Orizzonti 3_U3_C14

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della dinamica democratica. Tuttavia, generarono anche profondo scontento e, nel
caso peggiore, la minaccia distruttiva del
terrorismo.
L’Italia dal Sessantotto
al «riflusso»
Il Sessantotto
1951
Terziario
26%
Agricoltura
42%
Industria
32%
1971
Percentuale di
occupati per settore
sul totale regionale:
agricoltura,
foreste e pesca
industria
Terziario
38%
Agricoltura
17%
Industria
45%
terziario e pubblica
amministrazione
Principali settori dell’occupazione nel 1971
14.1 Gli anni delle
battaglie civili
I conflitti nella
società italiana
p. 314
Nell’Italia degli anni successivi al «miracolo
economico» si aprì presto un profondo divario tra gli imponenti mutamenti sociali in
atto e la capacità della politica di far fronte
al cambiamento con opportune riforme. Si
trattava di una contraddizione evidente tra
la grande vivacità della società italiana e la
lentezza delle istituzioni nell’asseconda-
re tale movimento. Non a caso gli anni più
dinamici del centrosinistra furono quelli
dell’esordio, tra 1960 e 1963, prima ancora
che il PSI entrasse stabilmente nel governo.
Più avanti, la spinta riformista si indebolì,
fino a provocare sempre maggiori difficoltà
o addirittura una mancanza di comunicazione tra politica e società.
Iniziò così un periodo di grandi conflitti ideologici e battaglie civili che ebbero al
centro gli istituti tradizionali su cui si reggeva il paese: la scuola, la famiglia, il lavoro.
Furono scontri sempre tesi e spesso violenti, che rientrarono di norma entro i limiti
Tutto partì dalle aule scolastiche. Il movimento di protesta giovanile sorto negli Stati
Uniti verso la metà degli anni Sessanta giunse con impeto nel 1968 in Europa e dunque
anche in Italia. La ribellione contro l’autoritarismo degli insegnanti e l’incapacità
della scuola a preparare gli studenti alla vita
adulta attecchì dapprima nelle università.
«Fuori i baroni» – rivolto ai docenti di lungo
corso che governavano gli atenei come feudi personali – divenne lo slogan più urlato
nelle facoltà occupate. La protesta si allargò
presto anche agli istituti superiori, trovando terreno fertile nell’enorme aumento del
numero di studenti generato dalla riforma
sull’istruzione obbligatoria. Il movimento
ampliò successivamente le sue rivendicazioni, lottando contro il perbenismo borghese, il conformismo della famiglia e della società, il nuovo consumismo, percepito
come una minaccia del mercato alla libertà
dell’individuo. Gli scontri tra giovani e polizia iniziarono il 1° marzo – con centinaia
di feriti – presso la facoltà di Architettura
dell’Università La Sapienza di Roma e continuarono per mesi, in ogni regione d’Italia,
con cortei, assemblee, occupazioni di scuole e atenei.
Il movimento studentesco apparve subito
molto politicizzato e ispirato da ideali politici
di sinistra, ma allo stesso tempo in rotta con
il PCI, considerato incapace di interpretare
le vere aspirazioni del popolo. Ernesto «Che»
Guevara, Ho Chi Minh e Mao Tse-tung divennero i nuovi modelli rivoluzionari cui ispirarsi: figure che interpretavano una radicale
rottura con la società occidentale. In questo
quadro la protesta avanzò rivendicazioni
spesso confuse e la risposta che ricevette
dalle istituzioni fu ancora più incerta. Le reazioni della politica andavano dallo snobbare
i giovani alla tentazione di reprimere con la
violenza le loro rivendicazioni. Il dialogo tra
le parti fu scarso e inefficace e l’unico risultato che il Sessantotto ottenne fu la liberalizzazione degli accessi all’università. Rimase
invece inattuata una riforma della scuola superiore ancora più urgente.
Il movimento cominciò presto a trasformarsi perdendo la connotazione spontanea degli inizi; molti, delusi dagli scarsi
risultati raggiunti, si organizzarono in formazioni politiche extraparlamentari (Lotta continua, Potere operaio, Il Manifesto,
Avanguardia operaia) che ebbero una certa
influenza politica ancora per diversi anni;
alcuni, invece, decisero tragicamente di
passare ai metodi violenti del terrorismo.
L’«autunno caldo» del 1969
Conclusosi il Sessantotto studentesco, lo
scontro si spostò nelle fabbriche. Qui, durante il cosiddetto «autunno caldo» del
1969, le trattative per il rinnovo dei contratti diedero agli operai il modo di unirsi per chiedere una riforma più generale
delle norme che disciplinavano il lavoro.
Le contestazioni investirono dunque l’assoluta libertà di licenziamento da parte
degli imprenditori; le forti differenze di retribuzione tra Nord e Sud d’Italia; la scarsa
sicurezza dell’ambiente di fabbrica, che
causava continuamente incidenti e «morti
bianche»; il basso livello generale dei salari, di gran lunga inferiori alle medie europee; la troppo rigida disciplina di reparto,
che contingentava addirittura il tempo dedicato ai bisogni fisiologici.
Studenti milanesi in sciopero per l’autogestione degli istituti scolastici, 1968.
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1945
liberalizzazione
degli accessi: pratica
che permise l’iscrizione
all’università di studenti
provenienti da qualsiasi
tipo di scuola superiore,
cosa prima negata. La
mancata riforma degli
istituti superiori fece
però sì che entrassero
nell’università studenti
con una preparazione
insufficiente.
© Loescher Editore – Torino
1957 Entra in produzione la Fiat 500
1961 Gagarin primo uomo nello spazio
1969 Armstrong primo uomo sulla Luna
1986 Incidente nucleare di Chernobyl
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14 L’Italia dal Sessantotto al «riflusso»
Il mondo diviso dalla Guerra fredda
 Tweet Storia p. 430
Esattamente come accaduto per la scuola,
le istituzioni rimasero sorprese dall’estensione e dal vigore della protesta. Gli operai
occupavano gli impianti, picchettavano
l’ingresso degli stabilimenti e impedivano
l’entrata a chi voleva lavorare, scendevano
in corteo e si piazzavano sui binari di tram
e treni, interrompendo il servizio pubblico.
Nel solo 1969 si accumularono in Italia oltre
230 milioni di ore di sciopero. Vennero colte di sorpresa, almeno in un primo momento, anche le grandi organizzazioni sindacali.
La CGIL (la Confederazione generale italiana del lavoro, che raccoglieva comunisti e
socialisti), la cattolica CISL (Confederazione italiana dei sindacati dei lavoratori) e la
UIL (l’Unione italiana del lavoro fondata da
socialdemocratici e repubblicani) dovettero
scendere a patti con i consigli operai sorti
spontaneamente all’interno dei reparti e
mal disposti a seguire le direttive provenienti dall’alto. Fu necessario un lungo lavoro
di mediazione per ritrovare l’accordo: i tre
grandi sindacati fecero proprie le rivendicazioni della base e riuscirono così a riprende-
re in mano la situazione, ottenendo rinnovi
contrattuali assai vantaggiosi.
