SOMMARIO La sintesi 181 di Carlo Garbarino RIFORMA FISCALE Profili internazionali della participation e dividend exemption 183 di Carmine Carlo Il nuovo computo del credito d’imposta nel caso di perdite conseguite all’estero 188 di Pierpaolo Rossi Le regole del consolidato fiscale nazionale per la stabile organizzazione di società non residente 196 di Giovanni D’Abruzzo Il regime di trasparenza fiscale in presenza di soci non residenti 201 di Gesuino Vanetti Aspetti comparati del consolidato fiscale: la disciplina tedesca 205 di Paola Marongiu DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE Lo scambio di partecipazioni come strumento di riorganizzazione in ambito nazionale - seconda parte 211 di Alessandro Umberto Belluzzo La presunzione di indeducibilità dei costi nei contratti di commissione 218 di Laura Spinoso Contributi versati dai membri di un GEIE alla sua stabile organizzazione in Italia di Sebastiano Garufi 224 DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO Approvate le norme che recepiscono la Direttiva 2003/48/CE 229 di Piero Bonarelli Recenti sviluppi della Convenzione “arbitrale” in materia di prezzi di trasferimento 234 di Giovanni Rolle Maggiorazione di conguaglio e dividendi: ritenute asimmetriche? 239 di Stefano Morri e Stefania Bernini IVA COMUNITARIA Lettera d’intenti, un nuovo adempimento per i fornitori di esportatori abituali 247 di Gianluca Alparone Maggio-Giugno 2005 179 SOMMARIO La presunta esenzione degli acquisti strumentali per attività esenti 250 di Ferdinando M. Spina SCHEDE PAESE A cura di Giovanni Rolle e Chiara Mejnardi Romania 255 OSSERVATORIO INTERNAZIONALE a cura di Saverio Cinieri e Rosanna Acierno FISCO OGGI - Rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate 262 QUESITI DI FISCALITÀ INTERNAZIONALE 266 DOCUMENTAZIONE 269 Nota riveduta, Consiglio dell’Unione Europea, Bruxelles 31 marzo 2005 Comunicato, Commissione europea, 16 marzo 2005, IP/05/304 273 IN COLLABORAZIONE CON REDAZIONE Per informazioni in merito a contributi, articoli ed argomenti trattati scrivere o telefonare a: AMMINISTRAZIONE Per informazioni su gestione abbonamenti, numeri arretrati, cambi d’indirizzo, ecc. scrivere o telefonare a: IPSOA Redazione RIVISTA BIMESTRALE DI APPROFONDIMENTO IN MATERIA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E FINANZIARIO EDITRICE Wolters Kluwer Italia s.r.l. 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FISCALITÀ INTERNAZIONALE “La sintesi” n. 3/2005 di Carlo Garbarino(*) In questo numero della Rivista ci occupiamo di alcuni importanti sviluppi della riforma fiscale in tre diverse aree. La prima area attiene alla dividend exemption ed alle interrelazioni di questa disciplina con quella del credito per le imposte assolte all’estero, anche nei casi particolari di perdite conseguite all’estero. La seconda area attiene alle tematiche generali delle nuove forme di consolidamento fiscale, e quindi, da un lato, alle regole del consolidato fiscale nazionale per la stabile organizzazione di società non residente, e, dall’altro lato, al regime di trasparenza fiscale in presenza di soci non residenti. Inoltre, sempre in questa area di approfondimento, pubblichiamo un importante studio comparatisco del consolidato fiscale italiano e tedesco (che segue il precedente lavoro comparatistco sul consolidato mondiale pubblicato sulla Rivista). In particolare, per quanto attiene la participation exemption si analizzano, sia con riguardo alle plusvalenze che ai dividendi, i casi un cui la partecipata estera abbia ovvero non abbia la residenza in un paese Black list, soffermandosi sulle tematiche connesse al credito per le imposte assolte all’estero. In particolare si ricorda che in base all’art. 165 del TUIR, comma 10, nel caso in cui ai dividendi di fonte estera risulti applicabile l’art. 89 del TUIR, con una tassazione del solo 5% del dividendo percepito, anche le relative imposte assolte all’estero sono detraibili nel limite del 5% delle stesse. In questo settore particolare interesse desta il tema del nuovo computo del credito d’imposta nel caso di perdite conseguite all’estero. In generale il trattamento accordato dal sistema italiano risulta ora più vantaggioso del regime di credito di cui al previgente articolo 15 del Testo Unico. Sono forniti numerosi esempi numerici e casi pratici che dimostrano questa vantaggiosità; in particolare si evidenzia che la disciplina interna di cui all’articolo 165 può essere invocata dall’impresa italiana, in quanto più favorevole, in caso di perdite pregresse conseguite all’estero. Con riferimento invece alle tematiche del consolidato nazionale e della trasparenza, il tema comune oggetto di indagine in questo numero della Rivista è l’ipotesi di soci non residenti. E quindi, nell’articolo in materia di consolidato nazionale, si tratta delle società non residenti, dei caratteri della disciplina convenzionale con lo Stato di residenza della società estera, degli elementi di qualificazione della stabile organizzazione ai fini della tassazione di gruppo, nonché dei problemi interpretativi suscitati dal requisito della “connessione effettiva” e delle modifiche introdotte dallo schema di decreto correttivo dell’IRES in corso di approvazione. Lo schema di decreto legislativo, approvato dal Consiglio dei ministri il 18 marzo sostituisce infatti il rapporto di “connessione effettiva” con un immediato collegamento delle partecipazioni sociali con la sfera patrimoniale della stabile organizzazione, su cui sono svolti interessanti approfondimenti nel testo. Parimenti, in materia di trasparenza, il comma 2 dell’art. 115, non preclude l’opzione per la trasparenza fiscale alle società che annoverano tra i propri soci soggetti non residenti, a condizione che non vi sia alcun obbligo di ritenuta sugli utili distribuiti agli stessi. Si dimostra al riguardo che tale situazione si verifica se sono adempiuti i presupposti applicativi dell’art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973, ovvero se la partecipazione nella società trasparente sia relativa ad una stabile organizzazione italiana del socio estero. Per quanto riguarda infine il consolidato fiscale provvediamo ad effettuare in questo numero della Rivista una efficace sintesi dei tratti essenziali dell’istituto tedesco dell’Organschaft, analizzandone gli elementi strutturali, - e cioè: soggetto controllante (Organträger), soggetto controllato (Organgesellschaft), requisito (*) Professore Associato di Diritto tributario, Università Bocconi, Milano. Coordinatore del Comitato Tecnico Internazionale, Università Bocconi. Maggio-Giugno 2005 181 dell’integrazione finanziaria (finanzielle Eingliederung), contratto di trasferimento di utili (Gewinnabführungsvertrag), - per individuare la nozione di reddito globale di gruppo comparativamente considerata rispetto al sistema italiano. Per quanto riguarda la sezione “Diritto tributario internazionale” riprendiamo l’analisi dello scambio di partecipazioni come strumento di riorganizzazione in ambito nazionale e ci soffermiamo sul conferimento di partecipazioni, evidenziando in particolare che il correttivo IRES consente ora lo scambio di partecipazioni anche alle persone fisiche non imprenditori, ma ha lasciato alcune incertezze riguardo al regime di “neutralità” e alle differenze di “contabilizzazione”, tra lo scambio di partecipazioni mediante conferimento di cui all’art. 175, comma 1, e lo scambio di partecipazioni mediante conferimento di cui all’art. 177, comma 2; tali incertezze tuttavia sono risolvibili nella prospettiva della introduzione dei principi contabili internazionali. Altro tema di “pianificazione fiscale” è quello della indeducibilità dei costi per operazioni intercorse con imprese domiciliate in Paesi a fiscalità privilegiata, con riferimento al caso del soggetto italiano che agisce in qualità di commissionario per la vendita di prodotti per conto di un committente domiciliato in un Paese a fiscalità privilegiata. L’interposizione di carattere reale del commissionario tra il committente estero ed i clienti finali italiani pone infatti il problema dell’individuazione del soggetto destinatario tenuto ad assolvere l’onere probatorio previsto dal comma 11 dell’articolo 110 del TUIR. Nel testo si dimostra che la risoluzione ministeriale del 1 febbraio 2005 n. 12/E offre l’occasione per analizzare la reale portata applicativa della norma e pone in evidenza le difficoltà dell’interprete di fronte a talune ipotesi in cui non è configurabile una concreta applicabilità della norma. Per quanto riguarda la giurisprudenza su temi comunitari, in questo numero consideriamo una importante posizione assunta nella sentenza del 23 settembre 2004, causa 19152, dalla Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi riguardo al regime fiscale dei dividendi pagati da società figlie residenti in Italia a società madri localizzate in altri Stati membri. La Suprema Corte ha enunciato alcuni importanti principi relativi al rapporto tra la Convenzione con i Paesi Bassi e la Direttiva CEE 90/435, ed al riguardo si rimanda al testo. Infine con la risoluzione 15 febbraio 2005, n. 18/E, che qui si commenta, l’Agenzia delle Entrate ha risposto ad un’istanza di interpello presentata ai sensi dell’art. 11 dello Statuto dei contribuenti, per conoscere il trattamento fiscale, ai fini IRES ed IVA, dei contributi versati dai membri di un GEIE non residente ad una stabile organizzazione in Italia. L’Agenzia delle Entrate ritiene che i contributi erogati dai membri del GEIE alla stabile organizzazione situata in Italia costituiscono corrispettivi per le prestazioni di assistenza e promozione che essa fornisce, per loro conto, a distributori e clienti finali in Italia, non già dei contributi in senso proprio. Per concludere, in tema di IVA comunitaria, affrontiamo i problemi applicativi relativi alla lettera d’intenti, un nuovo adempimento previsto per i fornitori di esportatori dalla legge finanziaria per il 2005; trattasi dell’obbligo di comunicare all’Amministrazione finanziaria, i contenuti delle lettere d’intenti ricevute, ossia di quelle dichiarazioni rese a tali soggetti dagli esportatori abituali che attraverso questa procedura possono effettuare acquisti di beni e servizi in sospensione di imposta ex art. 8 comma 1 lettera c del D.P.R. 633/72. Altro tema di indagine, sempre in materia di IVA comunitaria è l’esenzione degli acquisti strumentali per attività esenti: la vigente lett. c dell’art. 13, parte B, della VI Direttiva IVA, sembra stabilire che il soggetto che svolge un’attività esente ha diritto ad acquistare in esenzione da imposta i beni strumentali; sulla interpretazione di tali disposizioni si è acceso un vivace dibattito, oggetto di compiuta analisi nel testo. 182 Maggio-Giugno 2005 RIFORMA FISCALE Profili internazionali della participation e dividend exemption di Carmine Carlo(*) 1. Premessa SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Participation exemption - Il criterio della residenza in un paese non Black list - 3. Cessione di partecipazioni in società Holding - 4. Dividend exemption Il criterio della non residenza in un paese Black list 5. Dividendi incassati per il tramite di Holding 6. Interrelazione con il novellato istituto del credito per le imposte assolte all’estero La Legge delega n. 80/2003 che prevedeva l’introduzione dei due nuovi istituti (participation e dividend exemption) ha trovato la sua attuazione a mezzo il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, che a sua volta ha modificato il Testo Unico delle Imposte sui redditi. Le Circolari Ministeriali n. 25/E, n. 26/E del 16 giugno 2004 e la n. 36/E del 4 agosto 2004 sono poi le prime circolari ministeriali in commento ai nuovi istituti ed alla nuova formulazione del credito per le imposte assolte all’estero (già presente all’art. 15 del vecchio TUIR). Con l’introduzione della dividend exemption, si è di fatto, determinato, il passaggio dal “vecchio regime” che, come noto, incentrava il prelievo fiscale in base alla situazione personale del socio (c.d. metodo dell’imputazione), al “nuovo regime” (c.d. metodo dell’esenzione) che incentra, invece, il prelievo sulla situazione oggettiva dell’impresa in quanto tale. In base a detta nuova impostazione, infatti, l’utile viene ad essere tassato al momento della sua produzione in capo alla società. La successiva distribuzione ai soci (diversi dalle persone fisiche e dagli enti non commerciali, per i quali sussiste ancora un’ulteriore tassazione, anche se solo in misura parziale) diviene, quindi, un episodio privo di concreta rilevanza fiscale. In particolare, stante il carattere quasi definitivo della tassazione in capo all’impresa, i dividendi distribuiti dalla stessa, in favore delle società socie sono, in sostanza, tassati in modo marginale (per il solo 5% dell’ammontare del dividendo percepito). In tale medesima ottica, e con riferimento l’introduzione della participation exemption, la cessione di partecipazioni, al verificarsi di determinate condizioni, non è più fonte di emersione di plusvalenze tassabili. In questo caso però, coerentemente, le eventuali minusvalenze realizzate riguardanti partecipazioni che danno diritto alla sono state rese fiscalmente indeducibili. Di seguito si analizzeranno i principali aspetti internazionali dei due nuovi istituti. 2. Participation exemption - Il criterio della residenza in un paese non Black list Ai sensi dell’art. 87 comma 1 lettera c) del TUIR affinché la plusvalenza possa fruire del regime di participation exemption deve sussistere (oltre gli altri requisiti previsti dagli altri commi dell’articolo 87) il requisito della residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o territorio diverso da quelli a regime fiscale privilegiato, o alternativamente, l’avvenuta dimostrazione che dalle partecipazioni non sia stato conseguito, sin dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati. Gli Stati o territori a fiscalità privilegiata sono individuati dal D.M. 21 novembre 2001, così come modificato dal D.M. 27 dicembre 2002 (cd. Black list). Il comma 2 del medesimo art. 87 del TUIR richiede poi che il requisito della residenza sussista ininterrottamente, al momento del realizzo, almeno dall’inizio del terzo periodo d’imposta anteriore al realizzo stesso. Come sottolineato dalla C.M. 36/E del 2004 tale ultima disposizione ha un carattere antielusivo volto a rendere irrilevanti i trasferimenti della residenza fiscale in prossimità della cessione delle partecipazioni, al fine di conseguire plusvalenze esenti su cessioni di partecipazioni altrimenti pri- (*) Membro del Comitato Tecnico Internazionale presso l’Istituto di diritto comparato dell’Università L. Bocconi di Milano e della Commissione di Fiscalità Internazionale dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano. Maggio-Giugno 2005 183 RIFORMA FISCALE ve dei requisiti previsti. Chiaramente, qualora la partecipata sia stata costituita da meno di tre anni (ad esempio da soli due anni), il requisito sarà soddisfatto se comunque per il periodo intercorrente dalla data di costituzione alla data di cessione la partecipata abbia avuto la residenza fiscale in un paese diverso da quelli a fiscalità privilegiata. Per eliminare dubbi sorti in dottrina la C.M. 36/E del 2004 ha chiarito che il requisito in esame deve essere verificato in capo alla società partecipata risultando irrilevante che la partecipazione sia stata detenuta, nel periodo triennale di riferimento, dallo stesso soggetto che consegue la plusvalenza ovvero dal suo dante causa, così come ininfluente è la modalità di acquisizione della partecipazione (acquisto, conferimento o altre operazioni di riorganizzazione aziendale). Qualora la partecipata risieda in uno Stato considerato Black list dai D.M. sopra richiamati, il regime della participation exemption è comunque applicabile se la partecipante italiana ottiene dall’Agenzia delle entrate un interpello positivo finalizzato a dimostrare che: a) qualora la partecipazione sia stata posseduta da meno di tre anni, almeno dall’inizio del terzo periodo d’imposta precedente quello della cessione (comma 2 dell’art. 87) (Tabella 1) oppure b) qualora la partecipazione sia detenuta da più di tre anni, sin dall’inizio del periodo di possesso (comma 1 lettera c) (Tabella 2) dalle partecipazioni non è conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati e, per ciò stesso, inseriti nelle cd. Black list. In particolare, il contribuente deve dimostrare, attraverso l’interpello, che i redditi conseguiti dalla società partecipata sono stati prodotti in misura non inferiore al 75% in Stati o territori diversi da quelli indicati nella Black list, ed ivi sottoposti integralmente a tassazione ordinaria(1). Nota: Cfr. P. Occhiuto, La participation exemption relativa alle plusvalenze, in Fiscalità Internazionale n. 1/2004; R. Fanelli, L’Agenzia delle entrate chiarisce la “participation exemption”, in Corr. Trib. 34/2004 pag. 2699 e ss.; A. Dodero, Residenza fiscale della società partecipata e rapporto tra interpelli, in Corr. Trib. 40/2004 pag. 3131 e ss. (1) Tabella n. 1 - Esempio n. 5 contenuto nel par. 2.3.3 della C.M. 36/E del 2004 Dati • Cessione della partecipazione avvenuta nel 2004; • Partecipazione acquisita nel 2002 in una società che nel 2004 risiede in un Paese non Black list in cui si è trasferita nel 2003 provenendo da un Paese Black list. Conseguenze Non risiede in un Paese non Black list dal terzo periodo di imposta anteriore al realizzo, come previsto dal comma 2 Può attivare l’interpello dimostrando che da almeno un triennio non ha conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati Per il periodo anteriore all’acquisto (ante 2002) la dimostrazione và fornita anche se il possesso era in capo ad un altro soggetto Se ha risposta positiva la partecipazione si qualifica per la participation exemption perché ha complessivamente almeno tre anni in Paesi non Black list ovvero Black list ma con interpello Tabella n. 2 - Esempio n. 9 contenuto nel par. 2.3.3 della C.M. 36/E del 2004 Dati • Cessione della partecipazione avvenuta nel 2004; • Partecipazione acquisita nel 1994 in una società costituita nel 1990 che nel 2004 risiede in un Paese non Black list in cui si è trasferita nel 2002 provenendo da un Paese Black list. Conseguenze Non risiede in un Paese non Black list dal terzo periodo di imposta anteriore al realizzo, come previsto dal comma 2 Può attivare l’interpello dimostrando che da fin dal 1994 non ha conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati Se ha risposta positiva la partecipazione è qualificabile per la participation exemption perché ha complessivamente più di tre anni in Paesi non Black list e Black list (questi ultimi “redenti” con interpello) 184 Maggio-Giugno 2005 RIFORMA FISCALE L’istanza di interpello può essere presentata da chiunque detenga una partecipazione potenzialmente qualificabile per l’esenzione, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di controllo o collegamento. Peraltro le C.M. 26/E e 36/E del 2004 hanno chiarito che per la partecipazione detenuta in una società residente nel Paese Black list la dimostrazione sulla delocalizzazione del reddito, resa ai fini della detassazione dei dividendi (per il 95% degli stessi), prevista dall’art. 89 comma 3 del TUIR, qualifica automaticamente ai fini del regime della participation exemption, senza la necessità di dover ripresentare un’altra istanza di interpello purché: - al momento della cessione sia decorso il periodo minimo triennale richiesto; - i presupposti dell’interpello siano rimasti invariati nel periodo successivo alla trattazione del medesimo e fino al momento del realizzo della partecipazione. Il regime di esenzione si applica, alle stesse condizioni anche alle plusvalenze realizzate a seguito della cessione di strumenti finanziari rappresentati o non da titoli ed emessi da soggetti non residenti a condizione che venga rispettato il duplice requisito richiesto dall’art. 44 comma 2, lettera b), del TUIR e cioè che: - si tratti di partecipazioni al capitale o al patrimonio di società ed enti non residenti; - la relativa remunerazione, se corrisposta da una società residente, sia totalmente indeducibile dal reddito di impresa secondo il disposto dall’art. 109 comma 9, lettera b), del TUIR(2). 3. Cessione di partecipazioni in società Holding Il comma 5 dell’art. 87 del TUIR prevede che “per le partecipazioni in società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni, i requisiti di cui alle lettere c) e d) del comma 1 si riferiscono alle società indirettamente partecipate e si verificano quando tali requisiti sussistono nei confronti delle partecipate che rappresentano la maggior parte del valore del patrimonio sociale della partecipante”. La norma riguarda la cessione di partecipazioni nelle cosiddette holding, intendendo per tali le società che hanno per oggetto esclusivo o prevalente della propria attività l’assunzione di partecipazioni. Per valutare l’attività prevalente, come sottolineato dalla C.M. 36/E del 2004 occorre mettere a confronto il valore corrente delle partecipazioni (e non quello contabile) con quello dell’intero patrimonio sociale, considerando anche gli avviamenti positivi e negativi anche se non iscritti. Al fine di qualificare per l’esenzione una partecipazione in una holding, il requisito di cui alla lettera c) (residenza in Paesi o territori diversi da quelli compresi nella Black list ed esercizio di un’impresa commerciale), congiuntamente con quello della lettera d) (commercialità) deve sussistere non in capo alla stessa holding, bensì in capo alle società da questa direttamente o indirettamente partecipate e alle relative stabili organizzazioni. La disposizione in esame persegue un’evidente finalità antielusiva, in quanto altrimenti il contribuente, al fine di beneficiare del regime della participation exemption (in presenza degli altri requisiti) avrebbe potuto collocare le partecipazioni non qualificate per l’esenzione (perché ad esempio la partecipata è residente in un paese Black list) nella holding e successivamente cedere la partecipazione in quest’ultima(3). Si ipotizzi, ad esempio, che la società A possegga una partecipazione immobilizzata nella holding H, che in via esclusiva gestisce partecipazioni in tre altre società, B, C, D. Se la società A cede la partecipazione in H, per valutare se la relativa plusvalenza si qualifichi per l’esenzione occorre verificare che le società indirettamente partecipate da A tramite la holding H, vale a dire B, C e D, siano in possesso dei requisiti richiesti dalla norma e, più precisamente, che: - esercitino una effettiva attività commerciale; - non siano residenti in paradisi fiscali. Si ipotizzi che il patrimonio di B, residente in un Paese Black list, sia pari a 100, quello di C residente in un Paese Black list, sia pari a 150 e quello di D, residente in un Paese non Black list da almeno un triennio, sia pari a 300. Qualora la società A dovesse cedere la partecipazione nella società holding H, il requisito della residenza potrà considerarsi soddiNote: Alla data di chiusura del presente articolo è in discussione l’approvazione del Decreto correttivo Ires che dovrebbe prevedere la modifica dell’art. 44 del TUIR. In particolare dovrebbe essere soppressa la lettera b) e modificata la lettera a) del comma 2. Nella sostanza si dovrebbe semplificare la verifica di “similarità” delle azioni estere a quelle interne. Infatti le partecipazioni al capitale o al patrimonio di soggetti esteri saranno considerate similari alle azioni a condizione che la relativa remunerazione sia totalmente indeducibile nella determinazione del reddito d’impresa nello Stato estero di residenza del soggetto emittente. (2) Cfr. G. Ferranti, La “participation exemption” per le società “holding”, in Corr. Trib. n. 39/2004 pag. 3047 e ss. (3) Maggio-Giugno 2005 185 RIFORMA FISCALE sfatto, in quanto la maggior parte del patrimonio della holding H (Corrispondente al patrimonio di D pari a 300) rispetta il principio della residenza in un Paese non Black list da almeno un triennio. ti dalle società ed enti non residenti, come per la participation exemption, a cui si rinvia, si applica al verificarsi della condizione prevista dall’articolo 44, comma 2, lettera b). 4. Dividend exemption - Il criterio della non residenza in un paese Black list 5. Dividendi incassati per il tramite di Holding Il comma 3 dell’articolo 89 del TUIR, coerentemente con quanto previsto dalla legge delega, dispone l’applicazione del medesimo trattamento previsto per gli utili distribuiti da soggetti residenti, ossia tassazione nei limiti del 5%, anche a quelli distribuiti dalle società ed enti non residenti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d), del TUIR, ad eccezione degli utili distribuiti da soggetti residenti negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato. In quest’ultimo caso, ossia per gli utili distribuiti da società ed enti residenti negli Stati o territori individuati dai D.M. sopra richiamati l’esclusione dalla formazione del reddito nella misura del 95% spetta, infatti, esclusivamente se le predette società ed enti, a seguito della presentazione di un’istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate abbiano dimostrato che i redditi imputati dalla società partecipata siano stati regolarmente assoggettati a tassazione in un Paese a fiscalità ordinaria, a decorrere dall’inizio del periodo di possesso della partecipazione(4). Come sottolineato dalla C.M. 26/E del 2004 (par. 3.5) considerato che la norma rinvia alle condizioni di cui all’articolo 87, comma 1, lett. c) - rilevanti ai fini della “participation exemption” - deve ritenersi che la circostanza esimente appena richiamata, volta a dimostrare la localizzazione del reddito in un Paese terzo, non compreso nella Black list, deve ricorrere sin dall’inizio del periodo di possesso. (cfr. paragrafo 3.2). L’art. 89 in commento, comunque, fa richiamo al solo comma 1 lettera c) dell’art. 87 e non anche al comma 2 dello stesso. Ne deriva, che in sede di interpello, il contribuente al fine di ottenere la non imposizione del 95% dei dividendi percepiti dalla partecipata residente in un Paese Black list dovrà solo dimostrare che sin dall’inizio del periodo di possesso (magari pari ad un anno) non sia stato conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati a tassazione privilegiata, senza dover dimostrare invece (come per l’interpello ai fini della participation exemption) che tale requisito sussisteva in capo alla partecipata almeno dall’inizio del terzo periodo d’imposta anteriore al realizzo, o distribuzione del dividendo nel caso di specie. La non imponibilità del 95% degli utili distribui- L’art. 89 del TUIR, a differenza di quanto previsto dall’art. 87 del TUIR con riferimento alla participation exemption non prevede alcuna norma antielusiva qualora i dividendi distribuiti da una società residente in un Paese a fiscalità privilegiata siano incassati per il tramite di una holding. Pertanto qualora il contribuente, tramite interpello, grazie alla prima esimente prevista dall’art. 167 comma 5 lettera a) del TUIR (dimostrazione che la partecipata svolge un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nello Stato o nel territorio nel quale ha sede) riesca ad ottenere la disapplicazione della normativa CFC di cui all’art. 167 del TUIR si potrebbe trovare nella seguente situazione: A) se dovesse cedere la partecipazione detenuta nella società holding, non essendo stato presentato interpello di cui alla seconda esimente dell’art. 167 comma 5 lettera b), l’eventuale capital gain non potrebbe beneficiare del regime della participation exemption, per contro B) se dovesse percepire dalla holding dividendi distribuiti dalla partecipata residente nel Paese Black list gli stessi sconterebbero una imposizione in Italia pari al solo 5%. 186 Maggio-Giugno 2005 6. Interrelazione con il novellato istituto del credito per le imposte assolte all’estero Il sistema del credito d’imposta per le imposte assolte all’estero, secondo la vecchia formulazione dell’art. 15 del TUIR aveva comportato alcuni dubbi. Infatti, parte della dottrina e della giurisprudenza non riteneva conforme al dettato ed allo spirito della vecchia norma la possibilità di detrarre solo in modo parziale (5% con riferimento al vecchio art. 96 bis e 40% con riferimento al vecchio art. 96 del TUIR) le eventuali ritenute alla fonte subite all’estero. Secondo invece la nuova formulazione dell’art. 165 del TUIR, ed in particolare il comma 10, tale dubbio non ha più ragione di esistere infatti è espliNota: (4) Cfr. M. Magenta, La participation exemption relativa ai dividendi, in Fiscalità Internazionale n. 1/2004. RIFORMA FISCALE citamente previsto che “Nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente”. Ne deriva che nel caso in cui ai dividendi di fonte estera risulti applicabile l’art. 89 del TUIR, con una tassazione del solo 5% del dividendo percepito, anche le relative imposte assolte all’estero saranno detraibili nel limite del 5% delle stesse(5). La nuova formulazione dell’art. 165 del TUIR ha aggiunto poi il principio di “riportabilità” in avanti ed indietro dell’eccedenza di imposta pagata nello Stato estero rispetto a quella dovuta in Italia. Su questo principio sorge un dubbio, infatti non è chiaro se quest’ultima regola della “riportabilità” vale solo nel caso di reddito d’impresa realizzato all’estero per il tramite di una stabile organizzazione od anche per le diverse componenti del reddito d’impresa, quali ad esempio dividendi, interessi e royalties. Secondo un’analisi della norma sembra evincersi quanto segue: 1) laddove il legislatore ha voluto intendere “reddito d’impresa prodotto all’estero per il tramite di una stabile organizzazione” lo ha fatto esplicitamente nel comma 5 dell’art. 165 del TUIR; 2) con riferimento al comma 10 si aggiunga che, il legislatore, accogliendo una proposta della commissione Finanze della camera dei deputati, dal passaggio dallo schema di D.Lgs. al testo finale del D.Lgs in commento ha volontariamente eliminato ogni riferimento al reddito d’impresa prodotto all’estero “per il tramite di stabile organizzazione”(6), precisazione quindi contenuta solo nel vecchio schema di D.Lgs. e non nella norma definitiva. Ne deriva che il riporto in avanti ed indietro dovrebbe potersi applicare ad ogni eccedenza d’imposta estera su quella italiana, con l’unica condizione che il soggetto che riceve detti redditi realizzi reddito d’impresa. Pertanto, detta normativa potrà applicarsi ad esempio alle società che ricevono dividendi da un soggetto non residente e sulle quali l’imposta estera, pagata ad esempio, tramite ritenuta alla fonte nello Stato estero risulti essere superiore a quella dovuta in Italia. Note: (5) Cfr. M. Lombardo, Il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero, in Fiscalità Internazionale n. 4/2004 pag. 323 e ss. (6) L. Miele, Imposte estere, riporto doppio, Il Sole 24 Ore del 1 settembre 2004. Maggio-Giugno 2005 187 RIFORMA FISCALE Il nuovo computo del credito d’imposta nel caso di perdite conseguite all’estero di Pierpaolo Rossi(*) 1. Il credito d’imposta per le imposte pagate sugli utili esteri Testo Unico, come modificato dal D.Lgs. 344/2003, che ha soSOMMARIO: stituito l’articolo 128 del Testo 1. Il credito d’imposta Unico avente identico contenuper le imposte pagate sugli utili to. La dottrina(4) pacificamente Il regime d’imposta sulle soesteri - 2. Il nuovo computo cietà in Italia si fonda sul prinritiene che l’articolo 169 si del credito per le imposte pagate cipio della tassazione degli utili conformi al previgente articolo all’estero - 3. Il sistema del credito globalmente maturati da un’im75 del D.P.R. n. 600 del 1973, nel caso di perdite conseguite presa residente in Italia ed secondo il quale gli accordi inall’estero ovunque prodotti. In conformità ternazionali contro la doppia con tale principio, sono ordinaimposizione non pregiudicano riamente soggetti ad imposta itaai fini della determinazione delliana gli utili relativi ad attività d’impresa condotta le imposte dovute in Italia l’applicazione delle norall’estero da soggetti residenti in Italia(1). Poiché la me più favorevoli al contribuente come quelle relative al credito d’imposta per i redditi prodotti all’estemaggior parte dei paesi esteri nei quali le imprese ro previste dal diritto interno. italiane operano prevede un prelievo fiscale sugli Si rammenta che le Convenzioni per evitare le utili prodotti alla fonte, sono frequenti le situazioni doppia imposizione sono accordi internazionali bilanelle quali il reddito maturato da un’impresa italiaterali con i quali due stati contraenti regolano l’eserna, oltre ad essere già oggetto d’imposizione nel paecizio della propria potestà impositiva riguardo fattise estero di produzione, viene anche ad essere inspecie che possono essere rilevanti, a fini fiscali, per cluso nel reddito complessivo soggetto ad imposizioentrambi gli ordinamenti dei paesi contraenti. Attrane in Italia. In tale caso, conformemente allo stanverso le norme pattizie negoziate nelle Convenzioni, dard internazionale, è l’Italia quale paese di resisi cerca di prevenire i possibili conflitti positivi di denza dell’impresa a dover accordare un rimedio per imposizione che sorgono quando la medesima fattiovviare all’imposizione subita all’estero. specie è tassata da entrambi gli stati. Oggetto delle Tale standard oltre ad aver influenzato le regole Convenzioni sono le imposte sul reddito e, talvolta, convenzionali dei singoli trattati per evitare le dopalcuni elementi del patrimonio. Le Convenzioni conpie imposizioni che l’Italia ha concluso, è anche radicato nel sistema nazionale interno. La doppia imposizione giuridica viene espressamente vietata sia Avvocato, LL.M. International Tax, NYU ‘02. dalla Legge Delega 80/2003 per la riforma del sisteNote: ma tributario nazionale(2) che dall’articolo 163 del Si vedano in proposito, rispettivamente, ai fini dell’IRE (per le per(3) Testo Unico delle Imposte sui Redditi . Il divieto insone fisiche), gli articoli 3 e 23 e, ai fini dell’IRES (per le persone giuterno di doppia imposizione presuppone meccaniridiche), gli articoli 81, 151 e 23 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi - TUIR, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato smi unilaterali (che prescindono dalle Convenzioni dal D.Lgs. 12 dicembre 2003 n. 344, in vigore dal 1° gennaio 2004. bilaterali eventualmente applicabili) per la sua eliCfr. l’articolo 2, lettera d) della Legge 80/2003 e la relativa relaziominazione. In particolare, il Testo Unico delle Impone al disegno di Legge Delega dove si legge che il divieto di doppia imposizione giuridica è una conseguenza necessaria dei principi di ste sui Redditi presuppone l’applicazione dei rimedi uguaglianza nell’imposizione e di giustizia fiscale ed ha una portata internazionali previsti dalle convenzioni per evitare ampia, comprensiva della doppia imposizione interna e della doppia imposizione internazionale. le doppie imposizioni concluse dall’Italia, ovvero, se Come modificato dal D.Lgs. 12 dicembre 2003 n. 344, in vigore dal più favorevoli, dei rimedi interni previsti dallo stes1° gennaio 2004, che sostituisce l’articolo 127 del vecchio TUIR, idenso Testo Unico. La norma che permette l’applicaziotico. ne del rimedio più vantaggioso al fine dell’eliminaLeo, Monacchi, Schiavo, Le Imposte sui Redditi nel Testo Unico, zione della doppia imposizione, è l’articolo 169 del Giuffré 1999, II-1658. (∗) (1) (2) (3) (4) 188 Maggio-Giugno 2005 RIFORMA FISCALE tro le doppie imposizioni stipulate dal nostro Paese adottano sostanzialmente il modello di Convenzione predisposto dall’OCSE. In Italia, le Convenzioni per evitare la doppia imposizione entrano a far parte dell’ordinamento giuridico al termine di una procedura che si articola in quattro fasi. In una prima fase avvengono i negoziati, durante i quali le delegazioni composte da esperti delle amministrazioni finanziarie dei due Stati contraenti concordano il testo del trattato. L’intesa è formalizzata con l’apposizione della sigla da parte dei capi delle delegazioni (parafatura). Subito dopo, ha inizio la fase di amministrazione dell’accordo da parte del Ministro dell’Economia e delle Finanze o del Ministro degli Affari Esteri, con cui si perviene alla firma del testo definitivo. Le Convenzioni, una volta firmate, sono recepite nel nostro ordinamento attraverso la ratifica da parte del Parlamento, attuata con una legge ordinaria che conferisce piena ed integrale esecuzione al trattato. L’effettiva applicazione della Convenzione è, però, subordinata all’ultima fase, affidata al Ministero degli Affari Esteri, che prevede lo scambio degli strumenti di ratifica tra i paesi contraenti. La conferma dell’avvenuto scambio degli strumenti di ratifica è reso noto attraverso la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale con cui è stabilita l’entrata in vigore dell’accordo Pertanto, conformemente a quanto la stessa nota ministeriale al D.P.R. 600/1973 illustra, l’originaria formulazione della norma secondo la quale “nell’applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi sono fatti salvi gli accordi internazionali resi esecutivi dall’Italia” è del tutto superflua atteso che l’obbligo di rispettare gli accordi internazionali deriva dalle stesse leggi che li rendono esecutivi in Italia. Il sistema italiano di eliminazione della doppia imposizione internazionale è quindi di tipo dualistico, nel senso che a lato dei rimedi convenzionali previsti dai trattati bilaterali per evitare le doppie imposizioni ai quali l’Italia ha aderito, si pongono i rimedi interni. Considerata la finalità delle disposizioni in questione, quella di evitare la doppia imposizione, la soluzione nel concreto più vantaggiosa al contribuente sarà quella legittimamente applicabile al contribuente italiano. Al fine di effettuare una valutazione del trattamento in concreto più vantaggioso per eliminare la doppia imposizione internazionale sugli utili prodotti all’estero da imprese residenti in Italia e quindi permetterci d’individuare la soluzione più favorevole è necessario descrivere in dettaglio i due mecca- nismi applicati in Italia a livello convenzionale ed a livello nazionale. L’eliminazione della doppia imposizione sugli utili esteri in base alle convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni adottate dall’Italia si richiama al metodo del credito d’imposta ordinario previsto all’Articolo 23B del Modello di Convenzione predisposto dall’OCSE. Tale metodo si basa su un meccanismo di detrazione dall’imposta italiana dell’ammontare corrispondente all’imposta pagata all’estero sul reddito ivi maturato, limitatamente peró all’imposta italiana applicabile sulla parte del reddito complessivo derivante dall’estero, così da non ridurre l’imposta dovuta in Italia sugli utili ivi realizzati. Il metodo scelto dall’Italia si caratterizza per la neutralità del prelievo fiscale che l’Italia impone sugli utili realizzati dai propri residenti indipendente dal luogo ove questi vengono prodotti. Col credito d’imposta ordinario, l’erario si comporta in maniera neutrale nel tassare le imprese residenti che producono utili in Italia rispetto a quelle che decidono di operare all’estero, in quanto il carico d’imposta italiano rimane costante nelle due situazioni. Pertanto, in caso di minore imposta pagata all’estero rispetto allo stesso reddito prodotto in Italia, una differenza d’imposta si renderà ancora dovuta in Italia. Si rammenta che il credito d’imposta per gli utili tassati all’estero non deve essere confuso con l’esenzione accordata ai dividendi distribuiti da società controllata di un paese membro diverso da quello della società beneficiaria italiana che li riceve. Tale esenzione, prevista a livello comunitario tra società madri e figlie di Stati Membri differenti in base alla nota direttiva comunitaria 90/435/CEE (la cosiddetta direttiva madri/figlie) è diretta ad eliminare la doppia imposizione economica (non quella giuridica) relativa alla distribuzione di utili tra soggetti diversi appartenenti ad una stessa catena societaria. L’esenzione sui dividendi percepiti dalle società madri per evitare la doppia imposizione economica è connessa all’esercizio d’impresa sotto forma di gruppo anziché sotto forma d’impresa unitaria, e nulla ha a che vedere coi rimedi alla doppia imposizione giuridica derivante dall’esercizio di attività d’impresa all’estero, che è quella tipica delle situazioni internazionali. Le Convenzioni per l’eliminazione delle doppie imposizioni si riferiscono esclusivamente all’eliminazione della doppia imposizione giuridica gravante sui redditi transnazionali e non alla doppia o multipla imposizione economica. Sul piano interno, il legislatore nazionale ha coerentemente e già da tempo inteso adottare lo stesso Maggio-Giugno 2005 189 RIFORMA FISCALE meccanismo utilizzato nell’aderire alle Convenzioni bilaterali negoziate con i paesi esteri, che è appunto basato sul metodo del credito d’imposta ordinario. Secondo il previgente articolo 15 del Testo Unico “se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo al lordo delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione”. Il metodo della detrazione dall’imposta italiana dell’imposta pagata all’estero, limitatamente all’imposta italiana corrispondente al pro rata del reddito estero sul reddito complessivo, è il rimedio adottato dall’ordinamento interno per l’eliminazione della doppia imposizione sugli utili esteri. 2. Il nuovo computo del credito per le imposte pagate all’estero Aderendo alla citata Legge Delega n. 80/2003, il legislatore ha tenuto a riformulare la disciplina del credito per le imposte pagate da soggetti residenti sugli utili prodotti all’estero al fine di conformarsi allo standard internazionale. Come evidenziato dalla dottrina, la riformulazione della disciplina relativa al credito d’imposta di cui all’articolo 165 del Testo Unico adatta il regime del credito ai problemi pratici emersi nel corso degli anni e presenta importanti elementi di novità che sono riassumibili nei seguenti punti principali. Anzitutto, la nuova disciplina del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero di cui all’articolo 165 del Testo Unico definisce, al comma secondo, quando i redditi si considerano prodotti all’estero, attraverso un richiamo all’articolo 23 del Testo Unico, il quale a sua volta detta i criteri di collegamento per l’identificazione dei redditi prodotti in Italia dai non residenti e quindi si presta in forma indiretta e speculare a definire, in assenza di un regime convenzionale applicabile, i redditi prodotti all’estero da soggetti residenti in Italia. Per quanto più particolarmente riguarda l’esercizio d’impresa, sono prodotti all’estero gli utili derivati dall’esercizio dell’attività d’impresa all’estero attraverso una stabile organizzazione, così come definita dall’articolo 162 del Testo Unico. A questo proposito, si segnala che l’applicazione della nozione di stabile organizzazione italiana per determinare gli utili esteri che possono beneficiare 190 Maggio-Giugno 2005 del credito d’imposta in Italia potrebbe determinare fenomeni di doppia imposizione. Laddove la tassazione estera non fosse limitata agli utili prodotti da una stabile organizzazione cosí come definita da una Convenzione con l’Italia, gli utili esteri potrebbero non risultare attribuibili ad una stabile organizzazione secondo la definizione italiana: questo consentirebbe il computo del credito d’imposta su tali utili in base all’articolo 165 del Testo Unico, al posto degli utili effettivamente tassati all’estero. In secondo luogo, il comma 3 dell’articolo 165 citato riafferma il principio dell’applicazione separata della detrazione d’imposta relativamente a ciascuno stato estero dove il reddito è conseguito. Il cosiddetto sistema di per-country-limitation del credito d’imposta per gli utili prodotti all’estero impedisce l’utilizzo degli utili prodotti in paesi a bassa fiscalità per conseguire maggior credito d’imposta da utilizzare e ridurre le imposte da pagare in Italia. Un’eccezione a tale principio è stata introdotta dalla riforma attuata dal D.Lgs. 344/2003 al fine di tenere conto dell’effetto del nuovo istituto del consolidato mondiale sul meccanismo del credito d’imposta. Richiamando l’articolo 136, commi 3 e 6 relativi appunto al consolidato mondiale, l’articolo 165, comma 3, citato, consente in caso d’applicazione del regime del consolidato mondiale il computo del credito d’imposta per gli utili prodotti all’estero dovrà eseguirsi separatamente con riferimento non a ciascuno stato ma a ciascuna controllata estera, anche qualora più controllate siano residenti nello stesso paese estero (il cosiddetto limite del per-entity-limitation). I commi 4 e 5 dell’articolo 165 citato introducono regole più razionali relativamente alla possibilità d’imputazione del credito d’imposta relativo agli utili conseguiti all’estero secondo il principio di competenza, cioè nel periodo cui appartiene il reddito estero prodotto all’estero senza imporre un differimento forzoso relativo al previgente sistema di detrazione secondo il principio temporale di cassa. Infine, è il caso di ricordare che il nuovo articolo 165, comma 6 porta rimedio ad uno dei maggiori difetti del previgente credito d’imposta per utili esteri, prevedendo il riporto all’indietro ed in avanti del credito per otto esercizi relativamente alle imposte pagate all’estero, inutilizzato per un periodo in relazione al limite d’utilizzo del credito previsto in un dato periodo. Anche relativamente a questi casi il nuovo regime di cui all’articolo 165 del Testo Unico prevede regole specifiche per adattare il meccanismo del credito in questione alle particolarità del consolidamento fiscale. Il nuovo primo comma del- RIFORMA FISCALE l’articolo 165 specifica infine alcune modalità del computo del credito d’imposta per gli utili tassati all’estero, che è opportuno esaminare in modo dettagliato. Le nuove modalità sembrano innovare in modo rilevante il meccanismo del credito d’imposta italiano per gli utili prodotti all’estero, ampliando, in modo inappropriato tenuto conto degli obiettivi della riforma e comunque in modo difforme alla pratica derivante dall’applicazione delle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni seguita dal Modello OCSE, il credito d’imposta disponibile nel caso di perdite pregresse col risultato di permettere, almeno temporaneamente, una riduzione dell’imposta finale pagabile in Italia al netto del credito d’imposta sugli utili transnazionali in esame, negli anni successivi all’imputazione di perdite estere. 