R. TREVES SOCIOLOGIA E STORIA R. Treves, Sociología e historia, in «Revista de la Facultad de Derecho y Ciencias Sociales de la Universidad Nacional de Tucumán», a. 1, n. 2, 1943, pp. 494-512 [= con minime differenze tra le due versioni, in «Revista mexicana de sociología», a. 6, vol. 6, n. 2, mayo-agosto 1944, pp. 187-199]. In un saggio pubblicato alla fine del mio lavoro Sociologia e filosofia sociale1, ho avuto l’opportunità di spiegare perché i maggiori maestri dell’idealismo italiano, Croce e Gentile, hanno negato ogni legittimità alla sociologia e, di fronte a questo atteggiamento così categorico, ho affermato il valore e l’importanza dei problemi dei quali si occupa questa disciplina. Nel presente articolo mi propongo di indicare il senso teorico e pratico che potrebbe avere la sociologia, se si sviluppasse sulla base dello storicismo idealista di Croce. Mi rendo conto di come tale proposito possa apparire a prima vista assurdo, quando si pensa all’opposizione radicale che Croce ha sempre fatto a questa disciplina. Tuttavia, credo che sia facile convincersi del contrario, se si considerano le ragioni di questa opposizione di Croce. Quando si osserva, cioè, che tale opposizione è dovuta soprattutto al fatto che, a suo modo di vedere, questa disciplina si trova sempre unita ai principi e ai metodi di una concezione filosofica particolare, e cioè della concezione positivista, che egli giudica erronea. Anche prescindendo dalle opinioni radicalmente contrarie, manifestate da Croce e dagli altri idealisti italiani, dobbiamo riconoscere che la sociologia, fin dalle sue origini, è sempre stata minacciata dalle critiche che negavano la sua legittimità nella teoria come nella pratica. Nella prima metà del secolo scorso, queste critiche si fondavano sul carattere sintetico ed enciclopedico della sociologia, che era stato affermato dal fondatore stesso della disciplina e dai suoi discepoli. Se la sociologia non è altro che una sintesi, un’enciclopedia delle scienze sociali, osservavano i critici, si incorre nel seguente dilemma: o è di troppo la sociologia, o sono di troppo le scienze sociali. E rispondevano: le scienze sociali particolari non possono essere considerate superflue, in quanto i risultati conseguiti nei distinti campi del sapere hanno già dimostrato la loro utilità; dunque è superflua la sociologia che, abbracciando temi troppo numerosi e distinti, finisce per dimostrarsi inutile e superficiale. Molto presto a queste conclusioni si sono opposti i sociologi che hanno superato tale dilemma, tanto dal punto di vista storico quanto da quello teorico. Da un lato, essi hanno osservato che i fondatori della sociologia non hanno mai preteso che questa disciplina assorbisse o sostituisse le scienze 1 In questo libro (Editorial Losada, Buenos Aires 1941) si trovano le principali indicazioni bibliografiche sul tema trattato in questo articolo. [Il saggio a cui Treves fa riferimento è tradotto, in questa Appendice, immediatamente supra, p. 197 ss.]. 218 Appendice II sociali particolari, anche quando le hanno attribuito una funzione sintetica ed enciclopedica. Dall’altro, essi hanno mostrato che la sociologia, in questi ultimi tempi, afferma molto spesso la propria autonomia e determina, con precisione sempre maggiore, il suo proprio metodo e il suo proprio oggetto. A tal proposito è sufficiente ricordare, per esempio, Simmel. Secondo questo autore, la sociologia non può essere considerata come una scienza nuova finché la si concepisce come un’enciclopedia delle scienze storiche, psicologiche, normative, e di tutte le altre scienze che orientano le loro indagini nell’ambito della società. E per assicurare, con la novità, l’autonomia di questa disciplina, ha sviluppato la sua brillante teoria secondo la quale la sociologia pura avrebbe per oggetto solo la forma e non anche il contenuto della società, e si distinguerebbe dalle scienze sociali particolari in modo simile a come la grammatica si distingue dalla letteratura, la geometria dalle scienze fisico-chimiche della natura, la gnoseologia dalle scienze e dalle conoscenze particolari. Questa dimostrazione dell’autonomia della sociologia, proposta da Simmel e, con lui, da molti altri sostenitori della così detta sociologia pura, non è considerata tuttavia soddisfacente dagli avversari di tale disciplina. Questi osservano, infatti, che la sociologia pura, per difendere la propria autonomia, perde ogni importanza teorica