La pressione esercitata dagli operai sul
sistema economico e sociale era dunque
troppo forte per essere ignorata dall’imprenditoria e dalla politica, ed essi ottennero un
risultato assai migliore di quello avuto dagli
studenti. Nel 1970 il Parlamento approvò lo
Statuto dei lavoratori  , che accoglieva
molte richieste dei salariati:
• divieto per il padrone di licenziare senza
giusta causa;
• poter manifestare le proprie opinioni politiche e sindacali sul luogo di lavoro;
• poter tenere assemblee in fabbrica;
• obbligare le aziende a mettere a disposizione luoghi per l’affissione di materiale
di propaganda e di informazione. [Testimonianze  documento 7, p. 319]
Nel contempo il governo adottò misure più
moderne e favorevoli ai lavoratori in campo
pensionistico e assicurativo, in materia di
disoccupazione e di lavoro femminile.
La battaglia per il divorzio
Il referendum sul divorzio (1974)
Votanti contro l’abrogazione
del divorzio (in %)
dal 35 al 40
dal 40 al 45
dal 45 al 50
dal 50 al 55
dal 55 al 60
dal 60 al 65
dal 65 al 70
dal 70 al 75
dal 75 al 80
Un altro istituto, tradizionale fondamento
della società, fu al centro in quegli anni di
aspre lotte: la famiglia. Nel 1970, infatti, il
Parlamento (per iniziativa dei deputati laici del PSI e del PLI) introdusse nell’ordinamento italiano il divorzio. Immediatamente
partì la battaglia volta alla sua abrogazione.
La Chiesa cattolica e la Democrazia cristiana
profusero tutte le loro energie nella promozione di un referendum popolare contro il
divorzio, che venne invece difeso dalle forze
politiche laiche e dai settori più aperti della
società. Fu allora che emerse, per il costante
ed efficace attivismo a favore di un allargamento dei diritti civili, il Partito radicale di
Marco Pannella. Il referendum si svolse nel
1974 e il 59,3% dei votanti si dichiarò contrario all’abrogazione del divorzio. Si trattò
di una svolta epocale, che indicava un cambiamento profondo della morale degli italiani. L’anno successivo il Parlamento modificò il diritto di famiglia, rendendo assai
più forte la posizione della donna e dei figli
rispetto alla consolidata autorità dell’uomo.
La nuova parità tra coniugi allineava così la
legge italiana a quelle delle più avanzate società del mondo occidentale.
Attentato a piazza della Loggia a Brescia, 1974.
14.2 La minaccia del
terrorismo
Terrorismo «nero» e «rosso»
Tra anni Sessanta e Settanta, l’Italia soffrì
la peggiore delle minacce alla stabilità e alla
democrazia. A gettare il paese nel sangue
e nella paura fu il terrorismo, figlio diretto
delle tensioni sociali dell’epoca, nelle sue
due opposte matrici: quella di destra, che
caratterizzò il terrorismo cosiddetto «nero»,
e quella di sinistra, responsabile del terrorismo chiamato «rosso». Profondamente diversi l’uno dall’altro, costituirono entrambi
una minaccia pericolosissima per la vita
democratica del paese. Il contrasto al terrorismo fu vincente solo grazie alla mobilitazione della società – che isolò estremisti e
violenti – e della politica: uomini di governo
e di partito, pur divisi da opposte ideologie,
seppero muoversi all’unisono per scongiurare la minaccia e riaffermare la vitalità delle istituzioni repubblicane. A
Il terrorismo di destra e la
«strategia della tensione»
Già a metà degli anni Sessanta emerse da
destra una concreta minaccia. Essa fu portata da forze che intendevano impedire, ad
ogni costo, quello spostamento verso sinistra dell’asse della politica italiana che si
profilava con l’arrivo dei socialisti al governo. Nel 1967 si venne a sapere che Giovanni De Lorenzo, un generale dei Carabinieri,
dopo aver organizzato un reparto militare
corazzato pronto ad intervenire in caso di
Strage alla stazione di Bologna, 2 agosto 1980.
pericolo, aveva in realtà preso accordi con
gli ambienti di destra per attuare un colpo di
Stato che mettesse fine alla politica di centrosinistra. Anni dopo si scoprì una nuova
organizzazione, con gli stessi obiettivi, detta Gladio creata con lo scopo di affiancarsi
alla NATO nel fronteggiare un’eventuale invasione sovietica. Gladio assunse come suo
scopo principale quello di contrastare – se
necessario con la violenza – una possibile
ascesa al governo del Partito comunista.
Le tentazioni sovversive della destra divennero però pratica terroristica solo dopo
il Sessantotto, ad opera di formazioni come
Ordine nuovo o Avanguardia nazionale, che
si richiamavano apertamente al fascismo.
Queste organizzazioni inaugurarono la cosiddetta «strategia della tensione»: colpire
l’Italia con violenze e attentati incolpando
la sinistra per spingere l’opinione pubblica a
invocare una stretta politica conservatrice.
Furono anni di stragi terribili e sanguinose. Si cominciò il 12 dicembre 1969, nel pieno dell’«autunno caldo» operaio, quando
una bomba esplose a Milano nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana, causando sedici morti. Poi vi fu
la strage di Piazza della Loggia a Brescia, nel
1974: otto vittime uccise da un ordigno durante una manifestazione sindacale. Sempre nel 1974, il treno Italicus saltò in aria in
galleria, tra Firenze e Bologna, ancora per
una bomba: dodici vittime. Infine, la pagina
più dolorosa di tutte: la strage della stazione
di Bologna, con 87 morti il 2 agosto 1980.
Il tentativo di attribuire la responsabilità di questi fatti sanguinosi all’estremismo
di sinistra non riuscì. Le colpe della destra
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Album p. 288
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Il mondo diviso dalla Guerra fredda
La «strategia della tensione» (1969-1980)
14.3 Il «compromesso
storico» e il caso Moro
Luogo e data
La Banca Nazionale
dell’Agricoltura in Piazza
Fontana a Milano subito
dopo l’esplosione della
bomba, prima pagina del
«Corriere della sera»,
12 dicembre 1969.
Milano, 12 dicembre 1969
Bomba nella Banca dell’Agricoltura in
piazza Fontana: 16 morti e 45 feriti
Brescia, 28 maggio 1974
Bomba in Piazza della Loggia durante
una manifestazione sindacale: 8 morti
e 94 feriti
Linea ferroviaria BolognaFirenze, 4 agosto 1974
Bomba sul treno Italicus: 12 morti
e 105 feriti
Bologna, 2 agosto 1980
Bomba nella stazione di Bologna: 87
morti e 200 feriti
emersero presto, così come il coinvolgimento negli attentati di parte degli apparati
dello Stato. Nonostante gli sforzi della magistratura, depistaggi e silenzi non hanno mai
permesso di portare in tribunale i mandanti
delle stragi, persino a decenni di distanza
dai fatti. All’epoca, l’opinione pubblica italiana e la classe politica che la guidava ebbero comunque il grande merito di non cedere
alla tentazione autoritaria, provocando in
questo modo il fallimento della «strategia
della tensione».
Le Brigate Rosse e il terrorismo
di sinistra
anni di piombo:
l’espressione coniata dai
giornalisti si riferisce sia
al piombo dei proiettili
usati dai terroristi sia
alla cupezza del clima
avvertito nella vita politica
e sociale.
Conseguenze
Il terrorismo di sinistra sorse e si esaurì più
tardi rispetto a quello di destra. Si servì dello stesso strumento – la violenza politica –
per ottenere scopi completamente diversi:
spingere la popolazione alla rivoluzione e
all’instaurazione di un regime comunista.
Tuttavia, trovò anch’esso un baluardo insormontabile nella volontà degli italiani di
difendere le istituzioni democratiche del
paese.
