RIFORMA FISCALE DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE

SOMMARIO
La sintesi
181
di Carlo Garbarino
RIFORMA FISCALE
Profili internazionali della participation e dividend exemption
183
di Carmine Carlo
Il nuovo computo del credito d’imposta nel caso di perdite conseguite all’estero
188
di Pierpaolo Rossi
Le regole del consolidato fiscale nazionale per la stabile organizzazione di società non residente
196
di Giovanni D’Abruzzo
Il regime di trasparenza fiscale in presenza di soci non residenti
201
di Gesuino Vanetti
Aspetti comparati del consolidato fiscale: la disciplina tedesca
205
di Paola Marongiu
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
Lo scambio di partecipazioni come strumento di riorganizzazione in ambito nazionale - seconda parte
211
di Alessandro Umberto Belluzzo
La presunzione di indeducibilità dei costi nei contratti di commissione
218
di Laura Spinoso
Contributi versati dai membri di un GEIE alla sua stabile organizzazione in Italia
di Sebastiano Garufi
224
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
Approvate le norme che recepiscono la Direttiva 2003/48/CE
229
di Piero Bonarelli
Recenti sviluppi della Convenzione “arbitrale” in materia di prezzi di trasferimento
234
di Giovanni Rolle
Maggiorazione di conguaglio e dividendi: ritenute asimmetriche?
239
di Stefano Morri e Stefania Bernini
IVA COMUNITARIA
Lettera d’intenti, un nuovo adempimento per i fornitori di esportatori abituali
247
di Gianluca Alparone
Maggio-Giugno 2005
179
SOMMARIO
La presunta esenzione degli acquisti strumentali per attività esenti
250
di Ferdinando M. Spina
SCHEDE PAESE
A cura di Giovanni Rolle e Chiara Mejnardi
Romania
255
OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
a cura di Saverio Cinieri e Rosanna Acierno FISCO OGGI - Rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate
262
QUESITI DI FISCALITÀ INTERNAZIONALE
266
DOCUMENTAZIONE
269
Nota riveduta, Consiglio dell’Unione Europea, Bruxelles 31 marzo 2005
Comunicato, Commissione europea, 16 marzo 2005, IP/05/304
273
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FISCALITÀ INTERNAZIONALE
“La sintesi” n. 3/2005
di Carlo Garbarino(*)
In questo numero della Rivista ci occupiamo di alcuni importanti sviluppi della riforma fiscale in tre diverse aree. La prima area attiene alla dividend exemption ed alle interrelazioni di questa disciplina con quella del credito per le imposte assolte all’estero, anche nei casi particolari di perdite conseguite all’estero. La
seconda area attiene alle tematiche generali delle nuove forme di consolidamento fiscale, e quindi, da un lato, alle regole del consolidato fiscale nazionale per la stabile organizzazione di società non residente, e, dall’altro lato, al regime di trasparenza fiscale in presenza di soci non residenti. Inoltre, sempre in questa area di
approfondimento, pubblichiamo un importante studio comparatisco del consolidato fiscale italiano e tedesco
(che segue il precedente lavoro comparatistco sul consolidato mondiale pubblicato sulla Rivista).
In particolare, per quanto attiene la participation exemption si analizzano, sia con riguardo alle plusvalenze che ai dividendi, i casi un cui la partecipata estera abbia ovvero non abbia la residenza in un paese Black
list, soffermandosi sulle tematiche connesse al credito per le imposte assolte all’estero. In particolare si ricorda che in base all’art. 165 del TUIR, comma 10, nel caso in cui ai dividendi di fonte estera risulti applicabile l’art. 89 del TUIR, con una tassazione del solo 5% del dividendo percepito, anche le relative imposte
assolte all’estero sono detraibili nel limite del 5% delle stesse.
In questo settore particolare interesse desta il tema del nuovo computo del credito d’imposta nel caso di
perdite conseguite all’estero. In generale il trattamento accordato dal sistema italiano risulta ora più vantaggioso del regime di credito di cui al previgente articolo 15 del Testo Unico. Sono forniti numerosi esempi numerici e casi pratici che dimostrano questa vantaggiosità; in particolare si evidenzia che la disciplina interna
di cui all’articolo 165 può essere invocata dall’impresa italiana, in quanto più favorevole, in caso di perdite
pregresse conseguite all’estero.
Con riferimento invece alle tematiche del consolidato nazionale e della trasparenza, il tema comune oggetto di indagine in questo numero della Rivista è l’ipotesi di soci non residenti. E quindi, nell’articolo in materia di consolidato nazionale, si tratta delle società non residenti, dei caratteri della disciplina convenzionale con lo Stato di residenza della società estera, degli elementi di qualificazione della stabile organizzazione
ai fini della tassazione di gruppo, nonché dei problemi interpretativi suscitati dal requisito della “connessione effettiva” e delle modifiche introdotte dallo schema di decreto correttivo dell’IRES in corso di approvazione. Lo schema di decreto legislativo, approvato dal Consiglio dei ministri il 18 marzo sostituisce infatti il rapporto di “connessione effettiva” con un immediato collegamento delle partecipazioni sociali con la sfera patrimoniale della stabile organizzazione, su cui sono svolti interessanti approfondimenti nel testo.
Parimenti, in materia di trasparenza, il comma 2 dell’art. 115, non preclude l’opzione per la trasparenza fiscale alle società che annoverano tra i propri soci soggetti non residenti, a condizione che non vi sia alcun obbligo di ritenuta sugli utili distribuiti agli stessi. Si dimostra al riguardo che tale situazione si verifica se sono adempiuti i presupposti applicativi dell’art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973, ovvero se la partecipazione nella società trasparente sia relativa ad una stabile organizzazione italiana del socio estero.
Per quanto riguarda infine il consolidato fiscale provvediamo ad effettuare in questo numero della Rivista
una efficace sintesi dei tratti essenziali dell’istituto tedesco dell’Organschaft, analizzandone gli elementi
strutturali, - e cioè: soggetto controllante (Organträger), soggetto controllato (Organgesellschaft), requisito
(*)
Professore Associato di Diritto tributario, Università Bocconi, Milano. Coordinatore del Comitato Tecnico Internazionale, Università Bocconi.
Maggio-Giugno 2005
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dell’integrazione finanziaria (finanzielle Eingliederung), contratto di trasferimento di utili (Gewinnabführungsvertrag), - per individuare la nozione di reddito globale di gruppo comparativamente considerata rispetto al
sistema italiano.
Per quanto riguarda la sezione “Diritto tributario internazionale” riprendiamo l’analisi dello scambio di
partecipazioni come strumento di riorganizzazione in ambito nazionale e ci soffermiamo sul conferimento di
partecipazioni, evidenziando in particolare che il correttivo IRES consente ora lo scambio di partecipazioni
anche alle persone fisiche non imprenditori, ma ha lasciato alcune incertezze riguardo al regime di “neutralità” e alle differenze di “contabilizzazione”, tra lo scambio di partecipazioni mediante conferimento di cui all’art. 175, comma 1, e lo scambio di partecipazioni mediante conferimento di cui all’art. 177, comma 2; tali incertezze tuttavia sono risolvibili nella prospettiva della introduzione dei principi contabili internazionali.
Altro tema di “pianificazione fiscale” è quello della indeducibilità dei costi per operazioni intercorse con
imprese domiciliate in Paesi a fiscalità privilegiata, con riferimento al caso del soggetto italiano che agisce in
qualità di commissionario per la vendita di prodotti per conto di un committente domiciliato in un Paese a fiscalità privilegiata. L’interposizione di carattere reale del commissionario tra il committente estero ed i clienti finali italiani pone infatti il problema dell’individuazione del soggetto destinatario tenuto ad assolvere l’onere probatorio previsto dal comma 11 dell’articolo 110 del TUIR. Nel testo si dimostra che la risoluzione ministeriale del 1 febbraio 2005 n. 12/E offre l’occasione per analizzare la reale portata applicativa della norma
e pone in evidenza le difficoltà dell’interprete di fronte a talune ipotesi in cui non è configurabile una concreta applicabilità della norma.
Per quanto riguarda la giurisprudenza su temi comunitari, in questo numero consideriamo una importante
posizione assunta nella sentenza del 23 settembre 2004, causa 19152, dalla Corte di Cassazione, chiamata a
pronunciarsi riguardo al regime fiscale dei dividendi pagati da società figlie residenti in Italia a società madri
localizzate in altri Stati membri. La Suprema Corte ha enunciato alcuni importanti principi relativi al rapporto tra la Convenzione con i Paesi Bassi e la Direttiva CEE 90/435, ed al riguardo si rimanda al testo.
Infine con la risoluzione 15 febbraio 2005, n. 18/E, che qui si commenta, l’Agenzia delle Entrate ha risposto ad un’istanza di interpello presentata ai sensi dell’art. 11 dello Statuto dei contribuenti, per conoscere il
trattamento fiscale, ai fini IRES ed IVA, dei contributi versati dai membri di un GEIE non residente ad una
stabile organizzazione in Italia. L’Agenzia delle Entrate ritiene che i contributi erogati dai membri del GEIE
alla stabile organizzazione situata in Italia costituiscono corrispettivi per le prestazioni di assistenza e promozione che essa fornisce, per loro conto, a distributori e clienti finali in Italia, non già dei contributi in senso
proprio.
Per concludere, in tema di IVA comunitaria, affrontiamo i problemi applicativi relativi alla lettera d’intenti, un nuovo adempimento previsto per i fornitori di esportatori dalla legge finanziaria per il 2005; trattasi dell’obbligo di comunicare all’Amministrazione finanziaria, i contenuti delle lettere d’intenti ricevute, ossia di
quelle dichiarazioni rese a tali soggetti dagli esportatori abituali che attraverso questa procedura possono effettuare acquisti di beni e servizi in sospensione di imposta ex art. 8 comma 1 lettera c del D.P.R. 633/72. Altro tema di indagine, sempre in materia di IVA comunitaria è l’esenzione degli acquisti strumentali per attività esenti: la vigente lett. c dell’art. 13, parte B, della VI Direttiva IVA, sembra stabilire che il soggetto che
svolge un’attività esente ha diritto ad acquistare in esenzione da imposta i beni strumentali; sulla interpretazione di tali disposizioni si è acceso un vivace dibattito, oggetto di compiuta analisi nel testo.
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Maggio-Giugno 2005
RIFORMA FISCALE
Profili internazionali della participation
e dividend exemption
di Carmine Carlo(*)
1. Premessa
SOMMARIO:
1. Premessa - 2. Participation
exemption - Il criterio
della residenza in un paese
non Black list - 3. Cessione
di partecipazioni in società
Holding - 4. Dividend exemption Il criterio della non residenza
in un paese Black list 5. Dividendi incassati
per il tramite di Holding 6. Interrelazione con il novellato
istituto del credito per le imposte
assolte all’estero
La Legge delega n. 80/2003
che prevedeva l’introduzione
dei due nuovi istituti (participation e dividend exemption) ha
trovato la sua attuazione a mezzo il D.Lgs. 12 dicembre 2003,
n. 344, che a sua volta ha modificato il Testo Unico delle Imposte sui redditi. Le Circolari Ministeriali n. 25/E, n. 26/E del 16
giugno 2004 e la n. 36/E del 4
agosto 2004 sono poi le prime
circolari ministeriali in commento ai nuovi istituti ed alla
nuova formulazione del credito
per le imposte assolte all’estero (già presente all’art.
15 del vecchio TUIR).
Con l’introduzione della dividend exemption, si è
di fatto, determinato, il passaggio dal “vecchio regime” che, come noto, incentrava il prelievo fiscale in
base alla situazione personale del socio (c.d. metodo
dell’imputazione), al “nuovo regime” (c.d. metodo
dell’esenzione) che incentra, invece, il prelievo sulla situazione oggettiva dell’impresa in quanto tale.
In base a detta nuova impostazione, infatti, l’utile
viene ad essere tassato al momento della sua produzione in capo alla società. La successiva distribuzione ai soci (diversi dalle persone fisiche e dagli enti
non commerciali, per i quali sussiste ancora un’ulteriore tassazione, anche se solo in misura parziale)
diviene, quindi, un episodio privo di concreta rilevanza fiscale. In particolare, stante il carattere quasi definitivo della tassazione in capo all’impresa, i
dividendi distribuiti dalla stessa, in favore delle società socie sono, in sostanza, tassati in modo marginale (per il solo 5% dell’ammontare del dividendo
percepito).
In tale medesima ottica, e con riferimento l’introduzione della participation exemption, la cessione
di partecipazioni, al verificarsi di determinate condizioni, non è più fonte di emersione di plusvalenze
tassabili. In questo caso però, coerentemente, le
eventuali minusvalenze realizzate riguardanti partecipazioni
che danno diritto alla sono state
rese fiscalmente indeducibili.
Di seguito si analizzeranno i
principali aspetti internazionali
dei due nuovi istituti.
2. Participation
exemption - Il criterio
della residenza
in un paese non Black list
Ai sensi dell’art. 87 comma 1
lettera c) del TUIR affinché la
plusvalenza possa fruire del regime di participation exemption
deve sussistere (oltre gli altri requisiti previsti dagli
altri commi dell’articolo 87) il requisito della residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o
territorio diverso da quelli a regime fiscale privilegiato, o alternativamente, l’avvenuta dimostrazione
che dalle partecipazioni non sia stato conseguito, sin
dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati.
Gli Stati o territori a fiscalità privilegiata sono individuati dal D.M. 21 novembre 2001, così come modificato dal D.M. 27 dicembre 2002 (cd. Black list).
Il comma 2 del medesimo art. 87 del TUIR richiede poi che il requisito della residenza sussista
ininterrottamente, al momento del realizzo, almeno
dall’inizio del terzo periodo d’imposta anteriore al
realizzo stesso. Come sottolineato dalla C.M. 36/E
del 2004 tale ultima disposizione ha un carattere antielusivo volto a rendere irrilevanti i trasferimenti
della residenza fiscale in prossimità della cessione
delle partecipazioni, al fine di conseguire plusvalenze esenti su cessioni di partecipazioni altrimenti pri-
(*)
Membro del Comitato Tecnico Internazionale presso l’Istituto di
diritto comparato dell’Università L. Bocconi di Milano e della
Commissione di Fiscalità Internazionale dell’Ordine dei Dottori
Commercialisti di Milano.
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RIFORMA FISCALE
ve dei requisiti previsti. Chiaramente, qualora la
partecipata sia stata costituita da meno di tre anni
(ad esempio da soli due anni), il requisito sarà soddisfatto se comunque per il periodo intercorrente
dalla data di costituzione alla data di cessione la
partecipata abbia avuto la residenza fiscale in un
paese diverso da quelli a fiscalità privilegiata. Per
eliminare dubbi sorti in dottrina la C.M. 36/E del
2004 ha chiarito che il requisito in esame deve essere verificato in capo alla società partecipata risultando irrilevante che la partecipazione sia stata detenuta, nel periodo triennale di riferimento, dallo
stesso soggetto che consegue la plusvalenza ovvero
dal suo dante causa, così come ininfluente è la modalità di acquisizione della partecipazione (acquisto, conferimento o altre operazioni di riorganizzazione aziendale).
Qualora la partecipata risieda in uno Stato considerato Black list dai D.M. sopra richiamati, il regime
della participation exemption è comunque applicabile se la partecipante italiana ottiene dall’Agenzia
delle entrate un interpello positivo finalizzato a dimostrare che:
a) qualora la partecipazione sia stata posseduta da
meno di tre anni, almeno dall’inizio del terzo periodo d’imposta precedente quello della cessione
(comma 2 dell’art. 87) (Tabella 1)
oppure
b) qualora la partecipazione sia detenuta da più di
tre anni, sin dall’inizio del periodo di possesso
(comma 1 lettera c) (Tabella 2)
dalle partecipazioni non è conseguito l’effetto di
localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati e, per ciò stesso,
inseriti nelle cd. Black list. In particolare, il contribuente deve dimostrare, attraverso l’interpello, che i
redditi conseguiti dalla società partecipata sono stati prodotti in misura non inferiore al 75% in Stati o
territori diversi da quelli indicati nella Black list, ed
ivi sottoposti integralmente a tassazione ordinaria(1).
Nota:
Cfr. P. Occhiuto, La participation exemption relativa alle plusvalenze, in Fiscalità Internazionale n. 1/2004; R. Fanelli, L’Agenzia delle entrate chiarisce la “participation exemption”, in Corr. Trib. 34/2004
pag. 2699 e ss.; A. Dodero, Residenza fiscale della società partecipata e rapporto tra interpelli, in Corr. Trib. 40/2004 pag. 3131 e ss.
(1)
Tabella n. 1 - Esempio n. 5 contenuto nel par. 2.3.3 della C.M. 36/E del 2004
Dati
• Cessione della partecipazione avvenuta nel 2004;
• Partecipazione acquisita nel 2002 in una società che nel 2004 risiede in un Paese non Black list in cui si è trasferita nel 2003 provenendo da un Paese Black list.
Conseguenze
Non risiede in un Paese non Black list dal terzo periodo di imposta anteriore al realizzo, come previsto dal comma 2
Può attivare l’interpello dimostrando che da almeno un triennio non ha conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati
Per il periodo anteriore all’acquisto (ante 2002) la dimostrazione và fornita anche se il possesso era in capo ad un
altro soggetto
Se ha risposta positiva la partecipazione si qualifica per la participation exemption perché ha complessivamente
almeno tre anni in Paesi non Black list ovvero Black list ma con interpello
Tabella n. 2 - Esempio n. 9 contenuto nel par. 2.3.3 della C.M. 36/E del 2004
Dati
• Cessione della partecipazione avvenuta nel 2004;
• Partecipazione acquisita nel 1994 in una società costituita nel 1990 che nel 2004 risiede in un Paese non Black
list in cui si è trasferita nel 2002 provenendo da un Paese Black list.
Conseguenze
Non risiede in un Paese non Black list dal terzo periodo di imposta anteriore al realizzo, come previsto dal comma 2
Può attivare l’interpello dimostrando che da fin dal 1994 non ha conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati
Se ha risposta positiva la partecipazione è qualificabile per la participation exemption perché ha complessivamente più di tre anni in Paesi non Black list e Black list (questi ultimi “redenti” con interpello)
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RIFORMA FISCALE
L’istanza di interpello può essere presentata da
chiunque detenga una partecipazione potenzialmente qualificabile per l’esenzione, indipendentemente
dall’esistenza di un rapporto di controllo o collegamento.
Peraltro le C.M. 26/E e 36/E del 2004 hanno
chiarito che per la partecipazione detenuta in una
società residente nel Paese Black list la dimostrazione sulla delocalizzazione del reddito, resa ai fini della detassazione dei dividendi (per il 95% degli stessi), prevista dall’art. 89 comma 3 del TUIR, qualifica automaticamente ai fini del regime della participation exemption, senza la necessità di dover ripresentare un’altra istanza di interpello purché:
- al momento della cessione sia decorso il periodo
minimo triennale richiesto;
- i presupposti dell’interpello siano rimasti invariati nel periodo successivo alla trattazione del
medesimo e fino al momento del realizzo della
partecipazione.
Il regime di esenzione si applica, alle stesse condizioni anche alle plusvalenze realizzate a seguito
della cessione di strumenti finanziari rappresentati o
non da titoli ed emessi da soggetti non residenti a
condizione che venga rispettato il duplice requisito
richiesto dall’art. 44 comma 2, lettera b), del TUIR e
cioè che:
- si tratti di partecipazioni al capitale o al patrimonio di società ed enti non residenti;
- la relativa remunerazione, se corrisposta da una
società residente, sia totalmente indeducibile dal
reddito di impresa secondo il disposto dall’art.
109 comma 9, lettera b), del TUIR(2).
3. Cessione di partecipazioni in società
Holding
Il comma 5 dell’art. 87 del TUIR prevede che
“per le partecipazioni in società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di
partecipazioni, i requisiti di cui alle lettere c) e d)
del comma 1 si riferiscono alle società indirettamente partecipate e si verificano quando tali requisiti
sussistono nei confronti delle partecipate che rappresentano la maggior parte del valore del patrimonio sociale della partecipante”.
La norma riguarda la cessione di partecipazioni
nelle cosiddette holding, intendendo per tali le società che hanno per oggetto esclusivo o prevalente
della propria attività l’assunzione di partecipazioni.
Per valutare l’attività prevalente, come sottolineato dalla C.M. 36/E del 2004 occorre mettere a
confronto il valore corrente delle partecipazioni (e
non quello contabile) con quello dell’intero patrimonio sociale, considerando anche gli avviamenti positivi e negativi anche se non iscritti.
Al fine di qualificare per l’esenzione una partecipazione in una holding, il requisito di cui alla lettera c) (residenza in Paesi o territori diversi da quelli
compresi nella Black list ed esercizio di un’impresa
commerciale), congiuntamente con quello della lettera d) (commercialità) deve sussistere non in capo
alla stessa holding, bensì in capo alle società da
questa direttamente o indirettamente partecipate e
alle relative stabili organizzazioni.
La disposizione in esame persegue un’evidente
finalità antielusiva, in quanto altrimenti il contribuente, al fine di beneficiare del regime della participation exemption (in presenza degli altri requisiti)
avrebbe potuto collocare le partecipazioni non qualificate per l’esenzione (perché ad esempio la partecipata è residente in un paese Black list) nella holding e successivamente cedere la partecipazione in
quest’ultima(3).
Si ipotizzi, ad esempio, che la società A possegga
una partecipazione immobilizzata nella holding H,
che in via esclusiva gestisce partecipazioni in tre altre società, B, C, D.
Se la società A cede la partecipazione in H, per
valutare se la relativa plusvalenza si qualifichi per
l’esenzione occorre verificare che le società indirettamente partecipate da A tramite la holding H, vale
a dire B, C e D, siano in possesso dei requisiti richiesti dalla norma e, più precisamente, che:
- esercitino una effettiva attività commerciale;
- non siano residenti in paradisi fiscali.
Si ipotizzi che il patrimonio di B, residente in un
Paese Black list, sia pari a 100, quello di C residente in un Paese Black list, sia pari a 150 e quello di D,
residente in un Paese non Black list da almeno un
triennio, sia pari a 300. Qualora la società A dovesse cedere la partecipazione nella società holding H,
il requisito della residenza potrà considerarsi soddiNote:
Alla data di chiusura del presente articolo è in discussione l’approvazione del Decreto correttivo Ires che dovrebbe prevedere la modifica dell’art. 44 del TUIR. In particolare dovrebbe essere soppressa la
lettera b) e modificata la lettera a) del comma 2. Nella sostanza si dovrebbe semplificare la verifica di “similarità” delle azioni estere a
quelle interne. Infatti le partecipazioni al capitale o al patrimonio di
soggetti esteri saranno considerate similari alle azioni a condizione
che la relativa remunerazione sia totalmente indeducibile nella determinazione del reddito d’impresa nello Stato estero di residenza
del soggetto emittente.
(2)
Cfr. G. Ferranti, La “participation exemption” per le società “holding”, in Corr. Trib. n. 39/2004 pag. 3047 e ss.
(3)
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RIFORMA FISCALE
sfatto, in quanto la maggior parte del patrimonio della holding H (Corrispondente al patrimonio di D pari a 300) rispetta il principio della residenza in un
Paese non Black list da almeno un triennio.
ti dalle società ed enti non residenti, come per la
participation exemption, a cui si rinvia, si applica al
verificarsi della condizione prevista dall’articolo 44,
comma 2, lettera b).
4. Dividend exemption - Il criterio
della non residenza in un paese Black list
5. Dividendi incassati per il tramite
di Holding
Il comma 3 dell’articolo 89 del TUIR, coerentemente con quanto previsto dalla legge delega, dispone l’applicazione del medesimo trattamento previsto
per gli utili distribuiti da soggetti residenti, ossia
tassazione nei limiti del 5%, anche a quelli distribuiti dalle società ed enti non residenti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d), del TUIR, ad eccezione degli utili distribuiti da soggetti residenti negli
Stati o territori a regime fiscale privilegiato.
In quest’ultimo caso, ossia per gli utili distribuiti
da società ed enti residenti negli Stati o territori individuati dai D.M. sopra richiamati l’esclusione dalla formazione del reddito nella misura del 95% spetta, infatti, esclusivamente se le predette società ed
enti, a seguito della presentazione di un’istanza di
interpello all’Agenzia delle Entrate abbiano dimostrato che i redditi imputati dalla società partecipata siano stati regolarmente assoggettati a tassazione
in un Paese a fiscalità ordinaria, a decorrere dall’inizio del periodo di possesso della partecipazione(4).
Come sottolineato dalla C.M. 26/E del 2004 (par.
3.5) considerato che la norma rinvia alle condizioni
di cui all’articolo 87, comma 1, lett. c) - rilevanti ai
fini della “participation exemption” - deve ritenersi
che la circostanza esimente appena richiamata, volta a dimostrare la localizzazione del reddito in un
Paese terzo, non compreso nella Black list, deve ricorrere sin dall’inizio del periodo di possesso. (cfr.
paragrafo 3.2). L’art. 89 in commento, comunque, fa
richiamo al solo comma 1 lettera c) dell’art. 87 e non
anche al comma 2 dello stesso. Ne deriva, che in sede di interpello, il contribuente al fine di ottenere la
non imposizione del 95% dei dividendi percepiti
dalla partecipata residente in un Paese Black list dovrà solo dimostrare che sin dall’inizio del periodo di
possesso (magari pari ad un anno) non sia stato conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati a tassazione privilegiata, senza dover dimostrare invece
(come per l’interpello ai fini della participation
exemption) che tale requisito sussisteva in capo alla
partecipata almeno dall’inizio del terzo periodo
d’imposta anteriore al realizzo, o distribuzione del
dividendo nel caso di specie.
La non imponibilità del 95% degli utili distribui-
L’art. 89 del TUIR, a differenza di quanto previsto dall’art. 87 del TUIR con riferimento alla participation exemption non prevede alcuna norma antielusiva qualora i dividendi distribuiti da una società residente in un Paese a fiscalità privilegiata siano incassati per il tramite di una holding. Pertanto qualora il contribuente, tramite interpello, grazie alla prima esimente prevista dall’art. 167 comma 5 lettera
a) del TUIR (dimostrazione che la partecipata svolge
un’effettiva attività industriale o commerciale, come
sua principale attività, nello Stato o nel territorio nel
quale ha sede) riesca ad ottenere la disapplicazione
della normativa CFC di cui all’art. 167 del TUIR si
potrebbe trovare nella seguente situazione: A) se dovesse cedere la partecipazione detenuta nella società holding, non essendo stato presentato interpello di cui alla seconda esimente dell’art. 167 comma
5 lettera b), l’eventuale capital gain non potrebbe
beneficiare del regime della participation exemption,
per contro B) se dovesse percepire dalla holding dividendi distribuiti dalla partecipata residente nel
Paese Black list gli stessi sconterebbero una imposizione in Italia pari al solo 5%.
186
Maggio-Giugno 2005
6. Interrelazione con il novellato istituto
del credito per le imposte assolte
all’estero
Il sistema del credito d’imposta per le imposte assolte all’estero, secondo la vecchia formulazione
dell’art. 15 del TUIR aveva comportato alcuni dubbi. Infatti, parte della dottrina e della giurisprudenza non riteneva conforme al dettato ed allo spirito
della vecchia norma la possibilità di detrarre solo in
modo parziale (5% con riferimento al vecchio art. 96
bis e 40% con riferimento al vecchio art. 96 del
TUIR) le eventuali ritenute alla fonte subite all’estero. Secondo invece la nuova formulazione dell’art.
165 del TUIR, ed in particolare il comma 10, tale
dubbio non ha più ragione di esistere infatti è espliNota:
(4)
Cfr. M. Magenta, La participation exemption relativa ai dividendi,
in Fiscalità Internazionale n. 1/2004.
RIFORMA FISCALE
citamente previsto che “Nel caso in cui il reddito
prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera
va ridotta in misura corrispondente”. Ne deriva che
nel caso in cui ai dividendi di fonte estera risulti applicabile l’art. 89 del TUIR, con una tassazione del
solo 5% del dividendo percepito, anche le relative
imposte assolte all’estero saranno detraibili nel limite del 5% delle stesse(5).
La nuova formulazione dell’art. 165 del TUIR ha
aggiunto poi il principio di “riportabilità” in avanti
ed indietro dell’eccedenza di imposta pagata nello
Stato estero rispetto a quella dovuta in Italia. Su
questo principio sorge un dubbio, infatti non è chiaro se quest’ultima regola della “riportabilità” vale
solo nel caso di reddito d’impresa realizzato all’estero per il tramite di una stabile organizzazione od anche per le diverse componenti del reddito d’impresa,
quali ad esempio dividendi, interessi e royalties.
Secondo un’analisi della norma sembra evincersi
quanto segue: 1) laddove il legislatore ha voluto intendere “reddito d’impresa prodotto all’estero per il
tramite di una stabile organizzazione” lo ha fatto
esplicitamente nel comma 5 dell’art. 165 del TUIR;
2) con riferimento al comma 10 si aggiunga che, il
legislatore, accogliendo una proposta della commissione Finanze della camera dei deputati, dal passaggio dallo schema di D.Lgs. al testo finale del D.Lgs
in commento ha volontariamente eliminato ogni riferimento al reddito d’impresa prodotto all’estero “per
il tramite di stabile organizzazione”(6), precisazione
quindi contenuta solo nel vecchio schema di D.Lgs.
e non nella norma definitiva.
Ne deriva che il riporto in avanti ed indietro dovrebbe potersi applicare ad ogni eccedenza d’imposta estera su quella italiana, con l’unica condizione
che il soggetto che riceve detti redditi realizzi reddito d’impresa. Pertanto, detta normativa potrà applicarsi ad esempio alle società che ricevono dividendi
da un soggetto non residente e sulle quali l’imposta
estera, pagata ad esempio, tramite ritenuta alla fonte nello Stato estero risulti essere superiore a quella
dovuta in Italia.
Note:
(5)
Cfr. M. Lombardo, Il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero, in Fiscalità Internazionale n. 4/2004 pag. 323 e ss.
(6)
L. Miele, Imposte estere, riporto doppio, Il Sole 24 Ore del 1 settembre 2004.
Maggio-Giugno 2005
187
RIFORMA FISCALE
Il nuovo computo del credito d’imposta
nel caso di perdite conseguite all’estero
di Pierpaolo Rossi(*)
1. Il credito d’imposta
per le imposte pagate
sugli utili esteri
Testo Unico, come modificato
dal D.Lgs. 344/2003, che ha soSOMMARIO:
stituito l’articolo 128 del Testo
1. Il credito d’imposta
Unico avente identico contenuper le imposte pagate sugli utili
to. La dottrina(4) pacificamente
Il regime d’imposta sulle soesteri - 2. Il nuovo computo
cietà in Italia si fonda sul prinritiene che l’articolo 169 si
del credito per le imposte pagate
cipio della tassazione degli utili
conformi al previgente articolo
all’estero - 3. Il sistema del credito
globalmente maturati da un’im75 del D.P.R. n. 600 del 1973,
nel caso di perdite conseguite
presa residente in Italia ed
secondo il quale gli accordi inall’estero
ovunque prodotti. In conformità
ternazionali contro la doppia
con tale principio, sono ordinaimposizione non pregiudicano
riamente soggetti ad imposta itaai fini della determinazione delliana gli utili relativi ad attività d’impresa condotta
le imposte dovute in Italia l’applicazione delle norall’estero da soggetti residenti in Italia(1). Poiché la
me più favorevoli al contribuente come quelle relative al credito d’imposta per i redditi prodotti all’estemaggior parte dei paesi esteri nei quali le imprese
ro previste dal diritto interno.
italiane operano prevede un prelievo fiscale sugli
Si rammenta che le Convenzioni per evitare le
utili prodotti alla fonte, sono frequenti le situazioni
doppia imposizione sono accordi internazionali bilanelle quali il reddito maturato da un’impresa italiaterali con i quali due stati contraenti regolano l’eserna, oltre ad essere già oggetto d’imposizione nel paecizio della propria potestà impositiva riguardo fattise estero di produzione, viene anche ad essere inspecie che possono essere rilevanti, a fini fiscali, per
cluso nel reddito complessivo soggetto ad imposizioentrambi gli ordinamenti dei paesi contraenti. Attrane in Italia. In tale caso, conformemente allo stanverso le norme pattizie negoziate nelle Convenzioni,
dard internazionale, è l’Italia quale paese di resisi cerca di prevenire i possibili conflitti positivi di
denza dell’impresa a dover accordare un rimedio per
imposizione che sorgono quando la medesima fattiovviare all’imposizione subita all’estero.
specie è tassata da entrambi gli stati. Oggetto delle
Tale standard oltre ad aver influenzato le regole
Convenzioni sono le imposte sul reddito e, talvolta,
convenzionali dei singoli trattati per evitare le dopalcuni elementi del patrimonio. Le Convenzioni conpie imposizioni che l’Italia ha concluso, è anche radicato nel sistema nazionale interno. La doppia imposizione giuridica viene espressamente vietata sia
Avvocato, LL.M. International Tax, NYU ‘02.
dalla Legge Delega 80/2003 per la riforma del sisteNote:
ma tributario nazionale(2) che dall’articolo 163 del
Si vedano in proposito, rispettivamente, ai fini dell’IRE (per le per(3)
Testo Unico delle Imposte sui Redditi . Il divieto insone fisiche), gli articoli 3 e 23 e, ai fini dell’IRES (per le persone giuterno di doppia imposizione presuppone meccaniridiche), gli articoli 81, 151 e 23 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi - TUIR, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato
smi unilaterali (che prescindono dalle Convenzioni
dal D.Lgs. 12 dicembre 2003 n. 344, in vigore dal 1° gennaio 2004.
bilaterali eventualmente applicabili) per la sua eliCfr. l’articolo 2, lettera d) della Legge 80/2003 e la relativa relaziominazione. In particolare, il Testo Unico delle Impone al disegno di Legge Delega dove si legge che il divieto di doppia
imposizione giuridica è una conseguenza necessaria dei principi di
ste sui Redditi presuppone l’applicazione dei rimedi
uguaglianza nell’imposizione e di giustizia fiscale ed ha una portata
internazionali previsti dalle convenzioni per evitare
ampia, comprensiva della doppia imposizione interna e della doppia
imposizione internazionale.
le doppie imposizioni concluse dall’Italia, ovvero, se
Come modificato dal D.Lgs. 12 dicembre 2003 n. 344, in vigore dal
più favorevoli, dei rimedi interni previsti dallo stes1° gennaio 2004, che sostituisce l’articolo 127 del vecchio TUIR, idenso Testo Unico. La norma che permette l’applicaziotico.
ne del rimedio più vantaggioso al fine dell’eliminaLeo, Monacchi, Schiavo, Le Imposte sui Redditi nel Testo Unico,
zione della doppia imposizione, è l’articolo 169 del
Giuffré 1999, II-1658.
(∗)
(1)
(2)
(3)
(4)
188
Maggio-Giugno 2005
RIFORMA FISCALE
tro le doppie imposizioni stipulate dal nostro Paese
adottano sostanzialmente il modello di Convenzione
predisposto dall’OCSE.
In Italia, le Convenzioni per evitare la doppia imposizione entrano a far parte dell’ordinamento giuridico al termine di una procedura che si articola in
quattro fasi. In una prima fase avvengono i negoziati, durante i quali le delegazioni composte da esperti delle amministrazioni finanziarie dei due Stati
contraenti concordano il testo del trattato. L’intesa è
formalizzata con l’apposizione della sigla da parte
dei capi delle delegazioni (parafatura). Subito dopo,
ha inizio la fase di amministrazione dell’accordo da
parte del Ministro dell’Economia e delle Finanze o
del Ministro degli Affari Esteri, con cui si perviene
alla firma del testo definitivo. Le Convenzioni, una
volta firmate, sono recepite nel nostro ordinamento
attraverso la ratifica da parte del Parlamento, attuata con una legge ordinaria che conferisce piena ed
integrale esecuzione al trattato. L’effettiva applicazione della Convenzione è, però, subordinata all’ultima fase, affidata al Ministero degli Affari Esteri,
che prevede lo scambio degli strumenti di ratifica tra
i paesi contraenti. La conferma dell’avvenuto scambio degli strumenti di ratifica è reso noto attraverso
la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale con cui è stabilita l’entrata in vigore dell’accordo
Pertanto, conformemente a quanto la stessa nota
ministeriale al D.P.R. 600/1973 illustra, l’originaria
formulazione della norma secondo la quale “nell’applicazione delle disposizioni concernenti le imposte
sui redditi sono fatti salvi gli accordi internazionali
resi esecutivi dall’Italia” è del tutto superflua atteso
che l’obbligo di rispettare gli accordi internazionali
deriva dalle stesse leggi che li rendono esecutivi in
Italia.
Il sistema italiano di eliminazione della doppia
imposizione internazionale è quindi di tipo dualistico, nel senso che a lato dei rimedi convenzionali
previsti dai trattati bilaterali per evitare le doppie
imposizioni ai quali l’Italia ha aderito, si pongono i
rimedi interni. Considerata la finalità delle disposizioni in questione, quella di evitare la doppia imposizione, la soluzione nel concreto più vantaggiosa al
contribuente sarà quella legittimamente applicabile
al contribuente italiano.
Al fine di effettuare una valutazione del trattamento in concreto più vantaggioso per eliminare la
doppia imposizione internazionale sugli utili prodotti all’estero da imprese residenti in Italia e quindi
permetterci d’individuare la soluzione più favorevole è necessario descrivere in dettaglio i due mecca-
nismi applicati in Italia a livello convenzionale ed a
livello nazionale.
L’eliminazione della doppia imposizione sugli
utili esteri in base alle convenzioni bilaterali per
evitare le doppie imposizioni adottate dall’Italia si
richiama al metodo del credito d’imposta ordinario
previsto all’Articolo 23B del Modello di Convenzione predisposto dall’OCSE. Tale metodo si basa su un
meccanismo di detrazione dall’imposta italiana dell’ammontare corrispondente all’imposta pagata all’estero sul reddito ivi maturato, limitatamente peró all’imposta italiana applicabile sulla parte del reddito
complessivo derivante dall’estero, così da non ridurre l’imposta dovuta in Italia sugli utili ivi realizzati.
Il metodo scelto dall’Italia si caratterizza per la
neutralità del prelievo fiscale che l’Italia impone sugli utili realizzati dai propri residenti indipendente
dal luogo ove questi vengono prodotti. Col credito
d’imposta ordinario, l’erario si comporta in maniera
neutrale nel tassare le imprese residenti che producono utili in Italia rispetto a quelle che decidono di
operare all’estero, in quanto il carico d’imposta italiano rimane costante nelle due situazioni. Pertanto,
in caso di minore imposta pagata all’estero rispetto
allo stesso reddito prodotto in Italia, una differenza
d’imposta si renderà ancora dovuta in Italia.
Si rammenta che il credito d’imposta per gli utili
tassati all’estero non deve essere confuso con l’esenzione accordata ai dividendi distribuiti da società
controllata di un paese membro diverso da quello
della società beneficiaria italiana che li riceve. Tale
esenzione, prevista a livello comunitario tra società
madri e figlie di Stati Membri differenti in base alla
nota direttiva comunitaria 90/435/CEE (la cosiddetta direttiva madri/figlie) è diretta ad eliminare la
doppia imposizione economica (non quella giuridica) relativa alla distribuzione di utili tra soggetti diversi appartenenti ad una stessa catena societaria.
L’esenzione sui dividendi percepiti dalle società madri per evitare la doppia imposizione economica è
connessa all’esercizio d’impresa sotto forma di gruppo anziché sotto forma d’impresa unitaria, e nulla ha
a che vedere coi rimedi alla doppia imposizione giuridica derivante dall’esercizio di attività d’impresa
all’estero, che è quella tipica delle situazioni internazionali. Le Convenzioni per l’eliminazione delle
doppie imposizioni si riferiscono esclusivamente all’eliminazione della doppia imposizione giuridica
gravante sui redditi transnazionali e non alla doppia
o multipla imposizione economica.
Sul piano interno, il legislatore nazionale ha coerentemente e già da tempo inteso adottare lo stesso
Maggio-Giugno 2005
189
RIFORMA FISCALE
meccanismo utilizzato nell’aderire alle Convenzioni
bilaterali negoziate con i paesi esteri, che è appunto
basato sul metodo del credito d’imposta ordinario.
Secondo il previgente articolo 15 del Testo Unico
“se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a
titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta fino alla concorrenza della
quota di imposta italiana corrispondente al rapporto
tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo
al lordo delle perdite di precedenti periodi d’imposta
ammesse in diminuzione”. Il metodo della detrazione
dall’imposta italiana dell’imposta pagata all’estero,
limitatamente all’imposta italiana corrispondente al
pro rata del reddito estero sul reddito complessivo, è
il rimedio adottato dall’ordinamento interno per l’eliminazione della doppia imposizione sugli utili
esteri.
2. Il nuovo computo del credito
per le imposte pagate all’estero
Aderendo alla citata Legge Delega n. 80/2003, il
legislatore ha tenuto a riformulare la disciplina del
credito per le imposte pagate da soggetti residenti
sugli utili prodotti all’estero al fine di conformarsi
allo standard internazionale. Come evidenziato dalla
dottrina, la riformulazione della disciplina relativa
al credito d’imposta di cui all’articolo 165 del Testo
Unico adatta il regime del credito ai problemi pratici emersi nel corso degli anni e presenta importanti
elementi di novità che sono riassumibili nei seguenti punti principali.
Anzitutto, la nuova disciplina del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero di cui all’articolo
165 del Testo Unico definisce, al comma secondo,
quando i redditi si considerano prodotti all’estero,
attraverso un richiamo all’articolo 23 del Testo Unico, il quale a sua volta detta i criteri di collegamento per l’identificazione dei redditi prodotti in Italia
dai non residenti e quindi si presta in forma indiretta e speculare a definire, in assenza di un regime
convenzionale applicabile, i redditi prodotti all’estero da soggetti residenti in Italia. Per quanto più particolarmente riguarda l’esercizio d’impresa, sono
prodotti all’estero gli utili derivati dall’esercizio dell’attività d’impresa all’estero attraverso una stabile
organizzazione, così come definita dall’articolo 162
del Testo Unico.
A questo proposito, si segnala che l’applicazione
della nozione di stabile organizzazione italiana per
determinare gli utili esteri che possono beneficiare
190
Maggio-Giugno 2005
del credito d’imposta in Italia potrebbe determinare
fenomeni di doppia imposizione. Laddove la tassazione estera non fosse limitata agli utili prodotti da
una stabile organizzazione cosí come definita da una
Convenzione con l’Italia, gli utili esteri potrebbero
non risultare attribuibili ad una stabile organizzazione secondo la definizione italiana: questo consentirebbe il computo del credito d’imposta su tali utili in
base all’articolo 165 del Testo Unico, al posto degli
utili effettivamente tassati all’estero.
In secondo luogo, il comma 3 dell’articolo 165 citato riafferma il principio dell’applicazione separata
della detrazione d’imposta relativamente a ciascuno
stato estero dove il reddito è conseguito. Il cosiddetto sistema di per-country-limitation del credito d’imposta per gli utili prodotti all’estero impedisce l’utilizzo degli utili prodotti in paesi a bassa fiscalità per
conseguire maggior credito d’imposta da utilizzare e
ridurre le imposte da pagare in Italia. Un’eccezione
a tale principio è stata introdotta dalla riforma attuata dal D.Lgs. 344/2003 al fine di tenere conto dell’effetto del nuovo istituto del consolidato mondiale
sul meccanismo del credito d’imposta. Richiamando
l’articolo 136, commi 3 e 6 relativi appunto al consolidato mondiale, l’articolo 165, comma 3, citato,
consente in caso d’applicazione del regime del consolidato mondiale il computo del credito d’imposta
per gli utili prodotti all’estero dovrà eseguirsi separatamente con riferimento non a ciascuno stato ma a
ciascuna controllata estera, anche qualora più controllate siano residenti nello stesso paese estero (il
cosiddetto limite del per-entity-limitation). I commi
4 e 5 dell’articolo 165 citato introducono regole più
razionali relativamente alla possibilità d’imputazione del credito d’imposta relativo agli utili conseguiti
all’estero secondo il principio di competenza, cioè
nel periodo cui appartiene il reddito estero prodotto
all’estero senza imporre un differimento forzoso relativo al previgente sistema di detrazione secondo il
principio temporale di cassa.
Infine, è il caso di ricordare che il nuovo articolo
165, comma 6 porta rimedio ad uno dei maggiori difetti del previgente credito d’imposta per utili esteri,
prevedendo il riporto all’indietro ed in avanti del
credito per otto esercizi relativamente alle imposte
pagate all’estero, inutilizzato per un periodo in relazione al limite d’utilizzo del credito previsto in un
dato periodo. Anche relativamente a questi casi il
nuovo regime di cui all’articolo 165 del Testo Unico
prevede regole specifiche per adattare il meccanismo del credito in questione alle particolarità del
consolidamento fiscale. Il nuovo primo comma del-
RIFORMA FISCALE
l’articolo 165 specifica infine alcune modalità del
computo del credito d’imposta per gli utili tassati all’estero, che è opportuno esaminare in modo dettagliato. Le nuove modalità sembrano innovare in modo rilevante il meccanismo del credito d’imposta italiano per gli utili prodotti all’estero, ampliando, in
modo inappropriato tenuto conto degli obiettivi della riforma e comunque in modo difforme alla pratica
derivante dall’applicazione delle Convenzioni per
evitare le doppie imposizioni seguita dal Modello
OCSE, il credito d’imposta disponibile nel caso di
perdite pregresse col risultato di permettere, almeno
temporaneamente, una riduzione dell’imposta finale
pagabile in Italia al netto del credito d’imposta sugli
utili transnazionali in esame, negli anni successivi
all’imputazione di perdite estere.
3. Il sistema del credito
nel caso di perdite conseguite all’estero
Come noto, il sistema del credito per le imposte
pagate sugli utili esteri produce vantaggi straordinari e considerati essere inappropriati e non voluti dal
paese della residenza che adotta il sistema del credito d’imposta ordinario nel caso gli utili stranieri
siano negativi, vale a dire quando l’impresa residente in Italia consegua una perdita all’estero. Questo
vantaggio straordinario deriva dal fatto che nel sistema del credito ordinario la determinazione del limi-
te del credito detraibile dall’imposta italiana si basa
sul pro-rata tra il reddito estero ed il reddito complessivo, il quale produce un credito nullo nel caso
di perdita estera, nell’esercizio in cui questa è conseguita, ma permette di computare un credito più
elevato di quello spettante nel caso di utili esteri
conseguiti negli esercizi successivi.
