha tirato fuori idee di rigore ed egoismi nazionali mai sopiti.
La crisi è stata quindi trasferita dal settore privato a quello pubblico spostando i
rischi di non rimborso dei debiti sui titoli
statali. Le banche italiane all’inizio sono
rimaste immuni dalle conseguenze patite dalle banche estere, ma la trasmissione degli squilibri finanziari all’economia
reale ha accresciuto le insolvenze sui
crediti e fatto flettere il rendimento del capitale proprio in un momento in cui gli accordi internazionali ne chiedevano l’aumento. La caduta del saggio di crescita
reale ha ridotto le entrate e aumentato le
spese sociali, peggiorando la finanza
pubblica. Inoltre, l’Europa ha chiesto di
intervenire con politiche deflattive. I vecchi e i nuovi problemi dell’Italia si sono
sommati. Sull’onda delle emozioni gli
effetti negativi si moltiplicano tant’è che
si è giunti ad accusare l’Italia d’essere
l’epicentro della crisi europea, trascurando il fatto che l’euro è di costituzione
debole in quanto politicamente “zoppo”.
Nel quadrante europeo c’è uno scambio
di accuse fra i singoli paesi membri e
l’Unione Europea. Così come a livello
mondiale gli Usa accusano la Cina e viceversa. Ogni Stato insomma rivendica il diritto di sbagliare da sé, immemore degli errori compiuti in passato. Per
sanare la crisi in atto, ognuno in Italia
ha la sua ricetta, anche se essa rispon-
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de più agli interessi di parte che a quelli generali. In particolare, c’è chi dà la
colpa alla concorrenza globale sfrenata,
chi all’euro, chi al Patto di stabilità senza
sviluppo, chi all’immigrazione extra-comunitaria, chi alle ruberie ed alle evasioni fiscali, chi alla scuola, alla malasanità,
ai servizi pubblici, alla legge elettorale.
Pochi italiani sono disposti ad accettare
la necessità di cambiare modalità di vita
a causa dei profondi mutamenti geopolitici avvenuti dopo la caduta del Muro di
Berlino e l’ascesa dei paesi emergenti.
Il capitalismo oggi sopravvive spingendo
verso il basso i salari, soprattutto nei
paesi a democrazia carente, e puntando
sulle infinite possibilità della finanza.
Quando poi le cose vanno male si invoca l’intervento pubblico, secondo la
più classica logica di privatizzare i profitti e socializzare le perdite. Attività e passività finanziarie sono contabilmente
speculari per cui basta chiamare attività
ciò che è passività (qui sta il trucco, secondo l’A.) e la gente crede di essere
più ricca. Quando la finanza è esplosa
aveva raggiunto la dimensione di oltre
una dozzina di volte il prodotto reale
globale ed ha richiesto il trasferimento
delle perdite dal settore privato a quello
pubblico che già di per sé era avviato
sulla via del default. Crollato il regime
di Bretton Woods prima e il Muro di Berlino dopo, il mondo si è trovato nella
quasi anarchia istituzionale dove l’uomo non è più governato da leggi ma da
altri uomini che governano l’economia
globale secondo nuove regole, scritte
e non, che se non applicate portano le
società di valutazione ad assegnare alle democrazie un rating di non collocabilità sul mercato del loro indebitamento.
Secondo uno studio americano, il 96%
delle transazioni in derivati viene deciso
da cinque grandi banche su sette miliardi di abitanti del Pianeta.
Ma se guardiamo in casa nostra, si nota
come in ciascuna delle risposte date
dagli italiani ci sia un pizzico di verità. Però nessun italiano si domanda se è lui
stesso parte del problema, perché siamo
convinti che “Italiani sono sempre gli altri” (Francesco Cossiga, Mondadori,
2007). Nel recente passato si è guardato al mercato come supremo produttore di benessere ma anche di insoddisfazioni. Si torna perciò a bussare alla
porta della politica perché il cittadino è
preoccupato non tanto per sé quanto
per il futuro dei figli. La percezione della
maggioranza è che siamo in declino ma
quella che veramente conta proviene
dalla Borsa valori, dominata dalle interpretazioni che i media danno del loro
paese, ben sfruttate da quei pochi operatori che dettano il bello e il cattivo tempo sul mercato.
Nel luglio 2011, prima che l’Italia entrasse nel mirino della speculazione mondiale, il deficit della sua bilancia commerciale era tre volte inferiore a quello della
Gran Bretagna. Il deficit del bilancio pubblico rispetto al Pil era la metà di quello
inglese. La disoccupazione nei due paesi era quasi pari. La crescita reale avvantaggiava di poco gli inglesi mentre l’inflazione li penalizzava essendo il doppio di
quella italiana. Epperò l’Italia pagava
sul proprio debito pubblico decennale
un interesse di un terzo maggiore rispetto a quello inglese. Parte la speculazione e lo spread dei BTP italiani rispetto ai Bund tedeschi sale a oltre il doppio
del valore iniziale.
La vera diversità che giustifica questo diverso trattamento tra Italia e Regno Uni-
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RECENSIONI
to sta nel rapporto tra debito pubblico e
prodotto nazionale che per noi è del
120% e per loro dell’80%. Epperò la ricchezza delle famiglie italiane, che è una
garanzia per il debito italiano, è più elevata rispetto a quella posseduta dalle
famiglie inglesi. Ed allora, perché il nostro debito pubblico è a rischio di insolvenza e quello inglese no? Qualcosa
dunque non funziona nel mercato per
le norme e le persone che lo governano.
Con questo lavoro, il prof. Savona mira
proprio all'accertamento di queste discrasie. Egli esamina le decisioni di politica economica susseguitesi in Italia dalla
nazionalizzazione dell’industria elettrica
in poi, definendole “eresie”, ossia dottrine
contrarie ai dogmi della razionalità economica, le quali hanno dato vita a puri “esorcismi”, cioè riti che hanno lasciato le cose
come prima. Infatti, nonostante le promesse di tagli, la spesa pubblica è continuata a crescere imperterrita, con maggior forza della pressione fiscale, facendo
così lievitare l’indebitamento pubblico.
Lo Stato si è impossessato di metà del
reddito annuo del paese e non pare ancora soddisfatto. La “manovra”, secondo
l’A., è la madre di tutti i mali. La crisi che
stiamo vivendo deriva dagli errori commessi dagli Usa quando, dopo Bretton
Woods, non hanno adeguato le regole
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sul piano della moneta e dei cambi, nonché dall’UE quando, dopo il Trattato di
Maastricht, non ha attuato il disegno di
unificazione politica che l’aveva indotta a
creare l’euro. Egli ammette che l’Italia ha
le sue colpe, ma esse sono solo la goccia
che ha fatto traboccare un vaso, già colmo di squilibri economici e dissapori mondiali sul da farsi.
Il lavoro, dopo aver indicato le “scelte
giuste” da prendere per riportare l’Italia
sul sentiero della ripresa produttiva e
dell’occupazione, si chiude con un esame critico della manovra Monti e delle
decisioni prese a Bruxelles il 9 dicembre
2011.
Lo stesso A. avverte che tutto quello
che ha scritto è solo un esercizio. Non
può essere la verità, perché secondo la
scienza moderna la verità non esiste e
intorno ad essa si può solo discutere
(K. Popper). In altre parole, l’economia
ha una scatola nera dove è difficile scrutare dentro per tentare di vederci chiaro.
Da questo punto di vista, il volume del
prof. Savona, rappresenta un tassello
importante in questa ricerca continua,
un monito per tutti per individuare le
cause originarie piuttosto che i loro effetti.
(Lorenzo Paliotta)
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