Dolci - Radiazione - Società Astronomica Italiana

L’Interazione
Radiazione-Materia
(e i rivelatori di radiazione)
Mauro Dolci
INAF-OATe / SAIt
XX
XX Scuola
Scuola Estiva
Estiva di
di Astronomia
Astronomia
della
della Società
Società Astronomica
Astronomica Italiana
Italiana
Stilo
Stilo (RC)
(RC)
20
20 –– 25
25 luglio
luglio 2015
2015
Interazione radiazione-materia: un vasto insieme di fenomeni che
coinvolgono i costituenti elementari della materia e le onde
elettromagnetiche (o i fotoni), e che è alla base della quasi totalità
dei fenomeni osservati in natura.
La stessa struttura degli atomi, delle molecole e della materia solida, nonché le loro
combinazioni, si basano su interazioni elettromagnetiche.
Anche in biologia: lo scambio di informazioni a livello intracellulare – fondamentale per
le attività della cellula – è di tipo elettromagnetico.
La radiazione interagisce con la materia in vari modi.
Emissione
Assorbimento
Trasmissione
risonante
non si modifica la frequenza
dell’onda elettromagnetica
Riflessione
scattering
Diffusione
non-risonante
si modifica la frequenza
dell’onda elettromagnetica
L’effetto Compton
Un esempio di scattering non risonante, già visto in precedenza.
Un effetto di interazione (quantistica) tra fotoni ed elettroni (di energia minore), che
modifica l’energia (e quindi la frequenza) del fotone.
1
1
ℏ
=
+
(1 − cos πœ‘)
πœ” πœ”0 π‘šπ‘’ 𝑐 2
Nel caso in cui l’elettrone abbia energia molto maggiore di quella del fotone, si parla
di Effetto Compton inverso (la cui trattazione è quantistico-relativistica).
Legge di conservazione dell’energia (radiante)
Materiale semitrasparente
rI
riflessa
tI
trasmessa
aI
assorbita
T > 0
Radiazione
emessa
Radiazione
incidente
(intensità I)
I = aI + rI + tI
a+r+t=1
Oscillazioni elettriche indotte da un’onda elettromagnetica.
Antenne.
q
B
+
q
=
q
E
Forza di Lorentz:
𝐅=π‘ž 𝐄+𝐯×𝐁
In un mezzo conduttore, l’arrivo di un’onda elettromagnetica sugli elettroni «liberi»
produce una corrente alternata le cui caratteristiche (frequenza, intensità) sono legate
alle caratteristiche dell’onda in un modo più o meno complesso, determinato dalla
geometria del sistema ricevente (antenna).
La visione «energetica» della materia.
Nella visualizzazione classica dell’atomo, questo è una sorta di Sistema Solare in
miniatura.
Al centro si trova il nucleo di carica positiva (protoni, neutroni) e intorno ad esso
orbitano gli elettroni, di carica negativa.
È noto che questa rappresentazione è ERRATA.
Infatti l’elettrone è in moto non rettilineo uniforme ed, essendo elettricamente carico,
emetterebbe onde elettromagnetiche che gli farebbero perdere rapidamente energia,
In un tempo non superiore a 10-8 sec, gli elettroni cadrebbero sul nucleo.
La visione «energetica» della materia.
Nella (corretta) formulazione quantistica, l’elettrone NON RISULTA LOCALIZZATO con
determinazione. Tutto ciò che possiamo rappresentare è la probabilità che l’elettrone si
trovi non ad una certa distanza dal nucleo, ma in una certa regione dello spazio.
Quindi non su una certa orbita, ma in un certo orbitale.
Anche questa rappresentazione è, in una certa misura, FUORVIANTE.
L’elettrone non è comunque localizzato in una regione finita dello spazio, ma è
delocalizzato in tutto lo spazio.
La visione «energetica» della materia.
La rappresentazione per orbitali ci è comunque conveniente, perché un orbitale è
associato ad una probabilità predominante. Ovvero:
la probabilità di trovare l’elettrone nell’orbitale rappresentato è prossima a 1, tipicamente
superiore al 97 %.