e pratica perché, svuotando il proprio oggetto di ogni contenuto e prescindendo da ogni esperienza, si allontana dai problemi concreti della vita e si limita all’esercizio inutile delle costruzioni sistematiche e concettuali. A questo genere di accuse, fatte da politici e pratici o da ricercatori dediti alle statistiche e alla sociografia, si può replicare affermando che la sociologia non solo è utile e legittima, ma è anche necessaria, in quanto corrisponde a un’esigenza eterna e insopprimibile dello spirito umano. Osservando che, nonostante questa disciplina abbia affermato la propria autonomia solo in tempi recenti, i suoi problemi, cioè i problemi del senso e del valore della società, hanno preoccupato gli uomini fin dalle epoche più remote, fin dai tempi stessi in cui essi hanno cominciato a ragionare sulle supreme questioni del mondo e dello spirito. La Repubblica di Platone, la Città di Dio di Sant’Agostino, la Città del Sole di Campanella dimostrano per esempio come, ben prima che Comte creasse la parola «sociologia», il problema dell’essenza, del destino e del valore della società umana già preoccupava i pensatori dell’età classica, intermedia e moderna. La grande diffusione dello spirito scientifico positivo e, soprattutto, la grande importanza che il problema della società ha avuto in questi ultimi tempi sono state tra le cause principali della costituzione della sociologia R. Treves, Sociologia e storia 219 come disciplina autonoma. Nonostante quest’autonomia, però, non bisogna dimenticare che essa si trova sempre indissolubilmente unita a una concezione filosofica: è sempre, in un certo senso, filosofia, anche se limitata allo studio del problema particolare della società. Se si considerano i diversi sistemi sociologici come altrettanti sforzi per conoscere, nel loro complesso e nella loro struttura, i fenomeni sociali dell’epoca in cui si vive, si nota facilmente come questi sistemi siano sempre legati a una concezione generale del mondo. Non sono una parte della filosofia, ma tutta la filosofia rivolta allo studio di un problema particolare, del problema della società. E questa filosofia può essere quella del positivismo come in Comte, o dell’evoluzionismo come in Spencer, o del formalismo neo-kantiano come in Simmel, o della fenomenologia come in Vierkandt. Il carattere filosofico di tutta la sociologia, il suo compito di soddisfare un’esigenza insopprimibile dello spirito umano, spiega la necessità e l’importanza dei suoi problemi, ma non dimostra evidentemente la legittimità dei sistemi sociologici. Se consideriamo, anche in modo superficiale, il panorama di questi sistemi, dalle origini della disciplina fino a ora, dobbiamo riconoscere che vi sono forti ragioni per dubitare del valore e della legittimità degli stessi. L’anarchia che Dilthey osserva nei sistemi filosofici si manifesta, in forma ancora più grave e allarmante, in quelli sociologici. Raramente si incontrano concezioni tanto distinte e contrastanti come innanzi ai problemi della realtà e della vita sociale. Pensiamo soltanto, nella prima metà del secolo scorso, alla differenza che passa tra le concezioni positiviste e ottimiste di Saint-Simon e di Comte e quelle dialettiche e catastrofiche di Marx. Pensiamo, in questi ultimi anni, al contrasto tra le concezioni tragiche circa la nostra civiltà di Spengler e le concezioni piene di fiducia nel suo avvenire di Croce. Ma, ancora più grave di quest’anarchia, che si risolve nel contrasto delle opinioni e dei sistemi, sono la sfiducia e la contraddizione che dominano in ogni sistema. La storia della sociologia, infatti, è dominata da una profonda insoddisfazione verso tutte le concezioni sistematiche. È noto che Comte non ha seguito fino all’ultimo i principi positivisti che ha affermato nella prima fase della sua vita e, nella seconda fase, ha aderito a concezioni sentimentali e metafisiche del tutto opposte a quelle che propugnava nella prima. La concezione idealista della società di Hegel non ha soddisfatto quei suoi discepoli che hanno rovesciato la dialettica passando al materialismo. Il formalismo astratto, proclamato da Simmel nelle prime opere, è stato considerato inapplicabile e inaccettabile dal suo stesso autore che, nelle ultime opere, ha fatto 220 Appendice II propria una concezione storica e culturale, secondo la quale le forme sono eternamente prodotte e distrutte dallo sviluppo della vita. Dunque, questo contrasto, quest’anarchia