La seconda tappa dell`integrale delle Cantate italiane del giovane

Periodico
della Società
del Quartetto
Dicembre 2007
Febbraio 2008
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MARTEDI 4 DICEMBRE, ORE 20.30
CONSERVATORIO DI MILANO
La seconda tappa
dell’integrale delle Cantate
italiane del giovane Händel
Gemma Bertagnolli e Antonio
Ballista: la gioia d’inventare
Non era un bamboccione, il giovane Händel.
Anche se amò da subito fatalmente l’Italia.
Che però nel Settecento era il Paese simbolo
della modernità della cultura. Bamboccione
no, perché a 12 anni sgambettava dietro al
suo maestro di Halle, Friedrich Zachow, a
Berlino per assaggiare un po’ di aria meno
provinciale. Fu una gita, sconsigliata dal padre, l’anziano Georg Händel, 63 anni più del
figlio, sognato avvocato. Il ragazzo non disubbidì, ma imparò presto quattro lingue - l’i-
taliano subito, ovviamente - e quattro strumenti, violino, oboe, clavicembalo e organo. A
Halle era già diventato famoso per le improvvisazioni in Cattedrale, quando nel 1703, diciottenne, volò ad Amburgo, mantenendosi
suonando il violino al Teatro del Gänsemarkt.
Brillante, estroverso, arrivò a un duello con il
coetaneo Johann Mattheson, in posizione
preminente in orchestra. Sedeva al cembalo e
una volta, per sfida, Händel gli rubò il posto.
Probabilmente sfoggiò subito bravura, se poi
i due arrivarono alle mani. Mattheson sarà
poi il primo biografo di Händel, nella prima
biografia a stampa di un musicista.
A 21 anni l’Italia: Firenze, Roma, Venezia,
Napoli, le quattro classiche città del viaggio
diventano prestigiose occasioni di affermazione. Per gli italiani è subito il “caro Sassone” oppure “monsu Endel”. Nella cattolicissima Roma dicono che suoni così bene all’organo perché dominato dal diavolo, essendo
protestante. Oppure no, forse perchè al clavicembalo tiene il cappello sotto il braccio.
Händel sente le voci, lo lascia cadere (temeva
un furto?) e suona ancora meglio.
Aneddoti, ma testimoniano il clima di magia
intorno al giovane. La storia lo dice subito
amico di Corelli e Scarlatti jr., a Roma. Protetto dai potenti Pamphili, Ottoboni, Ruspoli
MARTEDI 11 DICEMBRE, ORE 20.30
CONSERVATORIO DI MILANO
e Colonna. Tra gelati e bevande delicate, nel
teatro di Palazzo della Cancelleria, presenta
le sue Cantate per il cardinale Pietro Ottoboni, che talora firma i libretti. I testi sono zuccherosi di Arcadia, mentre narrano di Ero
suicida per Leandro, dopo un ultimo bacio
sulle labbra gelide di morte, o di Clori pastorella che saltella tra gli amanti. Ma Händel
non si balocca: con la linea del canto, l’intreccio dei pochi strumenti, disegna a rilievo lacrime vere, e passione. Tutte da riscoprire in
questa seconda tappa dell’integrale proposta
da Fabio Bonizzoni, con Roberta Invernizzi e
l’ensemble La Risonanza.
Carla Moreni
La Risonanza
Fabio Bonizzoni direttore
Roberta Invernizzi soprano
Händel - Esecuzione integrale delle cantate
italiane con strumenti
II - LE CANTATE PER IL CARDINALE OTTOBONI
(1707)
– Qual ti riveggio, oh Dio (Ero e Leandro) Hwv 150
– Clori, mia Clori bella Hwv 92
– Ah, crudel nel pianto mio Hwv 78
In collaborazione con Fondazione Arcadia
Le Settimane Bach sono sostenute dal Comune di Milano
Biglietti € 25 -18
Il concerto di questa sera è l’incontro con
due persone libere. Lui è uno dei padri della
generazione di interpreti che ha creduto nella musica del Novecento quando era musica
contemporanea; ma si è avventurato nelle
partiture più astruse senza condannare né
trascurare quelle più divertenti; ha tocco nitido alla moderna, fraseggio che afferra
sempre e trasmette una logica intelligente.
Da vedere è un po’ intellettuale curioso e un
altro po’ Buster Keaton. Lei è una voce melodiosa italianissima, calda e suadente anche
quando s’arrampica su nelle pazzesche agilità delle fioriture barocche, figuratevi nelle
dolcezze affettuose e nelle consolanti malinconie; bolzanina qual è, ha però lingua e arte
tedesca nelle memorie d’una vita e nel baule
della cultura, e il suo Mozart parla ecumenico alla maniera del Mozart della storia. La
sua immagine femminile è tra le poche che
riuniscano invogliante conforto e attrazione
sottile; la direi destinata alla fermezza e alla
soavità, se non l’avessi vista travestita da
guerriero atzeco, nel Montezuma di Vivaldi,
piumata e tinta di segnacci rossi, insieme
vulnerabile e feroce.