Alcuni esempi possono contribuire ad illustrare
il vantaggio in questione, considerando un’impresa
residente in Italia che per semplicità d’illustrazione
supponiamo soggetta ad imposta complessiva del
40% comprensiva di IRES ed IRAP (che, supponiamo applicabile sugli utili conseguiti all’estero, nonostante la territorialità che caratterizza questa ultima
imposta), e che in un primo anno d’esercizio produca un utile di 100 derivante dalle proprie attività in
Italia, accompagnato da una perdita di 20 conseguita nel paese estero S, dove l’aliquota d’imposta è pari a 50% (quindi più elevata che in Italia). Poniamo
quindi che, nel secondo esercizio d’attività, l’impresa italiana produca un utile di 70 in Italia e di 50 nel
paese estero S.
Il computo dell’imposta sopportata nel corso dei
due esercizi dall’impresa residente (che si avvale
del credito d’imposta in Italia) è sintetizzato dalle
risultanze della tavola 1. Il computo evidenzia appunto il vantaggio straordinario derivante dall’utilizzo del metodo del credito d’imposta in situazioni
in cui l’impresa abbia conseguito perdite in eserci-
Tavola 1 - Tassazione dell’impresa residente in Italia secondo il metodo del credito d’imposta ordinario
(senza attribuzione della perdita estera dedotta negli esercizi precedenti)
Esercizio 1
Esercizio 2
Totali
Utili in Italia al 40%
100
70
170 (imposta sul solo
utile italiano = 68)
Utili nel paese S al 50%
(20)
50
30
Utili totali
80
120
200
Imposta iniziale in Italia
32 (40% di 80)
48 (40% di 120)
Credito d’imposta = minore tra:
• Imposta estera
• Limitazione = Imposta
in Italia x Utile S/Utile totale
minore tra:
•0
• 32 x 0/80 = 0
Credito = 0
minore tra:
• 25
• 48 x 50/120
Credito = 20
Imposta finale in Italia
(Imposta iniziale - Credito)
32
28
= 60 (cioè 8 meno
dell’imposta astrattamente
dovuta in Italia sul solo
utile italiano)
Utile netto dopo imposte in S e ITA 48
67
115
Maggio-Giugno 2005
191
RIFORMA FISCALE
zi pregressi. Il vantaggio deriva dal fatto che l’impresa beneficia nei successivi esercizi del credito
d’imposta computato sugli utili esteri attuali e senza in alcun modo correggere il credito per le perdite pregresse che è stato imputato con un valore fiscale più elevato.
La tavola 1 dimostra che il sistema del credito
d’imposta ordinario “regala” una riduzione dell’imposta italiana applicabile con riferimento al solo utile italiano e che pertanto non dovrebbe diminuire in
Italia per effetto delle perdite pregresse conseguite
all’estero. In altre parole, il credito sulle imposte pagate all’estero erode l’imposta sugli utili italiani e
quindi si manifesta non neutrale in quanto favorisce
gli investimenti all’estero, seppure nelle sole situazioni di perdita estera portata in diminuzione al reddito complessivo del residente italiano.
Il credito d’imposta previgente la novella recata
dal D.Lgs. 344/2003 dava appunto luogo a tale vantaggio straordinario nel computare il limite alla detrazione d’imposta sulla base del rapporto tra gli utili (o le perdite) esteri ed il reddito globale al lordo
delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione in tali periodi. Il pro rata che
determinava il limite al credito non permetteva di attribuire, ai soli fini del calcolo del credito in Italia,
le perdite ammesse in diminuzione dal reddito estero, nell’esercizio successivo e consentiva in tal modo
un duplice utilizzo della perdita conseguita all’estero; una prima volta ai fini della determinazione del-
l’utile estero nell’esercizio d’imputazione della perdita, quale utile al netto della perdita subita, ed una
seconda volta in Italia quando l’imposta estera da
detrarre è computata al lordo della perdita subita.
Per ovviare a tale inconveniente, il combinato disposto dei paragrafi 65 e 44 del Commentario all’articolo 23A e B del Modello di Convenzione per evitare le doppie imposizioni raccomanda - non appena
il ritorno all’utile dell’impresa lo consenta - di dedurre la perdita conseguita dall’utile estero conseguito negli esercizi successivi alla perdita al fine di
ridurre il credito utilizzabile per eliminare la doppia
imposizione nello stato di residenza dell’impresa. La
seguente tavola 2 (riprendendo i dati ipotizzati nell’esempio sopra-riportato) illustra il correttivo da apportare al credito d’imposta italiano al fine di garantire la neutralità del trattamento fiscale degli utili
esteri in Italia, secondo quanto raccomandato dal
Commentario al Modello OCSE.
Occorre quindi esaminare la novella introdotta
dall’articolo 165, primo comma, del Testo Unico circa
le modalità di computo del credito d’imposta italiano
nel caso di perdite conseguite negli esercizi precedenti. Ai sensi di tale meccanismo, il computo del
credito viene parzialmente ridefinito commisurando il
limite alla detrazione d’imposta al rapporto tra l’utile
prodotto all’estero ed il reddito complessivo in Italia
ma da considerare non più al lordo ma al netto delle
perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in
diminuzione. La tavola 3 illustra il computo del credi-
Tavola 2 - Tassazione dell’impresa residente in Italia secondo il metodo del credito d’imposta ordinario
(con attribuzione della perdita conseguita negli esercizi precedenti)
Esercizio 1
Esercizio 2
Totali
Utili in Italia al 40%
100
70
170 (imposta sul solo
utile italiano = 68)
Utili nel paese S al 50%
(20)
50
30
Utili totali
80
120
200
Imposta iniziale in Italia
32 (40% di 80)
48 (40% di 120)
Credito d’imposta = minore tra:
• Imposta estera
• Limitazione = Imposta
in Italia x Utile S/Utile totale
minore tra:
•0
• 32 x 0/80 = 0
Credito = 0
minore tra:
• 25
• 48 x 50-20/120
Credito = 12
Imposta finale in Italia
(Imposta iniziale - Credito)
32
36
= 68 (l’esatta imposta
dovuta in Italia sul solo
utile italiano)
Utile netto dopo imposte in S e ITA 48
59
107
192
Maggio-Giugno 2005
RIFORMA FISCALE
to d’imposta italiano seguendo la nuova formulazione
definita dall’articolo 165, primo comma.
Il trattamento accordato dal sistema italiano risulta notevolmente più vantaggioso non solo rispetto
a quello raccomandato dal Commentario al Modello
di Convenzione OCSE, ma anche al precedente regime di credito di cui all’articolo 15 del testo Unico
previgente. Ci sembra evidente infatti che le nuove
modalità di computo del limite del credito d’imposta
italiano consentono di “erodere” l’imposta nazionale
in modo eccessivo e realizzano una rottura del principio di neutralità che il legislatore italiano si era
proposto di realizzare con la riforma del 2003.
Sembra difficile pervenire ad una conclusione diversa come proposto da taluni(5), secondo la quale il
beneficio straordinario a favore delle imprese che
conseguono perdite nell’esercizio dell’attività all’estero introdotto dalle nuove modalità di computo del
credito d’imposta per redditi esteri di cui all’articolo
165 del Testo Unico sarebbe solo apparente rispetto
al previgente articolo 15 del Testo Unico. È stato infatti rilevato che, accanto alla norma dettata dal citato articolo 15, il credito d’imposta era anche disciplinato dalle disposizioni di coordinamento rinvenibili all’articolo 5 del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42,
in base al quale “La quota fino a concorrenza della
quale, a norma dell’articolo 15, comma 1, del testo
unico, sono ammesse in detrazione le imposte pagate
all’estero è determinata con riferimento all’imposta
italiana corrispondente al reddito complessivo netto,
senza tenere conto delle perdite di esercizi precedenti,
alla cui formazione hanno concorso i redditi prodotti all’estero”.
Tale disposizione non fa altro che prevedere che
il calcolo della quota d’imposta ex articolo 15, si
fondi sulla determinazione dell’imposta iniziale italiana applicabile sul reddito complessivo italiano ed
implicitamente riconosce che tale imposta è quindi
solo virtuale, perché intenzionalmente non tiene
conto dell’imputazione della perdita estera sull’utile
successivamente conseguito nell’esercizio dell’impresa estera, in quanto appunto relativo al computo
dell’utile netto estero e non italiano.
In proposito si rappresenta che la determinazione
dell’imposta iniziale italiana è solo il primo passaggio
del computo della quota d’imposta nazionale che può
essere diminuita per effetto del credito d’imposta. Come abbiamo sopra illustrato, nel sistema del credito
d’imposta ordinario solo l’imposta (virtuale) sull’utile
del paese dove l’impresa è residente viene considerata ai fini del calcolo del limite al credito d’imposta.
Nota:
Stefano Giorgi, La Tassazione dei Redditi Transnazionali - Il Credito
d’Imposta per i Redditi Prodotti all’Estero, Collana Comparative and
International Taxation, Egea 2004, p. 36
(5)
Tavola 3 - Tassazione dell’impresa residente in Italia secondo il metodo del credito d’imposta
ordinario (con riattribuzione della perdita conseguita negli esercizi precedenti, ma secondo
le disposizioni del nuovo articolo 165 TUIR)
Esercizio 1
Esercizio 2
Totali
Utili in Italia al 40%
100
70
170 (imposta sul solo
utile italiano = 68)
Utili nel paese S al 50%
(20)
50
30
Utili totali
80
120
200
Imposta iniziale in Italia
32 (40% di 80)
48 (40% di 120)
Credito d’imposta = minore tra:
• Imposta estera
• Limitazione = Imposta
in Italia x Utile S/Utile totale
minore tra:
•0
• 32 x 0/80 = 0
Credito = 0
minore tra:
• 25
• 48 x 50/120 = 20
Credito = 24
Imposta finale in Italia
(Imposta iniziale - Credito)
32
20
= 52 (cioè 16 meno
dell’imposta astrattamente
dovuta in Italia sul solo
utile italiano)
Utile netto dopo imposte in S e ITA 48
75
123
Maggio-Giugno 2005
193
RIFORMA FISCALE
Come anticipato, il calcolo del limite di credito determina delle conseguenze derogatoriamente favorevoli all’impresa beneficiaria residente in quanto eleva in
modo inappropriato il limite di credito detraibile, nel
caso in cui l’impresa abbia conseguito perdite pregresse all’estero, e questo costituisce una distorsione che
viene corretta attraverso la deduzione della perdita pregressa dall’ammontare dell’utile estero attuale posto al
numeratore del pro-rata di imposta virtuale italiana da
cui può essere detratta l’imposta estera. In tal modo, risultando un limite alla detrazione inferiore (per effetto
del minore utile estero) l’effetto finale conseguito è
quello di ridurre il credito o addirittura di azzerarlo fino a quando l’utile estero non permette di compensare
le perdite pregresse subite, col risultato che si continuerà a pagare l’imposta in Italia sugli utili conseguiti
all’estero senza alcun credito per le imposte eventualmente ivi pagate. Questo correttivo (la deduzione della
perdita pregressa dall’utile attuale estero) permette di
conseguire l’obiettivo di neutralità da parte del sistema
fiscale italiano per quanto riguarda i redditi conseguiti
all’estero, i quali sono comunque sottoposti almeno al
livello d’imposta italiana.
Secondo altri commentatori, tuttavia, per effetto
del nuovo articolo 165, l’articolo 5 del D.P.R.
42/1988 non sarebbe più applicabile in quanto riferito al meccanismo dell’articolo 15 del vecchio Testo
Unico, col risultato che ora l’imposta italiana da
prendere a base del computo del limite al credito dovrebbe essere considerata non più al lordo ma al netto, cioè al suo valore effettivo, il quale ingloberebbe
pertanto le perdite estere pregresse.
I primi commenti alla riforma avrebbero in effetti
fatto notare come tale nuovo computo sia “potenzialemente peggiorativo” qualora le perdite pregresse siano pari o superiori al reddito complessivo. Infatti, in
base ad una prima ricognizione del nuovo dato normativo potrebbe apparire che con la nuova disciplina
il computo del limite debba essere effettuato con riferimento all’imposta netta a debito, ovvero quella finale, a carico dell’impresa residente, e non più in base
all’imposta virtuale calcolata sull’utile iniziale dell’impresa in Italia, senza quindi considerare l’imputazione delle perdite pregresse. Essendo l’imposta finale dovuta in Italia inferiore all’imposta iniziale sull’utile complessivo dell’impresa, ne deriverebbe che la
Tavola 4 - Tassazione dell’impresa residente in Italia secondo il metodo del credito d’imposta ordinario
(con riattribuzione della perdita conseguita negli esercizi precedenti, ma secondo le disposizioni
del nuovo articolo 165 TUIR e della “presunta” abolizione dell’articolo 5 del D.P.R. 42/1988 )
Esercizio 1
Esercizio 2
Totali
Utili in Italia al 40%
100
70
170 (imposta sul solo
utile italiano = 68)
Utili nel paese S al 50%
(20)
50
30
Utili totali
80
120
200
Imposta iniziale in Italia
32 (40% di 80)
48 (40% di 120) Tuttavia,
ai fini del computo
dell’imposta iniziale
per la limitazione del
credito, l’imposta iniziale
è 40 (40% di 120 - 20)
Credito d’imposta = minore tra:
• Imposta estera
• Limitazione = Imposta
in Italia x Utile S/Utile totale
minore tra:
•0
• 32 x 0/80 = 0
Credito = 0
minore tra:
• 25
• 40 x 50/120 = 20
Credito = 20
Imposta finale in Italia
(Imposta iniziale - Credito)
32
28
= 60 (cioè 8 meno
dell’imposta astrattamente
dovuta in Italia sul solo
utile italiano)
Utile netto dopo imposte in S e ITA 48
67
115 (utilizzo del metodo
del credito senza correttivi)
194
Maggio-Giugno 2005
RIFORMA FISCALE
porzione dell’imposta estera detraibile diventerebbe
anch’essa minore e causerebbe un minore credito.
In sostanza, il computo relativo al limite che secondo certa parte della dottrina sarebbe applicabile
al credito per imposte pagate all’estero può essere illustrato dalla tavola 4 (vedi pag. precedente), la quale ai fini comparativi fa riferimento alla situazione
riassunta nell’esempio precedente. Il computo permette di rilevare come nel caso venga seguita la proposta interpretazione relativa alla non vigenza dell’articolo 5 del D.P.R. 42/1988 successivamente all’abrogazione dell’articolo 15 del vecchio Testo Unico, il credito d’imposta detraibile corrisponderebbe
a quello ante riforma intervenuta con l’articolo 165
riepilogato alla tavola 1, e pertanto il beneficio derivante dal nuovo computo del credito “al netto delle
perdite pregresse” sarebbe in effetti neutralizzato
dall’abolizione dell’articolo 5 citato.
Non sembra possibile avallare una tale ricostruzione, almeno sulla base della nozione del credito d’imposta ordinario che l’Italia ha adottato nell’aderire a
numerose Convenzioni bilaterali che ricalcano lo
standard internazionale OCSE ed in base alle quali il
credito per imposte pagate all’estero deve essere limitato alla quota di imposta del paese di residenza applicabile al reddito estero, per evitare che il paese di
residenza finanzi col proprio erario le imposte estere
pagate dall’impresa. Il limite posto dal paese di residenza dell’impresa all’utilizzo del credito per imposte
pagate all’estero non può tuttavia essere unilateralmente diminuito in una situazione dove una Convenzione per evitare le doppie imposizioni sia applicabile e quindi questa interpretazione non potrebbe essere sostenuta dall’amministrazione italiana in caso
l’impresa invochi l’applicabilità di un più elevato limite d’utilizzo del credito sulla base di modalità di
computo direttamente ricollegabili all’interpretazione
della Convenzione derivante dallo standard OCSE.
In altre parole, secondo chi scrive, l’impresa potrebbe legittimamente invocare la spettanza di un
credito più elevato, ed in particolare quello evidenziato alla tavola 3. Questo anche perché non ci sembra di rintracciare nell’ordinamento italiano una volontà espressa tesa ad abrogare il disposto dell’articolo 5 del D.P.R. 42/1988 il quale dovrebbe continuare ad applicarsi anche in assenza dell’articolo 15
del vecchio Testo Unico. In secondo luogo, la nostra
interpretazione sembra avvalorata dal fatto che il riferimento dell’articolo 5 citato all’articolo 15 era solo ricognitivo dell’istituto del credito per le imposte
pagate all’estero e dovrebbe ora essere inteso come
rivolto nei confronti dell’articolo 165, anziché esse-
re considerato come abrogato. Infine riesce difficile
giustificare una riduzione dell’imposta iniziale italiana da considerare nel computo del limite del credito, in quanto l’imposta finale logicamente corrisponde al risultato conclusivo del processo di determinazione del credito che necessariamente si fonda
sulla determinazione iniziale dell’imposta virtuale
in Italia sull’utile complessivo. Non si comprende
quindi come l’imposta virtuale da ridurre in Italia attraverso il credito possa essere determinata già al
netto delle perdite pregresse.
In conclusione, anche in caso d’applicazione delle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni, la
disciplina interna di cui all’articolo 165 può essere
invocata dall’impresa italiana, in quanto più favorevole, in caso di perdite pregresse conseguite all’estero. La situazione di perdita all’estero è peraltro
non infrequente quando l’impresa nazionale opera in
forma iniziale per penetrare i mercati esteri. Il risultato dell’applicazione della disposizione interna più
favorevole è che l’imposta italiana normalmente dovuta sull’utile nazionale viene in parte utilizzata, in
senso favorevole all’impresa italiana, quale credito
per imposte pagate all’estero. Di fatto, in tali situazioni l’erario italiano finanzia il pagamento delle imposte estere da parte della propria impresa(6).
D’altra parte, non sembra applicabile l’interpretazione proposta da parte della dottrina e riassunta alla
tavola 4 circa il computo del pro-rata creditabile sulla base dell’imposta effettiva netta dovuta in Italia, in
quanto il fondamento legale interno non sembra fondarsi su alcun elemento positivo e dovrebbe essere
disapplicata consentendo l’imputazione di un maggiore credito. Ci sembra quindi che il regime interno
di tassazione degli utili di imprese residenti prodotti
all’estero presenti certi vantaggi che favoriscono situazioni di perdite iniziali all’estero, tipiche della fase di penetrazione di nuovi mercati stranieri da parte
delle imprese italiane, e che questo regime interno
avrà prevalenza sul regime convenzionale in quanto
più favorevole di questo ultimo.
Nota:
In modo speculare, il conseguimento di perdite in Italia compensate da eccedenze d’utile estere (riporto delle eccedenze estere utilizzate per compensare perdite in Italia), determina uno svantaggio
straordinario per l’impresa italiana, in relazione all’applicazione del
limite al credito d’imposta detraibile negli esercizi in cui l’impresa
torna in utile, in quanto il credito per l’imposta estera (più elevata di
quella italiana) viene eccessivamente ridotto dal mancato riporto
dell’eccedenza estera “bruciata” per compensare la perdita italiana.
Per neutralizzare tale svantaggio, nella computazione del credito
l’utile estero deve essere aumentato dell’eccedenza utilizzata negli
esercizi di perdita italiana per innalzare il credito fruibile.
(6)
Maggio-Giugno 2005
195
RIFORMA FISCALE
Le regole del consolidato fiscale nazionale
per la stabile organizzazione
di società non residente
di Giovanni D’Abruzzo(*)
ad una fattispecie caratterizzata
Nella disciplina del consoliSOMMARIO:
da elementi di estraneità. In quedato nazionale un rilievo non se1. Le società non residenti st’ottica, si comprende la previcondario è riservato alle società
2. I caratteri della disciplina
sione dell’art. 117, 2° comma,
non residenti che dispongono,
convenzionale con lo Stato
lett. b) del TUIR, nel testo risulin Italia, di una stabile organizdi residenza della società estera tante dalla riforma attuata con il
zazione, cui, per ragioni di pa3. Gli elementi di qualificazione
D.lgs. del 12 dicembre 2003,
rità di trattamento e di non didella stabile organizzazione n.344, che ha introdotto alcuni
scriminazione, è consentito di
4. I problemi interpretativi
criteri condizionanti l’ammissioesercitare l’opzione per il consosuscitati dal requisito
ne al consolidato per questa calidamento degli imponibili delle
della “connessione effettiva” tegoria di soggetti, quali:
controllate residenti. Due sono
5. Le modifiche introdotte
(1) la residenza in uno Stato con
le condizioni richieste per l’amdallo schema di decreto correttivo
il quale risulta vigente un acmissione al regime del consolidell’IRES
cordo contro le doppie impodato: 1) la residenza in un Paese
sizioni;
con il quale sono attivi strumen(2) l’esercizio nel territorio dello
ti di mutua assistenza amminiStato di un’attività d’impresa, contraddistinta dai restrativa, per lo scambio di informazioni tra le rispetquisiti di commercialità indicati dall’art. 55 del
tive amministrazioni fiscali; 2) l’esistenza di un rapTUIR, mediante una stabile organizzazione “alla
porto di connessione effettiva tra la stabile organizquale la partecipazione in ciascuna società controlzazione e le partecipazioni nelle società residenti.
lata sia effettivamente connessa”.
Le difficoltà di ricostruire praticamente il contenuto
Ricorrendo, dunque, queste condizioni concomidi questo secondo requisito hanno indotto il legislatanti, la stabile organizzazione (rectius: la casa matore a prevederne la sostituzione, nello schema di
decreto correttivo dell’IRES in corso di approvazione, con un più lineare collegamento delle partecipaAvvocato - Docente di Diritto Tributario Università di Parma
zioni sociali con il patrimonio della stabile organizNota:
zazione. In questo articolo si analizzano i problemi
La soluzione adottata non risponde, tuttavia, ad una scelta discreinterpretativi suscitati dall’attuale testo legislativo e
zionale, ma è stata imposta dall’esigenza del rispetto del principio di
le semplificazioni derivanti dalla modifica proposta.
non discriminazione, previsto nell’ambito delle Convenzioni interna(*)
(1)
1. Le società non residenti
Conformemente alla soluzione adottata da altri ordinamenti in materia di soggetti ammessi alla tassazione di gruppo, anche il legislatore italiano ha incluso tra i legittimati all’opzione per il particolare modulo impositivo le società holding non residenti(1). Si tratta, com’è intuitivo, di una previsione condizionata ad
una qualche forma di collegamento del rapporto di
controllo con l’ordinamento italiano, necessario per
realizzare il modello di tassazione di gruppo rispetto
196
Maggio-Giugno 2005
zionali stipulate dall’Italia come condizione basilare di ordinato sviluppo dei rapporti economici transfrontalieri; il divieto di trattamento fiscale discriminatorio è, in particolare, previsto dall’art. 24 del
Modello di Convenzione OCSE. Su di esso, cfr, ex multis, Van Raad,
Non discrimination in international tax law, Deventer, 1986, 213 e ss.;
F. Amatucci, Il principio di non discriminazione fiscale, Padova, 1998,
63 e ss. Ma, ancora più pregante si rivela, in questa materia, il principio comunitario di eguaglianza di trattamento, che ha trovato la sua
più peculiare espressione nel principio di libertà di stabilimento (art
43 - ex art. 52 - del Trattato istitutivo della Comunità Europea), la cui
rigorosa applicazione, anche in questo caso, è rivolta ad assicurare il
beneficio della disciplina nazionale dello Stato membro ospitante alle succursali ed agenzie, situate nello stesso territorio, di società
aventi la sede all’estero. Vastissima la letteratura sul tema. A titolo
meramente indicativo può farsi rinvio alla sintesi di Medici, Convenzioni fiscali e principio di non discriminazione nell’Unione Europea,
in Dir. e prat. trib, 6, 1998, 854 e ss.
RIFORMA FISCALE
dre per suo tramite) potrà esercitare l’opzione “in
qualità di controllante” del (segmento di) gruppo localizzato in Italia.
Con quest’ultima previsione si assegna, dunque,
alla stabile organizzazione di una società non residente l’esclusivo ruolo di consolidante, in coerenza,
del resto, con la natura e le caratteristiche della stabile organizzazione stessa, che, costituendo un’articolazione operativa della società non residente, un
nucleo imprenditoriale organicamente legato alla
casa madre, non sarebbe suscettibile di rapporti di
controllo o di influenza da parte di soggetti terzi, risultando, per converso, interamente assorbita e compenetrata nella sede centrale estera(2).
Attraverso i requisiti in precedenza indicati, dunque, l’ordinamento introduce dei presupposti in base ai quali si opera il riconoscimento formale della
qualità di controllante della società non residente ai
fini della disciplina del consolidato nazionale.
2. I caratteri della disciplina
convenzionale con lo Stato di residenza
della società estera
Il primo dei presupposti richiesti è quello della
vigenza di Convenzioni contro le doppie imposizioni
con lo Stato di residenza della società estera.
La formula legislativa appare, tuttavia, riduttiva
rispetto alla sua ratio. Il regime convenzionale, infatti, in questa ipotesi, è richiesto non solo e non tanto per precludere l’accesso al consolidato nazionale
di holding localizzate in Stati o territori a fiscalità
privilegiata, quanto, più incisivamente, per soddisfare quelle esigenze di accertamento e di controllo
necessarie per garantire il corretto funzionamento
del particolare modello di tassazione di gruppo. A
tali esigenze appartengono, per un verso, il rispetto,
da parte del soggetto non residente, dello status formale di società cui, ai sensi del 1° comma dell’art.
117, è riconosciuto l’attributo di “società o ente controllante”, e, nel contempo, della condizione di vitalità imposta dalla mancata ricorrenza di una delle
cause di esclusione previste dal 2° comma dell’art.
126. Mentre, per altro verso, a venire in rilievo è, soprattutto, un’esigenza di verificabilità dei parametri
che definiscono il requisito di controllo ai sensi dell’art. 120 del TUIR, la cui ricorrenza, particolarmente nell’ipotesi di controllo indiretto, richiede di
essere accertata “tenendo conto della demoltiplicazione prodotta dalla catena societaria di controllo”.
Appare evidente, insomma, come la previsione di
“un accordo per evitare la doppia imposizione” rea-
lizzi una condizione necessaria, ma non sufficiente
per l’inserimento di una società non residente nel sistema della “tassazione di gruppo di imprese controllate residenti”. Occorrendo, piuttosto, ai fini indicati, l’esistenza di un accordo di mutua assistenza
amministrativa, che consenta un adeguato scambio
di informazioni tra le rispettive amministrazioni finanziarie per il controllo incrociato del rispetto dei
requisiti legali.
Ne consegue, pertanto, che la condizione indispensabile per rendere effettivamente operativa la
disciplina del consolidato nazionale nei confronti di
una controllante non residente sia data dall’esistenza
di accordi di cooperazione amministrativa internazionale, regolamentati in norme di diritto convenzionale, non presenti, tuttavia, in tutti i trattati contro le
doppie imposizioni stipulati dall’Italia. In questa direzione, l’interpretazione, per così dire, adeguatrice
(della lettera della legge alla sua ratio) promossa dalla circolare n. 53/E del 20 dicembre 2004, non fa che
convalidare un risultato già acquisibile in via di interpretazione sistematica, e che vuole limitata ai Paesi rientranti nella cd. white list di cui al D.M. 4 settembre 1996, gli Stati di residenza dei “soggetti di
cui all’articolo 73, comma 1, lettera d)” che “possono
esercitare l’opzione di cui al comma 1”.
3. Gli elementi di qualificazione
della stabile organizzazione
Il secondo presupposto condizionante l’esercizio
dell’opzione da parte di una società non residente
concerne, come si è rilevato, gli elementi di collegamento con l’ordinamento italiano ed è quello di più
ardua interpretazione, a motivo sia della criptica
enunciazione legislativa, che dell’impiego di uno
strumento, qual è quello della stabile organizzazione, esso stesso di difficoltosa definizione per i confini sfuggenti di questa particolare figura.
Nota:
Il punto è pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza, che
sottolinea il vincolo organico tra l’ente società e le sue ramificazioni
secondarie (cui è correntemente ricondotta la stabile organizzazione), l’unicità, di riflesso, di interessi economici e giuridici fra la sede
principale e quella secondaria: Cfr, ex pluris, Cass, Sez. I, 6 settembre
1968, n. 2881, in Giust. Civ., 1968, 1500 e ss.; Cass., Sez. I, 9 luglio
1975, n. 2672, in Mass. Dec. Civ., 1975, 7°, 1977. Per la ricostruzione
della stabile organizzazione come sede secondaria, che, nello svolgimento dell’attività sociale è da considerare come organo della sede
centrale estera, dalla quale è istituita e diretta o, tutt’al più, come
un’azienda separata, mai come una distinta persona giuridica, si veda F. Bonelli, La sede secondaria dell’impresa, In Annali della Facoltà
di Giurisprudenza dell’Università di Genova, IV, 1, 1965, 305 e ss. ed
ivi per ampi richiami di dottrina e giurisprudenza.
(2)
Maggio-Giugno 2005
197
RIFORMA FISCALE
Già il fatto di riferire il rapporto di “connessione”
non all’impresa della controllata (i.e. alla sua attività), ma alla partecipazione in sé considerata, che
in quanto bene immateriale è suscettibile di una relazione giuridica piuttosto che di un collegamento
materiale (in cui sembra consistere l’”effettivamente” impiegato dalla legge), rende equivoco il ruolo
della stabile organizzazione nel contesto del gruppo
di società ed incerte le forme in cui debba esercitarsi la “qualità di controllante”, ai fini del consolidato
nazionale.
Probabilmente, nelle intenzioni del legislatore, la
norma è costruita in modo da far risaltare una particolare direzione e rilevanza dell’attività esercitata
dalla stabile organizzazione, destinata a manifestarsi come lo strumento di realizzazione in Italia del
reddito d’impresa della casa madre attraverso un’organizzazione imperniata sulle “partecipazioni in ciascuna società controllata”.
In questo senso, l’elemento qualificante della definizione legislativa va individuato proprio nell’oscuro concetto della “connessione effettiva”, mentre
il riferimento all’esercizio “nel territorio dello Stato”
di “un’attività d’impresa”, appare una mera riproduzione del tratto individuatore della stabile organizzazione, già fissato, in via generale, dall’art. 23, 1°
comma, lettera e) del TUIR.
Sotto quest’ultimo profilo, dunque, il legislatore
non fa che ribadire il principio della strumentalità
della stabile organizzazione all’esercizio dell’attività
d’impresa da parte del soggetto non residente(3),
mentre, il richiamo all’art. 55 del TUIR, avrebbe la
sola funzione di sottolineare la strumentalità attiva
della stabile organizzazione(4), la necessità, cioè, che
la funzione imprenditoriale in cui essa si estrinseca
non si risolva in una attività di mero godimento, in
una detenzione puramente conservativa del patrimonio ad essa destinato.
È, del resto, in questa direzione, che va intesa la
precisazione fornita dalla circolare n. 53/E citata,
che considera non integrato il requisito della commercialità da una attività di “mera detenzione (limitata al godimento dei relativi frutti) di partecipazioni
in società residenti” da parte del soggetto non residente(5). In tal caso, infatti, mancherebbe un’organizzazione in forma d’impresa a monte, già a livello,
cioè, della società non residente, e tale fatto si ripercuoterebbe negativamente sulla stessa stabile organizzazione, per l’impossibilità di concepire quest’ultima al di fuori di una relazione di servizio rispetto
ad un’attività commerciale della casa madre(6).
Questo dato, di per sé alquanto scontato, può, tut198
Maggio-Giugno 2005
tavia, fornire un’utile indicazione in merito ai contenuti del requisito che stiamo considerando.
In base ad esso, infatti, dovrebbe potersi escludere che la “connessione effettiva”, enfaticamente proclamata dalla norma, possa risolversi nella mera detenzione delle partecipazioni sociali da parte della
stabile organizzazione e, di conseguenza, nel mero
godimento dei relativi frutti, slegata, perciò, da qualsiasi attività organizzativa rilevante ai fini dell’esercizio, nel territorio dello Stato, di un’attività d’impresa, in funzione della quale soltanto la stabile organizzazione viene in rilievo ai fini in esame.
In altri termini, la mera detenzione delle partecipazioni sociali costituisce un fatto ostativo all’acquisto del requisito della commercialità non solo per la
società non residente, ma anche per la stabile organizzazione, la cui attività, pertanto, ove si limiti al
mero godimento ed alla percezione dei frutti(7) risulterebbe inidonea a configurare, ancor prima del rapporto di “connessione effettiva”, l’esistenza stessa di
una stabile organizzazione, occorrendo a tal fine il
collegamento delle partecipazioni con lo svolgimento di un’attività d’impresa a diretto vantaggio della
casa madre.
In simili casi, infatti, i frutti derivanti dal godimento delle partecipazioni sociali potranno rientrare
Note:
(3)
Con felice espressione Cass, sent. 19 novembre 1971, 3319, in Imp.
Dir. erar., 1972, 1619, ha definito la stabile organizzazione come “l’azienda operante in Italia della società estera”, individuando il suo
tratto qualificante nel “fare operazioni nello Stato italiano”, concreta estrinsecazione nel territorio nazionale delle attività della società
estera. Che il soggetto passivo del tributo sia la società estera e non
la sua azienda in Italia concorda, del resto, la dottrina assolutamente prevalente. Vastissima la letteratura sul tema; per un’efficace sintesi ricostruttiva si rinvia a C. Garbarino, Impresa multinazionale nel
diritto tributario, in Digesto comm., VII, Torino, 1992, 257 e ss. Amplius Caratozzolo-Perrone, Società ed enti non residenti nella imposizione diretta, Roma, 1976, 65 e ss.
(4)
La formula è impiegata da F.Gallo, Contributo all’elaborazione del
concetto di “stabile organizzazione” secondo il diritto interno, in
Riv. Dir. fin, 1985, I, 394, per sottolineare l’autonomia produttiva della s.o. rispetto alla casa madre, la sua attitudine, cioè, a concorrere
autonomamente alla produzione in Italia di reddito d’impresa.
L’indicazione è conforme alla risposta fornita dal Governo, in Commissione Finanze, all’interrogazione n. 5-034280 del 15 settembre
scorso, allorché, interpellato sui tratti connotativi della stabile organizzazione ai fini del consolidato nazionale, escluse che la mera detenzione di partecipazioni sociali integrasse un’organizzazione imprenditoriale conforme ai canoni dell’art. 55 del TUIR.
(5)
(6)
Il punto è assolutamente pacifico; cfr. per tutti, S.M. cCarbone, La
nozione di stabile organizzazione e la sua operatività nel diritto italiano, in AA. VV., Il reddito d’impresa nel nuovo testo unico, Padova,
1988, 738 e ss.
(7)
Essenzialmente dividendi, ma, eventualmente, anche interessi, nel
caso, ad esempio, del deposito delle partecipazioni sociali a garanzia
di finanziamenti e capital gains, nei limiti, peraltro, in cui le operazioni di scambio eventualmente realizzate non assumano i caratteri
e l’intensità di una vera e propria attività di trading.
RIFORMA FISCALE
nella categoria dei redditi di capitale (e diversi) di cui
all’art. 23, 1° comma lett. b) (e rispettivamente f)) del
TUIR, suscettibili, pertanto, di essere tassati direttamente in capo alla società non residente, una volta
che manchi quel sostrato organizzativo idoneo a qualificare l’attività, esercitata nel territorio dello Stato,
secondo i paradigmi dell’impresa commerciale.
Appare evidente, in altri termini, dalla ricostruzione compiuta, come la “connessione effettiva” postuli un quid pluris rispetto ad un mero collegamento statico delle partecipazioni sociali alla stabile organizzazione, costituito da un’attività che presenti i
caratteri individuati dall’art. 55, nel cui ambito dette partecipazioni si inseriscano come strumento ed
oggetto di tale attività.
4. I problemi interpretativi suscitati dal
requisito della “connessione effettiva”
Una ricostruzione meno generica della previsione
normativa riteniamo passi attraverso l’esame del requisito di controllo definito dall’art. 120, costituendo quest’ultimo l’essenziale termine di riferimento
soggettivo del consolidato fiscale, anche nelle ipotesi di società non residenti. In tali casi, infatti, i caratteri che definiscono il requisito di controllo, pur
dovendo essere riferiti alla società capogruppo non
residente, devono, tuttavia, trovare espressione nell’assetto di funzioni e di attività attraverso cui la stabile organizzazione dà rilevanza in Italia alla qualità
di controllante della casa madre.
Com’è noto, presupposto per l’applicazione della
disciplina in commento è l’esistenza di un controllo
interno o di diritto, enfaticamente proclamato dall’art. 117, 1° comma, attraverso il richiamo al “rapporto di controllo di cui all’articolo 2359, 1° comma,
n. 1) del codice civile”.
La misura della partecipazione sociale rilevante,
tuttavia, non si esaurisce nella mera “disponibilità”
della maggioranza dei diritti di voto, ma è legata a
più penetranti ed incisivi rapporti di dominio.
Rispetto alla previsione codicistica, infatti, è richiesto, per un verso, che la “disponibilità” si concretizzi nella forma più intensa della proprietà delle
azioni o titolarità delle quote, così da escludere le
ipotesi in cui il diritto di voto promani da fattispecie
di potere non assoluto (come tipicamente si verifica
nei casi di usufrutto e di pegno di azioni o quote). E,
per l’altro verso, l’art. 120 introduce l’ulteriore concorrente condizione della disponibilità di un’analoga maggioranza in punto di diritto agli “utili di bilancio”. Per il legislatore tributario, in altri termini,
i tipici diritti corporativi del socio devono coesistere,
essendo entrambi determinanti al fine di realizzare
quella relazione di gruppo che consenta una tassazione su basi consolidate.
In base, dunque, agli elementi che definiscono il
rapporto di controllo sopra indicati, sembrerebbe che
ciò che rileva, ai nostri fini, sia la “qualità di controllante”, che, tramite la stabile organizzazione, si esercita su ciascuna società residente, in virtù della connessione con le relative partecipazioni. Questo significa, in altri termini, che la stabile organizzazione dovrebbe essere destinata ad un’attività rientrante nel
quadro normale delle funzioni di controllo spettanti
alla casa madre estera e che tale attività sia in relazione di servizio rispetto a tali funzioni.
Secondo questa chiave di lettura, pertanto, la
“connessione effettiva” alla stabile organizzazione
de “la partecipazione in ciascuna società controllata” avrebbe il significato di una delega di funzioni o,
forse, meglio, di un esercizio mediato del ruolo e
delle prerogative di socio di controllo spettante alla
società non residente, che dovrebbe, perciò, estrinsecarsi in Italia attraverso gli atti e le attività della
stabile organizzazione. In altri termini, secondo l’impostazione accolta dal TUIR in questa materia, dovrebbe essere la stabile organizzazione a porre in essere i tipici atti che manifestano l’influenza dominante, nell’accezione richiesta dall’art. 120. Con la
conseguenza che:
(a) il voto nelle assemblee (ordinarie) delle controllate italiane debba essere esercitato dalla persona o dalle persone che agiscono all’interno o come stabile organizzazione (sia pure nel quadro
delle direttive impartite dalla casa madre, da cui
invariabilmente procede la direzione unitaria del
gruppo);
(b) i dividendi distribuiti dalle controllate residenti
debbano essere percepiti dalla stabile organizzazione, concorrendo alla formazione del reddito
d’impresa da essa realizzato ovvero, parafrasando
l’art. 23, 1° comma, lett. e), concorrendo alla formazione dei “redditi d’impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato” dal non
residente “mediante stabile organizzazione”.
In sostanza, secondo la ricostruzione proposta, la
funzione strumentale della stabile organizzazione si
realizzerebbe attraverso la gestione ed amministrazione delle partecipazioni (i.e. dei diritti corporativi
in cui lo status di socio - di controllo - si manifesta)
in Italia, affinché la funzione di controllo o, meglio,
“la qualità di controllante” possa dirsi localizzata
nel territorio italiano, essendo questo lo Stato in cui
Maggio-Giugno 2005
199
RIFORMA FISCALE
si realizza, con il consolidamento degli imponibili, il
presupposto per la tassazione del soggetto non residente.
Mentre, ai fini in esame, non sarebbe sufficiente
la mera percezione dei dividendi (il diritto di partecipare all’”utile di bilancio”, secondo la terminologia dell’art. 120, 1° comma, lett. b)), perché, oltre a
quanto già osservato in precedenza, una tale situazione sarebbe già suscettibile di tassazione direttamente in capo alla partecipante non residente, come
è confermato dall’art. 23, 1° comma, lett. b), che,
non a caso, pone su piani diversi ed autonomi la detenzione statica di partecipazioni sociali rispetto alle “attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni”, che la lettera e) del
medesimo art. 23 considera, invece, produttive di
“redditi d’impresa”(8).
Ben difficilmente, perciò, l’esclusiva considerazione del diritto ai dividendi potrebbe esaurire il
contenuto del rapporto di “connessione” predicato
dall’art. 117 per l’accesso al consolidato nazionale
da parte dei “soggetti di cui all’articolo 73, comma
1, lettera d)”.
5. Le modifiche introdotte dallo schema
di decreto correttivo dell’IRES
Proprio in considerazione dei notevoli problemi
interpretativi suscitati dall’attuale formulazione legislativa, lo schema di decreto legislativo, approvato
dal Consiglio dei ministri il 18 marzo scorso, contenente le “disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344” ha optato per un mutamento radicale d’impostazione,
espungendo dal testo dell’art. 117 il riferimento al
rapporto di “connessione effettiva” e sostituendolo
con un più lineare ed immediato nesso di collegamento delle partecipazioni sociali con la sfera patrimoniale della stabile organizzazione.
Secondo la nuova formula, infatti, la condizione
legale sarebbe soddisfatta dal risultare “la partecipazione in ciascuna società controllata” “compresa
nel patrimonio” della stabile organizzazione. In tal
modo, si tende a far prevalere una considerazione di
tipo patrimoniale, attribuendo prevalenza al dato
contabile dell’iscrizione delle partecipazioni “in
ciascuna società controllata” tra le attività dello
schema di bilancio della stabile organizzazione.
Questo approccio determina un evidente ridimensionamento del collegamento funzionale tra attività della stabile organizzazione e società residenti
da consolidare, le quali, dunque, nell’accezione pro200
Maggio-Giugno 2005
posta, verrebbero in rilievo come mero oggetto di
una relazione economica, intesa per lo più come intestazione formale o detenzione statica delle relative
partecipazioni sociali.
Esigenze di semplificazione dei rapporti tributari
e di certezza dell’accertamento sembrano la matrice
di questo approccio, sotto molti versi, riduzionistico,
mosso dall’intento di risolvere, sul piano del diritto
positivo, attraverso una configurazione formale, i
problemi di collegamento tra la stabile organizzazione e le “società controllate” che rientrano nel perimetro di consolidamento.
Consegue, ancora, che, in base all’impostazione
introdotta con lo schema di decreto correttivo, la distinta rilevazione in contabilità (e nel bilancio) delle
partecipazioni sociali diventi, in qualche modo, idonea ad esaurire, ai sensi dell’art. 14 del D.P.R. n.
600/1973, “i fatti di gestione che interessano la stabile organizzazione”, la cui attività e funzione potrebbero, a questo punto, limitarsi a quella di determinare “separatamente i risultati di esercizio” derivanti dalla “partecipazione in ciascuna società controllata”.
In conclusione, con la modifica apportata, a parte ogni altro rilievo sulla sua coerenza sistematica, si
è indubbiamente scelta la via di una semplificazione
dei rapporti infragruppo rilevanti ai fini del consolidato nazionale, con ciò favorendo l’apertura dell’ordinamento tributario alle variabili esigenze organizzative dell’impresa plurisocietaria, cui si rivolge il
nuovo sistema di tassazione di gruppo.
Nota:
(8)
Questo rilievo trova riscontro in una precisazione fornita dalla stessa circolare n. 53/E, che, nell’evidenziare come “l’esercizio, da parte
della stabile organizzazione .. di un’attività d’impresa, nel senso delineato dall’art. 55” e “la sussistenza di un rapporto di “effettiva
connessione” costituiscano “due distinte condizioni” in cui si articola “il requisito indicato” alla lettera b) del 2° comma dell’art. 117,
mette in risalto l’importante dato sistematico per cui prima vengono
in considerazione i criteri di qualificazione della stabile organizzazione in base alla natura dell’attività esercitata - necessari perché
possa essere operato il riconoscimento formale della relativa fattispecie -, e solo successivamente il criterio, per così dire, specializzante della “connessione effettiva”, in cui si tipicizza la qualità di controllante, richiesta per l’esercizio dell’opzione per il consolidato nazionale.
RIFORMA FISCALE
Il regime di trasparenza fiscale in presenza
di soci non residenti
di Gesuino Vanetti(*)
1. Premessa
turalmente, a tal fine, i soci esteri
devono essere prima facie in possesso dei requisiti previsti per i residenti e illustrati nel comma 1
dell’art. 115. Più precisamente, i
soci devono avere una percentuale
di diritti di voto esercitabili nell’assemblea generale richiamata
dall’art. 2346 c.c. e una partecipazione agli utili non inferiore al 10% e non superiore al
50% e tali requisiti devono sussistere a far data dal primo giorno del periodo d’imposta della partecipata in cui
si esercita l’opzione e permanere ininterrottamente sino
al termine del periodo di opzione.
In merito alla partecipazione di soci esteri, l’art. 1,
comma 2, del D.M. 23 aprile 2004 prevede che l’opzione per la grande trasparenza possa essere esercitata, in
qualità di soci, anche dai soggetti indicati nell’art. 73,
comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 917/1986, ovverosia da
società ed enti di ogni tipo non residenti, con o senza
personalità giuridica, purché per gli utili distribuiti non
vi sia obbligo di ritenuta fiscale ovvero la ritenuta, se applicata, sia suscettibile di integrale rimborso.
Diversamente quindi dai soci residenti, per i quali è
richiesta la forma giuridica di società di capitali, i soci
esteri devono solo rivestire la forma societaria, prescindendo dall’esistenza o meno della personalità giuridica.
Tale scelta legislativa è stata operata fondamentalmente
per semplificare l’accesso alla trasparenza, tenuto conto
delle difficoltà connaturate ad un’indagine in ordine alla tipologia della società non residente, volta ad appurare se la stessa possa essere assimilata o meno alle società di capitali previste dall’ordinamento interno(1).