delle concezioni sociologiche, questa insoddisfazione che gli autori avvertono nei confronti dei loro stessi sistemi, è forse sufficiente per negare ogni valore teorico e pratico alla sociologia? Per considerarla, secondo quanto afferma Ortega y Gasset2, come «una delle piaghe del nostro tempo»? Non credo si debba giungere a conclusioni tanto pessimiste. Max Weber e, con lui, altri sociologi, come per esempio Mannheim, nei suoi classici saggi metodologici sulle scienze sociali, ha spiegato con grande chiarezza le ragioni dell’anarchia e dell’insoddisfazione che abbiamo denunciato, ma non per questo è giunto a conclusioni scettiche, affermando, al contrario, il valore e l’importanza della sociologia e dei suoi sistemi. A suo modo di vedere, solo nel Medioevo si possono incontrare concezioni sociali oggettive e concordemente accettate da tutti, perché allora dominavano la gerarchia teologica e la scolastica aristotelica, ed esisteva un’autorità centrale che orientava la condotta morale e intellettuale dell’umanità. Dopo quell’epoca, tuttavia, questa oggettività e universale accettazione delle concezioni non è più possibile. Con il Rinascimento, l’Illuminismo, e in generale con lo sviluppo del pensiero moderno, il soggettivismo si è opposto all’oggettivismo medievale, il centro e la fonte di ogni conoscenza sono stati rinvenuti nel soggetto e non più in un oggetto naturale o personale al di fuori di esso. In questo modo, l’unità del pensiero si è frantumata in numerose concezioni distinte e in contrasto tra loro, si è manifestata quell’anarchia dei sistemi che abbiamo descritto in precedenza e che Max Weber denomina «lotta tra gli dei», considerando che ciascun sistema pretende di essere quello vero, escludendo tutti gli altri. Nonostante spieghi con tanta chiarezza le ragioni per le quali non sarebbe possibile pervenire, nell’epoca moderna, a concezioni sociologiche universalmente accettate, Max Weber non perviene tuttavia a una conclusione scettica. Se la concezione scientifica della sociologia non è in grado di soddisfare le esigenze metafisiche, se la concezione filosofica non riesce a corrispondere alle aspirazioni della scienza e dell’esperienza, se il formalismo finisce per risolversi sempre in una dottrina empirica, non per questo si deve dichiarare l’impossibilità della sociologia, né concludere che siano erronei tutti i sistemi sociologici. A suo giudizio, si deve riconoscere ugualmente la legittimità della sociologia e affermare che i sistemi sociologici sono tutti in un certo senso veri, perché tutti sono il prodotto di distinte situazioni 2 J. Ortega y Gasset, Ensimismamiento y alteración. Meditación de la técnica, Espasa-Calpe Argentina, Buenos Aires-México 1939, p. 17. R. Treves, Sociologia e storia 221 storiche e di particolari esperienze di vita, e perché tutti colgono un momento, un aspetto della realtà che studiano. Della realtà sociale, cioè, che si sviluppa e si trasforma continuamente e che, per il carattere dinamico e vitale che la caratterizza, non può essere determinata e schematizzata con categorie e concetti fissi. Così come non si può dubitare del valore e dell’importanza della sociologia, non si deve dubitare nemmeno dell’utilità del lavoro dei suoi cultori. In una conferenza intitolata La scienza come professione, Max Weber riconosce che il sociologo, e lo scienziato in generale, deve lavorare sempre con la piena coscienza che le costruzioni del suo spirito sono condannate a svanire negli anni a venire, e che le sue opere saranno superate dalle generazioni future. Ma questa consapevolezza della relatività del suo lavoro non deve scoraggiarlo. Infatti, il fine autentico e la soddisfazione profonda dello scienziato deve consistere nell’aver compiuto tutto ciò di cui la sua epoca gli aveva fatto carico e che poteva aspettarsi da lui; deve consistere nell’aver costruito un anello sul quale si fonda il lavoro delle generazioni a venire. Come si nota, considerando tutte le concezioni sociologiche come il prodotto di una sola realtà storica che si sviluppa eternamente, Max Weber non solo riesce a spiegare l’anarchia dei sistemi, ma anche a evitare ogni pericolo di scetticismo. Ispirandosi a un sano liberalismo, egli rigetta inoltre tutte le posizioni dogmatiche ed esclusive, e cerca l’elemento di verità che dev’essere rinvenuto in tutti i sistemi, anche nei più distanti. Benedetto Croce, il cui pensiero è per molti aspetti simile a