Il concerto di questa sera è l’incontro con
due persone che inventano. Possono esser
dunque presentati soltanto per indizi. Che
cosa sarà il loro Mozart? Non, probabilmente, quello ufficiale da concerto, alla maniera
severa con pizzichi di sussiego degli specialisti ufficiali, inclini a sottolineare la classicità
disciplinata dello stile. Forse un’offerta di
canzoni a tu per tu, di fantasie d’un adolescente senza età, confessioni a noi raccolti
attorno al pianoforte, favole lette accanto al
nostro letto d’infanzia, premonizioni d’un
uomo che conforta di un dolore che oscuramente condivide. Con la limpidezza d’una linea che esclude già come linguaggio ogni effetto retorico e ogni compiacimento sentimentale, ma senza dimenticare che la cosa
che più ricordava Mozart di Dio era la tenerezza.
E di Rossini? Quale sarà la strada per raggiungere l’ironia parodistica in cui il grande
ex-operista risolveva o camuffava le sue nevrosi di uomo che si sentiva anziano in un
mondo non più riconoscibile? Per Antonio
Ballista sarà un divertimento lucido farci intuire le invenzioni dichiaratamente tardive e
distratte, come peccati di vecchiaia, che
sembrano involontariamente preludere a
quel romanticismo che l’autore avversava,
se non all’icasticità novecentesca in cui non
si sarebbe riconosciuto mai? E che misura
prenderà per raccontarci la pericolosa avventura d’un viaggio in treno, con didascalie
to da una fanfara di trombe e timpani, cantato dapprima all’unisono e poi scomposto e ricomposto in una fuga, mentre le voci si inseguono e si ritrovano in una prodigiosa tensione verso l’infinito, l’eternità, esprimendo l’idea di una possibile unità tra l’uomo e la sua
idea di divinità.
Un’opera vastissima nella sua scansione in
tre parti, ma contenuta nell’organico strumentale: due oboi, due fagotti, due trombe, i
timpani, il basso continuo, pochi archi. Mezzi
ordinari possono raggiungere obiettivi
straordinari. L’emozione e il rigore, il rispetto delle convenzioni e l’identità del genio
creatore, che fa la differenza.
Sandro Cappelletto
Academy of Ancient Music
Richard Egarr direttore
Susan Gritton, Wilke te Brummelstroete,
Andrew Tortise, Christopher Purves solisti
Händel – The Messiah Hwv 56
e immagini sonore come nella comicità secca
di un film muto? Gemma dovrà invece condurci nel mediometraggio d’una regata veneziana vista e vissuta nell’ingenuo animo
della ragazza Anzoleta: ma con che occhi vista? e da lontano o da vicino? E avrà l’occasione per mostrarci la sua patente di studiosa accanita e di interprete senza mezze misure o compromessi sciorinando qualcuna
delle liriche che Rossini componeva sullo
stesso testo Mi lagnerò tacendo: per alcuni
quasi cinico manifesto della sua indifferenza
alla forza determinante della parola, per altri invece ventaglio aperto di scelte possibili
da cogliere dentro la parola ed i suoi paradossi.
Lorenzo Arruga
Gemma Bertagnolli soprano
Antonio Ballista pianoforte
Mozart – Arie e Lieder per soprano e pianoforte
– Rondò in re maggiore K 485 per pianoforte
Rossini – Brani da “Péchés de Vieillesse”
Si ringrazia UBI - Banca Regionale Europea
Biglietti € 20 -15
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MARTEDI 18 DICEMBRE, ORE 19.30
BASILICA DI SAN MARCO
Il Messia di Händel:
l’emozione e il rigore della
tradizione esecutiva originale
Un Cristo trionfante, maestoso, che sbaraglia i suoi nemici. Non sta in scena, non canta
in prima persona, ma tutte le voci non parlano che di lui, a lui alludono, a lui si riferiscono:
la sua attesa, la venuta, la passione, la resurrezione, la testimonianza che ha lasciato tra
gli uomini. Un protagonista lontano dalla figura sofferente, riflessiva, dolente e sola che
prevale nelle Passioni di area germanica.
Un oratorio, che però, a differenza di tanti
altri titoli sacri di Händel, non prevede personaggi individuali. Così vuole il testo inglese di Charles Jennens, autore di un libretto
montato con grande abilità nel gioco dei contrasti drammatici e con disinvolta libertà di
scelta delle fonti, prendendo spunto dall’Antico e dal Nuovo testamento: dai Libri dei
profeti al Vangelo, alle lettere di San Paolo.
Oggi lo chiameremmo un accurato lavoro di
drammaturgia.
Il Messiah è però debitore delle più collaudate formule del teatro musicale del tempo:
recitativo, aria, qualche più raro duetto, proprio come il celebre operista, fino a pochi anni prima, aveva scritto con grandissima dovizia e con acclamato successo. Ma il gusto del
pubblico britannico era mutato: ora, si pretendevano vicende più edificanti, lontane dagli irrealistici eccessi dell’opera italiana. Restava comunque difficile distinguere tra musica sacra e profana e sembra che, allora,
nessuno si ponesse il problema.