All’interno del terrorismo di sinistra, le
Brigate Rosse furono l’organizzazione di
maggiore fama e dinamismo. Fondate da
Alberto Franceschini e Renato Curcio nel
1970, scelsero presto la lotta clandestina.
Ricorsero a intimidazioni, sequestri lampo
di dirigenti di fabbrica, attentati incendiari,
proclami ideologici. A partire dal 1974, con il
rapimento del giudice genovese Mario Sossi, passarono al cosiddetto «attacco al cuore
dello Stato», che mirava all’indebolimento e
al sovvertimento delle istituzioni. Nel 1976
assassinarono il procuratore della Repubblica di Genova Francesco Coco e da quel momento cominciò un’inarrestabile escalation
di omicidi politici. Vittime non erano solo i
più fedeli servitori dello Stato, dai magistrati
ai poliziotti, ma anche avvocati, giornalisti o
chi, anche all’interno della stessa sinistra, si
mostrava contrario agli intenti rivoluzionari
dei brigatisti e ai loro metodi.
La stella a cinque punte delle BR divenne il simbolo più triste e noto di questa stagione, ma altre formazioni dell’estremismo
rosso, come i Nuclei armati proletari o Prima linea, insanguinarono l’Italia negli anni
Settanta. Tutte insieme rivendicarono nel
solo 1977 circa 280 attentati. I morti causati
dal terrorismo di sinistra furono 8 nel 1976,
7 nel 1977 e 29 nel 1978. Fu coniata allora,
per designare quell’epoca, l’espressione
«anni di piombo» . L’attacco al cuore dello
Stato culminò nel 1978 con il rapimento e
l’assassinio di Aldo Moro. Proprio i 55 giorni
di permanenza del politico DC nelle mani
delle Brigate Rosse e la sua uccisione segnarono, allo stesso tempo, l’apice della forza e
l’inizio della parabola discendente per le BR.
[ I NODI DELLA STORIA p. 286]
L’incertezza politica e la fine
del «centrosinistra»
Al principio degli anni Settanta, dunque
l’Italia era percorsa dai forti conflitti sociali inaugurati dal Sessantotto studentesco
e appariva minacciata dalla crescente aggressività del terrorismo. Aveva dunque bisogno di una guida politica forte e sicura.
Il «centrosinistra» aveva da tempo esaurito
la propria spinta riformista e alla testa della
Repubblica si susseguivano governi deboli
e di breve durata. La legislatura iniziata nel
1968 terminò nel 1972 e quella cominciata
nel 1972 si chiuse nel 1976: né l’una né l’altra completarono il ciclo di cinque anni previsto dalla Costituzione e per ben due volte
Giovanni Leone – presidente della Repubblica dal 1971 – fu costretto a sciogliere le
Camere e indire elezioni anticipate.
Sintomatico del clima di incertezza che
andò creandosi in questo periodo e della
stima calante di cui la politica godeva nel
paese fu lo sconcerto provocato nell’opinione pubblica dall’emergere dei primi grandi
scandali legati al finanziamento illecito dei
partiti attraverso le «tangenti» pagate dagli imprenditori; o dalla spartizione che gli
stessi partiti facevano di poltrone e cariche
per soddisfare la fame di potere dei propri
uomini, pratica che prese il nome di «lottizzazione» .
Il presidente della Repubblica Giovanni Leone.
Emerse in questi anni anche il fenomeno dell’evasione fiscale, che già negli anni
Sessanta gli esecutivi avevano in parte tentato di combattere, ma che proprio all’inizio
degli anni Settanta iniziò ad assumere contorni di massa e sempre più consistenti dal
punto di vista quantitativo.
La crisi economica degli anni
Settanta
Alla mancanza di un indirizzo politico preciso si aggiunse poi un’improvvisa e grave
crisi economica. L’economia italiana aveva dato segni di vistoso rallentamento già
a partire dalla fine degli anni Sessanta. Gli
aumenti salariali ottenuti dai lavoratori con
le lotte dell’«autunno caldo» avevano infatti
determinato una notevole crescita del costo
del lavoro e dell’inflazione.
In questa situazione di debolezza l’Italia, come il resto dell’Occidente, venne investita in pieno dallo shock petrolifero innescato dalla Guerra del Kippur del 1973.
E il nostro paese, che con le importazioni di
greggio soddisfaceva i tre quarti del proprio
fabbisogno energetico, soffrì pesantemente. Il rincaro dell’«oro nero» mise in seria
difficoltà l’apparato industriale italiano.
I costi di produzione aumentarono molto e
rapidamente, il prezzo delle merci crebbe e
la loro competitività, sul mercato interno e
su quelli internazionali, diminuì. La stretta
produttiva costrinse le aziende a licenziare
e i numeri della disoccupazione aumentarono in misura drammatica. Il debito pub-
1945
lottizzazione: pratica
secondo la quale i partiti
al potere si spartivano
gli incarichi negli enti
pubblici in proporzione ai
voti ottenuti alle elezioni.
Il termine spregiativo
«lottizzazione» nacque in
analogia con l’usanza di
dividere un terreno in lotti
prima di procedere alla
sua vendita.
«Anni di piombo»: un autonomo mascherato spara
contro la polizia durante una manifestazione
in un viale di Milano.
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tangenti: termine
utilizzato per indicare
il compenso estorto in
seguito a minacce o favori
illeciti.
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che non credevano più allo spauracchio della rivoluzione proletaria. Lo dimostrarono le
elezioni politiche del giugno 1976: la DC ottenne il 38,7% dei voti, ma il PCI crebbe fino
al 34,4%, mentre i socialisti si attestarono
poco sotto il 10%. Le indicazioni offerte dalla consultazione popolare erano chiare e si
inaugurò allora la stagione della cosiddetta
«solidarietà nazionale», che durò dal 1976
al 1979. Il paese fu guidato da tre successivi
governi presieduti dal democristiano Giulio Andreotti e sostenuti dal voto esterno di
tutti i partiti, compreso il Partito comunista.
Sembrò questa la formula più adeguata per
affrontare la grave crisi economica e soprattutto l’ondata di violenza terroristica che
insanguinava l’Italia.
Il delitto Moro
Giulio Andreotti.
politica
deflazionistica: è un
modo per combattere
l’inflazione da eccesso di
domanda e far frenare il
disavanzo dei conti con
l’estero.
blico si impennò a causa dell’incremento
delle spese assistenziali e lo Stato cercò di
fronteggiare il suo bisogno di liquidità emettendo carta moneta. La lira perse così ancor
più valore, andando incontro a una pesante
svalutazione.
Nel contempo, l’inflazione raggiunse
vertici impensabili solo pochi anni prima:
toccò il 24% nel 1974 e per tutta la seconda metà del decennio oscillò tra 10% e 20%,
causando gravi difficoltà finanziarie a molte
famiglie. Ad alimentarla erano non solo tradizionali elementi inflazionistici come l’aumento della moneta circolante e la crescita
del prezzo dei beni al consumo, ma anche la
cosiddetta «scala mobile», un meccanismo
adottato nel 1975 per accordo di sindacati
e industriali che assicurava l’adeguamento
automatico dei salari al costo della vita.
Nel complesso, il Pil calò del 3,6% nel
solo 1975. Quando poi il governo adottò politiche deflazionistiche intese a ridurre la
quantità di moneta circolante, il costo del
denaro crebbe e ottenere prestiti divenne
ancora più difficile. Ne derivarono nuove
ondate di chiusure aziendali e licenziamenti, e molti italiani ricorsero al «lavoro nero»,
non garantito dal punto di vista previdenziale e mal retribuito, ma nascosto alle autorità e dunque svincolato dall’obbligo fiscale:
una risposta emergenziale dei cittadini alle
circostanze straordinariamente difficili in
cui versava l’economia nazionale.