quello di Max Weber, con la sua concezione storicista tanto coerente e integrale, non solo dimostra e rafforza tali conclusioni e insegnamenti, ma fornisce implicitamente una base per intendere quale dovrebbe essere il valore teorico e pratico di una sociologia di carattere filosofico piuttosto che scientifico. Croce rifiuta con decisione ogni concezione che considera la natura come qualcosa di oggettivo, di estraneo e opposto allo spirito, e afferma che la natura è reale solo nella sua concretezza, nello spirito, nella storia, nella vita, nell’attività pratica degli uomini. Rifiuta inoltre ogni concezione di una realtà metafisica trascendente e osserva che le filosofie tradizionali che, fondandosi su questi concetti, levano gli occhi al cielo e dal cielo attendono la suprema verità, sono state ricondotte alla realtà, cioè alla storia, dal pensiero moderno, il quale ha «interpretato i loro concetti, le dottrine, le dispute e le loro stesse sfiduciate rinunzie scettiche come fatti storici e storiche affermazioni, nascenti da necessità e da circostanze storiche»3. 3 B. Croce, La storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari 1938, p. 21 s. [= ed. naz. (riproduzione corretta della quinta ed. riveduta, Laterza, Bari 1952), a cura di M. Conforti, 222 Appendice II Nell’affermare che non esiste un mondo naturale o metafisico al di fuori della storia, Croce afferma anche che non vi è alcun giudizio e, di conseguenza, alcuna conoscenza che non abbia un carattere storico, cioè vincolato alla vita e all’azione. Così la conoscenza, per essere sempre conoscenza storica, non può mai essere definitiva, non può mai esaurire tutta la realtà, perché questa realtà, che è la storia, essendo eternamente formata dalla libertà intesa come attività, spiritualità, eterna creazione di vita, non può mai essere percepita e determinata definitivamente in schemi fissi e costruzioni concettuali. Da questi principi generali sulla realtà e sul carattere della nostra conoscenza è agevole dedurre il concetto che Croce potrebbe avere della sociologia e dei suoi problemi, nell’ipotesi in cui non la considerasse come una disciplina empirica e positivista. Croce riconosce una certa utilità pratica alle schematizzazioni, alle raccolte di dati, alle comparazioni di tipi sociali realizzate dalla sociologia empirica e positivista (la quale, a suo modo di vedere, differisce dalla scienza empirica della politica solo per la maggiore ampiezza del suo oggetto), ma nega che questo genere di sociologia riesca a conoscere la realtà sociale, che è spirituale e storica. Il positivismo e l’empirismo, infatti, sono nemici di ogni spiritualità e di ogni storia, e i loro schemi e le loro costruzioni concettuali finiscono per togliere vita e significato ai fatti storici. Croce nega inoltre ogni valore conoscitivo alle costruzioni sociologiche fondate su principi metafisici trascendenti, perché la realtà sociale, come tutta la realtà, non si trova al di fuori della storia ma nella storia, più esattamente è la storia stessa. Tutte le soluzioni definitive dei problemi sociali, tutte le concezioni di una «repubblica ottima» e di un «perfetto Stato razionale», tutti gli ideali di «felicità della maggioranza» o di «morale eroica» sono per Croce semplicemente il prodotto della debolezza mentale e volitiva, dell’anelito insoddisfatto e inquieto, della sete dell’impossibile, del desiderio della felicità e della beatitudine assoluta che provano tutti gli uomini. Posto che non vi è altra realtà al di fuori della storia, né altra conoscenza al di fuori della conoscenza storica, anche la sociologia, secondo Croce, per conoscere la realtà sociale come pretende, deve ridursi a storia. A suo modo di vedere, ogni disciplina che provi a conoscere la realtà sociale e a guidare gli uomini affinché agiscano in essa non può essere concretamente distinta Bibliopolis, Napoli 2002, p. 28]. In questo libro, tradotto anche in castigliano da E. DíezCanedo, con il titolo La historia como hazaña de la libertad, Fondo de Cultura Economica, México 1942, si trovano le principali idee di Croce che qui esponiamo. [La citazione di Treves non corrisponde precisamente al testo crociano]. R. Treves, Sociologia e storia 223 dalla storia; «la questione della società è nient’altro che la questione stessa della storia, l’eterna soluzione e l’eterno problema che è il corso storico»4. Questa conclusione, questa riduzione della sociologia alla storia, può