Un’opera nata in fretta, a Dublino, per celebrare la Pasqua imminente: era il 13 aprile
1742, Georg Friedrich Händel aveva 57 anni,
era considerato, lui tedesco, il massimo compositore inglese del tempo. Era periodo pasquale anche il 23 marzo 1743, quando il lavoro conobbe la sua prima esecuzione inglese.
E invece, ormai da tempo, questo Messiah si
associa all’idea del Natale, della nascita del
Cristo più che del mistero della sua morte e
resurrezione.
Una modalità di fruizione legittimata dal momento più esaltante: il coro che conclude la
seconda delle tre parti, l’Hallelujah sostenu-
Le Settimane Bach sono sostenute dal Comune di Milano
Biglietti € 35-25
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MARTEDI 22 GENNAIO 2008, ORE 20.30
CONSERVATORIO DI MILANO
Capuçon – Angelich: il dialogo
serrato e appassionato
tra violino e pianoforte
I due giovani protagonisti, il violinista francese Renaud Capuçon e il pianista statunitense Nicolas Angelich (classe 1976 e 1970,
rispettivamente), hanno approfondito la
propria educazione musicale come solisti
prima di dedicarsi alla musica da camera.
L’esperienza è maturata per entrambi soprattutto negli ultimi anni, con collaborazioni insigni e un approccio al repertorio sempre più consapevole nonostante l’età. Da
qualche stagione sono tra i musicisti assidui
alla “corte” di Martha Argerich alla quale
debbono naturalezza e versatilità nel ripensare la grande letteratura per pochi strumenti e la scoperta di lavori desueti.
Il programma che presentano alla Società
del Quartetto è, per così dire, più tradizionale: sia per l’impaginazione che accosta tre
grandi classici del sonatismo, sia per il pensiero compositivo dei lavori che rappresenta
in modo compiuto un camerismo di forte impronta solistica. Considerate presenze im-
mancabili nel repertorio, le tre sonate confermano come nella musica da camera la letteratura dedicata alla formazione strumentale violino e pianoforte annovera capolavori
assoluti, capaci di imporsi nella mente e nell’animo e di rimanere legati al filo sottile della memoria di ciascuno. Non si tratta semplicemente di pagine che possono piacere, o
attraverso lo scambio di materiale musicale,
le riprese, il dialogo, ora disteso, ora serrato, intrecciando un arabesco suggestivo di
note, carico di pathos e di espressione romanticamente vibranti.
Anelide Nascimbene
Manuel de Falla y Matheu – l’uso del doppio
cognome, in Spagna, costituiva una forma di
rispetto verso la famiglia materna – nacque
a Cadice, in Andalusia, nel 1876, sette anni
dopo l’inaugurazione del Canale di Suez.
Cadice è una città di mare, posta al di là
dello Stretto di Gibilterra e rivolta verso
l’Atlantico. Il suo porto ha rappresentato,
fino all’apertura di Suez, il principale punto
di riferimento per le rotte coloniali verso le
Americhe e verso l’Oriente. Anche la vita
culturale della città aveva un sapore cosmopolita, ben distinto dal resto dell’Andalusia.
La musica, il teatro e la letteratura delle
grandi nazioni europee erano meglio conosciute lì che altrove, nel sud della Spagna.
reinventò la musica gitana e l’antica musica
spagnola del Siglo de Oro, non secondo un
canone di verità scientifica, che non lo
riguardava, bensì come espressione del sentimento di una ricca realtà umana e culturale sommersa. Il mondo andaluso, che Falla
aveva rappresentato in maniera ancora convenzionale nella sua prima opera La vida
breve, si presentò ai suoi occhi in forma
nuova, al ritorno in patria dopo il lungo soggiorno a Parigi. L’incontro con la grande
danzatrice di flamenco Pastora Imperio, nel
1915, fece conoscere a Falla una tradizione
profondamente radicata nello spirito della
terra in cui era nato e di cui non sapeva in
realtà quasi nulla. L’amor brujo, che non ha
niente a che spartire con uno spettacolo di
folklore, rappresenta la reazione di un musicista sensibile al contatto con una forma
d’arte originale e di grande forza espressiva.
