Mirella Arcamone A PROPOSITO DI... a cura della Presidenza Nazionale del MIEAC A proposito di... RIFORMA SCOLASTICA S crivere oggi di riforma della scuola è particolarmente urgente. La nostra rivista non vi si sofferma per la prima volta, eppure è necessario ritornare sulla questione, nel momento in cui la riforma prende corpo e si va parzialmente riempiendo di contenuti e, contestualmente, attuando. Non sembra superfluo riflettere su di un progetto che investe tutto il sistema scolastico nella sua globalità e pare ‘spaccare in due’ il Paese tra favorevoli e contrari. Una riflessione in questa sede non può essere che parziale e d’altronde una rivista che si occupa di educazione non può esimersi dal guardare alla scuola e alle profonde modificazioni che vi si vogliono immettere con sguardo attento e critico, con il taglio che prevalentemente le si addice – quello educativo, appunto. Per questo il riferimento a punti specifici della riforma in atto, che pure sarà costante, sarà articolato intorno ad alcune ‘questioni’. Lo sforzo di chi scrive è infatti quello di individuare alcuni nodi problematici di fondo ai quali far afferire aspetti più particolari. Le questioni, ovviamente, si implicano reciprocamente e, in alcuni punti, con difficoltà si possono affrontare separatamente, ciononostante la scelta torna utile per una riflessione più sistematica e lineare. 36 Questione democratica Essa si pone, anzitutto, sul piano delle modalità di elaborazione del progetto di riforma. Un progetto finalizzato a ripensare nella sua globalità la più significativa istituzione pubblica di formazione doveva coinvolgere, sotto diversi aspetti, il Paese nella fase preliminare. Pensare ad una scuola ‘nuova’ significa dare una valutazione sistematica, scientificamente attendibile e il più condivisa possibile del sistema vigente. Bisognava anzitutto tenere conto delle ricerche nazionali ed internazionali che, da più parti e secondo più parametri, hanno valutato i diversi segmenti del sistema-scuola evidenziandone limiti e ricchezze (tra tutte, sarebbe emersa l’eccellenza delle scuole materna ed elementare). Bisognava tenere conto di due decenni di esperienze e sperimentazioni (sospinte dall’alto o progettate dal basso), del lavoro sull’autonoma elaborazione dei curricola, con particolare attenzione alla continuità e ad un biennio ‘comune’ della secondaria superiore, del faticoso e proficuo ‘costruirsi’ degli Istituti Comprensivi, delle competenze acquisite nel lavorare collegialmente come team di docenti esperti e cooperativi, a partire già dalla scuola materna. PROPOSTA EDUCATIVA 1/04 Si doveva partire dall’esperienza quotidiana di alunni, docenti, famiglie, anche alla luce dei risultati dei processi di autovalutazione d’Istituto, che in questi anni hanno coinvolto tutte le componenti della vita scolastica e la gran parte degli Istituti, attraverso progetti specifici, spesso in rete, a volte supportati dal CEDE-INVALSI. Si doveva cooperare con gli Enti locali per evitare conflitti di attribuzione e difficoltà di gestione anche economica della ‘scuola riformata’. Si doveva, naturalmente, fare in modo che il Parlamento tutto affrontasse, non attraverso una delega al governo, ma con un serio e documentato dibattito una questione che sta a cuore a tutto il Paese. Vi è un secondo aspetto che presenta elementi di problematicità. Si coglie nella mens del riformatore il desiderio di riconoscere, in maniera più esplicita ed influente, il ruolo prioritario della famiglia nel percorso formativo del bambino/ragazzo, quasi a sanare, per la via legislativa, una patologia della prassi che ne attribuisce il maggior carico (e le maggiori responsabilità) alla scuola. Una finalità evidentemente legittima che affonda le sue radici nel dettato costituzionale e negli studi