Ciò permette di spiegare, ad esempio, la disposizione spaziale dei legami chimici e
quindi la forma delle molecole o la geometria delle strutture cristalline.
La visione «energetica» della materia.
Nella descrizione dell’interazione radiazione-materia ciò che interessa è l’energia
dell’elettrone. Si predilige allora una visione «astratta» in cui sono rappresentati i livelli
energetici degli atomi, delle molecole o delle strutture cristalline caratteristiche di gran
parte della materia solida
Transizioni energetiche
(indotte dall’interazione con la radiazione).
Tipi di transizione:
bound - bound: un elettrone legato cambia livello, senza abbandonare il sistema
bound - free: un elettrone legato abbandona il sistema (eff. fotoelettrico, ionizzazione)
free - bound: l’elettrone libero viene catturato da un atomo
free - free: un elettrone libero subisce una variazione qualsiasi di energia
Atomi «eccitati»: durata del fenomeno e scattering risonante
Un elettrone rimane in uno stato eccitato per un tempo brevissimo.
Dopo non più di 10-8 sec, esso ritorna allo stato iniziale (emissione spontanea).
Si può forzare tale tempo a valori più brevi, costringendo l’elettrone a tornare allo
stato iniziale tramite l’interazione di un secondo fotone (emissione stimolata).
Questo processo avviene, ad esempio, nella generazione di luce laser.
Mentre l’assorbimento del fotone è direzionale, la sua riemissione è isotropa.
Ricaduta a livelli intermedi successivi: fotoluminescenza.
Fluorescenza e Fosforescenza
La materia allo stato solido
Elettroni
liberi
Elettroni di conduzione
(mare di Fermi)
Reticolo
cristallino
Elettroni
liberi
Livelli energetici e transizioni nei solidi cristallini.
Rivelatori di radiazione elettromagnetica
Princìpi diversi per bande diverse
Cessione di energia e conseguenze
Ogni fotone trasporta una quantità di energia proporzionale alla sua
frequenza, ovvero inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda
dell’onda elettromagnetica ad esso associata:
β„Žπ‘
ℇ = β„Žπœˆ =
πœ†
h = costante di Planck = 6.62 x 10-34 Js
c = velocità della luce = 3 x 108 m/s
Quando un fotone viene assorbito da un solido cristallino, tutta la sua
energia viene trasferita agli atomi del reticolo o agli elettroni intorno ad
essi.
Cessione di energia e conseguenze
Per effetto dell’energia così trasferita, e a seconda dei “beneficiari” di
tale trasferimento (reticolo o elettroni), il fenomeno produce almeno uno
dei seguenti effetti:
passaggio di elettroni da un atomo ad un altro
(REAZIONE FOTOCHIMICA)
liberazione di elettroni all’interno del cristallo
(FOTOCONDUZIONE)
Rivelatori
quantici
liberazione di elettroni all’esterno del cristallo
(EFFETTO FOTOELETTRICO)
aumento dell’energia di vibrazione del reticolo
(RISCALDAMENTO)
oscillazioni elettromagnetiche macroscopiche
Rivelatori
termici
Rivelatori
coerenti
Cosa si misura esattamente ?
Rivelatori quantici :
numero di fotoelettroni prodotti, sotto forma di quantità di carica
elettrica (camere digitali) o sotto forma di atomi che hanno subìto
la reazione chimica (lastre fotografiche)
Rivelatori termici
:
variazione di temperatura del dispositivo, in genere attraverso la
corrispondente variazione di resistenza elettrica
Rivelatori coerenti
:
intensità della corrente elettrica prodotta dall’oscillazione
elettromagnetica in un circuito risonante
Gli effetti si differenziano per l’energia minima che deve essere
fornita all’elettrone perché il fenomeno si verifichi.