Il legislatore, disciplinando il regime di trasparenza
in presenza di soci esteri, ha perseguito il precipuo
obiettivo di evitare perdite di gettito fiscale per lo Stato
italiano.
Innanzitutto, al fine di ricondurre a tassazione in Ita-
SOMMARIO:
1. Premessa - 2. Requisiti dei soci
non residenti - 3. Assenza
dell’obbligo di ritenuta
sugli utili distribuiti a soci
non residenti
Gli articoli 115 e 116 del
D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917,
disciplinanti la trasparenza fiscale
rispettivamente delle società di
capitali partecipate esclusivamente da altre società di capitali (cosiddetta “grande trasparenza”) e
delle società a responsabilità limitata integralmente
possedute da persone fisiche (cosiddetta “piccola trasparenza”), consentono, al ricorrere di una particolare
condizione infra specificata, l’opzione per tale regime
impositivo anche in presenza di soci non residenti.
In particolare, il comma 2 dell’art. 115, peraltro
espressamente richiamato dal comma 1 dell’art. 116 in
ordine alla “piccola trasparenza”, non preclude l’opzione per la trasparenza fiscale alle società che annoverano tra i propri soci, dei soggetti non residenti, a condizione che non vi sia alcun obbligo di ritenuta sugli utili
distribuiti agli stessi.
Premesso che la trasparenza fiscale comporta l’imputazione del reddito prodotto dalla società direttamente in capo a ciascun socio, indipendentemente dall’effettiva percezione e proporzionalmente alla quota di
partecipazione agli utili, la presente trattazione intende
analizzare i riflessi impositivi della disposizione in argomento in capo ai soci esteri, evidenziando le motivazioni di fondo che hanno indotto il legislatore ad operare
tale scelta normativa.
2. Requisiti dei soci non residenti
Ai sensi del comma 2 dell’art. 115, “nel caso in cui i
soci di cui al comma 1 non siano residenti nel territorio
dello Stato l’esercizio dell’opzione è consentito a condizione che non vi sia obbligo di ritenuta alla fonte sugli utili
distribuiti”.
Non è quindi inibita alle società di capitali la possibilità di optare per il regime di trasparenza di cui all’art.
115 per il solo fatto di annoverare nella propria compagine societaria dei soggetti non residenti nel territorio
dello Stato, purché in relazione agli utili ad essi distribuiti non vi sia alcun obbligo di ritenuta alla fonte. Na-
Dottore commercialista - NCTM - Negri-Clementi, Toffoletto,
Montironi e soci
(*)
Nota:
(1)
C.M. 22 novembre 2004, n. 49/E, par. 2.5.
Maggio-Giugno 2005
201
RIFORMA FISCALE
lia i redditi realizzati dalla società partecipata e attribuiti per trasparenza al socio estero, è stata operata
un’integrazione della lett. g) del comma 1 dell’art. 23
del D.P.R. n. 917/1986, in virtù della quale si considerano prodotti nel territorio dello Stato anche i redditi di
cui agli artt. 115 e 116 imputabili ai soci non residenti.
In tale ottica, è stato poi subordinato l’esercizio dell’opzione per la trasparenza da parte delle società partecipate anche da soci esteri, alla condizione che nei confronti di questi ultimi non vi sia obbligo di ritenuta alla
fonte ovvero, la ritenuta, se applicata, sia suscettibile di
integrale rimborso. In tal caso, la società non residente
sarà obbligata, relativamente a tali redditi imputati per
trasparenza, a presentare la dichiarazione dei redditi in
Italia e ad assolvere l’IRES di propria spettanza.
La ratio della previsione di cui al comma 2 dell’art.
115, come esplicitato dall’Amministrazione finanziaria(2),
è quella di non alterare de facto l’entità del gettito fiscale
ricavabile dall’Erario in assenza del regime di trasparenza.
Ordinariamente, infatti, gli utili subiscono una tassazione in capo alla società partecipata e, successivamente, ove distribuiti a soci non residenti, vengono in qualità di dividendi assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta
con aliquota del 27%, ai sensi del comma 3 dell’art. 27
del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ovvero con la minor aliquota convenzionale.
Senza la previsione in commento ed in vigenza del
regime di trasparenza, l’imposta ordinariamente assolta
dalla società partecipata verrebbe scontata unicamente
dal socio estero, al quale poi, in occasione della distribuzione dei dividendi correlati, non verrebbe applicata
alcuna ritenuta alla fonte. Pertanto, l’Erario avrebbe una
perdita di gettito fiscale pari alla ritenuta che sarebbe
stata altrimenti applicata. A chiarimento di quanto delineato, si consideri il caso in cui una società di capitali
residente partecipata al 50% da una società estera, generi nel corso dell’esercizio un utile ante imposte ed un
imponibile fiscale pari a 200. Su tale reddito la società
partecipata dovrà versare IRES per 66 (il 33% di 200),
evidenziando un utile netto di 134 (cioè 200-66). Il dividendo distribuito al socio non residente, pari a 67
(cioè il 50% di 134), verrebbe ordinariamente assoggettato a ritenuta alla fonte in Italia con aliquota del 27%.
Pertanto, il socio estero percepirebbe un dividendo netto pari a [67 (dividendo) - 18 (ritenuta, cioè il 27% di
67)] = 49. Quindi il socio estero sconterebbe in Italia
una tassazione complessiva di 51, di cui 33 assolta indirettamente mediante la tassazione dell’utile societario
e 18 in via diretta, tramite la ritenuta alla fonte sul dividendo percepito.
In vigenza del regime di trasparenza fiscale ed in as202
Maggio-Giugno 2005
senza della disposizione di cui al comma 2 dell’art. 115,
il socio estero sconterebbe unicamente un’imposizione
di 33 a titolo di IRES, derivante dall’imputazione per la
quota di propria competenza dell’imponibile prodotto
dalla società, senza alcuna tassazione in caso di successiva distribuzione del dividendo correlato.
Alla luce di quanto testé delineato, il legislatore ha
reputato opportuno consentire l’opzione per la trasparenza alle società partecipate da soci esteri, a condizione che nei confronti di questi ultimi non vi sia obbligo di
ritenuta, fugando in tal modo i timori di un’eventuale
perdita di gettito erariale.
In realtà, come rilevato dalla dottrina più autorevo(3)
le , il legislatore nel regolamentare il regime di trasparenza fiscale avrebbe potuto prescrivere comunque l’applicazione della ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti ai soci non residenti, consentendo così la partecipazione di questi ultimi in società trasparenti alla medesima stregua dei soci italiani. In tal modo, come si
evidenzierà nel prosieguo della presente trattazione, si
sarebbero evitati problemi di conformità della limitazione di cui al comma 2 dell’art. 115, alle disposizioni comunitarie.
3. Assenza dell’obbligo di ritenuta
sugli utili distribuiti a soci non residenti
In primis, è opportuno evidenziare, come sottolineato nella C.M. n. 49/E, che attualmente non esistono
Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni
stipulate dall’Italia che esentino da ritenuta alla fonte i
dividendi erogati da società partecipate residenti.
Ciò premesso, l’art. 27-bis del D.P.R. 29 settembre
1973, n. 600 consente la non applicazione di ritenute ai
dividendi distribuiti a società estere allorché sussistano
le condizioni di cui alla Direttiva n. 435/90/CEE del
Consiglio del 23 luglio 1990 (cosiddetta “Direttiva sulle
società madri e figlie”).
Inoltre, in ossequio al disposto normativo di cui al
comma 3 dell’art. 27 del D.P.R. n. 600/1973, non vi è alcun obbligo di ritenuta sugli utili corrisposti a soggetti
esteri che abbiano nel territorio dello Stato una stabile
organizzazione cui si riferisce la partecipazione.
Pertanto, la società trasparente non ha obbligo di ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti a soci esteri laddove ricorra una delle seguenti condizioni:
Note:
(2)
C.M. 22 novembre 2004, n. 49/E, par. 2.5.
G. Sepio e R. Lupi, Tassazione per trasparenza delle società di capitali e soci non residenti, in “Dialoghi di Diritto Tributario”, n. 2/2004,
pagg. 290 e 291.
(3)
RIFORMA FISCALE
• risultino verificati i presupposti applicativi dell’art.
27-bis del D.P.R. n. 600/1973;
• la partecipazione nella società trasparente sia relativa ad una stabile organizzazione italiana del socio
estero.
Al riguardo, vale la pena osservare come, mentre
l’art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973 consente la partecipazione in società trasparenti di cui all’art. 115 unicamente a società comunitarie, la presenza di una stabile
organizzazione permette anche a società residenti in un
Paese non appartenente all’Unione Europea di partecipare in società trasparenti.
3.1. L’art. 27- bis del D.P.R. n. 600/1973
e la “Grande Trasparenza”
A mente dell’art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973 non
sono soggetti a ritenuta alla fonte o, se applicata, la stessa è suscettibile di integrale rimborso, gli utili distribuiti da una società di capitali italiana ad un socio non residente, laddove risultino verificate determinate condizioni.
In particolare, il socio estero deve:
• detenere una partecipazione diretta non inferiore al
25%(4) nella società che distribuisce gli utili;
• rivestire una delle forme giuridiche previste nell’allegato della Direttiva n. 435/90/CEE (cosiddetta
“Direttiva sulle società madri e figlie”), ovverosia
quella di società di capitali od enti commerciali
equiparati;
• risiedere ai fini fiscali in uno Stato membro dell’Unione Europea;
• essere assoggetto nello Stato di residenza ad una delle imposte indicate nell’allegato alla Direttiva n.
435/90/CEE senza possibilità di fruire di regimi di
opzione o di esonero che non siano territorialmente o
temporalmente limitati;
• detenere la partecipazione ininterrottamente da almeno un anno.
La società non residente, al fine di fruire del rimborso integrale della ritenuta subita sui dividendi dovrà
produrre all’Amministrazione finanziaria italiana una
certificazione rilasciata dall’autorità fiscale del proprio
Paese attestante i requisiti sopra delineati, nonché la
documentazione che provi la sussistenza delle stesse
condizioni.
La società erogante potrà altresì esentare il dividendo da ritenuta, previa richiesta ed acquisizione dalla
partecipante estera della succitata documentazione; in
tale eventualità la società partecipata dovrà conservare
la documentazione acquisita fino a quando non siano
decorsi i termini per gli accertamenti relativi al periodo
d’imposta in corso alla data di pagamento dei dividendi
e comunque fino a quando non siano stati definiti gli accertamenti stessi.
In merito alle specifiche condizioni richieste dall’art.
27-bis del D.P.R. n. 600/1973 si rendono opportune delle considerazioni volte ad appalesare gli elementi di criticità ad esse sottese.
In primis, occorre porre in luce come la partecipazione minima del 25% richiesta alle società comunitarie
per la partecipazione in società di capitali italiane trasparenti appaia non conforme alle disposizioni comunitarie(5), in quanto decisamente superiore rispetto alla
percentuale del 10% prevista per i soci italiani. Segnatamente, tale previsione potrebbe essere ritenuta in conflitto con il principio di libertà di stabilimento e di movimento dei capitali, sanciti dal Trattato della Comunità
europea e, quindi, lesiva dei diritti delle società comunitarie, che verrebbero così discriminate rispetto alle
società italiane(6).
Sebbene, la percentuale minima del 25% sia destinata a ridursi progressivamente fino al 10% con decorrenza dal 1°gennaio 2009, sino a tale data la condizione in argomento produrrà gli effetti discriminatori
delineati.
Peraltro, come sottolineato dalla dottrina più autorevole(7), tale discriminazione potrebbe concretizzarsi anche in un osteggiamento da parte dei soci residenti all’ingresso nella compagine societaria di società comunitarie non aventi i requisiti di cui all’art. 27-bis del D.P.R.
n. 600/1973, non favorendo certo l’integrazione a livello comunitario.
Per quanto concerne la forma giuridica delle società
comunitarie, l’art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973, stante
l’espresso richiamo alla Direttiva n. 435/90/CEE, richiede che le stesse debbano essere società di capitali
ed enti ad esse assimilate. Dunque tale disposizione restringe decisamente la portata del comma 1 dell’art. 2
del decreto ministeriale, il quale nel delineare l’ambito
soggettivo di applicazione del regime di trasparenza stabilisce che l’opzione può essere esercitata anche dai
soggetti indicati nell’art. 73, comma 1, lett. d) e quindi
Note:
(4)
La Direttiva 2003/123/CE prevede l’abbassamento della percentuale del 25% al 20% con decorrenza dal 1°gennaio 2005, al 15% dal
1°gennaio 2007 ed al solo 10% a partire dal 1°gennaio 2009.
L. Miele, Regime di trasparenza fiscale e soci esteri, in “Corriere Tributario”, n. 4/2004, pag. 260.
(5)
L. Salvini, La tassazione per trasparenza, in “Rassegna Tributaria”,
n. 5/2003, pagg. 1510 e 1511.
(6)
G. Sepio e R. Lupi, Tassazione per trasparenza delle società di capitali e soci non residenti, in “Dialoghi di Diritto Tributario”, n. 2/2004,
pag. 287; L. Salvini, La tassazione per trasparenza, in “Rassegna Tributaria”, n. 5/2003, pag. 1511.
(7)
Maggio-Giugno 2005
203
RIFORMA FISCALE
che possono in generale avvalersi del regime di trasparenza le società socie indipendentemente dalla loro forma giuridica. A ciò si aggiunga che la C.M. n. 49/E asserisce che sulla base di detta disposizione “viene semplificato l’accesso al regime opzionale, eliminando la necessità di compiere caso per caso, il difficile esame sulla
tipologia della società non residente per verificare se la
stessa possa essere assimilata o meno alle società di capitali previste dall’ordinamento”.
In realtà, nel caso di società comunitarie prive di stabile organizzazione nel territorio dello Stato occorrerà
indagare in ordine alla tipologia societaria, consentendo
alle stesse la partecipazione in società di capitali trasparenti solo allorché le stesse siano assimilabili alle società di capitali.
Da ultimo, si rileva che in relazione al requisito della detenzione ininterrotta per almeno un anno della partecipazione qualificata, la C.M. n. 49/E ha chiarito che
lo stesso non deve essere necessariamente verificato su
un arco temporale precedente a quello dal quale decorre il regime di trasparenza. Tuttavia, qualora tale condizione non dovesse essere soddisfatta entro il primo periodo di trasparenza l’opzione per la trasparenza si considererà come non perfezionata.
3.2. L’assenza dell’obbligo di ritenuta
nell’ambito della “Piccola Trasparenza”
I requisiti richiesti per l’esercizio dell’opzione di cui
all’art. 116 differiscono da quelli di cui all’art. 115, in
quanto sono ammesse a tale regime solo le società a re-
sponsabilità limitata e le società cooperative che soddisfano le seguenti condizioni:
• un volume di ricavi non superiore alle soglie per
l’applicazione degli studi di settore, attualmente pari a € 5.164.568,99;
• una compagine societaria composta esclusivamente
da persone fisiche in numero non superiore a 10,
prescindendo dalle percentuali di partecipazione
agli utili e ai diritti di voto in assemblea dei singoli
soci.
Stante l’espresso richiamo del comma 1 dell’art. 116
al comma 2 dell’art. 115, le società a responsabilità limitata e le società cooperative possono optare per il regime di trasparenza di cui all’art. 116 anche in presenza di soci esteri, purché, verificate le condizioni precedentemente delineate, nei confronti degli stessi non vi
sia alcun obbligo di ritenuta sugli utili distribuiti.
Al riguardo, l’art. 14, comma 1, lett. b), del D.M. 23
aprile 2004 risulta di portata risolutiva, disponendo che
l’esercizio dell’opzione è consentito anche in presenza
di soci persone fisiche non residenti, purché la partecipazione da questi detenuta sia riferibile ad una stabile
organizzazione sita nel territorio dello Stato. Ciò in
quanto le persone fisiche non residenti non possono beneficiare dell’esenzione dalla ritenuta sui dividendi prevista dall’art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973.
Conseguentemente, il socio persona fisica non residente presenterà in Italia la dichiarazione dei redditi in
ordine alla quota di reddito attribuita alla propria stabile organizzazione dalla società trasparente, assolvendo
con aliquota progressiva l’IRE di propria competenza.
Tavola di sintesi - Soci non residenti ammessi alla tassazione per trasparenza
Art. 115
“Grande Trasparenza”
Società nei confronti delle quali risultano verificate
le condizioni previste dalla Direttiva madre-figlia
(Art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973)
Società che detengono le partecipazioni nella società
italiana trasparente tramite una stabile organizzazione in Italia
(Art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973)
Art. 116
“Piccola Trasparenza”
204
Maggio-Giugno 2005
Persone fisiche che detengono le partecipazioninella società italiana
trasparentetramite una stabile organizzazione in Italia
(Art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973)
RIFORMA FISCALE
Aspetti comparati del consolidato fiscale:
la disciplina tedesca
di Paola Marongiu(*)
1. L’istituto
dell’Organschaft:
considerazioni
introduttive
SOMMARIO:
1. L’istituto dell’Organschaft:
considerazioni introduttive 2. Il soggetto controllante
(Organträger) - 3. Il soggetto
controllato (Organgesellschaft) 4. Il requisito dell’integrazione
finanziaria (finanzielle
Eingliederung) - 5. Il contratto
di trasferimento di utili
(Gewinnabführungsvertrag) 6. Il reddito globale di gruppo 7. Le operazioni infragruppo 8. Il regime delle perdite
In Italia, prima dell’attuale
riforma, il concetto di gruppo
era pressoché ignorato; con la
recente rivisitazione del regime
di tassazione delle società, il
quadro normativo ha assunto
una diversa struttura e il riconoscimento fiscale del gruppo ha
trovato definitivo e generale accoglimento mediante l’introduzione del c.d. “consolidato fiscale” (nazionale e mondiale), la
cui disciplina è contenuta negli artt. da 117 a 129
del nuovo Testo Unico.
Nel diritto tributario tedesco, la figura dell’Organschaft(1) - “ponte” di collegamento fra la disciplina giuscommercialistica e quella fiscale - rappresenta la risposta del legislatore alla necessità di effettuare compensazioni utili/perdite all’interno del
gruppo e, per tale via, di attribuire all’unità giuridico-economica delle società una rilevanza anche fiscale e di addivenire ad una vera e propria tassazione di gruppo.
L’attuale configurazione dell’Organschaft - la cui
“apparizione” nell’ordinamento giuridico tedesco risale al 1977 - si deve alla recente riforma del sistema fiscale tedesco, attuata negli anni 1999 e 2001,
con due provvedimenti normativi che hanno modificato profondamente il regime di tassazione delle imprese, ivi compresa la disciplina dell’istituto in esame(2).
I tratti peculiari della riforma, ai fini della disamina della disciplina dell’istituto de quo, devono individuarsi nell’abolizione, ai fini della qualifica di
Organträger (soggetto controllante) del duplice presupposto della sede e del centro direzionale dell’attività in Germania e, per altro verso, nella limitazione del computo delle perdite qualora esse abbiano
contestuale rilevanza all’estero.
2. Il soggetto
controllante
(Organträger)
In Italia, i soggetti ammessi a
beneficiare del consolidato, in veste di consolidanti, sono le società
e gli enti commerciali residenti,
ivi compresi, oltre alle persone
giuridiche, i consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti ad
altri soggetti passivi in relazione
ai quali il presupposto si realizza
in modo autonomo e unitario.
Inoltre, le società ed enti commerciali di ogni natura, privi o meno
di personalità giuridica, non residenti in Italia, a condizione che il Paese estero di residenza sia uno Stato con il quale sussista una Convenzione internazionale contro la doppia imposizione e
svolgano nel territorio nazionale, come oggetto esclusivo o principale, un’attività commerciale mediante una
stabile organizzazione cui la partecipazione in ciascuna
controllata sia effettivamente connessa.
La posizione di Organträger - che deve essere assoggettato, senza esenzione, alle imposte sui redditi in
base al diritto tedesco - può essere assunta, in particolare, da persone fisiche (natürliche Personen), società di persone (Personengesellschaften), società di
capitali (Kapitallgesellschaften), altri enti collettivi
(Körperschaften), dotati o meno di personalità giuridi-
Avvocato in Genova e Milano, “Studio Magnani Marongiu
& Associati”.
(*)
Note:
La normativa di riferimento è contenuta nel § 14 del KStG (Körperschaftsteuergesetz), che definisce i soggetti, in veste di controllanti e controllate, e i presupposti oggettivi per accedere all’istituto
de quo.
(1)
In particolare la legge - Steuersenkungsgesetz (StSenkG) - con la
quale si è assisitito al passaggio dal sistema di imputazione (credito
di imposta sui dividendi) al sistema della imposizione dimezzata
(Halbeinkünfteverfahren) la cui ratio è di attenuare gli effetti di
doppia imposizione economica sugli utili societari; la legge - Unternehmenssteuerfortentwicklungsgesetz (UnStFG) - volta all’incentivo
dello sviluppo delle imprese.
(2)
Maggio-Giugno 2005
205
RIFORMA FISCALE
ca, associazioni di persone (Personenvereinigungen)
e, altresì, dalle c.d. “masse patrimoniali” (Vermögensmassen). La qualifica di Organträger presuppone almeno la localizzazione, nel caso di “enti collettivi”,
del centro direzionale dell’attività (Geschäftsleitung)(3)
in Germania; nel caso di persona fisica, della residenza (Wohnsitz) o della dimora abituale (gewöhnlicher
Aufenthalt) nel territorio tedesco. Organträger può essere altresì una stabile organizzazione di una società
estera localizzata e registrata in Germania, purchè le
partecipazioni nelle società controllate siano connesse alla stabile organizzazione e a questa sia giuridicamente riferibile il contratto di trasferimento di utili
concluso con le predette società.
Si precisa, inoltre, che l’Organträger deve essere
un’impresa commerciale (gewerbliches Unternehmen): un soggetto cioè che esercita un’impresa commerciale, ovvero detiene un’azienda commerciale,
in forza dell’attività esercitata o della forma giuridica rivestita mentre non è più richiesto, dopo l’ultima
riforma, l’ulteriore requisito dello svolgimento in
Germania dell’attività(4).
3. Il soggetto controllato
o società organo (Organgesellschaft)
In Italia, la veste di società controllata può essere assunta dalle società ed enti commerciali residenti, soggetti passivi dell’imposta sulle società secondo
le disposizioni dell’art. 117, comma 1, del nuovo Testo Unico.
Nella legislazione tributaria tedesca, sotto la definizione di “Organgesellschaft”, sono sussumibili le
società per azioni (AG) o in accomandita per azioni
(KGaA), ma anche, per effetto del rinvio operato dal
§ 17 KStG(5), le società a responsabilità limitata
(GmbH), mentre sono escluse le stabili organizzazioni di un’impresa estera.
Le Organgesellschaften, che non devono esercitare un’attività di impresa, devono soddisfare - onde
verificare pienamente la sussistenza dei presupposti
previsti dalla normativa - il duplice requisito della
localizzazione in Germania sia della sede legale, sia
del centro effettivo di direzione della società: il primo è dato dal luogo individuato come tale nell’atto
costitutivo; il secondo coincide invece con il luogo
in cui si assumono le decisioni sociali più rilevanti.
4. L’integrazione finanziaria
(finanzielle Eingliederung)
In Italia, l’ingresso nel regime del consolidato è
206
Maggio-Giugno 2005
subordinato alla sussistenza della condizione del
controllo fra ente controllante e società controllata, e
non invece dell’integrazione economica o finanziaria
fra le attività delle società.
La condizione indicata ricorre in presenza del
rapporto di controllo ex art. 2359, comma 1, n. 1,
c.c. (la disponibilità cioè, diretta o indiretta, in capo
alla società o ente controllante, della maggioranza
dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria di un’altra società), cui l’art. 117 rinvia. Il rapporto di controllo deve possedere i requisiti previsti
dal successivo art. 120: partecipazione, diretta o indiretta, al capitale sociale ovvero all’utile di bilancio
della controllata per una percentuale superiore, in
entrambe le fattispecie, al 50%.
Il concetto di “controllo” in Germania corrisponde al concetto di “integrazione finanziaria” (c.d. finanzielle Eingliederung), secondo quanto previsto
dal § 14, Abs. 1, Nr. 1, Satz 1, del KStG, fra le società
organo e la società controllante: la titolarità, in capo
alla capogruppo, della maggioranza delle azioni con
diritto di voto (c.d. Stimmrechte) nella società organo, e non anche la maggioranza azionaria in generale. Nell’ipotesi in cui Organträger sia una società di
persone, l’integrazione finanziaria - necessaria fin
dall’inizio dell’esercizio sociale della società organo
- risulta soddisfatta solo se la maggioranza delle
azioni con diritto di voto sia riferibile alla società, e
non al singolo socio.
Ai fini del computo assumono rilevanza sia le
partecipazioni dirette che quelle indirette (a diffeNote:
Prima della riforma, il legislatore tedesco aveva posto, quale condizione rilevante, anche l’ubicazione della sede legale (c.d. Sitz) sul
territorio tedesco. La ratio dell’attuale scelta di richiedere almeno la
localizzazione in Germania del centro direzionale dell’attività - che è
in linea con l’obiettivo di agevolare la costituzione di gruppi di matrice internazionale - si spiega in ragione dell’art. 4 del Modello OCSE: le società con “doppia residenza” infatti sono assoggettate a tassazione nello Stato nel cui territorio si trova proprio il centro effettivo di direzione (o sede amministrativa) della società. Per ulteriori approfondimenti sul punto, L. SCHMIDT, T. MÜLLER, E. STÖCKER, Die Organschaft, Neue Wirtschafts-Briefe Herne, Berlin, 6. Auflage, pp. 55 ss.
(3)
Un siffatto limite era ritenuto oramai superfluo e non più consono
con il disegno di ampliare, anziché restringere, l’ambito applicativo
dell’istituto in esame. Come evidenziano L. SCHMIDT, T. MÜLLER, E.
STÖCKER, Die Organschaft, op. loc. ult. cit., l’Amministrazione finanziaria tedesca ritiene che il requisito dell’attività commerciale risulti
integrato quando l’attività è esercitata da una società di capitali e
questo orientamento sembra oramai accolto e condiviso dalla dottrina maggioritaria.
(4)
(5)
Il § 17 KStG, rubricato “Altre società di capitali come società organo”, estende l’ambito di applicabilità dei § 14-16, che afferiscono al
funzionamento dell’Organschaft nei suoi tratti principali, altresì a
società diverse, per forma giuridica, a quelle individuate nel § 14, al
ricorrere di determinati presupposti, e cioè qualora il trasferimento
degli utili non ecceda il valore indicato nel § 301 AktG e qualora a
questo sia correlata l’assunzione delle perdite.
RIFORMA FISCALE
renza della disciplina previgente che sanciva invece
il c.d. Additionsverbot), vale a dire le partecipazioni
che la capogruppo detiene per effetto della partecipazione in altre società, con un correttivo: il computo delle partecipazioni indirette o, insieme, delle
partecipazioni dirette e indirette nelle singole società organo, può avvenire a condizione che la capogruppo detenga in ciascuna delle società intermedie
la maggioranza delle azioni con diritto di voto(6), di
guisa che l’integrazione finanziaria nei confronti
della capogruppo sia realizzata da ciascuna società
intermedia(7).
5. Il contratto di trasferimento di utili
(Gewinnabführungsvertrag)
Il regime del consolidato, in Italia, spiega i propri
effetti a seguito dell’esercizio dell’opzione da parte
della capogruppo e delle singole società, per una durata di almeno tre esercizi sociali, e implica la sussistenza di una serie di condizioni espressamente e
specificamente individuate dall’art. 119 del Testo
Unico.
L’attivazione dell’Organschaft postula la stipulazione del c.d. contratto di trasferimento di utili, dalle società organo al soggetto controllante, in virtù del
quale le prime attribuiscono i propri utili o le proprie perdite all’impresa dominante (c.d. Gewinnabführungsvertrag - GAV).
Il contratto di trasferimento di utili diviene efficace solo a seguito dell’annotazione nel registro delle imprese, annotazione che segna il momento in cui
l’Organschaft prende “vita”, la cui ragion d’essere
risiede nel fatto che, fino al periodo d’imposta 2001,
le società del gruppo realizzavano già prima della registrazione del contratto la compensazione degli utili e delle perdite, dando così di fatto vita all’Organschaft in un periodo anteriore al perfezionarsi del
presupposto. Ciò non è più possibile a partire dal
periodo di imposta dell’anno 2002: l’eventuale attribuzione di utili e perdite prima dell’annotazione nel
registro delle imprese è sotto il profilo fiscale tamquam non esset e gli utili conseguiti dalle singole società sono tassati in capo a ciascuna.
Il contratto in esame - così si legge nel § 14, Abs.
1, Nr. 3, Satz 1, KStG - deve avere una durata minima di cinque anni e l’eventuale risoluzione prima
dello spirare del termine de quo è ammissibile solo
al verificarsi di significativi eventi(8). Al contrario, la
cessazione degli effetti del contratto prima del termine indicato per una causa imputabile alla volontà
di una delle parti comporta il venir meno, con effi-
cacia retroattiva (effetto che trova il consenso anche
dell’Amministrazione finanziaria tedesca) degli effetti fiscali del gruppo, con la conseguenza che ciascuna società sarà tassata sul proprio reddito in base alle regole ordinarie.
Da ultimo, il contratto di trasferimento di utili deve contenere - a pena di nullità dal punto di vista civilistico e di irrilevanza dal punto di vista fiscale l’indicazione di quanto sarà corrisposto ai soci esterni delle società organo (außenstehende Gesellschafter) a titolo di conguaglio per l’eventuale pregiudizio
derivante dall’annessione alla società capogruppo.
La dazione di tale somma, a prescindere dal fatto
che avvenga ad opera delle società organo o della
capogruppo, non determina una diminuzione del
reddito globale del gruppo, né costituisce un costo
deducibile per la società che eroga il conguaglio(9).
Per contro, in capo alla società organo ricevente, la
somma percepita a titolo di compensazione costituirà reddito imponibile per i 3/4 dell’ammontare effettivamente pagato.
6. Il reddito globale di gruppo
In Italia, ciascuna società procede alla determinazione del proprio risultato fiscale applicando le
prescrizioni in tema di reddito di impresa dettate dal
Testo Unico cui segue, da parte della società capogruppo, la quantificazione del reddito complessivo
globale secondo le disposizioni di cui agli artt. 118 e
122 del medesimo Testo Unico. Se l’art. 118 preveNote:
(6)
Invero, il Bundesfinanzhof aveva ritenuto ammissibile il computo
altresì delle partecipazioni indirette nell’accezione sopra specificata
(BFH- Urteile I 95/65 del 24 gennaio 1968, in Bundessteuerblatt Teil
II, 1968, 315; I 44/64 del 26 aprile 1966, in Bundessteuerblatt Teil III,
1966, 376): il legislatore si è limitato a codificare una regola che già
in alcune occasioni aveva formato oggetto di applicazione.
(7)
Un esempio chiarirà meglio la questione. Se la società A - che si
configura quale controllante di un gruppo - detiene la maggioranza
assoluta dei diritti di voto nelle società organo B e C, queste saranno
per la globalità partecipate da A. Se le società organo B e C possiedono ciascuna rispettivamente il 50% delle azioni con diritto di voto
nella società D, la capogruppo A, per effetto del calcolo delle partecipazioni indirette in B e C, controllerà altresì la società D, con la conseguenza che anche per questa ultima società sarà soddisfatto il requisito dell’integrazione finanziaria nella capogruppo A.
Sono enucleabili, a titolo esemplificativo, la cessione delle partecipazioni da parte dell’Organträger, le operazioni di fusione, trasformazione, liquidazione che coinvolgono la società capogruppo o anche solo una società organo.
(8)
L’Amministrazione finanziaria tedesca (cfr. Bundesminister der Finanzen- Scritto del 22 novembre 2001, in Deutsches Steuerrecht,
2001, 2116) ha precisato che, dalla prospettiva dell’Organschaft, il
conguaglio non può configurarsi neanche come una distribuzione di
utili e non può determinare una diminuzione dell’imposta sul reddito dovuta.
(9)
Maggio-Giugno 2005
207
RIFORMA FISCALE
de la determinazione del reddito complessivo globale costituito dalla somma algebrica per l’intero importo dei redditi e delle perdite delle entità rientranti nel perimetro del consolidamento, l’art. 122 prevede che al risultato così ottenuto si apportano alcune variazioni, le c.d. “rettifiche di consolidamento”
che possono comportare una diminuzione ovvero un
aumento del reddito complessivo globale: i dividendi distribuiti fra le varie società, che non concorrono
alla formazione della base imponibile consolidata; il
pro-rata patrimoniale, nella cui rideterminazione
non deve tenersi conto dei finanziamenti effettuati
per l’acquisto di partecipazioni in società incluse
nel consolidato; le cessioni infragruppo nella misura
corrispondente alla differenza fra il valore di libro e
quello fiscalmente riconosciuto di beni diversi da
quelli che generano ricavi trasferiti in regime di
neutralità fra le singole società del gruppo.
La sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi, ivi compresa la registrazione del contratto di
trasferimento degli utili, rende operativo ed efficace
l’istituto dell’Organschaft.
In una prima fase, ciascuna società del gruppo che non perde, per effetto dell’Organschaft, la propria soggettività giuridica e fiscale - procede, secondo le regole ordinarie, alla determinazione del proprio risultato fiscale e alla predisposizione della relativa dichiarazione, indicando il futuro “trasferimento” del risultato reddituale che dovrà essere effettuato a favore della capogruppo. In questa fase,
quindi, il reddito della società organo, da una parte,
e il reddito della società capogruppo, dall’altra, sono
due “voci” autonome e distinte, come se l’Organschaft non esistesse; tuttavia, per effetto dell’imputazione del reddito alla capogruppo, la dichiarazione
delle singole società organo non evidenzierà materia
imponibile e il risultato finale sotto il profilo fiscale
sarà uguale a zero. L’unica eccezione, espressamente prevista ex § 16 KStG, è rappresentata dall’ipotesi in cui viene accordata alla società organo una
somma a titolo di compensazione da destinare, nella
generalità dei casi sotto forma di dividendo, ai c.d.
soci esterni della stessa: in questo caso, la società
organo avrà un reddito imponibile nella misura dei ?
di quanto ricevuto a titolo di conguaglio.
In una seconda fase, le società organo imputano e
trasferiscono all’impresa capogruppo il proprio risultato reddituale, che è l’utile o la perdita conseguita nel periodo di imposta di riferimento(10), il quale viene considerato fin dall’inizio quale reddito proprio della società controllante: la capogruppo - ed è
in questa “attività” che si manifesta la rilevanza fi208
Maggio-Giugno 2005
scale del gruppo - compie una compensazione fra gli
utili e le perdite fiscali delle singole società e gli utili e le perdite fiscali proprie, determinando in tale
modo l’imponibile fiscale di gruppo che è oggetto di
tassazione in capo al soggetto dominante. La capogruppo assume quindi la veste di soggetto passivo
d’imposta ed è tenuta all’assolvimento di tutti gli
oneri relativi, e in primis, al pagamento delle imposte dovute, ferma restando tuttavia la responsabilità
sussidiaria delle singole società organo, che non sono quindi responsabili solo per la parte del debito
globale, ma anche per l’intero.
7. Le operazioni infragruppo
La disciplina dei rapporti infragruppo, di regola
agevolati nell’ambito del consolidato fiscale, assume
in parte connotati differenti nelle due legislazioni
tributarie, italiana e tedesca.
I dividendi distribuiti fra le società che rientrano
nel consolidato non sono oggetto di tassazione in Italia, così come in Germania, ove, per effetto dell’abolizione del sistema di imputazione, i dividendi infrasocietari sono totalmente esenti.
I trasferimenti infragruppo, invece, sono soggetti
ad un trattamento differente: in Italia, i trasferimenti di beni diversi da quelli che generano ricavi godono di un regime di neutralità fiscale. In Germania,
non vigono eccezioni al principio secondo cui anche
le transazioni infragruppo devono essere effettuate
al valore di mercato secondo le regole ordinarie, con
la conseguente emersione di un reddito imponibile
in capo alla società cedente.
8. Il regime delle perdite
La peculiarità del regime del consolidato fiscale
in Italia e dell’Organschaft in Germania deve individuarsi nel possibile utilizzo delle perdite fiscali generate dalle società i cui risultati reddituali formano
oggetto di consolidamento a fini fiscali.
La legislazione tributaria italiana accorda rilevanza alle perdite in ragione del momento in cui le stesse sono venute ad esistenza, dovendosi distinguere
fra: i) perdite realizzate prima dell’esercizio dell’opzione che possono utlizzarsi solo dalla società cui si
riferiscono; ii) perdite maturate in corso di consolidaNota:
In questo senso, il I Senat del Bundesfinanzhof, accogliendo un
principio già affermato nella sentenza del 20 agosto 1986 (BFH- Urteil I R 150/82, in BStB1 II 1987, 455, 458).
(10)
RIFORMA FISCALE
to trasferibili alla controllante solo dall’esercizio in
cui si è esercitata l’opzione; iii) perdite conseguite
successivamente, le quali rimangono nell’esclusiva
disponibilità della società controllante.
La legislazione tedesca non riconosce a tutte le
perdite la medesima rilevanza in sede di determinazione del risultato complessivo del gruppo spiegandosi il diverso trattamento in ragione del momento in
cui le stesse si sono verificate e del soggetto che le
ha realizzate.
Le perdite fiscali realizzate dall’Organträger nei
periodi antecedenti l’esistenza dell’Organschaft godono di un regime, per così dire, agevolato, potendo
essere compensate o con gli utili della stessa impresa dominante, nel caso di “conservazione” durante il
periodo di esistenza dell’Organschaft, o con i redditi delle singole società organo attribuiti alla capogruppo, nel caso di utilizzo in vigenza dell’Organschaft. Diversamente, le perdite fiscali delle singole
società organo antecedenti la “creazione” dell’Organschaft sono “congelate” e possono formare oggetto di compensazione solo con i futuri redditi della
stessa società che le ha realizzate dopo la cessazione
degli effetti di tale istituto.
Le perdite fiscali conseguite dalle società organo
in vigenza dell’Organschaft sono imputate alla capogruppo e da questa compensate con i profitti dell’intero gruppo. Più complesso è invece il regime delle
perdite realizzate dall’Organträger nel corso della
vita dell’Organschaft.
Una società capogruppo può localizzare in Germania il centro effettivo di direzione e, nel contempo, avere in un altro Stato la propria sede legale: il §
14, Abs. 1, Nr. 5, Satz 1 del KStG prevede un regime
speciale nell’ipotesi in cui dalla dichiarazione della
società capogruppo - il cui centro effettivo di direzione dell’attività è localizzato in Germania - emerga
un “risultato negativo” prima dell’operazione di
compensazione con gli utili e le perdite di tutte le
società del gruppo, “risultato negativo” che sarà fiscalmente irrilevante per la normativa tedesca (nel
senso che esso non dovrà essere computato in sede
di predisposizione della dichiarazione) qualora esso
sia già rilevante ai fini fiscali per la legislazione dello Stato di localizzazione della sede legale e nei limiti in cui la relativa normativa tributaria ne consenta la deduzione(11).
Per quanto concerne, infine, il regime delle perdite imputabili alla capogruppo al termine dell’Organschaft, esse, se riportate a nuovo, possono essere
compensate con gli utili dell’Organträger conseguiti
nell’ultimo anno di vita dell’Organschaft e comportare così una riduzione del futuro reddito imponibile
della società già Organträger.
Note:
(11)
Il legislatore tedesco ha voluto così evitare che lo stesso risultato
negativo comporti una diminuzione del reddito due volte, la prima
ai sensi della normativa tedesca stessa, la seconda in forza della disciplina dello Stato estero. Tuttavia, se la disposizione è chiara nella
ratio e nella funzione, altrettanto non può affermarsi con riferimento all’ambito applicativo, avendo la dottrina e la giurisprudenza
stesse evidenziato la difficoltà di individuare le ipotesi di applicazione della norma nella pratica (cfr. HERLINGHAUS, Weitere “Renovierung” der steuerlichen Organschaftsbestimmungen, in GmbH-Rundschau, 2001, pp. 956-963; DÖTSCH/EVERSBERG/JOST/WITT, § 14 KStG n. F.,
Tz 13a ff). Una posizione assai critica sulla valenza e l’effettiva applicabilità di questa disposizione è stata assunta da MEILICKE, Die Neuregelung der ertragsteuerlichen Organschaft über die Grenze, in Der
Betrieb, 2002, pp. 911-912 e da TÖBEN/SCHULTE/RUMMEL, Doppelte Verlustberücksichtigung, in Organschaftsfällen mit Auslandsberührung,
in Finanz-Rundschau, 2002, 425.
Maggio-Giugno 2005
209
RIFORMA FISCALE
Sintesi comparativa della tassazione consolidata in Italia e in Germania
ITALIA
SOGGETTO
GERMANIA
CONTROLLANTE
Art. 73, comma 1, lettere a), b) e d) § 14, Abs 1, Nr. 3 KStG
del T.U.I.R.
SOGGETTO
CONTROLLATO
Art. 73, comma 1, lettere a) e b) del § 14, Abs 1, Nr. 2 KStG
T.U.I.R.
CONTROLLO
Art. 2359, comma 1, n. 1, cod. Civ.
Integrazione finanziaria
Esercizio congiunto dell’opzione
Stipula del contratto di trasferimento
degli utili e delle perdite
3 anni
5 anni
Somma algebrica dei risultati delle
entità consolidate e al risultato globale applicazione delle rettifiche di
consolidamento
Determinazione del risultato di ciascuna società con presentazione della dichiarazione e trasferimento alla
capogruppo
Esenzione dei dividendi distribuiti
Esenzione dei dividendi distribuiti
PRESUPPOSTO PER L’EFFICACIA DEL
CONSOLIDATO
DURATA
MINIMA
D ETERMINAZIONE DEL REDDITO
GLOBALE DI GRUPPO
OPERAZIONI
INFRAGRUPPO
Neutralità fiscale dei trasferimenti Applicazione del valore di mercato e
infragruppo
tassazione in capo alla cedente
REGIME
DELLE PERDITE:
a) prima del consolidato
Possibile utilizzo solo da parte della Controllante: compensazione con i
società che le ha prodotte
propri utili o con i redditi delle singole società.
Controllate: compensazione con i
propri redditi al venir meno degli effetti della tassazione consolidata
b) durante il consolidato
Trasferimento alla controllante
Imputazione alla capogruppo e compensazione con il reddito globale
c) al termine del consolidato
Permanenza in capo alla controllante Riporto a nuovo e compensazione con
gli utili della controllante
210
Maggio-Giugno 2005
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
Lo scambio di partecipazioni
come strumento di riorganizzazione
in ambito nazionale - Seconda parte
di Alessandro Umberto Belluzzo(*)
1. Lo scambio
di partecipazioni
in ambito nazionale
mediante conferimento(1)
Note:
SOMMARIO:
1. Lo scambio di partecipazioni
in ambito nazionale mediante
conferimento - 2. Conclusioni
In via preliminare all’analisi
dei dettagli dell’operazione, occorre rilevare che il conferimento
di partecipazioni non è disciplinato in via esclusiva
dall’art. 177 del nuovo T.U.I.R., ovvero all’interno della disposizione intitolata appunto allo scambio di partecipazioni, bensì anche dall’art. 175 del nuovo T.U.I.R.
Le due norme non disciplinano in modo identico
la stessa fattispecie ma prevedono alcune sostanziali differenze che sollevano questioni sulla ratio di tale scelta legislativa e che, in ogni caso, rendono problematico il raccordo tra le due disposizioni.
Ai fini della precisa individuazione dei soggetti
che intervengono nell’operazione, vengono definiti:
1. “società conferitaria” la società che intende acquisire il controllo: deve essere una società di capitali o ente di cui all’art. 73 del nuovo T.U.I.R.;
2. “società conferita”(target) la società della quale si
intende acquisire il controllo: deve essere una società di capitali o ente di cui all’art. 73 del nuovo
T.U.I.R.;
3. “società conferente” (ovvero il soggetto che apporta le azioni o quote) persona giuridica o imprenditore ai sensi dell’art. 2082 del Codice civile con
la necessità di rispettare lo status di residenza fiscale ai sensi dell’art. 175, comma 1 del nuovo
T.U.I.R. Secondo le disposizioni dell’art. 177 del
nuovo T.U.I.R , recentemente modificato dal Legislatore riguardo alla limitazione soggettiva(2) avvicinando così la normativa nazionale a quella
comunitaria, il soggetto conferente può essere anche una persona fisica non imprenditore.
Il presupposto oggettivo incontra maggiori diffi(∗)
I.A.F.C. (Istituto, Amministrazione Finanza e Controllo),
Università L. Bocconi. Si ringrazia per la collaborazione il Dott.
Alberto Franco
(1)
L’articolo in pubblicazione, che ricordiamo essere il seguito del contributo pubblicato sul n. 2/2005 di questa Rivista, è stato
aggiornato con le proposte di modifica intervenute con il correttivo IRES pubblicato
in data 18/03/05. Per ragioni di sistematicità inseriamo il testo modificato:
Art. 177
Scambi di partecipazioni
1. La permuta, mediante la quale uno dei soggetti indicati nell’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), acquista o integra una partecipazione di controllo ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1), del codice civile, contenente disposizioni in materia di società controllate e
collegate, in altro soggetto indicato nelle medesime lettere a) e b),
attribuendo ai soci di quest’ultimo proprie azioni (eliminato), non
dà luogo a componenti positivi o negativi del reddito imponibile a
condizione che il costo delle azioni o quote date in permuta sia attribuito alle azioni o quote ricevute in cambio. L’eventuale conguaglio in denaro concorre a formare il reddito del percipiente ferma rimanendo, ricorrendone le condizioni, l’esenzione totale di cui all’articolo 87 e quella parziale di cui agli articoli 58 e (“68, comma 3”).
2. Le azioni o quote ricevute a seguito di conferimenti in società,
mediante i quali la società conferitaria acquisisce il controllo di una
società ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1, del codice civile, sono valutate, ai fini della determinazione del reddito (“del
conferente”) , in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del
conferimento.
3. Si applicano le disposizioni dell’articolo 175, comma 2.
In sintesi le modifiche riguardano:
1) il presupposto soggettivo: nel caso della permuta appare non più
possibile che il soggetto acquirente sia una “srl”, come era stato già
evidenziato nel precedente contributo; nel caso di conferimento: il
conferente può essere anche una persona fisica non imprenditore.