3. Il sistema del credito nel caso di perdite conseguite all’estero Come noto, il sistema del credito per le imposte pagate sugli utili esteri produce vantaggi straordinari e considerati essere inappropriati e non voluti dal paese della residenza che adotta il sistema del credito d’imposta ordinario nel caso gli utili stranieri siano negativi, vale a dire quando l’impresa residente in Italia consegua una perdita all’estero. Questo vantaggio straordinario deriva dal fatto che nel sistema del credito ordinario la determinazione del limi- te del credito detraibile dall’imposta italiana si basa sul pro-rata tra il reddito estero ed il reddito complessivo, il quale produce un credito nullo nel caso di perdita estera, nell’esercizio in cui questa è conseguita, ma permette di computare un credito più elevato di quello spettante nel caso di utili esteri conseguiti negli esercizi successivi. Alcuni esempi possono contribuire ad illustrare il vantaggio in questione, considerando un’impresa residente in Italia che per semplicità d’illustrazione supponiamo soggetta ad imposta complessiva del 40% comprensiva di IRES ed IRAP (che, supponiamo applicabile sugli utili conseguiti all’estero, nonostante la territorialità che caratterizza questa ultima imposta), e che in un primo anno d’esercizio produca un utile di 100 derivante dalle proprie attività in Italia, accompagnato da una perdita di 20 conseguita nel paese estero S, dove l’aliquota d’imposta è pari a 50% (quindi più elevata che in Italia). Poniamo quindi che, nel secondo esercizio d’attività, l’impresa italiana produca un utile di 70 in Italia e di 50 nel paese estero S. Il computo dell’imposta sopportata nel corso dei due esercizi dall’impresa residente (che si avvale del credito d’imposta in Italia) è sintetizzato dalle risultanze della tavola 1. Il computo evidenzia appunto il vantaggio straordinario derivante dall’utilizzo del metodo del credito d’imposta in situazioni in cui l’impresa abbia conseguito perdite in eserci- Tavola 1 - Tassazione dell’impresa residente in Italia secondo il metodo del credito d’imposta ordinario (senza attribuzione della perdita estera dedotta negli esercizi precedenti) Esercizio 1 Esercizio 2 Totali Utili in Italia al 40% 100 70 170 (imposta sul solo utile italiano = 68) Utili nel paese S al 50% (20) 50 30 Utili totali 80 120 200 Imposta iniziale in Italia 32 (40% di 80) 48 (40% di 120) Credito d’imposta = minore tra: • Imposta estera • Limitazione = Imposta in Italia x Utile S/Utile totale minore tra: •0 • 32 x 0/80 = 0 Credito = 0 minore tra: • 25 • 48 x 50/120 Credito = 20 Imposta finale in Italia (Imposta iniziale - Credito) 32 28 = 60 (cioè 8 meno dell’imposta astrattamente dovuta in Italia sul solo utile italiano) Utile netto dopo imposte in S e ITA 48 67 115 Maggio-Giugno 2005 191 RIFORMA FISCALE zi pregressi. Il vantaggio deriva dal fatto che l’impresa beneficia nei successivi esercizi del credito d’imposta computato sugli utili esteri attuali e senza in alcun modo correggere il credito per le perdite pregresse che è stato imputato con un valore fiscale più elevato. La tavola 1 dimostra che il sistema del credito d’imposta ordinario “regala” una riduzione dell’imposta italiana applicabile con riferimento al solo utile italiano e che pertanto non dovrebbe diminuire in Italia per effetto delle perdite pregresse conseguite all’estero. In altre parole, il credito sulle imposte pagate all’estero erode l’imposta sugli utili italiani e quindi si manifesta non neutrale in quanto favorisce gli investimenti all’estero, seppure nelle sole situazioni di perdita estera portata in diminuzione al reddito complessivo del residente italiano. Il credito d’imposta previgente la novella recata dal D.Lgs. 344/2003 dava appunto luogo a tale vantaggio straordinario nel computare il limite alla detrazione d’imposta sulla base del rapporto tra gli utili (o le perdite) esteri ed il reddito globale al lordo delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione in tali periodi. Il pro rata che determinava il limite al credito non permetteva di attribuire, ai soli fini del calcolo del credito in Italia, le perdite ammesse in diminuzione dal reddito estero, nell’esercizio successivo e consentiva in tal modo un duplice utilizzo della perdita conseguita all’estero; una prima volta ai fini della determinazione del- l’utile estero nell’esercizio d’imputazione della perdita, quale utile al netto della perdita subita, ed una seconda volta in Italia quando l’imposta estera da detrarre è computata al lordo della perdita subita. Per ovviare a tale inconveniente, il combinato disposto dei paragrafi 65 e 44 del Commentario all’articolo 23A e B del Modello di Convenzione per evitare le doppie imposizioni raccomanda - non appena il ritorno all’utile dell’impresa lo consenta - di dedurre la perdita conseguita dall’utile estero conseguito negli esercizi successivi alla perdita al fine di ridurre il credito utilizzabile per eliminare la doppia imposizione nello stato di residenza dell’impresa. La seguente tavola 2 (riprendendo i dati ipotizzati nell’esempio sopra-riportato) illustra il correttivo da apportare al credito d’imposta italiano al fine di garantire la neutralità del trattamento fiscale degli utili esteri in Italia, secondo quanto raccomandato dal Commentario al Modello OCSE. Occorre quindi esaminare la novella introdotta dall’articolo 165, primo comma, del Testo Unico circa le modalità di computo del credito d’imposta italiano nel caso di perdite conseguite negli esercizi precedenti. Ai sensi di tale meccanismo, il computo del credito viene parzialmente ridefinito commisurando il limite alla detrazione d’imposta al rapporto tra l’utile prodotto all’estero ed il reddito complessivo in Italia ma da considerare non più al lordo ma al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione. La tavola 3 illustra il computo del credi- Tavola 2 - Tassazione dell’impresa residente in Italia secondo il metodo del credito d’imposta ordinario (con attribuzione della perdita conseguita negli esercizi precedenti) Esercizio 1 Esercizio 2 Totali Utili in Italia al 40% 100 70 170 (imposta sul solo utile italiano = 68) Utili nel paese S al 50% (20) 50 30 Utili totali 80 120 200 Imposta iniziale in Italia 32 (40% di 80) 48 (40% di 120) Credito d’imposta = minore tra: • Imposta estera • Limitazione = Imposta in Italia x Utile S/Utile totale minore tra: •0 • 32 x 0/80 = 0 Credito = 0 minore tra: • 25 • 48 x 50-20/120 Credito = 12 Imposta finale in Italia (Imposta iniziale - Credito) 32 36 = 68 (l’esatta imposta dovuta in Italia sul solo utile italiano) Utile netto dopo imposte in S e ITA 48 59 107 192 Maggio-Giugno 2005 RIFORMA FISCALE to d’imposta italiano seguendo la nuova formulazione definita dall’articolo 165, primo comma. Il trattamento accordato dal sistema italiano risulta notevolmente più vantaggioso non solo rispetto a quello raccomandato dal Commentario al Modello di Convenzione OCSE, ma anche al precedente regime di credito di cui all’articolo 15 del testo Unico previgente. Ci sembra evidente infatti che le nuove modalità di computo del limite del credito d’imposta italiano consentono di “erodere” l’imposta nazionale in modo eccessivo e realizzano una rottura del principio di neutralità che il legislatore italiano si era proposto di realizzare con la riforma del 2003. Sembra difficile pervenire ad una conclusione diversa come proposto da taluni(5), secondo la quale il beneficio straordinario a favore delle imprese che conseguono perdite nell’esercizio dell’attività all’estero introdotto dalle nuove modalità di computo del credito d’imposta per redditi esteri di cui all’articolo 165 del Testo Unico sarebbe solo apparente rispetto al previgente articolo 15 del Testo Unico. È stato infatti rilevato che, accanto alla norma dettata dal citato articolo 15, il credito d’imposta era anche disciplinato dalle disposizioni di coordinamento rinvenibili all’articolo 5 del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, in base al quale “La quota fino a concorrenza della quale, a norma dell’articolo 15, comma 1, del testo unico, sono ammesse in detrazione le imposte pagate all’estero è determinata con riferimento all’imposta italiana corrispondente al reddito complessivo netto, senza tenere conto delle perdite di esercizi precedenti, alla cui formazione hanno concorso i redditi prodotti all’estero”. Tale disposizione non fa altro che prevedere che il calcolo della quota d’imposta ex articolo 15, si fondi sulla determinazione dell’imposta iniziale italiana applicabile sul reddito complessivo italiano ed implicitamente riconosce che tale imposta è quindi solo virtuale, perché intenzionalmente non tiene conto dell’imputazione della perdita estera sull’utile successivamente conseguito nell’esercizio dell’impresa estera, in quanto appunto relativo al computo dell’utile netto estero e non italiano. In proposito si rappresenta che la determinazione dell’imposta iniziale italiana è solo il primo passaggio del computo della quota d’imposta nazionale che può essere diminuita per effetto del credito d’imposta. Come abbiamo sopra illustrato, nel sistema del credito d’imposta ordinario solo l’imposta (virtuale) sull’utile del paese dove l’impresa è residente viene considerata ai fini del calcolo del limite al credito d’imposta. Nota: Stefano Giorgi, La Tassazione dei Redditi Transnazionali - Il Credito d’Imposta per i Redditi Prodotti all’Estero, Collana Comparative and International Taxation, Egea 2004, p. 36 (5) Tavola 3 - Tassazione dell’impresa residente in Italia secondo il metodo del credito d’imposta ordinario (con riattribuzione della perdita conseguita negli esercizi precedenti, ma secondo le disposizioni del nuovo articolo 165 TUIR) Esercizio 1 Esercizio 2 Totali Utili in Italia al 40% 100 70 170 (imposta sul solo utile italiano = 68) Utili nel paese S al 50% (20) 50 30 Utili totali 80 120 200 Imposta iniziale in Italia 32 (40% di 80) 48 (40% di 120) Credito d’imposta = minore tra: • Imposta estera • Limitazione = Imposta in Italia x Utile S/Utile totale minore tra: •0 • 32 x 0/80 = 0 Credito = 0 minore tra: • 25 • 48 x 50/120 = 20 Credito = 24 Imposta finale in Italia (Imposta iniziale - Credito) 32 20 = 52 (cioè 16 meno dell’imposta astrattamente dovuta in Italia sul solo utile italiano) Utile netto dopo imposte in S e ITA 48 75 123 Maggio-Giugno 2005 193 RIFORMA FISCALE Come anticipato, il calcolo del limite di credito determina delle conseguenze derogatoriamente favorevoli all’impresa beneficiaria residente in quanto eleva in modo inappropriato il limite di credito detraibile, nel caso in cui l’impresa abbia conseguito perdite pregresse all’estero, e questo costituisce una distorsione che viene corretta attraverso la deduzione della perdita pregressa dall’ammontare dell’utile estero attuale posto al numeratore del pro-rata di imposta virtuale italiana da cui può essere detratta l’imposta estera. In tal modo, risultando un limite alla detrazione inferiore (per effetto del minore utile estero) l’effetto finale conseguito è quello di ridurre il credito o addirittura di azzerarlo fino a quando l’utile estero non permette di compensare le perdite pregresse subite, col risultato che si continuerà a pagare l’imposta in Italia sugli utili conseguiti all’estero senza alcun credito per le imposte eventualmente ivi pagate. Questo correttivo (la deduzione della perdita pregressa dall’utile attuale estero) permette di conseguire l’obiettivo di neutralità da parte del sistema fiscale italiano per quanto riguarda i redditi conseguiti all’estero, i quali sono comunque sottoposti almeno al livello d’imposta italiana. Secondo altri commentatori, tuttavia, per effetto del nuovo articolo 165, l’articolo 5 del D.P.R. 42/1988 non sarebbe più applicabile in quanto riferito al meccanismo dell’articolo 15 del vecchio Testo Unico, col risultato che ora l’imposta italiana da prendere a base del computo del limite al credito dovrebbe essere considerata non più al lordo ma al netto, cioè al suo valore effettivo, il quale ingloberebbe pertanto le perdite estere pregresse. I primi commenti alla riforma avrebbero in effetti fatto notare come tale nuovo computo sia “potenzialemente peggiorativo” qualora le perdite pregresse siano pari o superiori al reddito complessivo. Infatti, in base ad una prima ricognizione del nuovo dato normativo potrebbe apparire che con la nuova disciplina il computo del limite debba essere effettuato con riferimento all’imposta netta a debito, ovvero quella finale, a carico dell’impresa residente, e non più in base all’imposta virtuale calcolata sull’utile iniziale dell’impresa in Italia, senza quindi considerare l’imputazione delle perdite pregresse. Essendo l’imposta finale dovuta in Italia inferiore all’imposta iniziale sull’utile complessivo dell’impresa, ne deriverebbe che la Tavola 4 - Tassazione dell’impresa residente in Italia secondo il metodo del credito d’imposta ordinario (con riattribuzione della perdita conseguita negli esercizi precedenti, ma secondo le disposizioni del nuovo articolo 165 TUIR e della “presunta” abolizione dell’articolo 5 del D.P.R. 42/1988 ) Esercizio 1 Esercizio 2 Totali Utili in Italia al 40% 100 70 170 (imposta sul solo utile italiano = 68) Utili nel paese S al 50% (20) 50 30 Utili totali 80 120 200 Imposta iniziale in Italia 32 (40% di 80) 48 (40% di 120) Tuttavia, ai fini del computo dell’imposta iniziale per la limitazione del credito, l’imposta iniziale è 40 (40% di 120 - 20) Credito d’imposta = minore tra: • Imposta estera • Limitazione = Imposta in Italia x Utile S/Utile totale minore tra: •0 • 32 x 0/80 = 0 Credito = 0 minore tra: • 25 • 40 x 50/120 = 20 Credito = 20 Imposta finale in Italia (Imposta iniziale - Credito) 32 28 = 60 (cioè 8 meno dell’imposta astrattamente dovuta in Italia sul solo utile italiano) Utile netto dopo imposte in S e ITA 48 67 115 (utilizzo del metodo del credito senza correttivi) 194 Maggio-Giugno 2005 RIFORMA FISCALE porzione dell’imposta estera detraibile diventerebbe anch’essa minore e causerebbe un minore credito. In sostanza, il computo relativo al limite che secondo certa parte della dottrina sarebbe applicabile al credito per imposte pagate all’estero può essere illustrato dalla tavola 4 (vedi pag. precedente), la quale ai fini comparativi fa riferimento alla situazione riassunta nell’esempio precedente. Il computo permette di rilevare come nel caso venga seguita la proposta interpretazione relativa alla non vigenza dell’articolo 5 del D.P.R. 42/1988 successivamente all’abrogazione dell’articolo 15 del vecchio Testo Unico, il credito d’imposta detraibile corrisponderebbe a quello ante riforma intervenuta con l’articolo 165 riepilogato alla tavola 1, e pertanto il beneficio derivante dal nuovo computo del credito “al netto delle perdite pregresse” sarebbe in effetti neutralizzato dall’abolizione dell’articolo 5 citato. Non sembra possibile avallare una tale ricostruzione, almeno sulla base della nozione del credito d’imposta ordinario che l’Italia ha adottato nell’aderire a numerose Convenzioni bilaterali che ricalcano lo standard internazionale OCSE ed in base alle quali il credito per imposte pagate all’estero deve essere limitato alla quota di imposta del paese di residenza applicabile al reddito estero, per evitare che il paese di residenza finanzi col proprio erario le imposte estere pagate dall’impresa. Il limite posto dal paese di residenza dell’impresa all’utilizzo del credito per imposte pagate all’estero non può tuttavia essere unilateralmente diminuito in una situazione dove una Convenzione per evitare le doppie imposizioni sia applicabile e quindi questa interpretazione non potrebbe essere sostenuta dall’amministrazione italiana in caso l’impresa invochi l’applicabilità di un più elevato limite d’utilizzo del credito sulla base di modalità di computo direttamente ricollegabili all’interpretazione della Convenzione derivante dallo standard OCSE. In altre parole, secondo chi scrive, l’impresa potrebbe legittimamente invocare la spettanza di un credito più elevato, ed in particolare quello evidenziato alla tavola 3. Questo anche perché non ci sembra di rintracciare nell’ordinamento italiano una volontà espressa tesa ad abrogare il disposto dell’articolo 5 del D.P.R. 42/1988 il quale dovrebbe continuare ad applicarsi anche in assenza dell’articolo 15 del vecchio Testo Unico. In secondo luogo, la nostra interpretazione sembra avvalorata dal fatto che il riferimento dell’articolo 5 citato all’articolo 15 era solo ricognitivo dell’istituto del credito per le imposte pagate all’estero e dovrebbe ora essere inteso come rivolto nei confronti dell’articolo 165, anziché esse- re considerato come abrogato. Infine riesce difficile giustificare una riduzione dell’imposta iniziale italiana da considerare nel computo del limite del credito, in quanto l’imposta finale logicamente corrisponde al risultato conclusivo del processo di determinazione del credito che necessariamente si fonda sulla determinazione iniziale dell’imposta virtuale in Italia sull’utile complessivo. Non si comprende quindi come l’imposta virtuale da ridurre in Italia attraverso il credito possa essere determinata già al netto delle perdite pregresse. In conclusione, anche in caso d’applicazione delle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni, la disciplina interna di cui all’articolo 165 può essere invocata dall’impresa italiana, in quanto più favorevole, in caso di perdite pregresse conseguite all’estero. La situazione di perdita all’estero è peraltro non infrequente quando l’impresa nazionale opera in forma iniziale per penetrare i mercati esteri. Il risultato dell’applicazione della disposizione interna più favorevole è che l’imposta italiana normalmente dovuta sull’utile nazionale viene in parte utilizzata, in senso favorevole all’impresa italiana, quale credito per imposte pagate all’estero. Di fatto, in tali situazioni l’erario italiano finanzia il pagamento delle imposte estere da parte della propria impresa(6). D’altra parte, non sembra applicabile l’interpretazione proposta da parte della dottrina e riassunta alla tavola 4 circa il computo del pro-rata creditabile sulla base dell’imposta effettiva netta dovuta in Italia, in quanto il fondamento legale interno non sembra fondarsi su alcun elemento positivo e dovrebbe essere disapplicata consentendo l’imputazione di un maggiore credito. Ci sembra quindi che il regime interno di tassazione degli utili di imprese residenti prodotti all’estero presenti certi vantaggi che favoriscono situazioni di perdite iniziali all’estero, tipiche della fase di penetrazione di nuovi mercati stranieri da parte delle imprese italiane, e che questo regime interno avrà prevalenza sul regime convenzionale in quanto più favorevole di questo ultimo. Nota: In modo speculare, il conseguimento di perdite in Italia compensate da eccedenze d’utile estere (riporto delle eccedenze estere utilizzate per compensare perdite in Italia), determina uno svantaggio straordinario per l’impresa italiana, in relazione all’applicazione del limite al credito d’imposta detraibile negli esercizi in cui l’impresa torna in utile, in quanto il credito per l’imposta estera (più elevata di quella italiana) viene eccessivamente ridotto dal mancato riporto dell’eccedenza estera “bruciata” per compensare la perdita italiana. Per neutralizzare tale svantaggio, nella computazione del credito l’utile estero deve essere aumentato dell’eccedenza utilizzata negli esercizi di perdita italiana per innalzare il credito fruibile. (6) Maggio-Giugno 2005 195 RIFORMA FISCALE Le regole del consolidato fiscale nazionale per la stabile organizzazione di società non residente di Giovanni D’Abruzzo(*) ad una fattispecie caratterizzata Nella disciplina del consoliSOMMARIO: da elementi di estraneità. In quedato nazionale un rilievo non se1. Le società non residenti st’ottica, si comprende la previcondario è riservato alle società 2. I caratteri della disciplina sione dell’art. 117, 2° comma, non residenti che dispongono, convenzionale con lo Stato lett. b) del TUIR, nel testo risulin Italia, di una stabile organizdi residenza della società estera tante dalla riforma attuata con il zazione, cui, per ragioni di pa3. Gli elementi di qualificazione D.lgs. del 12 dicembre 2003, rità di trattamento e di non didella stabile organizzazione n.344, che ha introdotto alcuni scriminazione, è consentito di 4. I problemi interpretativi criteri condizionanti l’ammissioesercitare l’opzione per il consosuscitati dal requisito ne al consolidato per questa calidamento degli imponibili delle della “connessione effettiva” tegoria di soggetti, quali: controllate residenti. Due sono 5. Le modifiche introdotte (1) la residenza in uno Stato con le condizioni richieste per l’amdallo schema di decreto correttivo il quale risulta vigente un acmissione al regime del consolidell’IRES cordo contro le doppie impodato: 1) la residenza in un Paese sizioni; con il quale sono attivi strumen(2) l’esercizio nel territorio dello ti di mutua assistenza amminiStato di un’attività d’impresa, contraddistinta dai restrativa, per lo scambio di informazioni tra le rispetquisiti di commercialità indicati dall’art. 55 del tive amministrazioni fiscali; 2) l’esistenza di un rapTUIR, mediante una stabile organizzazione “alla porto di connessione effettiva tra la stabile organizquale la partecipazione in ciascuna società controlzazione e le partecipazioni nelle società residenti. lata sia effettivamente connessa”. Le difficoltà di ricostruire praticamente il contenuto Ricorrendo, dunque, queste condizioni concomidi questo secondo requisito hanno indotto il legislatanti, la stabile organizzazione (rectius: la casa matore a prevederne la sostituzione, nello schema di decreto correttivo dell’IRES in corso di approvazione, con un più lineare collegamento delle partecipaAvvocato - Docente di Diritto Tributario Università di Parma zioni sociali con il patrimonio della stabile organizNota: zazione. In questo articolo si analizzano i problemi La soluzione adottata non risponde, tuttavia, ad una scelta discreinterpretativi suscitati dall’attuale testo legislativo e zionale, ma è stata imposta dall’esigenza del rispetto del principio di le semplificazioni derivanti dalla modifica proposta. non discriminazione, previsto nell’ambito delle Convenzioni interna(*) (1) 1. Le società non residenti Conformemente alla soluzione adottata da altri ordinamenti in materia di soggetti ammessi alla tassazione di gruppo, anche il legislatore italiano ha incluso tra i legittimati all’opzione per il particolare modulo impositivo le società holding non residenti(1). Si tratta, com’è intuitivo, di una previsione condizionata ad una qualche forma di collegamento del rapporto di controllo con l’ordinamento italiano, necessario per realizzare il modello di tassazione di gruppo rispetto 196 Maggio-Giugno 2005 zionali stipulate dall’Italia come condizione basilare di ordinato sviluppo dei rapporti economici transfrontalieri; il divieto di trattamento fiscale discriminatorio è, in particolare, previsto dall’art. 24 del Modello di Convenzione OCSE. Su di esso, cfr, ex multis, Van Raad, Non discrimination in international tax law, Deventer, 1986, 213 e ss.; F. Amatucci, Il principio di non discriminazione fiscale, Padova, 1998, 63 e ss. Ma, ancora più pregante si rivela, in questa materia, il principio comunitario di eguaglianza di trattamento, che ha trovato la sua più peculiare espressione nel principio di libertà di stabilimento (art 43 - ex art. 52 - del Trattato istitutivo della Comunità Europea), la cui rigorosa applicazione, anche in questo caso, è rivolta ad assicurare il beneficio della disciplina nazionale dello Stato membro ospitante alle succursali ed agenzie, situate nello stesso territorio, di società aventi la sede all’estero. Vastissima la letteratura sul tema. A titolo meramente indicativo può farsi rinvio alla sintesi di Medici, Convenzioni fiscali e principio di non discriminazione nell’Unione Europea, in Dir. e prat. trib, 6, 1998, 854 e ss. RIFORMA FISCALE dre per suo tramite) potrà esercitare l’opzione “in qualità di controllante” del (segmento di) gruppo localizzato in Italia. Con quest’ultima previsione si assegna, dunque, alla stabile organizzazione di una società non residente l’esclusivo ruolo di consolidante, in coerenza, del resto, con la natura e le caratteristiche della stabile organizzazione stessa, che, costituendo un’articolazione operativa della società non residente, un nucleo imprenditoriale organicamente legato alla casa madre, non sarebbe suscettibile di rapporti di controllo o di influenza da parte di soggetti terzi, risultando, per converso, interamente assorbita e compenetrata nella sede centrale estera(2). Attraverso i requisiti in precedenza indicati, dunque, l’ordinamento introduce dei presupposti in base ai quali si opera il riconoscimento formale della qualità di controllante della società non residente ai fini della disciplina del consolidato nazionale. 2. I caratteri della disciplina convenzionale con lo Stato di residenza della società estera Il primo dei presupposti richiesti è quello della vigenza di Convenzioni contro le doppie imposizioni con lo Stato di residenza della società estera. La formula legislativa appare, tuttavia, riduttiva rispetto alla sua ratio. Il regime convenzionale, infatti, in questa ipotesi, è richiesto non solo e non tanto per precludere l’accesso al consolidato nazionale di holding localizzate in Stati o territori a fiscalità privilegiata, quanto, più incisivamente, per soddisfare quelle esigenze di accertamento e di controllo necessarie per garantire il corretto funzionamento del particolare modello di tassazione di gruppo. A tali esigenze appartengono, per un verso, il rispetto, da parte del soggetto non residente, dello status formale di società cui, ai sensi del 1° comma dell’art. 117, è riconosciuto l’attributo di “società o ente controllante”, e, nel contempo, della condizione di vitalità imposta dalla mancata ricorrenza di una delle cause di esclusione previste dal 2° comma dell’art. 126. Mentre, per altro verso, a venire in rilievo è, soprattutto, un’esigenza di verificabilità dei parametri che definiscono il requisito di controllo ai sensi dell’art. 120 del TUIR, la cui ricorrenza, particolarmente nell’ipotesi di controllo indiretto, richiede di essere accertata “tenendo conto della demoltiplicazione prodotta dalla catena societaria di controllo”. Appare evidente, insomma, come la previsione di “un accordo per evitare la doppia imposizione” rea- lizzi una condizione necessaria, ma non sufficiente per l’inserimento di una società non residente nel sistema della “tassazione di gruppo di imprese controllate residenti”. Occorrendo, piuttosto, ai fini indicati, l’esistenza di un accordo di mutua assistenza amministrativa, che consenta un adeguato scambio di informazioni tra le rispettive amministrazioni finanziarie per il controllo incrociato del rispetto dei requisiti legali. Ne consegue, pertanto, che la condizione indispensabile per rendere effettivamente operativa la disciplina del consolidato nazionale nei confronti di una controllante non residente sia data dall’esistenza di accordi di cooperazione amministrativa internazionale, regolamentati in norme di diritto convenzionale, non presenti, tuttavia, in tutti i trattati contro le doppie imposizioni stipulati dall’Italia. In questa direzione, l’interpretazione, per così dire, adeguatrice (della lettera della legge alla sua ratio) promossa dalla circolare n. 53/E del 20 dicembre 2004, non fa che convalidare un risultato già acquisibile in via di interpretazione sistematica, e che vuole limitata ai Paesi rientranti nella cd. white list di cui al D.M. 4 settembre 1996, gli Stati di residenza dei “soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d)” che “possono esercitare l’opzione di cui al comma 1”. 3. Gli elementi di qualificazione della stabile organizzazione Il secondo presupposto condizionante l’esercizio dell’opzione da parte di una società non residente concerne, come si è rilevato, gli elementi di collegamento con l’ordinamento italiano ed è quello di più ardua interpretazione, a motivo sia della criptica enunciazione legislativa, che dell’impiego di uno strumento, qual è quello della stabile organizzazione, esso stesso di difficoltosa definizione per i confini sfuggenti di questa particolare figura. Nota: Il punto è pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza, che sottolinea il vincolo organico tra l’ente società e le sue ramificazioni secondarie (cui è correntemente ricondotta la stabile organizzazione), l’unicità, di riflesso, di interessi economici e giuridici fra la sede principale e quella secondaria: Cfr, ex pluris, Cass, Sez. I, 6 settembre 1968, n. 2881, in Giust. Civ., 1968, 1500 e ss.; Cass., Sez. I, 9 luglio 1975, n. 2672, in Mass. Dec. Civ., 1975, 7°, 1977. Per la ricostruzione della stabile organizzazione come sede secondaria, che, nello svolgimento dell’attività sociale è da considerare come organo della sede centrale estera, dalla quale è istituita e diretta o, tutt’al più, come un’azienda separata, mai come una distinta persona giuridica, si veda F. Bonelli, La sede secondaria dell’impresa, In Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Genova, IV, 1, 1965, 305 e ss. ed ivi per ampi richiami di dottrina e giurisprudenza. (2) Maggio-Giugno 2005 197 RIFORMA FISCALE Già il fatto di riferire il rapporto di “connessione” non all’impresa della controllata (i.e. alla sua attività), ma alla partecipazione in sé considerata, che in quanto bene immateriale è suscettibile di una relazione giuridica piuttosto che di un collegamento materiale (in cui sembra consistere l’”effettivamente” impiegato dalla legge), rende equivoco il ruolo della stabile organizzazione nel contesto del gruppo di società ed incerte le forme in cui debba esercitarsi la “qualità di controllante”, ai fini del consolidato nazionale. Probabilmente, nelle intenzioni del legislatore, la norma è costruita in modo da far risaltare una particolare direzione e rilevanza dell’attività esercitata dalla stabile organizzazione, destinata a manifestarsi come lo strumento di realizzazione in Italia del reddito d’impresa della casa madre attraverso un’organizzazione imperniata sulle “partecipazioni in ciascuna società controllata”. In questo senso, l’elemento qualificante della definizione legislativa va individuato proprio nell’oscuro concetto della “connessione effettiva”, mentre il riferimento all’esercizio “nel territorio dello Stato” di “un’attività d’impresa”, appare una mera riproduzione del tratto individuatore della stabile organizzazione, già fissato, in via generale, dall’art. 23, 1° comma, lettera e) del TUIR. Sotto quest’ultimo profilo, dunque, il legislatore non fa che ribadire il principio della strumentalità della stabile organizzazione all’esercizio dell’attività d’impresa da parte del soggetto non residente(3), mentre, il richiamo all’art. 55 del TUIR, avrebbe la sola funzione di sottolineare la strumentalità attiva della stabile organizzazione(4), la necessità, cioè, che la funzione imprenditoriale in cui essa si estrinseca non si risolva in una attività di mero godimento, in una detenzione puramente conservativa del patrimonio ad essa destinato. È, del resto, in questa direzione, che va intesa la precisazione fornita dalla circolare n. 53/E citata, che considera non integrato il requisito della commercialità da una attività di “mera detenzione (limitata al godimento dei relativi frutti) di partecipazioni in società residenti” da parte del soggetto non residente(5). In tal caso, infatti, mancherebbe un’organizzazione in forma d’impresa a monte, già a livello, cioè, della società non residente, e tale fatto si ripercuoterebbe negativamente sulla stessa stabile organizzazione, per l’impossibilità di concepire quest’ultima al di fuori di una relazione di servizio rispetto ad un’attività commerciale della casa madre(6). Questo dato, di per sé alquanto scontato, può, tut198 Maggio-Giugno 2005 tavia, fornire un’utile indicazione in merito ai contenuti del requisito che stiamo considerando. In base ad esso, infatti, dovrebbe potersi escludere che la “connessione effettiva”, enfaticamente proclamata dalla norma, possa risolversi nella mera detenzione delle partecipazioni sociali da parte della stabile organizzazione e, di conseguenza, nel mero godimento dei relativi frutti, slegata, perciò, da qualsiasi attività organizzativa rilevante ai fini dell’esercizio, nel territorio dello Stato, di un’attività d’impresa, in funzione della quale soltanto la stabile organizzazione viene in rilievo ai fini in esame. In altri termini, la mera detenzione delle partecipazioni sociali costituisce un fatto ostativo all’acquisto del requisito della commercialità non solo per la società non residente, ma anche per la stabile organizzazione, la cui attività, pertanto, ove si limiti al mero godimento ed alla percezione dei frutti(7) risulterebbe inidonea a configurare, ancor prima del rapporto di “connessione effettiva”, l’esistenza stessa di una stabile organizzazione, occorrendo a tal fine il collegamento delle partecipazioni con lo svolgimento di un’attività d’impresa a diretto vantaggio della casa madre. In simili casi, infatti, i frutti derivanti dal godimento delle partecipazioni sociali potranno rientrare Note: (3) Con felice espressione Cass, sent. 19 novembre 1971, 3319, in Imp. Dir. erar., 1972, 1619, ha definito la stabile organizzazione come “l’azienda operante in Italia della società estera”, individuando il suo tratto qualificante nel “fare operazioni nello Stato italiano”, concreta estrinsecazione nel territorio nazionale delle attività della società estera. Che il soggetto passivo del tributo sia la società estera e non la sua azienda in Italia concorda, del resto, la dottrina assolutamente prevalente. Vastissima la letteratura sul tema; per un’efficace sintesi ricostruttiva si rinvia a C. Garbarino, Impresa multinazionale nel diritto tributario, in Digesto comm., VII, Torino, 1992, 257 e ss. Amplius Caratozzolo-Perrone, Società ed enti non residenti nella imposizione diretta, Roma, 1976, 65 e ss. (4) La formula è impiegata da F.Gallo, Contributo all’elaborazione del concetto di “stabile organizzazione” secondo il diritto interno, in Riv. Dir. fin, 1985, I, 394, per sottolineare l’autonomia produttiva della s.o. rispetto alla casa madre, la sua attitudine, cioè, a concorrere autonomamente alla produzione in Italia di reddito d’impresa. L’indicazione è conforme alla risposta fornita dal Governo, in Commissione Finanze, all’interrogazione n. 5-034280 del 15 settembre scorso, allorché, interpellato sui tratti connotativi della stabile organizzazione ai fini del consolidato nazionale, escluse che la mera detenzione di partecipazioni sociali integrasse un’organizzazione imprenditoriale conforme ai canoni dell’art. 55 del TUIR. (5) (6) Il punto è assolutamente pacifico; cfr. per tutti, S.M. cCarbone, La nozione di stabile organizzazione e la sua operatività nel diritto italiano, in AA. VV., Il reddito d’impresa nel nuovo testo unico, Padova, 1988, 738 e ss. (7) Essenzialmente dividendi, ma, eventualmente, anche interessi, nel caso, ad esempio, del deposito delle partecipazioni sociali a garanzia di finanziamenti e capital gains, nei limiti, peraltro, in cui le operazioni di scambio eventualmente realizzate non assumano i caratteri e l’intensità di una vera e propria attività di trading. RIFORMA FISCALE nella categoria dei redditi di capitale (e diversi) di cui all’art. 23, 1° comma lett. b) (e rispettivamente f)) del TUIR, suscettibili, pertanto, di essere tassati direttamente in capo alla società non residente, una volta che manchi quel sostrato organizzativo idoneo a qualificare l’attività, esercitata nel territorio dello Stato, secondo i paradigmi dell’impresa commerciale. Appare evidente, in altri termini, dalla ricostruzione compiuta, come la “connessione effettiva” postuli un quid pluris rispetto ad un mero collegamento statico delle partecipazioni sociali alla stabile organizzazione, costituito da un’attività che presenti i caratteri individuati dall’art. 55, nel cui ambito dette partecipazioni si inseriscano come strumento ed oggetto di tale attività. 4. I problemi interpretativi suscitati dal requisito della “connessione effettiva” Una ricostruzione meno generica della previsione normativa riteniamo passi attraverso l’esame del requisito di controllo definito dall’art. 120, costituendo quest’ultimo l’essenziale termine di riferimento soggettivo del consolidato fiscale, anche nelle ipotesi di società non residenti. In tali casi, infatti, i caratteri che definiscono il requisito di controllo, pur dovendo essere riferiti alla società capogruppo non residente, devono, tuttavia, trovare espressione nell’assetto di funzioni e di attività attraverso cui la stabile organizzazione dà rilevanza in Italia alla qualità di controllante della casa madre. Com’è noto, presupposto per l’applicazione della disciplina in commento è l’esistenza di un controllo interno o di diritto, enfaticamente proclamato dall’art. 117, 1° comma, attraverso il richiamo al “rapporto di controllo di cui all’articolo 2359, 1° comma, n. 1) del codice civile”. La misura della partecipazione sociale rilevante, tuttavia, non si esaurisce nella mera “disponibilità” della maggioranza dei diritti di voto, ma è legata a più penetranti ed incisivi rapporti di dominio. Rispetto alla previsione codicistica, infatti, è richiesto, per un verso, che la “disponibilità” si concretizzi nella forma più intensa della proprietà delle azioni o titolarità delle quote, così da escludere le ipotesi in cui il diritto di voto promani da fattispecie di potere non assoluto (come tipicamente si verifica nei casi di usufrutto e di pegno di azioni o quote). E, per l’altro verso, l’art. 120 introduce l’ulteriore concorrente condizione della disponibilità di un’analoga maggioranza in punto di diritto agli “utili di bilancio”. Per il legislatore tributario, in altri termini, i tipici diritti corporativi del socio devono coesistere, essendo entrambi determinanti al fine di realizzare quella relazione di gruppo che consenta una tassazione su basi consolidate. In base, dunque, agli elementi che definiscono il rapporto di controllo sopra indicati, sembrerebbe che ciò che rileva, ai nostri fini, sia la “qualità di controllante”, che, tramite la stabile organizzazione, si esercita su ciascuna società residente, in virtù della connessione con le relative partecipazioni. Questo significa, in altri termini, che la stabile organizzazione dovrebbe essere destinata ad un’attività rientrante nel quadro normale delle funzioni di controllo spettanti alla casa madre estera e che tale attività sia in relazione di servizio rispetto a tali funzioni. Secondo questa chiave di lettura, pertanto, la “connessione effettiva” alla stabile organizzazione de “la partecipazione in ciascuna società controllata” avrebbe il significato di una delega di funzioni o, forse, meglio, di un esercizio mediato del ruolo e delle prerogative di socio di controllo spettante alla società non residente, che dovrebbe, perciò, estrinsecarsi in Italia attraverso gli atti e le attività della stabile organizzazione. In altri termini, secondo l’impostazione accolta dal TUIR in questa materia, dovrebbe essere la stabile organizzazione a porre in essere i tipici atti che manifestano l’influenza dominante, nell’accezione richiesta dall’art. 120. Con la conseguenza che: (a) il voto nelle assemblee (ordinarie) delle controllate italiane debba essere esercitato dalla persona o dalle persone che agiscono all’interno o come stabile organizzazione (sia pure nel quadro delle direttive impartite dalla casa madre, da cui invariabilmente procede la direzione unitaria del gruppo); (b) i dividendi distribuiti dalle controllate residenti debbano essere percepiti dalla stabile organizzazione, concorrendo alla formazione del reddito d’impresa da essa realizzato ovvero, parafrasando l’art. 23, 1° comma, lett. e), concorrendo alla formazione dei “redditi d’impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato” dal non residente “mediante stabile organizzazione”. In sostanza, secondo la ricostruzione proposta, la funzione strumentale della stabile organizzazione si realizzerebbe attraverso la gestione ed amministrazione delle partecipazioni (i.e. dei diritti corporativi in cui lo status di socio - di controllo - si manifesta) in Italia, affinché la funzione di controllo o, meglio, “la qualità di controllante” possa dirsi localizzata nel territorio italiano, essendo questo lo Stato in cui Maggio-Giugno 2005 199 RIFORMA FISCALE si realizza, con il consolidamento degli imponibili, il presupposto per la tassazione del soggetto non residente. Mentre, ai fini in esame, non sarebbe sufficiente la mera percezione dei dividendi (il diritto di partecipare all’”utile di bilancio”, secondo la terminologia dell’art. 120, 1° comma, lett. b)), perché, oltre a quanto già osservato in precedenza, una tale situazione sarebbe già suscettibile di tassazione direttamente in capo alla partecipante non residente, come è confermato dall’art. 23, 1° comma, lett. b), che, non a caso, pone su piani diversi ed autonomi la detenzione statica di partecipazioni sociali rispetto alle “attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni”, che la lettera e) del medesimo art. 23 considera, invece, produttive di “redditi d’impresa”(8). Ben difficilmente, perciò, l’esclusiva considerazione del diritto ai dividendi potrebbe esaurire il contenuto del rapporto di “connessione” predicato dall’art. 117 per l’accesso al consolidato nazionale da parte dei “soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d)”. 5. Le modifiche introdotte dallo schema di decreto correttivo dell’IRES Proprio in considerazione dei notevoli problemi interpretativi suscitati dall’attuale formulazione legislativa, lo schema di decreto legislativo, approvato dal Consiglio dei ministri il 18 marzo scorso, contenente le “disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344” ha optato per un mutamento radicale d’impostazione, espungendo dal testo dell’art. 117 il riferimento al rapporto di “connessione effettiva” e sostituendolo con un più lineare ed immediato nesso di collegamento delle partecipazioni sociali con la sfera patrimoniale della stabile organizzazione. Secondo la nuova formula, infatti, la condizione legale sarebbe soddisfatta dal risultare “la partecipazione in ciascuna società controllata” “compresa nel patrimonio” della stabile organizzazione. In tal modo, si tende a far prevalere una considerazione di tipo patrimoniale, attribuendo prevalenza al dato contabile dell’iscrizione delle partecipazioni “in ciascuna società controllata” tra le attività dello schema di bilancio della stabile organizzazione. Questo approccio determina un evidente ridimensionamento del collegamento funzionale tra attività della stabile organizzazione e società residenti da consolidare, le quali, dunque, nell’accezione pro200 Maggio-Giugno 2005 posta, verrebbero in rilievo come mero oggetto di una relazione economica, intesa per lo più come intestazione formale o detenzione statica delle relative partecipazioni sociali. Esigenze di semplificazione dei rapporti tributari e di certezza dell’accertamento sembrano la matrice di questo approccio, sotto molti versi, riduzionistico, mosso dall’intento di risolvere, sul piano del diritto positivo, attraverso una configurazione formale, i problemi di collegamento tra la stabile organizzazione e le “società controllate” che rientrano nel perimetro di consolidamento. Consegue, ancora, che, in base all’impostazione introdotta con lo schema di decreto correttivo, la distinta rilevazione in contabilità (e nel bilancio) delle partecipazioni sociali diventi, in qualche modo, idonea ad esaurire, ai sensi dell’art. 14 del D.P.R. n. 600/1973, “i fatti di gestione che interessano la stabile organizzazione”, la cui attività e funzione potrebbero, a questo punto, limitarsi a quella di determinare “separatamente i risultati di esercizio” derivanti dalla “partecipazione in ciascuna società controllata”. In conclusione, con la modifica apportata, a parte ogni altro rilievo sulla sua coerenza sistematica, si è indubbiamente scelta la via di una semplificazione dei rapporti infragruppo rilevanti ai fini del consolidato nazionale, con ciò favorendo l’apertura dell’ordinamento tributario alle variabili esigenze organizzative dell’impresa plurisocietaria, cui si rivolge il nuovo sistema di tassazione di gruppo. Nota: (8) Questo rilievo trova riscontro in una precisazione fornita dalla stessa circolare n. 53/E, che, nell’evidenziare come “l’esercizio, da parte della stabile organizzazione .. di un’attività d’impresa, nel senso delineato dall’art. 55” e “la sussistenza di un rapporto di “effettiva connessione” costituiscano “due distinte condizioni” in cui si articola “il requisito indicato” alla lettera b) del 2° comma dell’art. 117, mette in risalto l’importante dato sistematico per cui prima vengono in considerazione i criteri di qualificazione della stabile organizzazione in base alla natura dell’attività esercitata - necessari perché possa essere operato il riconoscimento formale della relativa fattispecie -, e solo successivamente il criterio, per così dire, specializzante della “connessione effettiva”, in cui si tipicizza la qualità di controllante, richiesta per l’esercizio dell’opzione per il consolidato nazionale. RIFORMA FISCALE Il regime di trasparenza fiscale in presenza di soci non residenti di Gesuino Vanetti(*) 1. Premessa turalmente, a tal fine, i soci esteri devono essere prima facie in possesso dei requisiti previsti per i residenti e illustrati nel comma 1 dell’art. 115. Più precisamente, i soci devono avere una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea generale richiamata dall’art. 2346 c.c. e una partecipazione agli utili non inferiore al 10% e non superiore al 50% e tali requisiti devono sussistere a far data dal primo giorno del periodo d’imposta della partecipata in cui si esercita l’opzione e permanere ininterrottamente sino al termine del periodo di opzione. In merito alla partecipazione di soci esteri, l’art. 1, comma 2, del D.M. 23 aprile 2004 prevede che l’opzione per la grande trasparenza possa essere esercitata, in qualità di soci, anche dai soggetti indicati nell’art. 73, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 917/1986, ovverosia da società ed enti di ogni tipo non residenti, con o senza personalità giuridica, purché per gli utili distribuiti non vi sia obbligo di ritenuta fiscale ovvero la ritenuta, se applicata, sia suscettibile di integrale rimborso. Diversamente quindi dai soci residenti, per i quali è richiesta la forma giuridica di società di capitali, i soci esteri devono solo rivestire la forma societaria, prescindendo dall’esistenza o meno della personalità giuridica. Tale scelta legislativa è stata operata fondamentalmente per semplificare l’accesso alla trasparenza, tenuto conto delle difficoltà connaturate ad un’indagine in ordine alla tipologia della società non residente, volta ad appurare se la stessa possa essere assimilata o meno alle società di capitali previste dall’ordinamento interno(1). Il legislatore, disciplinando il regime di trasparenza in presenza di soci esteri, ha perseguito il precipuo obiettivo di evitare perdite di gettito fiscale per lo Stato italiano. Innanzitutto, al fine di ricondurre a tassazione in Ita- SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Requisiti dei soci non residenti - 3. Assenza dell’obbligo di ritenuta sugli utili distribuiti a soci non residenti Gli articoli 115 e 116 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, disciplinanti la trasparenza fiscale rispettivamente delle società di capitali partecipate esclusivamente da altre società di capitali (cosiddetta “grande trasparenza”) e delle società a responsabilità limitata integralmente possedute da persone fisiche (cosiddetta “piccola trasparenza”), consentono, al ricorrere di una particolare condizione infra specificata, l’opzione per tale regime impositivo anche in presenza di soci non residenti. In particolare, il comma 2 dell’art. 115, peraltro espressamente richiamato dal comma 1 dell’art. 116 in ordine alla “piccola trasparenza”, non preclude l’opzione per la trasparenza fiscale alle società che annoverano tra i propri soci, dei soggetti non residenti, a condizione che non vi sia alcun obbligo di ritenuta sugli utili distribuiti agli stessi. Premesso che la trasparenza fiscale comporta l’imputazione del reddito prodotto dalla società direttamente in capo a ciascun socio, indipendentemente dall’effettiva percezione e proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili, la presente trattazione intende analizzare i riflessi impositivi della disposizione in argomento in capo ai soci esteri, evidenziando le motivazioni di fondo che hanno indotto il legislatore ad operare tale scelta normativa. 2. Requisiti dei soci non residenti Ai sensi del comma 2 dell’art. 115, “nel caso in cui i soci di cui al comma 1 non siano residenti nel territorio dello Stato l’esercizio dell’opzione è consentito a condizione che non vi sia obbligo di ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti”. Non è quindi inibita alle società di capitali la possibilità di optare per il regime di trasparenza di cui all’art. 115 per il solo fatto di annoverare nella propria compagine societaria dei soggetti non residenti nel territorio dello Stato, purché in relazione agli utili ad essi distribuiti non vi sia alcun obbligo di ritenuta alla fonte. Na- Dottore commercialista - NCTM - Negri-Clementi, Toffoletto, Montironi e soci (*) Nota: (1) C.M. 22 novembre 2004, n. 49/E, par. 2.5. Maggio-Giugno 2005 201 RIFORMA FISCALE lia i redditi realizzati dalla società partecipata e attribuiti per trasparenza al socio estero, è stata operata un’integrazione della lett. g) del comma 1 dell’art. 23 del D.P.R. n. 917/1986, in virtù della quale si considerano prodotti nel territorio dello Stato anche i redditi di cui agli artt. 115 e 116 imputabili ai soci non residenti. In tale ottica, è stato poi subordinato l’esercizio dell’opzione per la trasparenza da parte delle società partecipate anche da soci esteri, alla condizione che nei confronti di questi ultimi non vi sia obbligo di ritenuta alla fonte ovvero, la ritenuta, se applicata, sia suscettibile di integrale rimborso. In tal caso, la società non residente sarà obbligata, relativamente a tali redditi imputati per trasparenza, a presentare la dichiarazione dei redditi in Italia e ad assolvere l’IRES di propria spettanza. La ratio della previsione di cui al comma 2 dell’art. 115, come esplicitato dall’Amministrazione finanziaria(2), è quella di non alterare de facto l’entità del gettito fiscale ricavabile dall’Erario in assenza del regime di trasparenza. Ordinariamente, infatti, gli utili subiscono una tassazione in capo alla società partecipata e, successivamente, ove distribuiti a soci non residenti, vengono in qualità di dividendi assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta con aliquota del 27%, ai sensi del comma 3 dell’art. 27 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ovvero con la minor aliquota convenzionale. Senza la previsione in commento ed in vigenza del regime di trasparenza, l’imposta ordinariamente assolta dalla società partecipata verrebbe scontata unicamente dal socio estero, al quale poi, in occasione della distribuzione dei dividendi correlati, non verrebbe applicata alcuna ritenuta alla fonte. Pertanto, l’Erario avrebbe una perdita di gettito fiscale pari alla ritenuta che sarebbe stata altrimenti applicata. A chiarimento di quanto delineato, si consideri il caso in cui una società di capitali residente partecipata al 50% da una società estera, generi nel corso dell’esercizio un utile ante imposte ed un imponibile fiscale pari a 200. Su tale reddito la società partecipata dovrà versare IRES per 66 (il 33% di 200), evidenziando un utile netto di 134 (cioè 200-66). Il dividendo distribuito al socio non residente, pari a 67 (cioè il 50% di 134), verrebbe ordinariamente assoggettato a ritenuta alla fonte in Italia con aliquota del 27%. Pertanto, il socio estero percepirebbe un dividendo netto pari a [67 (dividendo) - 18 (ritenuta, cioè il 27% di 67)] = 49. Quindi il socio estero sconterebbe in Italia una tassazione complessiva di 51, di cui 33 assolta indirettamente mediante la tassazione dell’utile societario e 18 in via diretta, tramite la ritenuta alla fonte sul dividendo percepito. In vigenza del regime di trasparenza fiscale ed in as202 Maggio-Giugno 2005 senza della disposizione di cui al comma 2 dell’art. 115, il socio estero sconterebbe unicamente un’imposizione di 33 a titolo di IRES, derivante dall’imputazione per la quota di propria competenza dell’imponibile prodotto dalla società, senza alcuna tassazione in caso di successiva distribuzione del dividendo correlato. Alla luce di quanto testé delineato, il legislatore ha reputato opportuno consentire l’opzione per la trasparenza alle società partecipate da soci esteri, a condizione che nei confronti di questi ultimi non vi sia obbligo di ritenuta, fugando in tal modo i timori di un’eventuale perdita di gettito erariale. In realtà, come rilevato dalla dottrina più autorevo(3) le , il legislatore nel regolamentare il regime di trasparenza fiscale avrebbe potuto prescrivere comunque l’applicazione della ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti ai soci non residenti, consentendo così la partecipazione di questi ultimi in società trasparenti alla medesima stregua dei soci italiani. In tal modo, come si evidenzierà nel prosieguo della presente trattazione, si sarebbero evitati problemi di conformità della limitazione di cui al comma 2 dell’art. 115, alle disposizioni comunitarie. 3. Assenza dell’obbligo di ritenuta sugli utili distribuiti a soci non residenti In primis, è opportuno evidenziare, come sottolineato nella C.M. n. 49/E, che attualmente non esistono Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia che esentino da ritenuta alla fonte i dividendi erogati da società partecipate residenti. Ciò premesso, l’art. 27-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 consente la non applicazione di ritenute ai dividendi distribuiti a società estere allorché sussistano le condizioni di cui alla Direttiva n. 435/90/CEE del Consiglio del 23 luglio 1990 (cosiddetta “Direttiva sulle società madri e figlie”). Inoltre, in ossequio al disposto normativo di cui al comma 3 dell’art. 27 del D.P.R. n. 600/1973, non vi è alcun obbligo di ritenuta sugli utili corrisposti a soggetti esteri che abbiano nel territorio dello Stato una stabile organizzazione cui si riferisce la partecipazione. Pertanto, la società trasparente non ha obbligo di ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti a soci esteri laddove ricorra una delle seguenti condizioni: Note: (2) C.M. 22 novembre 2004, n. 49/E, par. 2.5. G. Sepio e R. Lupi, Tassazione per trasparenza delle società di capitali e soci non residenti, in “Dialoghi di Diritto Tributario”, n. 2/2004, pagg. 290 e 291. (3) RIFORMA FISCALE • risultino verificati i presupposti applicativi dell’art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973; • la partecipazione nella società trasparente sia relativa ad una stabile organizzazione italiana del socio estero. Al riguardo, vale la pena osservare come, mentre l’art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973 consente la partecipazione in società trasparenti di cui all’art. 115 unicamente a società comunitarie, la presenza di una stabile organizzazione permette anche a società residenti in un Paese non appartenente all’Unione Europea di partecipare in società trasparenti. 3.1. L’art. 27- bis del D.P.R. n. 600/1973 e la “Grande Trasparenza” A mente dell’art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973 non sono soggetti a ritenuta alla fonte o, se applicata, la stessa è suscettibile di integrale rimborso, gli utili distribuiti da una società di capitali italiana ad un socio non residente, laddove risultino verificate determinate condizioni. In particolare, il socio estero deve: • detenere una partecipazione diretta non inferiore al 25%(4) nella società che distribuisce gli utili; • rivestire una delle forme giuridiche previste nell’allegato della Direttiva n. 435/90/CEE (cosiddetta “Direttiva sulle società madri e figlie”), ovverosia quella di società di capitali od enti commerciali equiparati; • risiedere ai fini fiscali in uno Stato membro dell’Unione Europea; • essere assoggetto nello Stato di residenza ad una delle imposte indicate nell’allegato alla Direttiva n. 435/90/CEE senza possibilità di fruire di regimi di opzione o di esonero che non siano territorialmente o temporalmente limitati; • detenere la partecipazione ininterrottamente da almeno un anno. La società non residente, al fine di fruire del rimborso integrale della ritenuta subita sui dividendi dovrà produrre all’Amministrazione finanziaria italiana una certificazione rilasciata dall’autorità fiscale del proprio Paese attestante i requisiti sopra delineati, nonché la documentazione che provi la sussistenza delle stesse condizioni. La società erogante potrà altresì esentare il dividendo da ritenuta, previa richiesta ed acquisizione dalla partecipante estera della succitata documentazione; in tale eventualità la società partecipata dovrà conservare la documentazione acquisita fino a quando non siano decorsi i termini per gli accertamenti relativi al periodo d’imposta in corso alla data di pagamento dei dividendi e comunque fino a quando non siano stati definiti gli accertamenti stessi. In merito alle specifiche condizioni richieste dall’art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973 si rendono opportune delle considerazioni volte ad appalesare gli elementi di criticità ad esse sottese. In primis, occorre porre in luce come la partecipazione minima del 25% richiesta alle società comunitarie per la partecipazione in società di capitali italiane trasparenti appaia non conforme alle disposizioni comunitarie(5), in quanto decisamente superiore rispetto alla percentuale del 10% prevista per i soci italiani. Segnatamente, tale previsione potrebbe essere ritenuta in conflitto con il principio di libertà di stabilimento e di movimento dei capitali, sanciti dal Trattato della Comunità europea e, quindi, lesiva dei diritti delle società comunitarie, che verrebbero così discriminate rispetto alle società italiane(6). Sebbene, la percentuale minima del 25% sia destinata a ridursi progressivamente fino al 10% con decorrenza dal 1°gennaio 2009, sino a tale data la condizione in argomento produrrà gli effetti discriminatori delineati. Peraltro, come sottolineato dalla dottrina più autorevole(7), tale discriminazione potrebbe concretizzarsi anche in un osteggiamento da parte dei soci residenti all’ingresso nella compagine societaria di società comunitarie non aventi i requisiti di cui all’art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973, non favorendo certo l’integrazione a livello comunitario. Per quanto concerne la forma giuridica delle società comunitarie, l’art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973, stante l’espresso richiamo alla Direttiva n. 435/90/CEE, richiede che le stesse debbano essere società di capitali ed enti ad esse assimilate. Dunque tale disposizione restringe decisamente la portata del comma 1 dell’art. 2 del decreto ministeriale, il quale nel delineare l’ambito soggettivo di applicazione del regime di trasparenza stabilisce che l’opzione può essere esercitata anche dai soggetti indicati nell’art. 73, comma 1, lett. d) e quindi Note: (4) La Direttiva 2003/123/CE prevede l’abbassamento della percentuale del 25% al 20% con decorrenza dal 1°gennaio 2005, al 15% dal 1°gennaio 2007 ed al solo 10% a partire dal 1°gennaio 2009. L. Miele, Regime di trasparenza fiscale e soci esteri, in “Corriere Tributario”, n. 4/2004, pag. 260. (5) L. Salvini, La tassazione per trasparenza, in “Rassegna Tributaria”, n. 5/2003, pagg. 1510 e 1511. (6) G. Sepio e R. Lupi, Tassazione per trasparenza delle società di capitali e soci non residenti, in “Dialoghi di Diritto Tributario”, n. 2/2004, pag. 287; L. Salvini, La tassazione per trasparenza, in “Rassegna Tributaria”, n. 5/2003, pag. 1511. (7) Maggio-Giugno 2005 203 RIFORMA FISCALE che possono in generale avvalersi del regime di trasparenza le società socie indipendentemente dalla loro forma giuridica. A ciò si aggiunga che la C.M. n. 49/E asserisce che sulla base di detta disposizione “viene semplificato l’accesso al regime opzionale, eliminando la necessità di compiere caso per caso, il difficile esame sulla tipologia della società non residente per verificare se la stessa possa essere assimilata o meno alle società di capitali previste dall’ordinamento”. In realtà, nel caso di società comunitarie prive di stabile organizzazione nel territorio dello Stato occorrerà indagare in ordine alla tipologia societaria, consentendo alle stesse la partecipazione in società di capitali trasparenti solo allorché le stesse siano assimilabili alle società di capitali. Da ultimo, si rileva che in relazione al requisito della detenzione ininterrotta per almeno un anno della partecipazione qualificata, la C.M. n. 49/E ha chiarito che lo stesso non deve essere necessariamente verificato su un arco temporale precedente a quello dal quale decorre il regime di trasparenza. Tuttavia, qualora tale condizione non dovesse essere soddisfatta entro il primo periodo di trasparenza l’opzione per la trasparenza si considererà come non perfezionata. 