Solo fotoni con energia superiore all’energia minima (detta
energia di soglia) producono l’effetto:
Efotone ο‚³ Esoglia
Poiché l’energia del fotone dipende dalla sua lunghezza d’onda,
se ne ricava una condizione sulla lunghezza d’onda:
β„Žπ‘
≥ πΈπ‘ π‘œπ‘”π‘™π‘–π‘Ž
πœ†
→
πœ†≤
β„Žπ‘
πΈπ‘ π‘œπ‘”π‘™π‘–π‘Ž
= πœ†π‘ π‘œπ‘”π‘™π‘–π‘Ž
In genere, i rivelatori di radiazione sono dunque sensibili ad un
intervallo limitato di lunghezze d’onda, a seconda del tipo di
materiale su cui si basa il loro principio funzionamento.
Caratteristiche principali di un
rivelatore di radiazione
1)Efficienza quantica e risposta spettrale
Non tutti i fotoni che arrivano sul cristallo producono l’effetto
voluto. L’efficienza quantica ο₯ è il rapporto tra il numero di fotoni
arrivati sul cristallo ed il numero di elettroni prodotti:
ο₯ = Ne / Ng
Questo numero dipende ovviamente dalle caratteristiche del
materiale, ma anche dalla lunghezza d’onda del fotone in arrivo: per
questo motivo l’efficienza quantica varia con la lunghezza d’onda
del fotone incidente, e in questa forma è detta risposta spettrale:
ο₯ = ο₯(  )
1)Efficienza quantica e risposta spettrale
2)Linearità
Da quanto appena visto si deduce che il numero di fotoelettroni
prodotti è direttamente proporzionale al numero di fotoni
incidenti:
Ne = ο₯ Ng
In realtà questa legge di proporzionalità non è sempre valida, in
particolare quando il numero di fotoni incidenti Ng è troppo
piccolo o troppo grande.
L’intervallo di valori di Ng in cui vale la legge di proporzionalità è
detto intervallo di linearità.
2)Linearità
3)Intervallo dinamico
Oltre al fallimento della legge di linearità per un numero di fotoni
troppo grande, ad un certo punto il numero di elettroni fotoprodotti
si ferma, anche se continuano ad arrivare fotoni. Questo perché gli
elettroni in più tendono a sfuggire dal reticolo cristallino o ad essere
riassorbiti dagli atomi da cui sono stati estratti.
Il numero massimo di elettroni fotoproducibili è detto livello di
saturazione del rivelatore:
Nsat = Ne,max
L’intervallo complessivo dei valori possibili per il numero di elettroni
fotoprodotti, e cioè
0 ο‚£ Ne ο‚£ Nsat
è detto intervallo dinamico (o semplicemente dinamica) del
rivelatore.
3) Intervallo dinamico
saturaz.
4)Livello di rumore intrinseco
Da quanto visto all’inizio, è evidente che gli elettroni vengono
liberati nel cristallo per un meccanismo di eccitazione energetica.
La quantità di energia richiesta da ciascun elettrone può anche NON
essere prodotta da un fotone.
In particolare, a causa delle normali vibrazioni del reticolo legate alla
sua temperatura, un elettrone può essere prodotto spontaneamente
anche in assenza di fotoni incidenti.
C’è dunque un certo numero di fotoni termicamente prodotti (e non
solo termicamente) che non ha nulla a che fare con i fotoni
incidenti, e che prende il nome di livello di rumore intrinseco Ne,noise.
È chiaro che questi elettroni vanno a sommarsi a quelli fotoprodotti,
disturbando la misura che si vuole effettuare!
5)Tempi di risposta e di lettura
La produzione di fotoelettroni (o di vibrazioni nel reticolo, o di
oscillazioni elettromagnetiche macroscopiche) richiede un certo
tempo, detto tempo di risposta.
Si tratta di un tempo sempre molto breve, inferiore al milionesimo di
secondo, ma che è necessario considerare in alcune applicazioni
specifiche.
Inoltre, una volta prodotti i fotoelettroni (o l’aumento di temperatura
nel reticolo o le oscillazioni elettromagnetiche in un circuito
risonante), le entità di questi effetti vanno misurate: il tempo
impiegato alla misurazione prende il nome di tempo di lettura.
Anche questo è in genere breve, dell’ordine di qualche milionesimo di
secondo, ma assume particolare importanza con i rivelatori ad
immagine (che vedremo fra poco).