preoccupare i sociologi di professione, che vedono così minacciata l’autonomia della loro disciplina. Ma il problema dell’autonomia della sociologia, come quello di ogni altra disciplina, è un problema pratico, che riguarda solo i piani di studio e la distribuzione delle cattedre universitarie. Il problema che qui discutiamo è, invece, il problema teorico del senso e del valore delle così dette ricerche sociologiche, e nel campo teorico è impossibile stabilire limiti e parlare di autonomia di questa o quella disciplina. Abbiamo già visto che la sociologia non si distingue sostanzialmente dalla filosofia e adesso, sulla base dell’insegnamento di Croce, secondo il quale la stessa filosofia si risolve nella storia, possiamo logicamente affermare che la sociologia è storia, e che i suoi sistemi rappresentano situazioni e momenti astratti e transitori dello sviluppo storico. Queste conclusioni, che affermano il carattere storico della sociologia, indicano anche, con tutta chiarezza, qual è il valore teorico e pratico delle sue ricerche. Come tutte le ricerche storiche, anche le ricerche sociologiche hanno un fine teorico di conoscenza, intendono comprendere il senso della realtà sociale in cui viviamo, della società presente, ma questa ricerca teorica è sempre inizialmente ispirata da un’esigenza pratica, per il fatto che nella società che si prende in esame bisogna in qualche modo agire, e non si può agire in una società senza previamente conoscerla. Se la sociologia ha essenzialmente il fine di conoscere per agire nel presente, è facile rendersi conto B. Croce, L’ombra del mistero, in «La Critica», 37/5, 1939, pp. 325-333, p. 328 [= in Il carattere della filosofia moderna (riproduzione della seconda ed., Laterza, Bari 1945), a cura di M. Mastrogregori, Bibliopolis, Napoli 1991, pp. 29-40, p. 33]. V. anche Id., Rec. di K. Mannheim, Ideologie und Utopie (Cohen, Bonn 1929), in «La Critica», 29/4, 1931, pp. 301-303 [= in Conversazioni critiche, serie IV, Laterza, Bari 1932, pp. 266-268]. Le idee di Croce sulla sociologia si trovano in: Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e Storia, Filosofia come scienza dello spirito I, quinta ed. riveduta, Laterza, Bari 1922, p. 69 s. [= ed. naz. (riproduzione della nona ed. riveduta, Laterza, Bari 1950), a cura di F. Audisio, Bibliopolis, Napoli 2014, p. 99 s.]; Cultura e vita morale. Intermezzi polemici, Laterza, Bari 1914, p. 218 s. [= ed. naz. (riproduzione della terza ed., Laterza, Bari 1955), a cura di M.A. Frangipani, Bibliopolis, Napoli 1993, p. 187 s.]; Teoria e storia della storiografia, Filosofia come scienza dello spirito IV, terza ed. accresciuta, Laterza, Bari 1927, p. 36, 320 s. [= ed. naz. (riproduzione corretta della sesta ed., Laterza, Bari 1948), a cura di E. Massimilla e T. Tagliaferri, Bibliopolis, Napoli 2007, p. 39 s., 295 s.]; Etica e politica, Laterza, Bari 1931, p. 244 s. [= ed. a cura di G. Galasso, Adelphi, Milano 1994, p. 285 s.]; La storia come pensiero e come azione, cit., p. 133 [= p. 135]; Logica come scienza del concetto puro, Filosofia come scienza dello spirito II, quinta ed. riveduta, Laterza, Bari 1928, p. 231 [= ed. naz. (riproduzione della settima ed., Laterza, Bari 1947), a cura di C. Farnetti, Bibliopolis, Napoli 1996, p. 255]. 4 224 Appendice II dell’interesse che ha per il passato e, naturalmente, per la ricerca storica. Non è possibile, infatti, svolgere nel presente un’attività pratica prescindendo dal passato dal quale siamo prodotti e che sempre ci accompagna, e non è possibile, inoltre, conoscere un fatto sociale senza pensarlo nel suo cominciamento e nel suo sviluppo vitale, nel contesto di condizioni che a loro volta variano e si sviluppano. L’interesse che le ricerche sociologiche, dirette allo studio della realtà presente, devono avere per il passato, mi porta a dare della sociologia una definizione che Croce ha dato in generale della storia: «coscienza presente del passato». Mi rendo conto che questa definizione, che sintetizza il pensiero di Croce, può apparire abbastanza simile alla concezione che della sociologia ha un pensatore tedesco piuttosto conosciuto tra noi per i lavori che a lui hanno dedicato Francisco Romero e Alfredo Poviña. Intendo parlare di Hans Freyer che, nella sua opera principale, Soziologie als Wirklichkeitswissenschaft, distingue la sociologia dalle scienze della natura e dalle scienze dello spirito, affermando che essa ha per oggetto una