3.2. L’assenza dell’obbligo di ritenuta nell’ambito della “Piccola Trasparenza” I requisiti richiesti per l’esercizio dell’opzione di cui all’art. 116 differiscono da quelli di cui all’art. 115, in quanto sono ammesse a tale regime solo le società a re- sponsabilità limitata e le società cooperative che soddisfano le seguenti condizioni: • un volume di ricavi non superiore alle soglie per l’applicazione degli studi di settore, attualmente pari a € 5.164.568,99; • una compagine societaria composta esclusivamente da persone fisiche in numero non superiore a 10, prescindendo dalle percentuali di partecipazione agli utili e ai diritti di voto in assemblea dei singoli soci. Stante l’espresso richiamo del comma 1 dell’art. 116 al comma 2 dell’art. 115, le società a responsabilità limitata e le società cooperative possono optare per il regime di trasparenza di cui all’art. 116 anche in presenza di soci esteri, purché, verificate le condizioni precedentemente delineate, nei confronti degli stessi non vi sia alcun obbligo di ritenuta sugli utili distribuiti. Al riguardo, l’art. 14, comma 1, lett. b), del D.M. 23 aprile 2004 risulta di portata risolutiva, disponendo che l’esercizio dell’opzione è consentito anche in presenza di soci persone fisiche non residenti, purché la partecipazione da questi detenuta sia riferibile ad una stabile organizzazione sita nel territorio dello Stato. Ciò in quanto le persone fisiche non residenti non possono beneficiare dell’esenzione dalla ritenuta sui dividendi prevista dall’art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973. Conseguentemente, il socio persona fisica non residente presenterà in Italia la dichiarazione dei redditi in ordine alla quota di reddito attribuita alla propria stabile organizzazione dalla società trasparente, assolvendo con aliquota progressiva l’IRE di propria competenza. Tavola di sintesi - Soci non residenti ammessi alla tassazione per trasparenza Art. 115 “Grande Trasparenza” Società nei confronti delle quali risultano verificate le condizioni previste dalla Direttiva madre-figlia (Art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973) Società che detengono le partecipazioni nella società italiana trasparente tramite una stabile organizzazione in Italia (Art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973) Art. 116 “Piccola Trasparenza” 204 Maggio-Giugno 2005 Persone fisiche che detengono le partecipazioninella società italiana trasparentetramite una stabile organizzazione in Italia (Art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973) RIFORMA FISCALE Aspetti comparati del consolidato fiscale: la disciplina tedesca di Paola Marongiu(*) 1. L’istituto dell’Organschaft: considerazioni introduttive SOMMARIO: 1. L’istituto dell’Organschaft: considerazioni introduttive 2. Il soggetto controllante (Organträger) - 3. Il soggetto controllato (Organgesellschaft) 4. Il requisito dell’integrazione finanziaria (finanzielle Eingliederung) - 5. Il contratto di trasferimento di utili (Gewinnabführungsvertrag) 6. Il reddito globale di gruppo 7. Le operazioni infragruppo 8. Il regime delle perdite In Italia, prima dell’attuale riforma, il concetto di gruppo era pressoché ignorato; con la recente rivisitazione del regime di tassazione delle società, il quadro normativo ha assunto una diversa struttura e il riconoscimento fiscale del gruppo ha trovato definitivo e generale accoglimento mediante l’introduzione del c.d. “consolidato fiscale” (nazionale e mondiale), la cui disciplina è contenuta negli artt. da 117 a 129 del nuovo Testo Unico. Nel diritto tributario tedesco, la figura dell’Organschaft(1) - “ponte” di collegamento fra la disciplina giuscommercialistica e quella fiscale - rappresenta la risposta del legislatore alla necessità di effettuare compensazioni utili/perdite all’interno del gruppo e, per tale via, di attribuire all’unità giuridico-economica delle società una rilevanza anche fiscale e di addivenire ad una vera e propria tassazione di gruppo. L’attuale configurazione dell’Organschaft - la cui “apparizione” nell’ordinamento giuridico tedesco risale al 1977 - si deve alla recente riforma del sistema fiscale tedesco, attuata negli anni 1999 e 2001, con due provvedimenti normativi che hanno modificato profondamente il regime di tassazione delle imprese, ivi compresa la disciplina dell’istituto in esame(2). I tratti peculiari della riforma, ai fini della disamina della disciplina dell’istituto de quo, devono individuarsi nell’abolizione, ai fini della qualifica di Organträger (soggetto controllante) del duplice presupposto della sede e del centro direzionale dell’attività in Germania e, per altro verso, nella limitazione del computo delle perdite qualora esse abbiano contestuale rilevanza all’estero. 2. Il soggetto controllante (Organträger) In Italia, i soggetti ammessi a beneficiare del consolidato, in veste di consolidanti, sono le società e gli enti commerciali residenti, ivi compresi, oltre alle persone giuridiche, i consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi in relazione ai quali il presupposto si realizza in modo autonomo e unitario. Inoltre, le società ed enti commerciali di ogni natura, privi o meno di personalità giuridica, non residenti in Italia, a condizione che il Paese estero di residenza sia uno Stato con il quale sussista una Convenzione internazionale contro la doppia imposizione e svolgano nel territorio nazionale, come oggetto esclusivo o principale, un’attività commerciale mediante una stabile organizzazione cui la partecipazione in ciascuna controllata sia effettivamente connessa. La posizione di Organträger - che deve essere assoggettato, senza esenzione, alle imposte sui redditi in base al diritto tedesco - può essere assunta, in particolare, da persone fisiche (natürliche Personen), società di persone (Personengesellschaften), società di capitali (Kapitallgesellschaften), altri enti collettivi (Körperschaften), dotati o meno di personalità giuridi- Avvocato in Genova e Milano, “Studio Magnani Marongiu & Associati”. (*) Note: La normativa di riferimento è contenuta nel § 14 del KStG (Körperschaftsteuergesetz), che definisce i soggetti, in veste di controllanti e controllate, e i presupposti oggettivi per accedere all’istituto de quo. (1) In particolare la legge - Steuersenkungsgesetz (StSenkG) - con la quale si è assisitito al passaggio dal sistema di imputazione (credito di imposta sui dividendi) al sistema della imposizione dimezzata (Halbeinkünfteverfahren) la cui ratio è di attenuare gli effetti di doppia imposizione economica sugli utili societari; la legge - Unternehmenssteuerfortentwicklungsgesetz (UnStFG) - volta all’incentivo dello sviluppo delle imprese. (2) Maggio-Giugno 2005 205 RIFORMA FISCALE ca, associazioni di persone (Personenvereinigungen) e, altresì, dalle c.d. “masse patrimoniali” (Vermögensmassen). La qualifica di Organträger presuppone almeno la localizzazione, nel caso di “enti collettivi”, del centro direzionale dell’attività (Geschäftsleitung)(3) in Germania; nel caso di persona fisica, della residenza (Wohnsitz) o della dimora abituale (gewöhnlicher Aufenthalt) nel territorio tedesco. Organträger può essere altresì una stabile organizzazione di una società estera localizzata e registrata in Germania, purchè le partecipazioni nelle società controllate siano connesse alla stabile organizzazione e a questa sia giuridicamente riferibile il contratto di trasferimento di utili concluso con le predette società. Si precisa, inoltre, che l’Organträger deve essere un’impresa commerciale (gewerbliches Unternehmen): un soggetto cioè che esercita un’impresa commerciale, ovvero detiene un’azienda commerciale, in forza dell’attività esercitata o della forma giuridica rivestita mentre non è più richiesto, dopo l’ultima riforma, l’ulteriore requisito dello svolgimento in Germania dell’attività(4). 3. Il soggetto controllato o società organo (Organgesellschaft) In Italia, la veste di società controllata può essere assunta dalle società ed enti commerciali residenti, soggetti passivi dell’imposta sulle società secondo le disposizioni dell’art. 117, comma 1, del nuovo Testo Unico. Nella legislazione tributaria tedesca, sotto la definizione di “Organgesellschaft”, sono sussumibili le società per azioni (AG) o in accomandita per azioni (KGaA), ma anche, per effetto del rinvio operato dal § 17 KStG(5), le società a responsabilità limitata (GmbH), mentre sono escluse le stabili organizzazioni di un’impresa estera. Le Organgesellschaften, che non devono esercitare un’attività di impresa, devono soddisfare - onde verificare pienamente la sussistenza dei presupposti previsti dalla normativa - il duplice requisito della localizzazione in Germania sia della sede legale, sia del centro effettivo di direzione della società: il primo è dato dal luogo individuato come tale nell’atto costitutivo; il secondo coincide invece con il luogo in cui si assumono le decisioni sociali più rilevanti. 4. L’integrazione finanziaria (finanzielle Eingliederung) In Italia, l’ingresso nel regime del consolidato è 206 Maggio-Giugno 2005 subordinato alla sussistenza della condizione del controllo fra ente controllante e società controllata, e non invece dell’integrazione economica o finanziaria fra le attività delle società. La condizione indicata ricorre in presenza del rapporto di controllo ex art. 2359, comma 1, n. 1, c.c. (la disponibilità cioè, diretta o indiretta, in capo alla società o ente controllante, della maggioranza dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria di un’altra società), cui l’art. 117 rinvia. Il rapporto di controllo deve possedere i requisiti previsti dal successivo art. 120: partecipazione, diretta o indiretta, al capitale sociale ovvero all’utile di bilancio della controllata per una percentuale superiore, in entrambe le fattispecie, al 50%. Il concetto di “controllo” in Germania corrisponde al concetto di “integrazione finanziaria” (c.d. finanzielle Eingliederung), secondo quanto previsto dal § 14, Abs. 1, Nr. 1, Satz 1, del KStG, fra le società organo e la società controllante: la titolarità, in capo alla capogruppo, della maggioranza delle azioni con diritto di voto (c.d. Stimmrechte) nella società organo, e non anche la maggioranza azionaria in generale. Nell’ipotesi in cui Organträger sia una società di persone, l’integrazione finanziaria - necessaria fin dall’inizio dell’esercizio sociale della società organo - risulta soddisfatta solo se la maggioranza delle azioni con diritto di voto sia riferibile alla società, e non al singolo socio. Ai fini del computo assumono rilevanza sia le partecipazioni dirette che quelle indirette (a diffeNote: Prima della riforma, il legislatore tedesco aveva posto, quale condizione rilevante, anche l’ubicazione della sede legale (c.d. Sitz) sul territorio tedesco. La ratio dell’attuale scelta di richiedere almeno la localizzazione in Germania del centro direzionale dell’attività - che è in linea con l’obiettivo di agevolare la costituzione di gruppi di matrice internazionale - si spiega in ragione dell’art. 4 del Modello OCSE: le società con “doppia residenza” infatti sono assoggettate a tassazione nello Stato nel cui territorio si trova proprio il centro effettivo di direzione (o sede amministrativa) della società. Per ulteriori approfondimenti sul punto, L. SCHMIDT, T. MÜLLER, E. STÖCKER, Die Organschaft, Neue Wirtschafts-Briefe Herne, Berlin, 6. Auflage, pp. 55 ss. (3) Un siffatto limite era ritenuto oramai superfluo e non più consono con il disegno di ampliare, anziché restringere, l’ambito applicativo dell’istituto in esame. Come evidenziano L. SCHMIDT, T. MÜLLER, E. STÖCKER, Die Organschaft, op. loc. ult. cit., l’Amministrazione finanziaria tedesca ritiene che il requisito dell’attività commerciale risulti integrato quando l’attività è esercitata da una società di capitali e questo orientamento sembra oramai accolto e condiviso dalla dottrina maggioritaria. (4) (5) Il § 17 KStG, rubricato “Altre società di capitali come società organo”, estende l’ambito di applicabilità dei § 14-16, che afferiscono al funzionamento dell’Organschaft nei suoi tratti principali, altresì a società diverse, per forma giuridica, a quelle individuate nel § 14, al ricorrere di determinati presupposti, e cioè qualora il trasferimento degli utili non ecceda il valore indicato nel § 301 AktG e qualora a questo sia correlata l’assunzione delle perdite. RIFORMA FISCALE renza della disciplina previgente che sanciva invece il c.d. Additionsverbot), vale a dire le partecipazioni che la capogruppo detiene per effetto della partecipazione in altre società, con un correttivo: il computo delle partecipazioni indirette o, insieme, delle partecipazioni dirette e indirette nelle singole società organo, può avvenire a condizione che la capogruppo detenga in ciascuna delle società intermedie la maggioranza delle azioni con diritto di voto(6), di guisa che l’integrazione finanziaria nei confronti della capogruppo sia realizzata da ciascuna società intermedia(7). 5. Il contratto di trasferimento di utili (Gewinnabführungsvertrag) Il regime del consolidato, in Italia, spiega i propri effetti a seguito dell’esercizio dell’opzione da parte della capogruppo e delle singole società, per una durata di almeno tre esercizi sociali, e implica la sussistenza di una serie di condizioni espressamente e specificamente individuate dall’art. 119 del Testo Unico. L’attivazione dell’Organschaft postula la stipulazione del c.d. contratto di trasferimento di utili, dalle società organo al soggetto controllante, in virtù del quale le prime attribuiscono i propri utili o le proprie perdite all’impresa dominante (c.d. Gewinnabführungsvertrag - GAV). Il contratto di trasferimento di utili diviene efficace solo a seguito dell’annotazione nel registro delle imprese, annotazione che segna il momento in cui l’Organschaft prende “vita”, la cui ragion d’essere risiede nel fatto che, fino al periodo d’imposta 2001, le società del gruppo realizzavano già prima della registrazione del contratto la compensazione degli utili e delle perdite, dando così di fatto vita all’Organschaft in un periodo anteriore al perfezionarsi del presupposto. Ciò non è più possibile a partire dal periodo di imposta dell’anno 2002: l’eventuale attribuzione di utili e perdite prima dell’annotazione nel registro delle imprese è sotto il profilo fiscale tamquam non esset e gli utili conseguiti dalle singole società sono tassati in capo a ciascuna. Il contratto in esame - così si legge nel § 14, Abs. 1, Nr. 3, Satz 1, KStG - deve avere una durata minima di cinque anni e l’eventuale risoluzione prima dello spirare del termine de quo è ammissibile solo al verificarsi di significativi eventi(8). Al contrario, la cessazione degli effetti del contratto prima del termine indicato per una causa imputabile alla volontà di una delle parti comporta il venir meno, con effi- cacia retroattiva (effetto che trova il consenso anche dell’Amministrazione finanziaria tedesca) degli effetti fiscali del gruppo, con la conseguenza che ciascuna società sarà tassata sul proprio reddito in base alle regole ordinarie. Da ultimo, il contratto di trasferimento di utili deve contenere - a pena di nullità dal punto di vista civilistico e di irrilevanza dal punto di vista fiscale l’indicazione di quanto sarà corrisposto ai soci esterni delle società organo (außenstehende Gesellschafter) a titolo di conguaglio per l’eventuale pregiudizio derivante dall’annessione alla società capogruppo. La dazione di tale somma, a prescindere dal fatto che avvenga ad opera delle società organo o della capogruppo, non determina una diminuzione del reddito globale del gruppo, né costituisce un costo deducibile per la società che eroga il conguaglio(9). Per contro, in capo alla società organo ricevente, la somma percepita a titolo di compensazione costituirà reddito imponibile per i 3/4 dell’ammontare effettivamente pagato. 6. Il reddito globale di gruppo In Italia, ciascuna società procede alla determinazione del proprio risultato fiscale applicando le prescrizioni in tema di reddito di impresa dettate dal Testo Unico cui segue, da parte della società capogruppo, la quantificazione del reddito complessivo globale secondo le disposizioni di cui agli artt. 118 e 122 del medesimo Testo Unico. Se l’art. 118 preveNote: (6) Invero, il Bundesfinanzhof aveva ritenuto ammissibile il computo altresì delle partecipazioni indirette nell’accezione sopra specificata (BFH- Urteile I 95/65 del 24 gennaio 1968, in Bundessteuerblatt Teil II, 1968, 315; I 44/64 del 26 aprile 1966, in Bundessteuerblatt Teil III, 1966, 376): il legislatore si è limitato a codificare una regola che già in alcune occasioni aveva formato oggetto di applicazione. (7) Un esempio chiarirà meglio la questione. Se la società A - che si configura quale controllante di un gruppo - detiene la maggioranza assoluta dei diritti di voto nelle società organo B e C, queste saranno per la globalità partecipate da A. Se le società organo B e C possiedono ciascuna rispettivamente il 50% delle azioni con diritto di voto nella società D, la capogruppo A, per effetto del calcolo delle partecipazioni indirette in B e C, controllerà altresì la società D, con la conseguenza che anche per questa ultima società sarà soddisfatto il requisito dell’integrazione finanziaria nella capogruppo A. Sono enucleabili, a titolo esemplificativo, la cessione delle partecipazioni da parte dell’Organträger, le operazioni di fusione, trasformazione, liquidazione che coinvolgono la società capogruppo o anche solo una società organo. (8) L’Amministrazione finanziaria tedesca (cfr. Bundesminister der Finanzen- Scritto del 22 novembre 2001, in Deutsches Steuerrecht, 2001, 2116) ha precisato che, dalla prospettiva dell’Organschaft, il conguaglio non può configurarsi neanche come una distribuzione di utili e non può determinare una diminuzione dell’imposta sul reddito dovuta. (9) Maggio-Giugno 2005 207 RIFORMA FISCALE de la determinazione del reddito complessivo globale costituito dalla somma algebrica per l’intero importo dei redditi e delle perdite delle entità rientranti nel perimetro del consolidamento, l’art. 122 prevede che al risultato così ottenuto si apportano alcune variazioni, le c.d. “rettifiche di consolidamento” che possono comportare una diminuzione ovvero un aumento del reddito complessivo globale: i dividendi distribuiti fra le varie società, che non concorrono alla formazione della base imponibile consolidata; il pro-rata patrimoniale, nella cui rideterminazione non deve tenersi conto dei finanziamenti effettuati per l’acquisto di partecipazioni in società incluse nel consolidato; le cessioni infragruppo nella misura corrispondente alla differenza fra il valore di libro e quello fiscalmente riconosciuto di beni diversi da quelli che generano ricavi trasferiti in regime di neutralità fra le singole società del gruppo. La sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi, ivi compresa la registrazione del contratto di trasferimento degli utili, rende operativo ed efficace l’istituto dell’Organschaft. In una prima fase, ciascuna società del gruppo che non perde, per effetto dell’Organschaft, la propria soggettività giuridica e fiscale - procede, secondo le regole ordinarie, alla determinazione del proprio risultato fiscale e alla predisposizione della relativa dichiarazione, indicando il futuro “trasferimento” del risultato reddituale che dovrà essere effettuato a favore della capogruppo. In questa fase, quindi, il reddito della società organo, da una parte, e il reddito della società capogruppo, dall’altra, sono due “voci” autonome e distinte, come se l’Organschaft non esistesse; tuttavia, per effetto dell’imputazione del reddito alla capogruppo, la dichiarazione delle singole società organo non evidenzierà materia imponibile e il risultato finale sotto il profilo fiscale sarà uguale a zero. L’unica eccezione, espressamente prevista ex § 16 KStG, è rappresentata dall’ipotesi in cui viene accordata alla società organo una somma a titolo di compensazione da destinare, nella generalità dei casi sotto forma di dividendo, ai c.d. soci esterni della stessa: in questo caso, la società organo avrà un reddito imponibile nella misura dei ? di quanto ricevuto a titolo di conguaglio. In una seconda fase, le società organo imputano e trasferiscono all’impresa capogruppo il proprio risultato reddituale, che è l’utile o la perdita conseguita nel periodo di imposta di riferimento(10), il quale viene considerato fin dall’inizio quale reddito proprio della società controllante: la capogruppo - ed è in questa “attività” che si manifesta la rilevanza fi208 Maggio-Giugno 2005 scale del gruppo - compie una compensazione fra gli utili e le perdite fiscali delle singole società e gli utili e le perdite fiscali proprie, determinando in tale modo l’imponibile fiscale di gruppo che è oggetto di tassazione in capo al soggetto dominante. La capogruppo assume quindi la veste di soggetto passivo d’imposta ed è tenuta all’assolvimento di tutti gli oneri relativi, e in primis, al pagamento delle imposte dovute, ferma restando tuttavia la responsabilità sussidiaria delle singole società organo, che non sono quindi responsabili solo per la parte del debito globale, ma anche per l’intero. 7. Le operazioni infragruppo La disciplina dei rapporti infragruppo, di regola agevolati nell’ambito del consolidato fiscale, assume in parte connotati differenti nelle due legislazioni tributarie, italiana e tedesca. I dividendi distribuiti fra le società che rientrano nel consolidato non sono oggetto di tassazione in Italia, così come in Germania, ove, per effetto dell’abolizione del sistema di imputazione, i dividendi infrasocietari sono totalmente esenti. I trasferimenti infragruppo, invece, sono soggetti ad un trattamento differente: in Italia, i trasferimenti di beni diversi da quelli che generano ricavi godono di un regime di neutralità fiscale. In Germania, non vigono eccezioni al principio secondo cui anche le transazioni infragruppo devono essere effettuate al valore di mercato secondo le regole ordinarie, con la conseguente emersione di un reddito imponibile in capo alla società cedente. 8. Il regime delle perdite La peculiarità del regime del consolidato fiscale in Italia e dell’Organschaft in Germania deve individuarsi nel possibile utilizzo delle perdite fiscali generate dalle società i cui risultati reddituali formano oggetto di consolidamento a fini fiscali. La legislazione tributaria italiana accorda rilevanza alle perdite in ragione del momento in cui le stesse sono venute ad esistenza, dovendosi distinguere fra: i) perdite realizzate prima dell’esercizio dell’opzione che possono utlizzarsi solo dalla società cui si riferiscono; ii) perdite maturate in corso di consolidaNota: In questo senso, il I Senat del Bundesfinanzhof, accogliendo un principio già affermato nella sentenza del 20 agosto 1986 (BFH- Urteil I R 150/82, in BStB1 II 1987, 455, 458). (10) RIFORMA FISCALE to trasferibili alla controllante solo dall’esercizio in cui si è esercitata l’opzione; iii) perdite conseguite successivamente, le quali rimangono nell’esclusiva disponibilità della società controllante. La legislazione tedesca non riconosce a tutte le perdite la medesima rilevanza in sede di determinazione del risultato complessivo del gruppo spiegandosi il diverso trattamento in ragione del momento in cui le stesse si sono verificate e del soggetto che le ha realizzate. Le perdite fiscali realizzate dall’Organträger nei periodi antecedenti l’esistenza dell’Organschaft godono di un regime, per così dire, agevolato, potendo essere compensate o con gli utili della stessa impresa dominante, nel caso di “conservazione” durante il periodo di esistenza dell’Organschaft, o con i redditi delle singole società organo attribuiti alla capogruppo, nel caso di utilizzo in vigenza dell’Organschaft. Diversamente, le perdite fiscali delle singole società organo antecedenti la “creazione” dell’Organschaft sono “congelate” e possono formare oggetto di compensazione solo con i futuri redditi della stessa società che le ha realizzate dopo la cessazione degli effetti di tale istituto. Le perdite fiscali conseguite dalle società organo in vigenza dell’Organschaft sono imputate alla capogruppo e da questa compensate con i profitti dell’intero gruppo. Più complesso è invece il regime delle perdite realizzate dall’Organträger nel corso della vita dell’Organschaft. Una società capogruppo può localizzare in Germania il centro effettivo di direzione e, nel contempo, avere in un altro Stato la propria sede legale: il § 14, Abs. 1, Nr. 5, Satz 1 del KStG prevede un regime speciale nell’ipotesi in cui dalla dichiarazione della società capogruppo - il cui centro effettivo di direzione dell’attività è localizzato in Germania - emerga un “risultato negativo” prima dell’operazione di compensazione con gli utili e le perdite di tutte le società del gruppo, “risultato negativo” che sarà fiscalmente irrilevante per la normativa tedesca (nel senso che esso non dovrà essere computato in sede di predisposizione della dichiarazione) qualora esso sia già rilevante ai fini fiscali per la legislazione dello Stato di localizzazione della sede legale e nei limiti in cui la relativa normativa tributaria ne consenta la deduzione(11). Per quanto concerne, infine, il regime delle perdite imputabili alla capogruppo al termine dell’Organschaft, esse, se riportate a nuovo, possono essere compensate con gli utili dell’Organträger conseguiti nell’ultimo anno di vita dell’Organschaft e comportare così una riduzione del futuro reddito imponibile della società già Organträger. Note: (11) Il legislatore tedesco ha voluto così evitare che lo stesso risultato negativo comporti una diminuzione del reddito due volte, la prima ai sensi della normativa tedesca stessa, la seconda in forza della disciplina dello Stato estero. Tuttavia, se la disposizione è chiara nella ratio e nella funzione, altrettanto non può affermarsi con riferimento all’ambito applicativo, avendo la dottrina e la giurisprudenza stesse evidenziato la difficoltà di individuare le ipotesi di applicazione della norma nella pratica (cfr. HERLINGHAUS, Weitere “Renovierung” der steuerlichen Organschaftsbestimmungen, in GmbH-Rundschau, 2001, pp. 956-963; DÖTSCH/EVERSBERG/JOST/WITT, § 14 KStG n. F., Tz 13a ff). Una posizione assai critica sulla valenza e l’effettiva applicabilità di questa disposizione è stata assunta da MEILICKE, Die Neuregelung der ertragsteuerlichen Organschaft über die Grenze, in Der Betrieb, 2002, pp. 911-912 e da TÖBEN/SCHULTE/RUMMEL, Doppelte Verlustberücksichtigung, in Organschaftsfällen mit Auslandsberührung, in Finanz-Rundschau, 2002, 425. Maggio-Giugno 2005 209 RIFORMA FISCALE Sintesi comparativa della tassazione consolidata in Italia e in Germania ITALIA SOGGETTO GERMANIA CONTROLLANTE Art. 73, comma 1, lettere a), b) e d) § 14, Abs 1, Nr. 3 KStG del T.U.I.R. SOGGETTO CONTROLLATO Art. 73, comma 1, lettere a) e b) del § 14, Abs 1, Nr. 2 KStG T.U.I.R. CONTROLLO Art. 2359, comma 1, n. 1, cod. Civ. Integrazione finanziaria Esercizio congiunto dell’opzione Stipula del contratto di trasferimento degli utili e delle perdite 3 anni 5 anni Somma algebrica dei risultati delle entità consolidate e al risultato globale applicazione delle rettifiche di consolidamento Determinazione del risultato di ciascuna società con presentazione della dichiarazione e trasferimento alla capogruppo Esenzione dei dividendi distribuiti Esenzione dei dividendi distribuiti PRESUPPOSTO PER L’EFFICACIA DEL CONSOLIDATO DURATA MINIMA D ETERMINAZIONE DEL REDDITO GLOBALE DI GRUPPO OPERAZIONI INFRAGRUPPO Neutralità fiscale dei trasferimenti Applicazione del valore di mercato e infragruppo tassazione in capo alla cedente REGIME DELLE PERDITE: a) prima del consolidato Possibile utilizzo solo da parte della Controllante: compensazione con i società che le ha prodotte propri utili o con i redditi delle singole società. Controllate: compensazione con i propri redditi al venir meno degli effetti della tassazione consolidata b) durante il consolidato Trasferimento alla controllante Imputazione alla capogruppo e compensazione con il reddito globale c) al termine del consolidato Permanenza in capo alla controllante Riporto a nuovo e compensazione con gli utili della controllante 210 Maggio-Giugno 2005 DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE Lo scambio di partecipazioni come strumento di riorganizzazione in ambito nazionale - Seconda parte di Alessandro Umberto Belluzzo(*) 1. Lo scambio di partecipazioni in ambito nazionale mediante conferimento(1) Note: SOMMARIO: 1. Lo scambio di partecipazioni in ambito nazionale mediante conferimento - 2. Conclusioni In via preliminare all’analisi dei dettagli dell’operazione, occorre rilevare che il conferimento di partecipazioni non è disciplinato in via esclusiva dall’art. 177 del nuovo T.U.I.R., ovvero all’interno della disposizione intitolata appunto allo scambio di partecipazioni, bensì anche dall’art. 175 del nuovo T.U.I.R. Le due norme non disciplinano in modo identico la stessa fattispecie ma prevedono alcune sostanziali differenze che sollevano questioni sulla ratio di tale scelta legislativa e che, in ogni caso, rendono problematico il raccordo tra le due disposizioni. Ai fini della precisa individuazione dei soggetti che intervengono nell’operazione, vengono definiti: 1. “società conferitaria” la società che intende acquisire il controllo: deve essere una società di capitali o ente di cui all’art. 73 del nuovo T.U.I.R.; 2. “società conferita”(target) la società della quale si intende acquisire il controllo: deve essere una società di capitali o ente di cui all’art. 73 del nuovo T.U.I.R.; 3. “società conferente” (ovvero il soggetto che apporta le azioni o quote) persona giuridica o imprenditore ai sensi dell’art. 2082 del Codice civile con la necessità di rispettare lo status di residenza fiscale ai sensi dell’art. 175, comma 1 del nuovo T.U.I.R. Secondo le disposizioni dell’art. 177 del nuovo T.U.I.R , recentemente modificato dal Legislatore riguardo alla limitazione soggettiva(2) avvicinando così la normativa nazionale a quella comunitaria, il soggetto conferente può essere anche una persona fisica non imprenditore. Il presupposto oggettivo incontra maggiori diffi(∗) I.A.F.C. (Istituto, Amministrazione Finanza e Controllo), Università L. Bocconi. Si ringrazia per la collaborazione il Dott. Alberto Franco (1) L’articolo in pubblicazione, che ricordiamo essere il seguito del contributo pubblicato sul n. 2/2005 di questa Rivista, è stato aggiornato con le proposte di modifica intervenute con il correttivo IRES pubblicato in data 18/03/05. Per ragioni di sistematicità inseriamo il testo modificato: Art. 177 Scambi di partecipazioni 1. La permuta, mediante la quale uno dei soggetti indicati nell’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), acquista o integra una partecipazione di controllo ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1), del codice civile, contenente disposizioni in materia di società controllate e collegate, in altro soggetto indicato nelle medesime lettere a) e b), attribuendo ai soci di quest’ultimo proprie azioni (eliminato), non dà luogo a componenti positivi o negativi del reddito imponibile a condizione che il costo delle azioni o quote date in permuta sia attribuito alle azioni o quote ricevute in cambio. L’eventuale conguaglio in denaro concorre a formare il reddito del percipiente ferma rimanendo, ricorrendone le condizioni, l’esenzione totale di cui all’articolo 87 e quella parziale di cui agli articoli 58 e (“68, comma 3”). 2. Le azioni o quote ricevute a seguito di conferimenti in società, mediante i quali la società conferitaria acquisisce il controllo di una società ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1, del codice civile, sono valutate, ai fini della determinazione del reddito (“del conferente”) , in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento. 3. Si applicano le disposizioni dell’articolo 175, comma 2. In sintesi le modifiche riguardano: 1) il presupposto soggettivo: nel caso della permuta appare non più possibile che il soggetto acquirente sia una “srl”, come era stato già evidenziato nel precedente contributo; nel caso di conferimento: il conferente può essere anche una persona fisica non imprenditore. 2) tassazione del conguaglio: è stato modificato il rinvio sistematico all’art. 68, comma 3. (2) La limitazione soggettiva posta dal testo dell’art. 177 del nuovo T.U.I.R., precedente al correttivo IRES, rispetto alla stessa operazione di scambio di partecipazioni mediante conferimento ma in ambito intracomunitario sembrava non essere priva di conseguenze. La stessa Direttiva 434/90 qualifica infatti i soci della società acquistata con il termine omnicomprensivo di “partecipanti”, ed essendo il termine assolutamente generico, non può che riferirsi a qualunque soggetto, indipendentemente dalla sua configurazione giuridica. Nemmeno il decreto 544/92 ha posto condizioni circa la qualità del socio che effettua lo scambio, prevedendo però un’ulteriore condizione circa lo status di residenza del socio. Può quindi trattarsi sia di persona fisica che di società dotata o meno di personalità giuridica. Tale interpretazione è supportata dalla sentenza della Corte di giustizia del 17 luglio1997, conosciuta come sentenza “Leur-Bloem”, che chiarisce, altresì, l’ambito soggettivo di applicazione. Si veda in tal senso, Greco, Note sullo scambio di azioni transfrontaliero a seguito della sentenza Leur-Bloem, in Il Fisco 1998, p. 10931. L’interpretazione letterale del D.Lgs. 358/97 e dell’art. 177 del nuovo TUIR precedente al correttivo IRES non sembrava lasciare spazio ad una interpretazione conforme alla Direttiva 434/90 nonché al D.Lgs. 544/92, indicando quindi quale soggetto conferente il solo imprenditore ovvero persona giuridica. Maggio-Giugno 2005 211 DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE coltà di inquadramento, viste le due diverse lettere della norma, ove l’acquisto di una partecipazione che consenta di ottenere il controllo deve essere necessariamente inteso come: a) art. 175: conferimento di partecipazione di controllo (limite 2359 c.c.); b) art. 177: conferimento di partecipazione che consenta di acquisire il controllo (limite 2359 c.c. comma 1, n. 1). Affermando che le disposizioni di cui all’art. 175 del nuovo T.U.I.R., si applicano limitatamente alla fattispecie di “conferimenti di (…) partecipazioni di controllo o di collegamento”, il Legislatore ha confermato le perplessità sollevate dalla dottrina in commento al testo del D.Lgs. 358/97. Parte di quest’ultima, infatti, ha sostenuto una teoria estensiva riguardo alla possibilità di applicare tale articolo al conferimento di partecipazioni di controllo e di collegamento in tutte le ipotesi previste dall’art. 2359, c.c.(3). A sostegno dell’interpretazione di cui sopra, è stata citata la circolare ministeriale 320/97, di commento al decreto legislativo 358/97, che precisa: “le operazioni di conferimento disciplinate dall’articolo in esame sono esclusivamente quelle aventi ad oggetto (…) partecipazioni di controllo o collegamento ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile”. Sull’altro fronte, invece, non è mancato chi, sulla base del tenore letterale della norma, ha promosso l’ipotesi interpretativa restrittiva, affermando che l’art. 3 del D.Lgs 358/97, sostituito dall’attuale art. 175, disciplina i soli conferimenti di partecipazioni che consentono ex ante di disporre della maggioranza dei voti nell’assemblea ordinaria(4). L’art. 177, 2 comma, del nuovo T.U.I.R, sostitutivo del D.Lgs. 358/97 comma 2, articolo 5, invece, stabilisce che: “le azioni o quote ricevute a seguito di conferimenti in società, mediante i quali la società conferitaria acquisisce il controllo di una società ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1, del codice civile, sono valutate, ai fini della determinazione del reddito (del conferente), in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento”. Tale articolo, quindi, costituisce un’ulteriore fattispecie normativa per l’operazione di scambio di partecipazioni, in aggiunta alla permuta ex 177, comma 1, del nuovo T.U.I.R, e al conferimento di cui all’articolo 175, comma 1, del medesimo T.U.I.R., così come appare esposto. Le differenze rispetto a quest’ultima ipotesi sono 212 Maggio-Giugno 2005 riscontrabili principalmente nel disposto fiscale della normativa, che verrà approfondito in seguito. 1.1 La rappresentazione contabile dell’operazione di scambio di partecipazioni mediante conferimento Al fine di facilitare la comprensione, si ricorre ad un’esemplificazione, riprendendo lo schema utilizzato nel caso della permuta. Si assumano le seguenti ipotesi: • la società A S.p.a. (società conferente) conferisce un pacchetto di partecipazioni di per sé di controllo(5) nella società C S.p.a. (società target) alla società neo costituita B S.r.l. (società conferitaria); • il valore contabile-fiscale della partecipazione nella società C S.p.a. è pari a 1.000; • il valore di perizia ex art. 2343, c.c., della partecipazione in C S.p.a. è pari a 1.500; • la società B S.r.l., per effetto del conferimento, effettua un aumento di capitale sociale per 1.500(6). Il regime di cui agli artt. 175 e 177 del nuovo T.U.I.R., è applicabile in quanto ricorrano tutti i requisiti richiesti dalla norma di legge: 1) la società B S.r.l. (società conferitaria) riceve in conferimento un pacchetto di partecipazioni di per sé di controllo, ai sensi dell’art. 2359, primo comma, n. 1, c.c., nella società C S.p.a. (società target); 2) la società C S.p.a. (società target) è una società di capitali. La società A S.p.a. (società conferente) potrà conNote: Cfr. Serbini, Lo scambio di partecipazioni alla luce della normativa di attuazione della delega sulle operazioni di riorganizzazione societaria, in Il Fisco, n. 45/97, p. 13275 (3) (4) Cfr. Beghin, op. cit. 358/97, in Rivista di diritto tributario, 1998, p. 614 e Manera, Il regime fiscale comune delle operazioni di riorganizzazione aziendale nell’ambito UE, in Giurisprudenza delle imposte, 2000, n. 6, p. 1418. Ai fini dell’applicabilità del regime di entrambi gli articoli il pacchetto di partecipazioni oggetto del conferimento è già di per sé di controllo. Come evidenziato in precedenza, ai fini dell’applicabilità del solo art. 175 il requisito necessario sarebbe stato il semplice ottenimento del controllo ai sensi dell’art. 2359, c.c., nella società target da parte della società conferitaria, anche attraverso l’integrazione di partecipazioni precedentemente possedute. (5) (6) Nel presente esempio si prescinde per semplicità dalla rilevazione della riserva sovrapprezzo, rappresentando quindi il (pur non frequente) caso in cui il valore nominale delle azioni del conferitario coincida con il valore economico delle stesse. Il sovrapprezzo assolve infatti la funzione di eliminare le conseguenze derivanti dall’esclusione del diritto di opzione qualora il valore nominale delle azioni non coincida con il valore reale. Per approfondimenti si rimanda a R. PEROTTA, Il conferimento di azienda, Giuffré, 2005 (pp. 70 e ss.). DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE tabilizzare la partecipazione in B S.r.l. ricevuta per effetto del conferimento: a) allo stesso valore contabile-fiscale a cui era iscritta la partecipazione in C S.p.a.: Partecipazione in B S.r.l. 1.000 Partecipazione in C S.p.a. 1.000 b) al valore delle nuove quote emesse dalla società B S.r.l. a seguito del conferimento: Partecipazione in B S.r.l. 1.500 Partecipazione in C S.p.a. 1.000 Plusvalenza da conferimento della partecipazione in C 500 La società B S.r.l. (società conferitaria) contabilizza a valore di stima la partecipazione in C S.p.a. ricevuta per effetto del conferimento: Partecipazione in C S.p.a. 1.500 Capitale sociale 1.500 L’aumento di capitale di B S.r.l. (società conferitaria) è quindi espressivo del valore corrente della partecipazione conferita. Occorre rilevare la presenza, in entrambi i casi, di una plusvalenza pari a 500, creatasi per effetto della discrepanza tra valore di stima della partecipazione in C S.p.a., e conseguente contabilizzazione in Figura 1: lo scambio di partecipazioni mediante conferimento 1. Situazione ante-operazione 3. Risultato dell’operazione SOCIETÀ B SOCIETÀ A Conferitaria Conferente SOCIETÀ C Target AUM. CAP. SOC. DI B AZIONI DI C C O N T R O L L A SOCIETÀ B 2. Operazione di conferimento di partecipazioni SOCIETÀ B Realizza aumento di capitale sociale SOCIETÀ A SOCIETÀ A Conferisce a B quote o azioni di C SOCIETÀ C C O N T R O L L A SOCIETÀ C Maggio-Giugno 2005 213 DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE B S.r.l. per il medesimo ammontare, ovvero 1500, e il valore contabile-fiscale della stessa partecipazione in C S.p.a. nel bilancio di A S.p.a., ovvero 1.000(7). La rappresentazione contabile e le posizioni dottrinali possono essere ritenute attuali anche dopo le modifiche apportate al T.U.I.R., lasciando però inespresse alcune peculiarità che risultano dall’analisi del combinato disposto degli art. 175 e 177 del nuovo T.U.I.R. 1.2 La disciplina fiscale dello scambio di partecipazioni mediante conferimento I due articoli del nuovo T.U.I.R. relativi allo scambio di partecipazioni tramite conferimento non disciplinano in modo identico la stessa fattispecie, bensì contengono alcune sostanziali differenze, riguardo sia all’ambito civilistico di applicazione, già esposto nei paragrafi precedenti, sia, in particolare, al trattamento fiscale dell’operazione. Tale considerazione è alla base della scelta di esporre separatamente la normativa contenuta nei due articoli. 1.3 Lo scambio di partecipazioni mediante conferimento: la disciplina dell’art. 175 comma 1, del nuovo T.U.I.R. L’art. 175, comma 1, prevede una disciplina sulla determinazione e sull’imposizione delle plusvalenze derivanti da atti di conferimento che abbiano ad oggetto unicamente pacchetti di partecipazioni “di per sé di controllo”, come meglio specificato nei paragrafi precedenti. Il Legislatore ha stabilito che: “Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 86, fatti salvi i casi di esenzione di cui all’articolo 87, per i conferimenti di aziende e di partecipazioni di controllo o di collegamento ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, contenente disposizioni in materia di società controllate e collegate, effettuati tra soggetti residenti in Italia nell’esercizio di imprese commerciali, si considera valore di realizzo quello attribuito alle partecipazioni, ricevute in cambio dell’oggetto conferito, nelle scritture contabili del soggetto conferente ovvero, se superiore, quello attribuito all’azienda o alle partecipazioni conferite nelle scritture contabili del soggetto conferitario”. In virtù della citata disposizione, dunque, l’operazione può sostanzialmente svolgersi in regime di “non imponibilità”, ma ciò a condizione che, nel 214 Maggio-Giugno 2005 passaggio dei beni dalla conferente alla conferitaria, quest’ultima iscriva le partecipazioni allo stesso valore formatosi in capo alla conferente, e sempre che la stessa conferente non iscriva le partecipazioni a sua volta ricevute ad un valore “contabile-fiscale” più alto rispetto a quello già formatosi per le partecipazioni conferite. Le ragioni che hanno indotto il Legislatore della riforma, a confermare una simile disciplina, possono essere ricavate dalle considerazioni riportate nella relazione di accompagnamento alla bozza del decreto legislativo: poiché tramite l’operazione di conferimento, la conferente riceve una contropartita sui generis, mancando un’effettiva realizzazione delle plusvalenze/minusvalenze latenti, la tassazione della plusvalenza comporterebbe un’interferenza fiscale nei processi di ristrutturazione produttiva delle imprese, giacché la conferente, per far fronte al carico tributario, potrebbe essere indotta ad indebitarsi. Tale ragione, sembrerebbe alla base della ratio per la quale i conferimenti sono stati considerati come operazioni atte a generare materia imponibile soltanto nella ipotesi in cui, in occasione del trasferimento della partecipazioni, la conferente o la conferitaria attribuiscano ai titoli ricevuti valori fiscalmente riconosciuti più elevati rispetto a quelli originari. Tale impostazione risulta altresì confermata, dalla norma anti-abuso inserita nell’art. 175, 2 comma, del nuovo T.U.I.R. che impedisce di applicare le regole di cui all’art. 175, 1 comma, del nuovo T.U.I.R. ove non siano rispettati i requisiti per l’esenzione di cui all’art. 87 del nuovo T.U.I.R. per le partecipazioni scambiate (conferite) a fronte del ricevimento di partecipazioni che rispettino i requisiti di cui all’art. 87 del nuovo T.U.I.R, imponendo l’applicazione del regime ordinario di tassazione (valore normale dei titoli scambiati) di cui all’art. 9 del nuovo T.U.I.R(8). Si ritiene, infine, applicabile alla fattispecie a commento, il regime del “doppio binario”, seguendo le regole previste dall’art. 176(9) del nuovo T.U.I.R. Note: (7) In particolare anche se la rappresentazione contabile risulta differente, ai fini dell’imposizione della plusvalenza da conferimento non vi sono particolari conseguenze. Infatti, nell’ipotesi in cui si aderisse alla dottrina che ritiene applicabile il “doppio binario” anche allo scambio di azioni tramite conferimento, si arriverebbe alla conclusione che l’eventuale maggiore valore è sempre da considerarsi non tassabile. Si veda in tal senso, Stevanato, Scambi transfrontalieri e “doppio binario”: note critiche a margine dei recenti orientamenti ministeriali, in Rass. Trib. n. 1 2000, p. 74; Belluzzo, op.cit. V. sopra, La disciplina fiscale delle operazioni di scambio mediante permuta (8) DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE anche se non si rileverà necessario l’utilizzo del prospetto di riconciliazione proprio per la natura dei beni oggetto di conferimento(10). Tale impostazione può peraltro trovare una più generale conferma a livello sistematico in considerazione dell’adozione dei principi IAS/IFRS; l’Organismo Italiano di Contabilità individua infatti come criterio base il “doppio binario”, in accordo con quanto previsto dal legislatore nel D.Lgs. 38/2005(11). 1.4 Lo scambio di partecipazioni mediante conferimento: la disciplina del comma 2, dell’art. 177 del nuovo T.U.I.R. Come già sottolineato, lo scambio di partecipazioni mediante conferimento è disciplinato, anche dall’art. 177, comma 2, del nuovo T.U.I.R. che dispone: “Le azioni o quote ricevute a seguito di conferimenti in società, mediante i quali la società conferitaria acquisisce il controllo di una società ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1, del codice civile, sono valutate, ai fini della determinazione del reddito (del conferente), in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento”. Si tratta quindi di un criterio di valutazione finalizzato a garantire la neutralità fiscale dell’operazione che colloca in posizione prioritaria il conferente in qualità di soggetto idoneo astrattamente a realizzare la plusvalenza, seppur in funzione del comportamento adottato dal conferitario, secondo un principio non dissimile da quello che disciplina il conferimento di cui al precedente art. 175, comma 1, del nuovo T.U.I.R., il quale prevede ugualmente che l’onere a carico del conferente sia subordinato alle scelte contabili effettuate dal conferitario(12). La differenza tra art. 175 e art. 177 del nuovo T.U.I.R., non è trascurabile: il primo attribuisce un’importanza decisiva al maggior valore di iscrizione del conferente oppure del conferitario; il secondo, invece, pone in posizione di centralità la sola rappresentazione contabile effettuata dal conferitario. È tuttavia evidente la rilevanza che assume la continuità dei valori fiscalmente riconosciuti, che è normativamente assicurata dalla corrispondenza che si perpetua nelle scritture contabili, le quali, pur escludendo nella fattispecie in commento la regola del “doppio binario”, denotano sicuramente il pregio di evitare salti d’imposta o doppie imposizioni. Simile soluzione, peraltro, aveva già trovato riconoscimento con la risoluzione ministeriale n. 55/E del 17 aprile 1996, proprio in materia di scambio di partecipazioni realizzato mediante conferimento, ancorché intracomunitario, con la quale l’amministrazione finanziaria aveva riconosciuto il principio della conservazione dei valori fiscalmente riconosciuti attraverso la continuità dei valori iscritti in contabilità direttamente desumibile dal D.Lgs. 544/92(13). Sotto il profilo generale, invece, resta immutata l’idoneità dell’operazione a generare plusvalenze o minusvalenze: in tale ottica si giustifica il riferimenNote: (9) Art. 176 Regimi fiscali del soggetto conferente e del soggetto conferitario 1. I conferimenti di aziende effettuati tra soggetti residenti nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese commerciali, non costituiscono realizzo di plusvalenze o minusvalenze a condizione che il soggetto conferitario rientri fra quelli di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b). Tuttavia il soggetto conferente deve assumere, quale valore delle partecipazioni ricevute, l’ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell’azienda conferita e il soggetto conferitario subentra nella posizione di quello conferente in ordine agli elementi dell’attivo e del passivo dell’azienda stessa, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei redditi i dati esposti in bilancio e i valori fiscalmente riconosciuti. 2. In luogo dell’applicazione delle disposizioni del comma 1, i soggetti ivi indicati possono optare, nell’atto di conferimento, per l’applicazione delle disposizioni del presente testo unico. 3. Non rileva ai fini dell’articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, il conferimento dell’azienda secondo il regime di continuità dei valori fiscali riconosciuti di cui al presente articolo e la successiva cessione della partecipazione ricevuta per usufruire dell’esenzione totale di cui all’articolo 87, o di quella parziale di cui agli articoli 58 e 67, comma 1, lettera c). 