psicopedagogici. E che, pure, pare tradursi in un quadro non privo di preoccupazioni. Si affida, infatti, alla famiglia dell’allievo, la decisione (o la parola definitiva) su alcune questioni particolarmente delicate: l’ingresso anticipato della scuola primaria; la richiesta delle attività opzionali e facoltative; di fatto, la difficile scelta tra il sistema dei licei e quello dell’istruzione o formazione professionale. La famiglia, insomma, entra nella costruzione del curricolo, contribuisce in maniera diretta (e non come interlocutore privilegiato di una scuola non autoreferenziale) alla strutturazione del ‘piano di studio personalizzato’. La scelta preoccupa. E non solo perché pare esau- PROPOSTA EDUCATIVA 1/04 torare i docenti, nella loro collegialità e nelle loro competenze, del diritto-dovere di progettare un curricolo, rispettoso delle diversità individuali, ma pure finalizzato ad obiettivi comuni in termini ‘conoscerefare-convivere-essere’ (per dirla con i quattro pilastri della commissione Delors). Preoccupa perché tende a ‘privatizzare’ la scuola pubblica, preoccupa che le famiglie siano coinvolte non solo (come è ovvio che sia) nella valutazione dello sviluppo globale della personalità dell’allievo, ma che entrino in valutazioni di merito su aspetti cognitivi, disciplinari, sul possesso o meno di competenze, abilità, conoscenze; che diano valutazioni, praticamente definitive, decisive per la scelta della scuola secondaria di secondo grado. Ed è una preoccupazione ‘democratica’ poiché è evidente che una gran parte delle famiglie non ha la possibilità culturale, critica, progettuale, economica (e non è detto che sia tenuta ad averla, e non è detto che le spetti di farlo in maniera così totalizzante) di decidere; pertanto: o lo farà fittiziamente, o lo farà in base a criteri di funzionalità (il prima possibile alla primaria, la via veloce dell’istruzione professionale..) Un terzo aspetto di problematicità si connette immediatamente al precedente. In più punti i testi della Riforma si preoccupano di ribadire che bisogna offrire a tutti gli allievi “pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze” (Legge 53/2003, art. 2) e persegue questa finalità tra l’altro, attraverso la generalizzazione della scuola dell’infanzia, i piani di studio personalizzati, il diritto-dovere alla formazione fino al diciottesimo anno di età. Anche qui, però, non mancano gli elementi di preoccupazione. Parlare di ‘generalizzazione’ rischia di diventare una sterile dichiarazione d’intenti se non si accompagna ai relativi investimenti di risorse umane ed economiche (tra l’altro nella piena colla- 37 borazione con i Comuni); la scelta di rendere obbligatorio almeno l’ultimo anno della scuola dell’infanzia avrebbe davvero consentito ai bambini di diversi ceti sociali e provenienze culturali di ‘partire insieme’ nella scuola primaria, di ridurre lo svantaggio che spesso li segna per tutto il percorso di studi. Non basta. Preoccupa, al di là di ogni polemica e di ogni gioco aritmetico, la riduzione del tempo scolastico strutturato e dei tempi e delle possibilità di compresenza dei docenti nelle classi. Si tratta (se fatta interagire con altri aspetti della riforma) di una sottrazione di opportunità a chi ha meno possibilità ‘culturali’, spinge ad ‘affrettare i tempi’; legittima la preoccupazione che si ridurrà tutto quello che non conduce con efficacia ed immediatezza ad acquisire conoscenze ed abilità verificabili. Sembra una spinta a contrapporre una scuola del fare ad una dell’essere. Preoccupa, infine, l’espressione “diritto-dovere” poiché pare riduttiva rispetto alla dizione ‘obbligo scolastico’ o formativo (per altro non si prevedono, ad oggi, sanzioni per chi trasgredisce). L’obbligo, infatti, qui non limita la libertà della famiglia o dell’individuo, ma