realtà sociale che esiste sempre «come presente nel tempo presente». La definisce, così, come «auto-coscienza scientifica di un presente umano», e osserva che, per studiare il proprio oggetto, questa disciplina non può prescindere dal passato, in quanto il presente si trova sempre indissolubilmente unito al passato, cioè allo sviluppo storico che lo ha preceduto e lo ha prodotto. Indubbiamente, in questo punto, la concezione di Freyer coincide con la nostra, e la conferma e la rafforza ricordando che i precursori e i fondatori della sociologia in Francia e in Germania hanno sempre affermato, nelle loro opere, il carattere di contemporaneità e di storicità della sociologia. Questi, infatti, hanno indirizzato le loro ricerche allo studio della situazione e dei problemi che maggiormente interessavano la società nell’epoca in cui vivevano: lo sviluppo delle industrie, il grande progresso scientifico, la concentrazione della ricchezza in poche mani, l’estrema miseria delle classi operaie, ecc. E proprio per risolvere questi problemi e conoscere questa situazione presente, hanno condotto le loro ricerche storiche e hanno elaborato le loro interpretazioni del passato. Saint-Simon, per esempio, per spiegare i problemi sociali dell’epoca critica nella quale viveva, ha concepito lo sviluppo storico come un continuo succedersi di epoche critiche e organiche, che conduce l’umanità alla realizzazione del «sistema industriale» che, a suo modo di vedere, costituisce la vera soluzione di tutti i problemi del suo tempo. Il suo discepolo e fondatore della sociologia, Augusto Comte, preoccupato non solo delle questioni sociali e industriali, ma anche del grande R. Treves, Sociologia e storia 225 sviluppo delle scienze positive nell’epoca in cui viveva, ha affermato, com’è noto, che quest’epoca è il prodotto di una lunga evoluzione attraverso la quale l’umanità, dopo essere passata per lo stadio teleologico e metafisico, sta preparando la realizzazione dello stadio positivo, nel quale sarà indirizzata e governata unicamente ed esclusivamente dall’opera degli scienziati. Lo stesso desiderio di spiegare la situazione e i problemi dell’epoca in cui vivevano ha suscitato anche le interpretazioni dello sviluppo storico nella dottrina dei precursori della sociologia tedesca: Lorenz von Stein e Karl Marx. Entrambi interessati al problema sociale, così importante nell’epoca nella quale vivevano, e formati alla scuola idealista di Hegel, hanno cercato nel passato una spiegazione e una soluzione di questo problema. Così, da un lato, Lorenz von Stein, nelle sue classiche ricerche storiche, ha cercato di spiegare che lo sviluppo della vita sociale è il prodotto di una relazione dialettica tra le forme eterne e irriducibili della società economica e dello Stato etico, e dall’altro, Karl Marx, nei suoi lavori di economia e di filosofia, ha affermato che lo sviluppo storico è determinato dalle situazioni economiche ed è caratterizzato da conflitti di interessi tra classi sociali distinte. Come si vede, Freyer, con interessanti esempi storici, chiarisce e dimostra la definizione della sociologia come «coscienza presente del passato» ma, come ogni specialista di sociologia, vincolato al problema pratico dell’autonomia della propria disciplina, non ha il coraggio di spingersi fino alle ultime conclusioni che devono dedursi logicamente da questa definizione, non osa cioè risolvere la sociologia nella storia, e cerca di stabilire una distinzione con tutti i mezzi di cui dispone. È facile rendersi conto delle gravi incongruenze e delle contraddizioni nelle quali Freyer incorre per raggiungere tale scopo. Dopo aver criticato le concezioni anti-storiche della sociologia, dopo aver rigettato tutte le concezioni formali «che ottengono il sistema sacrificando la storia», dopo aver dichiarato che è necessario riempire di contenuto storico le costruzioni concettuali, lo stesso Freyer finisce per negare alla sociologia ogni carattere storico. Volendo distinguerla a tutti i costi dalla storia, egli dichiara, per esempio, che le ricerche sociologiche si distinguono dalle ricerche puramente storiche in quanto hanno il compito «di cercare e di determinare nei fatti storici, con tutte le differenze delle loro costruzioni e delle loro destinazioni, le strutture e le direzioni di sviluppo che si ripetono tipicamente»5. In atteggiamenti ancor più chiaramente anti-storici Freyer incorre quando, sempre al fine di distinguere la sociologia dalla storia, cerca di stabilire i legami che H. Freyer, Einleitung in die Soziologie, Quelle & Meyer, Leipzig 1931, p. 116. [La citazione di Treves non corrisponde in modo preciso al testo di Freyer]. 