2) tassazione del conguaglio: è stato modificato il rinvio sistematico
all’art. 68, comma 3.
(2)
La limitazione soggettiva posta dal testo dell’art. 177 del nuovo
T.U.I.R., precedente al correttivo IRES, rispetto alla stessa operazione
di scambio di partecipazioni mediante conferimento ma in ambito
intracomunitario sembrava non essere priva di conseguenze. La stessa Direttiva 434/90 qualifica infatti i soci della società acquistata con
il termine omnicomprensivo di “partecipanti”, ed essendo il termine
assolutamente generico, non può che riferirsi a qualunque soggetto,
indipendentemente dalla sua configurazione giuridica. Nemmeno il
decreto 544/92 ha posto condizioni circa la qualità del socio che effettua lo scambio, prevedendo però un’ulteriore condizione circa lo
status di residenza del socio. Può quindi trattarsi sia di persona fisica
che di società dotata o meno di personalità giuridica.
Tale interpretazione è supportata dalla sentenza della Corte di giustizia del 17 luglio1997, conosciuta come sentenza “Leur-Bloem”,
che chiarisce, altresì, l’ambito soggettivo di applicazione. Si veda in
tal senso, Greco, Note sullo scambio di azioni transfrontaliero a seguito della sentenza Leur-Bloem, in Il Fisco 1998, p. 10931.
L’interpretazione letterale del D.Lgs. 358/97 e dell’art. 177 del nuovo
TUIR precedente al correttivo IRES non sembrava lasciare spazio ad
una interpretazione conforme alla Direttiva 434/90 nonché al D.Lgs.
544/92, indicando quindi quale soggetto conferente il solo imprenditore ovvero persona giuridica.
Maggio-Giugno 2005
211
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
coltà di inquadramento, viste le due diverse lettere
della norma, ove l’acquisto di una partecipazione
che consenta di ottenere il controllo deve essere necessariamente inteso come:
a) art. 175: conferimento di partecipazione di controllo (limite 2359 c.c.);
b) art. 177: conferimento di partecipazione che consenta di acquisire il controllo (limite 2359 c.c.
comma 1, n. 1).
Affermando che le disposizioni di cui all’art. 175
del nuovo T.U.I.R., si applicano limitatamente alla
fattispecie di “conferimenti di (…) partecipazioni di
controllo o di collegamento”, il Legislatore ha confermato le perplessità sollevate dalla dottrina in
commento al testo del D.Lgs. 358/97.
Parte di quest’ultima, infatti, ha sostenuto una
teoria estensiva riguardo alla possibilità di applicare tale articolo al conferimento di partecipazioni di
controllo e di collegamento in tutte le ipotesi previste dall’art. 2359, c.c.(3).
A sostegno dell’interpretazione di cui sopra, è
stata citata la circolare ministeriale 320/97, di commento al decreto legislativo 358/97, che precisa: “le
operazioni di conferimento disciplinate dall’articolo
in esame sono esclusivamente quelle aventi ad oggetto (…) partecipazioni di controllo o collegamento ai
sensi dell’articolo 2359 del codice civile”.
Sull’altro fronte, invece, non è mancato chi, sulla
base del tenore letterale della norma, ha promosso
l’ipotesi interpretativa restrittiva, affermando che
l’art. 3 del D.Lgs 358/97, sostituito dall’attuale art.
175, disciplina i soli conferimenti di partecipazioni
che consentono ex ante di disporre della maggioranza dei voti nell’assemblea ordinaria(4).
L’art. 177, 2 comma, del nuovo T.U.I.R, sostitutivo del D.Lgs. 358/97 comma 2, articolo 5, invece,
stabilisce che: “le azioni o quote ricevute a seguito di
conferimenti in società, mediante i quali la società
conferitaria acquisisce il controllo di una società ai
sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1, del codice civile, sono valutate, ai fini della determinazione
del reddito (del conferente), in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato
dalla società conferitaria per effetto del
conferimento”.
Tale articolo, quindi, costituisce un’ulteriore fattispecie normativa per l’operazione di scambio di
partecipazioni, in aggiunta alla permuta ex 177,
comma 1, del nuovo T.U.I.R, e al conferimento di cui
all’articolo 175, comma 1, del medesimo T.U.I.R.,
così come appare esposto.
Le differenze rispetto a quest’ultima ipotesi sono
212
Maggio-Giugno 2005
riscontrabili principalmente nel disposto fiscale della normativa, che verrà approfondito in seguito.
1.1 La rappresentazione contabile
dell’operazione di scambio di partecipazioni
mediante conferimento
Al fine di facilitare la comprensione, si ricorre ad
un’esemplificazione, riprendendo lo schema utilizzato nel caso della permuta.
Si assumano le seguenti ipotesi:
• la società A S.p.a. (società conferente) conferisce
un pacchetto di partecipazioni di per sé di controllo(5) nella società C S.p.a. (società target) alla
società neo costituita B S.r.l. (società conferitaria);
• il valore contabile-fiscale della partecipazione
nella società C S.p.a. è pari a 1.000;
• il valore di perizia ex art. 2343, c.c., della partecipazione in C S.p.a. è pari a 1.500;
• la società B S.r.l., per effetto del conferimento, effettua un aumento di capitale sociale per 1.500(6).
Il regime di cui agli artt. 175 e 177 del nuovo
T.U.I.R., è applicabile in quanto ricorrano tutti i requisiti richiesti dalla norma di legge:
1) la società B S.r.l. (società conferitaria) riceve in
conferimento un pacchetto di partecipazioni di
per sé di controllo, ai sensi dell’art. 2359, primo
comma, n. 1, c.c., nella società C S.p.a. (società
target);
2) la società C S.p.a. (società target) è una società di
capitali.
La società A S.p.a. (società conferente) potrà conNote:
Cfr. Serbini, Lo scambio di partecipazioni alla luce della normativa
di attuazione della delega sulle operazioni di riorganizzazione societaria, in Il Fisco, n. 45/97, p. 13275
(3)
(4)
Cfr. Beghin, op. cit. 358/97, in Rivista di diritto tributario, 1998, p.
614 e Manera, Il regime fiscale comune delle operazioni di riorganizzazione aziendale nell’ambito UE, in Giurisprudenza delle imposte, 2000, n. 6, p. 1418.
Ai fini dell’applicabilità del regime di entrambi gli articoli il pacchetto di partecipazioni oggetto del conferimento è già di per sé di
controllo. Come evidenziato in precedenza, ai fini dell’applicabilità
del solo art. 175 il requisito necessario sarebbe stato il semplice ottenimento del controllo ai sensi dell’art. 2359, c.c., nella società target
da parte della società conferitaria, anche attraverso l’integrazione di
partecipazioni precedentemente possedute.
(5)
(6)
Nel presente esempio si prescinde per semplicità dalla rilevazione
della riserva sovrapprezzo, rappresentando quindi il (pur non frequente) caso in cui il valore nominale delle azioni del conferitario
coincida con il valore economico delle stesse. Il sovrapprezzo assolve
infatti la funzione di eliminare le conseguenze derivanti dall’esclusione del diritto di opzione qualora il valore nominale delle azioni
non coincida con il valore reale. Per approfondimenti si rimanda a R.
PEROTTA, Il conferimento di azienda, Giuffré, 2005 (pp. 70 e ss.).
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
tabilizzare la partecipazione in B S.r.l. ricevuta per
effetto del conferimento:
a) allo stesso valore contabile-fiscale a cui era
iscritta la partecipazione in C S.p.a.:
Partecipazione in B S.r.l.
1.000
Partecipazione in C S.p.a.
1.000
b) al valore delle nuove quote emesse dalla società
B S.r.l. a seguito del conferimento:
Partecipazione in B S.r.l.
1.500
Partecipazione in C S.p.a.
1.000
Plusvalenza da conferimento
della partecipazione in C
500
La società B S.r.l. (società conferitaria) contabilizza a valore di stima la partecipazione in C S.p.a.
ricevuta per effetto del conferimento:
Partecipazione in C S.p.a.
1.500
Capitale sociale
1.500
L’aumento di capitale di B S.r.l. (società conferitaria) è quindi espressivo del valore corrente della
partecipazione conferita.
Occorre rilevare la presenza, in entrambi i casi,
di una plusvalenza pari a 500, creatasi per effetto
della discrepanza tra valore di stima della partecipazione in C S.p.a., e conseguente contabilizzazione in
Figura 1: lo scambio di partecipazioni mediante conferimento
1. Situazione ante-operazione
3. Risultato dell’operazione
SOCIETÀ B
SOCIETÀ A
Conferitaria
Conferente
SOCIETÀ C
Target
AUM. CAP. SOC. DI B
AZIONI DI C
C
O
N
T
R
O
L
L
A
SOCIETÀ B
2. Operazione di conferimento di partecipazioni
SOCIETÀ B
Realizza aumento
di capitale sociale
SOCIETÀ A
SOCIETÀ A
Conferisce a B quote
o azioni di C
SOCIETÀ C
C
O
N
T
R
O
L
L
A
SOCIETÀ C
Maggio-Giugno 2005
213
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
B S.r.l. per il medesimo ammontare, ovvero 1500, e
il valore contabile-fiscale della stessa partecipazione in C S.p.a. nel bilancio di A S.p.a., ovvero
1.000(7).
La rappresentazione contabile e le posizioni dottrinali possono essere ritenute attuali anche dopo le
modifiche apportate al T.U.I.R., lasciando però inespresse alcune peculiarità che risultano dall’analisi
del combinato disposto degli art. 175 e 177 del nuovo T.U.I.R.
1.2 La disciplina fiscale dello scambio
di partecipazioni mediante conferimento
I due articoli del nuovo T.U.I.R. relativi allo
scambio di partecipazioni tramite conferimento non
disciplinano in modo identico la stessa fattispecie,
bensì contengono alcune sostanziali differenze, riguardo sia all’ambito civilistico di applicazione, già
esposto nei paragrafi precedenti, sia, in particolare,
al trattamento fiscale dell’operazione.
Tale considerazione è alla base della scelta di
esporre separatamente la normativa contenuta nei
due articoli.
1.3 Lo scambio di partecipazioni
mediante conferimento: la disciplina
dell’art. 175 comma 1, del nuovo T.U.I.R.
L’art. 175, comma 1, prevede una disciplina sulla
determinazione e sull’imposizione delle plusvalenze
derivanti da atti di conferimento che abbiano ad oggetto unicamente pacchetti di partecipazioni “di per
sé di controllo”, come meglio specificato nei paragrafi precedenti.
Il Legislatore ha stabilito che: “Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 86, fatti
salvi i casi di esenzione di cui all’articolo 87, per i
conferimenti di aziende e di partecipazioni di controllo o di collegamento ai sensi dell’articolo 2359 del
codice civile, contenente disposizioni in materia di società controllate e collegate, effettuati tra soggetti residenti in Italia nell’esercizio di imprese commerciali,
si considera valore di realizzo quello attribuito alle
partecipazioni, ricevute in cambio dell’oggetto conferito, nelle scritture contabili del soggetto conferente
ovvero, se superiore, quello attribuito all’azienda o alle partecipazioni conferite nelle scritture contabili del
soggetto conferitario”.
In virtù della citata disposizione, dunque, l’operazione può sostanzialmente svolgersi in regime di
“non imponibilità”, ma ciò a condizione che, nel
214
Maggio-Giugno 2005
passaggio dei beni dalla conferente alla conferitaria,
quest’ultima iscriva le partecipazioni allo stesso valore formatosi in capo alla conferente, e sempre che
la stessa conferente non iscriva le partecipazioni a
sua volta ricevute ad un valore “contabile-fiscale”
più alto rispetto a quello già formatosi per le partecipazioni conferite.
Le ragioni che hanno indotto il Legislatore della
riforma, a confermare una simile disciplina, possono
essere ricavate dalle considerazioni riportate nella
relazione di accompagnamento alla bozza del decreto legislativo: poiché tramite l’operazione di conferimento, la conferente riceve una contropartita sui generis, mancando un’effettiva realizzazione delle plusvalenze/minusvalenze latenti, la tassazione della
plusvalenza comporterebbe un’interferenza fiscale
nei processi di ristrutturazione produttiva delle imprese, giacché la conferente, per far fronte al carico
tributario, potrebbe essere indotta ad indebitarsi.
Tale ragione, sembrerebbe alla base della ratio
per la quale i conferimenti sono stati considerati come operazioni atte a generare materia imponibile
soltanto nella ipotesi in cui, in occasione del trasferimento della partecipazioni, la conferente o la conferitaria attribuiscano ai titoli ricevuti valori fiscalmente riconosciuti più elevati rispetto a quelli originari.
Tale impostazione risulta altresì confermata, dalla norma anti-abuso inserita nell’art. 175, 2 comma,
del nuovo T.U.I.R. che impedisce di applicare le regole di cui all’art. 175, 1 comma, del nuovo T.U.I.R.
ove non siano rispettati i requisiti per l’esenzione di
cui all’art. 87 del nuovo T.U.I.R. per le partecipazioni scambiate (conferite) a fronte del ricevimento di
partecipazioni che rispettino i requisiti di cui all’art.
87 del nuovo T.U.I.R, imponendo l’applicazione del
regime ordinario di tassazione (valore normale dei
titoli scambiati) di cui all’art. 9 del nuovo T.U.I.R(8).
Si ritiene, infine, applicabile alla fattispecie a
commento, il regime del “doppio binario”, seguendo
le regole previste dall’art. 176(9) del nuovo T.U.I.R.
Note:
(7)
In particolare anche se la rappresentazione contabile risulta differente, ai fini dell’imposizione della plusvalenza da conferimento non vi sono particolari conseguenze. Infatti, nell’ipotesi in cui si
aderisse alla dottrina che ritiene applicabile il “doppio binario”
anche allo scambio di azioni tramite conferimento, si arriverebbe
alla conclusione che l’eventuale maggiore valore è sempre da considerarsi non tassabile. Si veda in tal senso, Stevanato, Scambi
transfrontalieri e “doppio binario”: note critiche a margine dei recenti orientamenti ministeriali, in Rass. Trib. n. 1 2000, p. 74; Belluzzo, op.cit.
V. sopra, La disciplina fiscale delle operazioni di scambio mediante
permuta
(8)
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
anche se non si rileverà necessario l’utilizzo del prospetto di riconciliazione proprio per la natura dei beni oggetto di conferimento(10).
Tale impostazione può peraltro trovare una più generale conferma a livello sistematico in considerazione dell’adozione dei principi IAS/IFRS; l’Organismo
Italiano di Contabilità individua infatti come criterio
base il “doppio binario”, in accordo con quanto previsto dal legislatore nel D.Lgs. 38/2005(11).
1.4 Lo scambio di partecipazioni
mediante conferimento: la disciplina
del comma 2, dell’art. 177 del nuovo T.U.I.R.
Come già sottolineato, lo scambio di partecipazioni mediante conferimento è disciplinato, anche
dall’art. 177, comma 2, del nuovo T.U.I.R. che dispone: “Le azioni o quote ricevute a seguito di conferimenti in società, mediante i quali la società conferitaria acquisisce il controllo di una società ai sensi
dell’articolo 2359, primo comma, n. 1, del codice civile, sono valutate, ai fini della determinazione del
reddito (del conferente), in base alla corrispondente
quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento”.
Si tratta quindi di un criterio di valutazione finalizzato a garantire la neutralità fiscale dell’operazione che colloca in posizione prioritaria il conferente
in qualità di soggetto idoneo astrattamente a realizzare la plusvalenza, seppur in funzione del comportamento adottato dal conferitario, secondo un principio non dissimile da quello che disciplina il conferimento di cui al precedente art. 175, comma 1, del
nuovo T.U.I.R., il quale prevede ugualmente che l’onere a carico del conferente sia subordinato alle
scelte contabili effettuate dal conferitario(12).
La differenza tra art. 175 e art. 177 del nuovo
T.U.I.R., non è trascurabile: il primo attribuisce
un’importanza decisiva al maggior valore di iscrizione del conferente oppure del conferitario; il secondo, invece, pone in posizione di centralità la sola
rappresentazione contabile effettuata dal conferitario. È tuttavia evidente la rilevanza che assume la
continuità dei valori fiscalmente riconosciuti, che è
normativamente assicurata dalla corrispondenza che
si perpetua nelle scritture contabili, le quali, pur
escludendo nella fattispecie in commento la regola
del “doppio binario”, denotano sicuramente il pregio
di evitare salti d’imposta o doppie imposizioni.
Simile soluzione, peraltro, aveva già trovato riconoscimento con la risoluzione ministeriale n. 55/E
del 17 aprile 1996, proprio in materia di scambio di
partecipazioni realizzato mediante conferimento, ancorché intracomunitario, con la quale l’amministrazione finanziaria aveva riconosciuto il principio della conservazione dei valori fiscalmente riconosciuti
attraverso la continuità dei valori iscritti in contabilità direttamente desumibile dal D.Lgs. 544/92(13).
Sotto il profilo generale, invece, resta immutata
l’idoneità dell’operazione a generare plusvalenze o
minusvalenze: in tale ottica si giustifica il riferimenNote:
(9)
Art. 176
Regimi fiscali del soggetto conferente e del soggetto conferitario
1. I conferimenti di aziende effettuati tra soggetti residenti nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese commerciali, non costituiscono realizzo di plusvalenze o minusvalenze a condizione che il soggetto conferitario rientri fra quelli di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b). Tuttavia il soggetto conferente deve assumere, quale valore delle partecipazioni ricevute, l’ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell’azienda conferita e il soggetto conferitario subentra nella posizione di quello conferente in ordine agli elementi dell’attivo e
del passivo dell’azienda stessa, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei redditi i dati esposti
in bilancio e i valori fiscalmente riconosciuti.
2. In luogo dell’applicazione delle disposizioni del comma 1, i soggetti ivi indicati possono optare, nell’atto di conferimento, per l’applicazione delle disposizioni del presente testo unico.
3. Non rileva ai fini dell’articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, il conferimento dell’azienda secondo il regime di continuità dei valori fiscali riconosciuti di cui
al presente articolo e la successiva cessione della partecipazione ricevuta per usufruire dell’esenzione totale di cui all’articolo 87, o di
quella parziale di cui agli articoli 58 e 67, comma 1, lettera c).
4. Le aziende acquisite in dipendenza di conferimenti effettuati con
il regime di cui al presente articolo si considerano possedute dal soggetto conferitario anche per il periodo di possesso del soggetto conferente. Le partecipazioni ricevute dai soggetti che hanno effettuato i conferimenti di cui al periodo precedente o le operazioni di cui
all’articolo 178, in regime di neutralità fiscale, si considerano iscritte
come immobilizzazioni finanziarie nei bilanci in cui risultavano iscritti i beni dell’azienda conferita o in cui risultavano iscritte, come immobilizzazioni, le partecipazioni date in cambio.
5. L’eccedenza in sospensione di imposta, ai sensi dell’articolo 109,
comma 4, lettera b), relativa all’azienda conferita non concorre alla
formazione del reddito del soggetto conferente e si trasferisce al
soggetto conferitario a condizione che questi istituisca il vincolo di
sospensione d’imposta previsto dalla norma predetta.
6. Quando il conferimento abbia ad oggetto l’unica azienda dell’imprenditore individuale si applica l’ultimo comma dell’articolo 175.
Il riferimento al prospetto di riconciliazione è doveroso sia perchè
l’art. 176 del nuovo T.U.I.R. che disciplina altresì la fattispecie del
doppio binario, ne fa menzione, sia perché era stato utilizzato come
giustificativo a contraris dall’amministrazione finanziaria (R.M. n.
190/E) che non considerava possibile l’applicazione del doppio binario allo scambio di partecipazioni. La posizione peraltro è stata ampiamente criticata in dottrina, si veda sul punto, Belluzzo, cit. op.e
Stevanato, cit op.
(10)
(11)
L’OIC rileva infatti nella Guida Operativa alla transizione “I più ricorrenti problemi fiscali, relativi alla prima applicazione degli IAS e
all’utilizzo a regime degli stessi, trovano soluzione nelle norme contenute nel Testo Unico delle Imposte dirette (Tuir), come modificato
dal D.lgs n. 344/03 a seguito della riforma del diritto tributario, in
particolare mediante l’utilizzo del doppio binario, civilistico e fiscale” (p. 18)
(12)
Cfr. Paparella, op. cit e Assonime, circolare n. 42 del 27 maggio
1998.
(13)
Si veda Belluzzo, op. cit.
Maggio-Giugno 2005
215
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
to “alla corrispondente quota delle voci del patrimonio netto formato dalla società conferitaria”, nel senso che, laddove tale incremento sia costituito dal
surplus di capitale sociale di importo nominale equivalente a quello del valore di iscrizione delle partecipazioni conferite, non emergerà alcuna materia
imponibile, mentre, qualora si registri un incremento superiore del patrimonio netto, tramite lo stesso
capitale sociale o altre poste del patrimonio netto, in
quanto le partecipazioni ricevute risultino iscritte ad
un valore superiore rispetto a quello della conferente, evidentemente l’operazione genererà materia imponibile(14).
In via ulteriore si deve considerare come sia presente anche nell’art. 177, la norma anti-abuso di cui
all’art. 175, 2 comma, che impedisce di utilizzare lo
scambio di azioni per porre in essere un salto di imposta riguardo ai maggiori valori latenti in capo alle
partecipazioni scambiate che non potrebbero usufruire del regime di esenzione di cui all’art. 87 del
nuovo T.U.I.R.
In senso opposto, altra parte della dottrina(15) a
commento del precedente art. 5, 2 comma del D.Lgs
358/97 (attuale art. 177, 2 comma) riteneva che, una
volta sancito quale criterio legale di determinazione
della plusvalenza da conferimento quello dell’aumento del patrimonio della conferitaria, l’eventuale
allibramento della partecipazione ricevuta da parte
del conferente ad un valore superiore, si configurerebbe come una rivalutazione volontaria rispetto ad
un valore fiscale determinato, ovvero come una vera
e propria “plusvalenza iscritta” fiscalmente irrilevante in seguito all’abrogazione della lettera c) dell’art. 54 del vecchio T.U.I.R.
Peraltro, in questo modo si sarebbe raggiunta una
parziale, ed unilaterale, omogeneizzazione del regime degli scambi di partecipazione mediante conferimento rispetto al sistema del “doppio binario” di cui
beneficiano i conferimenti d’azienda neutrali in base all’art. 4, D.Lgs. 358/97.
Il conferente, ma non il conferitario, avrebbe potuto, infatti, ugualmente beneficiare della flessibilità propria del “doppio binario”, che, sinteticamente, consente di evidenziare maggiori valori in bilancio con una rilevanza esclusivamente civilistica: ciò
si verificherebbe ogni qualvolta, a seguito dello
scambio, il conferente iscrivesse maggiori valori rispetto a quelli iscritti dalla conferitaria, maggiori valori che risulterebbero, come sopra ricordato, non
imponibili dopo l’abrogazione della lettera c) dell’art. 54 del T.U.I.R.
Le considerazioni sopra evidenziate, devono es216
Maggio-Giugno 2005
sere analizzate in riferimento alle novità introdotte
dal nuovo T.U.I.R. In particolare ci si deve interrogare se restano ancora valide le considerazioni basate sulla possibilità di poter applicare il “doppio binario” anche allo scambio di partecipazioni ovvero
se per ottenere una neutralità fiscale ci si debba attenere al dettato letterale delle norme.
Il riferimento al “doppio binario”, anche nel caso di scambio di partecipazioni di cui all’art. 177 del
nuovo T.U.I.R., appare tuttora possibile, permanendo la possibilità di poter iscrivere delle plusvalenze
a valenza solo civilistica, avendo a riguardo che, nel
momento di successiva cessione delle partecipazioni scambiate, il conferente dovrà scontare l’imposizione sulla differenza tra il prezzo di cessione e il
valore fiscale di iscrizione, assoggettando a tassazione perciò anche le plusvalenze latenti(16), anche se
nello specifico saranno facilmente individuabili anche se non evidenziate da un prospetto di riconciliazione(17).
Come può essere conciliabile il regime del “doppio binario” rispetto all’operazione di scambio di
partecipazioni di cui all’art. 177 del nuovo T.U.I.R.,
che pone l’attenzione proprio in capo all’acquirente
(conferitario). Cioè a dire, quale convenienza ci sarebbe ad utilizzare il “doppio binario” nel caso di
scambio di partecipazioni?
Alla domanda può essere data una duplice risposta:
1) nel caso di scambio di partecipazioni avente ad
oggetto titoli non agevolabili, per entrambi i soggetti scambianti ai sensi del art. 87 del nuovo
T.U.I.R., l’utilità del “doppio binario” potrebbe
risiedere nella possibilità di evidenziare i reali
valori di scambio e permettere il trasferimento di
ricchezza in sospensione di imposta (cd. Tax deferral), per poi cedere le partecipazioni in regime
di esenzione una volta acquisiti i requisiti richieNote:
(14)
Cfr. Beghin, op. cit.
Cfr. Stevanato, Lo scambio di partecipazioni mediante conferimento: “rivalutazione” dei titoli ed unilaterale sospensione della
plusvalenza per il conferente, in AA.VV, La fiscalità delle operazioni
straordinarie d’impresa, Il Sole 24 ore, Milano, 2002.
(15)
Nello specifico, la norma deve essere analizzata alla luce delle
nuove disposizioni in materia di esenzione di imposta da cessioni di
partecipazioni, di cui all’art. 87 del nuovo T.U.I.R.
(16)
(17)
Come evidenziato in precedenza, l’Amministrazione finanziaria si
era opposta all’utilizzo del “doppio binario” nello scambio di partecipazioni tramite conferimento. La posizione è stata ampiamente
criticata dalla dottrina maggioritaria che anzi ha evidenziato, in numerosi contributi, non solo la possibilità di applicare allo scambio di
partecipazioni tramite conferimento il “doppio binario” ma né ha
sottolineato i vantaggi. Per un approfondimento si veda , Belluzzo,
cit.op e Stevanato, cit. op.
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
sti dall’art. 87 del nuovo T.U.I.R. (avendo però riguardo alla possibile configurazione di disegno
elusivo e quindi successiva applicazione dell’art.
37-bis Dpr 600/73);
2) nel caso di scambio di azioni avente ad oggetto titoli non agevolabili per entrambi i soggetti scambianti ai sensi dell’art. 87 del nuovo T.U.I.R., l’utilità del “doppio binario” potrebbe risultare ancor più necessaria nelle operazioni di riorganizzazione societaria o acquisizioni per il tramite di
scambio di titoli contro titoli (cd. Operazioni carta contro carta) tra soggetti obbligati all’applicazione dei principi contabili internazionali(18).
2. Conclusioni
Lo scambio di partecipazioni è nato dall’esigenza
di poter disporre di uno strumento che consentisse
di operare riorganizzazioni societarie con ampi margini di flessibilità in un regime fiscalmente neutrale.
L’incertezza sui requisiti soggettivi ed oggettivi,
nonché sulle modalità attraverso cui conseguire la
neutralità fiscale hanno tuttavia limitato non infrequentemente nella realtà l’applicazione dell’istituto
in oggetto; le differenze rispetto alla normativa dello
scambio di partecipazioni intracomunitario, inoltre,
pongono in maggiore evidenza un quadro normativo
poco coordinato.
Il Legislatore della riforma fiscale, in un primo
momento, aveva colto solamente in parte le indicazioni della dottrina che potrebbero agevolare l’utilizzo dello scambio di partecipazioni, lasciando alcune limitazioni che gravano sulla diffusione dell’istituto.
Si pensi, ad esempio, alla profonda limitazione
posta dall’impossibilità per la persona fisica residente (non imprenditore), rispetto alla normativa intracomunitaria di cui al D.Lgs 544/92(19), di non poter scambiare in un regime di neutralità la propria
partecipazione, così da favorire sia la circolazione
delle partecipazioni che la riorganizzazione della
maggior parte delle strutture societarie.
Con il correttivo IRES, il Legislatore ha avvicinato la disciplina nazionale a quella comunitaria inserendo l’importante novità di permettere lo scambio
di partecipazioni anche alle persone fisiche non imprenditori ma ha lasciato alcune incertezze riguardo
al regime di “neutralità” e alle differenze di “contabilizzazione”, tra lo scambio di partecipazioni mediante conferimento di cui all’art. 175, comma 1, e
lo scambio di partecipazioni mediante conferimento
di cui all’art. 177, comma 2, che sembrano destina-
te ad essere superate in ottica di introduzione dei
principi contabili internazionali(20).
Si deve rilevare, quindi, una parziale realizzazione degli obiettivi che il Legislatore si era posto per
indirizzare le scelte imprenditoriali verso strutture
organizzative capaci di conciliare e al contempo
soddisfare i vantaggi fiscali con le effettive esigenze
della produzione, anche in considerazione ai principi cardine contenuti nella Direttiva 434/90(21).
La nuova disciplina fiscale, tuttavia, sembra favorire la circolazione di partecipazioni, in considerazione ai regimi esenzione e neutralità ad esse riferibili.
Seguendo le regole per la corretta applicazione
della normativa sullo scambio di partecipazioni nazionale e auspicando un intervento del Legislatore
capace di risolvere i problemi di coordinamento evidenziati, appare agevole ipotizzare riorganizzazioni
degli assetti societari mediante lo scambio di partecipazioni, al fine di avvalersi della esposta normativa risultante dalla riforma fiscale.
Note:
Il decreto legislativo del 28 febbraio 2005, n. 38 recepisce i principi contabili internazionali (art. 6, reg. Ce 1606/2002 del Parlamento
europeo e del Consiglio).
Sul punto si veda, Provasoli, Passaggio dai principi contabili nazionali agli IAS/IFRS; prima applicazione degli IAS/IFRS, Roma, 13 Maggio
2004; Belluzzo, Business combinations e rappresentazione contabile
alla luce della prossima riforma dei principi contabili internazionali,in Impresa c.i. n. 11 del 30 Novembre 2003; Belluzzo, Le business
combinations nella prassi internazionale: il mancato adeguamento
della norma civilistico in riferimento alle fusioni, in Impresa C.I., n. 9
del 30 settembre 2003, pag. 1361.
(18)
(19)
Si rimanda per approfondimenti a quanto detto riguardo ai profili soggettivi dello scambio di partecipazioni.
Sul punto, si veda Miele, Scambi di quote, conferimenti aperti non
solo a imprenditori, in Il Sole 24 ore 29/3/05, pag. 25.
(20)
In particolare, nei considerando della Direttiva l’istituzione di una
disciplina in materia di fusioni, scissioni, conferimenti e scambi di
azioni, comune agli Stati membri della UE, risulta motivata dall’esigenza di predisporre per tali operazioni, un regime fiscale neutrale
in grado di:
• garantire l’instaurazione ed il buon funzionamento del mercato
unico;
• assicurare la parità di trattamento alle operazioni intracomunitarie, rispetto alle operazioni nazionali;
• consentire la valutazione omogenea del regime fiscale applicabile
alle plusvalenze, al riporto delle perdite pregresse ed, in genere, alle situazioni fiscalmente rilevanti, ed emergenti in seguito alla realizzazione dell’operazione.
Cfr. Lupi, in Primi appunti in tema fusioni, scissioni, e conferimenti
transnazionali, Boll. Trib., 1992, pag. 1299, ben argomenta in merito
alle finalità della Direttiva evidenziando che la stessa riguarda, in
realtà, la circolazione delle imprese all’interno della comunità e tende a rimuovere l’ostacolo fiscale a tale circolazione.
(21)
Maggio-Giugno 2005
217
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
La presunzione di indeducibilità dei costi
nei contratti di commissione
di Laura Spinoso(*)
1. Premessa
SOMMARIO:
1. Premessa - 2. Aspetti fiscali:
presupposto oggettivo 3. Aspetti civilistici del contratto
di commissione: trasferimento
della proprietà dei beni 4. La risoluzione 1° febbraio 2005,
n. 12/E: il caso concreto 5. La soluzione interpretativa
dell’Agenzia delle Entrate 6. Osservazioni critiche
Con riferimento al regime di
indeducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse tra
imprese residenti in Italia ed
imprese domiciliate in Paesi a
regime fiscale privilegiato, di
cui all’articolo 110 Testo Unico
delle Imposte sui Redditi (Tuir),
particolarmente complesso si
presenta il caso del soggetto italiano che agisce in qualità di
commissionario per la vendita
di prodotti per conto di un committente domiciliato in un Paese a fiscalità privilegiata. L’interposizione di carattere reale del commissionario tra il committente estero ed i clienti finali italiani pone il problema non solo dell’applicabilità in sé della norma ma anche quello dell’individuazione del soggetto destinatario di tale norma e,
pertanto, tenuto ad assolvere l’onere probatorio previsto dal comma 11 dell’articolo 110 del Tuir(1). Ci si
chiede, infatti, se il regime di indeducibilità, di cui
all’articolo 110, comma 10, del Tuir, non sia tout
court applicabile in un caso come quello esaminato
ovvero trovi applicazione nei confronti del commissionario, del cliente finale o di entrambi. Da un lato,
la formulazione letterale della norma porterebbe ad
escludere la sua applicabilità sia al commissionario,
in quanto il passaggio dei beni dal committente al
commissionario non è una vendita, sia al cliente finale, in quanto il commissionario vende i beni al
cliente finale in nome proprio. Dall’altro lato, è di
tutta evidenza che l’interposizione di un mero schermo giuridico tra cedente estero ed acquirente nazionale non può aggirare la ratio della norma escludendone l’operatività per mancanza di un rapporto diretto.
La risoluzione ministeriale del 1 febbraio 2005 n.
12/E offre l’occasione per analizzare la reale portata
applicativa della norma e pone in evidenza le difficoltà dell’interprete di fronte a quei casi concreti dove non vi è un’oggettiva applicabilità della norma.
218
Maggio-Giugno 2005
2. Aspetti fiscali:
presupposto oggettivo
L’articolo 110, comma 10,
del Tuir sancisce espressamente
l’indeducibilità delle spese e
degli altri componenti negativi
di reddito derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti in Italia ed imprese domiciliate fiscalmente in Paesi, situati al di fuori dell’Unione Europea, aventi regimi fiscali privilegiati ed individuati da un
apposito decreto ministeriale
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (la cosiddetta,
black list)(2).
La norma, pertanto, contiene una presunzione relativa di indeducibilità dei costi derivanti dall’operazione che non opera se l’impresa residente fornisce la prova della sussistenza di una delle due esimenti previste dal successivo comma 11. In particolare, l’impresa residente deve dimostrare che:
(i) l’impresa domiciliata nel Paese a fiscalità privilegiata svolge in via prevalente un'attività commerciale effettiva; ovvero
(ii) le operazioni poste in essere rispondono ad un
effettivo interesse economico ed hanno avuto
concreta esecuzione.
Peraltro, la deducibilità delle spese e degli altri
componenti negativi è subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi
importi da parte dell’impresa residente.
Dottore di Ricerca in Diritto Tributario Internazionale e
Comparato presso l’Università degli Studi di Genova
(*)
Note:
P. Comuzzi, Lotta ai paradisi fiscali: punti aperti in il Fisco n. 2/ 2001,
p. 389. L’Autore, aveva già messo in evidenza come l’utilizzo del contratto di commissione in determinate operazioni possa costituire un
modo per evitare o aggirare l’applicazione della norma.
(1)
(2)
D.M. 23 gennaio 2002 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 29 del
4 febbraio 2002) modificato dal D.M. 22 marzo 2002 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 78 del 3 aprile 2002), in sostituzione del vecchio D.M. 24 aprile 1992 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 104
del 6 maggio1992).
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
Tralasciando in questa sede l’analisi dei presupposti soggettivi e della dimostrazione della sussistenza delle condizioni esimenti, si vuole focalizzare
l’attenzione sul presupposto oggettivo di applicazione della norma, il quale ha ad oggetto le “spese e gli
altri componenti negativi di reddito” derivanti (vedremo se direttamente od anche indirettamente) da
operazioni (idonee a generarli in capo all’impresa
residente) intercorse con imprese fiscalmente domiciliate in Paesi inclusi nella Black list.
Il riferimento estremamente generico alle “spese” ed “altri componenti negativi di reddito” induce
a svolgere un’indagine sulla reale portata applicativa della nozione di “spese ed altri componenti negativi di reddito”(3). Se l’espressione “spese” indica
quelle poste di reddito che danno luogo ad un flusso
di ricchezza in uscita dall’impresa, quella di “componenti negativi di reddito”, al contrario, è di per sé
più ampia. Conseguentemente, si pone la questione
se i componenti negativi includono qualunque elemento diminutivo del reddito, indipendentemente
dal fatto che tale elemento sia il risultato di uno
scambio o di una valutazione, oppure solo quegli
elementi che scaturiscono direttamente dall’operazione conclusa con l’impresa estera, in base ad un
nesso di causalità diretto ed immediato (quali, a titolo esemplificativo, i componenti negativi derivanti
dall’acquisizione di beni e servizi ovvero da un flusso finanziario).
La norma, in effetti, si presta ad essere interpretata sia in senso restrittivo che estensivo, a seconda
di cosa si intenda per “operazioni intercorse” tra imprese residenti ed imprese localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata(4). Il legislatore ha voluto certamente includere tra i componenti negativi di reddito
gli elementi derivanti direttamente dall’operazione
ma non può automaticamente escludersi l’applicabilità della norma nel caso di componenti solo indirettamente derivanti da tali operazioni, in quanto anche
in questa ipotesi é innegabile che una qualche operazione sia intercorsa tra l’impresa residente e l’impresa estera.
Tuttavia, il rischio di un’interpretazione estensiva
dell’ambito oggettivo di applicazione del comma 10,
si tradurrebbe nell’indeducibilità di qualsiasi componente negativo per il solo fatto di essere riferito ad
operazioni poste in essere con imprese domiciliate
in Paesi a fiscalità privilegiata. L’ulteriore conseguenza sarebbe quella di attribuire all’Amministrazione finanziaria un potere discrezionale indubbiamente ampio nell’individuazione dei presupposti di
imposta.
L’Agenzia delle Entrate, con la recentissima risoluzione del 1 febbraio 2005 n. 12/E, sembra accogliere un’interpretazione palesemente estensiva dell’espressione “componenti negativi di reddito”, nella misura in cui ritiene applicabile la norma in esame anche ad una società italiana che, in qualità di
commissionaria o mandataria, distribuisce sul territorio italiano beni prodotti da una società domiciliata in un Paese a fiscalità privilegiata.
3. Aspetti civilistici del contratto
di commissione:
trasferimento della proprietà dei beni
Una breve premessa sugli aspetti civilistici del
contratto di commissione può essere utile ai fini di
una migliore comprensione delle conclusioni a cui è
pervenuta l’agenzia delle Entrate in merito al regime
fiscale applicabile al caso in esame.
Ai sensi dell’articolo 1731 del codice civile, il
contratto di commissione è un mandato che ha per
oggetto l’acquisto o la vendita di beni per conto del
committente ed in nome del commissionario. Si tratta, dunque, di un mandato senza rappresentanza
che, talvolta con alcune differenze, trova modelli
analoghi in altri ordinamenti giuridici. Il contratto di
commissione è un contratto tipico in forza del quale
una parte (il commissionario) si obbliga a concludere in nome proprio e per conto dell’altra parte (il
committente) acquisti o vendite di beni. Sotto il profilo dell’oggetto, il contratto è caratterizzato dalla
specificità della prestazione, che coincide con la stipulazione di contratti di compravendita di beni. Il
contratto è a titolo oneroso e prevede la corresponsione a favore del commissionario di una provvigione o commissione (generalmente commisurata ad
una percentuale del valore dell’operazione posta in
essere oppure dallo scarto tra prezzo pagato dal commissionario ed il prezzo di listino del bene acquistato o venduto). Il contratto di commissione, analogamente ad altre figure contrattuali utilizzate nella distribuzione commerciale di beni, quali, l’agenzia, la
mediazione ed il procacciamento d’affari, assolve ad
una funzione di intermediazione nello scambio di
Note:
L’articolo 109 del Tuir usa l’espressione “spese ed altri componenti
negativi” di reddito per indicare quei valori derivanti da scambi (quali, retribuzioni, interessi passivi, corrispettivi di servizi, prezzi di acquisto di beni) e da valutazioni (quali, ammortamenti, svalutazioni).
(3)
(4)
R. Cordeiro Guerra, “Prime osservazioni sul regime fiscale delle
operazioni concluse con società domiciliate in Paesi o territori a fiscalità privilegiata”, in Rivista di Diritto Tributario, 1992, I.
Maggio-Giugno 2005
219
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
beni tra il produttore del bene o del servizio e il
cliente finale. Tuttavia, a differenza di figure quali
l’agente, il mediatore ed il procacciatore d’affari che
agiscono nell’interesse del proponente, il commissionario agisce sempre e solo in nome proprio, attraverso la propria autonoma organizzazione imprenditoriale, vendendo beni a terzi per conto del committente. Il commissionario infatti stipula i contratti in
nome proprio, con obbligo di trasferire al committente, mediante separati atti, gli effetti giuridici derivanti dalle operazioni poste in essere(5).
Un aspetto contrattuale rilevante, anche ai fini fiscali, che merita di essere menzionato è quello dell’efficacia traslativa della proprietà dei beni oggetto
del contratto di commissione dal committente al
cliente finale. Sul punto, la dottrina civilistica non è
concorde nel riconoscere un’efficacia traslativa diretta della proprietà dei beni dal committente al
cliente finale.
Secondo un primo orientamento maggioritario,
nel rapporto di commissione si verifica un’efficacia
traslativa diretta della proprietà dei beni dal committente al cliente finale e, pertanto, il commissionario agisce quale soggetto terzo, mero intermediario tra committente e cliente finale(6).
Secondo un diverso orientamento, invece, nel rapporto di commissione si verifica un doppio trasferimento della proprietà dei beni: dal committente al
commissionario e dal commissionario al cliente finale.
L’accoglimento dell’uno o dell’altro orientamento
assume una certa rilevanza anche sotto il profilo fiscale in cui le norme tributarie non possono essere
interpretate senza avere riguardo alla causa ed agli
effetti del contratto. L’amministrazione finanziaria,
in più occasioni, ha affermato che dal punto di vista
civilistico nel contratto di commissione la proprietà
dei beni si trasferisce direttamente al cliente finale e
non si verifica alcun trasferimento di proprietà tra il
commissionario ed il committente(7). Tuttavia, ai soli
fini IVA, il contratto di commissione è ricondotto
nell’ambito dello schema del mandato senza rappresentanza e, per espressa previsione normativa, il
passaggio di beni dal committente al commissionario è equiparato, per espressa previsione normativa,
ad una cessione(8).
4. La risoluzione 1° febbraio 2005,
n. 12/E: il caso concreto
Il caso sottoposto all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate, tramite presentazione di istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11 della Legge del 27 lu220
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glio 2000 n. 212, è quello di una società residente in
Italia che, in qualità di commissionaria, commercializza nel territorio italiano prodotti software per conto di una società committente che è domiciliata fiscalmente in Svizzera dove beneficia di un regime fiscale privilegiato(9). A fronte di tale attività, la società italiana percepisce una provvigione pari alla
differenza tra il corrispettivo pari al prezzo di vendita al cliente finale diminuito della provvigione ed il
corrispettivo applicato ai clienti finali.
Ai fini IVA, come già anticipato, le modalità di
effettuazione dell’operazione trovano giustificazione
nel fatto che committente e commissionario sono
considerati due operatori economici distinti, in base
ad una fictio iuris che riconduce il contratto di commissione ad un mandato senza rappresentanza. Di
conseguenza opera un duplice obbligo di fatturazione: la committente svizzera emette una fattura alla
commissionaria italiana con l’indicazione di un corrispettivo pari al prezzo di vendita al cliente finale
diminuito della provvigione e, al momento della vendita, la commissionaria italiana emette una fattura al
Note:
(5)
V. Artina, Contratto di commissione: adempimenti formali ai fini
Iva, in Corriere Tributario n. 19/1999, p. 1405.
In tal senso, Cassazione, Sezione I, sentenza del 7 dicembre 1994,
n. 10522 secondo cui “Nel mandato ad alienare (e nella commissione, quando abbia ad oggetto questo tipo di mandato) è ravvisabile
un contratto nel quale l’effetto traslativo reale del bene, derivante
dal consenso manifestato dalle parti (art. 1376 c.c.), non si verifica
immediatamente, ma è sospensivamente condizionato al compimento dell’alienazione gestoria del bene medesimo da parte del
mandatario o commissionario”.
(6)
Con riferimento alla disciplina IVA, si vedano la circolare ministeriale del 16 febbraio 1973 n. 15/527164 e la nota del 5 aprile 1995 n.
III-7-1203 in I Quattro Codici della Riforma Tributaria BIG - CD ROM,
Ipsoa. L’amministrazione ha affermato in modo chiaro che la causa
del contratto di commissione è quella di consentire, attraverso l’utilizzo di uno schema tipico, la conclusione di contratti di compravendita in nome del commissionario e per conto del committente; il
committente non interviene nella conclusione del contratto di compravendita; la peculiarità del contratto di commissione consiste proprio nel fatto che il rapporto si svolge senza il passaggio dei beni tra
committente e commissionario. In dottrina, M. Peirolo, Brevi note
sulla qualificazione giuridico - fiscale del passaggio di beni tra committente e commissionario (e viceversa) nel contratto di commissione, in Bollettino Tributario d’informazioni, 9/2004, p. 665.
(7)
(8)
Ai sensi dell’articolo 2, comma 2, n. 3) e articolo 3, comma 4, lettera h), del DPR del 26 ottobre 1972 n. 633.
L’articolo 3 del Decreto Ministeriale 23 gennaio 2002 (Black list) include la Svizzera tra gli Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, limitatamente alle “società non soggette alle imposte cantonali e municipali, quali le società holding, ausiliarie e «di domicilio»”. Nel caso affrontato dall’Agenzia delle Entrate la società committente gode di un regime fiscale privilegiato che prevede, per i
redditi provenienti dall’estero, l’applicazione di una aliquota sull’imposizione cantonale pari al 20% della normale tassazione federale
del cantone di Ginevra, mentre, per i redditi di fonte interna, la tassazione è pari all’applicazione combinata delle imposte federali,
cantonali e municipali nella misura del 25%.
(9)
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
cliente finale italiano con l’indicazione del valore
dei beni e dell’importo della provvigione.