libera il bambino (ragazzo, giovane) da vincoli economici, da ristrettezze culturali, da visioni grette (lavorare e guadagnare il prima possibile)… per consegnarlo a se stesso, allo sviluppo delle sue possibilità di uomo, di cittadino e di futuro lavoratore, capace di cooperare al bene comune, ad una città a misura d’uomo, ad una società democratica, pacifica, ad uno sviluppo equo e sostenibile. Questione pedagogica Fin dal primo articolo della Legge 53/2003 appare chiara l’intenzione del legislatore di rispettare ‘i ritmi dell’età evolutiva’ dell’allievo. I testi della Riforma sono ricchi di riferimenti a riguardo. Eppure, emerge più di un elemento di preoccupazione nell’a- 38 nalisi particolareggiata dello svolgersi del progetto. Anzitutto, la questione degli ingressi anticipati. Senza entrare nel merito delle considerazioni che hanno portato a questa scelta, bisogna sottolineare che essa pone alcune rilevanti questioni dal punto di vista dello sviluppo psicologico dell’individuo, specie laddove le novità si intersecano sistemicamente (diremmo, si scontrano) con l’assenza di altre modificazioni strutturali dell’istituzione scolastica stessa. L’ingresso dei bambini di due anni e mezzo nella scuola d’infanzia pone ovvi problemi di organizzazione in relazione alla loro autonomia, ma anche seri problemi alla didattica. Autonomia, capacità di attenzione (anche solo per brevi periodi di tempo), capacità relazionale, capacità di rispettare semplici consegne, rispetto delle regole, possibilità del gioco socializzato… sono generalmente di là da venire, o appena in nuce. Piccole classi di coetanei sarebbero utili, efficaci ed auspicabili, ma la scuola reale li accoglierà in gruppi misti, nei quali saranno presenti tanti bambini più grandi, alcuni anche di cinque anni e mezzo. Articolare il lavoro in sottogruppi così diversi, nell’ottica, tra l’altro, della riduzione del numero degli insegnanti e dell’aumento degli alunni per la classe, pone seri interrogativi sulla possibilità di PROPOSTA EDUCATIVA 1/04 raggiungere anche solo in parte le finalità e gli obiettivi delineati dal legislatore. L’ingresso dei bambini nella scuola primaria a cinque anni e mezzo non pone meno problemi. Si tratta di quell’età di passaggio nella quale si va maturando il pensiero che Piaget chiamava operatorio; secondo tutte le impostazioni teoriche, una fase ‘sensibile’, un’età di grandi differenze individuali, di notevoli progressi, di progressi/salti cognitivi, sociali, affettivi. È stato giusto non rendere obbligatorio l’ingresso anticipato, poiché la precocità che osserviamo nei bambini di oggi, generata dall’uso anticipato e prolungato dei vecchi e nuovi media, va in una direzione diversa, dal punto di vista cognitivo e sociale, rispetto alle richieste della scuola (attenzione, concentrazione, capacità di lavoro e cooperative, logica operatoria concreta ma sequenziale sono una conquista della scuola elementare più faticosa rispetto già solo a qualche anno fa; e le conseguenze dei relativi fallimenti sono osservabili lungo tutto il percorso di studi). Rimane il dubbio di quali strumenti abbiano le famiglie per valutare l’opportunità dell’iscrizione anticipata. Rimane il dubbio che i criteri ispiratori di una simile scelta saranno di altro genere (ad esempio, i genitori entrambi lavoratori avranno la certezza dell’iscrizione alla scuola pubblica, magari a tempo pieno) e finiranno per danneggiare molti bambini. Preoccupa l’aver collocato alla fine della PROPOSTA EDUCATIVA 1/04 scuola secondaria di primo grado (perciò anche a tredici anni e mezzo) una scelta quasi definitiva tra il sistema dei licei e quello della istruzione e formazione professionale. Il legislatore si premura in più parti di mostrare come sia e debba essere sempre possibile ‘passare’ dall’uno