IL DIRITTO PENALE SOCIALE 1883-1912 Mario Sbriccoli docente di storia del diritto penale presso l’università di Macerata cerca di dare una definizione di socialismo giuridico analizzando i suoi caratteri distintivi, gli scritti dei suoi autori e gli aspetti che più hanno caratterizzato la società italiana nell’ultimo ventennio dell’Ottocento e i primi dieci anni del Novecento. La riscoperta del socialismo giuridico è un’operazione che suscita non pochi problemi. In primo luogo perché si tratta di un fenomeno caratterizzato da una forte ambiguità interna, dovuta ai diversi caratteri distintivi che lo compongono , che si rinvengono soprattutto negli scritti dei giuristi socialisti e in particolare nei penalisti. Questa ambiguità però non è generata dal socialismo ma è insita nella cultura dell’Italia unita. Per questi motivi il socialismo giuridico è di difficile ricostruzione e più che definirlo come una scuola di pensiero è preferibile analizzarlo come presenza culturale. Il socialismo giuridico in ogni caso lo si conosce dall’impegno politico e culturale dei suoi promotori e allora lo si può definire come un effetto del contraccolpo sul diritto, determinato dal tipo di lotta politica che si veniva costruendo in Italia quale risposta alla precedente linea guida del paese. Centralità della questione penale Responsabilità delle scuole giuridiche e dei giuristi che in questo periodo danno vita ad un’ amputazione del diritto penale dal contesto delle altre scienze civili. Questo fatto rappresenta una svolta perché il diritto penale era nato come la scienza della libertà e della riforma dei diritti civili. Si può dire che i giuristi socialisti si pongono a pieno titolo all’interno di questa tradizione ma si può aggiungere che essi sono eredi e continuatori dal momento che ritengono la questione penale come questione di fondo sulla quale si misura l’urgenza di una riforma sociale . Cercano di riprendere la vecchia battaglia liberale appunto, riprendendo le loro tematiche anche se poi finiranno per discostarsene. Tra il 1883 e il 1884, iniziano ad emergere alcuni scritti di quelli che poi saranno considerati come i fautori del socialismo giuridico penale: in primo luogo emerge Filippo Turati, il quale è convinto nella rilevanza della questione sociale sopra ogni altro problema. Turati parte dall’analisi dei fattori del delitto per poi fare un discorso sulla necessità di una radicale riforma della legislazione, legislazione da lui intesa in senso ampio ovvero come coincidenza della questione penale con i problemi della società. Egli scrive: “la causa dei delitti sta nel disordine degli istituti sociali, nell’antagonismo delle classi e nello sfruttamento dei ceti inferiori”. La polemica di Turati, più che contro la logica del potere politico borghese, è nella sottovalutazione che della questione penale come terreno primario di ogni azione riformatrice sembrava fare la nascente scuola positiva. Ma se fu l’intervento di Turati a determinare una svolta nell’atteggiamento della nuova scuola, per l’indirizzo che prenderà saranno decisivi i primi nuclei teorici elaborati da Enrico Ferri nei suoi “Nuovi orizzonti”. La sua teoria dei “sostitutivi penali”elaborata nella prima stesura dei nuovi orizzonti ma poi ampliate nelle stesure successive, è una teoria sulla prevenzione della criminalità che è tesa a modificare l’ambiente sociale nelle sue parti contrarie alle leggi naturali. Saranno poi soprattutto gli allievi di Ferri a dar seguito alle sue prime linee programmatiche, tanto che intorno agli anni novanta,si afferma una corrente di socialisti all’interno della scuola positiva. Quella corrente deve all’impostazione ferriana il suo modo di avvicinarsi alla questione penale, ma accentua in maniera autonoma la questione del diritto penale come diritto di classe. Diritto penale è un diritto di classe? Michele Angelo Vaccaro giurista che dichiarò di non appartenere né alla vecchia tendenza classica né alla nuova scuola positiva, avvia un discorso sul carattere “classista” del diritto penale. Egli dice: “Le leggi penali tendono a difendere l’ordine giuridico costituito”. Con Vaccaro siamo in presenza non tanto di un riformista che teme la rivoluzione, ma di uno scienziato che la ritiene impossibile. Rimprovera la borghesia per la sua resistenza sui ceti deboli perché la ritiene innaturale in quanto blocca l’evoluzione sociale e prepara a tempi peggiori. La sua visione è fortemente darwinista e ne abbiamo la conferma nell’86 quando pubblica uno scritto in cui fa proprie le tesi del darwinismo sociale. Il suo problema però è che essendo pur bravo a cogliere il problema di un sistema dominato dalle classi borghesi a scapito di tutti gli altri, Vaccaro non riesce ad uscire da un atteggiamento di constatazione e non cerca soluzioni innovatrici. Ѐ però la maggior conoscenza dell’opera di Marx a far compiere un certo progresso a partire dagli anni ‘90 in poi, all’analisi