5 226 Appendice II uniscono questa disciplina alla politica. A volte, infatti, si limita a identificare la sociologia con la teoria politica, considerandola come sistematizzazione dei fatti, schema logico concettuale per intendere la realtà. Altre volte giunge persino a vincolarla alla stessa attività politica, dichiarando che la sociologia dev’essere plasmata politicamente, e che il fine di questa disciplina è quello di rafforzare l’unità dello Stato tedesco in pericolo, di esaltare il principio del «dominio» caratteristico della società, e infine di difendere i valori della patria, dello Stato, del popolo. Per evitare queste contraddizioni, che conducono Freyer al di fuori dello storicismo, è necessario rinunciare a ogni tendenza di costruzione sistematica della sociologia e seguire una concezione integralmente e profondamente storicista. Seguire lo storicismo di Croce, che si oppone a quello di Freyer poiché le sue concezioni concettuali e sistematiche contrastano con l’essenza stessa della realtà sociale che è, come abbiamo detto, attività, spiritualità, eterna creazione di vita, e che per questo non può essere costretta in schemi fissi e astratti. Dal punto di vista dello storicismo integrale che accettiamo, non si deve rigettare solo lo storicismo sociologico di Freyer, ma anche altre concezioni della sociologia che pretendono di essere storiciste ma che, in realtà, non lo sono: la concezione che identifica la sociologia con la filosofia della storia, e la concezione che la identifica con la storia di tendenza o di partito. L’idea di identificare la sociologia con la filosofia della storia trova la sua spiegazione e il suo fondamento in molti sistemi sociologici che hanno cercato di determinare il senso e il fine dell’evoluzione dell’umanità. Ma questa idea, sostenuta da Barth nel suo famoso libro, Philosophie der Geschichte als Soziologie, dev’essere rifiutata in quanto contraria a ogni storicismo bene inteso. La sociologia come filosofia della storia parte infatti da una concezione metafisica e, in base a questa, pretende di rinchiudere in schemi fissi e di orientare verso fini prestabiliti l’intero sviluppo storico dell’umanità. Ciò è evidentemente contrario ai principi fondamentali dello storicismo che abbiamo accettato. Per questo non è ammissibile una sociologia metafisica trascendente al di fuori della storia. E la storia, libera nel suo sviluppo vitale, non può essere vincolata in schemi certi né essere indirizzata verso fini predeterminati. Facendo ciò, osserva Croce, la filosofia della storia incorre necessariamente nell’errore del filosofismo o panlogismo, che consiste nel voler dedurre a priori i concetti empirici, nel modo opposto rispetto a come il positivismo pretendeva di cercare a posteriori le categorie filosofiche. In un errore abbastanza simile a questo incorrono, inoltre, come già detto, altre concezioni della sociologia che si avvicinano a quella che Croce R. Treves, Sociologia e storia 227 indica come «storia di tendenza o di partito». Si tratta di quelle costruzioni e ricerche sociologiche che non si realizzano con lo scopo di conoscere la realtà sociale presente per poi agire in essa, ma con l’intento opposto di dimostrare e documentare sociologicamente e storicamente programmi di azione pratica accettati in anticipo. La sociologia di partito, evidentemente, non si fonda, come la filosofia della storia, su concezioni metafisiche, ma solo su un insieme di sentimenti, passioni e interessi, e però, nello stesso modo di quella, si oppone a ogni concezione autenticamente storica. Come la filosofia della storia, la storia di tendenza contrasta con i principi propri dello storicismo, perché non si rende conto che lo sviluppo storico è libero e, pertanto, indeterminabile e imprevedibile; inoltre, non considera le ricerche storiche e sociologiche come un mezzo per risolvere i problemi della società presente, ma come un mezzo per spiegare e giustificare soluzioni accettate in anticipo: nel primo caso, con l’adesione a un sistema metafisico; nel secondo, con la partecipazione sentimentale e impulsiva a partiti e tendenze politiche. Questa differenza, che distingue la sociologia bene intesa dalle così dette sociologie di tendenza