Ai fini delle imposte dirette, invece, la società
italiana non registra alcun costo per l’acquisto dei
beni dalla società svizzera e si limita a contabilizzare e tassare il ricavo corrispondente alla provvigione
netta. Infatti, non opera la fictio iuris della doppia
vendita prevista dalla normativa IVA e la commissionaria deve indicare nel proprio conto economico
solo la provvigione netta e non il prezzo di acquisto
e di rivendita del prodotto(10). Questa modalità di
rappresentazione contabile rispecchia la sostanza
economica e giuridica del contratto di commissione,
in quanto non si verifica alcun effetto traslativo della proprietà dei beni dal committente al commissionario.
Sulla base di tali argomentazioni, la società italiana ha sostenuto, in sede di interpello, la non applicazione dell’articolo 110, comma 10, del Tuir in
quanto nella sua attività di commercializzazione per
conto della società svizzera non sostiene alcun costo.
Secondo la società italiana, peraltro, la norma in
esame non sarebbe applicabile neanche ai clienti finali in quanto gli stessi intrattengono esclusivamente un rapporto con la società istante.
5. La soluzione interpretativa
dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate non ha ritenuto corretta
la soluzione interpretativa proposta dalla società italiana; al contrario, ha affermato l’applicabilità in capo alla stessa della norma sull’indeducibilità dei costi di cui all’articolo 110, comma 10, del Tuir.
La soluzione interpretativa fornita dall’Agenzia si
fonda essenzialmente sulle seguenti argomentazioni:
(i) il contratto stipulato dalla società italiana e la
società svizzera, denominato dalle parti “Commissionaire agreement”, non è riconducibile al
contratto di commissione di cui all’articolo
1731 del codice civile ma allo schema del mandato senza rappresentanza ovvero al contratto
di agenzia(11);
(ii) indipendentemente dalla qualificazione civilistica del contratto come commissione o mandato senza rappresentanza, l’articolo 110, comma
10, del Tuir, riferendosi alle spese e agli altri
componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati, ha come destinatario il
soggetto che ha posto in essere l’operazione
economica al quale sono riconducibili l’iniziativa imprenditoriale e le ragioni sottostanti;
(iii) la previsione di indeducibilità dei costi implica
necessariamente il diretto coinvolgimento del
destinatario delle operazioni economiche, il
quale non può che identificarsi con il soggetto
che intrattiene rapporti con il committente non
residente e non certo col terzo cliente;
(iv) l’onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni esimenti grava esclusivamente sul soggetto che ha deciso di operare con imprese domiciliate nei Paesi a fiscalità privilegiata;
(v) le modalità di contabilizzazione o le problematiche relative all’eventuale diretto trasferimento
della titolarità dei beni dal committente al terzo
non sono sufficienti ad escludere automaticamente la non applicazione della norma;
(vi) la rilevazione della sola provvigione netta (senza evidenziazione di alcun componente negativo) equivale, ai fini della determinazione del
reddito, all’imputazione tra i componenti positivi dei ricavi lordi e tra quelli negativi dei costi
di acquisti di beni o servizi, come peraltro già
risulta dalle fatture emesse e dai documenti di
addebito;
(vii) l’importo spettante alla società svizzera costituisce un elemento che influisce indirettamente nella determinazione del reddito della società italiana e deve formare oggetto di una variazione in aumento nella dichiarazione dei
redditi(12).
6.Osservazioni critiche
Una corretta soluzione del caso in esame si rende
necessaria considerando che, in ambito internazioNote:
(10)
In tal senso si era già espressa l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione del 6 giugno 2002, n. 177/E con riferimento ad un contratto
estimatorio affermando che i ricavi si intendono conseguiti nel periodo d’imposta al netto del prezzo corrisposto ai fornitori e di competenza del medesimo periodo, in I Quattro Codici della Riforma Tributaria big, Cd-rom, IPSOA. Nello stesso senso si veda la Norma di
comportamento Associazione Dottori Commercialisti di Milano
139/99 “Regime del mandato d’acquisto di servizi senza rappresentanza ai fini delle imposte sui redditi, dell’IVA e dell’IRAP”
Il disconoscimento del contratto di commissione è argomentato
dall’Agenzia delle Entrate sulla base delle clausole contenute nello
stesso secondo cui i ricavi sarebbero stati riscossi dalla commissionaria per conto della committente, con conseguente obbligo di rendicontazione.
(11)
(12)
Secondo l’Agenzia delle Entrate, se la società residente contabilizza la sola provvigione netta, sarebbe necessario incrementare i ricavi iscritti al netto dei costi indeducibili che indirettamente hanno influito sulla determinazione dell’imponibile.
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221
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
nale, la vendita, distribuzione e l’acquisto di beni e
servizi in luoghi diversi da quelli di produzione vengono realizzate con sempre maggiore frequenza, tramite schemi negoziali analoghi a quello stipulato nel
caso in esame, con un’evidente riduzione dei costi di
gestione.
In linea di principio, la ratio antielusiva della
norma potrebbe legittimare l’inclusione nel suo
campo di applicazione di qualsiasi operazione intercorsa con imprese domiciliate in Paesi a fiscalità
privilegiata, posto che la norma sarebbe altrimenti
facilmente aggirabile. Ciò premesso, occorre verificare se sia possibile includere anche le operazioni
derivanti da contratti di commissione o mandato
senza rappresentanza.
L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate potrebbe, infatti, ritenersi condivisibile soltanto privilegiando l’aspetto legato alle finalità antielusive della norma, dal momento che le specifiche modalità di
effettuazione delle operazioni non possono far venire meno gli effetti giuridici della norma stessa. Diversamente, la ratio della norma sarebbe aggirata
semplicemente interponendo un soggetto terzo tra il
fornitore dei beni e servizi ed il cliente finale(13). A
tal fine, nonostante sia indubbio che le spese finali
derivanti dall’operazione posta in essere con la società svizzera sono state sopportate dai clienti finali,
si dovrebbe ritenere che la società italiana in ragione della sua veste di commissionaria o mandataria
costituisce un filtro nell’effettuazione dell’operazione di vendita dei beni.
Peraltro, la conclusione cui giunge l’Agenzia delle Entrate nella risoluzione in commento si pone in
contrasto con un precedente chiarimento fornito dalla Direzione Regionale delle Entrate del Piemonte
in un caso analogo(14). In particolare, la Direzione
Regionale aveva affermato che:
(i) il contratto di commissione può essere ricondotto nello schema del mandato senza rappresentanza e che i ricavi del commissionario sono
rappresentati esclusivamente dalle provvigioni
percepite (e non dal corrispettivo dei beni venduti);
(ii) il regime di indeducibilità dei costi di cui all’articolo 110, comma 10, del Tuir trova applicazione nei confronti del cliente finale, in quanto è
l’unico soggetto ad evidenziare un costo nel proprio conto economico.
Tale interpretazione suscita parimenti alcune
perplessità in considerazione del fatto che i clienti
finali non hanno alcun rapporto con il committente
estero e possono non essere a conoscenza del fatto
222
Maggio-Giugno 2005
che il committente è domiciliato in un Paese a fiscalità privilegiata.
A seguito dell’interpretazione fornita dalla Direzione Regionale, l’Assonime aveva auspicato un
chiarimento definitivo da parte dell’amministrazione
finanziaria sull’effettivo destinatario della norma e
sulla possibilità per il commissionario di attivare la
procedura di interpello per la disapplicazione della
norma ai sensi dell’articolo 21 della legge del 30 dicembre 1991 n. 413 (al fine di fornire ai propri
clienti copia della risposta favorevole dell’Agenzia
delle Entrate)(15).
A distanza di qualche anno, tuttavia, l’amministrazione finanziaria sembra aver accolto un’interpretazione che, pur riconducendo il contratto di
commissione nello schema del mandato senza rappresentanza, individua quale destinatario della norma non più il cliente finale ma il commissionario. La
risoluzione in commento, sia pure volta a reprimere
comportamenti elusivi, genera comunque qualche
perplessità e pone in evidenza la difficoltà degli operatori di fronte ad alcuni casi concreti non immediatamente riconducibili alla fattispecie prevista dalla
norma.
Sotto il profilo strettamente giuridico, l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate presenta evidenti
carenze e si presta alle seguenti osservazioni critiche.
In primo luogo, da un punto di vista sistematico,
la speciale fictio iuris che, ai fini IVA, riconduce il
contratto di commissione nello schema del mandato
senza rappresentanza (riconoscendo un doppio trasferimento della proprietà dei beni) non può ritenersi operante anche ai fini delle imposte dirette, la cui
normativa, invece, non prevede analoghi obblighi di
fatturazione.
Dal punto di vista della sussistenza del presupposto oggettivo richiesto dalla norma, è di assoluta evidenza che, nel caso in esame, la società italiana non
acquista beni e servizi e di conseguenza non sostiene alcun onere di natura economica che possa quaNote:
Ritiene condivisibile la soluzione prospettata nella risoluzione in
commento M. Andriola, Risoluzione n. 12/E del 1 febbraio 2005 - Costi indeducibili nel mandato senza rappresentanza, in Notiziario fiscale dell’Agenzia delle Entrate del 7 febbraio 2005 su www.fiscooggi.it.
(13)
La Direzione Regionale del Piemonte si era espressa in occasione
dell’evento MAP del 22 novembre 2002. Tale chiarimento è riportato da M. Piazza, Guida alla fiscalità internazionale, Milano 2004,
pag. 1330.
(14)
In tal senso si è espressa l’Assonime con la Circolare del 17 ottobre
2003 n. 40 pag. 42 nota 36.
(15)
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
lificarsi come spesa o componente negativo di reddito da ricondurre nel campo di applicazione dell’articolo 110, comma 10, del Tuir. Al contrario, l’unico
componente di reddito che dovrebbe assumere rilevanza ai fini fiscali è rappresentato dalla provvigione percepita dalla società italiana ed assoggettata a
tassazione in Italia.
La risoluzione disconosce i componenti negativi
di reddito, peraltro mai realizzati, attraverso una
maggiorazione delle provvigioni e sembra introdurre
un’interpretazione nuova ed estremamente ampia di
componente negativo di reddito ai fini dell’articolo
110, comma 10, del Tuir, fino a ricomprendere in
modo generico tutte le operazioni intercorse con imprese domiciliate in Paesi a fiscalità privilegiata
idonee, anche in via indiretta, a determinare il reddito imponibile(16).
Inoltre, accertata l’esistenza di un componente
negativo di reddito, lo stesso deve costituire una diretta conseguenza delle operazioni realizzate dalla
società residente con l’impresa estera. A tale riguardo, ci si deve chieder chi effettivamente pone in essere tale operazione: dal punto di vista giuridico e
formale, il commissionario ma nella sostanza il
cliente finale risulta comunque il destinatario dei
beni o l’utilizzatore dei servizi (senza considerare
che, civilisticamente, l’efficacia traslativa della proprietà dei beni si verifica soltanto dal committente al
cliente finale).
Pertanto, la soluzione interpretativa dell’Agenzia
delle Entrate nell’individuare tout court il commissionario quale destinatario della norma e dell’onere
probatorio in essa previsto, escludendo il cliente finale, non sembra comunque pienamente soddisfacente. Non sfugge infatti che il cliente finale, la cui
posizione non può certamente essere equiparata a
quella del commissionario che ha intrattenuto, personalmente e direttamente, il rapporto con il soggetto estero, risulta comunque coinvolto nell’operazione. Inoltre, l’indicazione della provvigione spettante
al commissionario in aggiunta la prezzo dei beni nella fattura emessa dal commissionario al cliente finale non consente di affermare che quest’ultimo sia del
tutto estraneo all’operazione.
In conclusione, se lo scopo della norma è quello
di evitare la contabilizzazione di operazioni inesistenti o fatturate per importi diversi da quelli reali,
sarebbe necessario fornire un’interpretazione che
consenta di adeguare casi particolari come quello in
esame alla formulazione astratta della norma, evitando l’applicazione di norme con conseguenze
sproporzionate rispetto alle finalità da essa perseguite.
Nota:
Per un commento alla risoluzione del 1 febbraio 2005 n. 12/E, si
veda A. Tomassini - A. Tortora, “Paradisi fiscali: indeducibilità dei costi di commissione”, in Corriere Tributario n. 9/2005 p. 728.
(16)
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223
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
Contributi versati dai membri di un GEIE
alla sua stabile organizzazione in Italia
di Sebastiano Garufi(*)
1. Oggetto
dell’interpello
e soluzione proposta
dal contribuente
stabili organizzazioni o di uffici
di rappresentanza.
SOMMARIO:
La stabile organizzazione del
1. Oggetto dell’interpello
GEIE situata in Italia è incarie soluzione proposta
cata di prestare i servizi di assidal contribuente - 2. La risposta
stenza tecnica e di marketing
Con la risoluzione 15 febdell’Amministrazione finanziaria:
sia per i distributori che per i
braio 2005, n. 18/E, che qui si
la natura dei contributi erogati clienti finali e, a copertura dei
commenta, l’Agenzia delle En3. Le caratteristiche del GEIE costi sostenuti, riceve dai memtrate ha risposto ad un’istanza di
4. Sull’applicabilità
bri del GEIE londinese dei coninterpello presentata ai sensi
della disciplina dei prezzi
tributi annuali.
dell’art. 11 dello Statuto dei
di trasferimento al GEIE A tal fine, con istanza di incontribuenti, per conoscere il
5. Transfer pricing e libertà
terpello, essa chiede di conotrattamento fiscale, ai fini IRES
fondamentali
scere il trattamento fiscale dei
ed IVA, dei contributi versati
contributi ricevuti sia ai fini
dai membri di un GEIE non resiIRES che ai fini IVA.
dente ad una stabile organizzaA parere della stabile organizzazione interpellanzione in Italia.
te, i contributi ricevuti non costituiscono corrispettiIn particolare, l’interpellante è la stabile organizvi specifici per la prestazione di servizi resa, ma mezazione italiana di un GEIE comunitario con sede
ri contributi finalizzati alla copertura dei costi.
nel Regno Unito e svolge prestazioni di servizi di asConsiderato, inoltre, che il GEIE non persegue fisistenza tecnica e di marketing relativamente alla
nalità di lucro e che, ai sensi dell’art. 3 lett. a) del
commercializzazione di prodotti di un gruppo statuRegolamento CEE n. 2137/1985, “non può esercitanitense. Il gruppo si occupa di disegnare, produrre e
re, direttamente o indirettamente, il potere di direziodistribuire cavi e altri mezzi di trasmissione per dine o di controllo delle attività proprie dei suoi memversi settori di attività, incluse le telecomunicazioni,
bri o delle attività di un’altra impresa, segnatamente
le costruzioni e le attrezzature automatizzate di uffinei settori relativi al personale, alle finanze e agli incio. Il prodotto giunge al cliente finale per mezzo di
vestimenti”, a parere dell’istante, i contributi perceuna rete di distributori locali indipendenti, i quali,
piti sarebbero anche esclusi dalla disciplina dell’art.
oltre a stipulare i singoli contratti di vendita, svolgo110, comma 7, TUIR, in materia di transfer pricing.
no attività di assistenza tecnica e di marketing, di
In aggiunta, vista la mancanza del carattere della
cui era in precedenza incaricata una società del
corrispettività che caratterizza le prestazioni di sergruppo residente in Italia.
vizi imponibili ai fini IVA, detti contributi esulerebA seguito di una ristrutturazione del gruppo, si è
bero dall’applicazione dell’imposta sul valore agproceduto a modificare il sistema distributivo eurogiunto e, in ogni caso, giacché l’attività della stabile
peo nel modo seguente:
organizzazione consiste nel prestare servizi di pub1. una società di diritto statunitense si occuperà di
blicità e di assistenza tecnica a soggetti non resideneffettuare le vendite ai singoli distributori stabiliti (i membri del GEIE), non soddisfacendo il requiti nell’Unione europea;
sito della territorialità, non sarebbero soggetti al2. una società inglese e una olandese presteranno i
l’imposta. Stando alle disposizioni dell’art. 7 del
servizi relativi alla distribuzione dei prodotti;
DPR 633/1972, infatti, per questo tipo di servizi, il
3. i servizi di assistenza tecnica e di marketing saranno curati da un GEIE con sede a Londra, istituito dalle predette società inglese ed olandese,
Dottore in giurisprudenza Università Bocconi.
che opererà nei diversi Stati membri per mezzo di
(*)
224
Maggio-Giugno 2005
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
territorio rilevante ai fini IVA è quello del domicilio
del committente, salvo il caso di utilizzo del servizio
al di fuori della Comunità europea.
2. La risposta dell’Amministrazione
finanziaria: la natura dei contributi
erogati
L’Agenzia delle Entrate ritiene, differentemente
dall’istante, che i contributi erogati dai membri del
GEIE alla stabile organizzazione situata in Italia costituiscano veri e propri corrispettivi per le prestazioni di assistenza e promozione che essa fornisce,
per loro conto, a distributori e clienti finali in Italia,
non già dei contributi in senso proprio. La distinzione è rilevante, soprattutto se si pensa che i contributi (diversi da quelli in conto esercizio e quelli finalizzati all’acquisto di beni ammortizzabili) costituiscono sopravvenienza attiva ai sensi dell’art. 88,
comma 3, lett. b) TUIR e sono imponibili in cinque
periodi di imposta.
In genere, infatti, il contributo (in primo luogo il
contributo a fondo perduto) è un’elargizione che un
soggetto (di regola un ente pubblico) effettua, a vario
titolo, a favore di un altro, senza che il beneficiario
sia contrattualmente obbligato ad una controprestazione nei confronti del soggetto elargitore.
Tuttavia, nel caso specifico, poiché la stabile organizzazione svolge un’attività di prestazione di servizi per i membri del GEIE (che erogano i contributi), il versamento che questi effettuano non è altro
che l’adempimento della propria obbligazione di pagamento del corrispettivo, in base al rapporto sinallagmatico instaurato a fronte dell’obbligazione di dare, fare o permettere sorta in capo alla stabile organizzazione. A poco rileva, infatti, la denominazione
con cui la somma di denaro viene data in cambio
della prestazione stessa (corrispettivo, contributo, finanziamento).
Se, pertanto, le somme erogate dai membri del
GEIE londinese vengono corrisposte a fronte di una
specifica obbligazione contrattuale assunta dalla
stabile organizzazione, non si è in presenza di un vero e proprio contributo, ma piuttosto del corrispettivo di una prestazione di servizi(1) e di conseguenza
dovranno essere tassati come ricavi.
Chiarita la natura dei contributi erogati, se ne
evince facilmente la rilevanza ai fini IVA, così come
giustamente sostenuto dall’Amministrazione finanziaria. L’art. 3 del DPR 633/1972 stabilisce, infatti,
che costituiscono prestazioni di servizi, soggette ad
IVA, quelle rese “verso corrispettivo” sulla base di
contratti d’opera, appalto e simili o derivanti, in genere, da obbligazioni di fare, non fare e permettere,
qualunque ne sia la fonte. Rientrano pertanto nella
formulazione tutte le prestazioni a titolo oneroso effettuate da un soggetto di imposta nell’esercizio di
attività di impresa (arte o professione), qualunque
sia la denominazione del pagamento. Essendo le
somme in questione non già dei contributi, ma piuttosto il corrispettivo dei servizi forniti, l’Amministrazione sostiene che, come tali, rilevano anche ai
fini dell’imposta sul valore aggiunto.
Nella risposta all’istanza di interpello, inoltre, l’Agenzia delle Entrate richiama la sentenza del 17 novembre 1993, C-68/92 della Corte di giustizia in cui i
giudici del Lussemburgo hanno stabilito che nelle
prestazioni pubblicitarie deve intendersi ricompresa
ogni attività indirizzata alla trasmissione di un messaggio promozionale, relativo a beni e servizi, purché
le prestazioni rese siano riconducibili ad un unicum
rappresentato dalla prestazione principale e prevalente qualificabile come attività pubblicitaria.
Poiché l’attività descritta dall’istante appare consistere in servizi di marketing, non già in attività meramente pubblicitaria, le prestazioni rese nei confronti dei membri del GEIE, ossia le società con sede nel Regno Unito e nei Paesi Bassi, rientrano nel
concetto di assistenza tecnica e sono, pertanto, territorialmente rilevanti nel luogo del committente, se
quest’ultimo è soggetto passivo di imposta residente
in altro Stato comunitario (art. 7 lett. e) DPR
633/1972). Di conseguenza, i servizi prestati dalla
stabile organizzazione italiana ai membri del GEIE
non sono assoggettati ad IVA in Italia.
3. Le caratteristiche del GEIE
Una volta chiarita la natura dei contributi erogati
dai membri del GEIE alla stabile organizzazione, occorre esaminare l’applicabilità - al caso concreto delle disposizioni contenute all’art. 110, comma 7,
TUIR, in materia di transfer pricing, che impongono
la valutazione a valore normale dei “componenti di
reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa”.
Nota:
(1)
Tale parere era già stato espresso dall’Amministrazione finanziaria
nella risoluzione 11 giugno 2002, n. 183/E e successivamente è stato
ribadito nella risoluzione 16 febbraio 2005, n. 21/E.
Maggio-Giugno 2005
225
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
A parere del contribuente istante, la disciplina
sui prezzi di trasferimento non si applicherebbe al
GEIE, dal momento che questo è un soggetto giuridico che non persegue, per se stesso, uno scopo di
lucro e che, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento CEE
n. 2137/1985, non può esercitare il controllo sull’attività dei suoi membri.
Il GEIE, infatti, è un organismo associativo che
coinvolge persone fisiche, società ed altri soggetti
giuridici, ed è creato su base contrattuale allo scopo
di favorire la cooperazione e la collaborazione internazionale dei suoi membri, mediante la configurazione di un unico centro di imputazione di rapporti
giuridici. Dal momento che la sua funzione è quella
di fornire mezzi e strumenti di agevolazione, cooperazione, integrazione dell’attività economica dei soggetti partecipanti, da un punto di vista giuridico si
qualificherebbe come contratto non già di società,
ma di collaborazione. Il divieto di realizzare profitti
per se stesso, stabilito all’art. 3 del Regolamento comunitario, conferma ulteriormente la funzione cooperativa del Gruppo che nasce unicamente per agevolare e sviluppare l’attività economica dei suoi
membri, alla quale quella del GEIE deve solo collegarsi e rispetto alla quale essere ausiliaria.
La funzione cooperativa e la mancanza di una
forma di “impresa” è inoltre confermata dall’assenza
di un capitale proprio, che venga destinato stabilmente all’esercizio dell’attività economico-produttiva. Al fine di garantire la stabilità patrimoniale del
Gruppo è, infatti, espressamente previsto il principio inderogabile in base al quale tutti i suoi membri
devono provvedere al termine di ciascun anno al saldo delle eccedenze delle uscite rispetto alle entrate,
nella proporzione prevista nel contratto ovvero, in
mancanza, in parti uguali. La mancanza di un obbligo di conferimento iniziale a carico dei membri è,
quindi, compensata da un intervento ex post, in ragione delle effettive necessità di cassa.
Questa mancanza di un capitale iniziale, bilanciata dalla previsione di un regime di responsabilità illimitata dei suoi membri nei confronti dei creditori
del gruppo, determina una forte somiglianza del
GEIE alle associazioni o alle partnership, piuttosto
che ad una società di capitali; similarità ancor più
sottolineata dalle disposizioni relative al regime fiscale. Sebbene il Gruppo non abbia finalità lucrativa,
gli utili occasionalmente ed in via accessoria prodotti (a causa di proventi straordinari, finanziari etc.)(2)
vengono assoggettati a tassazione per trasparenza.
L’art. 21 del Regolamento stabilisce, infatti, che i
profitti risultanti dalle attività del Gruppo sono con226
Maggio-Giugno 2005
siderati come profitti dei membri e sono tra essi ripartiti secondo la proporzione prevista nel contratto
di gruppo o, nel silenzio di questo, in parti uguali.
Inoltre, secondo l’art. 40, il risultato delle attività del
gruppo è soggetto ad imposte soltanto tramite imposizione a carico dei singoli membri. L’imposizione avviene quindi per trasparenza in capo a ciascun partecipante, in ragione della sua quota di partecipazione
agli utili ed indipendentemente dalla effettiva percezione e dalla manifestazione dell’evento finanziario
(distribuzione dell’utile, copertura della perdita).
4. Sull’applicabilità della disciplina
dei prezzi di trasferimento al GEIE
Dubbi legittimi sull’applicabilità della disciplina
del transfer pricing potrebbero derivare dal dettato
letterale dell’art. 110, comma 7, TUIR che prescrive
il criterio di valutazione a valore normale qualora vi
siano operazioni con “società” non residenti.
Stante la disciplina, le finalità e le caratteristiche
del GEIE, si escluderebbe a priori che il Gruppo
possa rientrare nella definizione di società e si potrebbe concludere nel senso della non applicabilità
dell’art. 110 per mancanza del requisito soggettivo.
Occorre, tuttavia, sottolineare che nella circolare
ministeriale 22 settembre 1980, n. 32/9/2267 l’Amministrazione finanziaria, con riferimento ai presupposti soggettivi per l’applicabilità della disciplina
dei prezzi di trasferimento, ha avuto modo di chiarire che il concetto di “società” a cui fa riferimento il
legislatore nell’indicare il soggetto estero controllante non deve essere inteso in modo restrittivo. Con
tale definizione, infatti, si comprendono anche forme
giuridiche non espressamente previste dal nostro ordinamento e, quindi, “ogni sorta di organismi societari giuridicamente riconosciuti nello Stato estero,
anche se difettano del requisito della plurisoggettività, quali i “Groupements d’Intérêt économique”
francesi, l’“Arge” tedesco occidentale, i “Trusts” di
derivazione anglosassone, gli “Stiftung”, le “Anstalten” ecc.
Inoltre, è stato precisato che il termine “società”
includerebbe altresì la stabile organizzazione non localizzata in Italia di una società estera, giacché pur
essendo sprovvista di autonomia giuridica distinta
dalla casa madre, tutte le operazioni da essa poste in
essere sono riconducibili alla società da cui promana.
Nota:
(2)
Cfr. Assonime, circ. 31 ottobre 1991, n. 141.
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
Per poter sostenere che il GEIE ricade nella definizione di “società” di cui all’art. 110 comma 7, è
però necessario analizzare il concetto di controllo,
che pure rientra tra i presupposti soggettivi per l’applicazione della disciplina in esame.
L’Amministrazione finanziaria ha precisato nella
circolare n. 32/9/2267 del 1980 e, più recentemente, nella risoluzione n. 18/E del 2005 che qui si
commenta, che il concetto di controllo deve essere
inteso in senso molto ampio, giacché un’interpretazione restrittiva finirebbe col sottrarre ingiustificatamente alla speciale disciplina una notevole quantità
di transazioni e incentiverebbe l’utilizzazione di talune forme organizzative imprenditoriali a scapito di
altre, facendo venir meno così il criterio di neutralità
cui devono ispirarsi le leggi fiscali. Del resto, il
mancato richiamo dell’art. 110 TUIR all’art. 2359
c.c. conferma che il controllo, di cui alla norma tributaria, deve trovare collocazione in un contesto dinamico “tenendo presente che le variazioni di prezzo nelle transazioni commerciali trovano spesso il
loro presupposto nel potere di una parte di incidere
sull’altrui volontà non in base al meccanismo del
mercato, ma in dipendenza degli interessi di una sola delle parti contraenti o di un gruppo”(3).
Il concetto di controllo, infatti, deve essere esteso
ad ogni ipotesi di influenza economica potenziale o
attuale, sì da ricomprendere anche le fattispecie in
cui sia ravvisabile “l’impossibilità di funzionamento
dell’impresa senza il capitale, i prodotti e la cooperazione tecnica dell’altra impresa (fattispecie comprensiva delle joint ventures)”, o “il diritto di nomina
dei membri del consiglio di amministrazione o degli
organi direttivi” dell’ente.
Con specifico riferimento al GEIE, sebbene su di
questo gravi espressamente il divieto di esercitare,
in modo diretto o indiretto, il potere di direzione o di
controllo sulle attività dei suoi membri o di un’altra
impresa, esiste un innegabile potere dei membri
(siano essi società, enti, operatori economici o professionisti) di incidere sulla volontà di quest’ultimo.
Posto, infatti, che la sua finalità consiste nell’agevolare e migliorare i risultati dell’attività economica
dei suoi membri, i quali collegialmente possono
prendere qualsiasi decisione ai fini della realizzazione del suo oggetto, è innegabile il forte potere decisionale che è a loro disposizione.
Questo peculiare e preponderante controllo dei
membri che si esplica non solo sul Gruppo, ma anche sulla sua stabile organizzazione (che ne è parte),
di conseguenza rientra nella definizione di “controllo” stabilita dalla normativa sui prezzi di trasferi-
mento, giacché tutta la disciplina giuridica, la struttura funzionale e l’attività del GEIE ruota attorno
agli interessi dei suoi membri.
Il regime di responsabilità illimitata e solidale
dei membri per le obbligazioni del gruppo (art. 23
del Regolamento), quello di imputazione dei profitti
del Gruppo direttamente in capo ai membri (art. 21),
e la tassazione a loro carico (art. 40), renderebbero
quindi il GEIE un soggetto trasparente per mezzo
del quale il potere dei membri di incidere sulle politiche di prezzo riuscirebbe facilmente a raggiungere
l’intento elusivo che la normativa sul transfer pricing
si propone, invece, di contrastare.
5. Transfer pricing e libertà
fondamentali
Nella risposta al contribuente, l’Amministrazione
ritiene inconferente il richiamo al principio di libertà
di stabilimento sancito all’art. 43 del Trattato CE per
l’inapplicabilità della normativa sui prezzi di trasferimento. La stabile organizzazione interpellante, infatti, ritiene che l’applicazione della normativa di cui
all’art. 110, comma 7, TUIR alle operazioni intercorrenti con il GEIE londinese sarebbe in contrasto con
il diritto comunitario. Dal momento che la normativa
antielusiva in esame si applicherebbe unicamente ai
rapporti cross-border, si verificherebbe una discriminazione rispetto ad una fattispecie puramente interna
come quella tra consorzi e consorziati nazionali e sarebbe pertanto vietata dal Trattato.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, tuttavia, la disciplina sul transfer pricing è finalizzata ad una corretta ripartizione delle potestà impositive degli Stati,
in coerenza con il principio di territorialità: la corretta determinazione dei corrispettivi pagati dal
GEIE alla sua stabile organizzazione situata in Italia, secondo parametri di libera concorrenza, consente di attribuire allo Stato della fonte il potere impositivo sul differenziale, positivo o negativo rispetto ai costi sostenuti, conseguito dalla stabile organizzazione a seguito dell’attività esercitata. Una situazione del genere non si verificherebbe se le parti
dell’operazione fossero residenti nella stessa giurisdizione fiscale, giacché non ci sarebbe alcun rischio di spostamento di materia imponibile da uno
Stato all’altro. La normativa sul transfer pricing, infatti, si propone di ripristinare l’equilibrio rispetto
Nota:
(3)
Risoluzione n. 18/E del 15 febbraio 2005.
Maggio-Giugno 2005
227
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
ad una situazione in cui tutti i membri del gruppo
sono residenti e, dal momento che disciplina diversamente fattispecie diverse, non è in contrasto con il
principio di non discriminazione.
In realtà, la posizione assunta dall’Amministrazione finanziaria non è pienamente condivisibile.
Le disposizioni in materia di prezzi di trasferimento, come è stato giustamente osservato nella risoluzione in esame, trovano ragione di applicazione
solo con riferimento alle operazioni intercorrenti tra
un soggetto residente ed uno non residente, legati da
un peculiare rapporto di controllo, dove esiste il rischio che un prezzo diverso da quello normalmente
pattuito in regime di libera concorrenza determini
un artificioso spostamento di materia imponibile da
una giurisdizione ad un’altra. In un’ipotesi puramente interna, essendo tale rischio assente, la norma stabilita all’art. 110 comma 7 non troverebbe ragione di applicazione.
A questo proposito, occorre notare che le disposizioni in esame presentano caratteristiche molto simili ad un’altra normativa antielusiva, che è stata
condannata dalla Corte di giustizia per contrasto con
le libertà fondamentali del Trattato CE, giacché si
applicava unicamente con riferimento a fattispecie
cross-border, e non anche interne: la thin capitalisation. Come è noto, nel caso Lankhorst-Hohorst(4) è
stata giudicata contraria alla libertà di stabilimento
la normativa tedesca che prevedeva l’indeducibilità
degli interessi passivi in capo ad una società debitrice soltanto nel caso in cui il relativo finanziamento fosse stato erogato da un socio non residente.
La ratio di siffatta normativa è di natura antielusiva: si vuole evitare che il soggetto finanziato deduca dal proprio reddito imponibile dei costi che nello
Stato in cui esso è stabilito sfuggiranno da imposizione, perché percepiti da un soggetto non residente.
In un’ipotesi puramente nazionale, l’esigenza di negarne la deducibilità non esisterebbe nella sostanza,
in quanto ciò che il finanziato deduce come interesse passivo sarà successivamente tassato in capo al
finanziatore come interesse attivo. Il fatto che la normativa italiana istitutiva dell’IRES ha poi esteso la
disciplina della thin capitalization anche alle fattispecie puramente interne, diversamente da quanto
era stato previsto dalla legge delega di riforma n.
80/2003, è derivato dalla necessità di rendere il diritto interno conforme al diritto comunitario.
Analogamente, nel caso Bosal(5), i giudici comunitari hanno ritenuto contraria all’art. 43 del Trattato la normativa olandese che consentiva la deducibilità da parte di una società holding residente degli
228
Maggio-Giugno 2005
interessi sostenuti in relazione al finanziamento di
sue partecipate alla condizione che queste fossero
residenti nei Paesi Bassi, negandola, per converso,
se le controllate fossero residenti in altri Stati membri. Una disciplina del genere, infatti, prevedendo
un trattamento fiscale meno favorevole a seconda
dello Stato in cui il contribuente decidesse di stabilire una sua controllata, si finiva per restringere la
sua libertà di stabilimento, quando, invece, - stando
agli obiettivi del Trattato CE - dovrebbe essere fiscalmente neutrale acquisire partecipazioni e stabilirsi in un qualsiasi Stato del Mercato unico.
Alla luce di queste considerazioni, non si possono non notare forti similarità con la normativa sul
transfer pricing. Un contribuente che decidesse di
acquisire il controllo di una società stabilita in un
altro Stato membro correrebbe, quindi, il rischio di
una rettifica delle valutazioni da lui stesso fatte per
le operazioni intercorse con la società non residente,
se queste non corrispondessero al valore normale,
mentre nulla accadrebbe se la partecipazione di
controllo fosse acquisita in un’altra società stabilita
entro la sua stessa giurisdizione. Poiché la normativa italiana in esame scoraggia lo stabilimento in un
altro Stato membro, esiste il rischio che possa essere condannata dalla Corte del Lussemburgo per violazione delle libertà fondamentali.
A nulla varrebbero le osservazioni e le giustificazioni che l’Amministrazione finanziaria ha fornito
nella risoluzione in esame. La Corte ha, infatti, più
volte stabilito che la riduzione delle entrate tributarie non può essere considerata un motivo imperativo
di interesse generale atto a giustificare un provvedimento che sia in contrasto con una libertà fondamentale(6). Per tale motivo, a meno che non si proceda ad una modifica dell’art. 110 comma 7 TUIR con
riferimento ai presupposti soggettivi, si ritiene che il
rischio di un giudizio di incompatibilità con la normativa europea non possa essere facilmente scongiurato.
Note:
(4)
Sentenza del 12 dicembre 2002, C-324/00, in Racc. 2002, p. I-11779.
(5)
Sentenza del 18 settembre 2003, C-168/01, in Racc. 2003, p.I-9409.
C-264/96 del 16 luglio 1998, Imperial Chemical Industries plc / Colmer, in Racc. 1998,I-4695, par. 28; C-307/97 del 21 settembre 1999,
Saint-Gobain ZN, in Racc. 1999, I-6161, par. 51; C-35/98 del 6 giugno
2000, Verkooijen, in Racc. 2000, I-4071, par. 59; cause riunite C397/98 e C-410/98 dell’8 marzo 2001, Metallgesellschaft, in Racc.
2001, I-1727, par. 59; C-136/00, 3 ottobre 2002, Danner, in Racc. 2002,
I-8147, par. 56; C-324/00 del 12 dicembre 2002, Lankhorst-Hohorst,
cit., par. 79; C-436/00 del 21 novembre 2002, X e Y, in Racc. 2002, I10829, par. 50; C-9/02 dell’11 marzo 2004, de Lasteyrie du Saillant,
non ancora pubbl. in Racc., par. 60.
(6)
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
Approvate le norme che recepiscono
la Direttiva 2003/48/CE
di Piero Bonarelli(*)
1. Premessa: la
Direttiva 2003/48/CE
SOMMARIO:
1. Premessa: la Direttiva
2003/48/CE - 2. Soggetti tenuti
alle comunicazioni: gli “agenti
pagatori” - 3. Definizione
di interessi - 4. Individuazione
del beneficiario effettivo 5. Le informazioni oggetto
della comunicazione 6. Trasmissione degli elementi
informativi e scambio automatico
dei dati - 7. Richiesta
di non applicazione della ritenuta
alla fonte - 8. Territori associati
e decorrenza
Il Governo ha approvato il
Decreto legislativo 18 aprile
2005, n. 84 che dà attuazione
alla Direttiva 2003/48/CE del 3
giugno 2003 riguardante i redditi da risparmio transfrontalieri
sotto forma di pagamenti di interessi (1). L’obiettivo perseguito
dalla normativa comunitaria è
consentire che gli interessi corrisposti in uno Stato membro a
beneficiari effettivi (persone fisiche) residenti in un altro Stato
membro, siano soggetti a tassazione in base alla legislazione
nazionale di quest’ultimo Stato(2).
A tale scopo, il provvedimento prevede un sistema
di scambio automatico delle informazioni tra le amministrazioni dei Paesi membri. In pratica, in base a
quanto previsto dalla Direttiva 2003/48/CE, lo Stato
di residenza dell’agente pagatore (l’intermediario
che paga gli interessi) è tenuto a comunicare dati e
notizie rilevanti allo Stato di residenza del beneficiario effettivo.
Solo per Belgio, Austria e Lussemburgo è previsto un periodo transitorio durante il quale questi
Paesi, in luogo di procedere alla trasmissione delle
informazioni, applicheranno una ritenuta alla fonte
sugli interessi. Il prelievo sarà effettuato nella misura del 15% per i primi tre anni, del 20% per i seguenti tre, del 35% per i successivi(3). Il 75% delle
entrate percepite a titolo di ritenuta sarà trasferito
allo Stato di residenza dell’investitore(4). Nel corso
del periodo transitorio gli altri Stati membri continueranno a trasmettere automaticamente le informazioni ai tre Paesi che applicano la ritenuta, senza
esigere condizioni di reciprocità.
In base alle previsioni della Direttiva, il periodo
transitorio terminerà solo quando la Comunità europea
avrà sottoscritto un accordo con Liechtenstein, San
Marino, Principato di Andorra, Principato di Monaco e
(*)
Confederazione svizzera, in forza
del quale questi Stati prevedono
l’attuazione di uno scambio di
informazioni su richiesta, relativamente ai pagamenti di interessi transfrontalieri(5).
Va inoltre rilevato che la concreta operatività della Direttiva
2003/48/CE è subordinata alla
circostanza che ciascuno dei
Paesi sopra menzionati adotti
misure “equivalenti” a quelle disposte dalla Direttiva medesima,
a decorrere dalla stessa data in
cui le disposizioni comunitarie si
rendono applicabili (1° luglio
2005)(6). È altresì necessario che
tutti i territori dipendenti o asso-
Affari fiscali - UniCredito Italiano
Note:
Il provvedimento è pubblicato sulla G.U. 23 maggio 2005, n. 118.
La delega all’emanazione del Decreto legislativo è contenuta nell’art. 1 della legge 31 ottobre 2003, n. 306 (legge comunitaria 2003).
(1)
Si veda, in proposito, il “considerando” n. 8 della Direttiva
2003/48/CE nonché l’articolo 1, paragrafo 1, della medesima Direttiva.
(2)
(3)
Si veda, in proposito, l’art. 11, paragrafo 1, della Direttiva
2003/48/CE.
Si veda, al riguardo, l’art. 12 (“Ripartizione del gettito fiscale”) della Direttiva 2003/48/CE.
(4)
Più precisamente, il periodo transitorio avrà termine alla fine del
primo esercizio tributario successivo all’ultima delle date in cui siano
verificate le seguenti condizioni: 1) entrata in vigore di un accordo
tra Principato di Monaco, Principato di Andorra, Liechtenstein, San
Marino, Svizzera e Comunità europea, avente ad oggetto l’adozione
di un sistema di scambio di informazioni su richiesta, come definito
dal Modello OCSE del 2002; 2) il Consiglio europeo conviene all’unanimità che gli Stati Uniti si sono impegnati a procedere allo cambio
di informazioni su richiesta. Si veda, in proposito, il “considerando”
n. 18 della Direttiva 2003/48/CE nonché l’art. 10, paragrafo 2, del medesimo provvedimento.
(5)
(6)
Il criterio che impone l’adozione di misure “equivalenti” da parte
di Monaco, San Marino, Svizzera, Andorra e Liechtenstein si traduce,
in linea di principio, nell’applicazione di un prelievo alla fonte secondo le stesse modalità definite con riferimento a Belgio, Austria e
Lussemburgo (innalzamento progressivo dell’aliquota dal 15% al
20%, per poi giungere al 35%). Si segnalano, a questo proposito, le
intese già raggiunte dalla Commissione europea con i Paesi interes(segue)
Maggio-Giugno 2005
229
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
ciati (Isole anglo-normanne, Isola di Man e territori
dei Carabi)(7) attuino, con la medesima decorrenza, lo
scambio automatico delle informazioni o applichino
una ritenuta alla fonte sugli interessi (negli stessi termini previsti per Belgio, Austria e Lussemburgo).
2. Soggetti tenuti alle comunicazioni:
gli “agenti pagatori”
L’art. 1, comma 1, del Decreto legislativo n.
84/2005 individua i soggetti tenuti, in qualità di
“agenti pagatori”, a comunicare all’Agenzia delle
entrate le informazioni relative agli interessi pagati o
il cui pagamento è attribuito direttamente a persone
fisiche residenti in un altro Stato membro, che siano
beneficiarie effettive degli stessi. Rientrano nel novero dei soggetti obbligati alla trasmissione dei dati
le banche, le società di intermediazione mobiliare,
le Poste Italiane S.p.a., le società di gestione del risparmio, le società finanziarie e fiduciarie, residenti
nel territorio dello Stato. Sono tenute ad effettuare le
comunicazioni anche le stabili organizzazioni in Italia degli intermediari e degli altri soggetti non residenti che procedono al pagamento degli interessi(8).
L’obbligo di comunicazione si configura sia quando i
soggetti menzionati operano come debitori del credito che produce gli interessi sia quando agiscono come incaricati dal debitore o dal beneficiario effettivo
di pagare o di attribuire il pagamento di interessi(9).
Qualora il pagamento sia attribuito tramite una
catena di diversi intermediari, l’agente pagatore tenuto a trasmettere gli elementi informativi è solo
l’ultimo intermediario, ovvero quello che paga o attribuisce il pagamento degli interessi direttamente a
favore del beneficiario effettivo.
Si considera beneficiario effettivo la persona fisica
che riceve il pagamento in qualità di beneficiario finale. Come si precisa nella relazione di accompagnamento al Decreto legislativo, l’obbligo di comunicazione sussiste indipendentemente dal fatto che il pagamento degli interessi costituisca reddito di impresa
o derivi da investimenti privati della persona fisica.
Non rientrano nel campo di applicazione della
normativa i pagamenti effettuati a favore di società o
altre persone giuridiche.
Il comma 3 dell’art. 1 individua una categoria residuale di soggetti tenuti all’inoltro delle informazioni. Si tratta delle entità, residenti nel territorio dello
Stato, alle quali sono pagati o è attribuito un pagamento di interessi a vantaggio del beneficiario effettivo. In questo caso, la trasmissione dei dati deve essere effettuata all’atto della riscossione degli inte230
Maggio-Giugno 2005
ressi, non già al momento del pagamento degli stessi al beneficiario effettivo(10). L’entità assume la veste
di soggetto pagatore a condizione che sia diversa da
una persona giuridica, da un soggetto i cui redditi
sono tassati secondo i criteri di determinazione del
redito d’impresa e da un organismo di investimento
collettivo in valori mobiliari (OICVM) autorizzato ai
sensi della Direttiva 85/611/CE(11).
Tali entità possono comunque esercitare l’opzione per essere trattate, ai fini della disciplina contenuta nel Decreto legislativo, come un OICVM, mediante presentazione di un’istanza all’Agenzia delle
Entrate(12).
3. Definizione di interessi
La normativa in esame non si applica alla generalità dei proventi derivanti dall’investimento di disponibilità finanziarie ma riguarda unicamente i
redditi da risparmio sotto forma di pagamento di interessi a fronte di crediti. L’articolo 2 del Decreto legislativo individua le diverse fattispecie di interessi
Note:
(segue nota 6)
sati per l’adozione delle misure “equivalenti”: accordo con la Svizzera del 26 ottobre 2004 (Gazz. Uff. CE n. L 385 del 29 dicembre 2004);
accordo con il Principato di Andorra del 15 novembre 2004 (Gazz.
Uff. CE n. L 359 del 4 dicembre 2004); accordo con il Principato di
Monaco del 7 dicembre 2004 (Gazz. Uff. CE n. L 19 del 21 gennaio
2005); accordo con la Repubblica di San Marino del 7 dicembre 2004
(Gazz. Uff. CE n. L 381 del 28 dicembre 2004); accordo con il Principato del Liechtenstein del 7 dicembre 2004 (Gazz. Uff. CE n. L 379 del
24 dicembre 2004).
I territori dipendenti e associati sono Jersey, Guernsey, Isola di
Man, Antille Olandesi, Isole Vergini Britanniche, Turks e Caicos, Cayman, Montserrat, Anguilla, Aruba.
(7)
È tenuto a effettuare le comunicazioni ogni altro soggetto, anche persona fisica, residente nel territorio dello Stato, che per ragioni professionali o commerciali paga o attribuisce il pagamento
di interessi a persone fisiche (beneficiarie effettive) residenti in un
altro Stato membro (cfr. art. 1, comma 1, del Decreto legislativo).