Qualcosa di simile avvenne alcuni anni più
tardi, all’inizio degli anni Venti, quando la
principessa di Polignac, ricchissima patronesse delle arti, chiese a Falla di scrivere uno
spettacolo di burattini da rappresentare nel
suo teatrino privato di Parigi. Questa volta la
fantasia di Falla fu colpita dal ricordo di una
delle scene più suggestive del Don Chisciotte,
la recita nell’osteria dei burattini del maestro
Pedro. Il mondo di Cervantes prendeva
forma nell’immaginazione di Falla man mano
che procedeva nella stesura del libretto e
nella ricerca delle fonti musicali dell’epoca. El
retablo de Maese Pedro scaturisce da una
dimensione visionaria, non storicistica, del
passato. Il testo di Cervantes si ripercuote in
maniera profonda sulla sensibilità del musicista, che offriva un’immagine del Seicento spa-
Quando la famiglia si trasferì a Madrid,
verso la fine dell’Ottocento, il giovane Falla
aveva già la grande aspirazione di recarsi a
studiare a Parigi, ma dovette aspettare
ancora una decina d’anni prima di riuscire a
realizzare il suo sogno. La civiltà musicale
della Spagna era un concetto ancora a lui del
tutto sconosciuto, se non nelle forme più volgari del teatro di zarzuela. Questo periodo
d’attesa, però, si rivelò decisivo per Falla,
che entrò in contatto con la figura chiave del
modernismo musicale spagnolo, Felipe
Pedrell. Grazie all’opera dello studioso catalano, la generazione di Falla prese coscienza
della ricchezza e della varietà del patrimonio musicale della penisola iberica, iniziando
un processo di rinnovamento profondo di
tutte le forme della vita musicale spagnola.
Falla, come più tardi l’amico Garcia Lorca,
gnolo conforme alla profondità quasi religiosa
della sua lettura del romanzo.
Questo aspetto immaginifico della musica di
Falla risulta evidente nella nuova escursione
novecentesca di Nuovo Contrappunto, un
ensemble nato oltre dieci anni fa nella fucina
della Scuola di Musica di Fiesole e animato
da un musicista colto ed esperto come Mario
Ancillotti. L’ensemble presenta infatti, anche
in virtù di una voce espressiva come quella di
Charo Martín, la prima, pressoché sconosciuta versione dell’Amor brujo, la più imbevuta dell’influsso diretto della musica gitana.
Ma lo stesso si potrebbe dire anche per il
Retablo, spettacolo immaginario già nel
testo di Cervantes, in questo caso interpretato non da burattini, ma da cantanti in
carne e ossa nonché di schietta vocazione
teatrale, come Roberto Abbondanza,
Renaud Capuçon violino
Nicholas Angelich pianoforte
Schumann – Sonata n. 1 in la minore op. 105
Brahms – Sonata n. 3 in re minore op. 108
Franck – Sonata in la maggiore
Biglietti € 20 -15
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MARTEDI 29 GENNAIO, ORE 20.30
CONSERVATORIO DI MILANO
De Falla: l’immaginifica
rilettura della musica antica
spagnola
verso le quali si ha una predilezione, una
simpatia o un interesse particolari. È qualcosa di molto di più: sono composizioni che
catturano e regalano ad ogni ascolto emozioni nuove. Il violino e il pianoforte possono
raggiungere una straordinaria pienezza sonora ed elaborare un discorso musicale talmente fitto e articolato da far pensare a
un’intera orchestra.
Schumann, Brahms e Franck dedicarono alla letteratura per violino e pianoforte solo
pochi lavori, scritti negli ultimi anni di attività. Ai grandi modelli di Mozart e Beethoven,
guardati soprattutto come specchio di idealità formale, i compositori, pur in maniera
diversa, legano la propria maturità creativa
e poetica. Tanto i quattro movimenti delle
sonate di Brahms e di Franck, quanto i tre
della Sonata in la minore op.105 di Schumann, racchiudono uno slancio appassionato
che si impone come una sorta di comune denominatore artistico di icastica evidenza.
Nati nell’arco di meno di quarant’anni (tra il
1851 e il 1888), i lavori implicano un impegno
paritario per gli interpreti. Il violino, strumento cantabile per eccellenza, non ha parti
esclusivamente di tipo melodico, ma si avventura in una performance quanto mai
eclettica: impegnativa per i passaggi di tipo
virtuosistico, la natura del fraseggio e la
qualità del suono richiesti. Il pianoforte, da
parte sua, non si limita ad accompagnare e
non ha un ruolo di semplice sostegno. Le
due parti si compenetrano vicendevolmente:
Pierluigi Paolucci e Alma Fournier Caballo,
che impersona il bambino. La finezza di
Ancillotti consiste nell’aver posto in apertura di un concerto quasi monografico, a mo’ di
dedica ideale, l’image più sensuale della
musica francese, l’Après-midi d’un faune di
Debussy, in una rara trascrizione viennese
d’epoca, a indicare quali imprevedibili fonti
hanno alimentato il mondo severo e scabro
del grande compositore spagnolo.
Oreste Bossini
Quando scrissero il nome di Alban Berg sul
Quartetto d’archi che stavano per fondare, a
pochi altri gruppi da camera.
Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert, Schumann, Brahms, Dvořák garantiscono vita
eterna e programmi adeguati a qualunque
tournée, ma l’Alban Berg Quartett non ha
mai sentito appagata la sua vocazione alla
completezza senza contemplare non solo
Berg, Webern, Bartók, Debussy, Ravel,
Stravinskij, ma anche Janačék, Lutoslawski,
Schnittke, Berio, Rihm e ogni contemporaneo di rispetto come punto di approdo e di
equilibrio naturale dei classici.