Enrico Berlinguer.
DC e PCI: «compromesso
storico» e «solidarietà nazionale»
Agli occhi di molti elettori, le difficoltà del
sistema politico ed economico italiano avevano una causa ben definita: trent’anni di
potere incontrastato della Democrazia cristiana e la mancanza di una forza di governo
alternativa al partito di centro cattolico. Era
dunque responsabilità del principale partito di opposizione, il PCI, proporsi come
interlocutore credibile per il cambiamento.
A indicare la nuova strada fu nel 1973 Enrico Berlinguer, appena eletto segretario
del Partito comunista. Egli temeva che un
ingresso dei comunisti al governo avrebbe
rafforzato le tentazioni autoritarie della destra. Per questo escluse l’ipotesi di un governo delle sinistre anche nel caso queste avessero ottenuto la maggioranza parlamentare.
L’esperienza drammatica del Cile (dove nel
settembre del 1973 il colpo di Stato di Pinochet aveva rovesciato il governo comunista
democraticamente eletto di Allende) dimostrava, secondo Berlinguer, la necessità di
un «compromesso storico», cioè una collaborazione fra cattolici e comunisti. Cercò
inoltre di sganciarsi dalla tutela dell’Unione
Sovietica, condannando la repressione della
«Primavera di Praga» del 1968 e lanciando il
progetto di un comunismo europeo autonomo da Mosca.
Berlinguer riuscì in questo modo a intercettare il consenso di molti italiani moderati,
Questa difficile fase della storia italiana trovò
un culmine inaspettato e tragico nella primavera del 1978. Il 16 marzo, un commando
delle Brigate Rosse rapì a Roma Aldo Moro
e uccise i cinque uomini della sua scorta.
L’obiettivo dei terroristi era chiaro: colpire
il progetto di un’eventuale partecipazione
al governo dei comunisti attraverso il politico democristiano, che più di tutti aveva
voluto il dialogo tra i moderati e la sinistra.
Il rapimento e la strage
della scorta disorientarono l’opinione pubblica del paese, che subito
si spaccò. Da un lato
c’erano quanti sostenevano la necessità di
trattare con i brigatisti
e scarcerare i compagni
detenuti per ottenere
la liberazione di Moro.
Dall’altra stavano coloro che rifiutavano di
cedere sostenendo che
ogni trattativa avrebbe
compromesso la credibilità dello Stato. Anche i partiti si divisero
aspramente. Il governo
Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse, 1978.
e i comunisti scelsero
la fermezza, mentre socialisti e parte dei
democristiani si orientarono alla trattativa.
Le affannose ricerche del covo brigatista non produssero risultati e a niente servì
l’appello per la liberazione di Moro rivolto ai
terroristi dal pontefice Paolo VI, mentre ulteriore disorientamento generavano gli accorati messaggi che Moro stesso indirizzava
ai politici e agli italiani dalla sua prigionia.
Il luogo del rapimento Moro e del massacro della sua scorta con
automobili vuote crivellate dai colpi, 16 Marzo 1978, Roma.
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14 L’Italia dal Sessantotto al «riflusso»
Il mondo diviso dalla Guerra fredda
Dopo 54 giorni di prigionia le BR uccisero
lo statista. Il suo corpo venne ritrovato il 9
maggio nel bagagliaio di un’automobile, in
pieno centro di Roma (in via Fani), non distante dalle sedi di DC e PCI. La sua morte
segnò l’apice degli «anni di piombo» e diede
un colpo fatale al dialogo tra cattolici e comunisti: il prezzo da pagare per il confronto
era infatti troppo alto.
La stagione delle ultime
riforme nei tardi anni Settanta
Nonostante le gravi turbolenze politiche e sociali, la «solidarietà nazionale» aveva fruttato
un’ultima, poderosa stagione di riforme.
Nel 1978 furono approvate quattro importanti leggi. Una prevedeva l’introduzione del cosiddetto «equo canone», vale a dire
l’imposizione di prezzi controllati nel mercato degli affitti, e veniva incontro alla «fame
di case» degli italiani. Un’altra, la legge 180,
anche detta «legge Basaglia», chiudeva gli
ospedali psichiatrici (dove spesso i malati
venivano tenuti in condizioni disagiate) e
innovava profondamente i metodi di cura
dei malati mentali. Con una terza legge si
creò il Sistema sanitario nazionale, che
garantiva assistenza medica gratuita a tutti
i cittadini ed estendeva il ruolo del Welfare
State italiano. L’ultima, la più discussa, legalizzava l’aborto. Era la legge 194, che consentiva l’interruzione di gravidanza presso
le strutture pubbliche entro i primi novanta giorni di gestazione. Introdotta dopo furibonde polemiche, venne sottoposta nel
1981 a referendum abrogativo. E come già
accaduto a proposito del divorzio, il fronte
conservatore fu sconfitto: il 68% dei votanti
confermò la legge.
Questi provvedimenti testimoniavano
ancora la volontà della politica di guidare
il cambiamento del paese. Ma furono un
segnale estremo. Nel 1979, il PCI chiese di
entrare al governo. Ma la DC, che aveva appena immolato Moro sull’altare del dialogo,
rifiutò. E anche gli Stati Uniti si mostrarono contrari. Il risultato fu un nuovo scioglimento delle Camere: la legislatura era
durata appena tre anni. Dopo il voto, che
confermò le posizioni dei partiti maggiori,
il PCI passò all’opposizione: la «solidarietà
nazionale» era finita. E si apriva un nuovo
periodo di instabilità politica.
14.4 Gli anni Ottanta:
l’Italia del «riflusso»
La crisi dei partiti
e il «pentapartito»
Nel 1978, il Parlamento elesse come presidente della Repubblica il socialista Sandro
Pertini. Uomo già ultraottantenne ma dinamico, Pertini si conquistò immediatamente
l’affetto degli italiani per il suo spirito indipendente, per il suo stare dalla parte dei cittadini, per la bonarietà e la simpatia dei suoi
interventi pubblici.
Fu però quest
o il solo segnale di
rinnovamento proveniente dalle istituzioni.
Terminata l’esperienza del «compromesso
storico», la Democrazia cristiana tornò a
guidare governi di centro che avevano breve
durata e corto respiro politico. E si dovette
attendere il 1981 affinché la presidenza del
Consiglio venisse affidata a una personalità non cattolica: il repubblicano Giovanni
Spadolini. Era la prima volta nel dopoguerra. Nacque allora la formula del «pentapartito», che avrebbe guidato l’Italia per circa
un decennio grazie all’intesa tra PRI, PLI,
DC, PSI e PSDI. Spadolini, nonostante gli
sforzi per mediare i contrasti fra i vari partiti
che governavano, fu costretto a rassegnare
le dimissioni nel dicembre 1982. A lui successe Amintore Fanfani che però riuscì a
Il presidente della Repubblica Sandro Pertini.
governare solo fino all’aprile dell’83. Le ricorrenti crisi di governo condussero, tuttavia, nel 1983 e nuovamente nel 1987 a nuove
elezioni anticipate. In una sola occasione, le
forze parlamentari agirono di comune accordo: nel 1985 per l’elezione del democristiano Francesco Cossiga a presidente della
Repubblica.