all’altro, ma risulta difficile pensare ad un ragazzo precocemente avviato alla ‘professionalizzazione’ che trovi, cammin facendo, la forza di passare al liceo. Preoccupa che, invece, di orientarsi verso una scelta posticipata (da seguire e migliorare la riforma precedente, che la prevedeva dopo il biennio della secondaria superiore) si sia voluto far pesare su di un adolescente e sulla sua famiglia una decisione di questo genere. Un ragazzo alla ricerca della propria identità, con una struttura fisica e psicologica in completa trasformazione, uno sviluppo psichico (cognitivo, sociale, di genere, affettivo) non ancora concluso, un individuo ancora decisamente concentrato sul ‘qui ed ora’, perciò incapace di progettualità a lungo termine. I docenti della scuola media chiamati a consigliare; essi, che già tante volte hanno sperimentato il fallimento (motivato non da incompetenza, quanto dalla difficoltà oggettiva di inquadrare una ‘umanità’ tanto fluida e sfuggente) di un orientamento che, pure, fino ad oggi non era così discriminante. Una famiglia, ancora una volta, chiamata a decidere non avendo gli ele- 39 menti per una scelta serena, competente, libera, di grande respiro. D’altro canto, se si intuisce la volontà del legislatore di evitare la dispersione scolastica e di dare spessore alla formazione professionale a quei ragazzi che comunque precocemente si sarebbero orientati al mondo del lavoro, non bisogna dimenticare la lezione che arriva dalla prassi (gli Stati Uniti) e dalle esperienze di riforma di altri Paesi (la Gran Bretagna, il Quebec), nonché dalla riflessione pedagogica contemporanea (Morin, Bruner…): un buon tecnico si forma in pochi mesi, ma la sua specializzazione è valida e utile per pochi anni. Quello che veramente conta è formare un ‘uomo polivalente’, una persona che ha ‘appreso ad apprendere’, che ha consapevolezza delle proprie possibilità e dei propri limiti, in grado di acquisire con efficacia nuove conoscenze, tecniche, competenze. Quel che conta è aiutare un allievo a costruire la sua impalcatura, i suoi quadri concettuali, il suo orizzonte di senso, la sua capacità critica, la sua autonomia di giudizio; un lessico, delle categorie interpretative flessibili e dei metodi attraverso i quali cercare, selezionare, apprendere, ricostruire in maniera produttiva e critica il proprio essere, il proprio sapere, il proprio saper fare, il proprio vivere con gli altri. Questione ‘filosofica’ Nei testi della Riforma la scuola è costantemente richiamata alla sua finalità di “favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana” nella sua globalità e dai più diversi punti di vista. Eppure, proprio il termine ‘personalizzazione’ dei piani di studio si presta, inserito nel suo contesto, ad un interpretazione ben lontana dall’impostazione filosofica che vuole richiamare. L’accentuazione sul singolo studente (piano personalizzato, 40 portfolio, ‘contrattazione’ scuola-famiglia, gruppi di livello nella classe), sui suoi talenti, vocazione, obiettivi… non pare sufficientemente bilanciata dalla dimensione ‘comunitaria’ (il gruppo classe, gli obiettivi comuni, l’apprendimento come pratica cooperativa, il recupero dei più deboli…). Pare scarsamente sottolineato come una reale crescita personale avvenga solo nel contesto di significative, autentiche relazioni con le figure educative, con insegnanti motivati, disponibili, competenti, riconosciuti nella loro significatività. D’altronde, la riduzione delle ore di didattica in tutti segmenti, la tendenza a diminuire il tempo di compresenza dei docenti, l’aumento costante degli alunni per classe, la riduzione proporzionale degli insegnanti di sostegno sono segnali che, nel concreto, si rischia di perdere di vista l’obiettivo di ‘una scuola di tutti e di ciascuno’. Pare esserci, nella