4. Le aziende acquisite in dipendenza di conferimenti effettuati con il regime di cui al presente articolo si considerano possedute dal soggetto conferitario anche per il periodo di possesso del soggetto conferente. Le partecipazioni ricevute dai soggetti che hanno effettuato i conferimenti di cui al periodo precedente o le operazioni di cui all’articolo 178, in regime di neutralità fiscale, si considerano iscritte come immobilizzazioni finanziarie nei bilanci in cui risultavano iscritti i beni dell’azienda conferita o in cui risultavano iscritte, come immobilizzazioni, le partecipazioni date in cambio. 5. L’eccedenza in sospensione di imposta, ai sensi dell’articolo 109, comma 4, lettera b), relativa all’azienda conferita non concorre alla formazione del reddito del soggetto conferente e si trasferisce al soggetto conferitario a condizione che questi istituisca il vincolo di sospensione d’imposta previsto dalla norma predetta. 6. Quando il conferimento abbia ad oggetto l’unica azienda dell’imprenditore individuale si applica l’ultimo comma dell’articolo 175. Il riferimento al prospetto di riconciliazione è doveroso sia perchè l’art. 176 del nuovo T.U.I.R. che disciplina altresì la fattispecie del doppio binario, ne fa menzione, sia perché era stato utilizzato come giustificativo a contraris dall’amministrazione finanziaria (R.M. n. 190/E) che non considerava possibile l’applicazione del doppio binario allo scambio di partecipazioni. La posizione peraltro è stata ampiamente criticata in dottrina, si veda sul punto, Belluzzo, cit. op.e Stevanato, cit op. (10) (11) L’OIC rileva infatti nella Guida Operativa alla transizione “I più ricorrenti problemi fiscali, relativi alla prima applicazione degli IAS e all’utilizzo a regime degli stessi, trovano soluzione nelle norme contenute nel Testo Unico delle Imposte dirette (Tuir), come modificato dal D.lgs n. 344/03 a seguito della riforma del diritto tributario, in particolare mediante l’utilizzo del doppio binario, civilistico e fiscale” (p. 18) (12) Cfr. Paparella, op. cit e Assonime, circolare n. 42 del 27 maggio 1998. (13) Si veda Belluzzo, op. cit. Maggio-Giugno 2005 215 DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE to “alla corrispondente quota delle voci del patrimonio netto formato dalla società conferitaria”, nel senso che, laddove tale incremento sia costituito dal surplus di capitale sociale di importo nominale equivalente a quello del valore di iscrizione delle partecipazioni conferite, non emergerà alcuna materia imponibile, mentre, qualora si registri un incremento superiore del patrimonio netto, tramite lo stesso capitale sociale o altre poste del patrimonio netto, in quanto le partecipazioni ricevute risultino iscritte ad un valore superiore rispetto a quello della conferente, evidentemente l’operazione genererà materia imponibile(14). In via ulteriore si deve considerare come sia presente anche nell’art. 177, la norma anti-abuso di cui all’art. 175, 2 comma, che impedisce di utilizzare lo scambio di azioni per porre in essere un salto di imposta riguardo ai maggiori valori latenti in capo alle partecipazioni scambiate che non potrebbero usufruire del regime di esenzione di cui all’art. 87 del nuovo T.U.I.R. In senso opposto, altra parte della dottrina(15) a commento del precedente art. 5, 2 comma del D.Lgs 358/97 (attuale art. 177, 2 comma) riteneva che, una volta sancito quale criterio legale di determinazione della plusvalenza da conferimento quello dell’aumento del patrimonio della conferitaria, l’eventuale allibramento della partecipazione ricevuta da parte del conferente ad un valore superiore, si configurerebbe come una rivalutazione volontaria rispetto ad un valore fiscale determinato, ovvero come una vera e propria “plusvalenza iscritta” fiscalmente irrilevante in seguito all’abrogazione della lettera c) dell’art. 54 del vecchio T.U.I.R. Peraltro, in questo modo si sarebbe raggiunta una parziale, ed unilaterale, omogeneizzazione del regime degli scambi di partecipazione mediante conferimento rispetto al sistema del “doppio binario” di cui beneficiano i conferimenti d’azienda neutrali in base all’art. 4, D.Lgs. 358/97. Il conferente, ma non il conferitario, avrebbe potuto, infatti, ugualmente beneficiare della flessibilità propria del “doppio binario”, che, sinteticamente, consente di evidenziare maggiori valori in bilancio con una rilevanza esclusivamente civilistica: ciò si verificherebbe ogni qualvolta, a seguito dello scambio, il conferente iscrivesse maggiori valori rispetto a quelli iscritti dalla conferitaria, maggiori valori che risulterebbero, come sopra ricordato, non imponibili dopo l’abrogazione della lettera c) dell’art. 54 del T.U.I.R. Le considerazioni sopra evidenziate, devono es216 Maggio-Giugno 2005 sere analizzate in riferimento alle novità introdotte dal nuovo T.U.I.R. In particolare ci si deve interrogare se restano ancora valide le considerazioni basate sulla possibilità di poter applicare il “doppio binario” anche allo scambio di partecipazioni ovvero se per ottenere una neutralità fiscale ci si debba attenere al dettato letterale delle norme. Il riferimento al “doppio binario”, anche nel caso di scambio di partecipazioni di cui all’art. 177 del nuovo T.U.I.R., appare tuttora possibile, permanendo la possibilità di poter iscrivere delle plusvalenze a valenza solo civilistica, avendo a riguardo che, nel momento di successiva cessione delle partecipazioni scambiate, il conferente dovrà scontare l’imposizione sulla differenza tra il prezzo di cessione e il valore fiscale di iscrizione, assoggettando a tassazione perciò anche le plusvalenze latenti(16), anche se nello specifico saranno facilmente individuabili anche se non evidenziate da un prospetto di riconciliazione(17). Come può essere conciliabile il regime del “doppio binario” rispetto all’operazione di scambio di partecipazioni di cui all’art. 177 del nuovo T.U.I.R., che pone l’attenzione proprio in capo all’acquirente (conferitario). Cioè a dire, quale convenienza ci sarebbe ad utilizzare il “doppio binario” nel caso di scambio di partecipazioni? Alla domanda può essere data una duplice risposta: 1) nel caso di scambio di partecipazioni avente ad oggetto titoli non agevolabili, per entrambi i soggetti scambianti ai sensi del art. 87 del nuovo T.U.I.R., l’utilità del “doppio binario” potrebbe risiedere nella possibilità di evidenziare i reali valori di scambio e permettere il trasferimento di ricchezza in sospensione di imposta (cd. Tax deferral), per poi cedere le partecipazioni in regime di esenzione una volta acquisiti i requisiti richieNote: (14) Cfr. Beghin, op. cit. Cfr. Stevanato, Lo scambio di partecipazioni mediante conferimento: “rivalutazione” dei titoli ed unilaterale sospensione della plusvalenza per il conferente, in AA.VV, La fiscalità delle operazioni straordinarie d’impresa, Il Sole 24 ore, Milano, 2002. (15) Nello specifico, la norma deve essere analizzata alla luce delle nuove disposizioni in materia di esenzione di imposta da cessioni di partecipazioni, di cui all’art. 87 del nuovo T.U.I.R. (16) (17) Come evidenziato in precedenza, l’Amministrazione finanziaria si era opposta all’utilizzo del “doppio binario” nello scambio di partecipazioni tramite conferimento. La posizione è stata ampiamente criticata dalla dottrina maggioritaria che anzi ha evidenziato, in numerosi contributi, non solo la possibilità di applicare allo scambio di partecipazioni tramite conferimento il “doppio binario” ma né ha sottolineato i vantaggi. Per un approfondimento si veda , Belluzzo, cit.op e Stevanato, cit. op. DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE sti dall’art. 87 del nuovo T.U.I.R. (avendo però riguardo alla possibile configurazione di disegno elusivo e quindi successiva applicazione dell’art. 37-bis Dpr 600/73); 2) nel caso di scambio di azioni avente ad oggetto titoli non agevolabili per entrambi i soggetti scambianti ai sensi dell’art. 87 del nuovo T.U.I.R., l’utilità del “doppio binario” potrebbe risultare ancor più necessaria nelle operazioni di riorganizzazione societaria o acquisizioni per il tramite di scambio di titoli contro titoli (cd. Operazioni carta contro carta) tra soggetti obbligati all’applicazione dei principi contabili internazionali(18). 2. Conclusioni Lo scambio di partecipazioni è nato dall’esigenza di poter disporre di uno strumento che consentisse di operare riorganizzazioni societarie con ampi margini di flessibilità in un regime fiscalmente neutrale. L’incertezza sui requisiti soggettivi ed oggettivi, nonché sulle modalità attraverso cui conseguire la neutralità fiscale hanno tuttavia limitato non infrequentemente nella realtà l’applicazione dell’istituto in oggetto; le differenze rispetto alla normativa dello scambio di partecipazioni intracomunitario, inoltre, pongono in maggiore evidenza un quadro normativo poco coordinato. Il Legislatore della riforma fiscale, in un primo momento, aveva colto solamente in parte le indicazioni della dottrina che potrebbero agevolare l’utilizzo dello scambio di partecipazioni, lasciando alcune limitazioni che gravano sulla diffusione dell’istituto. Si pensi, ad esempio, alla profonda limitazione posta dall’impossibilità per la persona fisica residente (non imprenditore), rispetto alla normativa intracomunitaria di cui al D.Lgs 544/92(19), di non poter scambiare in un regime di neutralità la propria partecipazione, così da favorire sia la circolazione delle partecipazioni che la riorganizzazione della maggior parte delle strutture societarie. Con il correttivo IRES, il Legislatore ha avvicinato la disciplina nazionale a quella comunitaria inserendo l’importante novità di permettere lo scambio di partecipazioni anche alle persone fisiche non imprenditori ma ha lasciato alcune incertezze riguardo al regime di “neutralità” e alle differenze di “contabilizzazione”, tra lo scambio di partecipazioni mediante conferimento di cui all’art. 175, comma 1, e lo scambio di partecipazioni mediante conferimento di cui all’art. 177, comma 2, che sembrano destina- te ad essere superate in ottica di introduzione dei principi contabili internazionali(20). Si deve rilevare, quindi, una parziale realizzazione degli obiettivi che il Legislatore si era posto per indirizzare le scelte imprenditoriali verso strutture organizzative capaci di conciliare e al contempo soddisfare i vantaggi fiscali con le effettive esigenze della produzione, anche in considerazione ai principi cardine contenuti nella Direttiva 434/90(21). La nuova disciplina fiscale, tuttavia, sembra favorire la circolazione di partecipazioni, in considerazione ai regimi esenzione e neutralità ad esse riferibili. Seguendo le regole per la corretta applicazione della normativa sullo scambio di partecipazioni nazionale e auspicando un intervento del Legislatore capace di risolvere i problemi di coordinamento evidenziati, appare agevole ipotizzare riorganizzazioni degli assetti societari mediante lo scambio di partecipazioni, al fine di avvalersi della esposta normativa risultante dalla riforma fiscale. Note: Il decreto legislativo del 28 febbraio 2005, n. 38 recepisce i principi contabili internazionali (art. 6, reg. Ce 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio). Sul punto si veda, Provasoli, Passaggio dai principi contabili nazionali agli IAS/IFRS; prima applicazione degli IAS/IFRS, Roma, 13 Maggio 2004; Belluzzo, Business combinations e rappresentazione contabile alla luce della prossima riforma dei principi contabili internazionali,in Impresa c.i. n. 11 del 30 Novembre 2003; Belluzzo, Le business combinations nella prassi internazionale: il mancato adeguamento della norma civilistico in riferimento alle fusioni, in Impresa C.I., n. 9 del 30 settembre 2003, pag. 1361. (18) (19) Si rimanda per approfondimenti a quanto detto riguardo ai profili soggettivi dello scambio di partecipazioni. Sul punto, si veda Miele, Scambi di quote, conferimenti aperti non solo a imprenditori, in Il Sole 24 ore 29/3/05, pag. 25. (20) In particolare, nei considerando della Direttiva l’istituzione di una disciplina in materia di fusioni, scissioni, conferimenti e scambi di azioni, comune agli Stati membri della UE, risulta motivata dall’esigenza di predisporre per tali operazioni, un regime fiscale neutrale in grado di: • garantire l’instaurazione ed il buon funzionamento del mercato unico; • assicurare la parità di trattamento alle operazioni intracomunitarie, rispetto alle operazioni nazionali; • consentire la valutazione omogenea del regime fiscale applicabile alle plusvalenze, al riporto delle perdite pregresse ed, in genere, alle situazioni fiscalmente rilevanti, ed emergenti in seguito alla realizzazione dell’operazione. Cfr. Lupi, in Primi appunti in tema fusioni, scissioni, e conferimenti transnazionali, Boll. Trib., 1992, pag. 1299, ben argomenta in merito alle finalità della Direttiva evidenziando che la stessa riguarda, in realtà, la circolazione delle imprese all’interno della comunità e tende a rimuovere l’ostacolo fiscale a tale circolazione. (21) Maggio-Giugno 2005 217 DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE La presunzione di indeducibilità dei costi nei contratti di commissione di Laura Spinoso(*) 1. Premessa SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Aspetti fiscali: presupposto oggettivo 3. Aspetti civilistici del contratto di commissione: trasferimento della proprietà dei beni 4. La risoluzione 1° febbraio 2005, n. 12/E: il caso concreto 5. La soluzione interpretativa dell’Agenzia delle Entrate 6. Osservazioni critiche Con riferimento al regime di indeducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti in Italia ed imprese domiciliate in Paesi a regime fiscale privilegiato, di cui all’articolo 110 Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir), particolarmente complesso si presenta il caso del soggetto italiano che agisce in qualità di commissionario per la vendita di prodotti per conto di un committente domiciliato in un Paese a fiscalità privilegiata. L’interposizione di carattere reale del commissionario tra il committente estero ed i clienti finali italiani pone il problema non solo dell’applicabilità in sé della norma ma anche quello dell’individuazione del soggetto destinatario di tale norma e, pertanto, tenuto ad assolvere l’onere probatorio previsto dal comma 11 dell’articolo 110 del Tuir(1). Ci si chiede, infatti, se il regime di indeducibilità, di cui all’articolo 110, comma 10, del Tuir, non sia tout court applicabile in un caso come quello esaminato ovvero trovi applicazione nei confronti del commissionario, del cliente finale o di entrambi. Da un lato, la formulazione letterale della norma porterebbe ad escludere la sua applicabilità sia al commissionario, in quanto il passaggio dei beni dal committente al commissionario non è una vendita, sia al cliente finale, in quanto il commissionario vende i beni al cliente finale in nome proprio. Dall’altro lato, è di tutta evidenza che l’interposizione di un mero schermo giuridico tra cedente estero ed acquirente nazionale non può aggirare la ratio della norma escludendone l’operatività per mancanza di un rapporto diretto. La risoluzione ministeriale del 1 febbraio 2005 n. 12/E offre l’occasione per analizzare la reale portata applicativa della norma e pone in evidenza le difficoltà dell’interprete di fronte a quei casi concreti dove non vi è un’oggettiva applicabilità della norma. 218 Maggio-Giugno 2005 2. Aspetti fiscali: presupposto oggettivo L’articolo 110, comma 10, del Tuir sancisce espressamente l’indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti in Italia ed imprese domiciliate fiscalmente in Paesi, situati al di fuori dell’Unione Europea, aventi regimi fiscali privilegiati ed individuati da un apposito decreto ministeriale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (la cosiddetta, black list)(2). La norma, pertanto, contiene una presunzione relativa di indeducibilità dei costi derivanti dall’operazione che non opera se l’impresa residente fornisce la prova della sussistenza di una delle due esimenti previste dal successivo comma 11. In particolare, l’impresa residente deve dimostrare che: (i) l’impresa domiciliata nel Paese a fiscalità privilegiata svolge in via prevalente un'attività commerciale effettiva; ovvero (ii) le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico ed hanno avuto concreta esecuzione. Peraltro, la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi è subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi importi da parte dell’impresa residente. Dottore di Ricerca in Diritto Tributario Internazionale e Comparato presso l’Università degli Studi di Genova (*) Note: P. Comuzzi, Lotta ai paradisi fiscali: punti aperti in il Fisco n. 2/ 2001, p. 389. L’Autore, aveva già messo in evidenza come l’utilizzo del contratto di commissione in determinate operazioni possa costituire un modo per evitare o aggirare l’applicazione della norma. (1) (2) D.M. 23 gennaio 2002 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 4 febbraio 2002) modificato dal D.M. 22 marzo 2002 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 78 del 3 aprile 2002), in sostituzione del vecchio D.M. 24 aprile 1992 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 104 del 6 maggio1992). DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE Tralasciando in questa sede l’analisi dei presupposti soggettivi e della dimostrazione della sussistenza delle condizioni esimenti, si vuole focalizzare l’attenzione sul presupposto oggettivo di applicazione della norma, il quale ha ad oggetto le “spese e gli altri componenti negativi di reddito” derivanti (vedremo se direttamente od anche indirettamente) da operazioni (idonee a generarli in capo all’impresa residente) intercorse con imprese fiscalmente domiciliate in Paesi inclusi nella Black list. Il riferimento estremamente generico alle “spese” ed “altri componenti negativi di reddito” induce a svolgere un’indagine sulla reale portata applicativa della nozione di “spese ed altri componenti negativi di reddito”(3). Se l’espressione “spese” indica quelle poste di reddito che danno luogo ad un flusso di ricchezza in uscita dall’impresa, quella di “componenti negativi di reddito”, al contrario, è di per sé più ampia. Conseguentemente, si pone la questione se i componenti negativi includono qualunque elemento diminutivo del reddito, indipendentemente dal fatto che tale elemento sia il risultato di uno scambio o di una valutazione, oppure solo quegli elementi che scaturiscono direttamente dall’operazione conclusa con l’impresa estera, in base ad un nesso di causalità diretto ed immediato (quali, a titolo esemplificativo, i componenti negativi derivanti dall’acquisizione di beni e servizi ovvero da un flusso finanziario). La norma, in effetti, si presta ad essere interpretata sia in senso restrittivo che estensivo, a seconda di cosa si intenda per “operazioni intercorse” tra imprese residenti ed imprese localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata(4). Il legislatore ha voluto certamente includere tra i componenti negativi di reddito gli elementi derivanti direttamente dall’operazione ma non può automaticamente escludersi l’applicabilità della norma nel caso di componenti solo indirettamente derivanti da tali operazioni, in quanto anche in questa ipotesi é innegabile che una qualche operazione sia intercorsa tra l’impresa residente e l’impresa estera. Tuttavia, il rischio di un’interpretazione estensiva dell’ambito oggettivo di applicazione del comma 10, si tradurrebbe nell’indeducibilità di qualsiasi componente negativo per il solo fatto di essere riferito ad operazioni poste in essere con imprese domiciliate in Paesi a fiscalità privilegiata. L’ulteriore conseguenza sarebbe quella di attribuire all’Amministrazione finanziaria un potere discrezionale indubbiamente ampio nell’individuazione dei presupposti di imposta. L’Agenzia delle Entrate, con la recentissima risoluzione del 1 febbraio 2005 n. 12/E, sembra accogliere un’interpretazione palesemente estensiva dell’espressione “componenti negativi di reddito”, nella misura in cui ritiene applicabile la norma in esame anche ad una società italiana che, in qualità di commissionaria o mandataria, distribuisce sul territorio italiano beni prodotti da una società domiciliata in un Paese a fiscalità privilegiata. 3. Aspetti civilistici del contratto di commissione: trasferimento della proprietà dei beni Una breve premessa sugli aspetti civilistici del contratto di commissione può essere utile ai fini di una migliore comprensione delle conclusioni a cui è pervenuta l’agenzia delle Entrate in merito al regime fiscale applicabile al caso in esame. Ai sensi dell’articolo 1731 del codice civile, il contratto di commissione è un mandato che ha per oggetto l’acquisto o la vendita di beni per conto del committente ed in nome del commissionario. Si tratta, dunque, di un mandato senza rappresentanza che, talvolta con alcune differenze, trova modelli analoghi in altri ordinamenti giuridici. Il contratto di commissione è un contratto tipico in forza del quale una parte (il commissionario) si obbliga a concludere in nome proprio e per conto dell’altra parte (il committente) acquisti o vendite di beni. Sotto il profilo dell’oggetto, il contratto è caratterizzato dalla specificità della prestazione, che coincide con la stipulazione di contratti di compravendita di beni. Il contratto è a titolo oneroso e prevede la corresponsione a favore del commissionario di una provvigione o commissione (generalmente commisurata ad una percentuale del valore dell’operazione posta in essere oppure dallo scarto tra prezzo pagato dal commissionario ed il prezzo di listino del bene acquistato o venduto). Il contratto di commissione, analogamente ad altre figure contrattuali utilizzate nella distribuzione commerciale di beni, quali, l’agenzia, la mediazione ed il procacciamento d’affari, assolve ad una funzione di intermediazione nello scambio di Note: L’articolo 109 del Tuir usa l’espressione “spese ed altri componenti negativi” di reddito per indicare quei valori derivanti da scambi (quali, retribuzioni, interessi passivi, corrispettivi di servizi, prezzi di acquisto di beni) e da valutazioni (quali, ammortamenti, svalutazioni). (3) (4) R. Cordeiro Guerra, “Prime osservazioni sul regime fiscale delle operazioni concluse con società domiciliate in Paesi o territori a fiscalità privilegiata”, in Rivista di Diritto Tributario, 1992, I. Maggio-Giugno 2005 219 DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE beni tra il produttore del bene o del servizio e il cliente finale. Tuttavia, a differenza di figure quali l’agente, il mediatore ed il procacciatore d’affari che agiscono nell’interesse del proponente, il commissionario agisce sempre e solo in nome proprio, attraverso la propria autonoma organizzazione imprenditoriale, vendendo beni a terzi per conto del committente. Il commissionario infatti stipula i contratti in nome proprio, con obbligo di trasferire al committente, mediante separati atti, gli effetti giuridici derivanti dalle operazioni poste in essere(5). Un aspetto contrattuale rilevante, anche ai fini fiscali, che merita di essere menzionato è quello dell’efficacia traslativa della proprietà dei beni oggetto del contratto di commissione dal committente al cliente finale. Sul punto, la dottrina civilistica non è concorde nel riconoscere un’efficacia traslativa diretta della proprietà dei beni dal committente al cliente finale. Secondo un primo orientamento maggioritario, nel rapporto di commissione si verifica un’efficacia traslativa diretta della proprietà dei beni dal committente al cliente finale e, pertanto, il commissionario agisce quale soggetto terzo, mero intermediario tra committente e cliente finale(6). Secondo un diverso orientamento, invece, nel rapporto di commissione si verifica un doppio trasferimento della proprietà dei beni: dal committente al commissionario e dal commissionario al cliente finale. L’accoglimento dell’uno o dell’altro orientamento assume una certa rilevanza anche sotto il profilo fiscale in cui le norme tributarie non possono essere interpretate senza avere riguardo alla causa ed agli effetti del contratto. L’amministrazione finanziaria, in più occasioni, ha affermato che dal punto di vista civilistico nel contratto di commissione la proprietà dei beni si trasferisce direttamente al cliente finale e non si verifica alcun trasferimento di proprietà tra il commissionario ed il committente(7). Tuttavia, ai soli fini IVA, il contratto di commissione è ricondotto nell’ambito dello schema del mandato senza rappresentanza e, per espressa previsione normativa, il passaggio di beni dal committente al commissionario è equiparato, per espressa previsione normativa, ad una cessione(8). 4. La risoluzione 1° febbraio 2005, n. 12/E: il caso concreto Il caso sottoposto all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate, tramite presentazione di istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11 della Legge del 27 lu220 Maggio-Giugno 2005 glio 2000 n. 212, è quello di una società residente in Italia che, in qualità di commissionaria, commercializza nel territorio italiano prodotti software per conto di una società committente che è domiciliata fiscalmente in Svizzera dove beneficia di un regime fiscale privilegiato(9). A fronte di tale attività, la società italiana percepisce una provvigione pari alla differenza tra il corrispettivo pari al prezzo di vendita al cliente finale diminuito della provvigione ed il corrispettivo applicato ai clienti finali. Ai fini IVA, come già anticipato, le modalità di effettuazione dell’operazione trovano giustificazione nel fatto che committente e commissionario sono considerati due operatori economici distinti, in base ad una fictio iuris che riconduce il contratto di commissione ad un mandato senza rappresentanza. Di conseguenza opera un duplice obbligo di fatturazione: la committente svizzera emette una fattura alla commissionaria italiana con l’indicazione di un corrispettivo pari al prezzo di vendita al cliente finale diminuito della provvigione e, al momento della vendita, la commissionaria italiana emette una fattura al Note: (5) V. Artina, Contratto di commissione: adempimenti formali ai fini Iva, in Corriere Tributario n. 19/1999, p. 1405. In tal senso, Cassazione, Sezione I, sentenza del 7 dicembre 1994, n. 10522 secondo cui “Nel mandato ad alienare (e nella commissione, quando abbia ad oggetto questo tipo di mandato) è ravvisabile un contratto nel quale l’effetto traslativo reale del bene, derivante dal consenso manifestato dalle parti (art. 1376 c.c.), non si verifica immediatamente, ma è sospensivamente condizionato al compimento dell’alienazione gestoria del bene medesimo da parte del mandatario o commissionario”. (6) Con riferimento alla disciplina IVA, si vedano la circolare ministeriale del 16 febbraio 1973 n. 15/527164 e la nota del 5 aprile 1995 n. III-7-1203 in I Quattro Codici della Riforma Tributaria BIG - CD ROM, Ipsoa. L’amministrazione ha affermato in modo chiaro che la causa del contratto di commissione è quella di consentire, attraverso l’utilizzo di uno schema tipico, la conclusione di contratti di compravendita in nome del commissionario e per conto del committente; il committente non interviene nella conclusione del contratto di compravendita; la peculiarità del contratto di commissione consiste proprio nel fatto che il rapporto si svolge senza il passaggio dei beni tra committente e commissionario. In dottrina, M. Peirolo, Brevi note sulla qualificazione giuridico - fiscale del passaggio di beni tra committente e commissionario (e viceversa) nel contratto di commissione, in Bollettino Tributario d’informazioni, 9/2004, p. 665. (7) (8) Ai sensi dell’articolo 2, comma 2, n. 3) e articolo 3, comma 4, lettera h), del DPR del 26 ottobre 1972 n. 633. L’articolo 3 del Decreto Ministeriale 23 gennaio 2002 (Black list) include la Svizzera tra gli Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, limitatamente alle “società non soggette alle imposte cantonali e municipali, quali le società holding, ausiliarie e «di domicilio»”. Nel caso affrontato dall’Agenzia delle Entrate la società committente gode di un regime fiscale privilegiato che prevede, per i redditi provenienti dall’estero, l’applicazione di una aliquota sull’imposizione cantonale pari al 20% della normale tassazione federale del cantone di Ginevra, mentre, per i redditi di fonte interna, la tassazione è pari all’applicazione combinata delle imposte federali, cantonali e municipali nella misura del 25%. (9) DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE cliente finale italiano con l’indicazione del valore dei beni e dell’importo della provvigione. Ai fini delle imposte dirette, invece, la società italiana non registra alcun costo per l’acquisto dei beni dalla società svizzera e si limita a contabilizzare e tassare il ricavo corrispondente alla provvigione netta. Infatti, non opera la fictio iuris della doppia vendita prevista dalla normativa IVA e la commissionaria deve indicare nel proprio conto economico solo la provvigione netta e non il prezzo di acquisto e di rivendita del prodotto(10). Questa modalità di rappresentazione contabile rispecchia la sostanza economica e giuridica del contratto di commissione, in quanto non si verifica alcun effetto traslativo della proprietà dei beni dal committente al commissionario. Sulla base di tali argomentazioni, la società italiana ha sostenuto, in sede di interpello, la non applicazione dell’articolo 110, comma 10, del Tuir in quanto nella sua attività di commercializzazione per conto della società svizzera non sostiene alcun costo. Secondo la società italiana, peraltro, la norma in esame non sarebbe applicabile neanche ai clienti finali in quanto gli stessi intrattengono esclusivamente un rapporto con la società istante. 5. La soluzione interpretativa dell’Agenzia delle Entrate L’Agenzia delle Entrate non ha ritenuto corretta la soluzione interpretativa proposta dalla società italiana; al contrario, ha affermato l’applicabilità in capo alla stessa della norma sull’indeducibilità dei costi di cui all’articolo 110, comma 10, del Tuir. La soluzione interpretativa fornita dall’Agenzia si fonda essenzialmente sulle seguenti argomentazioni: (i) il contratto stipulato dalla società italiana e la società svizzera, denominato dalle parti “Commissionaire agreement”, non è riconducibile al contratto di commissione di cui all’articolo 1731 del codice civile ma allo schema del mandato senza rappresentanza ovvero al contratto di agenzia(11); (ii) indipendentemente dalla qualificazione civilistica del contratto come commissione o mandato senza rappresentanza, l’articolo 110, comma 10, del Tuir, riferendosi alle spese e agli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati, ha come destinatario il soggetto che ha posto in essere l’operazione economica al quale sono riconducibili l’iniziativa imprenditoriale e le ragioni sottostanti; (iii) la previsione di indeducibilità dei costi implica necessariamente il diretto coinvolgimento del destinatario delle operazioni economiche, il quale non può che identificarsi con il soggetto che intrattiene rapporti con il committente non residente e non certo col terzo cliente; (iv) l’onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni esimenti grava esclusivamente sul soggetto che ha deciso di operare con imprese domiciliate nei Paesi a fiscalità privilegiata; (v) le modalità di contabilizzazione o le problematiche relative all’eventuale diretto trasferimento della titolarità dei beni dal committente al terzo non sono sufficienti ad escludere automaticamente la non applicazione della norma; (vi) la rilevazione della sola provvigione netta (senza evidenziazione di alcun componente negativo) equivale, ai fini della determinazione del reddito, all’imputazione tra i componenti positivi dei ricavi lordi e tra quelli negativi dei costi di acquisti di beni o servizi, come peraltro già risulta dalle fatture emesse e dai documenti di addebito; (vii) l’importo spettante alla società svizzera costituisce un elemento che influisce indirettamente nella determinazione del reddito della società italiana e deve formare oggetto di una variazione in aumento nella dichiarazione dei redditi(12). 6.Osservazioni critiche Una corretta soluzione del caso in esame si rende necessaria considerando che, in ambito internazioNote: (10) In tal senso si era già espressa l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione del 6 giugno 2002, n. 177/E con riferimento ad un contratto estimatorio affermando che i ricavi si intendono conseguiti nel periodo d’imposta al netto del prezzo corrisposto ai fornitori e di competenza del medesimo periodo, in I Quattro Codici della Riforma Tributaria big, Cd-rom, IPSOA. Nello stesso senso si veda la Norma di comportamento Associazione Dottori Commercialisti di Milano 139/99 “Regime del mandato d’acquisto di servizi senza rappresentanza ai fini delle imposte sui redditi, dell’IVA e dell’IRAP” Il disconoscimento del contratto di commissione è argomentato dall’Agenzia delle Entrate sulla base delle clausole contenute nello stesso secondo cui i ricavi sarebbero stati riscossi dalla commissionaria per conto della committente, con conseguente obbligo di rendicontazione. (11) (12) Secondo l’Agenzia delle Entrate, se la società residente contabilizza la sola provvigione netta, sarebbe necessario incrementare i ricavi iscritti al netto dei costi indeducibili che indirettamente hanno influito sulla determinazione dell’imponibile. Maggio-Giugno 2005 221 DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE nale, la vendita, distribuzione e l’acquisto di beni e servizi in luoghi diversi da quelli di produzione vengono realizzate con sempre maggiore frequenza, tramite schemi negoziali analoghi a quello stipulato nel caso in esame, con un’evidente riduzione dei costi di gestione. In linea di principio, la ratio antielusiva della norma potrebbe legittimare l’inclusione nel suo campo di applicazione di qualsiasi operazione intercorsa con imprese domiciliate in Paesi a fiscalità privilegiata, posto che la norma sarebbe altrimenti facilmente aggirabile. Ciò premesso, occorre verificare se sia possibile includere anche le operazioni derivanti da contratti di commissione o mandato senza rappresentanza. L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate potrebbe, infatti, ritenersi condivisibile soltanto privilegiando l’aspetto legato alle finalità antielusive della norma, dal momento che le specifiche modalità di effettuazione delle operazioni non possono far venire meno gli effetti giuridici della norma stessa. Diversamente, la ratio della norma sarebbe aggirata semplicemente interponendo un soggetto terzo tra il fornitore dei beni e servizi ed il cliente finale(13). A tal fine, nonostante sia indubbio che le spese finali derivanti dall’operazione posta in essere con la società svizzera sono state sopportate dai clienti finali, si dovrebbe ritenere che la società italiana in ragione della sua veste di commissionaria o mandataria costituisce un filtro nell’effettuazione dell’operazione di vendita dei beni. Peraltro, la conclusione cui giunge l’Agenzia delle Entrate nella risoluzione in commento si pone in contrasto con un precedente chiarimento fornito dalla Direzione Regionale delle Entrate del Piemonte in un caso analogo(14). In particolare, la Direzione Regionale aveva affermato che: (i) il contratto di commissione può essere ricondotto nello schema del mandato senza rappresentanza e che i ricavi del commissionario sono rappresentati esclusivamente dalle provvigioni percepite (e non dal corrispettivo dei beni venduti); (ii) il regime di indeducibilità dei costi di cui all’articolo 110, comma 10, del Tuir trova applicazione nei confronti del cliente finale, in quanto è l’unico soggetto ad evidenziare un costo nel proprio conto economico. Tale interpretazione suscita parimenti alcune perplessità in considerazione del fatto che i clienti finali non hanno alcun rapporto con il committente estero e possono non essere a conoscenza del fatto 222 Maggio-Giugno 2005 che il committente è domiciliato in un Paese a fiscalità privilegiata. A seguito dell’interpretazione fornita dalla Direzione Regionale, l’Assonime aveva auspicato un chiarimento definitivo da parte dell’amministrazione finanziaria sull’effettivo destinatario della norma e sulla possibilità per il commissionario di attivare la procedura di interpello per la disapplicazione della norma ai sensi dell’articolo 21 della legge del 30 dicembre 1991 n. 413 (al fine di fornire ai propri clienti copia della risposta favorevole dell’Agenzia delle Entrate)(15). A distanza di qualche anno, tuttavia, l’amministrazione finanziaria sembra aver accolto un’interpretazione che, pur riconducendo il contratto di commissione nello schema del mandato senza rappresentanza, individua quale destinatario della norma non più il cliente finale ma il commissionario. La risoluzione in commento, sia pure volta a reprimere comportamenti elusivi, genera comunque qualche perplessità e pone in evidenza la difficoltà degli operatori di fronte ad alcuni casi concreti non immediatamente riconducibili alla fattispecie prevista dalla norma. Sotto il profilo strettamente giuridico, l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate presenta evidenti carenze e si presta alle seguenti osservazioni critiche. In primo luogo, da un punto di vista sistematico, la speciale fictio iuris che, ai fini IVA, riconduce il contratto di commissione nello schema del mandato senza rappresentanza (riconoscendo un doppio trasferimento della proprietà dei beni) non può ritenersi operante anche ai fini delle imposte dirette, la cui normativa, invece, non prevede analoghi obblighi di fatturazione. Dal punto di vista della sussistenza del presupposto oggettivo richiesto dalla norma, è di assoluta evidenza che, nel caso in esame, la società italiana non acquista beni e servizi e di conseguenza non sostiene alcun onere di natura economica che possa quaNote: Ritiene condivisibile la soluzione prospettata nella risoluzione in commento M. Andriola, Risoluzione n. 12/E del 1 febbraio 2005 - Costi indeducibili nel mandato senza rappresentanza, in Notiziario fiscale dell’Agenzia delle Entrate del 7 febbraio 2005 su www.fiscooggi.it. (13) La Direzione Regionale del Piemonte si era espressa in occasione dell’evento MAP del 22 novembre 2002. Tale chiarimento è riportato da M. Piazza, Guida alla fiscalità internazionale, Milano 2004, pag. 1330. (14) In tal senso si è espressa l’Assonime con la Circolare del 17 ottobre 2003 n. 40 pag. 42 nota 36. (15) DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE lificarsi come spesa o componente negativo di reddito da ricondurre nel campo di applicazione dell’articolo 110, comma 10, del Tuir. Al contrario, l’unico componente di reddito che dovrebbe assumere rilevanza ai fini fiscali è rappresentato dalla provvigione percepita dalla società italiana ed assoggettata a tassazione in Italia. La risoluzione disconosce i componenti negativi di reddito, peraltro mai realizzati, attraverso una maggiorazione delle provvigioni e sembra introdurre un’interpretazione nuova ed estremamente ampia di componente negativo di reddito ai fini dell’articolo 110, comma 10, del Tuir, fino a ricomprendere in modo generico tutte le operazioni intercorse con imprese domiciliate in Paesi a fiscalità privilegiata idonee, anche in via indiretta, a determinare il reddito imponibile(16). Inoltre, accertata l’esistenza di un componente negativo di reddito, lo stesso deve costituire una diretta conseguenza delle operazioni realizzate dalla società residente con l’impresa estera. A tale riguardo, ci si deve chieder chi effettivamente pone in essere tale operazione: dal punto di vista giuridico e formale, il commissionario ma nella sostanza il cliente finale risulta comunque il destinatario dei beni o l’utilizzatore dei servizi (senza considerare che, civilisticamente, l’efficacia traslativa della proprietà dei beni si verifica soltanto dal committente al cliente finale). Pertanto, la soluzione interpretativa dell’Agenzia delle Entrate nell’individuare tout court il commissionario quale destinatario della norma e dell’onere probatorio in essa previsto, escludendo il cliente finale, non sembra comunque pienamente soddisfacente. Non sfugge infatti che il cliente finale, la cui posizione non può certamente essere equiparata a quella del commissionario che ha intrattenuto, personalmente e direttamente, il rapporto con il soggetto estero, risulta comunque coinvolto nell’operazione. Inoltre, l’indicazione della provvigione spettante al commissionario in aggiunta la prezzo dei beni nella fattura emessa dal commissionario al cliente finale non consente di affermare che quest’ultimo sia del tutto estraneo all’operazione. In conclusione, se lo scopo della norma è quello di evitare la contabilizzazione di operazioni inesistenti o fatturate per importi diversi da quelli reali, sarebbe necessario fornire un’interpretazione che consenta di adeguare casi particolari come quello in esame alla formulazione astratta della norma, evitando l’applicazione di norme con conseguenze sproporzionate rispetto alle finalità da essa perseguite. Nota: Per un commento alla risoluzione del 1 febbraio 2005 n. 12/E, si veda A. Tomassini - A. Tortora, “Paradisi fiscali: indeducibilità dei costi di commissione”, in Corriere Tributario n. 9/2005 p. 728. (16) Maggio-Giugno 2005 223 DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE Contributi versati dai membri di un GEIE alla sua stabile organizzazione in Italia di Sebastiano Garufi(*) 1. Oggetto dell’interpello e soluzione proposta dal contribuente stabili organizzazioni o di uffici di rappresentanza. SOMMARIO: La stabile organizzazione del 1. Oggetto dell’interpello GEIE situata in Italia è incarie soluzione proposta cata di prestare i servizi di assidal contribuente - 2. La risposta stenza tecnica e di marketing Con la risoluzione 15 febdell’Amministrazione finanziaria: sia per i distributori che per i braio 2005, n. 18/E, che qui si la natura dei contributi erogati clienti finali e, a copertura dei commenta, l’Agenzia delle En3. Le caratteristiche del GEIE costi sostenuti, riceve dai memtrate ha risposto ad un’istanza di 4. Sull’applicabilità bri del GEIE londinese dei coninterpello presentata ai sensi della disciplina dei prezzi tributi annuali. dell’art. 11 dello Statuto dei di trasferimento al GEIE A tal fine, con istanza di incontribuenti, per conoscere il 5. Transfer pricing e libertà terpello, essa chiede di conotrattamento fiscale, ai fini IRES fondamentali scere il trattamento fiscale dei ed IVA, dei contributi versati contributi ricevuti sia ai fini dai membri di un GEIE non resiIRES che ai fini IVA. dente ad una stabile organizzaA parere della stabile organizzazione interpellanzione in Italia. te, i contributi ricevuti non costituiscono corrispettiIn particolare, l’interpellante è la stabile organizvi specifici per la prestazione di servizi resa, ma mezazione italiana di un GEIE comunitario con sede ri contributi finalizzati alla copertura dei costi. nel Regno Unito e svolge prestazioni di servizi di asConsiderato, inoltre, che il GEIE non persegue fisistenza tecnica e di marketing relativamente alla nalità di lucro e che, ai sensi dell’art. 3 lett. a) del commercializzazione di prodotti di un gruppo statuRegolamento CEE n. 2137/1985, “non può esercitanitense. Il gruppo si occupa di disegnare, produrre e re, direttamente o indirettamente, il potere di direziodistribuire cavi e altri mezzi di trasmissione per dine o di controllo delle attività proprie dei suoi memversi settori di attività, incluse le telecomunicazioni, bri o delle attività di un’altra impresa, segnatamente le costruzioni e le attrezzature automatizzate di uffinei settori relativi al personale, alle finanze e agli incio. Il prodotto giunge al cliente finale per mezzo di vestimenti”, a parere dell’istante, i contributi perceuna rete di distributori locali indipendenti, i quali, piti sarebbero anche esclusi dalla disciplina dell’art. oltre a stipulare i singoli contratti di vendita, svolgo110, comma 7, TUIR, in materia di transfer pricing. no attività di assistenza tecnica e di marketing, di In aggiunta, vista la mancanza del carattere della cui era in precedenza incaricata una società del corrispettività che caratterizza le prestazioni di sergruppo residente in Italia. vizi imponibili ai fini IVA, detti contributi esulerebA seguito di una ristrutturazione del gruppo, si è bero dall’applicazione dell’imposta sul valore agproceduto a modificare il sistema distributivo eurogiunto e, in ogni caso, giacché l’attività della stabile peo nel modo seguente: organizzazione consiste nel prestare servizi di pub1. una società di diritto statunitense si occuperà di blicità e di assistenza tecnica a soggetti non resideneffettuare le vendite ai singoli distributori stabiliti (i membri del GEIE), non soddisfacendo il requiti nell’Unione europea; sito della territorialità, non sarebbero soggetti al2. una società inglese e una olandese presteranno i l’imposta. Stando alle disposizioni dell’art. 7 del servizi relativi alla distribuzione dei prodotti; DPR 633/1972, infatti, per questo tipo di servizi, il 3. i servizi di assistenza tecnica e di marketing saranno curati da un GEIE con sede a Londra, istituito dalle predette società inglese ed olandese, Dottore in giurisprudenza Università Bocconi. che opererà nei diversi Stati membri per mezzo di (*) 224 Maggio-Giugno 2005 DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE territorio rilevante ai fini IVA è quello del domicilio del committente, salvo il caso di utilizzo del servizio al di fuori della Comunità europea. 2. La risposta dell’Amministrazione finanziaria: la natura dei contributi erogati L’Agenzia delle Entrate ritiene, differentemente dall’istante, che i contributi erogati dai membri del GEIE alla stabile organizzazione situata in Italia costituiscano veri e propri corrispettivi per le prestazioni di assistenza e promozione che essa fornisce, per loro conto, a distributori e clienti finali in Italia, non già dei contributi in senso proprio. La distinzione è rilevante, soprattutto se si pensa che i contributi (diversi da quelli in conto esercizio e quelli finalizzati all’acquisto di beni ammortizzabili) costituiscono sopravvenienza attiva ai sensi dell’art. 88, comma 3, lett. b) TUIR e sono imponibili in cinque periodi di imposta. In genere, infatti, il contributo (in primo luogo il contributo a fondo perduto) è un’elargizione che un soggetto (di regola un ente pubblico) effettua, a vario titolo, a favore di un altro, senza che il beneficiario sia contrattualmente obbligato ad una controprestazione nei confronti del soggetto elargitore. Tuttavia, nel caso specifico, poiché la stabile organizzazione svolge un’attività di prestazione di servizi per i membri del GEIE (che erogano i contributi), il versamento che questi effettuano non è altro che l’adempimento della propria obbligazione di pagamento del corrispettivo, in base al rapporto sinallagmatico instaurato a fronte dell’obbligazione di dare, fare o permettere sorta in capo alla stabile organizzazione. A poco rileva, infatti, la denominazione con cui la somma di denaro viene data in cambio della prestazione stessa (corrispettivo, contributo, finanziamento). Se, pertanto, le somme erogate dai membri del GEIE londinese vengono corrisposte a fronte di una specifica obbligazione contrattuale assunta dalla stabile organizzazione, non si è in presenza di un vero e proprio contributo, ma piuttosto del corrispettivo di una prestazione di servizi(1) e di conseguenza dovranno essere tassati come ricavi. Chiarita la natura dei contributi erogati, se ne evince facilmente la rilevanza ai fini IVA, così come giustamente sostenuto dall’Amministrazione finanziaria. L’art. 3 del DPR 633/1972 stabilisce, infatti, che costituiscono prestazioni di servizi, soggette ad IVA, quelle rese “verso corrispettivo” sulla base di contratti d’opera, appalto e simili o derivanti, in genere, da obbligazioni di fare, non fare e permettere, qualunque ne sia la fonte. Rientrano pertanto nella formulazione tutte le prestazioni a titolo oneroso effettuate da un soggetto di imposta nell’esercizio di attività di impresa (arte o professione), qualunque sia la denominazione del pagamento. Essendo le somme in questione non già dei contributi, ma piuttosto il corrispettivo dei servizi forniti, l’Amministrazione sostiene che, come tali, rilevano anche ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. Nella risposta all’istanza di interpello, inoltre, l’Agenzia delle Entrate richiama la sentenza del 17 novembre 1993, C-68/92 della Corte di giustizia in cui i giudici del Lussemburgo hanno stabilito che nelle prestazioni pubblicitarie deve intendersi ricompresa ogni attività indirizzata alla trasmissione di un messaggio promozionale, relativo a beni e servizi, purché le prestazioni rese siano riconducibili ad un unicum rappresentato dalla prestazione principale e prevalente qualificabile come attività pubblicitaria. Poiché l’attività descritta dall’istante appare consistere in servizi di marketing, non già in attività meramente pubblicitaria, le prestazioni rese nei confronti dei membri del GEIE, ossia le società con sede nel Regno Unito e nei Paesi Bassi, rientrano nel concetto di assistenza tecnica e sono, pertanto, territorialmente rilevanti nel luogo del committente, se quest’ultimo è soggetto passivo di imposta residente in altro Stato comunitario (art. 7 lett. e) DPR 633/1972). Di conseguenza, i servizi prestati dalla stabile organizzazione italiana ai membri del GEIE non sono assoggettati ad IVA in Italia. 3. Le caratteristiche del GEIE Una volta chiarita la natura dei contributi erogati dai membri del GEIE alla stabile organizzazione, occorre esaminare l’applicabilità - al caso concreto delle disposizioni contenute all’art. 110, comma 7, TUIR, in materia di transfer pricing, che impongono la valutazione a valore normale dei “componenti di reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa”. Nota: (1) Tale parere era già stato espresso dall’Amministrazione finanziaria nella risoluzione 11 giugno 2002, n. 183/E e successivamente è stato ribadito nella risoluzione 16 febbraio 2005, n. 21/E. Maggio-Giugno 2005 225 DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE A parere del contribuente istante, la disciplina sui prezzi di trasferimento non si applicherebbe al GEIE, dal momento che questo è un soggetto giuridico che non persegue, per se stesso, uno scopo di lucro e che, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento CEE n. 2137/1985, non può esercitare il controllo sull’attività dei suoi membri. Il GEIE, infatti, è un organismo associativo che coinvolge persone fisiche, società ed altri soggetti giuridici, ed è creato su base contrattuale allo scopo di favorire la cooperazione e la collaborazione internazionale dei suoi membri, mediante la configurazione di un unico centro di imputazione di rapporti giuridici. Dal momento che la sua funzione è quella di fornire mezzi e strumenti di agevolazione, cooperazione, integrazione dell’attività economica dei soggetti partecipanti, da un punto di vista giuridico si qualificherebbe come contratto non già di società, ma di collaborazione. Il divieto di realizzare profitti per se stesso, stabilito all’art. 3 del Regolamento comunitario, conferma ulteriormente la funzione cooperativa del Gruppo che nasce unicamente per agevolare e sviluppare l’attività economica dei suoi membri, alla quale quella del GEIE deve solo collegarsi e rispetto alla quale essere ausiliaria. La funzione cooperativa e la mancanza di una forma di “impresa” è inoltre confermata dall’assenza di un capitale proprio, che venga destinato stabilmente all’esercizio dell’attività economico-produttiva. Al fine di garantire la stabilità patrimoniale del Gruppo è, infatti, espressamente previsto il principio inderogabile in base al quale tutti i suoi membri devono provvedere al termine di ciascun anno al saldo delle eccedenze delle uscite rispetto alle entrate, nella proporzione prevista nel contratto ovvero, in mancanza, in parti uguali. La mancanza di un obbligo di conferimento iniziale a carico dei membri è, quindi, compensata da un intervento ex post, in ragione delle effettive necessità di cassa. Questa mancanza di un capitale iniziale, bilanciata dalla previsione di un regime di responsabilità illimitata dei suoi membri nei confronti dei creditori del gruppo, determina una forte somiglianza del GEIE alle associazioni o alle partnership, piuttosto che ad una società di capitali; similarità ancor più sottolineata dalle disposizioni relative al regime fiscale. Sebbene il Gruppo non abbia finalità lucrativa, gli utili occasionalmente ed in via accessoria prodotti (a causa di proventi straordinari, finanziari etc.)