In tal modo, il solco che separava i cittadini dalla classe politica al potere, colpevole
di sprechi e inefficienza, si allargava sempre
più, mentre i partiti maggiori sperimentavano una profonda crisi interna. La Democrazia cristiana non riusciva a rinnovare
programmi e uomini: sfumava in questa
maniera il patto che ne aveva fatto la rappresentante dell’elettorato moderato per
lunghi decenni. Il Partito comunista invece
puntava tutte le sue carte sulla «questione
morale» – sulla necessità per l’Italia di un
governo competente e onesto – ma si trovava chiuso in una sterile opposizione politica. La morte di Berlinguer, nel 1984, lo privò inoltre di una guida davvero carismatica
e in sintonia con i suoi sostenitori.
Papa Giovanni Paolo II colpito da un colpo di
pistola sparato da Ali Agca, 13 marzo 1981.
La sconfitta del terrorismo e
le nuove minacce alla stabilità
dell’Italia
Il delitto Moro segnò il punto più alto e insieme l’inizio del declino delle Brigate Rosse. Quell’avvenimento scosse infatti molte
coscienze e portò finalmente un cedimento
nel sistema di complicità che permetteva ai
terroristi di nascondersi e agire impunemente: così accadde che nelle fabbriche gli operai
denunciassero per la prima volta i reclutatori delle BR. Lo Stato approvò poi le leggi sul
pentitismo , promettendo sconti di pena a
chi collaborava con la giustizia. Per questa
via, molti militanti si arresero e la struttura armata clandestina del terrorismo rosso
venne abbattuta nel giro di pochi anni.
Sulla vita pubblica italiana gravavano però molte altre minacce. Nel giugno
1980, un DC-9 della compagnia aerea Itavia
esplose in volo nei cieli di Ustica, causando
81 morti. Nel maggio 1981, mentre salutava
la folla in Piazza San Pietro, papa Giovanni
Paolo II fu raggiunto e gravemente ferito da
due colpi di pistola, esplosi dal killer turco
Mehmet Ali Agca, membro dell’organizzazione di estrema destra Lupi Grigi. In entrambi i casi, la magistratura indagò tra mil-
Il museo per la memoria di Ustica, con i rottami del DC-9.
le difficoltà e non poté accertare i mandanti
ultimi degli attentati.
Nello stesso 1981 venne alla luce la lista
dei 953 aderenti alla loggia massonica P2,
guidata da Licio Gelli. L’associazione segreta, cui appartenevano personalità politiche,
dell’esercito e dell’economia, lavorava per
una svolta autoritaria delle istituzioni. Nel
settembre 1982 fu ucciso il nuovo prefetto
di Palermo, l’uomo incaricato dallo Stato di
combattere la mafia: il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. E tra 1982
e 1986 furono assassinati, in circostanze
e con responsabilità mai chiarite, Roberto Calvi e Michele Sindona, tra i maggiori
esponenti del mondo bancario e finanziario
nazionale, coinvolti in molte torbide vicende economiche.
Nell’insieme, questi fatti accrescevano
nell’opinione pubblica la sensazione di
instabilità del nostro paese e impedivano
all’Italia una crescita democratica e serena.
© Loescher Editore – Torino
282
1945
Francesco Cossiga.
pentitismo: fenomeno
che coinvolse decine
di partecipanti alla lotta
armata terroristica.
I cosiddetti «pentiti»,
rivelando ai magistrati
importanti informazioni
(nomi, nascondigli,
responsabilità), godettero
di sconti di pena e
poterono tornare presto
in libertà.
© Loescher Editore – Torino
1957 Entra in produzione la Fiat 500
1961 Gagarin primo uomo nello spazio
1969 Armstrong primo uomo sulla Luna
1986 Incidente nucleare di Chernobyl
1990
283
3
14 L’Italia dal Sessantotto al «riflusso»
Il mondo diviso dalla Guerra fredda
L’esecutivo di Bettino Craxi
negli anni Ottanta
8 per mille:
meccanismo con cui lo
Stato italiano ripartisce,
in base alle scelte dei
contribuenti, l’8‰
dell’intero gettito fiscale:
tutti coloro che pagano le
tasse possono indicare
a chi destinare l’8‰ del
denaro da loro versato.
Anche i soldi di chi non
esprime una preferenza
vengono distribuiti sulla
base della suddetta
percentuale.
Ad approfittare dell’incerta situazione politica dei primi anni Ottanta fu il PSI di
Bettino Craxi. Grazie alle sue capacità comunicative, Craxi riuscì a fare del Partito
socialista il perno del panorama politico
italiano, nonostante raccogliesse poco più
dell’11% dei voti. E sotto la sua guida il paese sperimentò, nel cuore del decennio, un
governo di buona durata e concreta progettualità politica. L’esecutivo rimase infatti in
carica oltre mille giorni, tra le due elezioni
anticipate del 1983 e del 1987.
In tale periodo, grazie anche a una situazione internazionale favorevole, l’economia
italiana si riprese. Il Pil, la cui dinamica aveva dato segnali di ripresa già all’inizio del decennio, crebbe al ritmo del 3% annuo. L’inflazione, che per tutti gli anni Settanta era
stata l’incubo di politici e consumatori, fu
abbattuta sotto il 5%, grazie in buona parte
alla forte discesa del prezzo del petrolio. Gli
scioperi diminuirono drasticamente a causa della diminuita conflittualità sindacale,
la disoccupazione scese grazie alla ripresa
del sistema produttivo e le entrate fiscali
aumentarono, per via di un più stretto controllo sui redditi degli italiani. Nel 1984, Craxi riuscì anche a ridurre il peso della «scala
mobile», che tanto incideva sull’inflazione:
questa misura venne duramente osteggiata
dalla CGIL e dal PCI, che promossero a riguardo un referendum popolare e vennero
sconfitti. Il maggiore neo, sul piano economico, rimase l’altissimo debito pubblico:
113.000 miliardi di lire nel 1987, pari al 92%
del Prodotto interno lordo. Si trattava di un
problema che derivava da decenni di gestione inefficiente dei conti pubblici e che nessun governo, allora e dopo, riuscì a fronteggiare in maniera efficace.
Craxi ottenne importanti risultati anche in altri settori. Nel 1984, il governo
italiano e il Vaticano firmarono una revisione del Concor-
Bettino Craxi.
dato del 1929. Il cattolicesimo non fu più
«sola religione dello Stato», Roma smise di
versare ai sacerdoti un sostegno economico
e soprattutto divenne facoltativo l’apprendimento della religione a scuola, sostituibile con un’attività alternativa. In cambio la
Chiesa ottenne l’istituzione del sistema di
finanziamento dell’8 per mille .
In politica estera – pur accettando lo
schieramento in Italia dei missili nucleari
Cruise – il leader socialista condusse una
politica meno legata agli Stati Uniti di quella
praticata in quarant’anni di governi democristiani.
Il lungo governo Craxi rimase comunque un episodio. Dopo le elezioni del 1987,
tornarono gli esecutivi a guida DC. E solo il
crollo del comunismo, alla fine degli anni
Ottanta, diede al sistema politico italiano
una scossa tale da causarne un mutamento
radicale.
I mutamenti economici e
sociali negli anni del «riflusso»
Negli stessi anni in cui la politica stentava a
trovare una strada definita, la società italiana cambiava in profondità, in parte proprio
in seguito ai profondi mutamenti economici del periodo.