6)Numero di pixel
Un rivelatore può essere costituito da un unico blocco di materiale
cristallino o da una serie di elementi, ciascuno indipendente dagli
altri, accostati a formare una matrice regolare.
L’unità elementare di rivelazione è detta pixel (abbreviato da picture
element). Essa è evidentemente fondamentale per quantificare la
capacità, da parte di un rivelatore, di conservare il dettaglio di
immagine della scena osservata.
Il numero totale di unità elementari è detto numero di pixel Npix.
Rivelatori monopixel e rivelatori a immagine
Quando c’è un solo pixel si parla ovviamente di rivelatore
monopixel: questo tipo di rivelatore NON è in grado di fornire un
dettaglio di immagine, a meno che non si esegua una scansione del
campo osservato.
Rivelatori monopixel e rivelatori a immagine
Nelle bande ottiche e infrarosse sono ormai diffusi solo rivelatori
ad immagine, costituiti da un grande numero di pixel.
Per questi rivelatori è necessario definire alcune caratteristiche
aggiuntive.
7)Dimensione del pixel
Per un rivelatore ad immagine, la dimensione del pixel p,
unitamente al numero di pixel, fornisce indicazioni sulla risoluzione
spaziale e sull’estensione del campo osservato.
Per avere queste quantità, è però necessario considerare quale
sistema ottico (telescopio) viene posto davanti al rivelatore.
«Pixelizzazione» e risoluzione spaziale
8)Uniformità della risposta
Per un rivelatore ad immagine, l’efficienza quantica e la risposta
spettrale di pixel diversi può non essere la stessa.
Pertanto saranno presenti delle disuniformità spaziali nella risposta
del rivelatore, che vengono visualizzate facilmente osservando scene
completamente uniformi (ad esempio il cielo completamente sfuocato
dal sistema ottico) e se ne misura l’entità con metodi statistici: in
pratica si considerano tutti i valori misurati da ciascun pixel e se ne
calcolano media e dispersione.
Il grado di uniformità u della risposta è definito come il rapporto tra
la dispersione e la media:
u=s/m
L’osservazione di una scena completamente uniforme è detta tecnica
di flat fielding, e viene utilizzata per correggere questo difetto nelle
osservazioni astronomiche e per calcolare quantità fondamentali del
rivelatore.
8)Uniformità della risposta
9)Presenza di pixel inefficienti
Infine accade generalmente che per alcuni pixel la risposta sia nulla
(pixel morti) oppure che il livello di rumore sia molto più alto della
media su tutto il rivelatore (pixel caldi).
Chiaramente questi pixel disturberanno le immagini astronomiche
acquisite, e pertanto il loro contributo deve essere opportunamente
eliminato (o anche NON CONSIDERATO) in fase di analisi digitale
delle immagini.
9)Presenza di pixel inefficienti
Princìpi alla base dei
rivelatori di radiazione
Rivelatori di Raggi Gamma
Rivelatori di Raggi X
Rivelatori per l’ultravioletto
Rivelatori per il visibile
Rivelatori per l’infrarosso vicino e medio
Rivelatori per l’infrarosso lontano e le microonde
Rivelatori di onde radio
Principio di base: Effetto fotoelettrico
1) Un fotone gamma, di alta energia, ionizza per effetto fotoelettrico
un cristallo di materiale opportuno, ad esempio ioduro di sodio
drogato con tallio [ NaI(Tl) ].
2) Il materiale in questione è caratterizzato da luminescenza, ovvero
riemette sotto forma di luce visibile la frazione di energia
precedentemente assorbita e che non è stata ceduta all’elettrone.
3) Si osserva quindi tramite dispositivi ottici (fotomoltiplicatori) il
breve lampo prodotto dal cristallo.
Per questo motivo il cristallo è detto scintillatore.