(8)
Come precisato nella relazione di accompagnamento, non rientrano nel novero dei soggetti tenuti alla trasmissione dei dati (non ricoprono cioè la qualifica di agenti pagatori) le banche o altre istituzioni autorizzate ad accettare depositi, quando eseguono le operazioni di accredito di interessi sul conto dei propri clienti, a meno che
non abbiano esse stesse pagato tali interessi ovvero abbiano avuto
un incarico da parte del debitore o del beneficiario effettivo di pagare o di attribuire il pagamento degli interessi.
(9)
(10)
Si veda, in proposito, la relazione di accompagnamento al Decreto legislativo.
(11)
Rientrano in questa categoria residuale sia le società semplici ed
i soggetti ad esse equiparati (ai sensi dell’art. 5 del TUIR) sia i soggetti aventi natura di enti non commerciali, privi di personalità
giuridica.
(12)
Come precisato nella relazione di accompagnamento, una volta
esercitata l’opzione, gli obblighi di comunicazione operano secondo
le modalità ordinarie previste per gli agenti pagatori individuati dal
comma 1 dell’art. 1.
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
(raggruppandole in categorie omogenee) che rientrano nel campo di applicazione della disciplina.
In particolare, la definizione contenuta nel comma 1, lettera a), del citato art. 2, coincide con la formulazione adottata dalla Direttiva 2003/48/CE ed è
mutuata da quella presente nel Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni elaborato dall’OCSE: si tratta degli interessi pagati, o accreditati
su un conto, “relativi a crediti di qualsivoglia natura, assistiti o meno da garanzie ipotecarie e corredati
o meno di una clausola di partecipazione agli utili
del debitore; in particolare quelli derivanti da titoli di
debito pubblico e quelli prodotti da obbligazioni,
compresi gli altri proventi derivanti dai suddetti titoli o obbligazioni”. Gli interessi moratori non costituiscono pagamenti di interessi ai fini della disciplina in commento. In base a quanto previsto dall’art.
2, comma 1, lettera b), rientrano nell’ambito di applicazione del Decreto legislativo anche gli interessi
maturati alla cessione, al rimborso o al riscatto dei
crediti indicati nella precedente lettera a).
Assumono rilevanza, inoltre, i redditi derivanti
da pagamenti di interessi distribuiti da: organismi di
investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM)
autorizzati ai sensi della Direttiva 85/611/CE, entità
che hanno scelto di essere trattate come i suddetti
organismi e organismi di investimento collettivo stabiliti al di fuori del territorio della UE.
Infine, sono inclusi tra i pagamenti di interessi
anche i redditi realizzati alla cessione, al rimborso o
al riscatto di partecipazioni o quote detenute negli
organismi e nelle entità sopra menzionate, qualora
tali organismi ed entità investano, direttamente o indirettamente, tramite altri organismi o entità, oltre il
40% del loro attivo nei crediti di cui all’art. 2, comma 1, la lettera a). La percentuale del 40% è ridotta
al 25% a decorrere dal 1° gennaio 2011(13).
Come osservato nella relazione di accompagnamento al Decreto legislativo, “l’indirizzo adottato
dal legislatore comunitario determina un ampliamento dell’ambito oggettivo di applicazione della direttiva a componenti reddituali, quali plusvalenze e
dividendi, che, pure estranee in linea di principio,
vengono investite dalla disciplina in tema di interessi
poiché prodotte attraverso una forma di investimento
collettivo”.
Durante il periodo transitorio (e, comunque, non
oltre il 31 dicembre 2010) non rientrano nella categoria dei crediti le obbligazioni nazionali e internazionali e gli altri titoli di credito negoziabili emessi
per la prima volta anteriormente al 1° marzo 2001 o
il cui prospetto originario delle condizioni di emis-
sione sia stato approvato, prima di tale data, dalle
autorità competenti. Il pagamento di interessi relativo a tali titoli resterà pertanto estraneo alla disciplina in commento. In ogni caso, l’esclusione dal novero dei crediti opera a condizione che la sottoscrizione dei titoli non abbia costituito oggetto di riapertura a decorrere dal 1° marzo 2002(14).
Qualora i soggetti tenuti alla trasmissione dei dati non siano in possesso delle informazioni necessarie per verificare la sussistenza dei requisiti ai fini
dell’esclusione delle obbligazioni e degli altri titoli
negoziabili dalla categoria dei crediti, l’intera emissione del titolo è considerata credito rilevante ai fini
della disciplina.
4. Individuazione del beneficiario
effettivo
Gli obblighi di comunicazione a cui sono tenuti
gli agenti pagatori non sussistono nel caso in cui la
persona fisica che percepisce gli interessi o a favore
della quale il pagamento è attribuito, non sia il beneficiario effettivo degli interessi medesimi. A questo riguardo, il Decreto legislativo individua tre circostanze la cui sussistenza deve essere attestata (l’una in alternativa all’altra) al fine di escludere la qualifica di beneficiario effettivo.
In particolare, la persona fisica che percepisce
gli interessi non riveste la qualifica di beneficiario
effettivo quando agisce:
• come agente pagatore, cioè come operatore economico che effettua o attribuisce il pagamento di
interessi a favore del beneficiario effettivo, come
debitore del credito che produce interessi o come
incaricato dal debitore o dal beneficiario effettivo
di pagare o di attribuire il pagamento di interessi;
• per conto di una persona giuridica, di un’entità i
cui profitti sono soggetti a tassazione secondo i
Note:
Secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 4, del Decreto legislativo, la percentuale del 40% è determinata in base al regolamento o
ai documenti costitutivi degli organismi di investimento collettivo in
valori mobiliari (OICVM) o delle entità interessate ovvero, in mancanza di tale riferimento, in base all’effettiva composizione dell’attivo dei suddetti organismi o entità, avendo riguardo all’ultimo rendiconto o bilancio di esercizio approvato.
(13)
L’esclusione disposta per le obbligazioni nazionali e internazionali emesse anteriormente al 1° marzo 2001 dà attuazione alla cosiddetta clausola di salvaguardia stabilita dall’art. 15 della Direttiva
2003/48/CE. Come precisato nella relazione illustrativa, con tale previsione si vogliono evitare turbative di mercato connesse all’eventuale attivazione delle clausole di “lordizzazione” (gross-up) da parte degli investitori che si trovassero soggetti ad una ritenuta - negli
Stati che durante il periodo transitorio l’applicheranno - sui titoli già
circolanti nel mercato delle obbligazioni internazionali.
(14)
Maggio-Giugno 2005
231
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
criteri del reddito d’impresa, di un OICVM autorizzato o di un entità diversa da questi ultimi, alla quale sono pagati o è attribuito un pagamento
di interessi a vantaggio del beneficiario effettivo;
• per conto di un’altra persona fisica che è il beneficiario effettivo (la cui identità il percettore è tenuto a rivelare).
Gli agenti pagatori dovranno acquisire dalla persona fisica una dichiarazione che attesti la sussistenza di una delle condizioni sopra indicate, al fine
di escluderne la qualifica di beneficiario finale.
Qualora i soggetti tenuti alle comunicazioni siano
in possesso di informazioni secondo le quali il destinatario del pagamento di interessi potrebbe non essere il beneficiario effettivo, dovranno adoperarsi
“in modo adeguato” (come si precisa nella relazione
di accompagnamento) per rintracciarne l’identità(15).
La normativa, quindi, impone agli agenti pagatori di
adottare le misure necessarie (per quanto nelle loro
possibilità) per determinare l’identità del beneficiario effettivo. Peraltro, se tali soggetti non sono in grado di giungere all’identificazione del destinatario finale del pagamento, dovranno considerare come beneficiario effettivo la persona fisica che percepisce
gli interessi(16).
5. Le informazioni oggetto
della comunicazione
I dati che gli agenti pagatori sono tenuti a trasmettere dovranno riguardare:
• l’identità e la residenza del beneficiario effettivo;
• la denominazione e l’indirizzo del soggetto che
trasmette le informazioni;
• il numero di conto del beneficiario effettivo o, in
assenza di tale riferimento, gli elementi che consentono l’identificazione del credito che produce
gli interessi.
Per quanto concerne le informazioni relative al pagamento degli interessi, i criteri seguiti nella trasmissione dei dati cambiano in funzione della diversa categoria in cui gli interessi stessi sono classificati. Pertanto, a seconda dei casi, sarà comunicato l’ammontare degli interessi pagati o accreditati, ovvero l’importo del corrispettivo realizzato alla cessione, al rimborso o al riscatto dei crediti o delle quote di partecipazione agli organismi di investimento collettivo.
6. Trasmissione degli elementi
informativi e scambio automatico dei dati
Gli agenti pagatori dovranno comunicare i dati e le
232
Maggio-Giugno 2005
notizie rilevanti secondo modalità e termini che saranno stabiliti con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate. Nel caso di omessa, incompleta o inesatta comunicazione, la sanzione prevista
varia dai 2.065 euro ai 20.658 euro. Qualora l’inoltro
delle informazioni avvenga con un ritardo non superiore ai trenta giorni, si applica la sanzione minima.
L’Agenzia delle Entrate dovrà inviare le informazioni acquisite all’autorità competente dello Stato
membro di residenza del beneficiario effettivo. La
trasmissione dei dati è automatica e dovrà avvenire
entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello nel
corso del quale sono stati effettuati i pagamenti di
interessi.
Allo scambio di informazioni si applicano (ove
non contrastino con la normativa in esame) le disposizioni della Direttiva 77/799/CE che regola la trasmissione di dati e notizie tra le autorità competenti
degli Stati membri in materia di imposte dirette e di
imposte sui premi assicurativi(17). Una particolare
deroga investe le disposizioni contenute nell’art. 8
della Direttiva 77/799/CE, che individua le circostanze in cui un Stato membro può rifiutarsi di trasmettere le informazioni che gli sono state richieste.
Pertanto, le limitazioni allo scambio di dati disposte
dall’art. 8 della Direttiva 77/799/CE(18) non si applicano quando le informazioni abbiano ad oggetto redditi da risparmio transfrontalieri sotto forma di pagamento di interessi.
7. Richiesta di non applicazione
della ritenuta alla fonte
Come già rilevato, durante il periodo transitorio,
in luogo di procedere alla trasmissione delle inforNote:
(15)
Cfr. art. 4, comma 3, del D.Lgs n. 84/2005.
(16)
Cfr. art. 4, comma 3, ultimo periodo, del Decreto legislativo.
In particolare, l’art. 2 della Direttiva 77/799/CE (recentemente modificata dalla Direttiva 2004/106/CE) regola lo scambio di informazioni “su richiesta”, l’articolo 3 disciplina “lo scambio automatico”
mentre l’art. 4 riguarda “lo scambio spontaneo”.
(17)
In particolare, in base a quanto previsto dall’art. 8 della Direttiva
77/799/CE, la trasmissione delle informazioni può essere rifiutata
quando porterebbe a divulgare un segreto commerciale, industriale
o professionale o un processo commerciale, o un’informazione la cui
divulgazione contrasti con l’ordine pubblico. Inoltre, l’autorità competente di uno Stato membro può rifiutare di trasmettere le informazioni quando lo Stato membro che le richiede, per motivi di fatto
o di diritto, non è in grado di fornire lo stesso tipo di informazioni.
Infine, in base alle disposizioni dell’art. 8, uno Stato membro al quale sono richieste informazioni non è tenuto ad effettuare indagini o
a comunicare informazioni, se la legislazione o la prassi amministrativa di tale Stato non consente all’autorità competente di condurre
tali indagini o di raccogliere le informazioni richieste.
(18)
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
mazioni, Austria, Belgio e Lussemburgo applicheranno una ritenuta alla fonte sui pagamenti di interessi effettuati a favore di persone fisiche residenti
in un altro Stato membro.
A tale riguardo, la Direttiva prevede che i beneficiari effettivi possano chiedere che la ritenuta non
venga applicata. Secondo la procedura indicata dalla normativa comunitaria, al fine di evitare l’effettuazione del prelievo alla fonte da parte degli Stati
membri autorizzati ad operare la ritenuta, il beneficiario effettivo deve presentare al suo agente pagatore un certificato rilasciato dall’autorità competente
del suo Stato di residenza(19). A questo fine, in base a
quanto previsto dall’articolo 9 del Decreto legislativo, il certificato rilasciato dall’Agenzia delle Entrate
dovrà indicare:
• il nome, il cognome, l’indirizzo e il codice fiscale
del beneficiario effettivo;
• la denominazione e l’indirizzo del soggetto non
residente che è tenuto all’applicazione della ritenuta;
• il numero di conto del beneficiario effettivo o, in
assenza di tale riferimento, l’identificazione del
titolo di credito.
Il certificato produce effetti per un periodo di tre
anni a decorrere dalla data di rilascio e viene rilasciato entro due mesi dalla presentazione della richiesta medesima.
Al fine di evitare la doppia imposizione che potrebbe derivare dall’applicazione della ritenuta da
parte di Austria, Lussemburgo e Belgio, al beneficiario effettivo residente nel territorio dello Stato è
riconosciuto un credito d’imposta determinato ai
sensi dell’art. 165 del Testo Unico delle Imposte sui
Redditi. Se l’importo della ritenuta operata è superiore all’ammontare del credito d’imposta, il beneficiario può chiedere il rimborso dell’eccedenza. Qualora, invece, l’art. 165 non risulti applicabile, il beneficiario potrà chiedere il rimborso dell’intera ritenuta. Questa circostanza può verificarsi quando i
redditi esteri non concorrono a formare il reddito
complessivo del residente italiano: è il caso dei redditi di capitale di fonte estera, rientranti nel campo
di applicazione della normativa in esame, sottoposti
a tassazione definitiva mediante ritenuta alla fonte a
titolo d’imposta o imposta sostitutiva (es. interessi su
depositi o conti correnti esteri, interessi di titoli obbligazionari emessi all’estero).
In alternativa alla richiesta del rimborso, il contribuente può ricorrere alla modalità della compensazione prevista dall’art. 17 del Decreto legislativo 9
luglio 1997, n. 241.
8. Territori associati e decorrenza
La disciplina sullo scambio di informazioni si applica anche nei confronti dei territori dipendenti e
associati, in conformità alle previsioni normative
contenute negli accordi internazionali stipulati con i
suddetti territori e a condizione che gli stessi ne attuino le disposizioni.
La normativa contenuta nel Decreto legislativo si
applica ai pagamenti di interessi effettuati a decorrere dal 1° luglio 2005.
Nota:
(19)
Va precisato che la Direttiva 2003/48/CE prevede anche una seconda procedura tesa a consentire al beneficiario effettivo di evitare
l’applicazione della ritenuta. Secondo questa modalità, non occorre
la presentazione di un certificato rilasciato dalle autorità competenti dello Stato di residenza, ma è sufficiente che il beneficiario effettivo autorizzi espressamente l’agente pagatore a comunicare le informazioni relative al pagamento di interessi. Gli Stati membri che effettuano il prelievo alla fonte durante il periodo transitorio possono
adottare l’una o l’altra delle procedure previste dalla normativa comunitaria. Si veda, in proposito, l’art. 13 della Direttiva 2003/48/CE.
Maggio-Giugno 2005
233
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
Recenti sviluppi della Convenzione
“arbitrale” in materia di prezzi
di trasferimento
di Giovanni Rolle(*)
1. Introduzione
Dopo uno iato di alcuni anni,
la Convenzione 90/436/CEE è
ritornata negli ultimi mesi di attualità grazie a due eventi, quasi contemporanei e di grande rilievo: la conclusione del processo di ratifica del protocollo di
estensione temporale e l’adozione di un codice di condotta per
la sua effettiva attuazione.
2. L’entrata in vigore del protocollo
di estensione e il regime transitorio
La Convenzione 90/436/CEE del 23 luglio 1990,
relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in
caso di rettifica degli utili di imprese associate(1), era
entrata in vigore il 1° gennaio 1995, ma (secondo il
testo originario dell’art. 20) solo per un periodo di
cinque anni.
Gli Stati contraenti avevano contestualmente previsto di “decidere in merito alla proroga” nei sei mesi anteriori alla scadenza.
Ed in effetti, il 25 maggio 1999 (il quinquennio
sarebbe trascorso il 31 dicembre dello stesso anno)
venne firmato a Bruxelles un protocollo di modifica(2), interamente dedicato alla riformulazione dell’art. 20. Trovava conferma il termine quinquennale,
ma con un’innovazione decisiva: la Convenzione sarebbe stata “di volta in volta prorogata di altri cinque anni a meno che uno Stato contraente non sollevi
per iscritto obiezioni presso il segretario generale del
Consiglio dell’Unione europea”.
Il protocollo di modifica (sul piano formale, una
“nuova” convenzione internazionale multilaterale)
ha reso necessaria la ratifica da parte tutti gli Stati
firmatari ed è così entrato in vigore - con notevole ritardo - il 1° novembre 2004.
In base alle previsioni dell’art. 3, par. 1, il proto234
Maggio-Giugno 2005
collo ha effetto retroattivo “a decorrere dal 1° gennaio 2000” e
per tutto il periodo, di quasi
quattro anni, trascorso fra la data di effetto e quella di entrata in
vigore, è stata disposta (art. 3,
par. 2) la sospensione del termine triennale per la presentazione del caso alle autorità competenti degli Stati membri.
In concreto, ciò comporta
che:
❑ da un lato, possano ancora essere utilmente sottoposti alle autorità competenti molti dei casi sorti
nel triennio 1997 - 1999;
❑ dall’altro, tutti i casi sorti nel periodo 1° gennaio
2000 - 31 ottobre 2004 potranno essere sottoposti
sino al 31 ottobre 2007.
Il quadro è più complesso per le procedure eventualmente già in corso alla data del 1° gennaio 2000.
La Commissione ha evidenziato(3), in merito, come gli
Stati membri abbiano adottato, in questi anni, soluzio-
SOMMARIO:
1. Introduzione - 2. L’entrata
in vigore del protocollo
di estensione e il regime
transitorio - 3. Il Codice
di condotta - 4. L’estensione
della Convenzione
ai nuovi Stati membri
(*)
R&A Studio Tributario Associato
Note:
In G.U.C.E. L 225 del 20 agosto 1990. La Convenzione ha, notoriamente, l’obiettivo di eliminare la doppia imposizione economica potenzialmente generata dalla rettifica dei prezzi di trasferimento, in
assenza di aggiustamenti corrispondenti nello Stato della controparte. A tal fine, prevede una procedura amichevole (art. 6) non dissimile da quella prevista dalle convenzioni bilaterali seguita, in assenza di accordo fra gli Stati interessati, da una procedura arbitrale (art.
7) affidata ad una commissione consultiva (si v. il grafico alla pag.
successiva).
(1)
(2)
Protocollo di modifica della convenzione del 23 luglio 1990 relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli
utili di imprese associate (1999/C 202/01), in G.U.C.E. C 202 del 16 luglio 1999.
COMMISSIONE, Comunicazione della Commissione al Consiglio, al
Parlamento Europeo e al Comitato Economico e Sociale Europeo sui
lavori del Forum congiunto dell’UE sui prezzi di trasferimento nel
settore della tassazione delle società dall’ottobre 2002 al dicembre
2003 e su una proposta di codice di condotta per l’effettiva attuazione della Convenzione d’arbitrato (90/436/CEE del 23 luglio 1990),
COM (2004) 297 del 23 aprile 2004, p. 26.
(3)
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
ni assai diverse. Alcuni Stati (Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito)
hanno ugualmente accolto le istanze ed attivato la procedura amichevole operando come se la Convenzione
fosse stata in vigore. Altri Stati firmatari (fra i quali l’Italia) hanno invece adottato soluzioni più formali, ritenendo applicabile solo la procedura amichevole (eventualmente) prevista dalle convenzioni bilaterali.
Secondo un documento di lavoro(4) predisposto
dal Joint Transfer Pricing Forum, molti dei Paesi del
primo gruppo sono ora orientati a consentire l’avvio
della fase arbitrale (una volta infruttuosamente decorso il termine biennale concesso per addivenire ad
una soluzione amichevole) anche qualora la procedura amichevole si sia svolta, in tutto o in parte, nel
periodo di sospensione.
3. Il Codice di condotta
Il secondo evento di rilievo è l’avvenuta adozione, da parte del Consiglio Ecofin del 7 dicembre
2004, di un “codice di condotta per l’effettiva attuazione della Convenzione sull’arbitrato”(5), che affronta alcune delle questioni emerse nel periodo di prima applicazione(6) della Convenzione.
L’ipotesi era stata originariamente formulata nell’ambito dei lavori del Joint Transfer Pricing Forum ed
una proposta - sostanzialmente conforme - era stata
quindi avanzata dalla Commissione con la citata Comunicazione COM(2004) 297 del 23 aprile 2004.
Il codice, come espressamente precisato nel relativo preambolo, rappresenta solo “un impegno politico e non pregiudica i diritti e gli obblighi degli Stati
membri o le rispettive sfere di competenza degli Stati
membri e della Comunità derivanti dal trattato”.
Viene in tal modo riproposto il modello (cosiddetto “soft law”)(7) già sperimentato, in ambito fiscale,
con il codice di condotta in materia di tassazione
delle imprese del 1° dicembre 1997(8). L’insieme dei
Note:
(4)
EU JOINT TRASFER PRICING FORUM, Secretariat Discussion Paper
on the Re-entry into Force of the Arbitration Convention
(JTPF/019/2004/EN), Bruxelles, 25 agosto 2004.
(5)
Il testo del codice di condotta, riportato nella sezione Documentazione di questa rivista alla pag. 269, è attualmente disponibile solo
in forma di nota riveduta del Consiglio (12695/2/04 del 31 marzo
2005). Fra i primi commenti al codice di condotta, si vedano O.
ROUSSELLE, The EC Arbitration Convention - An Overview of the
Current Position, in European Taxation, gennaio 2005, p. 14 s., spec.
17; L. DE HERT, A New Impetus for the Arbitration Convention ?, in
International Transfer Pricing Journal, marzo/aprile 2005, p. 50.
Sulle quali si v. l’ampia disamina di P. ADONNINO, La Convenzione
europea 90/436 sulla cosiddetta procedura arbitrale. Limiti e problemi., in Riv. Dir. Trib., 12/2002, p. 1211 s.. Di notevole interesse anche i
dati forniti dalla Commissione (Comunicazione n. 582 del 23 ottobre
2001), secondo i quali, nei primi cinque anni di applicazione, la procedura amichevole è stata avviata in 93 casi (32 dei quali definiti entro il 2001), mentre la fase arbitrale ha interessato solo 3 controversie, tutte - all’epoca - ancora pendenti.
(6)
Per un sintetico inquadramento della categoria e delle sue evoluzioni, si v. H.HILLGENBERG, A Fresh Look at Soft Law, in European
Journal of International Law, n. 3, 1999, p. 499 s.
(7)
(8)
Risoluzione del Consiglio e dei Rappresentanti dei governi degli
(segue)
LA CONVENZIONE ARBITRALE (90/436/CEE)
Le fasi della procedura
Procedura
Amichevole
(Art. 6)
L’autorità competente,
se ritiene fondato il
reclamo, può autonomamente adottare
“una soddisfacente
soluzione” oppure fare “del suo meglio per
regolare l’accordo in
via amichevole con
l’altro Stato”
Entro 3 anni
dalla notifica
della misura
nazionale
Parere della
Commissione
Consultiva
(Art. 7 ed 11)
Decisione
Autorità
Competenti
(Art. 12)
In mancanza di accordo, le autorità
competenti istituiscono una commissione
consultiva, incaricata
di fornire un parere
sul modo di eliminare
la doppia imposizione
Le autorità adottano di
comune accordo una
decisione, anche se
difforme dal parere.
Se non raggiungono
un accordo, sono tuttavia tenute a conformarsi al parere
Entro 2 anni
dalla
presentazione
del caso
Entro 6 mesi
dalla data
di richiesta
del parere
Eliminazione della
doppia imposizione
(Art. 14)sulla base
del principio di libera
concorrenza (art. 4)
Entro 6 mesi
dall’emissione
del parere
Maggio-Giugno 2005
235
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
provvedimenti in materia di prezzi di trasferimento
rimane perciò “ai margini” dell’ordinamento comunitario(9).
Tuttavia, la circostanza che il codice sia stato
proposto ed adottato dagli organi comunitari contribuisce a rafforzare gli elementi che legano in vario
modo la Convenzione 90/436/CEE alla Comunità (si
pensi, ad esempio, al ruolo del Consiglio previsto
dagli articoli 17, 19 e 21).
3.1 Chiarimenti sui termini della procedura
Il codice di condotta è articolato in 7 paragrafi. I
primi due sono volti a chiarire i termini temporali
per l’avvio della procedura amichevole, prevista dall’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione e della procedura di consultazione, di cui all’art. 7.
La concreta applicazione della procedura amichevole, è, infatti, resa incerta dalla diversità delle
norme nazionali e dalla conseguente difficoltà di
identificare univocamente la data della “prima notifica della misura nazionale interessata”, ai fini del
computo del termine di tre anni entro i quali il caso
deve essere sottoposto all’autorità competente dello
Stato di residenza(10).
Sul punto, il Joint Transfer Pricing Forum aveva
proposto (ma l’ipotesi è stata abbandonata dalla
Commissione) la compiuta enumerazione delle singole definizioni nazionali, prevedendo, ad esempio,
con riferimento all’Italia, che la data in questione
fosse quella di notifica dell’avviso di accertamento.
La soluzione adottata si limita invece ad una precisazione di carattere generale, secondo la quale il termine triennale decorre dalla data del “primo avviso
di accertamento fiscale o misura equivalente che
comporta o può comportare una doppia imposizione”.
Il codice di condotta contiene poi la raccomandazione, rivolta agli Stati membri, di utilizzare la medesima definizione anche in occasione delle procedure amichevoli instaurate in base alle convenzioni
bilaterali fra Stati membri (dove, a mente dell’art. 25
del Modello OCSE, il termine triennale decorre dalla “first notification of the action resultinng in taxation not in accordance with the provisions of the Convention”).
Limitatamente all’Italia, la definizione del codice
di condotta, è integrata dalla precisazione secondo
la quale l’avviso di accertamento (o misura equivalente) deve riferirsi ad “una rettifica dei prezzi di trasferimento”. La posizione italiana riflette evidentemente una lettura restrittiva dell’ambito di applicazione oggettivo della Convenzione e potrebbe essere
236
Maggio-Giugno 2005
mirata ad escludere i casi in cui la doppia imposizione tragga origine da rettifiche incentrate sul principio di libera concorrenza, ma in materie diverse da
quella dei prezzi di trasferimento (il pensiero corre
alle regole nazionali in tema di “thin capitalization”(11)). Rimane da valutare l’efficacia di una siffatta limitazione che, per il suo carattere sostanziale,
sembrerebbe piuttosto richiedere una modifica della
Convenzione.
Il secondo paragrafo del codice di condotta, colmando una lacuna della Convenzione, si sofferma
sull’individuazione del momento in cui il caso si
considera “sottoposto” all’autorità competente dello
Stato di residenza. Il punto è centrale non solo per
verificare la tempestività dell’iniziativa del contribuente (cioè, il rispetto del termine triennale di cui
all’art. 6, par. 1 della Convenzione) ma soprattutto
per stabilire quando, decorso inutilmente il biennio
riservato alla fase amichevole, debba essere avviata
la fase “consultiva” di cui al successivo art. 7.
Il codice di condotta (par. 2.i) stabilisce, sul punto, che l’impresa debba presentare un’istanza e fornire una serie (dettagliatamente individuata) di
Note:
(segue nota 8)
Stati membri riuniti in forma di Consiglio in data 1° dicembre 1997,
in G.U.C.E. C 2 del 6 gennaio 1998, p. 2. Anche tale provvedimento
“costituisce un impegno politico e non pregiudica pertanto diritti ed
obblighi degli Stati membri né le rispettive competenze degli Stati
membri e della Comunità derivanti dal Trattato”. La differenza più
evidente, sul piano formale, è che il codice di condotta del 2004 è
stato adottato dal solo Consiglio, mentre il testo del 1997 si configura, allo stesso tempo, sia quale atto della Comunità, sia quale autonoma espressione della collaborazione fra gli Stati membri, rientrando per tale ragione nella categoria degli “atti atipici”. Sul punto, rinvio, per brevità a G. ROLLE, Mercato interno e fiscalità diretta
nel Trattato di Roma e nelle recenti iniziative della Commissione europea, in Dir. Prat. Trib., 1999, III, p. 57 s.
L’espressione è tratta da L. S. ROSSI, La Convenzione relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di
imprese associate: uno strumento ai margini dell’ordinamento comunitario, in Dir. prat. trib. int., n. 3, 2001, p. 607, la quale osserva
come la Convenzione non si inserisca fra le fonti comunitarie, restando sospesa “in una sorta di limbo fra diritto internazionale e diritto comunitario”, fra elementi che la legano al diritto dell’Unione
ed elementi che la separano.
(9)
(10)
L. DE HERT, A New Impetus for the Arbitration Convention?, cit.,
p. 51 evidenzia come, in astratto, per “prima notifica” si potrebbe
intendere una semplice richiesta di informazioni, l’invio dei verbali
della verifica o del provvedimento di (ri)determinazione del reddito
imponibile.
È opinione diffusa che le regole nazionali in materia di “thin capitalization” possano rientrare nell’ambito di applicazione oggettivo
della Convenzione. In tal senso, si v. D. PILTZ, International aspects of
thin capitalization. General Report, Rotterdam, 1996, p. 137; B. TERRA, P. WATTEL, European Tax Law, London, 2° ed., 1997, p. 292 nonché COMMISSIONE, Company Taxation in the Internal Market. Commission Staff Working Paper, SEC (2001) 1681, ove si osserva (p. 363)
“it should be made clear that thin capitalisation rules are covered.
This, again, would in principle not require an amendment to the
Convention”.
(11)
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
informazioni e prevede, nel contempo (par. 3.2, lett.
e) la facoltà dell’autorità competente nazionale di richiedere, entro due mesi, eventuali “informazioni
supplementari specifiche”, quando quelle fornite siano (ritenute) insufficienti.
Sembra ragionevole ritenere che, sino alla fornitura delle informazioni supplementari, il caso non
possa intendersi utilmente “sottoposto” e che, in
concreto, il termine triennale di cui all’art. 6, par. 1
della Convenzione ne risulti significativamente abbreviato.
Il paragrafo 2 (ii) a) del codice contiene, infine,
una precisazione relativa alla sospensione del termine biennale per l’avvio della fase “consultiva”, prevista dall’art. 7, par. 1 della Convenzione. Quest’ultima disposizione fa riferimento all’ipotesi in cui del
caso sia investito un “tribunale” nazionale, trascurando eventuali procedure amministrative. Il codice
di condotta adotta ora un’impostazione più ampia,
prevedendo la sospensione del termine biennale sino alla data della “decisione finale dell’amministrazione fiscale sul maggior reddito, o di una misura
equivalente”.
3.2 Altre indicazioni procedurali
I successivi paragrafi 3 e 4 del Codice sono incentrati sul concreto svolgimento delle procedure
convenzionali e si riferiscono, ad esempio, al contenuto degli atti, alle modalità di consultazione fra le
amministrazioni coinvolte, alle questioni linguistiche e di traduzione, alla tutela della riservatezza, alla pubblicità delle decisioni.
Merita, in particolare, di essere menzionata la
previsione di cui al par. 3.1 a), in base alla quale il
principio di libera concorrenza è applicato “conformemente agli orientamenti dell’OCSE”. La precisazione evoca, in primo luogo, le ben note “Transfer
Pricing Guidelines” e contribuisce ulteriormente ad
assicurare il coordinamento fra la procedura amichevole della Convenzione 90/436/CEE e quelle
previste in sede bilaterale.
Piuttosto, per ragioni sistematiche (il par. 3 è dedicato alla sola procedura amichevole) sembra mancare un’analoga previsione in relazione al parere
della commissione consultiva: il par. 4.4 si limita a
prescrivere che detto parere indichi “le tesi e i metodi sui quali si basa la decisione”.
Vengono fissati anche alcuni termini “intermedi”
nell’ambito del biennio di durata della procedura
amichevole: la redazione di un documento illustrativo
della posizione dello Stato contraente che ha effettua-
to l’accertamento fiscale (entro quattro mesi dall’avvio
della procedura) e delle risposte degli altri Stati contraenti interessati (entro i successivi sei mesi).
Gli Stati contraenti hanno inoltre assunto (par.
4.1) l’impegno di comunicare al Segretario generale
del Consiglio dell’Unione europea i nomi delle (cinque) personalità indipendenti candidate a divenire
membri della commissione consultiva di cui all’art.
7, par. 1 della Convenzione(12), con la precisazione
che l’iniziativa di istituire, caso per caso, la predetta
commissione consultiva spetta allo Stato che ha
emesso il primo accertamento fiscale. Non sono stati previsti, su quest’ultimo punto, termini precisi: rimane quindi irrisolta la questione dei tempi di insediamento della commissione consultiva e della conseguente durata complessiva della procedura(13).
3.3. La sospensione della riscossione
in pendenza della procedura convenzionale
Il paragrafo 5 raccomanda, in pendenza delle procedure convenzionali(14), l’adozione (se occorre, in via
legislativa) di misure di sospensione della riscossione analoghe a quelle previste in riferimento al contenzioso tributario nazionale. Si tratta di una questione ancora aperta e di notevole importanza, specie se
si considera che le varie disposizioni di coordinamento fra contenzioso interno e Convenzione (si pensi ai paragrafi 1 e 3 dell’art. 7) impediscono, di fatto
e nella maggior parte dei casi, di beneficiare delle
esistenti misure nazionali di sospensione.
4. L’estensione della Convenzione
ai nuovi Stati membri
Completata la proroga temporale, la Convenzione
dovrà essere nuovamente emendata a seguito dell’ingresso, il 1° maggio 2004, di 10 nuovi Stati membri.
Note:
Secondo il Report on the Activities of the EU Joint Transfer Pricing
Forum in the Field of Business Taxation allegato alla citata
COM(2004) 297 fin., cinque Stati contraenti (Grecia, Finlandia, Irlanda, Portogallo e Svezia) non avevano ancora provveduto, a settembre del 2003, alla nomina delle rispettive personalità indipendenti.
(12)
(13)
Osserva, sul punto, P. ADONNINO, La Convenzione europea
90/436 sulla cosiddetta procedura arbitrale. Limiti e problemi, cit., p.
1216, che il termine di sei mesi entro il quale la commissione deve
rendere il parere non può decorrere sino a quando la stessa non sia
stata costituita e che, in assenza di un termine per la costituzione, risulta complessivamente frustrato l’interesse a che “la doppia imposizione venga eliminata in un tempo ragionevole”.
Anche in questo caso, il codice raccomanda il medesimo trattamento in relazione alle procedure amichevoli previste dalle convenzioni bilaterali.
(14)
Maggio-Giugno 2005
237
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
Sul punto, il Consiglio Ecofin del 7 dicembre
2004 ha adottato la bozza di una Convenzione di
adesione, che dovrà essere sottoscritta e ratificata da
ciascuno degli attuali 25 Stati membri. Si tratta di
una procedura solitamente lunga: è noto, ad esempio, che, a quasi 10 anni di distanza(15) è solo ora in
via di conclusione (nelle more della ratifica della
Grecia) l’adesione di Austria, Finlandia e Svezia.
Il testo predisposto dal Consiglio prevede peraltro (art. 5) che la Convenzione si applichi progressivamente fra gli Stati che avranno per primi completato il processo di ratifica(16). Sul punto si sofferma
anche il Codice di condotta (par. 6), che contiene
238
Maggio-Giugno 2005
l’impegno degli Stati membri di attuare la Convenzione di adesione “il più rapidamente possibile e in
ogni caso entro due anni dall’adesione all’UE”.
Note:
(15)
Convenzione relativa all’adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del regno di Svezia alla convenzione relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica
degli utili di imprese associate del 21 dicembre 1995, in G.U.C.E. C 26
del 31 gennaio 1996.
(16)
In base all’art. 5, del testo predisposto dal Consiglio, “La presente
convenzione entra in vigore, nei rapporti tra gli Stati contraenti che
l’hanno ratificata, accettata o approvata, il primo giorno del terzo
mese successivo al deposito dell’ultimo strumento di ratifica, accettazione o approvazione effettuato da tali Stati”.
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
Maggiorazione di conguaglio
e dividendi: ritenute asimmetriche?
di Stefano Morri e Stefania Bernini(*)
1. Premessa
SOMMARIO:
1. Premessa - 2. Il caso
e la questione pregiudiziale 3. La tesi dell’Avvocatura
Generale dello Stato 4. La soluzione della questione
pregiudiziale - 5. La pronuncia
della Corte - 6. Conclusioni
Nella sentenza del 23 settembre 2004, causa 19152/04,
la Corte di Cassazione è stata
chiamata a pronunciarsi riguardo al regime fiscale dei dividendi fluenti da società figlie residenti in Italia a società madri
localizzate in altri Stati membri,
chiarendo, nel caso specifico, il
rapporto tra la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata con i Paesi Bassi e la Direttiva CEE
90/435, cosiddetta madre-figlia(1).
La sentenza è interessante sia per la soluzione
che accorda al caso specifico, che per i principi di
interpretazione delle antinomie tra diritto comunitario e diritto convenzionale bilaterale che enuncia.
Nel caso in esame la Corte affronta due questioni
interessate dalla medesima conflittualità normativa
ovvero (i) la legittimità della ritenuta operata dalla
società figlia sui dividendi distribuiti e (ii) quella
della ritenuta sulla maggiorazione di conguaglio
rimborsata alla società madre.
In entrambi i casi le disposizioni confliggenti riguardano il regime di esenzione da ritenuta alla fonte dei dividendi assicurato dall’art. 5, paragrafo 1
della Direttiva CEE 90/435(2) (in seguito “Direttiva”
o “madre-figlia”) e la ritenuta alla fonte prevista per
i medesimi dall’art. 10 della Convenzione contro le
doppie imposizioni stipulata tra Italia e Paesi Bassi,
ratificata con la legge 26/07/1993, n. 305 (in seguito “Convenzione”).
2. Il caso e la questione pregiudiziale
Il caso è stato sollevato davanti alla Corte di Cassazione dopo un lungo contenzioso innescato dal silenzio-rifiuto dell’Amministrazione Finanziaria nei confronti dell’istanza di rimborso presentata dalla società
General Beverage Europe B.V. (in seguito “GBE”) , fiscalmente residente nei Paesi Bassi, a fronte del prelievo subito in occasione della distribuzione di dividendi effettuata dalla società Martini e Rossi Spa (in
(*)
seguito “M&R”), residente in Italia e controllata al 100%.
Detta istanza riguardava l’applicazione da parte della M&R
(qualificatasi come “figlia”) della
ritenuta convenzionale del 5%,
da un lato, sull’ammontare dei dividendi distribuiti e, dall’altro,
sulle somme corrisposte alla ricorrente a titolo di rimborso della
maggiorazione di conguaglio(3).
LCM - Lega Colucci Morri e Associati
Note:
“In tema di imposte sui redditi da capitali, la cd. maggiorazione di
conguaglio, prevista dall’art. 105 TUIR di cui al D.P.R. 22 dicembre
1986, n. 916 (nel testo applicabile “ratione temporis”, prima della
sostituzione attuata dall’art. 2, comma primo, n. 10 D.Lgs n. 467 del
1997), costituente una sorta di imposta aggiuntiva applicata in occasione della distribuzione dei dividendi, per impedire che i soci godano di un credito per le imposte che la società non abbia pagato, e
avente la finalità di impedire effetti di “erosione” o di “elusione” fiscale, quando la società partecipata goda di esenzioni o agevolazioni fiscali, in considerazione del fatto che l’ammontare del credito
d’imposta è calcolato sugli utili della società partecipata e non sull’imposta pagata, è - oltre che di dubbia legittimità costituzionale, in
quanto si risolve in una imposta non dovuta - anche in contrasto con
il diritto comunitario, ove applicata per la tassazione di dividendi
corrisposti da una società figlia, residente fiscalmente in Italia, ad
una società madre, di diritto olandese e legittimamente forma oggetto di diritto di rimborso alla società che ne abbia fatto istanza
(ove ricorrano gli altri presupposti di legge). Infatti, siffatta imposizione è discriminatoria nei confronti di quei Paesi dell’UE che, come
i Paesi Bassi, sono esclusi da tali rimborsi sulle ritenute operate sulle
somme erogate a titolo di rimborso delle maggiorazioni di conguaglio (secondo la circolare dell’A.F. n. 151 del 10 agosto 1994) solo perchè non hanno stipulato con l’Italia un accordo bilaterale tale da garantire il principio della reciprocità su tali rimborsi, atteso che la Direttiva CEE n. 90/435, relativa al regime fiscale applicabile alle società
madri e figlie di Stati membri della Comunità, attuata nell’ordinamento interno con il D.Lgs. n. 136 del 1993, consente l’applicabilità
della ritenuta sul credito d’imposta solo al fine di evitare la doppia
imposizione economica, finalità che non ricorre nel caso della maggiorazione di conguaglio, la quale persegue il diverso fine di contrasto dell’erosione o elusione fiscale (In applicazione di tale principio,
la Corte ha respinto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria contro la sentenza di merito che aveva riconosciuto alla società olandese il diritto al rimborso delle ritenute operate sulla somma erogata a
titolo di rimborso della maggiorazione di conguaglio)”.
(1)
(2)
Che così recita: “Gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre, almeno quando quest’ultima detiene una partecipazione minima del 25% nel capitale della società figlia, sono esenti dalla
ritenuta alla fonte”.
(3)
Il rimborso della maggiorazione di conguaglio alla società madre
(segue)
Maggio-Giugno 2005
239
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
La GBE (società “madre”) fondava le proprie argomentazioni sul diritto al regime di esenzione previsto, in primis, dall’art. 5, paragrafo 1, della Direttiva madre-figlia, e quindi dall’art. 27-bis, comma 1,
del D.P.R. 600/1973.
Al tacito rifiuto dell’Amministrazione, ha fatto
seguito un primo ricorso, promosso dinnanzi alla
Commissione Tributaria Provinciale di Torino, conclusosi con una sentenza di accoglimento delle ragioni della ricorrente GBE in cui, oltre a ribadirsi
l’applicabilità del regime di esenzione previsto dalla
Direttiva, viene affermato che la posizione sostenuta
dalla stessa Amministrazione Finanziaria nella Circolare 151/DE del 10/08/1994, citata a sostegno del
ricorso, è palesemente discriminatoria nei confronti
dei Paesi Bassi.
Tale circolare, a riguardo delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con
Francia, Repubblica Federale di Germania e Paesi
Bassi, riconosce la non applicabilità delle ritenute
esclusivamente ai dividendi e alle somme relative al
rimborso della maggiorazione di conguaglio corrisposti alle società madri residenti in Francia e Germania, ma non a quelle residenti nei Paesi Bassi. A
sostegno di siffatta esclusione, l’Amministrazione
Finanziaria adduce la mancanza del requisito della
reciprocità del trattamento in punto di regime della
maggiorazione di conguaglio.
Nel successivo appello promosso dall’Amministrazione Finanziaria, la Commissione Tributaria
Regionale del Piemonte conferma la decisione di
primo grado, non solo ribadendo l’illegittima discriminazione contenuta nella Circolare 151/DE, ma
giungendo altresì ad affermare che il diritto all’esenzione discende dalla regola, valevole sul piano generale, secondo cui gli accordi bilaterali non sono applicabili se sono in contrasto con le direttive comunitarie.
Nel ricorso promosso davanti alla Corte di Cassazione, che ha dato origine alla sentenza in commento, l’Amministrazione Finanziaria ribadisce la legittimità della ritenuta convenzionale e contesta l’interpretazione della Direttiva contenuta nella sentenza di appello, ritenendola operata dando risalto solo
a quanto stabilito nell’art. 5, non considerando la
clausola di riserva contenuta nell’art. 7.2(4) della
stessa.
La società GBE propone alla Corte controricorso,
presentando istanza subordinata di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea per verificare la
compatibilità della normativa convenzionale con
quella comunitaria.
240
Maggio-Giugno 2005
3. La tesi dell’Avvocatura Generale
dello Stato
Riguardo ai rapporti tra Direttiva comunitaria
madre-figlia e diritto promanante dai trattati internazionali bilaterali contro le doppie imposizioni, la
posizione dell’Avvocatura Generale dello Stato, in
rappresentanza dell’Amministrazione Finanziaria, è
che la prima trovi applicazione solo ove non operino
i secondi, secondo una sorta di principio di sussidiarietà giuridica. Enunciato lo scopo della Direttiva di
prevenire la doppia imposizione economica e giuridica nei rapporti tributari tra società legate da vincoli partecipativi residenti in stati diversi, se lo stesso è realizzato da livelli più bassi dell’ordinamento,
siano essi la legislazione nazionale o quella convenzionale bilaterale, la Direttiva perde effetto.
Poiché “tra i due Stati [Italia e Paesi Bassi, n.d.r.]
si è convenuto, in sostanza, di esentare in Olanda i dividendi distribuiti a società madri olandesi da società
figlie italiane, e di concentrare in Italia l’imposizione
di questi cespiti sia in capo alla società madre che alla società figlia”, dice l’Avvocatura, il rischio di doppia imposizione e di distorsione è escluso in radice e
“la società olandese subisce una ritenuta in Italia del
5% integralmente sostitutiva dell’imposta normale sul
reddito che altrimenti sconterebbe in Olanda”. Ne segue che la Direttiva non trova applicazione nel caso
prospettato, essendo la disciplina di fonte complementare sufficiente a tutelare gli interessi dei soggetti coinvolti alla luce dei principi comunitari.
Questa tesi viene sostanziata dalla citazione e
dalla interpretazione delle norme di fonte interna,
pattizia e comunitaria pertinenti. L’art. 10 della Convenzione che assicura (comma 2) il prelievo fiscale
ridotto del 5% sui dividendi pagati da una società
italiana a una partecipante società olandese, ogni
volta che questa risulti l’effettiva beneficiaria dei dividendi, detenga oltre il 50% delle azioni con diritto
di voto e vanti un holding period minimo di 12 mesi,
nonché (comma 3) il diritto per la società olandese,
con riferimento al medesimo flusso di dividendi, al
rimborso di un ammontare pari alla maggiorazione di
Note:
(segue nota 3)
avveniva direttamente ad opera della società figlia, la quale aveva titolo di detrarre l’imposta così rimborsata da quella dovuta come liquidata nella prima dichiarazione dei redditi successiva.