Le difficoltà economiche degli anni Settanta avevano messo in crisi la grande industria. Quella sostenuta dallo Stato, per esempio nei settori petrolchimico e siderurgico,
fu grandemente ridimensionata. E al Sud, a
causa della cattiva gestione, dovette addirittura chiudere i battenti. I gruppi privati,
come la Fiat, furono costretti a licenziare
e introdurre nuovi processi produttivi: la
catena di montaggio lasciò spazio ai primi
robot di fabbrica, sulla scorta del post-fordismo che si imponeva nell’intero Occidente.
Tutto ciò si tradusse in una considerevole
perdita di importanza sociale degli operai e
delle organizzazioni sindacali, protagonisti
delle lotte sociali e politiche del decennio
precedente. Epocale a questo riguardo fu
l’esito della vertenza che nel 1980 oppose la
Fiat stessa ai sindacati. Il progetto del grande gruppo industriale di ristrutturare la produzione con il licenziamento di ben 14.000
operai provocò scioperi e fortissime tensioni
sociali, cui risposero in ottobre i capireparto
e i quadri intermedi dell’azienda, che sfilarono in 40.000 per le vie di Torino chiedendo
la fine delle lotte a oltranza e la ripresa del
lavoro. Fu il segnale che il clima interno al
sistema di fabbrica italiano era cambiato. E
non a caso quello scontro si chiuse con l’accettazione, da parte delle centrali del sindacato, delle proposte dei padroni.
Crescevano nel contempo in tutta l’Italia
centrale e settentrionale le piccole e medie
imprese, spesso a conduzione familiare, che
da allora in poi avrebbero costituito il nerbo
della nostra economia. Indicate collettivamente con l’espressione «Terza Italia», esse
dimostrarono infatti una grande capacità di
adattarsi velocemente ai bisogni del mercato,
soprattutto perché non gravate dalle lentezze
che affliggevano aziende con migliaia e migliaia di operai. I salariati delle piccole e medie imprese, per esempio, trattavano spesso
i rapporti di lavoro direttamente con la proprietà, senza la mediazione dei sindacati.
Soprattutto, però, si sviluppò il settore
dei servizi. Nel 1985, il terziario occupava
il 54% dei lavoratori, contro il 34% dell’industria e appena il 12% dell’agricoltura. Furono dunque impiegati, commercianti, professionisti e tecnici a prendere il posto degli
operai come ceto di riferimento delle analisi
sul «sistema Italia». E furono le loro scelte a
determinare il clima dominante nell’epoca
del cosiddetto «riflusso». Gli anni Ottanta
videro infatti un netto ridimensionamento
delle battaglie ideologiche, sostituite da un
nuovo interesse per la sfera privata della
vita. Niente più cortei, manifestazioni, occupazioni. E grande preoccupazione invece
per la carriera, per divertimento e felicità,
per una vita affettiva appagante. Era un ripiegamento sull’individualità giustificato
dalla stanchezza e dalla delusione per gli
scarsi risultati ottenuti nel precedente decennio di lotte.
La lotta alla mafia
Un discorso a parte merita il problema della
mafia e della lotta dello Stato contro questa
potente organizzazione criminale. La mafia,
nata verso la metà dell’Ottocento in Sicilia,
si è col tempo profondamente radicata nella società dell’isola, ramificandosi in diverse
altre regioni italiane e persino oltre i confini d’Italia. La sua vicenda è parallela e, per
molti versi, intrecciata a quella dello Stato
unitario.
Tra anni Settanta e Ottanta, la mafia af-
Il luogo dell’omicidio di Rocco Chinnici, capo dell’Ufficio istruzione del Tribunale
di Palermo che indaga sugli omicidi politici di mafia, 29 luglio 1983, Palermo.
fermò il proprio potere in Sicilia con metodi
brutali, eliminando chiunque si ponesse sulla sua strada. Furono uccisi in quel periodo
i giudici Cesare Terranova e Rocco Chinnici,
il procuratore di Palermo Gaetano Costa, il
presidente democristiano della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, il politico comunista Pio La Torre, «colpevole» di aver proposto una legge che attaccava i patrimoni
dei mafiosi. Al fine di sradicare il fenomeno
mafioso – obiettivo a cui lo Stato non ha mai
rinunciato, – nel 1982 fu inviato a Palermo
il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Egli
aveva ottenuto straordinari successi nella
lotta al terrorismo grazie all’uso di personale investigativo scelto, alla tecnica dell’infiltrazione e alla legislazione sui pentiti, e
sperava di minare con gli stessi strumenti
la compattezza della mafia siciliana. Dalla
Chiesa doveva infatti indagare sui vasti e
diversificati affari della mafia: dal traffico
internazionale di stupefacenti all’intrusione
nel sistema degli appalti pubblici, dal commercio di armi al riciclaggio di denaro spor-
© Loescher Editore – Torino
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1945
© Loescher Editore – Torino
1957 Entra in produzione la Fiat 500
1961 Gagarin primo uomo nello spazio
1969 Armstrong primo uomo sulla Luna
1986 Incidente nucleare di Chernobyl
1990
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3
14 L’Italia dal Sessantotto al «riflusso»
Il mondo diviso dalla Guerra fredda
Aule del bunker del maxi processo, 1986.
co attraverso attività lecite. Voleva infine
gettare uno sguardo sui rapporti tra uomini
di mafia e uomini politici, diventati ormai
sistematici e che prevedevano lo scambio di
favori reciproci: diffusissima era per esempio la pratica illecita del «voto di scambio»,
che prevedeva l’assegnazione di un appalto
a un’impresa controllata dalla mafia dietro
la garanzia di ricevere un certo numero di
voti in una consultazione elettorale.
Dalla Chiesa fu ucciso in un attentato a
Palermo poco dopo il suo arrivo nella città.
L’omicidio scioccò profondamente l’opinione pubblica italiana e segnò finalmente una
svolta nell’azione dello Stato. Tra 1986 e 1987
si svolse a Palermo il primo maxi processo
che vedeva imputati boss del calibro di Luciano Liggio e Michele Greco. Furono comminati diciannove ergastoli, mentre le norme sui pentiti – applicate alla mafia proprio
come desiderava Dalla Chiesa – iniziarono a
scalfire l’omertà caratteristica dell’«onorata
società», producendo vistose defezioni tra le
sue fila. Tutto ciò non fu che l’inizio di una
lotta più aspra che è in corso ancora oggi.
1968-1969
Protesta degli studenti
e degli operai
1969-1982
Terrorismo
1970
Statuto dei lavoratori
1974
Referendum sul divorzio
I NODI DELLA STORIA
Gli anni Settanta furono certamente un momento difficile per
l’Italia e il mondo intero. Gli effetti della grande crescita economica successiva alla fine della Seconda guerra mondiale
erano terminati già sul finire del decennio precedente e la crisi
petrolifera successiva ai conflitti arabo-israeliani, determinò un
momento difficile nell’economia mondiale. La crisi di leadership
degli Stati Uniti, determinata dalla frustrazione per l’andamento
fallimentare della guerra in Vietnam, conobbe il suo punto più
basso con le incolori presidenze dei successori di Nixon negli
anni Settanta.