(2) vengono assoggettati a tassazione per trasparenza. L’art. 21 del Regolamento stabilisce, infatti, che i profitti risultanti dalle attività del Gruppo sono con226 Maggio-Giugno 2005 siderati come profitti dei membri e sono tra essi ripartiti secondo la proporzione prevista nel contratto di gruppo o, nel silenzio di questo, in parti uguali. Inoltre, secondo l’art. 40, il risultato delle attività del gruppo è soggetto ad imposte soltanto tramite imposizione a carico dei singoli membri. L’imposizione avviene quindi per trasparenza in capo a ciascun partecipante, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla effettiva percezione e dalla manifestazione dell’evento finanziario (distribuzione dell’utile, copertura della perdita). 4. Sull’applicabilità della disciplina dei prezzi di trasferimento al GEIE Dubbi legittimi sull’applicabilità della disciplina del transfer pricing potrebbero derivare dal dettato letterale dell’art. 110, comma 7, TUIR che prescrive il criterio di valutazione a valore normale qualora vi siano operazioni con “società” non residenti. Stante la disciplina, le finalità e le caratteristiche del GEIE, si escluderebbe a priori che il Gruppo possa rientrare nella definizione di società e si potrebbe concludere nel senso della non applicabilità dell’art. 110 per mancanza del requisito soggettivo. Occorre, tuttavia, sottolineare che nella circolare ministeriale 22 settembre 1980, n. 32/9/2267 l’Amministrazione finanziaria, con riferimento ai presupposti soggettivi per l’applicabilità della disciplina dei prezzi di trasferimento, ha avuto modo di chiarire che il concetto di “società” a cui fa riferimento il legislatore nell’indicare il soggetto estero controllante non deve essere inteso in modo restrittivo. Con tale definizione, infatti, si comprendono anche forme giuridiche non espressamente previste dal nostro ordinamento e, quindi, “ogni sorta di organismi societari giuridicamente riconosciuti nello Stato estero, anche se difettano del requisito della plurisoggettività, quali i “Groupements d’Intérêt économique” francesi, l’“Arge” tedesco occidentale, i “Trusts” di derivazione anglosassone, gli “Stiftung”, le “Anstalten” ecc. Inoltre, è stato precisato che il termine “società” includerebbe altresì la stabile organizzazione non localizzata in Italia di una società estera, giacché pur essendo sprovvista di autonomia giuridica distinta dalla casa madre, tutte le operazioni da essa poste in essere sono riconducibili alla società da cui promana. Nota: (2) Cfr. Assonime, circ. 31 ottobre 1991, n. 141. DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE Per poter sostenere che il GEIE ricade nella definizione di “società” di cui all’art. 110 comma 7, è però necessario analizzare il concetto di controllo, che pure rientra tra i presupposti soggettivi per l’applicazione della disciplina in esame. L’Amministrazione finanziaria ha precisato nella circolare n. 32/9/2267 del 1980 e, più recentemente, nella risoluzione n. 18/E del 2005 che qui si commenta, che il concetto di controllo deve essere inteso in senso molto ampio, giacché un’interpretazione restrittiva finirebbe col sottrarre ingiustificatamente alla speciale disciplina una notevole quantità di transazioni e incentiverebbe l’utilizzazione di talune forme organizzative imprenditoriali a scapito di altre, facendo venir meno così il criterio di neutralità cui devono ispirarsi le leggi fiscali. Del resto, il mancato richiamo dell’art. 110 TUIR all’art. 2359 c.c. conferma che il controllo, di cui alla norma tributaria, deve trovare collocazione in un contesto dinamico “tenendo presente che le variazioni di prezzo nelle transazioni commerciali trovano spesso il loro presupposto nel potere di una parte di incidere sull’altrui volontà non in base al meccanismo del mercato, ma in dipendenza degli interessi di una sola delle parti contraenti o di un gruppo”(3). Il concetto di controllo, infatti, deve essere esteso ad ogni ipotesi di influenza economica potenziale o attuale, sì da ricomprendere anche le fattispecie in cui sia ravvisabile “l’impossibilità di funzionamento dell’impresa senza il capitale, i prodotti e la cooperazione tecnica dell’altra impresa (fattispecie comprensiva delle joint ventures)”, o “il diritto di nomina dei membri del consiglio di amministrazione o degli organi direttivi” dell’ente. Con specifico riferimento al GEIE, sebbene su di questo gravi espressamente il divieto di esercitare, in modo diretto o indiretto, il potere di direzione o di controllo sulle attività dei suoi membri o di un’altra impresa, esiste un innegabile potere dei membri (siano essi società, enti, operatori economici o professionisti) di incidere sulla volontà di quest’ultimo. Posto, infatti, che la sua finalità consiste nell’agevolare e migliorare i risultati dell’attività economica dei suoi membri, i quali collegialmente possono prendere qualsiasi decisione ai fini della realizzazione del suo oggetto, è innegabile il forte potere decisionale che è a loro disposizione. Questo peculiare e preponderante controllo dei membri che si esplica non solo sul Gruppo, ma anche sulla sua stabile organizzazione (che ne è parte), di conseguenza rientra nella definizione di “controllo” stabilita dalla normativa sui prezzi di trasferi- mento, giacché tutta la disciplina giuridica, la struttura funzionale e l’attività del GEIE ruota attorno agli interessi dei suoi membri. Il regime di responsabilità illimitata e solidale dei membri per le obbligazioni del gruppo (art. 23 del Regolamento), quello di imputazione dei profitti del Gruppo direttamente in capo ai membri (art. 21), e la tassazione a loro carico (art. 40), renderebbero quindi il GEIE un soggetto trasparente per mezzo del quale il potere dei membri di incidere sulle politiche di prezzo riuscirebbe facilmente a raggiungere l’intento elusivo che la normativa sul transfer pricing si propone, invece, di contrastare. 5. Transfer pricing e libertà fondamentali Nella risposta al contribuente, l’Amministrazione ritiene inconferente il richiamo al principio di libertà di stabilimento sancito all’art. 43 del Trattato CE per l’inapplicabilità della normativa sui prezzi di trasferimento. La stabile organizzazione interpellante, infatti, ritiene che l’applicazione della normativa di cui all’art. 110, comma 7, TUIR alle operazioni intercorrenti con il GEIE londinese sarebbe in contrasto con il diritto comunitario. Dal momento che la normativa antielusiva in esame si applicherebbe unicamente ai rapporti cross-border, si verificherebbe una discriminazione rispetto ad una fattispecie puramente interna come quella tra consorzi e consorziati nazionali e sarebbe pertanto vietata dal Trattato. Secondo l’Agenzia delle Entrate, tuttavia, la disciplina sul transfer pricing è finalizzata ad una corretta ripartizione delle potestà impositive degli Stati, in coerenza con il principio di territorialità: la corretta determinazione dei corrispettivi pagati dal GEIE alla sua stabile organizzazione situata in Italia, secondo parametri di libera concorrenza, consente di attribuire allo Stato della fonte il potere impositivo sul differenziale, positivo o negativo rispetto ai costi sostenuti, conseguito dalla stabile organizzazione a seguito dell’attività esercitata. Una situazione del genere non si verificherebbe se le parti dell’operazione fossero residenti nella stessa giurisdizione fiscale, giacché non ci sarebbe alcun rischio di spostamento di materia imponibile da uno Stato all’altro. La normativa sul transfer pricing, infatti, si propone di ripristinare l’equilibrio rispetto Nota: (3) Risoluzione n. 18/E del 15 febbraio 2005. Maggio-Giugno 2005 227 DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE ad una situazione in cui tutti i membri del gruppo sono residenti e, dal momento che disciplina diversamente fattispecie diverse, non è in contrasto con il principio di non discriminazione. In realtà, la posizione assunta dall’Amministrazione finanziaria non è pienamente condivisibile. Le disposizioni in materia di prezzi di trasferimento, come è stato giustamente osservato nella risoluzione in esame, trovano ragione di applicazione solo con riferimento alle operazioni intercorrenti tra un soggetto residente ed uno non residente, legati da un peculiare rapporto di controllo, dove esiste il rischio che un prezzo diverso da quello normalmente pattuito in regime di libera concorrenza determini un artificioso spostamento di materia imponibile da una giurisdizione ad un’altra. In un’ipotesi puramente interna, essendo tale rischio assente, la norma stabilita all’art. 110 comma 7 non troverebbe ragione di applicazione. A questo proposito, occorre notare che le disposizioni in esame presentano caratteristiche molto simili ad un’altra normativa antielusiva, che è stata condannata dalla Corte di giustizia per contrasto con le libertà fondamentali del Trattato CE, giacché si applicava unicamente con riferimento a fattispecie cross-border, e non anche interne: la thin capitalisation. Come è noto, nel caso Lankhorst-Hohorst(4) è stata giudicata contraria alla libertà di stabilimento la normativa tedesca che prevedeva l’indeducibilità degli interessi passivi in capo ad una società debitrice soltanto nel caso in cui il relativo finanziamento fosse stato erogato da un socio non residente. La ratio di siffatta normativa è di natura antielusiva: si vuole evitare che il soggetto finanziato deduca dal proprio reddito imponibile dei costi che nello Stato in cui esso è stabilito sfuggiranno da imposizione, perché percepiti da un soggetto non residente. In un’ipotesi puramente nazionale, l’esigenza di negarne la deducibilità non esisterebbe nella sostanza, in quanto ciò che il finanziato deduce come interesse passivo sarà successivamente tassato in capo al finanziatore come interesse attivo. Il fatto che la normativa italiana istitutiva dell’IRES ha poi esteso la disciplina della thin capitalization anche alle fattispecie puramente interne, diversamente da quanto era stato previsto dalla legge delega di riforma n. 80/2003, è derivato dalla necessità di rendere il diritto interno conforme al diritto comunitario. Analogamente, nel caso Bosal(5), i giudici comunitari hanno ritenuto contraria all’art. 43 del Trattato la normativa olandese che consentiva la deducibilità da parte di una società holding residente degli 228 Maggio-Giugno 2005 interessi sostenuti in relazione al finanziamento di sue partecipate alla condizione che queste fossero residenti nei Paesi Bassi, negandola, per converso, se le controllate fossero residenti in altri Stati membri. Una disciplina del genere, infatti, prevedendo un trattamento fiscale meno favorevole a seconda dello Stato in cui il contribuente decidesse di stabilire una sua controllata, si finiva per restringere la sua libertà di stabilimento, quando, invece, - stando agli obiettivi del Trattato CE - dovrebbe essere fiscalmente neutrale acquisire partecipazioni e stabilirsi in un qualsiasi Stato del Mercato unico. Alla luce di queste considerazioni, non si possono non notare forti similarità con la normativa sul transfer pricing. Un contribuente che decidesse di acquisire il controllo di una società stabilita in un altro Stato membro correrebbe, quindi, il rischio di una rettifica delle valutazioni da lui stesso fatte per le operazioni intercorse con la società non residente, se queste non corrispondessero al valore normale, mentre nulla accadrebbe se la partecipazione di controllo fosse acquisita in un’altra società stabilita entro la sua stessa giurisdizione. Poiché la normativa italiana in esame scoraggia lo stabilimento in un altro Stato membro, esiste il rischio che possa essere condannata dalla Corte del Lussemburgo per violazione delle libertà fondamentali. A nulla varrebbero le osservazioni e le giustificazioni che l’Amministrazione finanziaria ha fornito nella risoluzione in esame. La Corte ha, infatti, più volte stabilito che la riduzione delle entrate tributarie non può essere considerata un motivo imperativo di interesse generale atto a giustificare un provvedimento che sia in contrasto con una libertà fondamentale(6). Per tale motivo, a meno che non si proceda ad una modifica dell’art. 110 comma 7 TUIR con riferimento ai presupposti soggettivi, si ritiene che il rischio di un giudizio di incompatibilità con la normativa europea non possa essere facilmente scongiurato. Note: (4) Sentenza del 12 dicembre 2002, C-324/00, in Racc. 2002, p. I-11779. (5) Sentenza del 18 settembre 2003, C-168/01, in Racc. 2003, p.I-9409. C-264/96 del 16 luglio 1998, Imperial Chemical Industries plc / Colmer, in Racc. 1998,I-4695, par. 28; C-307/97 del 21 settembre 1999, Saint-Gobain ZN, in Racc. 1999, I-6161, par. 51; C-35/98 del 6 giugno 2000, Verkooijen, in Racc. 2000, I-4071, par. 59; cause riunite C397/98 e C-410/98 dell’8 marzo 2001, Metallgesellschaft, in Racc. 2001, I-1727, par. 59; C-136/00, 3 ottobre 2002, Danner, in Racc. 2002, I-8147, par. 56; C-324/00 del 12 dicembre 2002, Lankhorst-Hohorst, cit., par. 79; C-436/00 del 21 novembre 2002, X e Y, in Racc. 2002, I10829, par. 50; C-9/02 dell’11 marzo 2004, de Lasteyrie du Saillant, non ancora pubbl. in Racc., par. 60. (6) DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO Approvate le norme che recepiscono la Direttiva 2003/48/CE di Piero Bonarelli(*) 1. Premessa: la Direttiva 2003/48/CE SOMMARIO: 1. Premessa: la Direttiva 2003/48/CE - 2. Soggetti tenuti alle comunicazioni: gli “agenti pagatori” - 3. Definizione di interessi - 4. Individuazione del beneficiario effettivo 5. Le informazioni oggetto della comunicazione 6. Trasmissione degli elementi informativi e scambio automatico dei dati - 7. Richiesta di non applicazione della ritenuta alla fonte - 8. Territori associati e decorrenza Il Governo ha approvato il Decreto legislativo 18 aprile 2005, n. 84 che dà attuazione alla Direttiva 2003/48/CE del 3 giugno 2003 riguardante i redditi da risparmio transfrontalieri sotto forma di pagamenti di interessi (1). L’obiettivo perseguito dalla normativa comunitaria è consentire che gli interessi corrisposti in uno Stato membro a beneficiari effettivi (persone fisiche) residenti in un altro Stato membro, siano soggetti a tassazione in base alla legislazione nazionale di quest’ultimo Stato(2). A tale scopo, il provvedimento prevede un sistema di scambio automatico delle informazioni tra le amministrazioni dei Paesi membri. In pratica, in base a quanto previsto dalla Direttiva 2003/48/CE, lo Stato di residenza dell’agente pagatore (l’intermediario che paga gli interessi) è tenuto a comunicare dati e notizie rilevanti allo Stato di residenza del beneficiario effettivo. Solo per Belgio, Austria e Lussemburgo è previsto un periodo transitorio durante il quale questi Paesi, in luogo di procedere alla trasmissione delle informazioni, applicheranno una ritenuta alla fonte sugli interessi. Il prelievo sarà effettuato nella misura del 15% per i primi tre anni, del 20% per i seguenti tre, del 35% per i successivi(3). Il 75% delle entrate percepite a titolo di ritenuta sarà trasferito allo Stato di residenza dell’investitore(4). Nel corso del periodo transitorio gli altri Stati membri continueranno a trasmettere automaticamente le informazioni ai tre Paesi che applicano la ritenuta, senza esigere condizioni di reciprocità. In base alle previsioni della Direttiva, il periodo transitorio terminerà solo quando la Comunità europea avrà sottoscritto un accordo con Liechtenstein, San Marino, Principato di Andorra, Principato di Monaco e (*) Confederazione svizzera, in forza del quale questi Stati prevedono l’attuazione di uno scambio di informazioni su richiesta, relativamente ai pagamenti di interessi transfrontalieri(5). Va inoltre rilevato che la concreta operatività della Direttiva 2003/48/CE è subordinata alla circostanza che ciascuno dei Paesi sopra menzionati adotti misure “equivalenti” a quelle disposte dalla Direttiva medesima, a decorrere dalla stessa data in cui le disposizioni comunitarie si rendono applicabili (1° luglio 2005)(6). È altresì necessario che tutti i territori dipendenti o asso- Affari fiscali - UniCredito Italiano Note: Il provvedimento è pubblicato sulla G.U. 23 maggio 2005, n. 118. La delega all’emanazione del Decreto legislativo è contenuta nell’art. 1 della legge 31 ottobre 2003, n. 306 (legge comunitaria 2003). (1) Si veda, in proposito, il “considerando” n. 8 della Direttiva 2003/48/CE nonché l’articolo 1, paragrafo 1, della medesima Direttiva. (2) (3) Si veda, in proposito, l’art. 11, paragrafo 1, della Direttiva 2003/48/CE. Si veda, al riguardo, l’art. 12 (“Ripartizione del gettito fiscale”) della Direttiva 2003/48/CE. (4) Più precisamente, il periodo transitorio avrà termine alla fine del primo esercizio tributario successivo all’ultima delle date in cui siano verificate le seguenti condizioni: 1) entrata in vigore di un accordo tra Principato di Monaco, Principato di Andorra, Liechtenstein, San Marino, Svizzera e Comunità europea, avente ad oggetto l’adozione di un sistema di scambio di informazioni su richiesta, come definito dal Modello OCSE del 2002; 2) il Consiglio europeo conviene all’unanimità che gli Stati Uniti si sono impegnati a procedere allo cambio di informazioni su richiesta. Si veda, in proposito, il “considerando” n. 18 della Direttiva 2003/48/CE nonché l’art. 10, paragrafo 2, del medesimo provvedimento. (5) (6) Il criterio che impone l’adozione di misure “equivalenti” da parte di Monaco, San Marino, Svizzera, Andorra e Liechtenstein si traduce, in linea di principio, nell’applicazione di un prelievo alla fonte secondo le stesse modalità definite con riferimento a Belgio, Austria e Lussemburgo (innalzamento progressivo dell’aliquota dal 15% al 20%, per poi giungere al 35%). Si segnalano, a questo proposito, le intese già raggiunte dalla Commissione europea con i Paesi interes(segue) Maggio-Giugno 2005 229 DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO ciati (Isole anglo-normanne, Isola di Man e territori dei Carabi)(7) attuino, con la medesima decorrenza, lo scambio automatico delle informazioni o applichino una ritenuta alla fonte sugli interessi (negli stessi termini previsti per Belgio, Austria e Lussemburgo). 2. Soggetti tenuti alle comunicazioni: gli “agenti pagatori” L’art. 1, comma 1, del Decreto legislativo n. 84/2005 individua i soggetti tenuti, in qualità di “agenti pagatori”, a comunicare all’Agenzia delle entrate le informazioni relative agli interessi pagati o il cui pagamento è attribuito direttamente a persone fisiche residenti in un altro Stato membro, che siano beneficiarie effettive degli stessi. Rientrano nel novero dei soggetti obbligati alla trasmissione dei dati le banche, le società di intermediazione mobiliare, le Poste Italiane S.p.a., le società di gestione del risparmio, le società finanziarie e fiduciarie, residenti nel territorio dello Stato. Sono tenute ad effettuare le comunicazioni anche le stabili organizzazioni in Italia degli intermediari e degli altri soggetti non residenti che procedono al pagamento degli interessi(8). L’obbligo di comunicazione si configura sia quando i soggetti menzionati operano come debitori del credito che produce gli interessi sia quando agiscono come incaricati dal debitore o dal beneficiario effettivo di pagare o di attribuire il pagamento di interessi(9). Qualora il pagamento sia attribuito tramite una catena di diversi intermediari, l’agente pagatore tenuto a trasmettere gli elementi informativi è solo l’ultimo intermediario, ovvero quello che paga o attribuisce il pagamento degli interessi direttamente a favore del beneficiario effettivo. Si considera beneficiario effettivo la persona fisica che riceve il pagamento in qualità di beneficiario finale. Come si precisa nella relazione di accompagnamento al Decreto legislativo, l’obbligo di comunicazione sussiste indipendentemente dal fatto che il pagamento degli interessi costituisca reddito di impresa o derivi da investimenti privati della persona fisica. Non rientrano nel campo di applicazione della normativa i pagamenti effettuati a favore di società o altre persone giuridiche. Il comma 3 dell’art. 1 individua una categoria residuale di soggetti tenuti all’inoltro delle informazioni. Si tratta delle entità, residenti nel territorio dello Stato, alle quali sono pagati o è attribuito un pagamento di interessi a vantaggio del beneficiario effettivo. In questo caso, la trasmissione dei dati deve essere effettuata all’atto della riscossione degli inte230 Maggio-Giugno 2005 ressi, non già al momento del pagamento degli stessi al beneficiario effettivo(10). L’entità assume la veste di soggetto pagatore a condizione che sia diversa da una persona giuridica, da un soggetto i cui redditi sono tassati secondo i criteri di determinazione del redito d’impresa e da un organismo di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) autorizzato ai sensi della Direttiva 85/611/CE(11). Tali entità possono comunque esercitare l’opzione per essere trattate, ai fini della disciplina contenuta nel Decreto legislativo, come un OICVM, mediante presentazione di un’istanza all’Agenzia delle Entrate(12). 3. Definizione di interessi La normativa in esame non si applica alla generalità dei proventi derivanti dall’investimento di disponibilità finanziarie ma riguarda unicamente i redditi da risparmio sotto forma di pagamento di interessi a fronte di crediti. L’articolo 2 del Decreto legislativo individua le diverse fattispecie di interessi Note: (segue nota 6) sati per l’adozione delle misure “equivalenti”: accordo con la Svizzera del 26 ottobre 2004 (Gazz. Uff. CE n. L 385 del 29 dicembre 2004); accordo con il Principato di Andorra del 15 novembre 2004 (Gazz. Uff. CE n. L 359 del 4 dicembre 2004); accordo con il Principato di Monaco del 7 dicembre 2004 (Gazz. Uff. CE n. L 19 del 21 gennaio 2005); accordo con la Repubblica di San Marino del 7 dicembre 2004 (Gazz. Uff. CE n. L 381 del 28 dicembre 2004); accordo con il Principato del Liechtenstein del 7 dicembre 2004 (Gazz. Uff. CE n. L 379 del 24 dicembre 2004). I territori dipendenti e associati sono Jersey, Guernsey, Isola di Man, Antille Olandesi, Isole Vergini Britanniche, Turks e Caicos, Cayman, Montserrat, Anguilla, Aruba. (7) È tenuto a effettuare le comunicazioni ogni altro soggetto, anche persona fisica, residente nel territorio dello Stato, che per ragioni professionali o commerciali paga o attribuisce il pagamento di interessi a persone fisiche (beneficiarie effettive) residenti in un altro Stato membro (cfr. art. 1, comma 1, del Decreto legislativo). (8) Come precisato nella relazione di accompagnamento, non rientrano nel novero dei soggetti tenuti alla trasmissione dei dati (non ricoprono cioè la qualifica di agenti pagatori) le banche o altre istituzioni autorizzate ad accettare depositi, quando eseguono le operazioni di accredito di interessi sul conto dei propri clienti, a meno che non abbiano esse stesse pagato tali interessi ovvero abbiano avuto un incarico da parte del debitore o del beneficiario effettivo di pagare o di attribuire il pagamento degli interessi. (9) (10) Si veda, in proposito, la relazione di accompagnamento al Decreto legislativo. (11) Rientrano in questa categoria residuale sia le società semplici ed i soggetti ad esse equiparati (ai sensi dell’art. 5 del TUIR) sia i soggetti aventi natura di enti non commerciali, privi di personalità giuridica. (12) Come precisato nella relazione di accompagnamento, una volta esercitata l’opzione, gli obblighi di comunicazione operano secondo le modalità ordinarie previste per gli agenti pagatori individuati dal comma 1 dell’art. 1. DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO (raggruppandole in categorie omogenee) che rientrano nel campo di applicazione della disciplina. In particolare, la definizione contenuta nel comma 1, lettera a), del citato art. 2, coincide con la formulazione adottata dalla Direttiva 2003/48/CE ed è mutuata da quella presente nel Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni elaborato dall’OCSE: si tratta degli interessi pagati, o accreditati su un conto, “relativi a crediti di qualsivoglia natura, assistiti o meno da garanzie ipotecarie e corredati o meno di una clausola di partecipazione agli utili del debitore; in particolare quelli derivanti da titoli di debito pubblico e quelli prodotti da obbligazioni, compresi gli altri proventi derivanti dai suddetti titoli o obbligazioni”. Gli interessi moratori non costituiscono pagamenti di interessi ai fini della disciplina in commento. In base a quanto previsto dall’art. 2, comma 1, lettera b), rientrano nell’ambito di applicazione del Decreto legislativo anche gli interessi maturati alla cessione, al rimborso o al riscatto dei crediti indicati nella precedente lettera a). Assumono rilevanza, inoltre, i redditi derivanti da pagamenti di interessi distribuiti da: organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) autorizzati ai sensi della Direttiva 85/611/CE, entità che hanno scelto di essere trattate come i suddetti organismi e organismi di investimento collettivo stabiliti al di fuori del territorio della UE. Infine, sono inclusi tra i pagamenti di interessi anche i redditi realizzati alla cessione, al rimborso o al riscatto di partecipazioni o quote detenute negli organismi e nelle entità sopra menzionate, qualora tali organismi ed entità investano, direttamente o indirettamente, tramite altri organismi o entità, oltre il 40% del loro attivo nei crediti di cui all’art. 2, comma 1, la lettera a). La percentuale del 40% è ridotta al 25% a decorrere dal 1° gennaio 2011(13). Come osservato nella relazione di accompagnamento al Decreto legislativo, “l’indirizzo adottato dal legislatore comunitario determina un ampliamento dell’ambito oggettivo di applicazione della direttiva a componenti reddituali, quali plusvalenze e dividendi, che, pure estranee in linea di principio, vengono investite dalla disciplina in tema di interessi poiché prodotte attraverso una forma di investimento collettivo”. Durante il periodo transitorio (e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2010) non rientrano nella categoria dei crediti le obbligazioni nazionali e internazionali e gli altri titoli di credito negoziabili emessi per la prima volta anteriormente al 1° marzo 2001 o il cui prospetto originario delle condizioni di emis- sione sia stato approvato, prima di tale data, dalle autorità competenti. Il pagamento di interessi relativo a tali titoli resterà pertanto estraneo alla disciplina in commento. In ogni caso, l’esclusione dal novero dei crediti opera a condizione che la sottoscrizione dei titoli non abbia costituito oggetto di riapertura a decorrere dal 1° marzo 2002(14). Qualora i soggetti tenuti alla trasmissione dei dati non siano in possesso delle informazioni necessarie per verificare la sussistenza dei requisiti ai fini dell’esclusione delle obbligazioni e degli altri titoli negoziabili dalla categoria dei crediti, l’intera emissione del titolo è considerata credito rilevante ai fini della disciplina. 4. Individuazione del beneficiario effettivo Gli obblighi di comunicazione a cui sono tenuti gli agenti pagatori non sussistono nel caso in cui la persona fisica che percepisce gli interessi o a favore della quale il pagamento è attribuito, non sia il beneficiario effettivo degli interessi medesimi. A questo riguardo, il Decreto legislativo individua tre circostanze la cui sussistenza deve essere attestata (l’una in alternativa all’altra) al fine di escludere la qualifica di beneficiario effettivo. In particolare, la persona fisica che percepisce gli interessi non riveste la qualifica di beneficiario effettivo quando agisce: • come agente pagatore, cioè come operatore economico che effettua o attribuisce il pagamento di interessi a favore del beneficiario effettivo, come debitore del credito che produce interessi o come incaricato dal debitore o dal beneficiario effettivo di pagare o di attribuire il pagamento di interessi; • per conto di una persona giuridica, di un’entità i cui profitti sono soggetti a tassazione secondo i Note: Secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 4, del Decreto legislativo, la percentuale del 40% è determinata in base al regolamento o ai documenti costitutivi degli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) o delle entità interessate ovvero, in mancanza di tale riferimento, in base all’effettiva composizione dell’attivo dei suddetti organismi o entità, avendo riguardo all’ultimo rendiconto o bilancio di esercizio approvato. (13) L’esclusione disposta per le obbligazioni nazionali e internazionali emesse anteriormente al 1° marzo 2001 dà attuazione alla cosiddetta clausola di salvaguardia stabilita dall’art. 15 della Direttiva 2003/48/CE. Come precisato nella relazione illustrativa, con tale previsione si vogliono evitare turbative di mercato connesse all’eventuale attivazione delle clausole di “lordizzazione” (gross-up) da parte degli investitori che si trovassero soggetti ad una ritenuta - negli Stati che durante il periodo transitorio l’applicheranno - sui titoli già circolanti nel mercato delle obbligazioni internazionali. (14) Maggio-Giugno 2005 231 DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO criteri del reddito d’impresa, di un OICVM autorizzato o di un entità diversa da questi ultimi, alla quale sono pagati o è attribuito un pagamento di interessi a vantaggio del beneficiario effettivo; • per conto di un’altra persona fisica che è il beneficiario effettivo (la cui identità il percettore è tenuto a rivelare). Gli agenti pagatori dovranno acquisire dalla persona fisica una dichiarazione che attesti la sussistenza di una delle condizioni sopra indicate, al fine di escluderne la qualifica di beneficiario finale. Qualora i soggetti tenuti alle comunicazioni siano in possesso di informazioni secondo le quali il destinatario del pagamento di interessi potrebbe non essere il beneficiario effettivo, dovranno adoperarsi “in modo adeguato” (come si precisa nella relazione di accompagnamento) per rintracciarne l’identità(15). La normativa, quindi, impone agli agenti pagatori di adottare le misure necessarie (per quanto nelle loro possibilità) per determinare l’identità del beneficiario effettivo. Peraltro, se tali soggetti non sono in grado di giungere all’identificazione del destinatario finale del pagamento, dovranno considerare come beneficiario effettivo la persona fisica che percepisce gli interessi(16). 5. Le informazioni oggetto della comunicazione I dati che gli agenti pagatori sono tenuti a trasmettere dovranno riguardare: • l’identità e la residenza del beneficiario effettivo; • la denominazione e l’indirizzo del soggetto che trasmette le informazioni; • il numero di conto del beneficiario effettivo o, in assenza di tale riferimento, gli elementi che consentono l’identificazione del credito che produce gli interessi. Per quanto concerne le informazioni relative al pagamento degli interessi, i criteri seguiti nella trasmissione dei dati cambiano in funzione della diversa categoria in cui gli interessi stessi sono classificati. Pertanto, a seconda dei casi, sarà comunicato l’ammontare degli interessi pagati o accreditati, ovvero l’importo del corrispettivo realizzato alla cessione, al rimborso o al riscatto dei crediti o delle quote di partecipazione agli organismi di investimento collettivo. 6. Trasmissione degli elementi informativi e scambio automatico dei dati Gli agenti pagatori dovranno comunicare i dati e le 232 Maggio-Giugno 2005 notizie rilevanti secondo modalità e termini che saranno stabiliti con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate. Nel caso di omessa, incompleta o inesatta comunicazione, la sanzione prevista varia dai 2.065 euro ai 20.658 euro. Qualora l’inoltro delle informazioni avvenga con un ritardo non superiore ai trenta giorni, si applica la sanzione minima. L’Agenzia delle Entrate dovrà inviare le informazioni acquisite all’autorità competente dello Stato membro di residenza del beneficiario effettivo. La trasmissione dei dati è automatica e dovrà avvenire entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello nel corso del quale sono stati effettuati i pagamenti di interessi. Allo scambio di informazioni si applicano (ove non contrastino con la normativa in esame) le disposizioni della Direttiva 77/799/CE che regola la trasmissione di dati e notizie tra le autorità competenti degli Stati membri in materia di imposte dirette e di imposte sui premi assicurativi(17). Una particolare deroga investe le disposizioni contenute nell’art. 8 della Direttiva 77/799/CE, che individua le circostanze in cui un Stato membro può rifiutarsi di trasmettere le informazioni che gli sono state richieste. Pertanto, le limitazioni allo scambio di dati disposte dall’art. 8 della Direttiva 77/799/CE(18) non si applicano quando le informazioni abbiano ad oggetto redditi da risparmio transfrontalieri sotto forma di pagamento di interessi. 7. Richiesta di non applicazione della ritenuta alla fonte Come già rilevato, durante il periodo transitorio, in luogo di procedere alla trasmissione delle inforNote: (15) Cfr. art. 4, comma 3, del D.Lgs n. 84/2005. (16) Cfr. art. 4, comma 3, ultimo periodo, del Decreto legislativo. In particolare, l’art. 2 della Direttiva 77/799/CE (recentemente modificata dalla Direttiva 2004/106/CE) regola lo scambio di informazioni “su richiesta”, l’articolo 3 disciplina “lo scambio automatico” mentre l’art. 4 riguarda “lo scambio spontaneo”. (17) In particolare, in base a quanto previsto dall’art. 8 della Direttiva 77/799/CE, la trasmissione delle informazioni può essere rifiutata quando porterebbe a divulgare un segreto commerciale, industriale o professionale o un processo commerciale, o un’informazione la cui divulgazione contrasti con l’ordine pubblico. Inoltre, l’autorità competente di uno Stato membro può rifiutare di trasmettere le informazioni quando lo Stato membro che le richiede, per motivi di fatto o di diritto, non è in grado di fornire lo stesso tipo di informazioni. Infine, in base alle disposizioni dell’art. 8, uno Stato membro al quale sono richieste informazioni non è tenuto ad effettuare indagini o a comunicare informazioni, se la legislazione o la prassi amministrativa di tale Stato non consente all’autorità competente di condurre tali indagini o di raccogliere le informazioni richieste. (18) DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO mazioni, Austria, Belgio e Lussemburgo applicheranno una ritenuta alla fonte sui pagamenti di interessi effettuati a favore di persone fisiche residenti in un altro Stato membro. A tale riguardo, la Direttiva prevede che i beneficiari effettivi possano chiedere che la ritenuta non venga applicata. Secondo la procedura indicata dalla normativa comunitaria, al fine di evitare l’effettuazione del prelievo alla fonte da parte degli Stati membri autorizzati ad operare la ritenuta, il beneficiario effettivo deve presentare al suo agente pagatore un certificato rilasciato dall’autorità competente del suo Stato di residenza(19). A questo fine, in base a quanto previsto dall’articolo 9 del Decreto legislativo, il certificato rilasciato dall’Agenzia delle Entrate dovrà indicare: • il nome, il cognome, l’indirizzo e il codice fiscale del beneficiario effettivo; • la denominazione e l’indirizzo del soggetto non residente che è tenuto all’applicazione della ritenuta; • il numero di conto del beneficiario effettivo o, in assenza di tale riferimento, l’identificazione del titolo di credito. Il certificato produce effetti per un periodo di tre anni a decorrere dalla data di rilascio e viene rilasciato entro due mesi dalla presentazione della richiesta medesima. Al fine di evitare la doppia imposizione che potrebbe derivare dall’applicazione della ritenuta da parte di Austria, Lussemburgo e Belgio, al beneficiario effettivo residente nel territorio dello Stato è riconosciuto un credito d’imposta determinato ai sensi dell’art. 165 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Se l’importo della ritenuta operata è superiore all’ammontare del credito d’imposta, il beneficiario può chiedere il rimborso dell’eccedenza. Qualora, invece, l’art. 165 non risulti applicabile, il beneficiario potrà chiedere il rimborso dell’intera ritenuta. Questa circostanza può verificarsi quando i redditi esteri non concorrono a formare il reddito complessivo del residente italiano: è il caso dei redditi di capitale di fonte estera, rientranti nel campo di applicazione della normativa in esame, sottoposti a tassazione definitiva mediante ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o imposta sostitutiva (es. interessi su depositi o conti correnti esteri, interessi di titoli obbligazionari emessi all’estero). In alternativa alla richiesta del rimborso, il contribuente può ricorrere alla modalità della compensazione prevista dall’art. 17 del Decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. 8. Territori associati e decorrenza La disciplina sullo scambio di informazioni si applica anche nei confronti dei territori dipendenti e associati, in conformità alle previsioni normative contenute negli accordi internazionali stipulati con i suddetti territori e a condizione che gli stessi ne attuino le disposizioni. La normativa contenuta nel Decreto legislativo si applica ai pagamenti di interessi effettuati a decorrere dal 1° luglio 2005. Nota: (19) Va precisato che la Direttiva 2003/48/CE prevede anche una seconda procedura tesa a consentire al beneficiario effettivo di evitare l’applicazione della ritenuta. Secondo questa modalità, non occorre la presentazione di un certificato rilasciato dalle autorità competenti dello Stato di residenza, ma è sufficiente che il beneficiario effettivo autorizzi espressamente l’agente pagatore a comunicare le informazioni relative al pagamento di interessi. Gli Stati membri che effettuano il prelievo alla fonte durante il periodo transitorio possono adottare l’una o l’altra delle procedure previste dalla normativa comunitaria. Si veda, in proposito, l’art. 13 della Direttiva 2003/48/CE. Maggio-Giugno 2005 233 DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO Recenti sviluppi della Convenzione “arbitrale” in materia di prezzi di trasferimento di Giovanni Rolle(*) 1. Introduzione Dopo uno iato di alcuni anni, la Convenzione 90/436/CEE è ritornata negli ultimi mesi di attualità grazie a due eventi, quasi contemporanei e di grande rilievo: la conclusione del processo di ratifica del protocollo di estensione temporale e l’adozione di un codice di condotta per la sua effettiva attuazione. 2. L’entrata in vigore del protocollo di estensione e il regime transitorio La Convenzione 90/436/CEE del 23 luglio 1990, relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate(1), era entrata in vigore il 1° gennaio 1995, ma (secondo il testo originario dell’art. 20) solo per un periodo di cinque anni. Gli Stati contraenti avevano contestualmente previsto di “decidere in merito alla proroga” nei sei mesi anteriori alla scadenza. Ed in effetti, il 25 maggio 1999 (il quinquennio sarebbe trascorso il 31 dicembre dello stesso anno) venne firmato a Bruxelles un protocollo di modifica(2), interamente dedicato alla riformulazione dell’art. 20. Trovava conferma il termine quinquennale, ma con un’innovazione decisiva: la Convenzione sarebbe stata “di volta in volta prorogata di altri cinque anni a meno che uno Stato contraente non sollevi per iscritto obiezioni presso il segretario generale del Consiglio dell’Unione europea”. Il protocollo di modifica (sul piano formale, una “nuova” convenzione internazionale multilaterale) ha reso necessaria la ratifica da parte tutti gli Stati firmatari ed è così entrato in vigore - con notevole ritardo - il 1° novembre 2004. In base alle previsioni dell’art. 3, par. 1, il proto234 Maggio-Giugno 2005 collo ha effetto retroattivo “a decorrere dal 1° gennaio 2000” e per tutto il periodo, di quasi quattro anni, trascorso fra la data di effetto e quella di entrata in vigore, è stata disposta (art. 3, par. 2) la sospensione del termine triennale per la presentazione del caso alle autorità competenti degli Stati membri. In concreto, ciò comporta che: ❑ da un lato, possano ancora essere utilmente sottoposti alle autorità competenti molti dei casi sorti nel triennio 1997 - 1999; ❑ dall’altro, tutti i casi sorti nel periodo 1° gennaio 2000 - 31 ottobre 2004 potranno essere sottoposti sino al 31 ottobre 2007. Il quadro è più complesso per le procedure eventualmente già in corso alla data del 1° gennaio 2000. La Commissione ha evidenziato(3), in merito, come gli Stati membri abbiano adottato, in questi anni, soluzio- SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. L’entrata in vigore del protocollo di estensione e il regime transitorio - 3. Il Codice di condotta - 4. L’estensione della Convenzione ai nuovi Stati membri (*) R&A Studio Tributario Associato Note: In G.U.C.E. L 225 del 20 agosto 1990. La Convenzione ha, notoriamente, l’obiettivo di eliminare la doppia imposizione economica potenzialmente generata dalla rettifica dei prezzi di trasferimento, in assenza di aggiustamenti corrispondenti nello Stato della controparte. A tal fine, prevede una procedura amichevole (art. 6) non dissimile da quella prevista dalle convenzioni bilaterali seguita, in assenza di accordo fra gli Stati interessati, da una procedura arbitrale (art. 7) affidata ad una commissione consultiva (si v. il grafico alla pag. successiva). (1) (2) Protocollo di modifica della convenzione del 23 luglio 1990 relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate (1999/C 202/01), in G.U.C.E. C 202 del 16 luglio 1999. COMMISSIONE, Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo e al Comitato Economico e Sociale Europeo sui lavori del Forum congiunto dell’UE sui prezzi di trasferimento nel settore della tassazione delle società dall’ottobre 2002 al dicembre 2003 e su una proposta di codice di condotta per l’effettiva attuazione della Convenzione d’arbitrato (90/436/CEE del 23 luglio 1990), COM (2004) 297 del 23 aprile 2004, p. 26. (3) DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO ni assai diverse. Alcuni Stati (Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito) hanno ugualmente accolto le istanze ed attivato la procedura amichevole operando come se la Convenzione fosse stata in vigore. Altri Stati firmatari (fra i quali l’Italia) hanno invece adottato soluzioni più formali, ritenendo applicabile solo la procedura amichevole (eventualmente) prevista dalle convenzioni bilaterali. Secondo un documento di lavoro(4) predisposto dal Joint Transfer Pricing Forum, molti dei Paesi del primo gruppo sono ora orientati a consentire l’avvio della fase arbitrale (una volta infruttuosamente decorso il termine biennale concesso per addivenire ad una soluzione amichevole) anche qualora la procedura amichevole si sia svolta, in tutto o in parte, nel periodo di sospensione. 3. Il Codice di condotta Il secondo evento di rilievo è l’avvenuta adozione, da parte del Consiglio Ecofin del 7 dicembre 2004, di un “codice di condotta per l’effettiva attuazione della Convenzione sull’arbitrato”(5), che affronta alcune delle questioni emerse nel periodo di prima applicazione(6) della Convenzione. L’ipotesi era stata originariamente formulata nell’ambito dei lavori del Joint Transfer Pricing Forum ed una proposta - sostanzialmente conforme - era stata quindi avanzata dalla Commissione con la citata Comunicazione COM(2004) 297 del 23 aprile 2004. Il codice, come espressamente precisato nel relativo preambolo, rappresenta solo “un impegno politico e non pregiudica i diritti e gli obblighi degli Stati membri o le rispettive sfere di competenza degli Stati membri e della Comunità derivanti dal trattato”. Viene in tal modo riproposto il modello (cosiddetto “soft law”)(7) già sperimentato, in ambito fiscale, con il codice di condotta in materia di tassazione delle imprese del 1° dicembre 1997(8). L’insieme dei Note: (4) EU JOINT TRASFER PRICING FORUM, Secretariat Discussion Paper on the Re-entry into Force of the Arbitration Convention (JTPF/019/2004/EN), Bruxelles, 25 agosto 2004. (5) Il testo del codice di condotta, riportato nella sezione Documentazione di questa rivista alla pag. 269, è attualmente disponibile solo in forma di nota riveduta del Consiglio (12695/2/04 del 31 marzo 2005). Fra i primi commenti al codice di condotta, si vedano O. ROUSSELLE, The EC Arbitration Convention - An Overview of the Current Position, in European Taxation, gennaio 2005, p. 14 s., spec. 17; L. DE HERT, A New Impetus for the Arbitration Convention ?, in International Transfer Pricing Journal, marzo/aprile 2005, p. 50. Sulle quali si v. l’ampia disamina di P. ADONNINO, La Convenzione europea 90/436 sulla cosiddetta procedura arbitrale. Limiti e problemi., in Riv. Dir. Trib., 12/2002, p. 1211 s.. Di notevole interesse anche i dati forniti dalla Commissione (Comunicazione n. 582 del 23 ottobre 2001), secondo i quali, nei primi cinque anni di applicazione, la procedura amichevole è stata avviata in 93 casi (32 dei quali definiti entro il 2001), mentre la fase arbitrale ha interessato solo 3 controversie, tutte - all’epoca - ancora pendenti. (6) Per un sintetico inquadramento della categoria e delle sue evoluzioni, si v. H.HILLGENBERG, A Fresh Look at Soft Law, in European Journal of International Law, n. 3, 1999, p. 499 s. (7) (8) Risoluzione del Consiglio e dei Rappresentanti dei governi degli (segue) LA CONVENZIONE ARBITRALE (90/436/CEE) Le fasi della procedura Procedura Amichevole (Art. 6) L’autorità competente, se ritiene fondato il reclamo, può autonomamente adottare “una soddisfacente soluzione” oppure fare “del suo meglio per regolare l’accordo in via amichevole con l’altro Stato” Entro 3 anni dalla notifica della misura nazionale Parere della Commissione Consultiva (Art. 7 ed 11) Decisione Autorità Competenti (Art. 12) In mancanza di accordo, le autorità competenti istituiscono una commissione consultiva, incaricata di fornire un parere sul modo di eliminare la doppia imposizione Le autorità adottano di comune accordo una decisione, anche se difforme dal parere. Se non raggiungono un accordo, sono tuttavia tenute a conformarsi al parere Entro 2 anni dalla presentazione del caso Entro 6 mesi dalla data di richiesta del parere Eliminazione della doppia imposizione (Art. 14)sulla base del principio di libera concorrenza (art. 4) Entro 6 mesi dall’emissione del parere Maggio-Giugno 2005 235 DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO provvedimenti in materia di prezzi di trasferimento rimane perciò “ai margini” dell’ordinamento comunitario(9). Tuttavia, la circostanza che il codice sia stato proposto ed adottato dagli organi comunitari contribuisce a rafforzare gli elementi che legano in vario modo la Convenzione 90/436/CEE alla Comunità (si pensi, ad esempio, al ruolo del Consiglio previsto dagli articoli 17, 19 e 21). 3.1 Chiarimenti sui termini della procedura Il codice di condotta è articolato in 7 paragrafi. I primi due sono volti a chiarire i termini temporali per l’avvio della procedura amichevole, prevista dall’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione e della procedura di consultazione, di cui all’art. 7. La concreta applicazione della procedura amichevole, è, infatti, resa incerta dalla diversità delle norme nazionali e dalla conseguente difficoltà di identificare univocamente la data della “prima notifica della misura nazionale interessata”, ai fini del computo del termine di tre anni entro i quali il caso deve essere sottoposto all’autorità competente dello Stato di residenza(10). Sul punto, il Joint Transfer Pricing Forum aveva proposto (ma l’ipotesi è stata abbandonata dalla Commissione) la compiuta enumerazione delle singole definizioni nazionali, prevedendo, ad esempio, con riferimento all’Italia, che la data in questione fosse quella di notifica dell’avviso di accertamento. La soluzione adottata si limita invece ad una precisazione di carattere generale, secondo la quale il termine triennale decorre dalla data del “primo avviso di accertamento fiscale o misura equivalente che comporta o può comportare una doppia imposizione”. Il codice di condotta contiene poi la raccomandazione, rivolta agli Stati membri, di utilizzare la medesima definizione anche in occasione delle procedure amichevoli instaurate in base alle convenzioni bilaterali fra Stati membri (dove, a mente dell’art. 25 del Modello OCSE, il termine triennale decorre dalla “first notification of the action resultinng in taxation not in accordance with the provisions of the Convention”). Limitatamente all’Italia, la definizione del codice di condotta, è integrata dalla precisazione secondo la quale l’avviso di accertamento (o misura equivalente) deve riferirsi ad “una rettifica dei prezzi di trasferimento”. La posizione italiana riflette evidentemente una lettura restrittiva dell’ambito di applicazione oggettivo della Convenzione e potrebbe essere 236 Maggio-Giugno 2005 mirata ad escludere i casi in cui la doppia imposizione tragga origine da rettifiche incentrate sul principio di libera concorrenza, ma in materie diverse da quella dei prezzi di trasferimento (il pensiero corre alle regole nazionali in tema di “thin capitalization”(11)). Rimane da valutare l’efficacia di una siffatta limitazione che, per il suo carattere sostanziale, sembrerebbe piuttosto richiedere una modifica della Convenzione. Il secondo paragrafo del codice di condotta, colmando una lacuna della Convenzione, si sofferma sull’individuazione del momento in cui il caso si considera “sottoposto” all’autorità competente dello Stato di residenza. Il punto è centrale non solo per verificare la tempestività dell’iniziativa del contribuente (cioè, il rispetto del termine triennale di cui all’art. 6, par. 1 della Convenzione) ma soprattutto per stabilire quando, decorso inutilmente il biennio riservato alla fase amichevole, debba essere avviata la fase “consultiva” di cui al successivo art. 7. Il codice di condotta (par. 2.i) stabilisce, sul punto, che l’impresa debba presentare un’istanza e fornire una serie (dettagliatamente individuata) di Note: (segue nota 8) Stati membri riuniti in forma di Consiglio in data 1° dicembre 1997, in G.U.C.E. C 2 del 6 gennaio 1998, p. 2. Anche tale provvedimento “costituisce un impegno politico e non pregiudica pertanto diritti ed obblighi degli Stati membri né le rispettive competenze degli Stati membri e della Comunità derivanti dal Trattato”. La differenza più evidente, sul piano formale, è che il codice di condotta del 2004 è stato adottato dal solo Consiglio, mentre il testo del 1997 si configura, allo stesso tempo, sia quale atto della Comunità, sia quale autonoma espressione della collaborazione fra gli Stati membri, rientrando per tale ragione nella categoria degli “atti atipici”. Sul punto, rinvio, per brevità a G. ROLLE, Mercato interno e fiscalità diretta nel Trattato di Roma e nelle recenti iniziative della Commissione europea, in Dir. Prat. Trib., 1999, III, p. 57 s. L’espressione è tratta da L. S. ROSSI, La Convenzione relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate: uno strumento ai margini dell’ordinamento comunitario, in Dir. prat. trib. int., n. 3, 2001, p. 607, la quale osserva come la Convenzione non si inserisca fra le fonti comunitarie, restando sospesa “in una sorta di limbo fra diritto internazionale e diritto comunitario”, fra elementi che la legano al diritto dell’Unione ed elementi che la separano. (9) (10) L. DE HERT, A New Impetus for the Arbitration Convention?, cit., p. 51 evidenzia come, in astratto, per “prima notifica” si potrebbe intendere una semplice richiesta di informazioni, l’invio dei verbali della verifica o del provvedimento di (ri)determinazione del reddito imponibile. È opinione diffusa che le regole nazionali in materia di “thin capitalization” possano rientrare nell’ambito di applicazione oggettivo della Convenzione. In tal senso, si v. D. PILTZ, International aspects of thin capitalization. General Report, Rotterdam, 1996, p. 137; B. TERRA, P. WATTEL, European Tax Law, London, 2° ed., 1997, p. 292 nonché COMMISSIONE, Company Taxation in the Internal Market. Commission Staff Working Paper, SEC (2001) 1681, ove si osserva (p. 363) “it should be made clear that thin capitalisation rules are covered. This, again, would in principle not require an amendment to the Convention”. (11) DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO informazioni e prevede, nel contempo (par. 3.2, lett. e) la facoltà dell’autorità competente nazionale di richiedere, entro due mesi, eventuali “informazioni supplementari specifiche”, quando quelle fornite siano (ritenute) insufficienti. Sembra ragionevole ritenere che, sino alla fornitura delle informazioni supplementari, il caso non possa intendersi utilmente “sottoposto” e che, in concreto, il termine triennale di cui all’art. 6, par. 1 della Convenzione ne risulti significativamente abbreviato. Il paragrafo 2 (ii) a) del codice contiene, infine, una precisazione relativa alla sospensione del termine biennale per l’avvio della fase “consultiva”, prevista dall’art. 7, par. 1 della Convenzione. Quest’ultima disposizione fa riferimento all’ipotesi in cui del caso sia investito un “tribunale” nazionale, trascurando eventuali procedure amministrative. Il codice di condotta adotta ora un’impostazione più ampia, prevedendo la sospensione del termine biennale sino alla data della “decisione finale dell’amministrazione fiscale sul maggior reddito, o di una misura equivalente”. 