La proprietà e il senso dello stile sono conseguenza naturale dell’avere aperti davanti
agli occhi tutti i quadranti della mappa, senza angoli morti; la capacità di lettura è resa
più elastica e pronta dalle pretese analitiche
delle correnti del secondo dopoguerra, che
con piacere si sono anche dedicate alla vivisezione; lo spessore del suono e il piacere del
colore sono anche più grandi al ritorno da un
esercizio fisico e spirituale nel segno dell’economia o della sfida alla dissoluzione del linguaggio. Di questi principi della vita e della
musica, l’Alban Berg Quartett è sempre stato l’incarnazione.
Trentasei anni di lavoro, trenta premi raccolti in carriera, quasi uno ogni anno. I numeri
sono aridi ma espliciti: il Quartetto Alban
Berg è stato per almeno due generazioni di
interpreti e di ascoltatori uno dei riferimenti
del mondo musicale del dopoguerra. Nel
tempo, ha avuto il premio della continuità,
ma anche il dolore di alcune perdite umane
che sono importanti nella vita di un gruppo
ristretto: la morte di Klaus Maetzl ha lasciato nel 1977 il secondo leggio di violino a Gerhard Schulz, che ancor oggi è membro del
Vienna, nel 1971, Günther Pichler, Klaus
Maetzl, Hatto Beyerle e Valentin Erben firmarono un programma. Berg, l’anello morbido della seconda triade viennese - in odore di
zolfo ancor oggi, settant’anni dopo il suo passaggio nella storia della musica - rappresentava e continua a rappresentare distintamente il giunto elastico fra le lezioni in apparenza
antitetiche della Ricerca e della Tradizione.
L’Alban Berg Quartett iniziò subito, dal concerto di debutto alla Wiener Konzerthaus, a
tenere ferma con rigore la sua idea di sintesi
fra modernità e repertorio. Un quartetto
d’archi può permettersi anche di ignorare
quel che il secondo Novecento ha prodotto.
L’Alban Berg, figlio della tradizionalissima
Vienna, non l’ha mai fatto: tenendo il suo
eponimo come cerniera, si è sempre aperto
alla modernità e alla contemporaneità come
gruppo; Hatto Beyerle, scomparso nel 1981,
ha passato la viola a Thomas Kakuska, la cui
morte recente (2005) ha indotto la quarta sostituzione (con Isabel Charisius) e forse la
definitiva, consapevole decisione finale.
Quest’anno il pubblico del Quartetto ascolterà Pichler e i suoi compagni per l’ultima volta. Con la tournée del 2007/2008 – ultima data in luglio, al Colón di Buenos Aires – l’Alban Berg lascia le scene.
Non è il primo addio a una leggenda del camerismo che chi ha qualche anno di vita ed
esperienza di musica si trova a salutare: è
accaduto per il Quartetto Italiano e per il
Lasalle, in tempi e circostanze diversi. La
musica non muore per questo. La tentazione
di vedere in queste pur normali stazioni della vita una corsa inarrestabile verso la decadenza, è infantile. Ma chi ha visto nascere
Ensemble Nuovo Contrappunto
Mario Ancillotti direttore
Charo Martin, Alma Fournier-Carballo,
Pierluigi Paulucci, Roberto Abbondanza solisti
Debussy – Prélude à l’après-midi d’un faune
(trascrizione per 10 strumenti sotto gli auspici di Arnold
Schönberg)
De Falla – “El Amor Brujo”, “Gitaneria” in un atto (versione
del 1915) per cantaora di flamenco e 15 strumenti
– “El Retablo de Maese Pedro”, Opera in un atto su
libretto di Manuel de Falla da un episodio del
Don Chisciotte di Miguel de Cervantes
Progetto realizzato dagli allievi del Laboratorio Teatro di
Figura dell’Accademia di Brera di Milano con la direzione
e regia di Gabriele Giromella.
Biglietti € 20-15
12
MARTEDI 5 FEBBRAIO, ORE 20.30
CONSERVATORIO DI MILANO
L’Alban Berg lascia le scene:
ascoltiamo per l’ultima volta
uno dei riferimenti musicali
del dopoguerra
l’Alban Berg Quartett, e delle sue interpretazioni ha nutrito la sua esperienza e la sua
memoria, di qualche ansia deve essere perdonato: che alla chiusura di questa lunga pagina dell’interpretazione possa non seguire
l’apertura di un’altra. O, almeno, non di una
che le sia pari.