o di partito, spiega anche la profonda differenza che passa tra il sociologo e l’uomo politico, tra lo scienziato e il pratico della vita sociale. Il sociologo, forse più profondamente del politico, sente i problemi pratici della società in cui vive ma, per raggiungere le soluzioni corrispondenti, cerca nell’indagine scientifica le conoscenze necessarie. Per questo bisogno di anteporre la conoscenza all’azione, egli si ritrova, quasi sempre, in uno stato di incertezza che lo fa apparire come un uomo inadatto alla vita pratica. Il politico, invece, nell’atto sentimentale o impulsivo di aderire al programma del suo partito, crede di aver già risolto tutti i problemi teorici della società presente e, preoccupandosi esclusivamente dell’azione, appare come l’uomo pratico per eccellenza. Tanto è così, che egli considera quasi sempre con una certa superiorità e ironia i sociologi e, in generale, tutti i cultori delle scienze sociali che vivono tra le nuvole, che parlano un linguaggio difficile e noioso, e che mai sarebbero capaci di lottare e governare gli uomini come fa lui. Questa mancanza di senso pratico dei sociologi rispetto agli uomini politici è però solo apparente. L’azione pratica è un atto di creazione che vale solo quando viene preparato da un precedente atto di conoscenza, e deve svilupparsi e rinnovarsi continuamente secondo lo sviluppo della conoscenza stessa. Per questo, non bisogna sorprendersi se il politico, che crede di conoscere la società perché sa governare gli uomini, molte volte deve constatare che la sua abilità e i suoi sforzi non servono a niente e in questo caso, a volte, si rivolge con modestia e rispetto agli uomini di scienza per 228 Appendice II domandare loro le ragioni del suo insuccesso. In tali circostanze si dimostra con grande chiarezza l’importanza pratica della sociologia e delle scienze storiche in generale. Non vorrei che questa differenza tra il sociologo e il politico, che ho appena prospettato, possa essere mal interpretata, e possa far supporre che io neghi la possibilità al sociologo di essere politico e al politico di essere sociologo. Niente di più lontano dal mio pensiero! Quello che ho detto indica la differenza che passa, in astratto, tra l’inclinazione teorica del sociologo e la propensione pratica del politico, ma ciò non impedisce che, in concreto, queste due attività possano incontrarsi armonizzate nella stessa persona. Quest’armonia sarebbe molto vantaggiosa per la sociologia e per la politica. Anche nel campo del diritto, il lavoro pratico dell’avvocato, volto a dimostrare una tesi accettata in anticipo, è opposto a quello del giurista, impegnato a cercare la verità e la giustizia al termine di un lungo lavoro di ricerca. Ma questa opposizione in astratto non esclude che in concreto le due tipologie di lavoro si incontrino armonizzate nella stessa persona, ed esistono molti bravi giuristi che sono anche bravi avvocati e viceversa. Dopo aver spiegato la differenza che intercorre tra la mentalità del teorico e quella del pratico dei problemi sociali, e aver mostrato il carattere anti-storico che hanno la filosofia della storia e la sociologia di partito, spero risulti più chiara questa riduzione della sociologia alla storia che ho cercato di compiere sulla base della filosofia di Croce. L’oggetto della sociologia è essenzialmente teoretico. Come ogni scienza, la sociologia vuole conoscere; vuole conoscere la realtà sociale in cui viviamo, le sue tendenze spirituali, le sue esigenze materiali, i suoi orientamenti culturali. Ma, come già detto, questa conoscenza è sempre ispirata da un bisogno pratico, non è mai esclusivamente fine a se stessa, ma piuttosto mezzo che prepara l’azione. Per concludere con una comparazione proposta dallo stesso Croce, il quale ci ha guidato in tutte queste considerazioni, potremmo dire che i sociologi somigliano, da un certo punto di vista, agli umanisti. Gli umanisti andavano scoprendo le opere letterarie, artistiche, filosofiche dell’età classica, non solo allo scopo immediato di conoscerle, ma con il desiderio di ritrovare in esse un modello che potesse essere imitato e superato nel presente. Allo stesso modo, nel campo pratico dell’azione, i sociologi studiano i fenomeni delle società passate, non solo al fine teorico di conoscere la società presente nella sua genesi e nel suo sviluppo, ma anche al fine pratico di agire in essa e di preparare, in questo modo, un futuro migliore.