Esempio: esperimento COMPTEL sul Compton Gamma-Ray
Observatory
Il cielo gamma visto da COMPTEL
Rivelatori di Raggi Gamma
Rivelatori di Raggi X
Rivelatori per l’ultravioletto
Rivelatori per il visibile
Rivelatori per l’infrarosso vicino e medio
Rivelatori per l’infrarosso lontano e le microonde
Rivelatori di onde radio
Principio di base: Effetto fotoelettrico
1) Un fotone X, di alta energia, estrae elettroni da un materiale opportuno
(detto fotocatodo) per effetto fotoelettrico.
2) Gli elettroni, opportunamente indirizzati da un campo elettrico
preesistente, vengono incanalati in minuscole cavità ricoperte di materiale
opportuno (detto materiale dinodico), dette MicroChannel Plates (MCP);
3) All’interno degli MCP, gli elettroni urtano il materiale dinodico e
generano in cascata un mare di elettroni;
4) La cascata di elettroni è infine raccolta da un anodo che fornisce in
uscita una corrente misurabile.
5) Si misura quindi un segnale per ogni MCP e si può ricostruire il
dettaglio di immagine (dunque gli MCP sono praticamente dei pixel di
questo rivelatore).
Esempio: HRC (high resolution camera) su satellite GALEX (galaxy
evolution explorer)
La Grande Galassia di Andromeda nell’X con GALEX e nel visibile
Rivelatori di Raggi Gamma
Rivelatori di Raggi X
Rivelatori per l’ultravioletto
Rivelatori per il visibile
Rivelatori per l’infrarosso vicino e medio
Rivelatori per l’infrarosso lontano e le microonde
Rivelatori di onde radio
Rivelatori di Raggi Gamma
Rivelatori di Raggi X
Rivelatori per l’ultravioletto
Rivelatori per il visibile
Rivelatori per l’infrarosso vicino e medio
Rivelatori per l’infrarosso lontano e le microonde
Rivelatori di onde radio
Principio di base: reazioni fotochimiche
1) Un fotone induce una reazione chimica in un materiale
opportuno (ad es. Cloruro d’Argento, AgCl)
2) nella molecola di cloruro di argento, si separa argento monoatomico
3) una successiva reazione chimica (detta sviluppo fotografico) stabilizza
l’argento monoatomico ed inattiva il cloruro di argento rimasto non
impressionato, rendendolo inattaccabile da successive esposizioni alla
luce e da altri agenti esterni
4) l’intera immagine risulta così visibile sul supporto utilizzato per il
composto chimico inziale, detto lastra fotografica
Principio di base: effetto fotovoltaico (fotoelettrico)
1) Un fotone estrae elettroni da un fotocatodo
2) Gli elettroni vengono raccolti verso un anodo da un campo elettrico
preesistente si misura e la corrispondente corrente elettrica in uscita
(fotodiodo)
3) Gli elettroni, prima di arrivare al fotocatodo, vengono accelerati dal
campo elettrico verso opportuni elettrodi, detti dinodi, ricoperti di
materiale opportuno che genera un grande numero di nuovi elettroni per
ogni elettrone che lo colpisce
4) Vengono quindi raccolti da un anodo e la corrispondente corrente
elettrica viene misurata (fotomoltiplicatore, MCP)
Fotomoltiplicatore
Principio di base: fotoconduzione
1) Un fotone eccita elettroni in un cristallo, facendoli passare dallo stato di
elettroni di valenza a quello di elettroni di conduzione (mare di Fermi)
2) Gli elettroni vengono confinati in una zona ristretta del cristallo
mediante un campo elettrico opportuno fintanto che perdura l’esposizione
alla luce
3) In fase di lettura, la nuvola di N elettroni fotoprodotti viene indirizzata
verso un condensatore, che di conseguenza si carica di una carica
Q = Ne
4) Ai capi del condensatore, di capacità C, si genera una differenza di
potenziale
V = Q / C = Nοƒ—e / C
che può essere facilmente misurata.
Charge Coupled Devices (CCD)
I Charge Coupled Devices (CCD) sono i più diffusi tra i
rivelatori astronomici per il visibile. Anche le camere
fotografiche commerciali si basano in gran parte su
CCD.
Il formato di un CCD singolo si spinge ormai a 4000 x 2000 pixel.