Carlo Maria Cella
Quartetto Alban Berg
Haydn – Quartetto in sol maggiore op. 77 n. 1 Hob.III.81
Berg – Quartetto op. 3
Beethoven – Quartetto n. 15 in la minore op. 132
Biglietti € 25-18
13
MARTEDI 19 FEBBRAIO, ORE 20.30
CONSERVATORIO DI MILANO
Richard Goode: la naturalezza
dell’eloquio frutto
di una inesausta tensione
«Il pianoforte non è una macchina da scrivere. I tasti non danno mai lo stesso suono,
perché non ci sono mai due note uguali. Il
compositore indica la durata, mette dei segni: una forcella, un pianissimo, un arpeggio… ma qual è la loro intensità? Dove cade
l’accento, quale dev’essere il suono forte e
quale quello debole? Questo lo decide chi
suona, questa è libertà». Una convinzione ribadita da Miecio Horszowski in uno dei suoi
tanti incontri con giovani pianisti che avrebbe potuto far tranquillamente sua anche Richard Goode, che del grande pianista polacco è stato uno degli allievi più fedeli. La sua
formazione, infatti, dopo i primi studi nella
natale New York con Nadia Reisenberg (discendente attraverso il suo maestro, Safonov, dalla linea Leszetycki) si consoliderà al
Curtis Institute dei Filadelfia, con Serkin e,
appunto, con Horszowski. Si può immaginare come l’apporto discendente da due fonti
così autorevoli, diverse e pur convergenti
nel modo di vivere la musica, si sia ramificato nell’esperienza di Goode. Non deve ingannare quel suo modo di offrirsi, quella sua
aria tranquilla, quel tratto bonario: anche il
caro, vecchio Miecio pareva un amabile compagno di conversazione, in realtà la sua intransigenza era tutta sotterranea, incarnata
nella musica. E proprio di tale inesausta
tensione volta a ridare una vita sempre nuova alla pagina scritta anche Goode è uno dei
testimoni oggi più seducenti, forse sempre
più rari in un universo complesso quale
quello interpretativo dove l’efficientismo
tecnico si intreccia con l’ossessione stilistica,
così che da tale prospettiva non poco allarmata, sempre più marginale appare la naturalezza dell’eloquio. Quello, appunto, che
Goode ha sempre inteso liberare nella sua
ormai lunga avventura d’interprete: il Mozart parlante dei Concerti, il Beethoven mai
estremizzato, soprattutto lo Schubert arioso, vissuto come un incantato narratore, con
tutte le sue divagazioni eppur mai anemicamente grazioso; senza ignorare la modernità, anche in questo fedele alla mai soddisfatta curiosità intellettuale di Horszowski che
si spingeva a confrontarsi con certe zone
avanzate della contemporaneità. E naturalmente Bach, sempre esplorato con lo spirito
di rinnovarne l’ampiezza dei contenuti emotivi, come riteneva lo eseguisse Beethoven,
«alla maniera del suo tempo, senza porsi
questioni di fedeltà stilistica – sottolineava
Goode in una recente intervista – ritrovato
quindi, libero da ansie stilistiche, sul pianoforte sul quale il pensiero di Bach viene fuori
più e meglio che con altri strumenti». Da
Bach a Chopin, si sa bene pur con tutte le interferenze delle coordinate storiche, il passo
è breve: quello Chopin che Liszt aveva indicato come l’élève enthousiaste de Bach e che
dalla unicità della sua madreperla sonora lascia trasparire in filigrana la lezione dell’amatissimo e frequentatissimo Clavicembalo
ben temperato. Una linea che guida la conversazione musicale di Goode, come guidava
l’ineffabile Chopin di Miecio, con quel respiro interno, quelle stupefazioni accese dalle
quasi impalpabili inflessioni di una pronuncia, nativa per lui, che questa segretezza ha
saputo trasmettere agli allievi più sensibili:
Goode, appunto.
Gian Paolo Minardi
Richard Goode pianoforte
OMAGGIO A CHOPIN
Bach – Preludio e Fuga in sol minore Bwv 885
– Preludio e Fuga in si maggiore Bwv 892
Chopin – Mazurche op. 24 n. 2, op. 50 n. 1,
op. 59 n. 1, op. 33 n. 4
– Improvviso in fa diesis minore op. 36
Mozart – Rondò in la minore K 511
Chopin – Scherzo n. 4 in mi maggiore op. 54
Debussy – “Pour les arpèges composés” da Studi,
Libro II n. 11
– “Pour les octaves” da Studi, Libro I n. 5
Chopin – Notturno in do minore op. 48 n. 1
– Notturno in si bemolle maggiore op. 62 n. 1
– Polonaise in fa diesis minore op. 44
Biglietti € 25 -18
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MARTEDI 26 FEBBRAIO, ORE 20.30
CONSERVATORIO DI MILANO
prendere in considerazione. Anche perché capitano ancora, felicemente, momenti di segno
opposto e i cattivi pensieri, almeno per una serata, sembrano svanire; come nel concerto
inaugurale del Quartetto lo scorso ottobre,
con il Bach di Ton Koopman e la sala Verdi del
Conservatorio stracolma di ascoltatori di ogni
età. Quando poi i giovani sono sul palco e sono
loro a proporci la musica, allora la felicità si
centuplica perché vuol dire che la staffetta ha
attraversato le generazioni ed è arrivata fino
a loro, e da loro a noi. Come lo Stradivari
“Barriere”, creato quasi trecento anni fa dal
genio di Cremona, che suonerà ancora una
volta nelle mani della giovanissima olandese
Janine Jansen per proporci in apertura la
Partita in re minore di Bach. Accanto a lei altri due musicisti tra i migliori della nuova generazione: il violista ucraino Maxim Rysanov
e il violoncellista svedese Torleif Thedéen.