(4)
Che così recita: “La presente direttiva lascia impregiudicata l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali intese a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, in
particolare delle disposizioni relative al pagamento di crediti di imposta ai beneficiari dei dividendi”.
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
conguaglio afferente la porzione di dividendi percepiti. L’art. 27 bis, comma 1, del D.P.R. 600/1973, che
accorda il rimborso delle ritenute subite sui dividendi in uscita alle società madri comunitarie solo se tali ritenute sono quelle previste dalla disciplina interna italiana (art. 27 del decreto citato) e non anche
quelle stabilite dai trattati, sul presupposto che i
trattati appunto sono già di per sé orientati alla soluzione del problema della doppia imposizione e costituiscono rimedio esauriente a tale questione. E ancora il quarto comma di tale articolo che lascia “impregiudicata l’applicazione di ritenute alla fonte previste da disposizioni convenzionali che accordano rimborsi di somme afferenti i dividendi distribuiti”.
Insomma, la tesi dell’Amministrazione è che sussiste un regime convenzionale, doppiato da coerenti
norme di diritto interno, che già di per sé realizza il
fine di evitare la doppia imposizione economica e
giuridica e rende superflua la Direttiva sul caso specifico esaminato dalla Corte.
Per la verità, la posizione dell’Amministrazione
oblitera il dato fattuale che, nel caso specifico appunto, le norme pattizie e interne non riescono ad assicurare al contribuente il medesimo trattamento che gli
darebbe la Direttiva. Infatti, in presenza di un regime
interno di esenzione da tassazione dei dividendi, quale quello accordato dai Paesi Bassi alla proprie società sugli utili di fonte estera, l’applicazione della
pur ridotta ritenuta convenzionale del 5% si risolve in
un prelievo differenziale negativo rispetto al caso di
esenzione pura e semplice previsto dalla Direttiva.
4. La soluzione della questione
pregiudiziale
Nell’affrontare il ricorso, la Corte di Cassazione
risolve in via preliminare le questioni pregiudiziali
sollevate.
La Corte ritiene di non dar corso alla richiesta di
rinvio alla Corte di Giustizia Europea ricollegandosi
a due sentenze, dalla stessa emesse, che hanno avuto notevole seguito nell’ambito della prassi interpretativa comunitaria con riferimento al tema generale
della compatibilità tra la Direttiva e le Convenzioni
bilaterali concluse dai vari stati.
Nello specifico la Suprema Corte italiana richiama la sentenza 25/09/2003, causa C-58/01, Ocè van
der Grinten c/o Commissioners of Inland Revenue
per quanto attiene alla ritenuta operata sui dividendi e la sentenza 04/10/2001, causa C-294/99, Athinanki Zythopoina per la ritenuta operata sulla maggiorazione di conguaglio.
Con riferimento alla prima questione, la compatibilità della ritenuta convenzionale sui dividendi viene risolta positivamente ritenendo, il giudice comunitario, che il prelievo convenzionale alla fonte, pur
integrando una fattispecie impositiva astrattamente
contrastante con il divieto sancito dall’art. 5 della
Direttiva, rientri nella coerenza del complessivo disegno normativo grazie alla clausola di salvaguardia
prevista dalla medesima Direttiva all’art. 7.
Il mancato rinvio pregiudiziale alla giurisprudenza comunitaria riguardo la seconda questione viene
invece giustificato con argomenti più articolati, fondati sull’analogia tra l’istituto italiano della maggiorazione di conguaglio e gli artt. 99 e 106 del Codice
dell’imposta sul reddito ellenica.
Le previsioni citate prevedono che “qualora una
società per azioni di diritto ellenico che disponga, tra i
suoi redditi lordi, di redditi non imponibili o di redditi
soggetti ad imposizione speciale, vale a dire ad imposizione ridotta, distribuisca utili, questi ultimi si considerano provenienti proporzionalmente da tali redditi. Di conseguenza per determinare la base imponibile,
i redditi non imponibili e i redditi soggetti ad imposizione speciale sono reincorporati nella base imponibile sino a debita concorrenza, dopo essere stati convertiti in importi lordi” (punto 15 della citata sentenza).
Seppur con un meccanismo diverso, viene dunque perseguito il medesimo fine della maggiorazione
di conguaglio italiana che, lordizzando i dividendi
derivanti da utili beneficiati da previsioni agevolative, tende a ripristinare la congruenza con il credito
d’imposta ed evitare erosioni fiscali.
Nella sentenza citata, la Corte comunitaria afferma che il prelievo convenzionale effettuato su tali
somme è in palese contrasto con la Direttiva trattandosi di un’imposizione che non si sarebbe verificata
se i medesimi redditi fossero rimasti presso la consociata e non fossero stati distribuiti alla capogruppo.
Tale prelievo, del tutto analogo alla ritenuta sul
rimborso della maggiorazione di conguaglio, incidendo gli utili solo nel caso in cui vengano distribuiti ad una consociata non residente, introdurrebbe infatti una distorsione rispetto alla auspicata armonizzazione comunitaria.
La Corte di Giustizia esclude inoltre che, come
nel caso precedente, la compatibilità possa essere
risolta dalla clausola di salvaguardia dell’art. 7 in
quanto l’ipotesi di ritenuta descritta non si realizza
affatto con l’intento di “sopprimere o attenuare la
doppia imposizione”, bensì con l’obiettivo di ripartire le entrate fiscali tra i due stati coinvolti.
Maggio-Giugno 2005
241
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
5. La pronuncia della Corte
Risolta la questione pregiudiziale, la Corte esamina in modo distinto le due questioni di legittimità
e accoglie parzialmente il ricorso, ritenendo fondata
la contestazione del diritto al rimborso della ritenuta alla fonte operata sui dividendi e rigettando la
parte in cui contesta il rimborso della ritenuta operata sul rimborso della maggiorazione di conguaglio.
La direttiva madre-figlia è uno dei maggiori interventi normativi comunitari in tema di imposte dirette e i suoi artt. 4 e 5 concretano il primario obiettivo
di tutta la produzione legislativa di emanazione europea di eliminare la doppia imposizione economica
e giuridica.
Se tuttavia è chiaro l’obiettivo di evitare “qualsiasi penalizzazione della cooperazione tra società di
Stati membri diversi rispetto alla cooperazione tra
società di uno stesso Stato membro”, meno univoco è
invece il mezzo per conseguirlo.
Infatti, il divieto posto in capo allo Stato della società figlia di imporre ritenute alla fonte sui dividendi in uscita, apparentemente cristallino nell’emanazione, ha in realtà originato diversi dubbi applicativi.
Alla luce dei diversi casi giurisprudenziali nel
tempo presentati, sono stati i successivi interventi di
interpretazione emessi dalla Corte di Giustizia Europea nelle sue sentenze a risolvere le questioni più rilevanti. Le citate sentenze Ocè van der Grinten e
Athinanki Zythopoina hanno ad esempio contribuito
a risolvere alcuni nodi interpretativi fondamentali e
a chiarire le caratteristiche dell’istituto giuridico
che, indipendentemente dalla definizione utilizzata
dalle diverse legislazioni nazionali, configura la ritenuta alla fonte vietata dall’art. 5.
La sentenza emessa dalla Corte di Cassazione in
esame è al riguardo apprezzabile in quanto, sul fronte della contestata previsione contenuta nell’art. 7.2
e del suo ruolo in merito alla conciliabilità della Direttiva e delle diverse Convenzioni concluse dai vari Stati, apre la strada ad una interpretazione nuova
che cerca di conciliare quella, per certi versi contraddittoria, della giurisprudenza europea e quella
più estrema sostenuta in dottrina.
5.1. Legittimità della ritenuta convenzionale
sui dividendi
La soluzione del caso in senso sfavorevole al contribuente viene argomentata sulla base della sentenza della Corte di Giustizia 25/09/03, C-58/01, in
materia di applicazione della ritenuta interna di di242
Maggio-Giugno 2005
ritto UK ai dividendi distribuiti ad una società madre olandese, quando insieme agli utili viene rimborsato il 50% dell’ Advance Corporate Tax (ACT).
Il caso caduto sotto il giudizio della Corte comunitaria è il seguente: in base alla convenzione vigente tra Regno Unito e Paesi Bassi, la società madre
percipiente dividendi da una società figlia inglese
ha diritto al rimborso del 50% dell’ACT, che è pari
al 25% dell’utile distribuito. Sull’ammontare totale
distribuito, il fisco inglese può prelevare la ritenuta
del 5%. Dunque, se 80 è l’utile distribuito e 20
l’ACT, 10 è il rimborso della stessa spettante alla società madre olandese e 4,5 la ritenuta (5% di 90),
per modo che il netto percepito dal socio è 85,5.
La Corte di Giustizia analizza il caso e giudica
che una parte della ritenuta (4, cioè il 5% di 80) afferisce a un dividendo, ed è pertanto ritenuta prevista dall’art. 5, paragrafo 1, della Direttiva. Altra parte della ritenuta (0,5, cioè il 5% di 10) afferisce al
rimborso di ACT, che non è dividendo.
In astratto, dunque, la ritenuta sul dividendo è in
conflitto con il diritto all’esenzione previsto nell’art.
5.1. della Direttiva. Ma, secondo il giudice comunitario, l’art. 7.2. della Direttiva opera qui validamente perché il diritto inglese e la convenzione con i
Paesi Bassi assicurano al contribuente olandese un
beneficio peculiare ed ulteriore, costituito dal rimborso dell’ACT - volto alla mitigazione della doppia
imposizione economica - e in questa chiave si giustifica la deroga all’art. 5.1. anche per quanto concerne le ritenute sui dividendi (rectius: sulla quota di
dividendi incorporata nell’ammontare complessivo
pagato al socio).
Dunque la Corte di Giustizia nella sentenza in
commento ha giudicato compatibile la ritenuta convenzionale con il diritto comunitario perché ha correttamente inteso l’art. 7.2. come una norma che,
nella sua portata ulteriormente agevolatrice, va assunta nella sua completezza, senza possibilità di dividerne il contenuto scartando le sole disposizioni
sfavorevoli al contribuente. Nel caso illustrato, infatti, alla fine dei conti il socio olandese percepisce di
più sotto la Convenzione di quanto percepirebbe sotto la Direttiva.
Nel caso trattato dalla Corte di Giustizia, l’art. 7.2
trova senz’altro applicazione proprio per il fatto che,
come sostiene anche la Commissione al punto 77
della medesima sentenza, esso “ha lo scopo di esentare dal divieto di ritenuta alla fonte un’imposta che
fa parte integrante del meccanismo di concessione
di un credito d’imposta diretto ad attenuare la doppia imposizione”. Tant’è che il prelievo di cui si di-
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
scute è previsto solo se esiste un diritto al credito
d’imposta concesso in forza di una convenzione sulla doppia imposizione, diversamente i dividendi sarebbero versati nella loro integralità.
La Suprema Corte italiana assume le conclusioni
della sentenza comunitaria commentata come fossero un principio di diritto. La verità è che se si confrontano i casi caduti sotto l’attenzione delle due
corti essi sono, a parere di chi scrive, differenti. Diversamente da quanto accade nel caso inglese infatti, nella questione sollevata nella sentenza in esame,
non esiste alcuna disposizione mirante ad attenuare
la doppia imposizione sui dividendi che, al pari del
credito d’imposta inglese, faccia ricadere la ritenuta
in oggetto fra quelle fatte salve dalla clausola di riserva dell’art. 7.2.
La soluzione interpretativa proposta dalla Corte
di Cassazione di fatto poggia tutto il suo assunto su
di un parallelismo di situazioni che non esiste. Per
cogliere al meglio tale diversità e disporre un trattamento logico e coerente delle due questione sollevate, a parere di scrive, la Corte avrebbe meglio fatto
ad invertire la successione delle argomentazioni,
partendo da quelle inerenti la legittimità della ritenuta sul rimborso della maggiorazione di conguaglio. Una volta infatti chiarito che il rimborso della
maggiorazione di conguaglio non è affatto teso, come
richiede la norma, a “sopprimere o ad attenuare la
doppia imposizione economica”, ma ha invece come
scopo quello di evitare che si effettui un prelievo indebito di imposta compensativa a fronte di un dividendo che, per il fatto di essere destinato a uno straniero, non produce credito di imposta, cade la specularità con il caso inglese e la possibilità di risolverlo con un semplice rimando alla giurisprudenza
europea.
Nel caso inglese, si verifica una distribuzione di
dividendi, cui è collegato un credito d’imposta, il
quale costituisce il presupposto per il prelievo convenzionale. La compatibilità di quest’ultimo con la
Direttiva è infine fatta salva dall’art. 7.2, essendo il
credito d’imposta una disposizione mirante ad evitare la doppia imposizione.
Nel caso italiano, alla distribuzione di dividendi
non corrisponde alcun credito d’imposta, di conseguenza la maggiorazione di conguaglio non è dovuta
e ne è pertanto disposto il rimborso. Quest’ultimo
tuttavia non ha affatto la finalità, né le caratteristiche del credito d’imposta, come la stessa Corte ribadisce nella sentenza, e di conseguenza non legittima
affatto il prelievo convenzionale. Al riguardo la stessa Corte di Cassazione è inequivocabile: “l’imposta
di conguaglio non ha la funzione di evitare la doppia
imposizione economica, bensì di “allineare” il credito virtuale a quello reale”.
Sotto questa luce, è assai dubitabile - e lo stesso
estensore della sentenza in altro passo sembra condividere il dubbio - che trovi applicazione nel caso
l’art. 7.2. ed è dunque altrettanto dubitabile che sia
giustificato il prelievo del 5% di ritenuta sulla parte
di distribuzione costituita da dividendi in deroga al
chiaro divieto dell’art. 5.1.
Se dunque le conclusioni della Corte Suprema ci
lasciano assai perplessi, corretto ci pare lo sforzo di
ricondurre la soluzione del problema all’interno del
diritto comunitario e non al di fuori, sul presupposto
che la disciplina comunitaria prevale, per gerarchia,
su quella convenzionale e su quella interna. In tal
senso la stessa Corte di Giustizia Europea si è pronunciata più volte e di particolare interesse per il caso in esame è la sentenza Gottardo C-55/00 in cui si
afferma che “nel mettere in pratica gli impegni assunti in virtù di convenzioni internazionali, indipendentemente dal fatto che si tratti di una convenzione
tra Stati membri ovvero tra uno Stato membro e uno o
più paesi terzi, gli Stati membri, fatte salve le disposizioni dell’art. 307 CE, devono rispettare gli obblighi loro incombenti in virtù del diritto comunitario”.
La Corte respinge così l’impostazione data dall’Avvocatura al metodo interpretativo, affermando,
giustamente e senza esitazioni, il principio della gerarchia delle fonti.
5.2. Legittimità della ritenuta convenzionale
sul rimborso della maggiorazioni di conguaglio
Per quanto concerne la seconda questione, come
anticipato la Corte esclude la legittimità della ritenuta sulla maggiorazione di conguaglio asserendone
l’incompatibilità non tanto, o meglio non solo, con
l’art. 5 della Direttiva quanto con il fine primario
della Convenzione stessa, condiviso dalla disciplina
comunitaria, di evitare la doppia imposizione.
La maggiorazione di conguaglio infatti, prevedendo una imposizione aggiuntiva a carico della società
erogante i dividendi al fine di evitare che i destinatari degli stessi possano beneficiare di agevolazioni
fiscali non correttamente rispecchiate dal credito
d’imposta, perde la sua stessa ragion d’essere nel
momento in cui i dividendi sono distribuiti a soggetti non assistiti da alcun credito d’imposta, quali i
soggetti non residenti.
Se dunque da un lato, la maggiorazione di conguaglio è stata prevista per evitare distorsioni, ovveMaggio-Giugno 2005
243
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
ro fenomeni di elusione o erosione fiscale, nel momento in cui i percettori di dividendi derivanti da
redditi esenti o agevolati beneficiano, in ambito domestico, del credito d’imposta, specularmene il rimborso della stessa è funzionale ad evitare le analoghe
distorsioni ogni volta che i medesimi dividendi sono
percepiti da soggetti non residenti.
L’applicazione della ritenuta sul rimborso pertanto comprometterebbe l’eliminazione completa della
distorsione e ne introdurrebbe anzi una ulteriore, attuando una imposizione sul rimborso di una imposta
non dovuta che non ha alcun presupposto impositivo
legittimo.
Questo ulteriore passo in avanti contenuto nelle
motivazioni della sentenza, in base alle quali la Corte non solo ritiene illegittima la ritenuta, ma dubita
della legittimità della stessa maggiorazione di conguaglio per i non residenti è di particolare rilevanza.
Se infatti è vero, come la Corte afferma al punto
2.7.4 della sentenza, che la “ragione” per cui la
Convenzione ammette il diritto al rimborso della
maggiorazione di conguaglio è che diversamente si
verificherebbe “un prelievo del tutto ingiustificato“,
allora è corretto presumere che il diritto al rimborso
sia un diritto assoluto, indipendente da eventuali
previsioni Convenzionali.
Dal ragionamento contenuto nella sentenza pare
infatti evincersi che, in ogni caso, l’applicazione
della maggiorazione di conguaglio nei confronti di
non residenti configura un prelievo di per sé illegittimo e pertanto sembrerebbe doversi concludere che
lo stesso debba essere rimborsato in base ad un generale principio di equità e di “logica impositiva”.
Infine, il tentativo dell’Amministrazione Finanziaria di invocare la legittimazione della ritenuta in
base all’art. 7.2 viene negato, riprendendo le motivazioni addotte dalla giurisprudenza comunitaria, in
quanto la ritenuta operata su tale rimborso non ha
nulla a che vedere con le disposizioni miranti a sopprimere o attenuare la doppia imposizione.
6. Conclusioni
Veniamo alle conclusioni. La sentenza in commento ci pare:
(i) affrontare correttamente il problema della gerarchia delle fonti del diritto tributario, mettendo al
primo posto il diritto di fonte comunitaria, che
prevale su quello interno, anche di fonte convenzionale;
(ii) centrare il problema della qualificazione del
rimborso della maggiorazione di conguaglio
244
Maggio-Giugno 2005
operata dall’Italia vigenti alcune convenzioni
bilaterali contro le doppie imposizioni, intendendola non come meccanismo di riequilibrio
contro la doppia imposizione economica, ma come rimozione di una causa di indebito legata al
fatto che, essendo presupposto di questa imposta il credito attribuito al percettore del dividendo, nei rapporti cross border il percettore non si
vede accreditato alcun credito in coincidenza
con il ricevimento del dividendo. Da tale impostazione, la Corte correttamente deriva un giudizio di non debenza del prelievo alla fonte del
5% sul rimborso della maggiorazione;
(iii) infine, errare nel non riconoscere l’illegittimità
del prelievo del 5% sul dividendo erogato dalla
società italiana alla società madre olandese. La
deroga al chiaro divieto di imposizione contenuto nell’art. 5.1. della Direttiva può poggiare, infatti, non già sulla Convenzione tra l’Italia e i
Paesi Bassi ex sé, ma solo sull’inseribilità di tale convenzione nella previsione dell’art. 7.2.
della Direttiva. E nel caso del rimborso della
maggiorazione di conguaglio, ci pare difficile
sostenere che tale misura, a differenza di quanto certamente accade per il rimborso dell’ACT, i
cui presupposti sono tutt’affatto diversi, si inquadri in tale norma. Se così fosse, verrebbe
meno la legittimazione del mancato esonero da
ritenuta anche per la quota dividendo attribuita
dalla società italiana al socio olandese, presupposto che, secondo la giurisprudenza comunitaria ha giustificato l’applicazione della ritenuta
sulla quota dividendo delle somme erogate da
una società inglese alla sua controllante comunitaria insieme al rimborso di parte dell’ACT.
DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
AVVOCATURA
GENERALE
CORTE CASSAZIONE
CONTRIBUENTE/
SCRIVENTE
Ritenuta convenzionale
sui DIVIDENDI
LEGITTIMA
LEGITTIMA
ILLEGITTIMA
Ritenuta convenzionale
sul RIMBORSO
MAGGIORAZIONE
DI CONGUAGLIO
LEGITTIMA
ILLEGITTIMA
ILLEGITTIMA
Primato della Direttiva:
la disciplina comunitaria
prevale, in base al principio
della gerarchia delle fonti,
su quella convenzionale e
su quella interna.
Rapporto
DIRETTIVA CONVENZIONE
Sussidiarietà giuridica: la
Direttiva comunitaria, nello
specifico il divieto di imporre
ritenute di cui all’art. 5, esplica i suoi effetti solo in mancanza di norme interne o
convenzionali in grado di evitare la doppia imposizione.
Tale interpretazione è legittimata dalla previsione contenuta nell’art.7.2 della medesima Direttiva che introduce
una clausola di riserva per
tutte le norme interne o convenzionali atte ad attenuare la
doppia imposizione.
Primato della Direttiva:
conformemente a quanto
statuito dalla Suprema
Corte gli accordi bilaterali
non sono applicabili se
sono in contrasto con le
Direttive comunitarie in
base al principio di gerarchia delle fonti.
Applicazione della
ritenuta convenzionale
sia sui dividendi, sia sul
rimborso della maggiorazione di conguaglio.
Le previsioni convenzionali
sono in grado di risolvere
autonomamente il problema
della doppia imposizione:
1) da un lato, impongono
una ritenuta del 5% sui
dividendi
interamente
sostitutiva dell’imposta che
diversamente
dovrebbe
essere pagata in Olanda;
2) dall’altro, accordano il
diritto al rimborso della
maggiorazione di conguaglio afferente ai medesimi
dividendi.
Applicazione
della ritenuta convenzionale sui dividendi .
Pur contrastando con il
divieto di cui all’art. 5 della
Direttiva, la ritenuta è legittima in quanto rientra tra
quelle fattispecie miranti
ad evitare la doppia imposizione previste all’art. 7.2.
SOLUZIONE
proposta
Non applicazione della
ritenuta convenzionale
sui dividendi.
La ritenuta è illegittima in
quanto contrasta con l’art. 5
della Direttiva. Nel caso di
specie l’applicazione del
regime convenzionale ai
dividendi comporta esclusivamente una ritenuta alla
fonte, senza prevedere alcuNon applicazione
na ulteriore disposizione
della ritenuta
mirante ad attenuare la
convenzionale sul
doppia imposizione. La fatrimborso della maggio- tispecie non rientra quindi
razione di conguaglio.
tra quelle salvaguardate
La ritenuta è illegittima in dall’7.2.
quanto contrasta con l’art. 5
della Direttiva e non può Non applicazione
essere fatta salva dal- della ritenuta convenl’art.7.2 in quanto il rimbor- zionale sul rimborso
so della maggiorazione di della maggiorazione
conguaglio non ha la fun- di conguaglio.
zione di attenuare la doppia (medesimi motivi della
imposizione, bensì di evita- Corte)
re un prelievo indebito
quando i dividendi sono
destinati ai non residenti.
Maggio-Giugno 2005
245
IVA COMUNUTARIA
Lettera d’intenti, un nuovo adempimento
per i fornitori di esportatori abituali
di Gianluca Alparone(*)
1. Premessa
la responsabilità solidale con il
proprio cliente qualora questi
SOMMARIO:
non abbia avuto i requisiti ovLa legge finanziaria per il
1. Premessa - 2. Lo stato
vero avesse superato il cosid2005(1) lascia in eredità ai fornitori
di esportatore abituale
detto plafond, per acquistare
di esportatori abituali un nuovo
e il plafond IVA disponibile beni o servizi in regime di non
adempimento formale in ambito
3. La novità della Finanziaria imponibilità IVA.
IVA, quello di comunicare all’am4. Il regime sanzionatorio Ma era proprio necessario
ministrazione finanziaria, nei mo5. Conclusioni
questo carico di responsabilità
di e nei termini che vedremo, i
in capo al fornitore di esportacontenuti delle lettere d’intenti ritori abituali che nella proceducevute, ossia di quelle dichiaraziora in parola è solo parte terza?
ni rese loro, nei termini di legge, dagli esportatori abituali che attraverso questa procedura possono effettuare acquisti di beni e servizi in sospensione di imposta
2. Lo stato di esportatore abituale
ex art. 8 comma 1 lettera c del D.P.R. 633/72.
e il plafond IVA disponibile
Questo dettato normativo(2), nell’ambito di un più
ampio pacchetto di disposizioni impartite dalla FinanLe imprese che effettuano in prevalenza operaziaria, ha l’obiettivo di contrastare una serie di fenozioni di esportazione, cessioni intracomunitarie e
menologie di frode in materia di IVA che è rivelata difservizi internazionali, si trovano strutturalmente a
fusa, in particolare nell’alveo degli scambi con l’estecredito d’IVA nei confronti dell’erario a causa delro, da sempre terreno fertile di comportamenti evasivi.
l’impossibilità di compensare l’imposta assolta sugli
Fino alla emanazione del decreto del direttore delacquisti attraverso il meccanismo della rivalsa in rel’agenzia delle Entrate dello scorso 14 marzo, regnava
lazione ad operazioni attive imponibili.
la più assoluta incertezza in merito all’efficacia temTale situazione di credito “fisiologico” trova un
porale della norma sopraccitata, ovvero non era chiaparziale rimedio negli artt. 30 (versamento di conro da quando sarebbe divenuto obbligatorio comuniguaglio e rimborso dell’eccedenza) e 38-bis (esecucare all’amministrazione finanziaria i dati delle lettezione dei rimborsi) del D.P.R. 633/72 che concedore di intenti ricevute né relativamente a quale periodo
no al contribuente la facoltà di chiedere, nel rispetessere dovevano riferirsi per rientrare nell’obbligo.
to di particolari condizioni, il rimborso dell’ecceSecondo le disposizioni impartite dal decreto, la
denza d’imposta (a credito) risultante dalla dichiaraprima scadenza tassativa ai fini in parola è fissata
zione IVA annuale ovvero dalle liquidazioni IVA peper il 16 maggio 2005; nel modello ministeriale apriodiche. Tuttavia, la specificità degli operatori in
provato(3) e da trasmettere entro tale data unicamenquestione e il loro status abituale ha portato il legislatore alla formulazione di una disciplina ad hoc rite per via telematica (direttamente o per il tramite di
servata a tali soggetti(4); la legge prevede la possibiun intermediario abilitato), occorre indicare i contenuti delle lettere di intento ricevute entro il 30 aprilità di effettuare acquisti di beni e di servizi connesle 2005 riguardanti operazioni in sospensione di imsi con le attività svolte, in regime di non imponibiposta relative all’anno in corso.
A regime l’invio del modello dovrà avvenire,
sempre telematicamente, entro il 16 di ogni mese
Dottore commercialista
con riferimento alle lettere d’intento ricevute entro
Note:
la fine del mese precedente.
Legge 30 dicembre 2004, n. 311
L’apparato sanzionatorio, come si vedrà nel proCommi da 381 a 385 dell’art. 1 della L. 311 cit.
sieguo, è molto penalizzante per i fornitori di esporReperibile sul sito www.agenziaentrate.it nella sezione “modulitatori abituali che risultassero inadempienti fino alstica”.
(*)
(1)
(2)
(3)
Maggio-Giugno 2005
247
IVA COMUNUTARIA
lità. Il concreto esercizio di tale facoltà è tuttavia subordinato:
- alla sussistenza di un preciso requisito (lo status di
esportatore abituale);
- al rispetto di determinati limiti (il plafond).
A norma dell’art. 1, comma primo, del D.L. 746/83
(debitamente interpretato alla luce delle successive disposizioni di legge) lo status di esportatore abituale, requisito essenziale per l’accesso alla agevolazione in oggetto, si acquisisce quando l’ammontare delle operazioni non imponibili “effettuate”, registrate nell’anno solare precedente ovvero nei 12 mesi precedenti, è superiore al 10% del volume d’affari conseguito nello stesso periodo e determinato a norma dell’art. 20 del Dpr 633/72.
L’esistenza del requisito di “esportatore abituale”
tende a circoscrivere il numero dei contribuenti che
possono utilizzare il plafond in quanto vengono presi in
considerazione solo quelli che effettuano operazioni non
imponibili in modo non occasionale.
Non possono usufruire in ogni caso delle agevolazioni previste per questo regime i seguenti soggetti:
- gli operatori in regime agricolo, che recuperano l’imposta ai sensi dell’articolo 34, ultimo comma del
D.P.R. n. 633 del 1972;
- gli imprenditori al primo anno di attività.
Appare evidente che sia ai fini della acquisizione
della qualifica di esportatore abituale che per la quantificazione del plafond IVA disponibile occorre avere
riguardo alle medesime operazioni non imponibili,
sinteticamente richiamate nell’art. 2, comma 2, della
legge 28/97.
Con l’entrata in vigore della Legge 28/97 possono essere acquistati senza corresponsione dell’imposta tutti i
beni e servizi, fatte salve le seguenti eccezioni:
- l’acquisto di fabbricati e di aree fabbricabili;
- l’acquisto di beni e servizi per i quali l’IVA è oggettivamente indetraibile ai sensi degli artt. 19 e seguenti del D.P.R. 633/72.
Rivestendo lo status di esportatore abituale, il contribuente che intenda avvalersi della facoltà di acquistare
in sospensione d’imposta deve semplicemente darne comunicazione al fornitore (o, per le importazioni, alla dogana), mediante consegna o spedizione di una dichiarazione scritta, la cosiddetta “lettera d’intenti” (redatta su
modello conforme a quello approvato con D.M. 26 gennaio 1984), prima dell’effettuazione dell’operazione
(quindi, per esempio, nel caso di acquisto di un bene la
lettera d’intenti deve essere emessa prima dell’emissione
del documento di trasporto o della consegna).
La lettera d’intento deve:
- essere redatta in duplice esemplare;
- contenere i dati identificativi del dichiarante,
248
Maggio-Giugno 2005
compreso il numero di partita IVA, e dell’ufficio
IVA competente nei propri confronti;
- essere numerata progressivamente (sia dall’emittente che dal destinatario);
- essere annotata dall’emittente e dal destinatario,
entro 15 giorni rispettivamente dall’emissione e
dal ricevimento, in un apposito registro preventivamente bollato a norma dell’art. 39 del Dpr.
633/72 e conservato ai sensi dello stesso articolo
ovvero in apposita sezione del registro dei corrispettivi o delle fatture emesse.
In caso di più operazioni da effettuarsi nel medesimo anno con lo stesso fornitore può essere rilasciata una sola lettera d’intento, indicante l’ammontare
entro il quale deve essere contenuta la fatturazione
senza applicazione dell’imposta da parte del destinatario ovvero la dicitura “fino a revoca”. Alla dogana dovrà invece essere rilasciata una lettera d’intento per ciascuna importazione.
Con il rilascio della lettera d’intento, l’acquirente
assume ogni responsabilità in ordine alla mancata
applicazione dell’imposta da parte del fornitore, il
quale dovrà indicare nelle fatture, in luogo dell’IVA,
la norma esonerativa (art. 8 comma 1 lett. c del
D.P.R. 633/72), il numero e la data attribuiti dall’emittente alla lettera d’intento.
3. La novità della Finanziaria
Come anticipato, i fornitori di esportatori abituali a
norma dell’art. 1 commi da 381 a 385, che ricordiamo
essere soggetti non direttamente coinvolti nella procedura di non imponibilità ex art. 8 comma 1 lett. c) concepita a beneficio degli esportatori abituali loro clienti,
devono comunicare all’agenzia delle Entrate i dati contenuti nelle dichiarazioni di intenti ricevute entro il 16
del mese successivo a quello di ricevimento, esclusivamente per via telematica, secondo modalità che saranno
poi chiarite nel citato decreto del 16 marzo.
Nota:
Art. 2, comma 2, della Legge 18.2.97 n. 28, entrata in vigore il 14
marzo 1997. Secondo la citata disposizione, “i soggetti che si trovano nelle condizioni previste dall’art. 1 del DL 29.12.83 n. 746 convertito con modificazioni nella Legge 27.2.84 n. 17, possono effettuare
acquisti ed importazioni senza pagamento dell’imposta, in ciascun
anno, nel limite dell’ammontare complessivo delle cessioni e delle
prestazioni di cui agli articoli. 8, primo comma, lettere a) e b), 8-bis e
9 del D.p.r. 633/72, delle cessioni intracomunitarie e delle prestazioni di servizi nei confronti di soggetti passivi di altro Stato membro,
non soggette ad imposta a norma dell’art. 40, comma 9, DL 331/93,
registrate a norma dell’art. 23/633 per l’anno solare precedente. I
contribuenti possono assumere per mese come ammontare di riferimento quello delle cessioni e delle prestazioni anzidette registrate
per i 12 mesi precedenti”.
(4)
IVA COMUNUTARIA
Il decreto in oggetto, oltre che approvare il modello
definitivo per adempiere al nuovo obbligo di legge ha
chiarito esattamente che l’obbligo scatta, con cadenza
mensile, a partire dal 16 maggio 2005; nel succitato modello si devono indicare tutte le dichiarazioni relative
all’anno 2005 e ricevute dal contribuente entro il 30
aprile anche se emesse e rilevate nel 2004.
La scelta della decorrenza (16 maggio) è stata assunta nel rispetto della regola fissata dallo statuto del contribuente(5) secondo cui non può essere introdotto un
nuovo adempimento a carico del contribuente senza che
siano trascorsi 60 giorni dall’entrata in vigore della norma di riferimento (16 marzo).
Il modello, disponibile sul sito del ministero delle finanze, è composto dal frontespizio nel quale sono richiesti i dati anagrafici del soggetto tenuto all’obbligo di legge (il fornitore che riceve la lettera di intenti), la firma
della comunicazione e l’impegno all’invio telematico; è
altresì composto dal quadro DI previsto per comunicare
i dati contenuti nelle dichiarazioni d’intento che sono
state ricevute dal fornitore dell’esportatore abituale, fino
ad un numero di quattro; pertanto se le lettere di intento
ricevute sono di numero superiore a quattro, si compileranno più quadri DI da allegare all’unico frontespizio.
In ogni riquadro destinato ad accogliere i dati di
ciascuna lettera di intenti, è richiesto che vengano
indicati:
- il numero progressivo assegnato dall’esportatore abituale alla propria lettera di intenti;
- il numero progressivo assegnato dal contribuente alla lettera di intenti ricevuta;
- i dati anagrafici completi comprensivi di partita IVA
dell’esportatore abituale;
- la modalità alternativa di cui si desidera avvalersi
per accedere al beneficio da parte dell’esportatore
abituale nell’ambito delle operazioni di acquisto nei
confronti del proprio fornitore. In questa sezione, in
particolare, occorre specificare se l’esportatore abituale abbia optato per il regime di non imponibilità
per una singola operazione di acquisto, ovvero per
un numero indeterminato di operazioni fino ad un
determinato ammontare di Euro, o infine per tutte le
operazioni intercorrenti tra le parti in un certo intervallo di tempo, senza limiti di importo.
4. Il regime sanzionatorio
Il regime in commento prevede un carico sanzionatorio piuttosto gravoso per il contribuente/fornitore di esportatore abituale che non adempie o adempie non correttamente al nuovo obbligo di legge(6).
Il contribuente che non invia la comunicazione,
la invia in ritardo o vi indica dati infedeli rispetto alla lettera di intenti ricevuta, è punito con una sanzione dal 100 al 200% dell’imposta non applicata.
In verità in presenza di un inadempimento del genere si configura una duplice ipotesi sanzionatoria:
1. in assenza dell’invio della comunicazione nei
termini prescritti (o di invio con dati incompleti o
inesatti, non conformi a quanto indicato dall’esportatore abituale nella lettera di intenti) si applicherà
la sanzione proporzionale dal 100 al 200% dell’imposta non applicata qualora risultino emesse fatture
non imponibili (pur se il cliente avesse legittimamente il diritto al beneficio);
2. in assenza di fatture emesse senza applicazione dell’IVA, per il mancato invio della comunicazione (o dell’invio tardivo o con dati incompleti o inesatti) si applicherà solo una sanzione formale da 258
a 2.065 Euro.
In ambo i casi l’infrazione si può sanare nei termini e con gli sconti di sanzione previsti per l’istituto del ravvedimento operoso(7) presentando il modello correttivo compilato nell’apposita casella oltre
che con i dati corretti.
I rischi di sanzione per il contribuente non si
esauriscono qui: oltre a quanto sopra il fornitore dell’esportatore abituale può essere coinvolto in solido
con la responsabilità del proprio cliente sull’imposta
evasa qualora alle infrazioni di cui sopra, si associ
l’infedeltà ab originem, o per vizio del requisito di
esportatore abituale o per splafonamento, della lettera di intenti (sempre che la fattura non imponibile
sia stata emessa dal contribuente).
5. Conclusioni
Non ci si può esimere dall’evidenziare come le condivisibili esigenze di controllo e di tutela da fenomeni
evasivi palesate dall’amministrazione finanziaria abbiano ispirato in maniera non totalmente opportuna le
mosse del legislatore, se è vero che la procedura sopra
descritta poteva attuarsi mediante un adempimento in
più per l’esportatore abituale che è colui che beneficia
degli effetti del regime agevolativo; egli, già tenuto a
trasmettere al fornitore la lettera di intenti corredata
da tutte le informazioni del caso, avrebbe potuto, come
rilevato da Assonime, renderne edotta, senza interposta persona, l’amministrazione finanziaria.
Note:
(5)
Legge 212/2000.
(6)
Cfr. nuovo comma 4 bis dell’art. 7 del decreto legislativo 471/1997.
(7)
Art. 13 D.Lgs. 472/97.
Maggio-Giugno 2005
249
IVA COMUNUTARIA
La presunta esenzione
degli acquisti strumentali per attività esenti
di Ferdinando M. Spina(*)
vano il conforto né dell’esplicita
La vigente lett. c dell’art. 13,
disciplina dettata dal legislatoparte B, della VI Direttiva IVA,
SOMMARIO:
re, tanto comunitario quanto nacon una grossolana imprecisione
1. Introduzione - 2. Termini
zionale, né dell’orientamento
della traduzione italiana, sembra
della fattispecie e quadro
prevalente della dottrina, né
stabilire che il soggetto che svolnormativo - 3. La ratio
della ratio delle disposizioni
ge un’attività esente ha diritto ad
dell’Art. 13 della Direttiva
normative richiamate. Ragion
acquistare altrettanto in esenzio388/77 CEE per cui è ragionevole concludene da imposta i beni strumentali.
4. Conclusioni
re che nell’ambito dei giuristi in
Questa chiave di lettura acriticaItalia si sconta, purtroppo ancomente adagiata sulla formulaziora, un certo ritardo culturale rine letterale della norma, fra l’altro
spetto alla piena conoscenza dell’ordinamento tribuisolatamente considerata, benché accolta da copiosa
tario, comunitario e nazionale, ed al ruolo che riveste
giurisprudenza di merito di primo e secondo grado,
la Corte di Giustizia UE.
deve essere scartata perché in palese contrasto con
lo spirito dell’imposta.
1. Introduzione
La recente sentenza emessa dalla Commissione
Tributaria Provinciale di Foggia, sez. VI, n. 105 del
22 settembre 2004, dep. il 20 ottobre 2004(1), offre
l’occasione per analizzare la questione sollevata da
più parti (in un modo che, come si intuirà, solleva
non pochi dubbi sul suo intento fraudolento) e concernente la presunta violazione da parte dello Stato
Italiano della Direttiva n. 77/388 CEE (cd. VI Direttiva) nella parte in cui statuirebbe il diritto per i contribuenti che esercitano esclusivamente attività
esenti ai fini IVA, e quindi con percentuale di detraibilità pari allo 0%, di effettuare l’acquisto di beni strumentali in esenzione totale da imposta.
Invero la sentenza in commento non è stata la prima ad occuparsi della questione(2), ma è l’unica (per
quanto ci risulta) che non sia caduta in quello che è
un vero e proprio trabocchetto: il testo (melius la traduzione italiana) dell’art. 13, parte B, lett. c) della
Direttiva n. 77/388 CEE(3).
L’atteggiamento delle citate e precedenti Commissioni Tributarie presta il fianco a non poche critiche
ed appare privo di un solido fondamento giuridico
normativo; piuttosto sembra scaturire da deduzioni
interpretative dei testi normativi influenzate da evidenti ragioni di convenienza dei ricorrenti che tuttavia, come si cercherà di rilevare nel seguito, non tro250
Maggio-Giugno 2005
2. Termini della fattispecie
e quadro normativo
Per meglio comprendere i termini della fattispecie scegliamo di esporre preventivamente una sommaria panoramica del quadro normativo al cui interno si pongono i casi in analisi.
La fattispecie
Le sentenze precedentemente richiamate in nota
(*)
Studio Professionisti Associati - Foggia
Note:
(1)
Pubblicata su Il Fisco n. 9/2005 pag. 1359.
Senza pretese di completezza si richiamano: CTP di Roma, sez. XXVIII, sent. 464/28/00 del 13 luglio 2000; CTP di Roma, sez. XXVI, sent.
155/26/00 del 2 maggio 2000; CTR di Roma, sent. n. 61 del 21 settembre 2001; CTP di Roma, sent. n. 155 del 2 maggio 2000; CTP di
Lecce, sent. n. 537 del 14 maggio 2003; CTP di Brescia, sent. n. 228
del 21 marzo 2003; CTP di Milano, sent. n. 125 del 17 luglio 2003;
CTP di Brindisi, sent. n. 214 del 5 novembre 2003; CTP di Roma, sez.
LII, sent. 681/52/03 del 5 dicembre 2003; CTP di Roma, sez. XXXVIII,
sent. 48/38/04 del 9 febbraio 2004, e da ultimo CTR di Roma, sez. VII,
sent. 81/07/04 del 7 ottobre 2004. Preme evidenziare inoltre l’ordinanza emessa dalla CTP di Napoli il 15 luglio 2004, n. 426, con la
quale è stata rimessa alla Corte di Giustizia UE la questione concernente la corretta interpretazione dell’art. 13, parte B, lett. c), della
VI Direttiva CEE.
(2)
(3)
Tranello nel quale è inciampata anche l’Agenzie delle Entrate, Ufficio di Roma, che con atto del 2 dicembre 2002 ha prestato adesione alla tesi della ricorrente casa di cura, riconoscendo il diritto al rimborso e chiedendo perciò la cessata materia del contendere.
IVA COMUNUTARIA
riguardano tutte distinti ma analoghi casi sollevati
da altrettante case di cura/cliniche che, avendo infruttuosamente presentato istanze di rimborso per
l’IVA che era stata corrisposta sugli acquisti dei propri beni strumentali e non portata in detrazione
(stante una percentuale del pro rata di detraibilità
pari allo 0%), hanno (impropriamente) lamentato nei
confronti delle competenti Commissioni Tributarie
la violazione del citato art. 13, parte B, lett. c), della
VI Direttiva, nonché della sentenza C 45-95 emessa
dalla Corte di Giustizia UE il 25 giugno 1997.
che operano nell’esercizio di impresa, arti o professioni (contribuenti di diritto), che hanno diritto a detrarre l’imposta corrisposta sugli acquisti di beni e
servizi operati nell’esercizio della loro attività, e a
trasferirla a carico degli acquirenti e dei committenti (rivalsa) fino a che il bene e il servizio non pervengono al consumatore finale (contribuente di fatto)
che paga l’intero carico tributario restando inciso
dall’imposta e chiudendo, così, il ciclo della tassazione.
Le operazioni esenti
Il sistema IVA
L’IVA, quale imposta indiretta sulla cifra d’affari
di chi opera nell’esercizio d’impresa e nell’esercizio
di arti o professioni, è stata scelta dall’Unione Europea quale principale “imposta sui consumi” in vista
dell’integrazione economica e politica dei Paesi aderenti. Nata, quindi, sotto la spinta dell’unificazione
europea, l’imposta ha sostituito nel nostro ordinamento l’IGE (Imposta Generale sull’Entrata) che
colpiva gli scambi con un sistema a “cascata”, definito tale in quanto si applicava su ciascun passaggio
di beni o servizi da un operatore all’altro, favorendo
quindi quelli a più elevata concentrazione(4).
Per eliminare distorsioni nella concorrenza, dovute alle differenze di natura giuridica ed alle procedure amministrative dei singoli Stati membri,
l’imposta deve essere applicata in modo uniforme
nei diversi Paesi dell’Unione Europea e deve rispettare le condizioni contenute nella cd. sesta Direttiva
CEE del 17 maggio 1977 n. 388 che ha riformulato
quanto precedentemente previsto dalla cd. seconda
Direttiva n. 67/228 CEE.
In base alla disciplina recettiva delle citate disposizioni comunitarie di cui al D.P.R. 26 ottobre
1972 n. 633 (cd. legge IVA), attraverso il noto sistema di detrazioni e rivalsa l’imposta colpisce l’incremento di valore che un bene subisce nelle singole
fasi della produzione e del commercio, fino ad incidere sul consumatore finale su cui pesa l’onere del
tributo. A differenza delle “imposte a cascata”,
quindi, l’IVA ha il pregio di far conoscere con esattezza il carico fiscale che ha gravato su un determinato prodotto o su un servizio in ogni stadio della
produzione o del commercio; evita effetti cumulativi
operando come imposta a pagamenti frazionati, senza essere influenzata dal numero dei passaggi che
intervengono nei diversi cicli della produzione e
della distribuzione e si caratterizza per il suo aspetto perequativo(5). L’imposta viene gestita da coloro
L’art. 10 del citato D.P.R. 633/1972 elenca una
serie di operazioni(6) che sebbene rientranti nel campo di applicazione dell’IVA non comportano l’addebito dell’imposta, come avviene per quelle non imponibili. Sono molteplici le ragioni, di tecnica tributaria o di opportunità pratica, di politica economica
o di utilità sociale, che possono indurre il legislatore
ad inserire una categoria di operazioni in questo regime. Elencare una per una le operazioni esenti sarebbe una sterile trasposizione del dato normativo,
per i nostri fini è sufficiente evidenziare le finalità
sociali che sono alla base dell’esenzione prevista per
le prestazioni di diagnosi, ricovero, cura e riabilitazione rese alla persona da parte dei medici e degli
esercenti una professione sanitaria o un’arte ausiliaria delle professioni sanitarie ovvero da parte di enti ospedalieri o da cliniche, stabilimenti termali e
case di cura convenzionate(7).