Riforma, una tensione interna, un’ambivalenza insanata tra l’utopia di una scuola-per-lapersona e la realtà di una scuola-azienda. Una scuola che deve produrre, che deve costare meno (ore, docenti, alunni per classe), che deve essere efficiente,che va valutata dall’esterno (ma l’eterovalutazione non considera il processo, i progressi individuali, le strategie…). Una scuola nella quale si riducono contitolarità, collegialità, corresponsabilità nella progettazione, nelle attività didattiche, nella valutazione degli apprendimenti e nel recupero del gap maturato, difficilmente sarà rispettosa dei tempi e delle possibilità di ciascuno, quasi necessariamente lascerà alcuni indietro, abbasserà per loro gli obiettivi (bambini stranieri, in handicap, socialmente e culturalmente svantaggiati) allargando il solco che li separa dai ‘Pierini’ (per i quali, sosteneva don Milani, a scuola è tutto facile). PROPOSTA EDUCATIVA 1/04 Questione docenti Infine, ma non da ultimo, pare importante riflettere brevemente sulla questione docenti. Una recente indagine DemosEurisko pubblicala da “La Repubblica” ci informa che gli italiani stimano ancora molto i docenti e la scuola pubblica, nel contempo le ricerche in ambito psicologico riferiscono degli insegnanti come la categoria professionale meno soddisfatta del proprio lavoro, che maggiormente ne subisce le frustrazioni e lo stress (si moltiplicano le ricerche sul burn out). Molti docenti, dopo uno sforzo significativo per pensare ed interpretare la scuola dell’autonomia, non si sono sentiti ascoltati, interpellati, coinvolti nel nuovo progetto di Riforma, che perciò vivono come un’ennesima imposizione calata dall’alto (e che nuovamente potrebbe cambiare, con un nuovo ministro, o governo). Sono lavoratori per i quali l’incertezza è condizione ordinaria. Nel susseguirsi dei governi di opposte parti politiche si sono trasformate, quando non capovolte, le procedure di accesso alla professione PROPOSTA EDUCATIVA 1/04 (laurea con abilitazione, laurea specialistica, SSIS); non si è trovata una modalità risolutiva soddisfacente (in attesa che la riforma vada a regime) per regolare l’accesso alle supplenze, prima, e al ruolo, poi, per i cosiddetti ‘precari storici’ (sono decine di migliaia di insegnanti impegnati quotidianamente nel processo di apprendimento-insegnamento di centinaia di migliaia di studenti). I docenti a tempo indeterminato vedono messo in forse (a torto o a ragione) il proprio ruolo: alcuni saranno tutor, altri no; che cosa produrrà dal 2005-06 la riduzione dell’orario complessivo d’insegnamento nei diversi gradi scolastici? La ristrutturazione del sistema dei licei, quali discipline manterrà, e con quante ore? L’istruzione e la formazione professionale modificheranno il profilo giuridico ed economico dei docenti coinvolti? C’è un tentativo di introdurre un ‘carriera’ tra i docenti, e che cosa si vuole ottenere con lo ‘stato giuridico’? Ed, infine, in più punti i testi della riforma paiono attenti alla formazione permanente dei docenti, ma, anche da questo punto di vista, non ne conseguono scelte (anche economicamente) coraggiose che consentano agli insegnanti di adeguare le proprie competenze alle trasformazioni in atto senza basarsi esclusivamente sulla buona volontà individuale (anno sabatico, anche parzialmente, retribuito; riduzioni del tempo scuola a fronte di percorsi valutabili di formazione-aggiornamento). Preoccupa, insomma, che, volendo così radicalmente riformare il sistema scolastico, non si focalizzi l’attenzione sulla serenità e sulla competenza dei docenti, sulla valorizzazione delle individualità e sul potenziamento delle capacità di cooperare, sulla possibilità di progettare ed agire in team, in tempi lunghi ed ampi, senza incertezze professionali ed assilli produttivi. 41