In Italia, l’avvio della crisi coincise con l’inizio di una delle stagioni più fosche della storia repubblicana: i cosiddetti «anni di
piombo». La violenza politica, che era stata sporadica e limitata a pochi e gravi momenti di tensione negli anni precedenti,
esplose all’indomani della strage di piazza Fontana, l’oscuro
avvio di quella che sarebbe stata chiamata la «strategia della
tensione». La conflittualità sociale e politica, altissima all’indomani del Sessantotto studentesco e operaio, travalicò spesso i
limiti del normale confronto politico per trasformarsi in un scontro duro e spesso violento. La presenza di una numericamente
limitata ma decisa area neofascista generò un confronto, con i
militanti di opposta fede politica, che spesso sfociò in pestaggi,
ferimenti e uccisioni. A partire dalla metà del decennio, come
si è visto, accanto alla minaccia stragista della destra eversiva
286
© Loescher Editore – Torino
comparve la violenza terroristica delle Brigate Rosse e degli
altri gruppi armati di estrema sinistra. La minaccia del terrorismo rosso avrebbe toccato il suo apice con il delitto Moro e la
lunga scia di sangue degli anni immediatamente precedenti e
successivi.
Sarebbe un errore, tuttavia, descrivere quel decennio solo all’insegna della cupa violenza e della stagnazione economica. In realtà si trattò di un’epoca controversa, caratterizzata da profonde
passioni e da una generale modernizzazione del paese. Il referendum sul divorzio, con la conferma dell’istituto votato qualche anno prima, faceva entrare l’Italia nel novero delle nazioni
giuridicamente più evolute, così come il varo dello Statuto dei
lavoratori, se non fu in grado di limitare la conflittualità sociale,
ne determinò i confini normativi. Nel clima di collaborazione, difficile e controverso quanto si vuole, tra forze politiche di matrice
ideologica molto diversa, furono votate leggi di riforma fondamentali. La legge 180 che, recependo le migliori esperienze del
riformismo psichiatrico italiano, metteva fine alla vergogna del
sistema manicomiale; la legge che autorizzava l’aborto; la
riforma sanitaria, che stabiliva il principio del diritto universale
alla salute gratuita e pubblica. La scuola elementare fu resa più
moderna ed efficiente; il nuovo diritto di famiglia mise fine a
decenni di subalternità femminile nelle famiglie e nelle aule dei
tribunali.
Alla fine degli anni Sessanta, un grande movimento di protesta attraversa
l’Italia e ha i suoi protagonisti negli studenti, negli operai e nelle donne.
Tra anni Sessanta e Settanta si creò e crebbe il divario tra società italiana, che
mutava in profondità, e classe politica al governo. L’incapacità del centrosinistra di
modernizzare il paese con riforme adeguate favorì il sorgere di forti tensioni, che
ebbero al centro le tradizionali istituzioni della società: la scuola, il mondo del lavoro,
la famiglia. Nel 1968 la protesta studentesca contro l’autoritarismo e l’arretratezza
dell’istruzione dilagò in scuole e università. Nel 1969, furono gli operai a rivendicare regole più giuste e retribuzioni più alte per il lavoro, ottenendo dal Parlamento
lo Statuto dei lavoratori, che riequilibrava i rapporti di fabbrica tra padronato e
manodopera. Partì infine una lunga battaglia per l’allargamento dei diritti civili, che
culminò nel 1970 con l’introduzione legislativa del divorzio, confermata anche da
un referendum popolare nel 1974.
2 1975
Riforma del diritto di famiglia
Gli anni Settanta in Italia: solo «anni di piombo»?
1 1976-1979
«Solidarietà nazionale»
1978
Rapimento e uccisione
di Aldo Moro
1980
Attentato alla stazione
di Bologna
1981-1992
Governi di pentapartito
1983-1986
Governo Craxi
Gli anni Settanta sono gli anni del terrorismo, di destra e di sinistra, che
punta a destabilizzare il paese per abbattere la democrazia. Fuori dal gioco
della democrazia repubblicana si posero quanti vollero rivolgere istituzioni e società
con la violenza. Il terrorismo di destra si richiamava all’esperienza fascista e si
nutriva di importanti collusioni con forze armate e servizi segreti. Tra 1969 e 1980 si
macchiò di numerosi e sanguinosissimi attentati: a Milano nel 1969, a Brescia e sul
treno Italicus nel 1974, a Bologna nel 1980. Il terrorismo di sinistra, che ebbe nelle
Brigate Rosse la sigla più nota, tra metà anni Settanta e primi anni Ottanta scelse la
strada degli omicidi politici contro magistratura, polizia, avvocatura, politica, mondo
giornalistico. Pur muovendo da ispirazioni ideologiche contrapposte, terroristi di destra e di sinistra avevano il medesimo obiettivo: sovvertire l’ordine democratico. In
senso conservatore i primi, in senso rivoluzionario marxista i secondi.
3 La gravissima crisi economica e sociale dell’Italia viene affrontata e superata grazie al «compromesso storico» tra Democrazia cristiana e Partito comunista. A tutto ciò, il mondo politico rispose con una nuova formula di
governo. Il centrosinistra fu sostituito dal «compromesso storico», e costruito sul
dialogo tra Democrazia cristiana e Partito comunista. Con l’appoggio esterno del
PCI, DC e moderati affrontarono la crisi sociale, le gravi difficoltà economiche seguite allo shock petrolifero del 1973 e l’emergenza di ordine pubblico incombenti sul
paese. Furono gli anni della «solidarietà nazionale», inaugurata nel 1976 e messa a
durissima prova, già nella primavera 1978, dal rapimento e dall’uccisione del democristiano Aldo Moro per mano delle Brigate Rosse. L’anno successivo, il PCI chiese
di entrare al governo. Avuta risposta negativa, tornò all’opposizione. Il fragile dialogo
tra cattolici e comunisti si ruppe così definitivamente e il paese tornò sotto la guida
di ministeri a presidenza DC.
4 Superata l’emergenza, gli anni Ottanta sono un periodo di crescita economica e di ripiegamento dalle ideologie politiche al privato. Negli anni
Ottanta crebbe l’instabilità politica dei governi (unica eccezione fu l’esecutivo del
socialista Bettino Craxi tra 1983 e 1986). E aumentò la sfiducia dei cittadini verso i
partiti. L’economia tornò a crescere: Pil, produzione e occupazione si incrementarono, l’inflazione scese, la lira riacquistò stabilità. Si assistette al declino della grande
industria, di Stato o privata. Si affermarono le piccole e medie imprese, più flessibili
e dinamiche, e soprattutto il settore terziario, che finì per occupare oltre la metà dei
lavoratori italiani. Nel contempo, una società imperniata non più sulla classe operaia
ma sui ceti medi sperimentò il cosiddetto «riflusso»: rifiuto delle ideologie e delle
lotte che avevano caratterizzato il decennio precedente e ripiegamento dell’individuo
sulla sua vita privata.
© Loescher Editore – Torino
287
3
14 L’Italia dal Sessantotto al «riflusso»
Il mondo diviso dalla Guerra fredda
Una stagione di lutti e lapidi:
il terrorismo in Italia
Con la strage di piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 1969, in Italia cominciò la fase della cosiddetta
«strategia della tensione», scandita da attentati terroristici e tentativi di colpi di Stato. Una serie di trame
oscure che coinvolsero esponenti di estrema destra e servizi segreti, nazionali e internazionali, cercarono
di porre fine ai profondi movimenti sociali e politici del ‘68 e ‘69 e di imporre la necessità di una svolta autoritaria e antidemocratica. L’Italia infatti era considerata un paese di confine nella geopolitica della Guerra
fredda, alleata della NATO, ma sede del più importante Partito comunista occidentale. Dai primi anni Settanta,
al terrorismo «di destra» si aggiunse il terrorismo «di sinistra», compiuto da piccoli gruppi clandestini che
avevano scelto la lotta armata in nome della «rivoluzione».