del fenomeno giuridico e dei suoi nessi con la realtà sociale. Il marxismo entra nella cultura italiana solo attraverso l’opera di importanti mediatori tra cui Achille Loria il quale aveva affermato che il delitto è il risultato pressoché esclusivo dei rapporti economici. Se è possibile fare un uso difensivo del diritto da parte della classe che detiene il potere, sarà altrettanto possibile farne un uso offensivo( non attraverso una battaglia per il diritto, ma nell’indebolire lo strumento di classe approfittando della crisi che inevitabilmente lo investe) da parte di coloro che vogliono modificare la società. Il suo intervento fu importante tra i giuristi per una maggiore presa di coscienza del carattere classista della legislazione penale. Lo stesso Enrico Ferri vede nelle più acute disuguaglianze far classi dominanti e classi soggette, una causa tra le altre della criminalità delle seconde. Altri due giuristi espressero la propria opinione su questo tema. Tra loro ricordiamo Eugenio Florian e Adolfo Zerboglio che invece posero la questione con due articoli pubblicati entrambi nel ‘96. Eugenio Florian afferma che l’unicità del criterio sancito per l’imputabilità dei ricchi e dei poveri è in realtà un’ingiustizia. Anche la pena non colpisce con lo stesso grado di afflizione chi occupa differenti posizioni economiche. Quindi muove una critica al principio della legislazione borghese il cd “ diritto eguale” che all’interno di una società squilibrata, genera ancora più discriminazione e squilibrio. Lo conferma, la durezza con cui sono puniti i reati sulla proprietà rispetto a quelli contro le persone. Florian pretende una riforma del codice che elimini le disuguaglianze e di uno stato che si ponga come garante per tutti e come soggetto terzo ed imparziale e non come un arbitro di parte. In Zerboglio invece ritroviamo una concezione della rivoluzione come fatto legato all’irrefrenabile evolversi delle cose però anche lui come Florian, muove una critica al diritto eguale. Un altro giurista in particolare Alfredo Pozzolini raccoglie il nuovo indirizzo di critica e di riforma sociale del diritto per applicarlo allo studio della procedura penale. Infatti individua una serie di punti nodali del diritto penale che si presentano non solo come causa di crisi dell’amministrazione della giustizia ma anche come reale motivo d’ingiustizia. In particolare muove una critica verso alcuni punti del codice di procedura penale come per esempio: - La prevalenza nei giudici di una cultura civilista che li porta a sopravvalutare gli aspetti tecnici del reato - La condizionabilità dei giudici da parte dell’esecutivo, che li porta a giudicare secondo gli interessi dei ricchi - Il pubblico ministero quale organo della magistratura avente funzioni governative e quindi legato alla classe dominante - I problemi che riguardano la difesa - Il cattivo funzionamento del corpo di polizia Il discorso fin qui condotto è il risultato di un movimento culturale messo in atto principalmente da quel fenomeno culturale noto come socialismo giuridico e in secondo luogo dal lavoro di giuristi e intellettuali che da sempre hanno creduto nella lotta di risanamento della società partendo dalla questione penale. La riforma della legislazione penale , si muove su due punti: - Considerare il diritto penale come terreno naturale e privilegiato sul quale far progredire il livello civile del paese - Teoria anti-crimine che si racchiude in quel nucleo di potenzialità riformatrice che sta nella linea dei sostitutivi penali La doppia valenza verifica che la centralità del diritto penale era avvertita non solo in relazione alla battaglia per far progredire il paese sulla via del progresso civile, ma anche per cercare di ridurre quel livello di criminalità dell’Italia del primo Novecento. Fornasari aveva messo a raffronto i livelli di criminalità con le condizioni economiche del paese concludendo che ci si sarebbe dovuti aspettare un livello sempre crescente di criminalità. Sulla base di questi risultati si muovono le ricerche di altri giuristi che si occupano della questione alcolismo, prostituzione, vagabondaggio, usura, istituzioni repressive e un sistema carcerario che paradossalmente aumentava il livello di criminalità. Altro giurista impegnato fu Rodolfo Laschi che si mosse sul terreno delle controversie sul lavoro e muove una profonda critica alla conservazione nel codice del reato di sciopero. Sempre Laschi scrive nel 1903: Mai come in questo caso l’arte del governo si trovò di fronte alla necessità di cambiar rotta. Alle classi dirigenti spetta il compito di una riforma della legislazione per adattarsi ai nuovi rapporti economici e non scivolare nell’arretratezza rimanendo immobili. Scrive: L’arma civile delle leggi è nelle loro mani, sappiano usarne con prudente larghezza impugnandola contro il privilegio. Diversamente l’arma cadrà loro inutile dal pugno o peggio verrà strappata a forza.