3.2 Altre indicazioni procedurali I successivi paragrafi 3 e 4 del Codice sono incentrati sul concreto svolgimento delle procedure convenzionali e si riferiscono, ad esempio, al contenuto degli atti, alle modalità di consultazione fra le amministrazioni coinvolte, alle questioni linguistiche e di traduzione, alla tutela della riservatezza, alla pubblicità delle decisioni. Merita, in particolare, di essere menzionata la previsione di cui al par. 3.1 a), in base alla quale il principio di libera concorrenza è applicato “conformemente agli orientamenti dell’OCSE”. La precisazione evoca, in primo luogo, le ben note “Transfer Pricing Guidelines” e contribuisce ulteriormente ad assicurare il coordinamento fra la procedura amichevole della Convenzione 90/436/CEE e quelle previste in sede bilaterale. Piuttosto, per ragioni sistematiche (il par. 3 è dedicato alla sola procedura amichevole) sembra mancare un’analoga previsione in relazione al parere della commissione consultiva: il par. 4.4 si limita a prescrivere che detto parere indichi “le tesi e i metodi sui quali si basa la decisione”. Vengono fissati anche alcuni termini “intermedi” nell’ambito del biennio di durata della procedura amichevole: la redazione di un documento illustrativo della posizione dello Stato contraente che ha effettua- to l’accertamento fiscale (entro quattro mesi dall’avvio della procedura) e delle risposte degli altri Stati contraenti interessati (entro i successivi sei mesi). Gli Stati contraenti hanno inoltre assunto (par. 4.1) l’impegno di comunicare al Segretario generale del Consiglio dell’Unione europea i nomi delle (cinque) personalità indipendenti candidate a divenire membri della commissione consultiva di cui all’art. 7, par. 1 della Convenzione(12), con la precisazione che l’iniziativa di istituire, caso per caso, la predetta commissione consultiva spetta allo Stato che ha emesso il primo accertamento fiscale. Non sono stati previsti, su quest’ultimo punto, termini precisi: rimane quindi irrisolta la questione dei tempi di insediamento della commissione consultiva e della conseguente durata complessiva della procedura(13). 3.3. La sospensione della riscossione in pendenza della procedura convenzionale Il paragrafo 5 raccomanda, in pendenza delle procedure convenzionali(14), l’adozione (se occorre, in via legislativa) di misure di sospensione della riscossione analoghe a quelle previste in riferimento al contenzioso tributario nazionale. Si tratta di una questione ancora aperta e di notevole importanza, specie se si considera che le varie disposizioni di coordinamento fra contenzioso interno e Convenzione (si pensi ai paragrafi 1 e 3 dell’art. 7) impediscono, di fatto e nella maggior parte dei casi, di beneficiare delle esistenti misure nazionali di sospensione. 4. L’estensione della Convenzione ai nuovi Stati membri Completata la proroga temporale, la Convenzione dovrà essere nuovamente emendata a seguito dell’ingresso, il 1° maggio 2004, di 10 nuovi Stati membri. Note: Secondo il Report on the Activities of the EU Joint Transfer Pricing Forum in the Field of Business Taxation allegato alla citata COM(2004) 297 fin., cinque Stati contraenti (Grecia, Finlandia, Irlanda, Portogallo e Svezia) non avevano ancora provveduto, a settembre del 2003, alla nomina delle rispettive personalità indipendenti. (12) (13) Osserva, sul punto, P. ADONNINO, La Convenzione europea 90/436 sulla cosiddetta procedura arbitrale. Limiti e problemi, cit., p. 1216, che il termine di sei mesi entro il quale la commissione deve rendere il parere non può decorrere sino a quando la stessa non sia stata costituita e che, in assenza di un termine per la costituzione, risulta complessivamente frustrato l’interesse a che “la doppia imposizione venga eliminata in un tempo ragionevole”. Anche in questo caso, il codice raccomanda il medesimo trattamento in relazione alle procedure amichevoli previste dalle convenzioni bilaterali. (14) Maggio-Giugno 2005 237 DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO Sul punto, il Consiglio Ecofin del 7 dicembre 2004 ha adottato la bozza di una Convenzione di adesione, che dovrà essere sottoscritta e ratificata da ciascuno degli attuali 25 Stati membri. Si tratta di una procedura solitamente lunga: è noto, ad esempio, che, a quasi 10 anni di distanza(15) è solo ora in via di conclusione (nelle more della ratifica della Grecia) l’adesione di Austria, Finlandia e Svezia. Il testo predisposto dal Consiglio prevede peraltro (art. 5) che la Convenzione si applichi progressivamente fra gli Stati che avranno per primi completato il processo di ratifica(16). Sul punto si sofferma anche il Codice di condotta (par. 6), che contiene 238 Maggio-Giugno 2005 l’impegno degli Stati membri di attuare la Convenzione di adesione “il più rapidamente possibile e in ogni caso entro due anni dall’adesione all’UE”. Note: (15) Convenzione relativa all’adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del regno di Svezia alla convenzione relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate del 21 dicembre 1995, in G.U.C.E. C 26 del 31 gennaio 1996. (16) In base all’art. 5, del testo predisposto dal Consiglio, “La presente convenzione entra in vigore, nei rapporti tra gli Stati contraenti che l’hanno ratificata, accettata o approvata, il primo giorno del terzo mese successivo al deposito dell’ultimo strumento di ratifica, accettazione o approvazione effettuato da tali Stati”. DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO Maggiorazione di conguaglio e dividendi: ritenute asimmetriche? di Stefano Morri e Stefania Bernini(*) 1. Premessa SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Il caso e la questione pregiudiziale 3. La tesi dell’Avvocatura Generale dello Stato 4. La soluzione della questione pregiudiziale - 5. La pronuncia della Corte - 6. Conclusioni Nella sentenza del 23 settembre 2004, causa 19152/04, la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi riguardo al regime fiscale dei dividendi fluenti da società figlie residenti in Italia a società madri localizzate in altri Stati membri, chiarendo, nel caso specifico, il rapporto tra la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata con i Paesi Bassi e la Direttiva CEE 90/435, cosiddetta madre-figlia(1). La sentenza è interessante sia per la soluzione che accorda al caso specifico, che per i principi di interpretazione delle antinomie tra diritto comunitario e diritto convenzionale bilaterale che enuncia. Nel caso in esame la Corte affronta due questioni interessate dalla medesima conflittualità normativa ovvero (i) la legittimità della ritenuta operata dalla società figlia sui dividendi distribuiti e (ii) quella della ritenuta sulla maggiorazione di conguaglio rimborsata alla società madre. In entrambi i casi le disposizioni confliggenti riguardano il regime di esenzione da ritenuta alla fonte dei dividendi assicurato dall’art. 5, paragrafo 1 della Direttiva CEE 90/435(2) (in seguito “Direttiva” o “madre-figlia”) e la ritenuta alla fonte prevista per i medesimi dall’art. 10 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Paesi Bassi, ratificata con la legge 26/07/1993, n. 305 (in seguito “Convenzione”). 2. Il caso e la questione pregiudiziale Il caso è stato sollevato davanti alla Corte di Cassazione dopo un lungo contenzioso innescato dal silenzio-rifiuto dell’Amministrazione Finanziaria nei confronti dell’istanza di rimborso presentata dalla società General Beverage Europe B.V. (in seguito “GBE”) , fiscalmente residente nei Paesi Bassi, a fronte del prelievo subito in occasione della distribuzione di dividendi effettuata dalla società Martini e Rossi Spa (in (*) seguito “M&R”), residente in Italia e controllata al 100%. Detta istanza riguardava l’applicazione da parte della M&R (qualificatasi come “figlia”) della ritenuta convenzionale del 5%, da un lato, sull’ammontare dei dividendi distribuiti e, dall’altro, sulle somme corrisposte alla ricorrente a titolo di rimborso della maggiorazione di conguaglio(3). LCM - Lega Colucci Morri e Associati Note: “In tema di imposte sui redditi da capitali, la cd. maggiorazione di conguaglio, prevista dall’art. 105 TUIR di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 916 (nel testo applicabile “ratione temporis”, prima della sostituzione attuata dall’art. 2, comma primo, n. 10 D.Lgs n. 467 del 1997), costituente una sorta di imposta aggiuntiva applicata in occasione della distribuzione dei dividendi, per impedire che i soci godano di un credito per le imposte che la società non abbia pagato, e avente la finalità di impedire effetti di “erosione” o di “elusione” fiscale, quando la società partecipata goda di esenzioni o agevolazioni fiscali, in considerazione del fatto che l’ammontare del credito d’imposta è calcolato sugli utili della società partecipata e non sull’imposta pagata, è - oltre che di dubbia legittimità costituzionale, in quanto si risolve in una imposta non dovuta - anche in contrasto con il diritto comunitario, ove applicata per la tassazione di dividendi corrisposti da una società figlia, residente fiscalmente in Italia, ad una società madre, di diritto olandese e legittimamente forma oggetto di diritto di rimborso alla società che ne abbia fatto istanza (ove ricorrano gli altri presupposti di legge). Infatti, siffatta imposizione è discriminatoria nei confronti di quei Paesi dell’UE che, come i Paesi Bassi, sono esclusi da tali rimborsi sulle ritenute operate sulle somme erogate a titolo di rimborso delle maggiorazioni di conguaglio (secondo la circolare dell’A.F. n. 151 del 10 agosto 1994) solo perchè non hanno stipulato con l’Italia un accordo bilaterale tale da garantire il principio della reciprocità su tali rimborsi, atteso che la Direttiva CEE n. 90/435, relativa al regime fiscale applicabile alle società madri e figlie di Stati membri della Comunità, attuata nell’ordinamento interno con il D.Lgs. n. 136 del 1993, consente l’applicabilità della ritenuta sul credito d’imposta solo al fine di evitare la doppia imposizione economica, finalità che non ricorre nel caso della maggiorazione di conguaglio, la quale persegue il diverso fine di contrasto dell’erosione o elusione fiscale (In applicazione di tale principio, la Corte ha respinto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria contro la sentenza di merito che aveva riconosciuto alla società olandese il diritto al rimborso delle ritenute operate sulla somma erogata a titolo di rimborso della maggiorazione di conguaglio)”. (1) (2) Che così recita: “Gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre, almeno quando quest’ultima detiene una partecipazione minima del 25% nel capitale della società figlia, sono esenti dalla ritenuta alla fonte”. (3) Il rimborso della maggiorazione di conguaglio alla società madre (segue) Maggio-Giugno 2005 239 DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO La GBE (società “madre”) fondava le proprie argomentazioni sul diritto al regime di esenzione previsto, in primis, dall’art. 5, paragrafo 1, della Direttiva madre-figlia, e quindi dall’art. 27-bis, comma 1, del D.P.R. 600/1973. Al tacito rifiuto dell’Amministrazione, ha fatto seguito un primo ricorso, promosso dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino, conclusosi con una sentenza di accoglimento delle ragioni della ricorrente GBE in cui, oltre a ribadirsi l’applicabilità del regime di esenzione previsto dalla Direttiva, viene affermato che la posizione sostenuta dalla stessa Amministrazione Finanziaria nella Circolare 151/DE del 10/08/1994, citata a sostegno del ricorso, è palesemente discriminatoria nei confronti dei Paesi Bassi. Tale circolare, a riguardo delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con Francia, Repubblica Federale di Germania e Paesi Bassi, riconosce la non applicabilità delle ritenute esclusivamente ai dividendi e alle somme relative al rimborso della maggiorazione di conguaglio corrisposti alle società madri residenti in Francia e Germania, ma non a quelle residenti nei Paesi Bassi. A sostegno di siffatta esclusione, l’Amministrazione Finanziaria adduce la mancanza del requisito della reciprocità del trattamento in punto di regime della maggiorazione di conguaglio. Nel successivo appello promosso dall’Amministrazione Finanziaria, la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte conferma la decisione di primo grado, non solo ribadendo l’illegittima discriminazione contenuta nella Circolare 151/DE, ma giungendo altresì ad affermare che il diritto all’esenzione discende dalla regola, valevole sul piano generale, secondo cui gli accordi bilaterali non sono applicabili se sono in contrasto con le direttive comunitarie. Nel ricorso promosso davanti alla Corte di Cassazione, che ha dato origine alla sentenza in commento, l’Amministrazione Finanziaria ribadisce la legittimità della ritenuta convenzionale e contesta l’interpretazione della Direttiva contenuta nella sentenza di appello, ritenendola operata dando risalto solo a quanto stabilito nell’art. 5, non considerando la clausola di riserva contenuta nell’art. 7.2(4) della stessa. La società GBE propone alla Corte controricorso, presentando istanza subordinata di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea per verificare la compatibilità della normativa convenzionale con quella comunitaria. 240 Maggio-Giugno 2005 3. La tesi dell’Avvocatura Generale dello Stato Riguardo ai rapporti tra Direttiva comunitaria madre-figlia e diritto promanante dai trattati internazionali bilaterali contro le doppie imposizioni, la posizione dell’Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza dell’Amministrazione Finanziaria, è che la prima trovi applicazione solo ove non operino i secondi, secondo una sorta di principio di sussidiarietà giuridica. Enunciato lo scopo della Direttiva di prevenire la doppia imposizione economica e giuridica nei rapporti tributari tra società legate da vincoli partecipativi residenti in stati diversi, se lo stesso è realizzato da livelli più bassi dell’ordinamento, siano essi la legislazione nazionale o quella convenzionale bilaterale, la Direttiva perde effetto. Poiché “tra i due Stati [Italia e Paesi Bassi, n.d.r.] si è convenuto, in sostanza, di esentare in Olanda i dividendi distribuiti a società madri olandesi da società figlie italiane, e di concentrare in Italia l’imposizione di questi cespiti sia in capo alla società madre che alla società figlia”, dice l’Avvocatura, il rischio di doppia imposizione e di distorsione è escluso in radice e “la società olandese subisce una ritenuta in Italia del 5% integralmente sostitutiva dell’imposta normale sul reddito che altrimenti sconterebbe in Olanda”. Ne segue che la Direttiva non trova applicazione nel caso prospettato, essendo la disciplina di fonte complementare sufficiente a tutelare gli interessi dei soggetti coinvolti alla luce dei principi comunitari. Questa tesi viene sostanziata dalla citazione e dalla interpretazione delle norme di fonte interna, pattizia e comunitaria pertinenti. L’art. 10 della Convenzione che assicura (comma 2) il prelievo fiscale ridotto del 5% sui dividendi pagati da una società italiana a una partecipante società olandese, ogni volta che questa risulti l’effettiva beneficiaria dei dividendi, detenga oltre il 50% delle azioni con diritto di voto e vanti un holding period minimo di 12 mesi, nonché (comma 3) il diritto per la società olandese, con riferimento al medesimo flusso di dividendi, al rimborso di un ammontare pari alla maggiorazione di Note: (segue nota 3) avveniva direttamente ad opera della società figlia, la quale aveva titolo di detrarre l’imposta così rimborsata da quella dovuta come liquidata nella prima dichiarazione dei redditi successiva. (4) Che così recita: “La presente direttiva lascia impregiudicata l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali intese a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, in particolare delle disposizioni relative al pagamento di crediti di imposta ai beneficiari dei dividendi”. DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO conguaglio afferente la porzione di dividendi percepiti. L’art. 27 bis, comma 1, del D.P.R. 600/1973, che accorda il rimborso delle ritenute subite sui dividendi in uscita alle società madri comunitarie solo se tali ritenute sono quelle previste dalla disciplina interna italiana (art. 27 del decreto citato) e non anche quelle stabilite dai trattati, sul presupposto che i trattati appunto sono già di per sé orientati alla soluzione del problema della doppia imposizione e costituiscono rimedio esauriente a tale questione. E ancora il quarto comma di tale articolo che lascia “impregiudicata l’applicazione di ritenute alla fonte previste da disposizioni convenzionali che accordano rimborsi di somme afferenti i dividendi distribuiti”. Insomma, la tesi dell’Amministrazione è che sussiste un regime convenzionale, doppiato da coerenti norme di diritto interno, che già di per sé realizza il fine di evitare la doppia imposizione economica e giuridica e rende superflua la Direttiva sul caso specifico esaminato dalla Corte. Per la verità, la posizione dell’Amministrazione oblitera il dato fattuale che, nel caso specifico appunto, le norme pattizie e interne non riescono ad assicurare al contribuente il medesimo trattamento che gli darebbe la Direttiva. Infatti, in presenza di un regime interno di esenzione da tassazione dei dividendi, quale quello accordato dai Paesi Bassi alla proprie società sugli utili di fonte estera, l’applicazione della pur ridotta ritenuta convenzionale del 5% si risolve in un prelievo differenziale negativo rispetto al caso di esenzione pura e semplice previsto dalla Direttiva. 4. La soluzione della questione pregiudiziale Nell’affrontare il ricorso, la Corte di Cassazione risolve in via preliminare le questioni pregiudiziali sollevate. La Corte ritiene di non dar corso alla richiesta di rinvio alla Corte di Giustizia Europea ricollegandosi a due sentenze, dalla stessa emesse, che hanno avuto notevole seguito nell’ambito della prassi interpretativa comunitaria con riferimento al tema generale della compatibilità tra la Direttiva e le Convenzioni bilaterali concluse dai vari stati. Nello specifico la Suprema Corte italiana richiama la sentenza 25/09/2003, causa C-58/01, Ocè van der Grinten c/o Commissioners of Inland Revenue per quanto attiene alla ritenuta operata sui dividendi e la sentenza 04/10/2001, causa C-294/99, Athinanki Zythopoina per la ritenuta operata sulla maggiorazione di conguaglio. Con riferimento alla prima questione, la compatibilità della ritenuta convenzionale sui dividendi viene risolta positivamente ritenendo, il giudice comunitario, che il prelievo convenzionale alla fonte, pur integrando una fattispecie impositiva astrattamente contrastante con il divieto sancito dall’art. 5 della Direttiva, rientri nella coerenza del complessivo disegno normativo grazie alla clausola di salvaguardia prevista dalla medesima Direttiva all’art. 7. Il mancato rinvio pregiudiziale alla giurisprudenza comunitaria riguardo la seconda questione viene invece giustificato con argomenti più articolati, fondati sull’analogia tra l’istituto italiano della maggiorazione di conguaglio e gli artt. 99 e 106 del Codice dell’imposta sul reddito ellenica. Le previsioni citate prevedono che “qualora una società per azioni di diritto ellenico che disponga, tra i suoi redditi lordi, di redditi non imponibili o di redditi soggetti ad imposizione speciale, vale a dire ad imposizione ridotta, distribuisca utili, questi ultimi si considerano provenienti proporzionalmente da tali redditi. Di conseguenza per determinare la base imponibile, i redditi non imponibili e i redditi soggetti ad imposizione speciale sono reincorporati nella base imponibile sino a debita concorrenza, dopo essere stati convertiti in importi lordi” (punto 15 della citata sentenza). Seppur con un meccanismo diverso, viene dunque perseguito il medesimo fine della maggiorazione di conguaglio italiana che, lordizzando i dividendi derivanti da utili beneficiati da previsioni agevolative, tende a ripristinare la congruenza con il credito d’imposta ed evitare erosioni fiscali. Nella sentenza citata, la Corte comunitaria afferma che il prelievo convenzionale effettuato su tali somme è in palese contrasto con la Direttiva trattandosi di un’imposizione che non si sarebbe verificata se i medesimi redditi fossero rimasti presso la consociata e non fossero stati distribuiti alla capogruppo. Tale prelievo, del tutto analogo alla ritenuta sul rimborso della maggiorazione di conguaglio, incidendo gli utili solo nel caso in cui vengano distribuiti ad una consociata non residente, introdurrebbe infatti una distorsione rispetto alla auspicata armonizzazione comunitaria. La Corte di Giustizia esclude inoltre che, come nel caso precedente, la compatibilità possa essere risolta dalla clausola di salvaguardia dell’art. 7 in quanto l’ipotesi di ritenuta descritta non si realizza affatto con l’intento di “sopprimere o attenuare la doppia imposizione”, bensì con l’obiettivo di ripartire le entrate fiscali tra i due stati coinvolti. Maggio-Giugno 2005 241 DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO 5. La pronuncia della Corte Risolta la questione pregiudiziale, la Corte esamina in modo distinto le due questioni di legittimità e accoglie parzialmente il ricorso, ritenendo fondata la contestazione del diritto al rimborso della ritenuta alla fonte operata sui dividendi e rigettando la parte in cui contesta il rimborso della ritenuta operata sul rimborso della maggiorazione di conguaglio. La direttiva madre-figlia è uno dei maggiori interventi normativi comunitari in tema di imposte dirette e i suoi artt. 4 e 5 concretano il primario obiettivo di tutta la produzione legislativa di emanazione europea di eliminare la doppia imposizione economica e giuridica. Se tuttavia è chiaro l’obiettivo di evitare “qualsiasi penalizzazione della cooperazione tra società di Stati membri diversi rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro”, meno univoco è invece il mezzo per conseguirlo. Infatti, il divieto posto in capo allo Stato della società figlia di imporre ritenute alla fonte sui dividendi in uscita, apparentemente cristallino nell’emanazione, ha in realtà originato diversi dubbi applicativi. Alla luce dei diversi casi giurisprudenziali nel tempo presentati, sono stati i successivi interventi di interpretazione emessi dalla Corte di Giustizia Europea nelle sue sentenze a risolvere le questioni più rilevanti. Le citate sentenze Ocè van der Grinten e Athinanki Zythopoina hanno ad esempio contribuito a risolvere alcuni nodi interpretativi fondamentali e a chiarire le caratteristiche dell’istituto giuridico che, indipendentemente dalla definizione utilizzata dalle diverse legislazioni nazionali, configura la ritenuta alla fonte vietata dall’art. 5. La sentenza emessa dalla Corte di Cassazione in esame è al riguardo apprezzabile in quanto, sul fronte della contestata previsione contenuta nell’art. 7.2 e del suo ruolo in merito alla conciliabilità della Direttiva e delle diverse Convenzioni concluse dai vari Stati, apre la strada ad una interpretazione nuova che cerca di conciliare quella, per certi versi contraddittoria, della giurisprudenza europea e quella più estrema sostenuta in dottrina. 5.1. Legittimità della ritenuta convenzionale sui dividendi La soluzione del caso in senso sfavorevole al contribuente viene argomentata sulla base della sentenza della Corte di Giustizia 25/09/03, C-58/01, in materia di applicazione della ritenuta interna di di242 Maggio-Giugno 2005 ritto UK ai dividendi distribuiti ad una società madre olandese, quando insieme agli utili viene rimborsato il 50% dell’ Advance Corporate Tax (ACT). Il caso caduto sotto il giudizio della Corte comunitaria è il seguente: in base alla convenzione vigente tra Regno Unito e Paesi Bassi, la società madre percipiente dividendi da una società figlia inglese ha diritto al rimborso del 50% dell’ACT, che è pari al 25% dell’utile distribuito. Sull’ammontare totale distribuito, il fisco inglese può prelevare la ritenuta del 5%. Dunque, se 80 è l’utile distribuito e 20 l’ACT, 10 è il rimborso della stessa spettante alla società madre olandese e 4,5 la ritenuta (5% di 90), per modo che il netto percepito dal socio è 85,5. La Corte di Giustizia analizza il caso e giudica che una parte della ritenuta (4, cioè il 5% di 80) afferisce a un dividendo, ed è pertanto ritenuta prevista dall’art. 5, paragrafo 1, della Direttiva. Altra parte della ritenuta (0,5, cioè il 5% di 10) afferisce al rimborso di ACT, che non è dividendo. In astratto, dunque, la ritenuta sul dividendo è in conflitto con il diritto all’esenzione previsto nell’art. 5.1. della Direttiva. Ma, secondo il giudice comunitario, l’art. 7.2. della Direttiva opera qui validamente perché il diritto inglese e la convenzione con i Paesi Bassi assicurano al contribuente olandese un beneficio peculiare ed ulteriore, costituito dal rimborso dell’ACT - volto alla mitigazione della doppia imposizione economica - e in questa chiave si giustifica la deroga all’art. 5.1. anche per quanto concerne le ritenute sui dividendi (rectius: sulla quota di dividendi incorporata nell’ammontare complessivo pagato al socio). Dunque la Corte di Giustizia nella sentenza in commento ha giudicato compatibile la ritenuta convenzionale con il diritto comunitario perché ha correttamente inteso l’art. 7.2. come una norma che, nella sua portata ulteriormente agevolatrice, va assunta nella sua completezza, senza possibilità di dividerne il contenuto scartando le sole disposizioni sfavorevoli al contribuente. Nel caso illustrato, infatti, alla fine dei conti il socio olandese percepisce di più sotto la Convenzione di quanto percepirebbe sotto la Direttiva. Nel caso trattato dalla Corte di Giustizia, l’art. 7.2 trova senz’altro applicazione proprio per il fatto che, come sostiene anche la Commissione al punto 77 della medesima sentenza, esso “ha lo scopo di esentare dal divieto di ritenuta alla fonte un’imposta che fa parte integrante del meccanismo di concessione di un credito d’imposta diretto ad attenuare la doppia imposizione”. Tant’è che il prelievo di cui si di- DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO scute è previsto solo se esiste un diritto al credito d’imposta concesso in forza di una convenzione sulla doppia imposizione, diversamente i dividendi sarebbero versati nella loro integralità. La Suprema Corte italiana assume le conclusioni della sentenza comunitaria commentata come fossero un principio di diritto. La verità è che se si confrontano i casi caduti sotto l’attenzione delle due corti essi sono, a parere di chi scrive, differenti. Diversamente da quanto accade nel caso inglese infatti, nella questione sollevata nella sentenza in esame, non esiste alcuna disposizione mirante ad attenuare la doppia imposizione sui dividendi che, al pari del credito d’imposta inglese, faccia ricadere la ritenuta in oggetto fra quelle fatte salve dalla clausola di riserva dell’art. 7.2. La soluzione interpretativa proposta dalla Corte di Cassazione di fatto poggia tutto il suo assunto su di un parallelismo di situazioni che non esiste. Per cogliere al meglio tale diversità e disporre un trattamento logico e coerente delle due questione sollevate, a parere di scrive, la Corte avrebbe meglio fatto ad invertire la successione delle argomentazioni, partendo da quelle inerenti la legittimità della ritenuta sul rimborso della maggiorazione di conguaglio. Una volta infatti chiarito che il rimborso della maggiorazione di conguaglio non è affatto teso, come richiede la norma, a “sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica”, ma ha invece come scopo quello di evitare che si effettui un prelievo indebito di imposta compensativa a fronte di un dividendo che, per il fatto di essere destinato a uno straniero, non produce credito di imposta, cade la specularità con il caso inglese e la possibilità di risolverlo con un semplice rimando alla giurisprudenza europea. Nel caso inglese, si verifica una distribuzione di dividendi, cui è collegato un credito d’imposta, il quale costituisce il presupposto per il prelievo convenzionale. La compatibilità di quest’ultimo con la Direttiva è infine fatta salva dall’art. 7.2, essendo il credito d’imposta una disposizione mirante ad evitare la doppia imposizione. Nel caso italiano, alla distribuzione di dividendi non corrisponde alcun credito d’imposta, di conseguenza la maggiorazione di conguaglio non è dovuta e ne è pertanto disposto il rimborso. Quest’ultimo tuttavia non ha affatto la finalità, né le caratteristiche del credito d’imposta, come la stessa Corte ribadisce nella sentenza, e di conseguenza non legittima affatto il prelievo convenzionale. Al riguardo la stessa Corte di Cassazione è inequivocabile: “l’imposta di conguaglio non ha la funzione di evitare la doppia imposizione economica, bensì di “allineare” il credito virtuale a quello reale”. Sotto questa luce, è assai dubitabile - e lo stesso estensore della sentenza in altro passo sembra condividere il dubbio - che trovi applicazione nel caso l’art. 7.2. ed è dunque altrettanto dubitabile che sia giustificato il prelievo del 5% di ritenuta sulla parte di distribuzione costituita da dividendi in deroga al chiaro divieto dell’art. 5.1. Se dunque le conclusioni della Corte Suprema ci lasciano assai perplessi, corretto ci pare lo sforzo di ricondurre la soluzione del problema all’interno del diritto comunitario e non al di fuori, sul presupposto che la disciplina comunitaria prevale, per gerarchia, su quella convenzionale e su quella interna. In tal senso la stessa Corte di Giustizia Europea si è pronunciata più volte e di particolare interesse per il caso in esame è la sentenza Gottardo C-55/00 in cui si afferma che “nel mettere in pratica gli impegni assunti in virtù di convenzioni internazionali, indipendentemente dal fatto che si tratti di una convenzione tra Stati membri ovvero tra uno Stato membro e uno o più paesi terzi, gli Stati membri, fatte salve le disposizioni dell’art. 307 CE, devono rispettare gli obblighi loro incombenti in virtù del diritto comunitario”. La Corte respinge così l’impostazione data dall’Avvocatura al metodo interpretativo, affermando, giustamente e senza esitazioni, il principio della gerarchia delle fonti. 5.2. Legittimità della ritenuta convenzionale sul rimborso della maggiorazioni di conguaglio Per quanto concerne la seconda questione, come anticipato la Corte esclude la legittimità della ritenuta sulla maggiorazione di conguaglio asserendone l’incompatibilità non tanto, o meglio non solo, con l’art. 5 della Direttiva quanto con il fine primario della Convenzione stessa, condiviso dalla disciplina comunitaria, di evitare la doppia imposizione. La maggiorazione di conguaglio infatti, prevedendo una imposizione aggiuntiva a carico della società erogante i dividendi al fine di evitare che i destinatari degli stessi possano beneficiare di agevolazioni fiscali non correttamente rispecchiate dal credito d’imposta, perde la sua stessa ragion d’essere nel momento in cui i dividendi sono distribuiti a soggetti non assistiti da alcun credito d’imposta, quali i soggetti non residenti. Se dunque da un lato, la maggiorazione di conguaglio è stata prevista per evitare distorsioni, ovveMaggio-Giugno 2005 243 DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO ro fenomeni di elusione o erosione fiscale, nel momento in cui i percettori di dividendi derivanti da redditi esenti o agevolati beneficiano, in ambito domestico, del credito d’imposta, specularmene il rimborso della stessa è funzionale ad evitare le analoghe distorsioni ogni volta che i medesimi dividendi sono percepiti da soggetti non residenti. L’applicazione della ritenuta sul rimborso pertanto comprometterebbe l’eliminazione completa della distorsione e ne introdurrebbe anzi una ulteriore, attuando una imposizione sul rimborso di una imposta non dovuta che non ha alcun presupposto impositivo legittimo. Questo ulteriore passo in avanti contenuto nelle motivazioni della sentenza, in base alle quali la Corte non solo ritiene illegittima la ritenuta, ma dubita della legittimità della stessa maggiorazione di conguaglio per i non residenti è di particolare rilevanza. Se infatti è vero, come la Corte afferma al punto 2.7.4 della sentenza, che la “ragione” per cui la Convenzione ammette il diritto al rimborso della maggiorazione di conguaglio è che diversamente si verificherebbe “un prelievo del tutto ingiustificato“, allora è corretto presumere che il diritto al rimborso sia un diritto assoluto, indipendente da eventuali previsioni Convenzionali. Dal ragionamento contenuto nella sentenza pare infatti evincersi che, in ogni caso, l’applicazione della maggiorazione di conguaglio nei confronti di non residenti configura un prelievo di per sé illegittimo e pertanto sembrerebbe doversi concludere che lo stesso debba essere rimborsato in base ad un generale principio di equità e di “logica impositiva”. Infine, il tentativo dell’Amministrazione Finanziaria di invocare la legittimazione della ritenuta in base all’art. 7.2 viene negato, riprendendo le motivazioni addotte dalla giurisprudenza comunitaria, in quanto la ritenuta operata su tale rimborso non ha nulla a che vedere con le disposizioni miranti a sopprimere o attenuare la doppia imposizione. 6. Conclusioni Veniamo alle conclusioni. La sentenza in commento ci pare: (i) affrontare correttamente il problema della gerarchia delle fonti del diritto tributario, mettendo al primo posto il diritto di fonte comunitaria, che prevale su quello interno, anche di fonte convenzionale; (ii) centrare il problema della qualificazione del rimborso della maggiorazione di conguaglio 244 Maggio-Giugno 2005 operata dall’Italia vigenti alcune convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni, intendendola non come meccanismo di riequilibrio contro la doppia imposizione economica, ma come rimozione di una causa di indebito legata al fatto che, essendo presupposto di questa imposta il credito attribuito al percettore del dividendo, nei rapporti cross border il percettore non si vede accreditato alcun credito in coincidenza con il ricevimento del dividendo. Da tale impostazione, la Corte correttamente deriva un giudizio di non debenza del prelievo alla fonte del 5% sul rimborso della maggiorazione; (iii) infine, errare nel non riconoscere l’illegittimità del prelievo del 5% sul dividendo erogato dalla società italiana alla società madre olandese. La deroga al chiaro divieto di imposizione contenuto nell’art. 5.1. della Direttiva può poggiare, infatti, non già sulla Convenzione tra l’Italia e i Paesi Bassi ex sé, ma solo sull’inseribilità di tale convenzione nella previsione dell’art. 7.2. della Direttiva. E nel caso del rimborso della maggiorazione di conguaglio, ci pare difficile sostenere che tale misura, a differenza di quanto certamente accade per il rimborso dell’ACT, i cui presupposti sono tutt’affatto diversi, si inquadri in tale norma. Se così fosse, verrebbe meno la legittimazione del mancato esonero da ritenuta anche per la quota dividendo attribuita dalla società italiana al socio olandese, presupposto che, secondo la giurisprudenza comunitaria ha giustificato l’applicazione della ritenuta sulla quota dividendo delle somme erogate da una società inglese alla sua controllante comunitaria insieme al rimborso di parte dell’ACT. DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO AVVOCATURA GENERALE CORTE CASSAZIONE CONTRIBUENTE/ SCRIVENTE Ritenuta convenzionale sui DIVIDENDI LEGITTIMA LEGITTIMA ILLEGITTIMA Ritenuta convenzionale sul RIMBORSO MAGGIORAZIONE DI CONGUAGLIO LEGITTIMA ILLEGITTIMA ILLEGITTIMA Primato della Direttiva: la disciplina comunitaria prevale, in base al principio della gerarchia delle fonti, su quella convenzionale e su quella interna. Rapporto DIRETTIVA CONVENZIONE Sussidiarietà giuridica: la Direttiva comunitaria, nello specifico il divieto di imporre ritenute di cui all’art. 5, esplica i suoi effetti solo in mancanza di norme interne o convenzionali in grado di evitare la doppia imposizione. Tale interpretazione è legittimata dalla previsione contenuta nell’art.7.2 della medesima Direttiva che introduce una clausola di riserva per tutte le norme interne o convenzionali atte ad attenuare la doppia imposizione. Primato della Direttiva: conformemente a quanto statuito dalla Suprema Corte gli accordi bilaterali non sono applicabili se sono in contrasto con le Direttive comunitarie in base al principio di gerarchia delle fonti. Applicazione della ritenuta convenzionale sia sui dividendi, sia sul rimborso della maggiorazione di conguaglio. Le previsioni convenzionali sono in grado di risolvere autonomamente il problema della doppia imposizione: 1) da un lato, impongono una ritenuta del 5% sui dividendi interamente sostitutiva dell’imposta che diversamente dovrebbe essere pagata in Olanda; 2) dall’altro, accordano il diritto al rimborso della maggiorazione di conguaglio afferente ai medesimi dividendi. Applicazione della ritenuta convenzionale sui dividendi . Pur contrastando con il divieto di cui all’art. 5 della Direttiva, la ritenuta è legittima in quanto rientra tra quelle fattispecie miranti ad evitare la doppia imposizione previste all’art. 7.2. SOLUZIONE proposta Non applicazione della ritenuta convenzionale sui dividendi. La ritenuta è illegittima in quanto contrasta con l’art. 5 della Direttiva. Nel caso di specie l’applicazione del regime convenzionale ai dividendi comporta esclusivamente una ritenuta alla fonte, senza prevedere alcuNon applicazione na ulteriore disposizione della ritenuta mirante ad attenuare la convenzionale sul doppia imposizione. La fatrimborso della maggio- tispecie non rientra quindi razione di conguaglio. tra quelle salvaguardate La ritenuta è illegittima in dall’7.2. quanto contrasta con l’art. 5 della Direttiva e non può Non applicazione essere fatta salva dal- della ritenuta convenl’art.7.2 in quanto il rimbor- zionale sul rimborso so della maggiorazione di della maggiorazione conguaglio non ha la fun- di conguaglio. zione di attenuare la doppia (medesimi motivi della imposizione, bensì di evita- Corte) re un prelievo indebito quando i dividendi sono destinati ai non residenti. Maggio-Giugno 2005 245 IVA COMUNUTARIA Lettera d’intenti, un nuovo adempimento per i fornitori di esportatori abituali di Gianluca Alparone(*) 1. Premessa la responsabilità solidale con il proprio cliente qualora questi SOMMARIO: non abbia avuto i requisiti ovLa legge finanziaria per il 1. Premessa - 2. Lo stato vero avesse superato il cosid2005(1) lascia in eredità ai fornitori di esportatore abituale detto plafond, per acquistare di esportatori abituali un nuovo e il plafond IVA disponibile beni o servizi in regime di non adempimento formale in ambito 3. La novità della Finanziaria imponibilità IVA. IVA, quello di comunicare all’am4. Il regime sanzionatorio Ma era proprio necessario ministrazione finanziaria, nei mo5. Conclusioni questo carico di responsabilità di e nei termini che vedremo, i in capo al fornitore di esportacontenuti delle lettere d’intenti ritori abituali che nella proceducevute, ossia di quelle dichiaraziora in parola è solo parte terza? ni rese loro, nei termini di legge, dagli esportatori abituali che attraverso questa procedura possono effettuare acquisti di beni e servizi in sospensione di imposta 2. Lo stato di esportatore abituale ex art. 8 comma 1 lettera c del D.P.R. 633/72. e il plafond IVA disponibile Questo dettato normativo(2), nell’ambito di un più ampio pacchetto di disposizioni impartite dalla FinanLe imprese che effettuano in prevalenza operaziaria, ha l’obiettivo di contrastare una serie di fenozioni di esportazione, cessioni intracomunitarie e menologie di frode in materia di IVA che è rivelata difservizi internazionali, si trovano strutturalmente a fusa, in particolare nell’alveo degli scambi con l’estecredito d’IVA nei confronti dell’erario a causa delro, da sempre terreno fertile di comportamenti evasivi. l’impossibilità di compensare l’imposta assolta sugli Fino alla emanazione del decreto del direttore delacquisti attraverso il meccanismo della rivalsa in rel’agenzia delle Entrate dello scorso 14 marzo, regnava lazione ad operazioni attive imponibili. la più assoluta incertezza in merito all’efficacia temTale situazione di credito “fisiologico” trova un porale della norma sopraccitata, ovvero non era chiaparziale rimedio negli artt. 30 (versamento di conro da quando sarebbe divenuto obbligatorio comuniguaglio e rimborso dell’eccedenza) e 38-bis (esecucare all’amministrazione finanziaria i dati delle lettezione dei rimborsi) del D.P.R. 633/72 che concedore di intenti ricevute né relativamente a quale periodo no al contribuente la facoltà di chiedere, nel rispetessere dovevano riferirsi per rientrare nell’obbligo. to di particolari condizioni, il rimborso dell’ecceSecondo le disposizioni impartite dal decreto, la denza d’imposta (a credito) risultante dalla dichiaraprima scadenza tassativa ai fini in parola è fissata zione IVA annuale ovvero dalle liquidazioni IVA peper il 16 maggio 2005; nel modello ministeriale apriodiche. Tuttavia, la specificità degli operatori in provato(3) e da trasmettere entro tale data unicamenquestione e il loro status abituale ha portato il legislatore alla formulazione di una disciplina ad hoc rite per via telematica (direttamente o per il tramite di servata a tali soggetti(4); la legge prevede la possibiun intermediario abilitato), occorre indicare i contenuti delle lettere di intento ricevute entro il 30 aprilità di effettuare acquisti di beni e di servizi connesle 2005 riguardanti operazioni in sospensione di imsi con le attività svolte, in regime di non imponibiposta relative all’anno in corso. A regime l’invio del modello dovrà avvenire, sempre telematicamente, entro il 16 di ogni mese Dottore commercialista con riferimento alle lettere d’intento ricevute entro Note: la fine del mese precedente. Legge 30 dicembre 2004, n. 311 L’apparato sanzionatorio, come si vedrà nel proCommi da 381 a 385 dell’art. 1 della L. 311 cit. sieguo, è molto penalizzante per i fornitori di esporReperibile sul sito www.agenziaentrate.it nella sezione “modulitatori abituali che risultassero inadempienti fino alstica”. (*) (1) (2) (3) Maggio-Giugno 2005 247 IVA COMUNUTARIA lità. Il concreto esercizio di tale facoltà è tuttavia subordinato: - alla sussistenza di un preciso requisito (lo status di esportatore abituale); - al rispetto di determinati limiti (il plafond). A norma dell’art. 1, comma primo, del D.L. 746/83 (debitamente interpretato alla luce delle successive disposizioni di legge) lo status di esportatore abituale, requisito essenziale per l’accesso alla agevolazione in oggetto, si acquisisce quando l’ammontare delle operazioni non imponibili “effettuate”, registrate nell’anno solare precedente ovvero nei 12 mesi precedenti, è superiore al 10% del volume d’affari conseguito nello stesso periodo e determinato a norma dell’art. 20 del Dpr 633/72. L’esistenza del requisito di “esportatore abituale” tende a circoscrivere il numero dei contribuenti che possono utilizzare il plafond in quanto vengono presi in considerazione solo quelli che effettuano operazioni non imponibili in modo non occasionale. Non possono usufruire in ogni caso delle agevolazioni previste per questo regime i seguenti soggetti: - gli operatori in regime agricolo, che recuperano l’imposta ai sensi dell’articolo 34, ultimo comma del D.P.R. n. 633 del 1972; - gli imprenditori al primo anno di attività. Appare evidente che sia ai fini della acquisizione della qualifica di esportatore abituale che per la quantificazione del plafond IVA disponibile occorre avere riguardo alle medesime operazioni non imponibili, sinteticamente richiamate nell’art. 2, comma 2, della legge 28/97. Con l’entrata in vigore della Legge 28/97 possono essere acquistati senza corresponsione dell’imposta tutti i beni e servizi, fatte salve le seguenti eccezioni: - l’acquisto di fabbricati e di aree fabbricabili; - l’acquisto di beni e servizi per i quali l’IVA è oggettivamente indetraibile ai sensi degli artt. 19 e seguenti del D.P.R. 633/72. Rivestendo lo status di esportatore abituale, il contribuente che intenda avvalersi della facoltà di acquistare in sospensione d’imposta deve semplicemente darne comunicazione al fornitore (o, per le importazioni, alla dogana), mediante consegna o spedizione di una dichiarazione scritta, la cosiddetta “lettera d’intenti” (redatta su modello conforme a quello approvato con D.M. 26 gennaio 1984), prima dell’effettuazione dell’operazione (quindi, per esempio, nel caso di acquisto di un bene la lettera d’intenti deve essere emessa prima dell’emissione del documento di trasporto o della consegna). La lettera d’intento deve: - essere redatta in duplice esemplare; - contenere i dati identificativi del dichiarante, 248 Maggio-Giugno 2005 compreso il numero di partita IVA, e dell’ufficio IVA competente nei propri confronti; - essere numerata progressivamente (sia dall’emittente che dal destinatario); - essere annotata dall’emittente e dal destinatario, entro 15 giorni rispettivamente dall’emissione e dal ricevimento, in un apposito registro preventivamente bollato a norma dell’art. 39 del Dpr. 633/72 e conservato ai sensi dello stesso articolo ovvero in apposita sezione del registro dei corrispettivi o delle fatture emesse. In caso di più operazioni da effettuarsi nel medesimo anno con lo stesso fornitore può essere rilasciata una sola lettera d’intento, indicante l’ammontare entro il quale deve essere contenuta la fatturazione senza applicazione dell’imposta da parte del destinatario ovvero la dicitura “fino a revoca”. Alla dogana dovrà invece essere rilasciata una lettera d’intento per ciascuna importazione. Con il rilascio della lettera d’intento, l’acquirente assume ogni responsabilità in ordine alla mancata applicazione dell’imposta da parte del fornitore, il quale dovrà indicare nelle fatture, in luogo dell’IVA, la norma esonerativa (art. 8 comma 1 lett. c del D.P.R. 633/72), il numero e la data attribuiti dall’emittente alla lettera d’intento. 3. La novità della Finanziaria Come anticipato, i fornitori di esportatori abituali a norma dell’art. 1 commi da 381 a 385, che ricordiamo essere soggetti non direttamente coinvolti nella procedura di non imponibilità ex art. 8 comma 1 lett. c) concepita a beneficio degli esportatori abituali loro clienti, devono comunicare all’agenzia delle Entrate i dati contenuti nelle dichiarazioni di intenti ricevute entro il 16 del mese successivo a quello di ricevimento, esclusivamente per via telematica, secondo modalità che saranno poi chiarite nel citato decreto del 16 marzo. Nota: Art. 2, comma 2, della Legge 18.2.97 n. 28, entrata in vigore il 14 marzo 1997. Secondo la citata disposizione, “i soggetti che si trovano nelle condizioni previste dall’art. 1 del DL 29.12.83 n. 746 convertito con modificazioni nella Legge 27.2.84 n. 17, possono effettuare acquisti ed importazioni senza pagamento dell’imposta, in ciascun anno, nel limite dell’ammontare complessivo delle cessioni e delle prestazioni di cui agli articoli. 8, primo comma, lettere a) e b), 8-bis e 9 del D.p.r. 633/72, delle cessioni intracomunitarie e delle prestazioni di servizi nei confronti di soggetti passivi di altro Stato membro, non soggette ad imposta a norma dell’art. 40, comma 9, DL 331/93, registrate a norma dell’art. 23/633 per l’anno solare precedente. I contribuenti possono assumere per mese come ammontare di riferimento quello delle cessioni e delle prestazioni anzidette registrate per i 12 mesi precedenti”. (4) IVA COMUNUTARIA Il decreto in oggetto, oltre che approvare il modello definitivo per adempiere al nuovo obbligo di legge ha chiarito esattamente che l’obbligo scatta, con cadenza mensile, a partire dal 16 maggio 2005; nel succitato modello si devono indicare tutte le dichiarazioni relative all’anno 2005 e ricevute dal contribuente entro il 30 aprile anche se emesse e rilevate nel 2004. La scelta della decorrenza (16 maggio) è stata assunta nel rispetto della regola fissata dallo statuto del contribuente(5) secondo cui non può essere introdotto un nuovo adempimento a carico del contribuente senza che siano trascorsi 60 giorni dall’entrata in vigore della norma di riferimento (16 marzo). Il modello, disponibile sul sito del ministero delle finanze, è composto dal frontespizio nel quale sono richiesti i dati anagrafici del soggetto tenuto all’obbligo di legge (il fornitore che riceve la lettera di intenti), la firma della comunicazione e l’impegno all’invio telematico; è altresì composto dal quadro DI previsto per comunicare i dati contenuti nelle dichiarazioni d’intento che sono state ricevute dal fornitore dell’esportatore abituale, fino ad un numero di quattro; pertanto se le lettere di intento ricevute sono di numero superiore a quattro, si compileranno più quadri DI da allegare all’unico frontespizio. In ogni riquadro destinato ad accogliere i dati di ciascuna lettera di intenti, è richiesto che vengano indicati: - il numero progressivo assegnato dall’esportatore abituale alla propria lettera di intenti; - il numero progressivo assegnato dal contribuente alla lettera di intenti ricevuta; - i dati anagrafici completi comprensivi di partita IVA dell’esportatore abituale; - la modalità alternativa di cui si desidera avvalersi per accedere al beneficio da parte dell’esportatore abituale nell’ambito delle operazioni di acquisto nei confronti del proprio fornitore. In questa sezione, in particolare, occorre specificare se l’esportatore abituale abbia optato per il regime di non imponibilità per una singola operazione di acquisto, ovvero per un numero indeterminato di operazioni fino ad un determinato ammontare di Euro, o infine per tutte le operazioni intercorrenti tra le parti in un certo intervallo di tempo, senza limiti di importo. 4. Il regime sanzionatorio Il regime in commento prevede un carico sanzionatorio piuttosto gravoso per il contribuente/fornitore di esportatore abituale che non adempie o adempie non correttamente al nuovo obbligo di legge(6). Il contribuente che non invia la comunicazione, la invia in ritardo o vi indica dati infedeli rispetto alla lettera di intenti ricevuta, è punito con una sanzione dal 100 al 200% dell’imposta non applicata. In verità in presenza di un inadempimento del genere si configura una duplice ipotesi sanzionatoria: 1. in assenza dell’invio della comunicazione nei termini prescritti (o di invio con dati incompleti o inesatti, non conformi a quanto indicato dall’esportatore abituale nella lettera di intenti) si applicherà la sanzione proporzionale dal 100 al 200% dell’imposta non applicata qualora risultino emesse fatture non imponibili (pur se il cliente avesse legittimamente il diritto al beneficio); 2. in assenza di fatture emesse senza applicazione dell’IVA, per il mancato invio della comunicazione (o dell’invio tardivo o con dati incompleti o inesatti) si applicherà solo una sanzione formale da 258 a 2.065 Euro. In ambo i casi l’infrazione si può sanare nei termini e con gli sconti di sanzione previsti per l’istituto del ravvedimento operoso(7) presentando il modello correttivo compilato nell’apposita casella oltre che con i dati corretti. I rischi di sanzione per il contribuente non si esauriscono qui: oltre a quanto sopra il fornitore dell’esportatore abituale può essere coinvolto in solido con la responsabilità del proprio cliente sull’imposta evasa qualora alle infrazioni di cui sopra, si associ l’infedeltà ab originem, o per vizio del requisito di esportatore abituale o per splafonamento, della lettera di intenti (sempre che la fattura non imponibile sia stata emessa dal contribuente). 