Con loro tre – ospiti tutti per la prima volta
del Quartetto - ancora Bach, il Bach a un tempo algebrico ed emozionante delle Invenzioni
a due voci e delle Sinfonie a tre (“Por el álgebra, palacio de precisos cristales”, cantava
Borges), di cui il Trio ha appena pubblicato un
cd per la Decca (Bach Inventions & Partitas)
che ripercorre in parte il programma della serata: suoni sempre tersi, chiaro il pensiero
musicale, geometrie in cui è un piacere perdersi. E poi uno Schnittke incastonato tra un
Bach e l’altro. E Schnittke è un autore che
nella sua onnivora curiosità per linguaggi e
stili musicali apparentemente lontani ha sempre tenuto la bussola orientata su Bach. «Oggi la personalità del compositore conta nuovamente» chiosava Schnittke negli anni Ottanta, reagendo alle secche di un certo oggettivismo ancora in auge. Alla distanza gli risponde
Thedéen che, interpellato su che cosa significhi per lui la parola “interpretazione” risponde: «Fare in modo che il testo ti parli in modo
oggettivo e poi farlo uscire dal tuo strumento
come la cosa più soggettiva che esista».
Nicola Pedone
Con il sostegno di
Con il patrocinio e sostegno di
Con il contributo di
Con il patrocino e il contributo di
Con la partecipazione di
Sponsor istituzionali
Janine Jansen violino
Max Rysanov viola
Torleif Thedéen violoncello
Bach – Partita n. 2 in re minore per violino solo Bwv 1004
Bach – Invenzioni a due voci per violino e viola
BWV 772 – 786
Schnittke – “String Trio” per violino, viola e violoncello
(1985)
Bach – Sinfonie per violino, viola e violoncello
Bwv 787 – 80
Sponsor Grandi Interpreti
Le Settimane Bach sono sostenute dal Comune di Milano
Biglietti € 25 -18
Sponsor Settimane Bach
Jansen-Rysanov-Thedéen:
tra i migliori non solo
della loro generazione
Si sentono sempre più spesso – e non solo in
Italia, per la verità - voci allarmate sull’avanzamento dell’età media del pubblico nelle
sale da concerto. In una recente intervista radiofonica, il settantaduenne direttore tedesco Gerd Albrecht, attivo
da anni anche nella pedagogia musicale, ha detto molto semplicemente
che se non ci mettiamo presto e sistematicamente a seminare con generosità fin dall’infanzia, entro trent’anni
potremo salutare la nostra bella civiltà musicale. Uno scenario apocalittico, che non vorremmo nemmeno
Biglietti
In vendita dai 6 giorni precedenti ogni concerto presso:
• Società del Quartetto, via Durini 24,
ore 13.30 - 17.30
• Call Center Charta, tel 899 666 805 (carta di credito
o bonifico)
• Siti internet: www.quartettomilano.it e
www.vivaticket.it (carta di credito o bancomat)
Riduzioni per gruppi e convenzioni speciali
Giovani (fino a 26 anni) € 5
Informazioni
Società del Quartetto di Milano
Via Durini 24 – 20122 Milano
tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281
www.quartettomilano.it – [email protected]
PAROLE IN NOTA
Parole in nota
Continua il viaggio non solo musicale
in compagnia di personaggi della cultura
A partire da gennaio prenderà avvio il secondo
ciclo di Parole in nota, la manifestazione
che passa in rassegna alcuni temi importanti della
musica classica oggi attraverso testimonianze
di personaggi di primo piano del mondo culturale.
Apre le danze Severino Salvemini, docente
di organizzazione aziendale alla Bocconi, che
il 23 gennaio parlerà dei Conti con la musica,
ovvero della sostenibilità della musica classica
nel panorama contemporaneo.
Dopo un mese, il 5 marzo, sarà il turno della
poetessa Patrizia Valduga, che partendo anche
da alcuni testi di Giovanni Raboni, si soffermerà
su Creazione artistica e creazione musicale.
Il tempo di lasciar passare la Pasqua,
e il 9 aprile sarà il turno di Lella Costa, attrice
tra le più sensibili della nostra scena teatrale,
per discorrere dello Spettacolo della musica.
Il 23 aprile, poco dopo il concerto di canti e danze
della tradizione yiddish della Klezmerata Fiorentina,
è di scena un altro mattatore dello spettacolo,
Moni Ovadia, per parlare di Musica ebraica.
Concluderà Lucio Dalla – la data è ancora
da stabilire – sulla Canzone e la tradizione
musicale italiana.
Ad accompagnare gli ospiti ci saranno ancora
il filosofo e nostro consigliere Carlo Sini e
l’ideatore della rassegna Andrea Kerbaker.