Inoltre si possono comporre mosaici di CCD per creare rivelatori con
decine di milioni di pixel, onde coprire campi di vista notevoli con
altissima risoluzione angolare.
OMEGACAM: 16000 x 16000 pixel2
Il formato di un CCD singolo si spinge ormai a 4000 x 2000 pixel.
Inoltre si possono comporre mosaici di CCD per creare rivelatori con
decine di milioni di pixel, onde coprire campi di vista notevoli con
altissima risoluzione angolare.
OMEGACAM: 16000 x 16000 pixel2
Gli array CMOS: rivelatori per l’infrarosso
NON c’è scorrimento della carica: ogni pixel viene letto da un
circuito ad esso dedicato, indipendentemente da tutti gli altri
Inoltre il CMOS può essere ricoperto di materiale sensibile a
radiazione non visibile, cioè INFRAROSSA
Materiali sensibili per la fotoconduzione
Si tratta sempre di SEMICONDUTTORI.
Nel visibile (0,4 m <  < 0,8 m): semiconduttori intrinseci puri:
Si, Ge, Ga
Nell’infrarosso vicino (0,8 m <  < 5 m): leghe di semiconduttori
intrinseci:
InSb, HgCdTe, InGaAs
Nell’infrarosso medio (5 m <  < 30 m): semiconduttori estrinseci
(drogati):
Si:As, Si:Sb, Ga:As, Ge:Ga
Fare una “TAC” ad una galassia (satellite infrarosso
SPITZER)
0,5
m
1 m
8 m
24 m
Rivelatori di Raggi Gamma
Rivelatori di Raggi X
Rivelatori per l’ultravioletto
Rivelatori per il visibile
Rivelatori per l’infrarosso vicino e medio
Rivelatori per l’infrarosso lontano e le microonde
Rivelatori di onde radio
Principio di base: riscaldamento del reticolo
cristallino
1) Un fotone viene assorbito dal reticolo aumentandone le vibrazioni
(energia termica) e quindi la temperatura
2) A causa dell’aumento di temperatura, varia la resistenza elettrica R =
R(T) del cristallo
3) pertanto, mantenendo il cristallo tra due elettrodi con differenza di
potenziale fissata V, si assiste ad una variazione della corrente che vi
circola,
I = V / R(T)
4) La corrente I viene misurata. Il dispositivo si chiama bolometro, ed è
virtualmente sensibile a TUTTE le lunghezze d’onda
Rivelatori di Raggi Gamma
Rivelatori di Raggi X
Rivelatori per l’ultravioletto
Rivelatori per il visibile
Rivelatori per l’infrarosso vicino e medio
Rivelatori per l’infrarosso lontano e le microonde
Rivelatori di onde radio
Principio di base: oscillazioni elettriche indotte in
un circuito di ricezione
1) L’onda elettromagnetica viene focalizzata verso un’antenna ricevente,
che entra in oscillazione per il fenomeno dell’induzione elettromagnetica
2) L’antenna è collegata ad un circuito, nel quale si stabilisce una
corrente alternata legata alle oscillazioni elettromagnetiche nell’antenna
3) Tale corrente viene facilmente misurata in tutte le sue caratteristiche
(ampiezza, frequenza, fase, modulazioni, etc.)
Radiotelescopi…
…aspettando SKA – Square Kilometer Array
Diversi tipi di antenne e di ricevitori a seconda della banda radio
in cui osservare !
Appendice:
Rivelazione di particelle di origine
astrofisica attraverso la luce
La Radiazione Cerenkov
Quando una particella attraversa un
mezzo materiale con velocità superiore a
quella che ha la luce nel materiale
stesso, genera radiazione
elettromagnetica visibile chiamata luce
Cerenkov.
Quando i raggi cosmici entrano
nell’atmosfera terrestre, lo fanno spesso
con velocità tale da produrre lampi di
luce Cerenkov.
Esperimenti estesi con fotomoltiplicatori
al suolo permettono di visualizzare tali
lampi e di misurarne intensità e
distribuzione spaziale.
Principio di base: emissione di luce Cerenkov
MAGIC…
…aspettando CTA…
Grazie per l’attenzione !