5. Conclusioni Non ci si può esimere dall’evidenziare come le condivisibili esigenze di controllo e di tutela da fenomeni evasivi palesate dall’amministrazione finanziaria abbiano ispirato in maniera non totalmente opportuna le mosse del legislatore, se è vero che la procedura sopra descritta poteva attuarsi mediante un adempimento in più per l’esportatore abituale che è colui che beneficia degli effetti del regime agevolativo; egli, già tenuto a trasmettere al fornitore la lettera di intenti corredata da tutte le informazioni del caso, avrebbe potuto, come rilevato da Assonime, renderne edotta, senza interposta persona, l’amministrazione finanziaria. Note: (5) Legge 212/2000. (6) Cfr. nuovo comma 4 bis dell’art. 7 del decreto legislativo 471/1997. (7) Art. 13 D.Lgs. 472/97. Maggio-Giugno 2005 249 IVA COMUNUTARIA La presunta esenzione degli acquisti strumentali per attività esenti di Ferdinando M. Spina(*) vano il conforto né dell’esplicita La vigente lett. c dell’art. 13, disciplina dettata dal legislatoparte B, della VI Direttiva IVA, SOMMARIO: re, tanto comunitario quanto nacon una grossolana imprecisione 1. Introduzione - 2. Termini zionale, né dell’orientamento della traduzione italiana, sembra della fattispecie e quadro prevalente della dottrina, né stabilire che il soggetto che svolnormativo - 3. La ratio della ratio delle disposizioni ge un’attività esente ha diritto ad dell’Art. 13 della Direttiva normative richiamate. Ragion acquistare altrettanto in esenzio388/77 CEE per cui è ragionevole concludene da imposta i beni strumentali. 4. Conclusioni re che nell’ambito dei giuristi in Questa chiave di lettura acriticaItalia si sconta, purtroppo ancomente adagiata sulla formulaziora, un certo ritardo culturale rine letterale della norma, fra l’altro spetto alla piena conoscenza dell’ordinamento tribuisolatamente considerata, benché accolta da copiosa tario, comunitario e nazionale, ed al ruolo che riveste giurisprudenza di merito di primo e secondo grado, la Corte di Giustizia UE. deve essere scartata perché in palese contrasto con lo spirito dell’imposta. 1. Introduzione La recente sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Foggia, sez. VI, n. 105 del 22 settembre 2004, dep. il 20 ottobre 2004(1), offre l’occasione per analizzare la questione sollevata da più parti (in un modo che, come si intuirà, solleva non pochi dubbi sul suo intento fraudolento) e concernente la presunta violazione da parte dello Stato Italiano della Direttiva n. 77/388 CEE (cd. VI Direttiva) nella parte in cui statuirebbe il diritto per i contribuenti che esercitano esclusivamente attività esenti ai fini IVA, e quindi con percentuale di detraibilità pari allo 0%, di effettuare l’acquisto di beni strumentali in esenzione totale da imposta. Invero la sentenza in commento non è stata la prima ad occuparsi della questione(2), ma è l’unica (per quanto ci risulta) che non sia caduta in quello che è un vero e proprio trabocchetto: il testo (melius la traduzione italiana) dell’art. 13, parte B, lett. c) della Direttiva n. 77/388 CEE(3). L’atteggiamento delle citate e precedenti Commissioni Tributarie presta il fianco a non poche critiche ed appare privo di un solido fondamento giuridico normativo; piuttosto sembra scaturire da deduzioni interpretative dei testi normativi influenzate da evidenti ragioni di convenienza dei ricorrenti che tuttavia, come si cercherà di rilevare nel seguito, non tro250 Maggio-Giugno 2005 2. Termini della fattispecie e quadro normativo Per meglio comprendere i termini della fattispecie scegliamo di esporre preventivamente una sommaria panoramica del quadro normativo al cui interno si pongono i casi in analisi. La fattispecie Le sentenze precedentemente richiamate in nota (*) Studio Professionisti Associati - Foggia Note: (1) Pubblicata su Il Fisco n. 9/2005 pag. 1359. Senza pretese di completezza si richiamano: CTP di Roma, sez. XXVIII, sent. 464/28/00 del 13 luglio 2000; CTP di Roma, sez. XXVI, sent. 155/26/00 del 2 maggio 2000; CTR di Roma, sent. n. 61 del 21 settembre 2001; CTP di Roma, sent. n. 155 del 2 maggio 2000; CTP di Lecce, sent. n. 537 del 14 maggio 2003; CTP di Brescia, sent. n. 228 del 21 marzo 2003; CTP di Milano, sent. n. 125 del 17 luglio 2003; CTP di Brindisi, sent. n. 214 del 5 novembre 2003; CTP di Roma, sez. LII, sent. 681/52/03 del 5 dicembre 2003; CTP di Roma, sez. XXXVIII, sent. 48/38/04 del 9 febbraio 2004, e da ultimo CTR di Roma, sez. VII, sent. 81/07/04 del 7 ottobre 2004. Preme evidenziare inoltre l’ordinanza emessa dalla CTP di Napoli il 15 luglio 2004, n. 426, con la quale è stata rimessa alla Corte di Giustizia UE la questione concernente la corretta interpretazione dell’art. 13, parte B, lett. c), della VI Direttiva CEE. (2) (3) Tranello nel quale è inciampata anche l’Agenzie delle Entrate, Ufficio di Roma, che con atto del 2 dicembre 2002 ha prestato adesione alla tesi della ricorrente casa di cura, riconoscendo il diritto al rimborso e chiedendo perciò la cessata materia del contendere. IVA COMUNUTARIA riguardano tutte distinti ma analoghi casi sollevati da altrettante case di cura/cliniche che, avendo infruttuosamente presentato istanze di rimborso per l’IVA che era stata corrisposta sugli acquisti dei propri beni strumentali e non portata in detrazione (stante una percentuale del pro rata di detraibilità pari allo 0%), hanno (impropriamente) lamentato nei confronti delle competenti Commissioni Tributarie la violazione del citato art. 13, parte B, lett. c), della VI Direttiva, nonché della sentenza C 45-95 emessa dalla Corte di Giustizia UE il 25 giugno 1997. che operano nell’esercizio di impresa, arti o professioni (contribuenti di diritto), che hanno diritto a detrarre l’imposta corrisposta sugli acquisti di beni e servizi operati nell’esercizio della loro attività, e a trasferirla a carico degli acquirenti e dei committenti (rivalsa) fino a che il bene e il servizio non pervengono al consumatore finale (contribuente di fatto) che paga l’intero carico tributario restando inciso dall’imposta e chiudendo, così, il ciclo della tassazione. Le operazioni esenti Il sistema IVA L’IVA, quale imposta indiretta sulla cifra d’affari di chi opera nell’esercizio d’impresa e nell’esercizio di arti o professioni, è stata scelta dall’Unione Europea quale principale “imposta sui consumi” in vista dell’integrazione economica e politica dei Paesi aderenti. Nata, quindi, sotto la spinta dell’unificazione europea, l’imposta ha sostituito nel nostro ordinamento l’IGE (Imposta Generale sull’Entrata) che colpiva gli scambi con un sistema a “cascata”, definito tale in quanto si applicava su ciascun passaggio di beni o servizi da un operatore all’altro, favorendo quindi quelli a più elevata concentrazione(4). Per eliminare distorsioni nella concorrenza, dovute alle differenze di natura giuridica ed alle procedure amministrative dei singoli Stati membri, l’imposta deve essere applicata in modo uniforme nei diversi Paesi dell’Unione Europea e deve rispettare le condizioni contenute nella cd. sesta Direttiva CEE del 17 maggio 1977 n. 388 che ha riformulato quanto precedentemente previsto dalla cd. seconda Direttiva n. 67/228 CEE. In base alla disciplina recettiva delle citate disposizioni comunitarie di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (cd. legge IVA), attraverso il noto sistema di detrazioni e rivalsa l’imposta colpisce l’incremento di valore che un bene subisce nelle singole fasi della produzione e del commercio, fino ad incidere sul consumatore finale su cui pesa l’onere del tributo. A differenza delle “imposte a cascata”, quindi, l’IVA ha il pregio di far conoscere con esattezza il carico fiscale che ha gravato su un determinato prodotto o su un servizio in ogni stadio della produzione o del commercio; evita effetti cumulativi operando come imposta a pagamenti frazionati, senza essere influenzata dal numero dei passaggi che intervengono nei diversi cicli della produzione e della distribuzione e si caratterizza per il suo aspetto perequativo(5). L’imposta viene gestita da coloro L’art. 10 del citato D.P.R. 633/1972 elenca una serie di operazioni(6) che sebbene rientranti nel campo di applicazione dell’IVA non comportano l’addebito dell’imposta, come avviene per quelle non imponibili. Sono molteplici le ragioni, di tecnica tributaria o di opportunità pratica, di politica economica o di utilità sociale, che possono indurre il legislatore ad inserire una categoria di operazioni in questo regime. Elencare una per una le operazioni esenti sarebbe una sterile trasposizione del dato normativo, per i nostri fini è sufficiente evidenziare le finalità sociali che sono alla base dell’esenzione prevista per le prestazioni di diagnosi, ricovero, cura e riabilitazione rese alla persona da parte dei medici e degli esercenti una professione sanitaria o un’arte ausiliaria delle professioni sanitarie ovvero da parte di enti ospedalieri o da cliniche, stabilimenti termali e case di cura convenzionate(7). La detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti La detrazione dell’IVA costituisce, si è detto, il tassello cardine ed essenziale dell’imposta perché consente ad un operatore, soggetto passivo di imposta, di recuperare l’IVA a lui addebitata in via di rivalsa all’atto dell’acquisizione dei beni o servizi per Note: Evidenzia R. Rizzardi, Oltre la Babele, in Summa 209/2004, pag. 12, che all’epoca non si sapeva nemmeno cosa fosse l’outsourcing, e ogni impresa faceva tutto in casa, o comunque era stimolata a farlo, per timore della duplicazione di imposta. L’IVA venne allora scelta dalla Comunità in quanto non interferisce con le scelte dell’impresa, di produrre beni o servizi in proprio ovvero coinvolgendo l’attività di terzi. (4) (5) Cfr. R. Portale, Imposta sul Valore Aggiunto, Il Sole 24 ore, pag. 4 e ss. (6) Accogliendo il precetto della prima parte dell’art. 13 della citata Direttiva 388/77. (7) Vd. art. 10, primo comma, nn. 18) e 19) del DPR 633/72. Maggio-Giugno 2005 251 IVA COMUNUTARIA non rimanere “inciso”(8). Tuttavia alcune limitazioni oggettive e soggettive non permettendo tale possibilità, determinano che l’operatore stesso diventi “consumatore finale” del bene o servizio acquistato. Tralasciando le cd. limitazioni oggettive non rilevanti ai nostri fini, si evidenzia che secondo i principi fissati all’art. 17 della citata Direttiva 388/77 la detrazione dell’IVA deve competere solo se i beni e i servizi acquistati o importati saranno impiegati per realizzare operazioni assoggettate ad imposta o a queste assimilate. In osservanza del richiamato precetto comunitario il D.Lgs. n. 313 del 2 settembre 1997 ha modificato le disposizioni nazionali sulle detrazioni riscrivendo, all’interno del D.P.R. 633/1972, gli articoli 19 e 19 bis ed aggiungendo gli articoli 19 bis 1 e 19 bis 2. In sintesi, secondo quanto stabilito dal combinato disposto dei citati articoli(9): - per un operatore che effettua esclusivamente operazioni esenti o comunque non assoggettate ad imposta vige il divieto totale di detrazione dell’imposta corrisposta sugli acquisti; - per un operatore che effettua attività imponibili insieme ad attività esenti la detrazione di imposta viene operata con una percentuale forfetaria di detrazione applicata indistintamente su tutti gli acquisti (cd. pro rata generale); - per un operatore che sostiene costi promiscui, ovvero relativi a beni o servizi imputabili sia ad operazioni imponibili che ad operazioni esenti, la detrazione avviene per quote da determinare oggettivamente (cd. pro rata specifico). La detrazione dell’imposta assolta da esercenti attività esenti Alla luce di quanto sinteticamente riportato sopra è evidente che l’effettuazione di operazioni esenti da parte di un operatore commerciale limita la sua detrazione dell’imposta sugli acquisti(10): questa limitazione non ha motivi razionali, ma deriva dalla scelta legislativa di creare un regime particolare, vantaggioso nella misura in cui l’imposta assolta sugli acquisti sia esigua rispetto all’imposta che, in mancanza dell’esenzione, sarebbe teoricamente applicabile sulle operazioni attive(11). Le operazioni esenti, infatti, agevolano l’acquirente finale, cui non viene addebitata alcuna imposta, ma sono favorite ai fini IVA solo nella misura in cui richiedano un modesto ammontare di acquisti soggetti al tributo. L’esenzione diventa perciò meno vantaggiosa quanto più l’imposta assolta sugli acquisti aumenta rispetto a quel252 Maggio-Giugno 2005 la teoricamente applicabile sulle operazioni attive e diviene addirittura controproducente quanto la prima eccede la seconda: ove, poi esistano solo operazioni esenti, la percentuale di detraibilità sarà dello 0% e l’imposta sugli acquisti sarà del tutto indetraibile, anche per un ammontare superiore all’IVA teoricamente applicabile alle operazioni attive, ove non fossero state esenti(12). È evidente, quindi, che l’esenzione, nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto, rompendo la catena delle deduzioni provoca un onere fiscale commisurato alla conseguente impossibilità di dedurre l’imposta pagata a monte(13). D’altronde, se si consentisse la detrazione a chi effettua tali operazioni esenti le stesse giungerebbero al consumo completamente “detassate”, ragion per cui sono state previste le limitazioni alla detrazione di cui si è detto: in tal modo l’Erario percepisce una parte di imposta, mentre i contribuenti che effettuano tali attività incorporeranno nel corrispettivo riscosso l’imposta pagata a monte e non detratta(14). 3. La ratio dell’Art. 13 della Direttiva 388/77 CEE L’articolo 13 in questione si compone di due parti. Nella prima parte, come anticipato, è trasposta l’elencazione delle attività di interesse pubblico per le quali si prevede l’esenzione da imposizione. Note: Cfr. R. Portale, Imposta sul Valore Aggiunto, cit.: quando sottolinea come attraverso il principio della rivalsa e con il meccanismo della detrazione “imposta da imposta”, si realizzi la generalità, neutralità e trasparenza del tributo. (8) Vd. elencazione di R. Portale, Imposta sul Valore Aggiunto, cit., pag. 422. (9) (10) La limitazione, come anticipato, consiste nella detraibilità di una quota dell’IVA sugli acquisti proporzionale al rapporto esistente tra le operazioni effettuate nell’anno e rientranti nel campo di applicazione del tributo e le medesime operazioni aumentate delle operazioni esenti effettuate (cd. pro rata generale di detrazione): ove quindi l’operatore effettui esclusivamente operazioni esenti è evidente che la percentuale di detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti sarà pari a zero. (11) In tal senso R. Lupi, Diritto Tributario, parte speciale, Giuffrè, pag. 352. Cfr. R. Lupi, Diritto tributario, cit. che, quando riporta il seguente esempio, implicitamente osserva come il più favorevole regime IVA teoricamente ipotizzabile non sia perciò l’esenzione, ma l’imponibilità ad aliquota ridotta; esempio: se all’effettuazione di sole operazioni esenti per 1000 corrispondono acquisti per 500, la relativa IVA al 20% (pari a 100), sarà irrecuperabile. Se le operazioni attive fossero state invece gravate di IVA al 4%, l’onere di imposta pari a 40 sarebbe stato più che controbilanciato dalla detrazione di 100, con un saldo netto a favore del contribuente pari a 60. (12) (13) Vd. F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Giuffrè 1995, pag. 221. (14) Cfr. R. Portale, Imposta sul Valore Aggiunto, cit., pag. 273. IVA COMUNUTARIA Nella seconda parte è poi letteralmente disposto che “…fatte salve altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni sotto elencate e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso: a ) …omissis; b) …omissis; c) le forniture di beni destinati esclusivamente ad un’attività esentata a norma del presente articolo …… ove questi beni non abbiano formato oggetto d’un diritto a deduzione, e le forniture di beni il cui acquisto o la cui destinazione erano stati esclusi dal diritto alla deduzione conformemente alle disposizioni dell’articolo 17, paragrafo 6…”. Ove ci si accontenti di una lettura superficiale, il dato letterale della disposizione richiamata sicuramente si presta ad una ambigua interpretazione che può dare adito alla erronea presunzione di poter esercitare il diritto al rimborso da parte dei soggetti esercenti attività esenti che hanno corrisposto l’IVA sugli acquisti dei propri beni e non hanno potuto effettuare la relativa detrazione, stante il pro rata di detraibilità dello 0%. Tuttavia, un operatore del settore che, non mosso da secondi fini, si appresti ad un più approfondito studio della fattispecie, dovrebbe concludere facilmente che la norma richiamata, pur se formulata in modo non soddisfacente, costituisce lo strumento idoneo ad evitare una duplicazione del prelievo, che si può realizzare qualora, oltre all’imposta rimasta in capo all’acquirente quale conseguenza del regime di indetraibilità dell’acquisto, lo Stato divenisse creditore, altresì, di quella gravante sulla successiva cessione(15). Già il semplice confronto con la traduzione francese della Direttiva comunitaria risulta di valido ausilio all’interpretazione di cui sopra: nel testo francese, infatti la disposizione anzidetta di cui all’art. 13 è così riportata “…biens qui étaient affectés exclusivement à une activité exonerée…”, che sta per “…beni che erano stati destinati esclusivamente ad una attività esente…”. In altri termini, la disposizione concerne (evidentemente) le cessioni compiute dai soggetti che hanno acquistato dei beni senza poter detrarre l’imposta relativa, in quanto dagli stessi destinati esclusivamente ad operazioni esenti, e non riguarda, per contro, (quanto ritenuto dalle parti private e dai giudici di merito richiamati) gli acquisti di beni che il cessionario destinerà ad attività esenti(16). Ratio e finalità della disposizione sono, infatti, evitare una doppia imposizione contraria al princi- pio della neutralità del tributo, inerente al sistema comune di imposta sul valore aggiunto(17). Una cosa quindi è evitare la doppia imposizione, altra, evidentemente, è quella di eliminare del tutto l’imposizione(18): è di tutta evidenza il fatto che, quando ad un operatore viene preclusa la possibilità di detrarre l’IVA all’atto dell’acquisto - proprio quanto avviene nei settori dell’esenzione - questa imposta rappresenta un costo. Al momento di una successiva vendita del bene così acquistato l’esenzione prevista dal legislatore comunitario consente quindi la reintroduzione nel mercato del bene senza un secondo aggravio di imposta. Si è detto in premessa che le parti ricorrenti, lamentando la (presunta) violazione da parte dello Stato italiano della lett. c), parte B, dell’art. 13 della VI Direttiva, hanno invocato la condanna operata dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza del 25 giugno 1997 C 45/95 nei confronti del nostro legislatore per non aver recepito in toto le richiamate disposizioni comunitarie. Anche in questo caso una attenta lettura della parte motivazionale della sentenza in relazione al dato legislativo nazionale in vigore all’epoca dei fatti, evidenzia come la ricostruzione effettuata dalle parti ricorrenti sia sostanzialmente riconducibile ad un tentativo di depistare i giudici di merito facendo loro ritenere che la fattispecie oggetto della controversia sarebbe stata già decisa dalla sentenza della Corte UE(19). All’epoca dei fatti oggetto della sentenza della Corte di Giustizia UE, lo Stato italiano aveva recepito male la disposizione di cui al citato art. 13, ossia in modo parziale e comunque erroneo. Le disposizioni italiane del tempo si limitavano infatti a prevedere l’esclusione e non l’esenzione da IVA delle cessioni dei beni acquistati senza poter detrarre l’imposta(20). Tale situazione giustificò la censura della CorNote: (15) Cfr. A. A. Ferrario, Sono esenti da IVA le forniture di beni destinati solo ad attività esentate, GT Rivista di Giurisprudenza Tributaria, n. 7/2004, pag. 669. (16) In tal senso vd. L Lodi, Decide la Corte UE sull’ammissibilità della detrazione per le cessioni a soggetti esenti, Corriere Tributario n. 45/2004, pag. 3551 e ss. (17) Cfr. Corte di Giustizia UE, sentenza C 45/95 del 25 giugno 1997. Vd. G. Bianchi, Presunta rimborsabilità dell’imposta sul valore aggiunto relativa agli acquisti effettuati da una struttura sanitaria, Il fisco n. 23/2004, pag. 8738. (18) Cfr. G. Bianchi, Presunta rimborsabilità dell’imposta sul valore aggiunto…, cit. (19) (20) Cfr. art. 2 del D.P.R. 633/72 nel testo vigente fino al 31 dicembre 1997. Maggio-Giugno 2005 253 IVA COMUNUTARIA te che con la citata sentenza dichiarò che la Repubblica Italiana era “…venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva … avendo istituito e mantenuto in vigore una normativa che non esenta dall’IVA le cessioni di beni che erano destinati esclusivamente all’esercizio di una attività esentata o in altro modo esclusi dal diritto alla detrazione”. Nei tempi immediatamente successivi alla censura della Corte UE, il legislatore nazionale è intervenuto con il D.Lgs. 2 settembre 1997 n. 313, modificando il DPR 633/72 con la previsione di cui al noto art. 10, n. 27-quinquies che esenta da IVA “… le cessioni che hanno per oggetto beni acquistati … senza il diritto della detrazione totale della relativa imposta…”. È evidente che l’ordinamento italiano, in definitiva, esenta le cessioni di beni afferenti operazioni esenti, in quanto l’imposta relativa al loro acquisto non era stata detratta, e così attua nella sua interezza il disposto dell’art. 13, parte B, lett. c) della VI Direttiva(21) già con effetto dal 1° gennaio 1998. Si è detto in precedenza come la normativa comunitaria in oggetto sia stata formulata in modo non soddisfacente, ma pare significativo osservare, in conclusione, come già il 27 marzo 2003 il Comitato Tecnico della Confederation Fiscale Europeenne(22) osservando che la traduzione italiana dell’art. 13 della VI Direttiva non soddisfa lo scopo prefisso, ha proposto la riformulazione nei termini che seguono “Sono esenti: ……c) le forniture di beni da parte di soggetti che non hanno esercitato la detrazione all’acquisto, a motivo della destinazione dei beni ad un’attività totalmente esente”. Merita di essere segnalato infine che lo scorso aprile la Commissione Europea ha redatto il progetto di rifusione del vigente testo della VI Direttiva prevedendo esplicitamente, fra l’altro, l’esenzione per le cessioni di beni che erano destinati esclusivamente ad un’attività esente senza diritto a detrazione, nel presupposto (e alla condizione) che questi beni non abbiano formato oggetto di un diritto alla detrazione dell’IVA pagata nella fase precedente(23). 4. Conclusioni Alla luce di tutto quanto sin qui esposto è evidente che le tesi difese dai ricorsi citati sono totalmente infondate non trovando suffragio nella ratio delle disposizioni, comunitarie e nazionali interessate, oltre che nell’interpretazione sistematica (anziché isolata) delle medesime norme. Malgrado il numero dei risultati positivi raggiunti (anche per incomprensibile desistenza della convenuta Agenzia 254 Maggio-Giugno 2005 delle Entrate) i ricorsi impostati sulla base delle motivazioni riportate non dovrebbero avere altre possibilità di successo quando saranno esaminati da giudici capaci di rendersi conto che le Direttive comunitarie sono sì direttamente applicabili, ma per quello che realmente dicono o vogliono dire, e non per quello che si vuole loro far credere affermino(24). Fino ad allora però risulta evidente che un testo normativo non equivoco torna utile a tutti, per evitare errori (!) e inutile contenzioso(25). Note: (21) Vd. L. Lodi, Decide la Corte UE…, cit. Il Comitato in questione è l’organismo che raggruppa le associazioni degli esperti fiscali dell’Unione Europea. Il documento sulla cui base è stata proposta la citata riformulazione della traduzione italiana dell’art. 13 della VI Direttiva è il C.F.E. paper on errors/mistranslations in the English, Italian and Spanish language version of the Sixth Directive. (22) (23) Vd. art. 133 del progetto di rifusione della VI Direttiva IVA elaborato dalla Commissione Europea con commento, per la parte di nostro interesse, di F. Ricca, Operazioni esenti senza diritto a detrazione nella rifusione della VI Direttiva, Corriere Tributario n. 44/2004, pag. 3469; per le altre parti si veda anche S. Chirichigno - A. Santi, Le operazioni esenti con diritto alla detrazione nella rifusione della VI Direttiva, Corriere Tributario n. 46/2004, pag. 3622. Cfr. G. Bianchi, Presunta rimborsabilità dell’imposta sul valore aggiunto…, cit. (24) (25) Cfr. R. Rizzardi, Oltre la Babele, cit. SCHEDE PAESE A cura di Giovanni Rolle(*) e Chiara Mejnardi(*) ROMANIA Sommario: 1. Trattative per l’adesione - 2. Diritto societario - 3. Struttura sistema fiscale - 4. Imposizione sul reddito delle persone fisiche - 5. Imposizione sul reddito delle società - 6. Ritenute su dividendi, interessi, royalties ed altri redditi - 7. Imposizione sui capital gains - 8. Imposizione indiretta - 9. Convenzioni contro la doppia imposizione - 10. Rapporti con l’Italia Abstract Romania has signed the Accession Treaty on 25th April 2005 and will join the European Union in 2007. Corporate law Business entities may adopt one of the following forms: • general partnership, in which all partners bear joint and several unlimited liability in respect of the obligations of the partnership; • limited partnership, which have at least one general partner who assumes unlimited liability, while the other partners’ liability is limited; • partnership limited by share, which have at least one general partner who assumes unlimited liability, while the other partners’ liability is limited; capital is representaded by shares; • limited liability company, in which capital is divided into shares and shareholders (maximum 50) are not personally liable for the obligations of the company. The minimum capital required is ROL 2 milions; • joint stock company, in which capital is divided into stocks and stockholders (minimum 5) are not personally liable for the obligations of the company. The minimum share capital is ROL 25 milions. Foreigners can, without restriction, buy or subscribe shares in Romanian companies, set up branches or establish a representative office in Romania (upon registration with the Commercial Register). Taxation of individuals Resident individuals are subject to personal income tax on the worldwide income, while non residents are liable to tax only on local sourced income. Since 2005, a flat tax rate of 16% applies, replacing the previous brachets system. Taxation of companies Resident companies are subject to corporate income tax on their worldwide income, at the ordinary rate of 16% (previously 25%). The taxable base is, in general, derived from the accounting profits. Losses may be carried forward for 5 years. The Romanian legislation provides for thin capitalization and transfer pricing rules. Withholding taxes A withholding tax of 10% applies to dividends paid to domestic shareholders. Dividends paid to non resident are subject to a 15% withholding tax, unless a more favorable treaty rate applies. When Romania will join the EC, if the EC Parent-Subsidiary Directive requirements will be met, there will be no withholding tax on dividends paid by a resident subsidiaries to its parent company resident in an EU Member State. Interest paid to non resident are subject to a withholding tax of 10% (unless a more favorable treaty rate applies). Statutory withholding tax on royalties paid to non residents is 15%, unless a more favorable treaty rate applies. Romania has obtained a transitional period (until 31 December 2010) relating to the application of the EC Interests and Royalties Directive (Directive 2003/49/EC). VAT Romanian VAT follows the EU pattern and is charged at a rate of 19% (special rate of 9% applies to certain goods and services) unless the goods or services are outside the scope of VAT or exempt from VAT. Double Taxation Treaties Romanian treaty network includes 71 treaties in force; while other treaties (3) are in the process of being signed or implemented. Romania - Italy relationships Romania is included in the Italian white lists and is not included in any Italian black list. The Tax Convention in force with Italy (signed in 1977 and entered into force in 1979) follows the OECD Model, even though it contains some diverging provisions. (*) R&A Studio Tributario Associato, Torino. Maggio-Giugno 2005 255 SCHEDE PAESE Popolazione: Area: Capitale: Posizione geografica - confini: Moneta: Forma di governo: PIL: Pil pro-capite: Romania: aspetti generali 21,7 milioni di abitanti (stime 2002) 237.500 km2 Bucarest Ucraina, Moldavia, Mar Nero, Bulgaria, e Montenegro, Ungheria 1 leu (pl. lei, abbr. ROL) = 100 bani 1 euro = 36.277 lei (aprile 2005) Repubblica - democrazia parlamentare 48,4 miliardi di euro 2.200 euro Serbia Fonte: Eurostat/Commissione Europea 1. Trattative per l’adesione Dopo aver presentato la propria candidatura nel 1995 la Romania ha avviato i negoziati per l’adesione all’Unione europea nel 1999. Le trattative in materia fiscale si sono concluse nel 2003, mentre gli ultimi capitoli dei negoziati si sono chiusi nel dicembre 2004. Il Trattato di adesione è stato firmato il 25 aprile 2005 e prevede l’ingresso della Romania (e della Bulgaria) nell’Unione europea a partire dal 1° gennaio 2007 (art. 4 del Trattato). 2. Diritto societario Principali forme societarie La disciplina interna(1) prevede cinque diverse forme societarie per l’esercizio dell’attività d’impresa(2): • società di persone (Societate in Nume Colectiv, SNC): i soci (minimo due) rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali. Non è previsto un capitale sociale minimo. Gli apporti dei soci possono consistere in denaro, beni materiali ovvero servizi. I soci partecipano agli utili (ovvero alle perdite) in misura corrispondente a quanto pattuito nell’atto costitutivo. Si incorre in un’ipotesi di scioglimento della società quando, ad esempio, il numero di soci si riduce ad uno e l’atto costitutivo dispone che in tale caso l’attività debba cessare. • società in accomandita semplice (Societate in Comandita Simula, SCS): specifica tipologia di società di persone in cui la compagine sociale è costituita da due o più soggetti (persone fisiche o giuridiche), in cui almeno un socio è dotato di re256 Maggio-Giugno 2005 sponsabilità illimitata, mentre gli altri soci sono responsabili solo per il capitale conferito. La gestione della società spetta al socio dotato di responsabilità illimitata. Non è previsto un capitale sociale minimo. Gli apporti dei soci possono consistere in denaro, beni materiali ovvero servizi. • società a responsabilità limitata (Societate cu Raspundere Limitata, SRL): il capitale sociale minimo è di ROL 2 milioni, suddiviso in quote di uguale ammontare (di valore non inferiore a ROL 100.000 caduna). I conferimenti possono consistere in denaro ovvero in beni, ma gli apporti in natura non possono eccedere il 60% del capitale sociale. La legge prevede un numero massimo di soci (persone fisiche o giuridiche) pari a cinquanta, mentre non impone un limite minimo. È ammessa la costituzione di una SRL in forma unipersonale; l’unico socio di una SRL può essere una persona fisica ovvero una società, ma non può essere un’altra SRL unipersonale partecipata da una persona fisica. Gli altri aspetti relativi alla tenuta della contabilità e dei conti annuali e alla liquidazione sono del tutto simili a quelli descritti per le società per azioni (v. infra). • società per azioni (Societate pe actiuni, SA): i soci (persone fisiche o giuridiche, residenti o meno in Romania) sono responsabili limitatamente al capitale conferito. È previsto un numero minimo di soci pari a cinque (è ammessa la costituzione di società per azioni con la sola partecipazione delNote: (1) Cfr. Legge n. 31/1990. Taxation and Investment in Central and East Europe, “Romania”, IBFD, 2004. (2) SCHEDE PAESE lo Stato, ma in via temporanea, al fine di favorire la privatizzazione dell’economia). Il capitale sociale minimo è di ROL 25 milioni, suddiviso in azioni di valore non inferiore a ROL 100.000. È ammessa la costituzione in forma privata ovvero di pubblica sottoscrizione. I soci partecipano agli utili (ovvero alle perdite) in misura proporzionale alla percentuale di capitale detenuta. La società è obbligata a tenere la contabilità secondo le disposizioni vigenti in materia e a redigere il bilancio annuale. Il bilancio deve essere oggetto di verifica da parte dei revisori contabili, che rilasciano un apposito rapporto. Ipotesi di scioglimento: decorrenza dei termini, accordo tra le parti, fallimento, riduzione del capitale sociale al di sotto del 50%, diminuzione del numero di soci al di sotto di cinque. Lo scioglimento deve essere iscritto presso il Registro Imprese e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. • società in accomandita per azioni (Societate in Comandita Pe Actiuni, SCA): forma societaria del tutto analoga alla precedente, in cui però l’amministrazione della società è affidata ad uno o più soci accomandatari. Per ciascuna delle forme societarie sopra descritte è prescitta l’iscrizione presso il Registro delle Imprese. Ogni società assume personalità giuridica a partire dalla data di registrazione. Alle forme societarie sopra delineate si affiancano le imprese statali, che continuano a rivestire un ruolo determinante in alcuni settori strategici. Una società estera può operare in Romania attraverso una branch ovvero un ufficio di rappresentanza, previa autorizzazione del Ministro del Commercio e successiva iscrizione presso il Registro Imprese. Specifiche disposizioni in materia di investimenti esteri Non sono previste restrizioni agli investimenti esteri: le società estere possono detenere partecipazioni in società rumene, senza limiti di percentuali di possesso. 3. Struttura sistema fiscale Struttura Il sistema fiscale rumeno si articola in imposte dirette (imposta sul reddito delle società e imposta sul reddito delle persone fisiche) e in altre imposte (principalmente IVA e accise). Società estere: imposizione limitatamente al reddito ivi prodotto ovvero esenzione I soggetti residenti sono assoggettati ad imposta sui redditi ovunque prodotti, mentre i non residenti sono tassati esclusivamente sui redditi di fonte rumena (salvo più favorevole previsione convenzionale). Le società non residenti sono soggette all’imposta sulle società limitatamente all’attività esercitata in Romania mediante una stabile organizzazione. Tuttavia, il Codice delle imposte (L. 571/2003, titolo V) prevede l’attrazione ad imposizione di talune fattispecie di reddito (provvigioni, redditi derivanti dall’esercizio di attività di intermediazione, consulenza etc.) sulla base del principio del pagante. Peculiarità del sistema fiscale nazionale: thin capitalization, transfer pricing Il sistema fiscale rumeno prevede una forma di limitazione alla deducibilità degli interessi passivi, in ragione del rapporto tra indebitamento e patrimonio netto della società. In materia di transfer pricing, la normativa interna dispone che le operazioni intercompany debbano essere in linea con il principio dell’arm’s length. Conseguentemente, le autorità fiscali hanno il potere di rettificare i corrispettivi pattuiti in contrasto con il prezzo di mercato determinato, quest’ultimo, sulla base dei metodi adottati in sede OCSE (principalmente, confronto del prezzo, prezzo di rivendita ovvero costo maggiorato). 4. Imposizione sul reddito delle persone fisiche Le persone fisiche residenti sono soggette ad imposta sul reddito ovunque prodotto, mentre i non residenti sono soggetti ad imposta limitatamente al reddito di fonte rumena. A partire dal 1° gennaio 2005, l’imposta sulle persone fisiche viene prelevata mediante applicazione dell’aliquota del 16% (mentre in precedenza venivano applicate aliquote progressive, differenziate per scaglioni di reddito, che variavano dal 18% al 40%). Concorrono alla formazione del reddito delle persone fisiche, tra gi altri, i redditi di lavoro dipendente; i redditi di lavoro autonomo (inclusi i redditi derivanti dallo sfruttamento della proprietà intellettuale) nonché i redditi derivanti dall’utilizzo di beni mobili o immobili. Maggio-Giugno 2005 257 SCHEDE PAESE Alcune componenti di reddito sono invece tassate mediante ritenuta. Alcuni esempi: • dividendi: ritenuta a titolo d’imposta del 10%; • interessi: ritenuta a titolo d’imposta dell’10% (era pari all’1% fino al 1° maggio 2005); • plusvalenze su partecipazioni: ritenuta a titolo d’imposta dell’1% se la partecipazione è detenuta per almeno un anno (in caso contrario trova applicazione la maggior ritenuta del 10%). 5. Imposizione sul reddito delle società Aliquota d’imposta I redditi d’impresa sono assoggettati ad imposta con aliquota del 16% (a partire dal 1° gennaio 2005, in precedenza l’aliquota era pari al 25%). Principali regole per la determinazione del reddito d’impresa Sono deducibili tutti i costi direttamente collegati con l’attività che produce il reddito imponibile. Le perdite possono essere portate in avanti per cinque esercizi. I piani di ammortamento variano a seconda dei beni a cui si riferiscono e sono modulati, in linea con le disposizioni di legge, secondo la presumibile vita utile del bene (dai 2 ai 60 anni). Le spese di costituzione, di ricerca e sviluppo, nonché quelle relative ai software (acquistati ovvero sviluppati in economia) possono essere ammortizzate in un periodo massimo di cinque anni. Incentivi fiscali ed interazioni con il Codice di Condotta in materia di tassazione delle imprese Sono previsti incentivi (anche di natura fiscale) a favore degli investimenti di notevoli dimensioni, delle piccole e medie imprese e delle società localizzate nelle zone svantaggiate, nelle zone franche o nei parchi industriali. La maggiorparte di questi incentivi è però in corso di progressiva estinzione, in ragione della riscontrata incompatibilità con le disposizione comunitarie in materia di concorrenza nonché con il Codice di condotta in materia di tassazione delle imprese. In particolare: • l’agevolazione (esenzione dall’imposta sulle società) riconosciuta alle società localizzate nelle zone svantaggiate (ai sensi dell’Ordinanza n. 258 Maggio-Giugno 2005 24/1998) potrà continuare ad essere applicata, soddisfatti taluni requisiti (in ordine alla localizzazione geografica, al settore economico e all’intensità dell’aiuto), non oltre il 31 dicembre 2010 (per le aree di Cugir, Zimnicea, Copşa Mică). Per le altre regioni sono previste scadenze anteriori: 31 dicembre 2008 per le aree di Brad, Valea Jiului, Bălan e 31 dicembre 2009 per le zone di Comăneşti, Bucovina, Altân Tepe, Filipeşti, Ceptura, Albeni, Schela, Motru Rovinari, Rusca Montană, Bocşa, Moldova Nouă-Anina, Baraolt, Apuseni, Ştei-Nucet, Borod Şuncuiuş-Dobreşti-Vadu Crişului, Popeşti-Derna-Aleşd, Ip, Hida-SurducJibou-Bălan, Şărmăşag-Chiejd-Bobota, Baia Mare, Borşa Vişeu, Rodna(3); • l’agevolazione (esenzione sulle royalties) applicata nelle zone franche (ai sensi della Legge n. 84/1992) sarà ammessa, soddisfatte alcune condizioni (tra cui la localizzazione, il settore d’attività e l’intensità dell’aiuto) non oltre il 31dicembre 2011(4). Interazioni con l’acquis Negli ultimi anni la Romania ha attuato diverse misure finalizzate ad innalzare il grado di allineamento delle disposizioni interne con l’acquis comunitario. In ambito fiscale, come emerge dal rapporto fina(5) le , redatto al termine delle trattative per l’adesione, la Romania presenta un adeguato livello di allineamento con le disposizioni comunitarie, sebbene siano state negoziate alcune deroghe. Nel rapporto viene inoltre rinnovato l’invito al completo recepimento dei principi enunciati nel Codice di condotta in materia di tassazione delle imprese. In materia di IVA, la Romania ha (per il momento) ottenuto le seguenti deroghe: • esenzione IVA sul trasporto internazionale di persone; • esenzione IVA per i soggetti passivi con un limitato volume d’affari annuo. Sul fronte delle imposte dirette, la Romania ha negoziato un periodo transitorio (fino al 31 dicembre Note: Atto di Adesione di Romania e Bulgaria, Allegato VII, capitolo 4.A “Aiuti di Stato”. (3) Atto di Adesione di Romania e Bulgaria, Allegato VII, capitolo 4.A “Aiuti di Stato”. (4) Commissione europea, “Report on the Results of the Negotiations on the Accession of Bulgaria and Romania to the European Union”, febbraio 2005. (5) SCHEDE PAESE 2010) per la completa attuazione della Direttiva 2003/49/CE relativa alle corresponsioni di interessi e royalties. Fino a tale data, sarà ammessa l’applicazione di una ritenuta, in musura non superiore al 10%(6). 6. Ritenute su dividendi, interessi, royalties ed altri redditi zioni di servizi di intermediazione, consulenza, etc.. Tuttavia, su questi ultimi servizi (intermediazione, consulenza, etc.) il prelievo è di solito precluso dalle Convenzioni contro la doppia imposizione stipulate dalla Romania, tra cui quella con l’Italia, che prescrivono, ai fini impositivi, la presenza di una base fissa. Dividendi 7. Imposizione sui capital gains Sui dividendi distribuiti da società rumene ai soci (persone fisiche o società) residenti viene applicata una ritenuta pari al 10%; mentre sui dividendi distribuiti a non residenti grava una ritenuta del 15%, salvo applicazione di inferiori aliquote (eventualmente) previste dai Trattati contro la doppia imposizione. Con l’ingresso della Romania nell’Unione europea, diventeranno esenti i dividendi percepiti da una società rumena a fronte di una partecipazione in un’altra società rumena pari almeno al 25%, detenuta da almeno due anni(7). Analogamente, sempre dopo l’ingresso del Paese nell’UE, saranno esentati i dividendi percepiti da una società rumena e distribuiti da una società comunitaria partecipata da almeno due anni, in misura non inferiore al 25%. In via generale, i capital gains sono inclusi nella base imponibile e tassati secondo le aliquote ordinarie. Interessi In via generale, gli interessi corrisposti a soggetti non residenti sono soggetti ad una ritenuta del 10%, salvo più favorevole trattamento convenzionale. Come si è detto, nel Trattato di adesione la Romania ha negoziato una deroga transitoria all’esenzione sugli interessi corrisposti tra società consociate comunitarie. 8. Imposizione indiretta IVA: struttura regime in vigore e rapporto con l’acquis Con l’Ordinaza n. 3/1992, è stato introdotto (a partire dal 1993) il sistema IVA (in sostituzione della precedente imposta sul fatturato). Il regime attuale prevede un’aliquota ordinaria del 19%, che si applica in generale sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi, e di un’aliquota ridotta pari al 9%, che si applica a talune fattispecie espressamente previste dalla legge (medicinali, libri, ingressi in musei, servizi alberghieri). Con la firma del Trattato di adesione è stata prevista una franchigia di esenzione ai fini IVA, che opera nei confronti dei soggetti passivi con un volume d’affari annuo inferiore a 35.000 euro(8). Tra le deroghe transitorie, la Romania ha inoltre ottenuto la facoltà di mantenere l’esenzione IVA sul trasporto internazionale di persone fino a quando non sarà soddisfatta la condizione di cui all’art. 28, par. 4 della direttiva 77/388/CEE(9) o (se di data anteriore) fino al momento in cui la stessa esenzione sarà applicata da uno o più Stati membri attuali(10). Royalties Le royalties corrisposte a soggetti non residenti sono soggette alla ritenuta del 15%, salvo più favorevole trattamento convenzionale. Come si è detto, nel Trattato di adesione la Romania ha negoziato una deroga transitoria all’esenzione sulle royalties corrisposte tra società consociate comunitarie. Provvigioni Salvo più favorevole trattamento convenzionale, una ritenuta alla fonte del 15% viene applicata sulle provvigioni nonché sui corrispettivi per le presta- Note: (6) Atto di Adesione di Romania e Bulgaria, Allegato VII, capitolo 7 “Fiscalità”. (7) Art. 36, comma 4 del Codice delle imposte rumeno, L. 571/2003. Atto di Adesione di Romania e Bulgaria, Allegato III, capitolo 4 “Fiscalità”. (8) Il citato par. 4 dell’art. 28 della direttiva 77/388/CEE prevede che: “il periodo transitorio avrà una durata iniziale di cinque anni, a decorrere dal 1° gennaio 1978. Al più tardi sei mesi prima delle fine di questo periodo, e successivamente, se necessario, il Consiglio, sulla base di una relazione della Commissione, procederà al riesame della situazione per quanto riguarda le deroghe previste al paragrafo 3, e deciderà all’ unanimità su proposta della Commissione sull’ eventuale soppressione di alcune o di tutte queste deroghe”. (9) (10) Atto di Adesione di Romania e Bulgaria, Allegato VII, capitolo 7 “Fiscalità”. Maggio-Giugno 2005 259 SCHEDE PAESE 9. Convenzioni contro la doppia imposizione La Romania ha stipulato Trattati contro le doppie imposizioni (attualmente in vigore) con 71 Paesi (v. Tavola seguente); mentre sono stati firmati, ma non sono ancora entrati in vigore, i Trattati con Australia, Costa Rica, Repubblica federale di Yugoslavia(11). Romania: Paesi con cui è in vigore una convenzione contro la doppia imposizione Albania, Algeria, Armenia, Austria, Azerbaijan, Bangladesh, Bielorussia, Belgio, Bulgaria, Canada, Cina, Cipro, Corea del Nord, Corea del Sud, Croazia, Danimarca, Ecuador, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Filippine, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Giappone, Giordania, Grecia, India, Indonesia, Irlanda, Israele, Italia, Kazakhstan, Kuwait, Kyrgyzstan, Libano, Lussemburgo, Malaysia, Malta, Moldova, Marocco, Namibia, Nigeria, Norvegia, Paesi Bassi, Pakistan, Polonia, Portogallo, Russia, Regno Unito, Repubblica ceca, Slovacchia, Sud Africa, Spagna, Sri Lanka, Sudan, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Siria, Tajikistan, Thailandia, Tunisia, Turchia, Turkmenistan, Ucraina, Ungheria, Uzbekistan, Vietnam, Yugoslavia, Zambia. 