Si ringrazia Intesa Sanpaolo
Quartetto per
Giovane Europa in Musica
Prende il via a fine febbraio la quinta edizione del ciclo
“Giovane Europa in Musica” che la Società del Quartetto
organizza in collaborazione con l’Associazione Istituti di Cultura
Europei a Milano (AICEM) e il Teatro Dal Verme. La rassegna
presenta giovani interpreti che si sono distinti nei loro paesi
d’origine e ai quali diamo l’opportunità di farsi conoscere a Milano
per iniziare e continuare una carriera che auspichiamo folgorante.
Il ciclo continua a privilegiare un taglio “leggero” e a suo modo
innovativo dei programmi in cui gli artisti ospiti possano esprimere
un tocco nazionale specifico, spesso curioso, comunque
originale e con combinazioni strumentali generalmente precluse
alle grandi sale.
La sede dei concerti rimane invariata, il Teatro Dal Verme
(Via S. Giovanni sul Muro), così come l’orario “europeo” delle ore 20.
Anche questa edizione si avvale del sostegno di Banca
Intermobiliare e della Fondazione Giancarlo ed Etta Rusconi.
Paolo Arcà nuovo Direttore artistico
Il maestro Paolo Arcà è il nuovo Direttore artistico della nostra
Società. Il consiglio direttivo del Quartetto lo ha nominato dopo le
dimissioni di Enzo Beacco.
Romano di nascita, Paolo Arcà conosce a fondo la nostra città, la
sua vita musicale e culturale. Al Teatro alla Scala è stato Direttore
artistico dal 1997 al 2003. Di quegli anni ricordiamo – tra le altre le celebrazioni verdiane del 2001 e la stagione 1999-2000
dedicata al teatro d’opera del Novecento. Come responsabile
artistico del Teatro degli Arcimboldi, nella stagione 2005-2006 ha
realizzato una programmazione “trasversale” con diversi generi di
spettacolo musicale (jazz, rock, pop, musical e danza
contemporanea) che hanno richiamato un folto pubblico soprattutto
di giovani. A Milano, infine, è docente di composizione al
Conservatorio Giuseppe Verdi.
Parallelamente agli impegni per la nostra Società, Paolo Arcà
mantiene la Direzione artistica del Teatro del Maggio Musicale
Fiorentino, incarico che ha assunto nel 2006 dopo l’omologa
esperienza svolta al Teatro Carlo Felice di Genova nel triennio
2003-2006. La sua competenza lo ha però portato a svolgere
attività in tutti i settori della produzione e dell’organizzazione della
musica in Italia, non solo come Direttore artistico di fondazioni
liriche e società di concerti (prima di assumere l’incarico alla Scala
è stato anche Direttore artistico dell’Accademia Filarmonica
Romana), ma anche come compositore, didatta, divulgatore della
musica in campo pubblicistico, radiofonico e televisivo.
www.quartettomilano.it
Video, interviste, collegamenti:
il nostro sito si è rinnovato
Il nostro sito internet è da pochi giorni in rete totalmente rinnovato
e modernizzato, ha una cornice più leggera, più suoni, più
illustrazioni e immagini anche in movimento, più chiarezza e
soprattutto più interattività. Man mano si arricchirà di numerosi altri
contenuti informativi multimediali. Sono già presenti alcuni video
girati in occasione delle nostre manifestazioni e presto sarà attiva
una newsletter.
Il nuovo sito è uno strumento essenziale per un contatto continuo
e immediato con il Quartetto e consentirà anche di accedere a
un’ampia selezione di altri siti di interesse musicale. Il colloquio
diretto che auspichiamo si instauri tra il nostro pubblico e il
Quartetto passa anche attraverso l’utilizzo della posta elettronica.
La progressiva informatizzazione permette una grande celerità
nelle comunicazioni. Invitiamo dunque chi dispone di un indirizzo
e-mail, e non l’avesse ancora comunicato, a voler inviare un
messaggio di posta elettronica all’indirizzo [email protected]
oppure a iscriversi nell’apposita sezione del sito.
Assicuriamo che, nel rispetto della normativa sulla privacy,
l’indirizzo di posta elettronica non sarà comunicato a terzi e sarà
utilizzato solo per le nostre informazioni. Da gennaio 2008 le
comunicazioni ai Soci arriveranno via e-mail. Continueremo a
mandarle in forma cartacea solo a chi NON avesse segnalato il
proprio indirizzo di posta elettronica, o a chi avesse comunque
richiesto l’invio per posta ordinaria.
L’allestimento del nuovo sito si inserisce nel progetto di
miglioramento gestionale sostenuto da importanti contributi della
Fondazione Cariplo e della Fondazione Pro Musica Giancarlo ed
Etta Rusconi.
Periodico della Società del Quartetto
Registrazione al Tribunale di Milano n. 109 del 17-2-1999
Anno VIII - n. 26, dicembre 2007-febbraio 2008
Direttore responsabile: Nicoletta Geron
Redazione: Chiara Calini
Grafica: G&R Associati
Stampa: Grafica Aerre, Milano
Editore: Società del Quartetto
Direzione e redazione:
Via Durini 24 - 20122 Milano
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Fax 02.7601.4281
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