Le manifestazioni contro il terrorismo
Oltre ai funerali per le vittime del terrorismo, le manifestazioni contro la violenza rappresentavano forme di riappropriazione di uno
spazio pubblico (vie e piazze), lacerato dai conflitti sociali e politici. In particolare, contro il terrorismo «di sinistra», che contava su
consensi e appoggi nel mondo studentesco e operaio, furono decisive le manifestazioni, spontanee o organizzate dai sindacati e
dai partiti politici. Queste manifestazioni, infatti, cercarono di isolare i terroristi e i loro fiancheggiatori, denunciandone la presenza
nelle fabbriche e nelle università. Particolarmente memorabile fu la manifestazione che si svolse a Torino, nel novembre 1977,
all’indomani dell’assassinio del vicedirettore de «La Stampa», Carlo Casalegno, da parte delle Brigate Rosse.
I funerali come riti collettivi
In quella stagione segnata dalla violenza terroristica, i funerali delle vittime furono riti collettivi fondamentali, pregni di significati simbolici. Furono
infatti l’occasione di mobilitazione da parte della società civile, che si
opponeva agli atti di destabilizzazione della Repubblica democratica e
che testimoniava la propria volontà di resistere all’obiettivo prioritario del
terrorismo: incutere paura all’opinione pubblica e costringerla nelle proprie case. Il primo, imponente funerale si svolse per le 14 vittime di piazza
Fontana, il 15 dicembre 1969: alle centinaia di migliaia di partecipanti
fecero da servizio d’ordine gli operai di Sesto San Giovanni.
Manifestazione contro il terrorismo: militanti comunisti e democristiani sfilano assieme.
La contrapposizione politica e ideologica
Il clima di contrapposizione politica e ideologica che segnò il periodo del terrorismo impedì che si riuscisse ad accertare la verità
giudiziaria di molti fatti violenti. Particolarmente rivelatore delle tragiche lacerazioni che segnarono gli anni Settanta è l’accostamento di due lapidi dedicate a Giuseppe Pinelli, l’anarchico accusato della bomba di piazza Fontana e precipitato dal quarto piano
della questura di Milano durante un interrogatorio. Le due lapidi offrono diverse versioni dell’accaduto: secondo la prima era «morto
tragicamente», per la seconda fu «ucciso innocente».
I funerali delle vittime della strage di Piazza Fontana, Milano, Piazza Duomo.
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© Loescher Editore – Torino
Lapide commemorativa di Giuseppe Pinelli: «morto tragicamente».
Lapide commemorativa di Giuseppe Pinelli: «ucciso innocente».
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14 L’Italia dal Sessantotto al «riflusso»
Il mondo diviso dalla Guerra fredda
Ragiona sul tempo e sullo spazio
Impara il significato
1
4
ATTIVITÀ
2
Osserva la cartina a p. 274 e illustra i settori di occupazione in Italia, individuando l’attività economica
prevalente al Nord, al Centro e al Sud.
1
2
3
4
5
6
7
8
Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento; poi distingui con tre colori diversi gli eventi
riconducibili all’autunno caldo, quelli che riguardano la strategia della tensione e quelli che si riferiscono al
terrorismo di sinistra.
1 Nel
viene approvato lo Statuto dei lavoratori, che accoglie molte richieste dei salariati, a cominciare dal
divieto per il padrone di licenziare senza una giusta causa
2 Nel
il referendum sul divorzio boccia la proposta abrogazionista avanzata da Chiesa cattolica e Democrazia
cristiana
3 Nel
le Brigate Rosse rapiscono il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro, che aveva mostrato una
certa apertura nei confronti del Partito comunista
4 Nel
ha luogo la strage della stazione di Bologna, compiuta da organizzazioni terroristiche di destra
5 Nel
le Brigate Rosse assassinano il procuratore della Repubblica di Genova Francesco Coco
6 Nel
ha luogo la strage di Piazza della Loggia a Brescia
7 Nel
una bomba esplode nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana, a Milano; è
l’inizio della «strategia della tensione»
8 Nel
il Parlamento approva la legge che istituisce il diritto al divorzio
9 Nel
muore Erico Berlinguer, guida carismatica del Partito comunista
10 Nel
viene introdotta la legge sull’aborto; la legge 194 consente l’interruzione di gravidanza presso le
strutture pubbliche entro i primi novanta giorni di gestazione
Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nel periodo del «riflusso».
5
Perbenismo borghese
Conformismo
Evasione fiscale
Loggia massonica
Morti bianche
Picchettaggio
Depistaggio
Autogestione
Prova a riflettere sul significato di «battaglie civili» e, alla luce di quello che hai letto nel capitolo, spiega a che cosa si
riferiscono; scrivi poi un esempio di battaglia civile dei giorni nostri.
Osserva, rifletti e rispondi alle domande
6
Osserva la mappa concettuale relativa alla situazione italiana dal Sessantotto agli anni Ottanta.
Poi rispondi alle domande.
La situazione sociale e politica italiana dal Sessantotto agli anni Ottanta
Esplora il macrotema
3
Completa il testo.
La contestazione giovanile iniziata nel 1968 dà avvio a un decennio di alta conflittualità politica e
sociale; conclusosi il Sessantotto studentesco, infatti, lo scontro si sposta nelle fabbriche. Qui, durante
il cosiddetto «(1)
caldo» del 1969, le trattative per il rinnovo dei (2)
permettono agli operai di unirsi per chiedere una riforma più generale delle norme che disciplinano il
lavoro. Le contestazioni investono l’assoluta libertà di licenziamento da parte degli imprenditori, le forti
(3)
di retribuzione tra Nord e Sud d’Italia, la scarsa sicurezza dell’ambiente di fabbrica,
il basso livello generale dei salari e la troppo rigida disciplina di reparto.
Se in un primo momento le rivendicazioni degli operai colgono impreparate le organizzazioni
sindacali, successivamente i tre grandi (4)
(CGIL, CISL e UIL) riescono a riprendere
in mano la situazione, ottenendo importanti conquiste sia sul piano contrattuale (innalzamento dei
(5)
) che su quello dei diritti (Statuto dei lavoratori).
Le lotte studentesche e operaie hanno l’effetto di generare una forte politicizzazione a sinistra di buona
parte della società italiana, nonché la formazione di (6)
extraparlamentari e un forte
consenso nei confronti del PCI. Tuttavia, già a metà degli anni Sessanta emerge da destra una concreta
minaccia, portata avanti da forze che intendono impedire quello spostamento verso (7)
dell’asse della politica italiana che si profilava con l’arrivo dei socialisti al governo. Formazioni come
Ordine nuovo o Avanguardia nazionale, che si richiamano apertamente al (8)
, danno
avvio alla cosiddetta «strategia della tensione»: una lunga serie di attentati terroristici, inaugurati dalla
strage di piazza Fontana a (9)
, il cui obiettivo è quello di colpire l’Italia con violenze
e attentati incolpando la sinistra. Ciononostante le colpe della destra emergono presto, così come il
coinvolgimento negli attentati di parte degli apparati dello (10)
.
Mostra quello che sai
7
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© Loescher Editore – Torino
1 Quali fattori determinano la crisi sociale degli anni Settanta?
2 Perché i governi di centrosinistra entrano in crisi?
3 In che senso si parla di «riflusso» negli anni Ottanta?
Osserva l’immagine a p. 279 (a destra): che cosa rappresenta? Qual è il suo valore simbolico?
© Loescher Editore – Torino
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