10. Rapporti con l’Italia Interscambio commerciale: import/export L’Italia assume un ruolo di primo piano negli scambi con la Romania, essendo il principale partner commerciale sia sul piano delle importazioni che delle esportazioni. In particolare, le esportazioni della Romania sono dirette verso l’Italia nella misura del 36,6% (a seguire Germania 22,4% e Francia 11,5%), mentre il volume delle importazioni dal nostro Paese è pari al 31,6% (seguono Germania 28,5% e Francia 10,4%)(12). Presenza in black/white list La Romania non è elencata nelle black list italiane relative: • agli Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato (di cui al D.M. 4 maggio 1999); • ai regimi CFC (di cui al D.M. 21 novembre 2001); • all’indeducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate in Stati a fiscalità privilegiata (di cui al D.M. 23 gennaio 2002). Coerentemente, figura tra i Paesi delle due white list italiane che individuano: 260 Maggio-Giugno 2005 • i Paesi con i quali è attuabile lo scambio di informazioni (D.M. 4 settembre 1996); e • gli Stati extra-UE soggetti ad un regime di tassazione non privilegiato (D.M. 21 novembre 2001). Convenzione Italia-Romania La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Romania (nel seguito anche “la Convenzione”) è stata firmata il 14 gennaio 1977 e successivamente ratificata in Italia con la L. 18 ottobre 1978 n. 680 (in vigore dal 6 febbraio 1979). Il testo della Convenzione riproduce, in ampia misura, il Modello OCSE, sebbene siano ravvisabili alcuni scostamenti. Nel definire il concetto di residenza con riferimento alle persone diverse da quelle fisiche, la Convenzione estende alle società di persone il principio di residenza nel Paese della direzione effettiva (art. 4, par. 3). Con riferimento alla nozione di stabile organizzazione, in particolare nell’elencazione delle c.d. “ipotesi negative”, l’art. 5 par. 3 della Convenzione, include un’ulteriore fattispecie (secondo la quale non si concretizza una stabile organizzazione “se le merci appartenenti all’impresa esposte in una fiera commerciale o in una mostra sono vendute dall’impresa alla fine di detta fiera e mostra”) e non prevede l’ipotesi secondo cui non si ravvisa l’esistenza di una stabile organizzazione qualora la sede fissa d’affari sia utilizzata unicamente per una combinazione delle attività elencate come non caratterizzanti una stabile organizzazione. Inoltre, nell’individuare i casi in cui non è ravvisabile una stabile organizzazione personale, l’art. 5 par. 4 della Convenzione cita solo l’ipotesi in cui l’attività del soggetto sia limitata all’acquisto di merci per l’impresa (mentre il Modello OCSE rinvia più genericamente a tutte le ipotesi negative individuate per la stabile organizzazione “materiale”). In merito alle relazioni intragruppo, disciplinate all’art. 9 della Convenzione, non sono presenti i c.d. “correlative adjustments”. Su dividendi (art. 10), interessi (art. 11) e royalties (art. 12), la Convenzione ammette il prelievo di una ritenuta alla fonte che non ecceda il 10% dell’ammontare lordo corrisposto. Qualora il beneficiario operi nello Stato della fonte mediante una stabile organizzazione a cui sono collegati i dividendi, gli inteNote: Taxation and Investment in Central and East Europe, “Romania”, IBFD, 2004. (11) (12) Dati Eurostat/Commissione Europea, 2002. SCHEDE PAESE ressi ovvero le royalties percepite, le somme ricevute sono tassate nello Stato dov’è situata la stabile organizzazione secondo la propria legislazione (mentre il Modello OCSE rinvia all’applicazione dell’art. 7, relativo agli utili delle imprese). Occorre peraltro sottolineare come la Convenzione preveda l’esenzione sugli interessi corrisposti ovvero percepiti dal Governo di uno Stato contraente. Sul fronte delle royalties, inoltre, la Convenzione contempla una nozione più ampia, che include i compensi corrisposti per le registrazioni per trasmissioni radiofoniche e televisive, nonché per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche. La Convenzione contiene un articolo non previsto dal Modello OCSE, relativo alle provvigioni (art. 13), in cui sancisce il principio generale di tassazione nello Stato di residenza dell’agente percipiente, pur ammettendo una forma di tassazione alla fonte, che però non può eccedere il 5% dell’ammontare delle provvigioni. Tale disposizione ha l’effetto di ridurre dal 15% al 5% la ritenuta prevista dalla legislazione interna rumena, mentre è irrilevante per le provvigioni di fonte italiana, atteso che l’art. 25-bis ultimo comma del D.P.R. 600/73 non prevede l’applicazione di ritenute sulle provvigioni pagate a non residenti (privi di stabile organizzazione in Italia). Le attività di artisti e sportivi (art. 18) sono esenti da imposizione nello Stato in cui vengono esercitate, a condizione che siano svolte nel quadro di scambi culturali previsti da specifici accordi conclusi tra gli Stati contraenti. Analogamente, la Convenzione prevede uno specifico articolo (art. 21) dedicato ai professori (residenti in uno Stato contraente) che soggiornano nell’altro Stato contraente ai fini di insegnamento o di ricerca scientifica; qualora il soggiorno non ecceda i due anni, la remunerazione è imponibile esclusivamente nello Stato di residenza. Per quanto concerne gli studenti (art. 22), la Convenzione dispone (in aggiunta a quanto stabilito dal Modello OCSE) la non imponibilità delle remunerazioni percepite dagli studenti (che soggiornano temporaneamente nell’altro Stato contraente ai fini di studio o formazione professionale) come corrispettivo di un’attività dipendente (a condizione che si tratti di un’attività svolta non a tempo pieno o in modo occasionale, per l’arco di tempo necessario a completare gli studi o la formazione). Tra gli altri redditi (art. 23), la Convenzione comprende “i redditi derivanti dalle attività di controllo qualitativo e quantitativo delle merci, di assistenza tecnica e di addestramento professionale dei dipen- denti, nonché i redditi derivanti dall’esecuzione di perizie o quelli derivanti dalla prestazione di altri servizi non espressamente trattati nella Convenzione” (Protocollo, punto b). Il par. 2 dell’art. 23 dispone inoltre che, qualora il beneficiario operi nello Stato della fonte mediante una stabile organizzazione a cui si ricolleghi il diritto o il bene produttivo del reddito, tale reddito è tassato nello Stato dov’è situata la stabile organizzazione secondo la propria legislazione (mentre il Modello OCSE rinvia all’applicazione dell’art. 7, relativo agli utili delle imprese). In merito ai rimedi contro la doppia imposizione (art. 24), sia l’Italia che la Romania riconoscono il credito d’imposta limitato. All’art. 26 (non discriminazione), la Convenzione prevede un’ulteriore specificazione rispetto al Modello OCSE, secondo la quale “i nazionali di uno Stato contraente che sono imponibili nell’altro Stato contraente fruiscono delle esenzioni, degli abbattimenti alla base, delle deduzioni e riduzioni di imposte o tasse concessi per carichi di famiglia ai nazionali di detto Stato trovantisi nelle medesime condizioni”. In merito alla procedura amichevole (art. 27), il punto c) del Protocollo puntualizza che tale procedura non è alternativa al contenzioso nazionale, il quale deve essere (in ogni caso) preventivamente instaurato qualora la controversia si riferisca ad “una applicazione non conforme alla Convenzione delle imposte italiane”. Qualora possano facilitare il raggiungimento di un accordo tra le autorità competenti, la Convenzione (in aggiunta a quanto disposto dal Modello OCSE) ammette il ricorso a scambi verbali di opinioni, da effettuarsi in seno ad una Commissione formata dai rappresentanti delle autorità competenti degli Stati contraenti. La Convenzione, infine, disciplina all’art. 30 la materia dei rimborsi (sebbene tale misura non sia prevista dal Modello OCSE, trova riscontro frequente nella prassi negoziale italiana), precisando che “le imposte riscosse in uno Stato contraente mediante ritenuta alla fonte sono rimborsate a richiesta dell’interessato o dello Stato di cui esso è residente qualora il diritto alla percezione di detta imposta sia limitato dalle disposizioni della presente Convenzione” (art. 30, par. 1). Inoltre, in merito alle modalità di applicazione dell’articolo in esame, viene fatto rinvio alle autorità competenti degli Stati contraenti, le quali saranno chiamate a trovare un comune accordo, applicando la procedura amichevole (di cui all’art. 27 della Convenzione) o altri strumenti sempre pattuiti di comune accordo (ai sensi del punto d del Protocollo). Maggio-Giugno 2005 261 OSSERVATORIO INTERNAZIONALE A cura di Saverio Cinieri e Rosanna Acierno Unione Europea Estesa l’applicazione della Direttiva sulle operazioni straordinarie Il Consiglio Unione Europea con la Direttiva 17 febbraio 2005, n. 2005/19/CE (pubblicata sulla G.U.U.E 4 marzo 2005, L58) ha modificato la direttiva 90/434/CEE relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi, estendendone il campo di applicazione anche alle scissioni parziali e al trasferimento di società europee o società cooperative europee. Gli scopi della direttiva 90/434/CEE, che il Consiglio ritiene possano essere raggiunti pienamente solo con l’allargamento suddetto, sono il rinvio dell’imposizione del reddito, degli utili e delle plusvalenze derivanti dalle riorganizzazioni aziendali, la tutela dei diritti di imposizione degli Stati membri, e l’eliminazione degli ostacoli al funzionamento del mercato interno, come la duplice imposizione. In particolare sono state modificate ed integrate le disposizioni inerenti l’ambito applicativo e la lotta contro la frode e l’evasione fiscale, e sono stati inseriti due nuovi titoli, rispettivamente relativi al caso particolare delle entità trasparenti e al trasferimento della sede sociale di una SE o di una SCE. Infatti è previsto che qualora: a) una SE o una SCE trasferisca la propria sede sociale da uno Stato membro a un altro, oppure b) in concomitanza con il trasferimento della sua sede sociale da uno Stato membro a un altro, una SE o una SCE, residente nel primo Stato membro, estingua la propria residenza fiscale in tale Stato membro ed elegga la sua residenza fiscale in un altro Stato membro, il trasferimento della sede sociale o l’estinzione della residenza fiscale non dà luogo all’imposizione delle plusvalenze nello Stato membro dal quale è stata trasferita la sede sociale, risultanti dagli elementi d’attivo e di passivo della SE o della SCE i quali, di conseguenza, rimangono effettivamente 262 Maggio-Giugno 2005 collegati con una stabile organizzazione della SE o della SCE nello Stato membro dal quale è stata trasferita la sede sociale e contribuiscono agli utili o alle perdite presi in considerazione per scopi fiscali. Adeguamento dei bilanci all’IFRS 2 La Commissione UE con il Regolamento 4 febbraio 2005, n. 211/2005 (pubblicato sulla G.U.U.E. 11 febbraio 2005, L 41) ha precisato che i bilanci di esercizio che hanno inizio dal 1° gennaio 2005 o in data successiva dovranno adeguarsi al regolamento CE della Commissione Europea che modifica taluni principi contabili internazionali per quanto riguarda l’International Financial Reporting Standard (IFRS) 1 e 2 e altri IAS (12, 16, 19, 32, 33, 38 e 39). In particolare, l’IRFS 2, relativo ai “Pagamenti basati su azioni”, ha lo scopo di definire la rappresentazione in bilancio da parte di una società che effettui operazioni con pagamenti basati su azioni incluse: • operazioni con pagamento basato su azioni regolate con strumenti rappresentativi di capitale, in cui la società riceve beni o servizi come corrispettivo degli strumenti rappresentativi di capitale dell’entità (incluse le azioni e le opzioni su azioni); • operazioni con pagamento basato su azioni regolate per cassa, in cui la società acquisisce beni o servizi assumendo delle passività nei confronti dei fornitori di tali beni o servizi per importi basati sul prezzo (o valore) delle azioni o di altri strumenti rappresentativi di capitale della società stessa; • operazioni in cui la società riceve o acquisisce beni o servizi e i termini dell’accordo prevedono che la società, o il fornitore di tali beni o servizi, possa scegliere tra il regolamento per cassa da parte (o con altre attività) o l’emissione di strumenti rappresentativi di capitale. La società deve rilevare i beni o servizi ricevuti o acquisiti in una operazione con pagamento basato su azioni alla data in cui ottiene i beni o riceve i servizi, indicando un corrispondente incremento del patrimonio netto se i beni o servizi sono stati ricevuti in base ad un’operazione con pagamento basato su azioni regolata con strumenti rappresentativi di ca- OSSERVATORIO INTERNAZIONALE pitale, oppure una passività se i beni o servizi sono stati acquisiti in base a una operazione con pagamento basato su azioni regolata per cassa. Approvato il tasso di interesse ufficiale della BCE al 1° febbraio 2005 La Commissione UE, con la Comunicazione 2 febbraio 2005 (pubblicata sulla G.U.U.E. 2 febbraio 2005, C0261) ha reso noto il dato diffuso dalla Banca Centrale Europea relativo al tasso di interesse applicato sulle principali operazioni di rifinanziamento. Il saggio, fissato per il mese di febbraio al 2,06% conferma il dato tendenziale che vede il tasso di riferimento sensibilmente in calo (si ricorda che il saggio a gennaio 2005 era stato fissato al 2,09%). Italia Ratificata la convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Uganda Con la legge 10 febbraio 2005, n. 18 (pubblicata sulla G.U. 24 febbraio 2005, n. 45, Suppl. Ord. n. 24) è stata ratificata la Convenzione Italia-Repubblica dell’Uganda per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali. Le nuove norme sono entrate in vigore il 25 febbraio 2005. Resa esecutiva la convenzione sulla reciproca assistenza tra paesi UE e paesi OCSE L’Italia, con la legge 10 febbraio 2005, n. 19 (pubblicata sulla G.U. 28 febbraio 2005, n. 48, Suppl. Ordinario n. 25), ha aderito alla Convenzione concernente la reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa ed i Paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico-OCSE. Si ricorda che la convenzione era stata stipulata a Strasburgo il 25 gennaio 1988. Entrati in vigore gli accordi tra Italia e Albania in materia di infrazioni doganali e autotrasporto di viaggiatori e merci Il Ministero degli affari esteri, con un comunica- to datato 5 marzo 2005 ha reso noto che, a partire dal 1° marzo 2005, è entrato in vigore l’Accordo di mutua assistenza amministrativa per la prevenzione, la ricerca e la repressione delle infrazioni doganali tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica d’Albania, firmato a Tirana il 12 marzo 1998 Inoltre, con un altro comunicato, anch’esso datato 5 marzo 2005, è stato reso noto che l’Accordo sulla regolamentazione reciproca dell’autotrasporto internazionale di viaggiatori e merci, firmato a Tirana il 5 aprile 1993, è entrato in vigore il 3 febbraio 2005. Entrata in vigore la convenzione tra Italia e Uzbekistan per la cooperazione in materia doganale Con un comunicato del 10 marzo 2005 (pubblicato sulla G.U. 10 marzo 2005, n. 57) il Ministero degli affari esteri ha reso noto che il 1° aprile 2005 è entrato in vigore l’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica dell’Uzbekistan sulla mutua assistenza amministrativa in materia doganale. In vigore le nuove regole per l’applicazione dei principi contabili internazionali Con il D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38 (pubblicato sulla G.U. 21 marzo 2005, n. 66), a partire dal 22 marzo 2005, entra in vigore la disciplina sull’applicazione dei principi contabili internazionali. Le nuove disposizioni si applicano ai seguenti soggetti: • società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati di qualsiasi Stato membro dell’UE; • società aventi strumenti finanziari diffusi tra il pubblico; • banche italiane; • società finanziarie capogruppo dei gruppi bancari iscritti nell’elenco speciale; • società di intermediazione mobiliare; • società di gestione del risparmio; • società finanziarie; • istituti di moneta elettronica; • società di assicurazioni; • società incluse secondo i metodi di consolidamento integrale, proporzionale e del patrimonio netto nel bilancio consolidato redatto dalle soMaggio-Giugno 2005 263 OSSERVATORIO INTERNAZIONALE cietà emittenti strumenti finanziari ammessi in mercati regolamentati e dalle società di assicurazioni, diverse da quelle che possono redigere il bilancio in forma abbreviata. È, inoltre, previsto che le società che redigono il bilancio di esercizio secondo i principi contabili internazionali non possono distribuire: • utili d’esercizio in misura corrispondente alle plusvalenze iscritte nel conto economico, al netto del relativo onere fiscale e diverse da quelle riferibili agli strumenti finanziari di negoziazione e all’operatività in cambi e di copertura, che discendono dall’applicazione del criterio del fair value o del patrimonio netto; • riserve del patrimonio netto costituite e movimentate in contropartita diretta della valutazione al fair value di strumenti finanziari e attività. Gli utili di cui al primo punto vanno iscritti in una riserva indisponibile. In caso di utili di esercizio di importo inferiore a quello delle plusvalenze, la riserva è integrata, per la differenza, utilizzando le riserve di utili disponibili, o in mancanza, accantonando gli utili degli esercizi successivi. Tale riserva si riduce in misura corrispondente all’importo delle plusvalenze realizzate, anche attraverso l’ammortamento, o diventate insussistenti per effetto della svalutazione. Essa può essere utilizzata per la copertura delle perdite di esercizio solo dopo aver utilizzato le riserve di tutti gli utili disponibili e la riserva legale. In tal caso essa è reintegrata accantonando gli utili degli esercizi successivi. Va, infine, ricordato che il decreto legislativo ha apportato modifiche ad alcune disposizioni del TUIR relativamente a: • determinazione del reddito complessivo (art. 83); • ammortamento dei beni materiali (art. 102); • spese relative a più esercizi (art. 108); • norme generali sui componenti del reddito d’impresa( art. 109); • norme generali sulle valutazioni (art. 110); • operazioni fuori bilancio (art. 112). Canada Approvata la Legge finanziaria per il 2005 Il Legislatore canadese ha approvato il bilancio statale per il 2005 e le relative norme di manovra finanziaria. Con riferimento a questo ultimo aspetto, le più importanti novità riguardano i seguenti punti: 264 Maggio-Giugno 2005 • agevolazioni per i prossimi 5 anni in favore di programmi di sviluppo dell’istruzione e a favore dei giovani; • benefici per i redditi medio bassi, anch’essi applicabili per i prossimi 5 anni; • nuove misure agevolative per i soggetti disabili, attraverso l’estensione dei requisiti per applicare il c.d. “disability tax credit”; • aumento della soglia di reddito di esenzione fiscale a 10.000 dollari, a partire dal 2009; • semplificazioni ed agevolazioni fiscali per i fondi pensione; • eliminazione dell’imposta aggiuntiva sulle società a partire dal 2008; • riduzione di due punti percentuali dell’imposta sulle società a partire dal 2010 (in tal modo l’aliquota viene tenuta al di sotto di quella applicata negli USA); • stanziamento di fondi da utilizzare nei prossimi anni per combattere i cambiamenti climatici. Giappone Riforma fiscale per il 2005 Il governo giapponese ha approvato una riforma del sistema fiscale che modifica sostanzialmente la disciplina in vigore precedentemente. Per quanto riguarda l’imposta sul reddito delle persone fisiche, la riforma, che si applicherà a partire dal 2006, è basata sui seguenti principi: • l’aliquota d’imposta viene ridotta dal 20% al 10%; • il tetto massimo imponibile passa da 250,000 yen a 125.000 yen. Per quanto riguarda la c.d. “Local Inhabitants Tax” le modifiche, sempre a partire dal 2006, riguardano: • l’aliquota d’imposta viene ridotta dal 15% al 7,5%; • il tetto massimo imponibile passa da 40.000 yen a 20.000 yen. Con riferimento alla tassazione degli immobili, sono previste nuove agevolazioni oltre all’estensione di quelle esistenti. Per quel che riguarda, invece, gli strumenti finanziari, saranno introdotte nuove modalità di tassazione e di gestione dei titoli, anche attraverso sistemi più efficienti. Dal punto di vista della fiscalità internazionale, si prevedono le seguenti novità: • l’estensione del periodo di deducibilità dei divi- OSSERVATORIO INTERNAZIONALE dendi delle subsidiaries straniere che passerà da 5 a 10 anni; • le società straniere che operano in Giappone e sono effettivamente gestite sul posto, potranno dedurre il 10% del costo del personale dal reddito tassabile in base alle regole sulle “CFC”; • i capital gain derivanti dalla vendita di titoli di società il cui valore deriva per almeno il 50% da beni o attività presenti in Giappone saranno tassate in questo paese; • sarà introdotta una ritenuta del 20% sul reddito prodotto da soggetti non residenti attraverso partnership con società giapponesi. Le nuove norme prevedono, inoltre, molte altre novità ed agevolazioni fiscali tra cui va ricordato l’introduzione di un nuovo credito d’imposta pari al 25% per le piccole imprese. Svezia Approvate nuove regole per il rilascio dei permessi di soggiorno per gli stranieri Sono entrate in vigore, in Svezia, nuove norme che regolano il rilascio dei permessi di soggiorno per i lavoratori stranieri. Tra le tante novità si segnala la possibilità per i soggetti residenti in altri stati membri dell’Unione europea di essere espulsi dalla Svezia se condannati per crimini da un tribunale svedese. Approvata la legge finanziaria per il 2005 Le autorità svedesi hanno approvato la legge finanziaria per il 2005 che contiene alcune misure di carattere fiscale tese a dare una spinta all’economia nazionale. Inoltre, sono previsti numerosi tagli per incentivare lo sviluppo del mercato del lavoro con la creazione di nuovi posti di lavoro. Tra gli altri, si segnalano i seguenti punti: • abbassamento della pressione fiscale per le persone fisiche; • innalzamento della deduzione base; • incremento delle deduzioni d’imposta per i lavoratori dipendenti. Sono, inoltre, previste agevolazioni e sconti fiscali per i figli a carico e più in generale per i familiari a carico oltre che per l’acquisto di autovetture ecologiche. Thailandia Adottate misure di sostegno fiscale contro la crisi petrolifera Il Ministro delle finanze tailandese ha reso noto che il governo intende adottare misure fiscali al fine di contrastare il continuo incremento del prezzo del petrolio ed il contestuale deprezzamento del dollaro. Le misure si inseriscono in un più ampio disegno di legge che prevede, tra l’altro, lo sviluppo dei fondi sociali e alcune misure fiscali volte a combattere la crisi economica in atto. L’obiettivo dichiarato è quello di stabilizzare l’economia e, di conseguenza, il gettito fiscale per i prossimi quattro anni. Approvate agevolazioni fiscali straordinarie per le vittime dello tsunami Al fine di fronteggiare l’emergenza umanitaria conseguente al cataclisma che ha interessato la Thailandia, il governo locale sta varando alcune importanti disposizioni che prevedono misure straordinarie a favore delle popolazioni colpite. In particolare si tratta della sospensioni dei termini fiscali e dell’introduzione di tassi di interesse molto bassi sui prestiti contratti da tali popolazioni. In tal modo si vuole venire incontro a chi ha perso ogni cosa nel disastro e non può più sostenere il carico fiscale. Usa Stimato l’impatto dei nuovi tagli fiscali Il Dipartimento del Tesoro americano ha reso noto che saranno milioni i contribuenti che beneficeranno dei tagli fiscali previsti nel “Tax Relief Reconciliation Act of 2001”. In particolare, la nuova aliquota del 10% interesserà 94 milioni di americani, mentre 27 milioni di famiglie beneficeranno dell’incremento delle detrazioni per figli a carico e 32 milioni di giovani coppie usufruiranno degli sconti fiscali previsti per i neo sposi. Maggio-Giugno 2005 265 QUESITI Quesiti di fiscalità internazionale I rimborsi Iva in Polonia per i soggetti non residenti La X S.p.a., società italiana, ha maturato un credito IVA in Polonia in relazione a taluni acquisti di beni. Ci si interroga sulle corrette modalità di compilazione e di inoltro della relativa richiesta di rimborso. Con Decreto del Ministro delle Finanze 23 giugno 2001 sono state introdotte in Polonia specifiche disposizioni, in vigore dal 1° luglio 2001, sulle modalità di esecuzione del rimborso dell’imposta pagata da soggetti non residenti sull’acquisto di beni e servizi. Sotto il profilo soggettivo, hanno diritto a richiedere il rimborso dell’imposta assolta sull’acquisto di beni e servizi, le persone fisiche, le persone giuridiche e le organizzazioni senza personalità giuridica prive di residenza, sede o stabile organizzazione in Polonia. Più specificatamente, il rimborso dell’IVA pagata sugli acquisti viene accordato alle seguenti condizioni: - il soggetto richiedente deve essere soggetto passivo IVA o di imposta similare nel Paese in cui ha la sua sede, residenza o domicilio, non deve essere soggetto passivo IVA in Polonia ed infine non deve ivi effettuare operazioni imponibili, con la sola eccezione di talune fattispecie, appositamente elencate nel predetto Decreto; - deve sussistere una condizione di reciprocità tra lo Stato di “appartenenza” dell’operatore economico e la Polonia. Sotto il profilo oggettivo, invece, il rimborso compete, con riferimento ai beni e ai servizi acquistati, nella sola misura in cui la relativa imposta risulti detraibile ai sensi della normativa polacca. Dal punto di vista meramente procedurale, infine, le richieste di rimborso devono essere fatte pervenire all’Ufficio IVA di Varsavia entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello a cui si riferisce il periodo per il quale è inoltrata la domanda, unitamente alle fatture originali e ai documenti doganali che attestano l’ammontare richiesto, e alla certificazione atta a dimostrare che il soggetto istante è passivo di imposta nel Paese in cui ha sede, residenza o domi266 Maggio-Giugno 2005 cilio. Quest’ultima, in particolare, rilasciata dalle autorità fiscali del Paese di appartenenza dell’operatore economico, deve rispettare la forma prevista dal Decreto in commento e ha una validità pari a un anno, con riferimento a tutte le diverse richieste di rimborso presentate nel medesimo anno solare. L’Ufficio IVA di cui sopra, a sua volta, ha tempo sei mesi dalla data di presentazione della richiesta per acconsentire al rimborso, salvo proroghe nell’eventualità in cui richieda un maggior corredo documentale, ed in caso di erogazione provvede altresì a restituire le fatture ed i documenti allegati alla domanda, opportunamente timbrati e contrassegnati onde evitarne il successivo utilizzo. L’accredito, in particolare, viene effettuato in valuta locale direttamente sul conto corrente del soggetto in Polonia o nel Paese in cui ha sede o residenza, senza spese per il disponente. a cura di Pierangelo Albertini ed Emanuele Lo Presti Ventura Studio Belluzzo&Associati Accordo con la Svizzera sulla Direttiva risparmio Quali sono, in sintesi, i termini principali dell’accordo stipulato dalla Commissione europea con la svizzera ai fini dell’adozione di misure “equivalenti” a quelle previste dalla Direttiva 2003/48/CE? Il 26 ottobre 2004 la Commissione europea ha concluso un accordo con la Svizzera che stabilisce l’adozione di misure “equivalenti” a quelle definite nella Direttiva 2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da risparmio transfrontalieri (Gazz. Uff. CE n. L 385 del 29 dicembre 2004). Il raggiungimento di un’intesa con la Svizzera è una delle condizioni a cui è subordinata la concreta operatività della Direttiva 2003/48/CE, che regola lo scambio automatico delle informazioni tra autorità competenti degli Stati membri in relazione al pagamento di interessi. L’accordo prevede, tra l’altro, che i pagamenti di interessi effettuati a beneficiari effettivi (persone fisiche) residenti in uno Stato membro UE da un QUESITI “agente pagatore” stabilito sul territorio della Svizzera siano soggetti a una ritenuta alla fonte. Il prelievo sarà operato nella misura del 15% per i primi tre anni, del 20% per il secondo triennio e del 35% negli anni successivi. La Svizzera è autorizzata a trattenere il 25% del gettito generato dalla ritenuta mentre dovrà trasferire il residuo 75% allo Stato membro di residenza del beneficiario effettivo. La Confederazione elvetica si impegna a stabilire una procedura che consenta al beneficiario effettivo di evitare l’applicazione della ritenuta, autorizzando espressamente l’agente pagatore situato in Svizzera a comunicare alle autorità competenti di tale Stato le informazioni riguardanti il pagamento di interessi. Relativamente ai redditi contemplati dall’accordo, le autorità competenti elvetiche e quelle degli Stati membri si scambieranno le informazioni sui comportamenti che costituiscono frode fiscale a norma della legislazione dello Stato interpellato o sulle violazioni analoghe (intendendosi per tali quelle che presentano lo stesso livello di illiceità, come definito dalla legislazione dello Stato che riceve la richiesta). Le informazioni verranno scambiate (limitatamente al campo di applicazione definito dall’accordo) in conformità alle procedure stabilite dalle Convenzioni in materia di doppia imposizione in vigore tra la Svizzera e lo Stato interessato. L’intesa siglata con la Confederazione elvetica investe anche l’applicazione della Direttiva 2003/49/CE su interessi e royalties (secondo modalità e termini fissati nell’accordo). Vengono inoltre definite le condizioni affinché i dividendi corrisposti dalle società figlie alle società madri (una delle quali abbia la residenza fiscale in Svizzera e l’altra in uno Stato membro) siano esenti da imposizione nello Stato d’origine. L’accordo richiede la ratifica o l’approvazione delle parti contraenti in conformità alle rispettive procedure. Come emerge dallo scambio di lettere intervenuto tra le parti, le disposizioni contenute nell’intesa dovrebbero applicarsi a partire dal 1° luglio 2005, “a condizione che gli obblighi costituzionali svizzeri siano soddisfatti entro tale data”. a cura di Piero Bonarelli “Contributi stampi” in ambito internazionale La nostra società stipula contratti con clienti esteri (di Paesi extra Ue) per la fornitura agli stessi di prodotti finiti realizzati mediante stampi e altre attrezzature predisposti per l’occasione. Tali stampi e attrezzature: • in certi casi: vengono ceduti al cliente estero, con addebito del relativo prezzo, e restano in prestito d’uso presso la società italiana; • in altri casi: restano di proprietà della società italiana; a fronte degli stessi la società italiana riceve un contributo, pari al costo di produzione degli stessi. Ci si chiede quali siano le procedure da osservare, ai fini Iva, nelle due situazioni sopra esposte. Nella prassi operativa è frequente il caso in cui il cliente estero, in base ad un unico contratto d’appalto, ma con distinti corrispettivi, incarichi l’impresa italiana di: • approntare gli stampi e le attrezzature necessari per realizzare una determinata produzione; • utilizzare gli stessi per la realizzazione della fornitura dei prodotti. Sul piano pratico possono aversi due ipotesi: • gli stampi e le attrezzature passano di proprietà del cliente estero e restano presso il cedente in “prestito d’uso”, al fine di realizzare la produzione programmata. In tale situazione: ° l’impresa italiana deve annotare gli stampi e le attrezzature su apposito registro (dei beni di terzi presso l’impresa) tenuto ai sensi dell’articolo 39 del D.p.r. n. 633/1972; tale registro deve essere tenuto al fine di vincere le presunzioni di cui al D.p.r. n. 441/1997 (il quale ha sostituito l’articolo 53 del D.p.r. n. 633/1972); ° gli stampi e le attrezzature devono essere fatturati senza applicazione dell’IVA in base all’articolo 8, primo comma, lettera a), D.p.r. n. 633/1972 (Cfr. in merito: Circolare n. 26/411138 del 3 agosto 1979, RM n. 412178 del 4 gennaio 1980, RM n. 421221 del 9 luglio 1980, RM n. 416907 dell’8 ottobre 1987, RM n. 500462 del 18 febbraio 1992); ° in sede di esportazione dei prodotti, anch’essi non imponibili ex articolo 8, primo comma, lettera a), D.p.r. n. 633/1972, nella bolletta di esportazione occorre tenere conto del corrispettivo addebitato per lo stampo/attrezzature (o in unica soluzione o con spalmatura sulle varie operazioni di esportazione dei prodotti finiti). Maggio-Giugno 2005 267 QUESITI Terminata la fabbricazione gli stampi e le attrezzature potranno o essere inviati al cliente estero o essere distrutti o resi inservibili. • gli stampi e le attrezzature restano di proprietà dell’impresa italiana (contributi in conto stampi/attrezzature), e vengono dalla medesima utilizzati per la realizzazione della produzione programmata. E’ da ritenere che il contributo in conto stampi/attrezzature costituisca una sorta di anticipo contrattuale (tale è l’interpretazione fornita dalla Risoluzione n. 186 del 17 agosto 1996, emessa in relazione a operazioni in- 268 Maggio-Giugno 2005 tracomunitarie, ma da ritenere valida anche in caso di operazioni di esportazione), con obbligo di sua fatturazione al cliente, ma sempre in basa all’articolo 8, primo comma, lettera a), D.p.r. n. 633/1972. In sede di esportazione dei pezzi, anch’essi da fatturare in base all’articolo 8, primo comma, lettera a), D.p.r. n. 633/1972, nella bolletta di esportazione occorre tenere conto del corrispettivo addebitato per lo stampo/attrezzature. (o in unica soluzione o con spalmatura sulle varie operazioni di esportazione dei prodotti finiti). a cura di Stefano Garelli DOCUMENTAZIONE CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, Bruxelles, 31 marzo 2005 (06.04) NOTA RIVEDUTA Oggetto: CODICE DI CONDOTTA per l’effettiva attuazione della Convenzione sull’arbitrato (90/436/CEE del 23 luglio 1990) CODICE DI CONDOTTA IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA E I RAPPRESENTANTI DEI GOVERNI DEGLI STATI MEMBRI, RIUNITI IN SEDE DI CONSIGLIO, VISTA la Convenzione 90/436/CEE del 23 luglio 1990 relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate, RICONOSCENDO la necessità per gli Stati membri e i contribuenti di disporre di norme più dettagliate per attuare in maniera efficace la summenzionata Convenzione, PRENDENDO ATTO della comunicazione della Commissione, del 23 aprile 2004, relativa alla relazione sulle attività del Forum congiunto dell’UE sui prezzi di trasferimento nel settore della tassazione delle imprese, contenente una proposta di codice di condotta, SOTTOLINEANDO che il codice di condotta è un impegno politico e non pregiudica i diritti e gli obblighi degli Stati membri o le rispettive sfere di competenza degli Stati membri e della Comunità derivanti dal trattato, RICONOSCENDO che l’attuazione del presente codice di condotta non deve ostacolare la ricerca di soluzioni su un piano più generale, ADOTTANO IL SEGUENTE CODICE DI CONDOTTA: Fatte salve le rispettive sfere di competenza degli Stati membri e della Comunità, il presente codice di condotta riguarda l’attuazione della Convenzione 90/436/CEE del 23 luglio 1990 relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate e ad alcune questioni connesse relative alle procedure amichevoli previste nel quadro delle convenzioni contro le doppie imposizioni tra Stati membri. 1. Decorrenza del periodo di tre anni (scadenza per la presentazione della domanda ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1 della Convenzione sull’arbitrato) Si considera data di decorrenza del periodo di tre anni la data del “primo avviso di accertamento fiscale o misura equivalente che comporta o può comportare una doppia imposizione ai sensi dell’articolo 1, per esempio a causa di una rettifica dei prezzi di trasferimento”(1). Per quanto riguarda i casi presentati in merito ai prezzi di trasferimento, si raccomanda agli Stati membri di applicare questa definizione anche per determinare il periodo di tre anni di cui all’articolo 25, paragrafo 1 del modello OCSE di convenzione fiscale sul reddito e sul patrimonio, attuato nelle convenzioni contro le doppie imposizioni tra Stati membri dell’UE. 2. Decorrenza del periodo di due anni (articolo 7, paragrafo 1 della Convenzione sull’arbitrato) (i) Ai fini dell’articolo 7, paragrafo 1 della Convenzione, un caso si considera sottoposto ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1 quando il contribuente fornisce le seguenti informazioni: a) identificazione (nome, indirizzo e codice di identificazione fiscale) dell’impresa dello Stato contraente che presenta la domanda e delle altre parti interessate alle operazioni in questione; b) informazioni particolareggiate per illustrare i fatti e le circostanze da prendere in considerazione (compresi i dettagli relativi alle relazioni tra l’impresa e le altre parti interessate alle operazioni in questione); c) indicazione dei periodi fiscali in questione; d) copie degli avvisi di accertamento fiscale, del verbale di constatazione o del documento equivalente che hanno comportato la presunta doppia imposizione; e) informazioni particolareggiate sulle cause o le procedure di ricorso avviate dall’impresa o dalle altre parti interessate alle operazioni in questione e eventuali sentenze del tribunale relative al caso; f) una relazione in cui l’impresa illustra i motivi per cui ritiene che i principi definiti all’articolo 4 della Convenzione sull’arbitrato non siano stati rispettati; g) l’impegno da parte dell’impresa a rispondere il più rapidamente possibile e nel modo più esauriente a tutte le richieste ragionevoli e appropriate formulate da un’autorità competente e a mettere a sua disposizione la documentazione necessaria; e Nota: Il rappresentante delle autorità fiscali italiane ritiene che il periodo di tre anni decorra dalla “data del primo avviso di accertamento fiscale o misura equivalente a seguito di una rettifica dei prezzi di trasferimento che comporta, o può comportare, una doppia imposizione ai sensi dell’articolo 1”, perché l’applicazione della vigente Convenzione sull’arbitrato dovrebbe essere limitata ai casi in cui si abbia una “rettifica” dei prezzi di trasferimento. (1) Maggio-Giugno 2005 269 DOCUMENTAZIONE h) eventuali informazioni supplementari specifiche richieste dalle autorità competenti entro due mesi dal ricevimento della domanda del contribuente. (ii) Il periodo di due anni decorre dalla data più recente fra le seguenti: a) la data dell’avviso di accertamento fiscale, ossia della decisione finale dell’amministrazione fiscale sul maggior reddito, o di una misura equivalente; b) la data in cui l’autorità competente riceve la domanda e le informazioni minime di cui al paragrafo 2, punto i). 3. Procedura amichevole avviata nel quadro della Convenzione sull’arbitrato 3.1 Disposizioni generali a) Conformemente agli orientamenti dell’OCSE, è applicato il principio della piena concorrenza senza tenere conto delle conseguenze fiscali immediate per singoli Stati contraenti. b) I casi sono risolti il più rapidamente possibile tenendo conto della loro complessità. c) Sono presi in considerazione tutti i mezzi indispensabili per giungere ad un accordo il più rapidamente possibile, compresi i confronti diretti; se necessario, l’impresa è invitata a illustrare il caso alla sua autorità competente. d) Tenendo conto delle disposizioni del presente codice, l’accordo deve essere raggiunto entro due anni dalla data in cui il caso è stato sottoposto per la prima volta ad una delle autorità competenti conformemente al paragrafo 2, punto ii) del presente codice. e) La procedura amichevole non deve imporre al richiedente, o a chiunque altro sia coinvolto nel caso, costi di adempimento non dovuti o eccessivi. 3.2 Funzionamento pratico e trasparenza a) Per ridurre al massimo i costi e i ritardi dovuti alla traduzione, la procedura amichevole, in particolare lo scambio dei documenti che illustrano la posizione delle autorità competenti, dovrebbe svolgersi in una lingua di lavoro comune, o con un metodo di effetto equivalente, se le autorità competenti possono giungere ad un accordo su base bilaterale. b) L’impresa richiedente la procedura amichevole è informata, dall’autorità competente a cui ha inviato la domanda, riguardo a tutti gli sviluppi significativi durante il corso della procedura. c) È assicurata la riservatezza delle informazioni relative a chiunque sia tutelato da una convenzione fiscale bilaterale o dalla normativa di uno Stato contraente. d) L’autorità competente accusa ricezione della domanda del contribuente che intende avviare una procedura amichevole entro un mese dal ricevimento della stessa e informa contemporaneamente le autorità compe- 270 Maggio-Giugno 2005 tenti degli altri Stati contraenti interessati allegando copia della domanda del contribuente. e) Se ritiene che l’impresa non abbia fornito le informazioni minime necessarie per avviare la procedura amichevole di cui al paragrafo 2, punto i), l’autorità competente, entro due mesi dal ricevimento della domanda, invita l’impresa a fornire le informazioni supplementari specifiche necessarie. f) Gli Stati contraenti si impegnano a fare in modo che l’autorità competente risponda all’impresa richiedente in uno dei modi seguenti: (i) se l’autorità competente non ritiene che gli utili dell’impresa siano inclusi, o possano essere inclusi, in quelli di una impresa di un altro Stato contraente, informa l’impresa dei suoi dubbi e la invita a formulare ulteriori osservazioni; (ii) se la domanda appare fondata e si può giungere ad una soluzione soddisfacente, l’autorità competente informa l’impresa e procede il più rapidamente possibile alle rettifiche o autorizza lo sgravio che ritiene giustificato; (iii) se la domanda appare fondata ma non si può giungere ad una soluzione soddisfacente, l’autorità competente informa l’impresa che cercherà di risolvere il caso ricorrendo alla procedura amichevole con l’autorità competente di ogni altro Stato contraente interessato. g) Se il caso è considerato fondato, l’autorità competente avvia una procedura amichevole informando l’autorità competente dell’altro Stato contraente della sua decisione e allega copia delle informazioni di cui al paragrafo 2, punto i) del presente codice. Nel contempo, informa la persona che ha chiesto l’applicazione della Convenzione sull’arbitrato di aver avviato la procedura amichevole. In base alle informazioni in suo possesso, l’autorità competente che ha avviato la procedura amichevole comunica inoltre all’autorità competente dell’altro Stato contraente e al richiedente se il caso è stato sottoposto entro la scadenza di cui all’articolo 6, paragrafo 1 della Convenzione sull’arbitrato e la data da cui decorre il periodo di due anni previsto all’articolo 7, paragrafo 1 di tale Convenzione. 3.3 Scambio dei documenti che illustrano la posizione delle autorità competenti a) Gli Stati contraenti si impegnano a fare in modo che, una volta avviata la procedura amichevole, l’autorità competente del paese in cui è stato effettuato, o sarà effettuato un accertamento fiscale, ossia dove si è giunti ad una decisione definitiva dell’amministrazione fiscale sul reddito o ad una misura equivalente, la quale prevede una rettifica che comporta o può comportare una doppia imposizione ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione sull’arbitrato, invii alle autorità competenti degli altri Stati contraenti interessati al caso un documento che illustra la sua posizione e in cui figurano: (i) la descrizione del caso fornita dal richiedente; DOCUMENTAZIONE (ii) il suo parere in merito, per esempio perché si ritiene che si sia verificata o che possa verificarsi una doppia imposizione; (iii) le misure da adottare per eliminare la doppia imposizione e una spiegazione dettagliata della proposta. b) Il documento contiene un’esauriente giustificazione della valutazione fiscale o della rettifica ed è corredato della documentazione di base a sostegno della posizione dell’autorità competente e di un elenco di tutti gli altri documenti utilizzati per la rettifica. c) Il documento è inviato a tutte le autorità competenti degli altri Stati contraenti interessati il più rapidamente possibile, tenuto conto della complessità del caso in questione, e non oltre quattro mesi dalla data più recente fra le seguenti: i) la data dell’avviso di accertamento fiscale, ossia della decisione finale dell’amministrazione fiscale sul maggior reddito, o di una misura equivalente; ii) la data in cui l’autorità competente riceve la domanda e le informazioni minime di cui al paragrafo 2, punto i). d) Gli Stati contraenti si impegnano a fare in modo che, qualora l’autorità competente di un paese in cui non è stato emesso, o non si intende emettere un avviso di accertamento fiscale o misura equivalente, che comporti, o possa comportare una doppia imposizione ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione sull’arbitrato, per esempio a causa di una rettifica dei prezzi di trasferimento, riceva un documento che illustra la posizione dell’altra autorità competente, essa risponda il più rapidamente possibile, tenendo conto della complessità del caso in questione e non oltre sei mesi dal ricevimento del documento. e) La risposta sarà fornita in uno dei due modi seguenti: (i) se ritiene che si sia verificata o possa verificarsi una doppia imposizione, e concorda con la soluzione proposta nel documento, l’autorità competente informa l’altra autorità competente e procede alle rettifiche o consente lo sgravio il più rapidamente possibile; (ii) se non ritiene che si sia verificata, o possa verificarsi una doppia imposizione, o non concorda con la soluzione proposta nel documento, l’autorità competente trasmette all’altra autorità competente un documento di risposta in cui espone le proprie ragioni e propone un calendario indicativo per l’esame del caso, tenendo conto della sua complessità. Eventualmente, la proposta include una data per i confronti diretti, che dovrebbero tenersi entro diciotto mesi a decorrere dalla data più recente fra le seguenti: aa) la data dell’avviso di accertamento fiscale, ossia della decisione finale dell’amministrazione fiscale sul maggior reddito, o di una misura equivalente; bb) la data in cui l’autorità competente riceve la domanda e le informazioni minime di cui al paragrafo 2, punto i). f) Gli Stati contraenti si impegnano a compiere ogni passo opportuno per accelerare le procedure, ogni qualvolta ciò sia possibile. A tale riguardo, gli Stati contraenti dovrebbero prevedere di organizzare periodicamente, e almeno una volta all’anno, riunioni tra le loro autorità competenti per esaminare le procedure amichevoli pendenti (purché il numero dei casi giustifichi tali riunioni). 3.4 Convenzioni contro le doppie imposizioni tra Stati membri Per quanto riguarda i casi relativi a prezzi di trasferimento, si raccomanda agli Stati membri di applicare le disposizioni dei paragrafi 1-3 anche alle procedure amichevoli avviate conformemente all’articolo 25, paragrafo 1 del modello OCSE di convenzione fiscale sul reddito e sul patrimonio, attuato nelle convenzioni contro le doppie imposizioni tra Stati membri. 4. Procedure durante la seconda fase della Convenzione sull’arbitrato 4.1 Elenco delle personalità indipendenti a) Gli Stati contraenti si impegnano a comunicare senza indugio al Segretariato generale del Consiglio dell’Unione europea i nomi delle cinque personalità indipendenti, candidate a diventare membri della commissione consultiva di cui all’articolo 7, paragrafo 1 della Convenzione sull’arbitrato e ad informarlo, alle stesse condizioni, di eventuali modifiche dell’elenco. b) All’atto della trasmissione dei nomi delle personalità indipendenti al Segretariato generale del Consiglio dell’Unione europea, gli Stati contraenti allegano un curriculum vitae di tali personalità che illustra, tra l’altro, l’esperienza che esse hanno maturate in campo giuridico, fiscale e, in particolare, in materia di prezzi di trasferimento. c) Gli Stati contraenti possono inoltre indicare nell’elenco le personalità indipendenti che soddisfano le condizioni per essere elette presidente. d) Il Segretario Generale del Consiglio chiede annualmente agli Stati contraenti di confermare i nomi delle personalità indipendenti e/o di comunicare i nomi dei loro sostituti. e) L’elenco completo di tutte le personalità indipendenti è pubblicato sul sito Web del Consiglio. 4.2 Costituzione della commissione consultiva a) Salvo diverso accordo tra gli Stati contraenti interessati, lo Stato contraente che ha emesso il primo avviso di accertamento fiscale, ossia la decisione finale dell’amministrazione fiscale sul maggior reddito, o la misura equivalente che comporta, o potrebbe comportare, una doppia imposizione ai sensi dell’articolo 1 della Conven- Maggio-Giugno 2005 271 DOCUMENTAZIONE zione sull’arbitrato, prende l’iniziativa di costituire la commissione consultiva e organizza le riunioni di questa, d’intesa con l’altro Stato contraente. b) La commissione consultiva è formata di norma da due personalità indipendenti, dal presidente e dai rappresentanti delle autorità competenti. c) La commissione consultiva è assistita da un segretariato le cui strutture organizzative sono messe a disposizione dallo Stato contraente che ha costituito la commissione consultiva, salvo diverso accordo degli Stati contraenti interessati. Per motivi di indipendenza, il segretariato è posto sotto il controllo del presidente della commissione consultiva. Conformemente alle disposizioni di cui all’articolo 9, paragrafo 6 della Convenzione sull’arbitrato, i membri del segretariato sono tenuti a mantenere il segreto. d) Il luogo in cui la commissione consultiva si riunisce e quello in cui è emesso il suo parere possono essere decisi anticipatamente dalle autorità competenti degli Stati contraenti interessati. e) Gli Stati contraenti mettono a disposizione della commissione consultiva, prima che si riunisca per la prima volta, tutta la documentazione e le informazioni pertinenti, in particolare i documenti, le relazioni, la corrispondenza e le conclusioni utilizzati durante la procedura amichevole. 4.3 Funzionamento della commissione consultiva a) Il caso è considerato sottoposto alla commissione consultiva il giorno in cui il presidente conferma che i suoi membri hanno ricevuto tutta la documentazione e le informazioni pertinenti di cui al paragrafo 4.2, lettera e). b) I lavori della commissione consultiva si svolgono nella lingua o nelle lingue ufficiali degli Stati contraenti interessati, a meno che le autorità competenti non decidano diversamente di comune accordo, tenendo conto della volontà della commissione consultiva. c) La commissione consultiva può chiedere alla parte che è fonte delle dichiarazioni o dei documenti di presentare una traduzione nella lingua o nelle lingue in cui si svolgono i lavori. d) Nel rispetto delle disposizioni dell’articolo 10 della Convenzione sull’arbitrato la commissione consultiva può chiedere agli Stati contraenti, in particolare allo Stato contraente che ha emesso il primo avviso di accertamento fiscale, ossia una decisione finale dell’amministrazione fiscale sul maggior reddito, o una misura equivalente che ha comportato o che potrebbe comportare una doppia imposizione ai sensi dell’articolo 1, di presentarsi dinanzi alla commissione consultiva. e) I costi connessi ai lavori della commissione consultiva, ripartiti equamente tra gli Stati contraenti interessati, sono le spese amministrative della commissione consultiva e i compensi e le spese delle personalità indipendenti. 272 Maggio-Giugno 2005 f) A meno che le autorità competenti degli Stati contraenti non decidano diversamente: i) il rimborso delle spese delle personalità indipendenti è limitato al rimborso previsto solitamente per i funzionari di grado elevato dello Stato contraente che ha preso l’iniziativa di costituire la commissione consultiva; ii) i compensi delle personalità indipendenti sono fissati a 1000 EUR a persona e per giorno di riunione della commissione consultiva; il presidente riceve un compenso superiore del 10% a quello previsto per le altre personalità indipendenti. g) Il pagamento effettivo delle spese connesse ai lavori della commissione consultiva è effettuato dallo Stato contraente che ha preso l’iniziativa di costituire la commissione consultiva, a meno che le autorità competenti degli Stati contraenti non decidano diversamente. 4.4 Parere della commissione consultiva Gli Stati contraenti si attendono che nel parere figurino: a) i nomi dei membri della commissione consultiva; b) la domanda, in cui devono essere indicati: - i nomi e gli indirizzi delle imprese interessate; - le autorità competenti interessate; - una descrizione dei fatti e delle circostanze della controversia; - una dichiarazione chiara in merito a quanto è richiesto; c) una sintesi della procedura; d) le tesi e i metodi sui quali si basa la decisione che figura nel parere; e) il parere; f) il luogo in cui è emesso il parere; g) la data in cui è emesso il parere; h) le firme dei membri della commissione consultiva. La decisione delle autorità competenti e il parere della commissione consultiva sono comunicati nel modo seguente: i) Una volta presa la decisione l’autorità competente cui è stato sottoposto il caso trasmette copia della decisione delle autorità competenti e del parere della commissione consultiva a ciascuna delle imprese interessate. ii) Le autorità competenti degli Stati contraenti possono accordarsi per rendere pubblici integralmente il parere e la decisione. Possono altresì decidere di rendere pubblici il parere e la decisione senza citare i nomi delle imprese interessate e senza fornire particolari che potrebbero rivelare l’identità di tali imprese. In ambedue i casi è richiesto l’accordo delle imprese e prima di ogni pubblicazione le imprese interessate devono aver comunicato per iscritto all’autorità competente a cui il caso è stato sottoposto di non avere obiezioni alla pubblicazione del parere e della decisione. iii) Il parere della commissione consultiva è redatto in tre copie originali, due delle quali da inviare alle autorità competenti degli Stati contraenti e una da trasmettere alla Commissione per l’archiviazione. Se vi è l’accordo per DOCUMENTAZIONE la pubblicazione del parere quest’ultimo è reso pubblico sul sito web della Commissione, nella lingua o nelle lingue originali. 5. Sospensione della riscossione dell’imposta durante le procedure transfrontaliere per la soluzione delle controversie Si raccomanda agli Stati membri di prendere le misure necessarie per fare in modo che la sospensione della riscossione dell’imposta durante le procedure transfrontaliere per la soluzione delle controversie avviate nel quadro della Convenzione sull’arbitrato possa essere ottenuta dalle imprese interessate da queste procedure, alle stesse condizioni previste per una causa/procedura di ricorso interna, anche se queste misure possono implicare cambiamenti legislativi in alcuni Stati membri. Sarebbe opportuno che gli Stati membri estendessero queste misure alle procedure transfrontaliere per la soluzione delle controversie nel quadro delle convenzioni contro le doppie imposizioni concluse tra Stati membri. 6. Adesione di nuovi Stati membri dell’UE alla Convenzione sull’arbitrato Gli Stati membri si adopereranno per firmare e ratificare, accettare o approvare la Convenzione di adesione dei nuovi Stati membri dell’UE alla Convenzione sull’arbitrato il più rapidamente possibile e in ogni caso entro due anni dall’adesione all’UE. 7. Disposizioni finali Per assicurare un’equa ed efficace applicazione del codice, gli Stati membri sono invitati a presentare ogni due anni una relazione sul suo funzionamento pratico alla Commissione. In base a queste relazioni, la Commissione ha l’intenzione di riferire al Consiglio e potrà proporre un riesame delle disposizioni del codice. Comunicato, Commissione europea, 16 marzo 2005, IP/05/304 Aiuti di Stato: la Commissione dichiara illegittime le agevolazioni fiscali concesse dall’Italia alle società ammesse alla quotazione in una borsa valori europea La Commissione europea ha deciso che un regime italiano che riduce l’aliquota nominale e l’aliquota effettiva dell’imposta sul reddito delle società che sono state ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato dell’UE nel 2004 viola le regole del trattato UE in materia di aiuti di Stato (articolo 87). Questa decisione è stata presa dopo un’indagine approfondita avviata nel febbraio 2004. Il regime falsa la concorrenza in quanto si applica ad un numero limitato di società - quelle in grado di farsi ammettere alla quotazione nell’arco del breve periodo di tempo (l’anno 2004) previsto dalla legge che l’ha istituito e costituisce una aiuto al funzionamento a favore di alcune delle imprese italiane a più rapida crescita. L’aiuto è stato messo ad esecuzione senza la previa autorizzazione della Commissione e deve essere rimborsato dai beneficiari. Le autorità italiane avevano previsto per il solo 2004 un minor gettito fiscale di 56 milioni di euro. L’intervento della Commissione eviterà gravi distorsioni di concorrenza vietando sostanziose agevolazioni fi- scali a favore di un ristretto numero di beneficiari in Italia” ha commentato il commissario competente per la politica di concorrenza, la signora N. K. L’Italia aveva istituito uno speciale regime fiscale destinato a concedere una riduzione (del 13%) per tre anni dell’aliquota dell’imposta sui redditi delle società a favore delle società ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato nel corso del 2004, più la deduzione per un anno dall’imponibile delle società stesse di un importo corrispondente alle spese sostenute per ottenere l’ammissione alla quotazione. Benché ne potessero formalmente usufruire tutte le imprese che ottenessero l’ammissione alla quotazione in una qualsiasi borsa valori dell’UE, il regime è apparso alla Commissione come una potenziale sovvenzione occulta a favore delle società in grado di farsi ammettere alla quotazione nel breve arco di tempo previsto. Avviando un’indagine formale nel febbraio 2004 (IP/04/1494), la Commissione intendeva accertare se il regime configurasse o no un aiuto. Da un’ indagine approfondita è emerso che nel 2004 sono state ammesse alla quotazione in Italia solo dieci società, ognuna delle quali avrebbe potenzialmente potuto beneficiare di una riduzione delle imposte per un totale di svariati milioni di euro. Benché l’importo esatto dell’aiuto vari da una società all’altra, la Commissione ha ritenuto che, visto che le società che ne avrebbero potuto usufruire erano tutte imprese in rapida crescita, il regime avrebbe avuto un impatto considerevole nei tre anni in cui le agevolazioni sarebbero state ap- Maggio-Giugno 2005 273 DOCUMENTAZIONE plicate. Dopo aver esaminato le osservazioni dell’Italia e i commenti ricevuti da terzi, la Commissione ha concluso che il regime costituisce un aiuto di Stato selettivo in quanto consente unicamente alle società ammesse alla quotazione durante il 2004 di fruire di una riduzione dell’imposta. L’aiuto è proporzionale agli utili realizzati dai beneficiari nel periodo ed equivale perciò ad un aiuto al funzionamento, un tipo di aiuto che è vietato. Inoltre, poiché l’aiuto è concesso mediante il sistema tributario nazionale, sono di fatto favorite le imprese registrate in Italia. Infine, il fatto che dell’agevolazione fiscale potessero beneficiare solo le società che si facevano ammettere alla quotazione in borsa si traduceva in un aiuto occulto a favore di alcune delle imprese con il tasso di crescita più 274 Maggio-Giugno 2005 alto nell’economia italiana ed aveva quindi effetti pregiudizievoli sugli scambi e sulla concorrenza all’interno della Comunità. La Commissione ha rilevato che l’aiuto non era neppure destinato a finanziare investimenti ammessi a beneficiare di un sostegno nel quadro delle regole sugli aiuti di Stato e doveva quindi essere considerato incompatibile con il mercato comune. Poiché ha dato esecuzione all’aiuto senza la previa autorizzazione della Commissione, l’Italia dovrà recuperare gli aiuti di cui i beneficiari abbiano già illegittimamente usufruito. L’Italia aveva avvertito i potenziali beneficiari della possibilità che l’agevolazione avrebbe potuto essere considerata un aiuto illegittimo già al momento dell’avvio dell’indagine formale e questo dovrebbe facilitare il recupero.