La detrazione dell’imposta assolta
sugli acquisti
La detrazione dell’IVA costituisce, si è detto, il
tassello cardine ed essenziale dell’imposta perché
consente ad un operatore, soggetto passivo di imposta, di recuperare l’IVA a lui addebitata in via di rivalsa all’atto dell’acquisizione dei beni o servizi per
Note:
Evidenzia R. Rizzardi, Oltre la Babele, in Summa 209/2004, pag. 12,
che all’epoca non si sapeva nemmeno cosa fosse l’outsourcing, e
ogni impresa faceva tutto in casa, o comunque era stimolata a farlo,
per timore della duplicazione di imposta. L’IVA venne allora scelta
dalla Comunità in quanto non interferisce con le scelte dell’impresa,
di produrre beni o servizi in proprio ovvero coinvolgendo l’attività di
terzi.
(4)
(5)
Cfr. R. Portale, Imposta sul Valore Aggiunto, Il Sole 24 ore, pag. 4
e ss.
(6)
Accogliendo il precetto della prima parte dell’art. 13 della citata
Direttiva 388/77.
(7)
Vd. art. 10, primo comma, nn. 18) e 19) del DPR 633/72.
Maggio-Giugno 2005
251
IVA COMUNUTARIA
non rimanere “inciso”(8). Tuttavia alcune limitazioni
oggettive e soggettive non permettendo tale possibilità, determinano che l’operatore stesso diventi
“consumatore finale” del bene o servizio acquistato.
Tralasciando le cd. limitazioni oggettive non rilevanti ai nostri fini, si evidenzia che secondo i principi fissati all’art. 17 della citata Direttiva 388/77 la
detrazione dell’IVA deve competere solo se i beni e i
servizi acquistati o importati saranno impiegati per
realizzare operazioni assoggettate ad imposta o a
queste assimilate. In osservanza del richiamato precetto comunitario il D.Lgs. n. 313 del 2 settembre
1997 ha modificato le disposizioni nazionali sulle
detrazioni riscrivendo, all’interno del D.P.R.
633/1972, gli articoli 19 e 19 bis ed aggiungendo gli
articoli 19 bis 1 e 19 bis 2.
In sintesi, secondo quanto stabilito dal combinato disposto dei citati articoli(9):
- per un operatore che effettua esclusivamente
operazioni esenti o comunque non assoggettate
ad imposta vige il divieto totale di detrazione dell’imposta corrisposta sugli acquisti;
- per un operatore che effettua attività imponibili
insieme ad attività esenti la detrazione di imposta
viene operata con una percentuale forfetaria di
detrazione applicata indistintamente su tutti gli
acquisti (cd. pro rata generale);
- per un operatore che sostiene costi promiscui, ovvero relativi a beni o servizi imputabili sia ad
operazioni imponibili che ad operazioni esenti, la
detrazione avviene per quote da determinare oggettivamente (cd. pro rata specifico).
La detrazione dell’imposta
assolta da esercenti attività esenti
Alla luce di quanto sinteticamente riportato sopra è evidente che l’effettuazione di operazioni esenti da parte di un operatore commerciale limita la sua
detrazione dell’imposta sugli acquisti(10): questa limitazione non ha motivi razionali, ma deriva dalla scelta legislativa di creare un regime particolare, vantaggioso nella misura in cui l’imposta assolta sugli
acquisti sia esigua rispetto all’imposta che, in mancanza dell’esenzione, sarebbe teoricamente applicabile sulle operazioni attive(11). Le operazioni esenti,
infatti, agevolano l’acquirente finale, cui non viene
addebitata alcuna imposta, ma sono favorite ai fini
IVA solo nella misura in cui richiedano un modesto
ammontare di acquisti soggetti al tributo. L’esenzione diventa perciò meno vantaggiosa quanto più l’imposta assolta sugli acquisti aumenta rispetto a quel252
Maggio-Giugno 2005
la teoricamente applicabile sulle operazioni attive e
diviene addirittura controproducente quanto la prima eccede la seconda: ove, poi esistano solo operazioni esenti, la percentuale di detraibilità sarà dello
0% e l’imposta sugli acquisti sarà del tutto indetraibile, anche per un ammontare superiore all’IVA teoricamente applicabile alle operazioni attive, ove non
fossero state esenti(12).
È evidente, quindi, che l’esenzione, nel sistema
dell’imposta sul valore aggiunto, rompendo la catena
delle deduzioni provoca un onere fiscale commisurato alla conseguente impossibilità di dedurre l’imposta pagata a monte(13). D’altronde, se si consentisse la detrazione a chi effettua tali operazioni esenti
le stesse giungerebbero al consumo completamente
“detassate”, ragion per cui sono state previste le limitazioni alla detrazione di cui si è detto: in tal modo l’Erario percepisce una parte di imposta, mentre
i contribuenti che effettuano tali attività incorporeranno nel corrispettivo riscosso l’imposta pagata a
monte e non detratta(14).
3. La ratio dell’Art. 13 della Direttiva
388/77 CEE
L’articolo 13 in questione si compone di due parti. Nella prima parte, come anticipato, è trasposta
l’elencazione delle attività di interesse pubblico per
le quali si prevede l’esenzione da imposizione.
Note:
Cfr. R. Portale, Imposta sul Valore Aggiunto, cit.: quando sottolinea
come attraverso il principio della rivalsa e con il meccanismo della
detrazione “imposta da imposta”, si realizzi la generalità, neutralità
e trasparenza del tributo.
(8)
Vd. elencazione di R. Portale, Imposta sul Valore Aggiunto, cit.,
pag. 422.
(9)
(10)
La limitazione, come anticipato, consiste nella detraibilità di una
quota dell’IVA sugli acquisti proporzionale al rapporto esistente tra
le operazioni effettuate nell’anno e rientranti nel campo di applicazione del tributo e le medesime operazioni aumentate delle operazioni esenti effettuate (cd. pro rata generale di detrazione): ove
quindi l’operatore effettui esclusivamente operazioni esenti è evidente che la percentuale di detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti
sarà pari a zero.
(11)
In tal senso R. Lupi, Diritto Tributario, parte speciale, Giuffrè, pag.
352.
Cfr. R. Lupi, Diritto tributario, cit. che, quando riporta il seguente
esempio, implicitamente osserva come il più favorevole regime IVA
teoricamente ipotizzabile non sia perciò l’esenzione, ma l’imponibilità ad aliquota ridotta; esempio: se all’effettuazione di sole operazioni esenti per 1000 corrispondono acquisti per 500, la relativa IVA
al 20% (pari a 100), sarà irrecuperabile. Se le operazioni attive fossero state invece gravate di IVA al 4%, l’onere di imposta pari a 40 sarebbe stato più che controbilanciato dalla detrazione di 100, con un
saldo netto a favore del contribuente pari a 60.
(12)
(13)
Vd. F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Giuffrè 1995, pag. 221.
(14)
Cfr. R. Portale, Imposta sul Valore Aggiunto, cit., pag. 273.
IVA COMUNUTARIA
Nella seconda parte è poi letteralmente disposto
che “…fatte salve altre disposizioni comunitarie, gli
Stati membri esonerano, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione
delle esenzioni sotto elencate e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:
a ) …omissis;
b) …omissis;
c) le forniture di beni destinati esclusivamente ad
un’attività esentata a norma del presente articolo
…… ove questi beni non abbiano formato oggetto
d’un diritto a deduzione, e le forniture di beni il cui
acquisto o la cui destinazione erano stati esclusi dal
diritto alla deduzione conformemente alle disposizioni dell’articolo 17, paragrafo 6…”.
Ove ci si accontenti di una lettura superficiale, il
dato letterale della disposizione richiamata sicuramente si presta ad una ambigua interpretazione che
può dare adito alla erronea presunzione di poter
esercitare il diritto al rimborso da parte dei soggetti
esercenti attività esenti che hanno corrisposto l’IVA
sugli acquisti dei propri beni e non hanno potuto effettuare la relativa detrazione, stante il pro rata di
detraibilità dello 0%. Tuttavia, un operatore del settore che, non mosso da secondi fini, si appresti ad un
più approfondito studio della fattispecie, dovrebbe
concludere facilmente che la norma richiamata, pur
se formulata in modo non soddisfacente, costituisce
lo strumento idoneo ad evitare una duplicazione del
prelievo, che si può realizzare qualora, oltre all’imposta rimasta in capo all’acquirente quale conseguenza del regime di indetraibilità dell’acquisto, lo
Stato divenisse creditore, altresì, di quella gravante
sulla successiva cessione(15). Già il semplice confronto con la traduzione francese della Direttiva comunitaria risulta di valido ausilio all’interpretazione
di cui sopra: nel testo francese, infatti la disposizione anzidetta di cui all’art. 13 è così riportata
“…biens qui étaient affectés exclusivement à une activité exonerée…”, che sta per “…beni che erano
stati destinati esclusivamente ad una attività esente…”.
In altri termini, la disposizione concerne (evidentemente) le cessioni compiute dai soggetti che hanno acquistato dei beni senza poter detrarre l’imposta
relativa, in quanto dagli stessi destinati esclusivamente ad operazioni esenti, e non riguarda, per contro, (quanto ritenuto dalle parti private e dai giudici
di merito richiamati) gli acquisti di beni che il cessionario destinerà ad attività esenti(16).
Ratio e finalità della disposizione sono, infatti,
evitare una doppia imposizione contraria al princi-
pio della neutralità del tributo, inerente al sistema
comune di imposta sul valore aggiunto(17). Una cosa
quindi è evitare la doppia imposizione, altra, evidentemente, è quella di eliminare del tutto l’imposizione(18): è di tutta evidenza il fatto che, quando ad un
operatore viene preclusa la possibilità di detrarre
l’IVA all’atto dell’acquisto - proprio quanto avviene
nei settori dell’esenzione - questa imposta rappresenta un costo. Al momento di una successiva vendita del bene così acquistato l’esenzione prevista dal
legislatore comunitario consente quindi la reintroduzione nel mercato del bene senza un secondo aggravio di imposta.
Si è detto in premessa che le parti ricorrenti, lamentando la (presunta) violazione da parte dello Stato italiano della lett. c), parte B, dell’art. 13 della VI
Direttiva, hanno invocato la condanna operata dalla
Corte di Giustizia UE con la sentenza del 25 giugno
1997 C 45/95 nei confronti del nostro legislatore per
non aver recepito in toto le richiamate disposizioni
comunitarie.
Anche in questo caso una attenta lettura della
parte motivazionale della sentenza in relazione al
dato legislativo nazionale in vigore all’epoca dei fatti, evidenzia come la ricostruzione effettuata dalle
parti ricorrenti sia sostanzialmente riconducibile ad
un tentativo di depistare i giudici di merito facendo
loro ritenere che la fattispecie oggetto della controversia sarebbe stata già decisa dalla sentenza della
Corte UE(19).
All’epoca dei fatti oggetto della sentenza della
Corte di Giustizia UE, lo Stato italiano aveva recepito male la disposizione di cui al citato art. 13, ossia
in modo parziale e comunque erroneo. Le disposizioni italiane del tempo si limitavano infatti a prevedere l’esclusione e non l’esenzione da IVA delle cessioni dei beni acquistati senza poter detrarre l’imposta(20). Tale situazione giustificò la censura della CorNote:
(15)
Cfr. A. A. Ferrario, Sono esenti da IVA le forniture di beni destinati solo ad attività esentate, GT Rivista di Giurisprudenza Tributaria, n.
7/2004, pag. 669.
(16)
In tal senso vd. L Lodi, Decide la Corte UE sull’ammissibilità della
detrazione per le cessioni a soggetti esenti, Corriere Tributario n.
45/2004, pag. 3551 e ss.
(17)
Cfr. Corte di Giustizia UE, sentenza C 45/95 del 25 giugno 1997.
Vd. G. Bianchi, Presunta rimborsabilità dell’imposta sul valore aggiunto relativa agli acquisti effettuati da una struttura sanitaria, Il fisco n. 23/2004, pag. 8738.
(18)
Cfr. G. Bianchi, Presunta rimborsabilità dell’imposta sul valore aggiunto…, cit.
(19)
(20)
Cfr. art. 2 del D.P.R. 633/72 nel testo vigente fino al 31 dicembre
1997.
Maggio-Giugno 2005
253
IVA COMUNUTARIA
te che con la citata sentenza dichiarò che la Repubblica Italiana era “…venuta meno agli obblighi ad
essa incombenti in forza della direttiva … avendo
istituito e mantenuto in vigore una normativa che non
esenta dall’IVA le cessioni di beni che erano destinati
esclusivamente all’esercizio di una attività esentata o
in altro modo esclusi dal diritto alla detrazione”.
Nei tempi immediatamente successivi alla censura della Corte UE, il legislatore nazionale è intervenuto con il D.Lgs. 2 settembre 1997 n. 313, modificando il DPR 633/72 con la previsione di cui al noto art. 10, n. 27-quinquies che esenta da IVA “… le
cessioni che hanno per oggetto beni acquistati … senza il diritto della detrazione totale della relativa imposta…”. È evidente che l’ordinamento italiano, in
definitiva, esenta le cessioni di beni afferenti operazioni esenti, in quanto l’imposta relativa al loro acquisto non era stata detratta, e così attua nella sua
interezza il disposto dell’art. 13, parte B, lett. c) della VI Direttiva(21) già con effetto dal 1° gennaio 1998.
Si è detto in precedenza come la normativa comunitaria in oggetto sia stata formulata in modo non
soddisfacente, ma pare significativo osservare, in
conclusione, come già il 27 marzo 2003 il Comitato
Tecnico della Confederation Fiscale Europeenne(22)
osservando che la traduzione italiana dell’art. 13
della VI Direttiva non soddisfa lo scopo prefisso, ha
proposto la riformulazione nei termini che seguono
“Sono esenti: ……c) le forniture di beni da parte di
soggetti che non hanno esercitato la detrazione all’acquisto, a motivo della destinazione dei beni ad
un’attività totalmente esente”.
Merita di essere segnalato infine che lo scorso
aprile la Commissione Europea ha redatto il progetto di rifusione del vigente testo della VI Direttiva
prevedendo esplicitamente, fra l’altro, l’esenzione
per le cessioni di beni che erano destinati esclusivamente ad un’attività esente senza diritto a detrazione, nel presupposto (e alla condizione) che questi
beni non abbiano formato oggetto di un diritto alla
detrazione dell’IVA pagata nella fase precedente(23).
4. Conclusioni
Alla luce di tutto quanto sin qui esposto è evidente che le tesi difese dai ricorsi citati sono totalmente infondate non trovando suffragio nella ratio
delle disposizioni, comunitarie e nazionali interessate, oltre che nell’interpretazione sistematica (anziché isolata) delle medesime norme. Malgrado il numero dei risultati positivi raggiunti (anche per incomprensibile desistenza della convenuta Agenzia
254
Maggio-Giugno 2005
delle Entrate) i ricorsi impostati sulla base delle motivazioni riportate non dovrebbero avere altre possibilità di successo quando saranno esaminati da giudici capaci di rendersi conto che le Direttive comunitarie sono sì direttamente applicabili, ma per quello che realmente dicono o vogliono dire, e non per
quello che si vuole loro far credere affermino(24). Fino ad allora però risulta evidente che un testo normativo non equivoco torna utile a tutti, per evitare
errori (!) e inutile contenzioso(25).
Note:
(21)
Vd. L. Lodi, Decide la Corte UE…, cit.
Il Comitato in questione è l’organismo che raggruppa le associazioni degli esperti fiscali dell’Unione Europea. Il documento sulla cui
base è stata proposta la citata riformulazione della traduzione italiana dell’art. 13 della VI Direttiva è il C.F.E. paper on errors/mistranslations in the English, Italian and Spanish language version of the
Sixth Directive.
(22)
(23)
Vd. art. 133 del progetto di rifusione della VI Direttiva IVA elaborato dalla Commissione Europea con commento, per la parte di nostro interesse, di F. Ricca, Operazioni esenti senza diritto a detrazione nella rifusione della VI Direttiva, Corriere Tributario n. 44/2004,
pag. 3469; per le altre parti si veda anche S. Chirichigno - A. Santi, Le
operazioni esenti con diritto alla detrazione nella rifusione della VI
Direttiva, Corriere Tributario n. 46/2004, pag. 3622.
Cfr. G. Bianchi, Presunta rimborsabilità dell’imposta sul valore aggiunto…, cit.
(24)
(25)
Cfr. R. Rizzardi, Oltre la Babele, cit.
SCHEDE PAESE
A cura di
Giovanni Rolle(*) e Chiara Mejnardi(*)
ROMANIA
Sommario: 1. Trattative per l’adesione - 2. Diritto societario - 3. Struttura sistema fiscale - 4. Imposizione sul reddito delle persone
fisiche - 5. Imposizione sul reddito delle società - 6. Ritenute su dividendi, interessi, royalties ed altri redditi - 7. Imposizione sui
capital gains - 8. Imposizione indiretta - 9. Convenzioni contro la doppia imposizione - 10. Rapporti con l’Italia
Abstract
Romania has signed the Accession Treaty on 25th April 2005 and will join the European Union in 2007.
Corporate law
Business entities may adopt one of the following forms:
• general partnership, in which all partners bear joint and several unlimited liability in respect of the obligations of
the partnership;
• limited partnership, which have at least one general partner who assumes unlimited liability, while the other
partners’ liability is limited;
• partnership limited by share, which have at least one general partner who assumes unlimited liability, while the
other partners’ liability is limited; capital is representaded by shares;
• limited liability company, in which capital is divided into shares and shareholders (maximum 50) are not
personally liable for the obligations of the company. The minimum capital required is ROL 2 milions;
• joint stock company, in which capital is divided into stocks and stockholders (minimum 5) are not personally
liable for the obligations of the company. The minimum share capital is ROL 25 milions.
Foreigners can, without restriction, buy or subscribe shares in Romanian companies, set up branches or establish a
representative office in Romania (upon registration with the Commercial Register).
Taxation of individuals
Resident individuals are subject to personal income tax on the worldwide income, while non residents are liable to tax
only on local sourced income. Since 2005, a flat tax rate of 16% applies, replacing the previous brachets system.
Taxation of companies
Resident companies are subject to corporate income tax on their worldwide income, at the ordinary rate of 16%
(previously 25%). The taxable base is, in general, derived from the accounting profits. Losses may be carried
forward for 5 years. The Romanian legislation provides for thin capitalization and transfer pricing rules.
Withholding taxes
A withholding tax of 10% applies to dividends paid to domestic shareholders. Dividends paid to non resident are
subject to a 15% withholding tax, unless a more favorable treaty rate applies. When Romania will join the EC, if
the EC Parent-Subsidiary Directive requirements will be met, there will be no withholding tax on dividends paid by
a resident subsidiaries to its parent company resident in an EU Member State.
Interest paid to non resident are subject to a withholding tax of 10% (unless a more favorable treaty rate applies).
Statutory withholding tax on royalties paid to non residents is 15%, unless a more favorable treaty rate applies.
Romania has obtained a transitional period (until 31 December 2010) relating to the application of the EC Interests
and Royalties Directive (Directive 2003/49/EC).
VAT
Romanian VAT follows the EU pattern and is charged at a rate of 19% (special rate of 9% applies to certain goods
and services) unless the goods or services are outside the scope of VAT or exempt from VAT.
Double Taxation Treaties
Romanian treaty network includes 71 treaties in force; while other treaties (3) are in the process of being signed or
implemented.
Romania - Italy relationships
Romania is included in the Italian white lists and is not included in any Italian black list. The Tax Convention in
force with Italy (signed in 1977 and entered into force in 1979) follows the OECD Model, even though it contains
some diverging provisions.
(*)
R&A Studio Tributario Associato, Torino.
Maggio-Giugno 2005
255
SCHEDE PAESE
Popolazione:
Area:
Capitale:
Posizione geografica - confini:
Moneta:
Forma di governo:
PIL:
Pil pro-capite:
Romania: aspetti generali
21,7 milioni di abitanti (stime 2002)
237.500 km2
Bucarest
Ucraina, Moldavia, Mar Nero, Bulgaria,
e Montenegro, Ungheria
1 leu (pl. lei, abbr. ROL) = 100 bani
1 euro = 36.277 lei (aprile 2005)
Repubblica - democrazia parlamentare
48,4 miliardi di euro
2.200 euro
Serbia
Fonte: Eurostat/Commissione Europea
1. Trattative per l’adesione
Dopo aver presentato la propria candidatura nel
1995 la Romania ha avviato i negoziati per l’adesione all’Unione europea nel 1999. Le trattative in materia fiscale si sono concluse nel 2003, mentre gli
ultimi capitoli dei negoziati si sono chiusi nel dicembre 2004.
Il Trattato di adesione è stato firmato il 25 aprile
2005 e prevede l’ingresso della Romania (e della
Bulgaria) nell’Unione europea a partire dal 1° gennaio 2007 (art. 4 del Trattato).
2. Diritto societario
Principali forme societarie
La disciplina interna(1) prevede cinque diverse forme societarie per l’esercizio dell’attività d’impresa(2):
• società di persone (Societate in Nume Colectiv,
SNC): i soci (minimo due) rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali. Non è previsto un capitale sociale minimo.
Gli apporti dei soci possono consistere in denaro,
beni materiali ovvero servizi. I soci partecipano
agli utili (ovvero alle perdite) in misura corrispondente a quanto pattuito nell’atto costitutivo.
Si incorre in un’ipotesi di scioglimento della società quando, ad esempio, il numero di soci si riduce ad uno e l’atto costitutivo dispone che in tale caso l’attività debba cessare.
• società in accomandita semplice (Societate in Comandita Simula, SCS): specifica tipologia di società di persone in cui la compagine sociale è costituita da due o più soggetti (persone fisiche o
giuridiche), in cui almeno un socio è dotato di re256
Maggio-Giugno 2005
sponsabilità illimitata, mentre gli altri soci sono
responsabili solo per il capitale conferito. La gestione della società spetta al socio dotato di responsabilità illimitata. Non è previsto un capitale
sociale minimo. Gli apporti dei soci possono consistere in denaro, beni materiali ovvero servizi.
• società a responsabilità limitata (Societate cu Raspundere Limitata, SRL): il capitale sociale minimo è di ROL 2 milioni, suddiviso in quote di
uguale ammontare (di valore non inferiore a ROL
100.000 caduna). I conferimenti possono consistere in denaro ovvero in beni, ma gli apporti in
natura non possono eccedere il 60% del capitale
sociale. La legge prevede un numero massimo di
soci (persone fisiche o giuridiche) pari a cinquanta, mentre non impone un limite minimo. È ammessa la costituzione di una SRL in forma unipersonale; l’unico socio di una SRL può essere
una persona fisica ovvero una società, ma non
può essere un’altra SRL unipersonale partecipata
da una persona fisica. Gli altri aspetti relativi alla tenuta della contabilità e dei conti annuali e alla liquidazione sono del tutto simili a quelli descritti per le società per azioni (v. infra).
• società per azioni (Societate pe actiuni, SA): i soci
(persone fisiche o giuridiche, residenti o meno in
Romania) sono responsabili limitatamente al capitale conferito. È previsto un numero minimo di
soci pari a cinque (è ammessa la costituzione di
società per azioni con la sola partecipazione delNote:
(1)
Cfr. Legge n. 31/1990.
Taxation and Investment in Central and East Europe, “Romania”,
IBFD, 2004.
(2)
SCHEDE PAESE
lo Stato, ma in via temporanea, al fine di favorire
la privatizzazione dell’economia). Il capitale sociale minimo è di ROL 25 milioni, suddiviso in
azioni di valore non inferiore a ROL 100.000. È
ammessa la costituzione in forma privata ovvero
di pubblica sottoscrizione. I soci partecipano agli
utili (ovvero alle perdite) in misura proporzionale
alla percentuale di capitale detenuta. La società
è obbligata a tenere la contabilità secondo le disposizioni vigenti in materia e a redigere il bilancio annuale. Il bilancio deve essere oggetto di verifica da parte dei revisori contabili, che rilasciano un apposito rapporto. Ipotesi di scioglimento:
decorrenza dei termini, accordo tra le parti, fallimento, riduzione del capitale sociale al di sotto
del 50%, diminuzione del numero di soci al di
sotto di cinque. Lo scioglimento deve essere
iscritto presso il Registro Imprese e pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale.
• società in accomandita per azioni (Societate in
Comandita Pe Actiuni, SCA): forma societaria del
tutto analoga alla precedente, in cui però l’amministrazione della società è affidata ad uno o più
soci accomandatari.
Per ciascuna delle forme societarie sopra descritte è prescitta l’iscrizione presso il Registro delle Imprese. Ogni società assume personalità giuridica a
partire dalla data di registrazione.
Alle forme societarie sopra delineate si affiancano le imprese statali, che continuano a rivestire un
ruolo determinante in alcuni settori strategici.
Una società estera può operare in Romania attraverso una branch ovvero un ufficio di rappresentanza, previa autorizzazione del Ministro del Commercio
e successiva iscrizione presso il Registro Imprese.
Specifiche disposizioni in materia
di investimenti esteri
Non sono previste restrizioni agli investimenti
esteri: le società estere possono detenere partecipazioni in società rumene, senza limiti di percentuali
di possesso.
3. Struttura sistema fiscale
Struttura
Il sistema fiscale rumeno si articola in imposte
dirette (imposta sul reddito delle società e imposta
sul reddito delle persone fisiche) e in altre imposte
(principalmente IVA e accise).
Società estere: imposizione limitatamente
al reddito ivi prodotto ovvero esenzione
I soggetti residenti sono assoggettati ad imposta
sui redditi ovunque prodotti, mentre i non residenti
sono tassati esclusivamente sui redditi di fonte rumena (salvo più favorevole previsione convenzionale). Le società non residenti sono soggette all’imposta sulle società limitatamente all’attività esercitata
in Romania mediante una stabile organizzazione.
Tuttavia, il Codice delle imposte (L. 571/2003, titolo V) prevede l’attrazione ad imposizione di talune
fattispecie di reddito (provvigioni, redditi derivanti
dall’esercizio di attività di intermediazione, consulenza etc.) sulla base del principio del pagante.
Peculiarità del sistema fiscale nazionale:
thin capitalization, transfer pricing
Il sistema fiscale rumeno prevede una forma di limitazione alla deducibilità degli interessi passivi, in
ragione del rapporto tra indebitamento e patrimonio
netto della società.
In materia di transfer pricing, la normativa interna dispone che le operazioni intercompany debbano
essere in linea con il principio dell’arm’s length.
Conseguentemente, le autorità fiscali hanno il potere di rettificare i corrispettivi pattuiti in contrasto
con il prezzo di mercato determinato, quest’ultimo,
sulla base dei metodi adottati in sede OCSE (principalmente, confronto del prezzo, prezzo di rivendita
ovvero costo maggiorato).
4. Imposizione sul reddito
delle persone fisiche
Le persone fisiche residenti sono soggette ad imposta sul reddito ovunque prodotto, mentre i non residenti sono soggetti ad imposta limitatamente al
reddito di fonte rumena.
A partire dal 1° gennaio 2005, l’imposta sulle
persone fisiche viene prelevata mediante applicazione dell’aliquota del 16% (mentre in precedenza
venivano applicate aliquote progressive, differenziate per scaglioni di reddito, che variavano dal 18% al
40%).
Concorrono alla formazione del reddito delle persone fisiche, tra gi altri, i redditi di lavoro dipendente; i redditi di lavoro autonomo (inclusi i redditi derivanti dallo sfruttamento della proprietà intellettuale) nonché i redditi derivanti dall’utilizzo di beni
mobili o immobili.
Maggio-Giugno 2005
257
SCHEDE PAESE
Alcune componenti di reddito sono invece tassate mediante ritenuta. Alcuni esempi:
• dividendi: ritenuta a titolo d’imposta del 10%;
• interessi: ritenuta a titolo d’imposta dell’10% (era
pari all’1% fino al 1° maggio 2005);
• plusvalenze su partecipazioni: ritenuta a titolo
d’imposta dell’1% se la partecipazione è detenuta per almeno un anno (in caso contrario trova applicazione la maggior ritenuta del 10%).
5. Imposizione sul reddito delle società
Aliquota d’imposta
I redditi d’impresa sono assoggettati ad imposta
con aliquota del 16% (a partire dal 1° gennaio 2005,
in precedenza l’aliquota era pari al 25%).
Principali regole per la determinazione
del reddito d’impresa
Sono deducibili tutti i costi direttamente collegati con l’attività che produce il reddito imponibile. Le
perdite possono essere portate in avanti per cinque
esercizi.
I piani di ammortamento variano a seconda dei
beni a cui si riferiscono e sono modulati, in linea con
le disposizioni di legge, secondo la presumibile vita
utile del bene (dai 2 ai 60 anni). Le spese di costituzione, di ricerca e sviluppo, nonché quelle relative
ai software (acquistati ovvero sviluppati in economia) possono essere ammortizzate in un periodo
massimo di cinque anni.
Incentivi fiscali ed interazioni con il Codice
di Condotta in materia di tassazione
delle imprese
Sono previsti incentivi (anche di natura fiscale) a
favore degli investimenti di notevoli dimensioni,
delle piccole e medie imprese e delle società localizzate nelle zone svantaggiate, nelle zone franche o
nei parchi industriali.
La maggiorparte di questi incentivi è però in corso di progressiva estinzione, in ragione della riscontrata incompatibilità con le disposizione comunitarie in materia di concorrenza nonché con il Codice
di condotta in materia di tassazione delle imprese.
In particolare:
• l’agevolazione (esenzione dall’imposta sulle società) riconosciuta alle società localizzate nelle
zone svantaggiate (ai sensi dell’Ordinanza n.
258
Maggio-Giugno 2005
24/1998) potrà continuare ad essere applicata,
soddisfatti taluni requisiti (in ordine alla localizzazione geografica, al settore economico e all’intensità dell’aiuto), non oltre il 31 dicembre 2010
(per le aree di Cugir, Zimnicea, Copşa Mică). Per
le altre regioni sono previste scadenze anteriori:
31 dicembre 2008 per le aree di Brad, Valea Jiului, Bălan e 31 dicembre 2009 per le zone di Comăneşti, Bucovina, Altân Tepe, Filipeşti, Ceptura, Albeni, Schela, Motru Rovinari, Rusca Montană, Bocşa, Moldova Nouă-Anina, Baraolt, Apuseni, Ştei-Nucet, Borod Şuncuiuş-Dobreşti-Vadu
Crişului, Popeşti-Derna-Aleşd, Ip, Hida-SurducJibou-Bălan, Şărmăşag-Chiejd-Bobota, Baia Mare, Borşa Vişeu, Rodna(3);
• l’agevolazione (esenzione sulle royalties) applicata nelle zone franche (ai sensi della Legge n.
84/1992) sarà ammessa, soddisfatte alcune condizioni (tra cui la localizzazione, il settore d’attività e l’intensità dell’aiuto) non oltre il 31dicembre 2011(4).
Interazioni con l’acquis
Negli ultimi anni la Romania ha attuato diverse
misure finalizzate ad innalzare il grado di allineamento delle disposizioni interne con l’acquis comunitario.
In ambito fiscale, come emerge dal rapporto fina(5)
le , redatto al termine delle trattative per l’adesione,
la Romania presenta un adeguato livello di allineamento con le disposizioni comunitarie, sebbene siano state negoziate alcune deroghe. Nel rapporto viene inoltre rinnovato l’invito al completo recepimento
dei principi enunciati nel Codice di condotta in materia di tassazione delle imprese.
In materia di IVA, la Romania ha (per il momento) ottenuto le seguenti deroghe:
• esenzione IVA sul trasporto internazionale di persone;
• esenzione IVA per i soggetti passivi con un limitato volume d’affari annuo.
Sul fronte delle imposte dirette, la Romania ha negoziato un periodo transitorio (fino al 31 dicembre
Note:
Atto di Adesione di Romania e Bulgaria, Allegato VII, capitolo 4.A
“Aiuti di Stato”.
(3)
Atto di Adesione di Romania e Bulgaria, Allegato VII, capitolo 4.A
“Aiuti di Stato”.
(4)
Commissione europea, “Report on the Results of the Negotiations
on the Accession of Bulgaria and Romania to the European Union”,
febbraio 2005.
(5)
SCHEDE PAESE
2010) per la completa attuazione della Direttiva
2003/49/CE relativa alle corresponsioni di interessi e
royalties. Fino a tale data, sarà ammessa l’applicazione di una ritenuta, in musura non superiore al 10%(6).
6. Ritenute su dividendi, interessi,
royalties ed altri redditi
zioni di servizi di intermediazione, consulenza, etc..
Tuttavia, su questi ultimi servizi (intermediazione,
consulenza, etc.) il prelievo è di solito precluso dalle Convenzioni contro la doppia imposizione stipulate dalla Romania, tra cui quella con l’Italia, che prescrivono, ai fini impositivi, la presenza di una base
fissa.
Dividendi
7. Imposizione sui capital gains
Sui dividendi distribuiti da società rumene ai soci (persone fisiche o società) residenti viene applicata una ritenuta pari al 10%; mentre sui dividendi distribuiti a non residenti grava una ritenuta del 15%,
salvo applicazione di inferiori aliquote (eventualmente) previste dai Trattati contro la doppia imposizione.
Con l’ingresso della Romania nell’Unione europea, diventeranno esenti i dividendi percepiti da
una società rumena a fronte di una partecipazione in
un’altra società rumena pari almeno al 25%, detenuta da almeno due anni(7). Analogamente, sempre dopo l’ingresso del Paese nell’UE, saranno esentati i
dividendi percepiti da una società rumena e distribuiti da una società comunitaria partecipata da almeno due anni, in misura non inferiore al 25%.
In via generale, i capital gains sono inclusi nella base imponibile e tassati secondo le aliquote ordinarie.
Interessi
In via generale, gli interessi corrisposti a soggetti
non residenti sono soggetti ad una ritenuta del 10%,
salvo più favorevole trattamento convenzionale.
Come si è detto, nel Trattato di adesione la Romania ha negoziato una deroga transitoria all’esenzione sugli interessi corrisposti tra società consociate comunitarie.
8. Imposizione indiretta
IVA: struttura regime in vigore e rapporto
con l’acquis
Con l’Ordinaza n. 3/1992, è stato introdotto (a
partire dal 1993) il sistema IVA (in sostituzione della precedente imposta sul fatturato). Il regime attuale prevede un’aliquota ordinaria del 19%, che si applica in generale sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi, e di un’aliquota ridotta pari al
9%, che si applica a talune fattispecie espressamente previste dalla legge (medicinali, libri, ingressi in
musei, servizi alberghieri).
Con la firma del Trattato di adesione è stata prevista una franchigia di esenzione ai fini IVA, che
opera nei confronti dei soggetti passivi con un volume d’affari annuo inferiore a 35.000 euro(8). Tra le
deroghe transitorie, la Romania ha inoltre ottenuto
la facoltà di mantenere l’esenzione IVA sul trasporto
internazionale di persone fino a quando non sarà
soddisfatta la condizione di cui all’art. 28, par. 4 della direttiva 77/388/CEE(9) o (se di data anteriore) fino al momento in cui la stessa esenzione sarà applicata da uno o più Stati membri attuali(10).
Royalties
Le royalties corrisposte a soggetti non residenti
sono soggette alla ritenuta del 15%, salvo più favorevole trattamento convenzionale.
Come si è detto, nel Trattato di adesione la Romania ha negoziato una deroga transitoria all’esenzione sulle royalties corrisposte tra società consociate comunitarie.
Provvigioni
Salvo più favorevole trattamento convenzionale,
una ritenuta alla fonte del 15% viene applicata sulle provvigioni nonché sui corrispettivi per le presta-
Note:
(6)
Atto di Adesione di Romania e Bulgaria, Allegato VII, capitolo 7
“Fiscalità”.
(7)
Art. 36, comma 4 del Codice delle imposte rumeno, L. 571/2003.
Atto di Adesione di Romania e Bulgaria, Allegato III, capitolo 4 “Fiscalità”.
(8)
Il citato par. 4 dell’art. 28 della direttiva 77/388/CEE prevede che: “il
periodo transitorio avrà una durata iniziale di cinque anni, a decorrere dal 1° gennaio 1978. Al più tardi sei mesi prima delle fine di questo periodo, e successivamente, se necessario, il Consiglio, sulla base
di una relazione della Commissione, procederà al riesame della situazione per quanto riguarda le deroghe previste al paragrafo 3, e
deciderà all’ unanimità su proposta della Commissione sull’ eventuale soppressione di alcune o di tutte queste deroghe”.
(9)
(10)
Atto di Adesione di Romania e Bulgaria, Allegato VII, capitolo 7
“Fiscalità”.
Maggio-Giugno 2005
259
SCHEDE PAESE
9. Convenzioni contro la doppia
imposizione
La Romania ha stipulato Trattati contro le doppie
imposizioni (attualmente in vigore) con 71 Paesi (v.
Tavola seguente); mentre sono stati firmati, ma non
sono ancora entrati in vigore, i Trattati con Australia,
Costa Rica, Repubblica federale di Yugoslavia(11).
Romania: Paesi con cui è in vigore una
convenzione contro la doppia imposizione
Albania, Algeria, Armenia, Austria, Azerbaijan,
Bangladesh, Bielorussia, Belgio, Bulgaria, Canada, Cina, Cipro, Corea del Nord, Corea del Sud,
Croazia, Danimarca, Ecuador, Egitto, Emirati
Arabi Uniti, Filippine, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Giappone, Giordania, Grecia, India, Indonesia, Irlanda, Israele, Italia, Kazakhstan, Kuwait, Kyrgyzstan, Libano, Lussemburgo,
Malaysia, Malta, Moldova, Marocco, Namibia,
Nigeria, Norvegia, Paesi Bassi, Pakistan, Polonia, Portogallo, Russia, Regno Unito, Repubblica
ceca, Slovacchia, Sud Africa, Spagna, Sri Lanka,
Sudan, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Siria, Tajikistan, Thailandia, Tunisia, Turchia, Turkmenistan,
Ucraina, Ungheria, Uzbekistan, Vietnam, Yugoslavia, Zambia.
10. Rapporti con l’Italia
Interscambio commerciale: import/export
L’Italia assume un ruolo di primo piano negli scambi con la Romania, essendo il principale partner commerciale sia sul piano delle importazioni che delle
esportazioni. In particolare, le esportazioni della Romania sono dirette verso l’Italia nella misura del 36,6%
(a seguire Germania 22,4% e Francia 11,5%), mentre
il volume delle importazioni dal nostro Paese è pari al
31,6% (seguono Germania 28,5% e Francia 10,4%)(12).
Presenza in black/white list
La Romania non è elencata nelle black list italiane relative:
• agli Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato (di cui al D.M. 4 maggio 1999);
• ai regimi CFC (di cui al D.M. 21 novembre 2001);
• all’indeducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate in Stati a fiscalità privilegiata (di cui al D.M. 23 gennaio
2002).
Coerentemente, figura tra i Paesi delle due white
list italiane che individuano:
260
Maggio-Giugno 2005
• i Paesi con i quali è attuabile lo scambio di informazioni (D.M. 4 settembre 1996); e
• gli Stati extra-UE soggetti ad un regime di tassazione non privilegiato (D.M. 21 novembre 2001).
Convenzione Italia-Romania
La Convenzione contro le doppie imposizioni tra
Italia e Romania (nel seguito anche “la Convenzione”) è stata firmata il 14 gennaio 1977 e successivamente ratificata in Italia con la L. 18 ottobre 1978 n.
680 (in vigore dal 6 febbraio 1979).
Il testo della Convenzione riproduce, in ampia
misura, il Modello OCSE, sebbene siano ravvisabili
alcuni scostamenti.
Nel definire il concetto di residenza con riferimento alle persone diverse da quelle fisiche, la Convenzione estende alle società di persone il principio di residenza nel Paese della direzione effettiva (art. 4, par. 3).
Con riferimento alla nozione di stabile organizzazione, in particolare nell’elencazione delle c.d. “ipotesi negative”, l’art. 5 par. 3 della Convenzione, include un’ulteriore fattispecie (secondo la quale non
si concretizza una stabile organizzazione “se le merci
appartenenti all’impresa esposte in una fiera commerciale o in una mostra sono vendute dall’impresa alla
fine di detta fiera e mostra”) e non prevede l’ipotesi
secondo cui non si ravvisa l’esistenza di una stabile
organizzazione qualora la sede fissa d’affari sia utilizzata unicamente per una combinazione delle attività
elencate come non caratterizzanti una stabile organizzazione. Inoltre, nell’individuare i casi in cui non
è ravvisabile una stabile organizzazione personale,
l’art. 5 par. 4 della Convenzione cita solo l’ipotesi in
cui l’attività del soggetto sia limitata all’acquisto di
merci per l’impresa (mentre il Modello OCSE rinvia
più genericamente a tutte le ipotesi negative individuate per la stabile organizzazione “materiale”).
In merito alle relazioni intragruppo, disciplinate
all’art. 9 della Convenzione, non sono presenti i c.d.
“correlative adjustments”.
Su dividendi (art. 10), interessi (art. 11) e royalties
(art. 12), la Convenzione ammette il prelievo di una
ritenuta alla fonte che non ecceda il 10% dell’ammontare lordo corrisposto. Qualora il beneficiario
operi nello Stato della fonte mediante una stabile organizzazione a cui sono collegati i dividendi, gli inteNote:
Taxation and Investment in Central and East Europe, “Romania”,
IBFD, 2004.
(11)
(12)
Dati Eurostat/Commissione Europea, 2002.
SCHEDE PAESE
ressi ovvero le royalties percepite, le somme ricevute
sono tassate nello Stato dov’è situata la stabile organizzazione secondo la propria legislazione (mentre il
Modello OCSE rinvia all’applicazione dell’art. 7, relativo agli utili delle imprese). Occorre peraltro sottolineare come la Convenzione preveda l’esenzione sugli interessi corrisposti ovvero percepiti dal Governo
di uno Stato contraente. Sul fronte delle royalties,
inoltre, la Convenzione contempla una nozione più
ampia, che include i compensi corrisposti per le registrazioni per trasmissioni radiofoniche e televisive,
nonché per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche.
La Convenzione contiene un articolo non previsto
dal Modello OCSE, relativo alle provvigioni (art. 13),
in cui sancisce il principio generale di tassazione
nello Stato di residenza dell’agente percipiente, pur
ammettendo una forma di tassazione alla fonte, che
però non può eccedere il 5% dell’ammontare delle
provvigioni. Tale disposizione ha l’effetto di ridurre
dal 15% al 5% la ritenuta prevista dalla legislazione
interna rumena, mentre è irrilevante per le provvigioni di fonte italiana, atteso che l’art. 25-bis ultimo
comma del D.P.R. 600/73 non prevede l’applicazione di ritenute sulle provvigioni pagate a non residenti (privi di stabile organizzazione in Italia).
Le attività di artisti e sportivi (art. 18) sono esenti da imposizione nello Stato in cui vengono esercitate, a condizione che siano svolte nel quadro di
scambi culturali previsti da specifici accordi conclusi tra gli Stati contraenti.
Analogamente, la Convenzione prevede uno specifico articolo (art. 21) dedicato ai professori (residenti in uno Stato contraente) che soggiornano nell’altro Stato contraente ai fini di insegnamento o di
ricerca scientifica; qualora il soggiorno non ecceda i
due anni, la remunerazione è imponibile esclusivamente nello Stato di residenza.
Per quanto concerne gli studenti (art. 22), la Convenzione dispone (in aggiunta a quanto stabilito dal
Modello OCSE) la non imponibilità delle remunerazioni percepite dagli studenti (che soggiornano temporaneamente nell’altro Stato contraente ai fini di
studio o formazione professionale) come corrispettivo di un’attività dipendente (a condizione che si tratti di un’attività svolta non a tempo pieno o in modo
occasionale, per l’arco di tempo necessario a completare gli studi o la formazione).
Tra gli altri redditi (art. 23), la Convenzione comprende “i redditi derivanti dalle attività di controllo
qualitativo e quantitativo delle merci, di assistenza
tecnica e di addestramento professionale dei dipen-
denti, nonché i redditi derivanti dall’esecuzione di perizie o quelli derivanti dalla prestazione di altri servizi non espressamente trattati nella Convenzione”
(Protocollo, punto b). Il par. 2 dell’art. 23 dispone
inoltre che, qualora il beneficiario operi nello Stato
della fonte mediante una stabile organizzazione a
cui si ricolleghi il diritto o il bene produttivo del reddito, tale reddito è tassato nello Stato dov’è situata la
stabile organizzazione secondo la propria legislazione (mentre il Modello OCSE rinvia all’applicazione
dell’art. 7, relativo agli utili delle imprese).
In merito ai rimedi contro la doppia imposizione
(art. 24), sia l’Italia che la Romania riconoscono il
credito d’imposta limitato.
All’art. 26 (non discriminazione), la Convenzione
prevede un’ulteriore specificazione rispetto al Modello OCSE, secondo la quale “i nazionali di uno
Stato contraente che sono imponibili nell’altro Stato
contraente fruiscono delle esenzioni, degli abbattimenti alla base, delle deduzioni e riduzioni di imposte
o tasse concessi per carichi di famiglia ai nazionali di
detto Stato trovantisi nelle medesime condizioni”.
In merito alla procedura amichevole (art. 27), il
punto c) del Protocollo puntualizza che tale procedura non è alternativa al contenzioso nazionale, il
quale deve essere (in ogni caso) preventivamente instaurato qualora la controversia si riferisca ad “una
applicazione non conforme alla Convenzione delle
imposte italiane”. Qualora possano facilitare il raggiungimento di un accordo tra le autorità competenti, la Convenzione (in aggiunta a quanto disposto dal
Modello OCSE) ammette il ricorso a scambi verbali
di opinioni, da effettuarsi in seno ad una Commissione formata dai rappresentanti delle autorità competenti degli Stati contraenti.
La Convenzione, infine, disciplina all’art. 30 la
materia dei rimborsi (sebbene tale misura non sia
prevista dal Modello OCSE, trova riscontro frequente nella prassi negoziale italiana), precisando che “le
imposte riscosse in uno Stato contraente mediante ritenuta alla fonte sono rimborsate a richiesta dell’interessato o dello Stato di cui esso è residente qualora il
diritto alla percezione di detta imposta sia limitato
dalle disposizioni della presente Convenzione” (art.
30, par. 1). Inoltre, in merito alle modalità di applicazione dell’articolo in esame, viene fatto rinvio alle
autorità competenti degli Stati contraenti, le quali
saranno chiamate a trovare un comune accordo, applicando la procedura amichevole (di cui all’art. 27
della Convenzione) o altri strumenti sempre pattuiti
di comune accordo (ai sensi del punto d del Protocollo).
Maggio-Giugno 2005
261
OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
A cura di
Saverio Cinieri e Rosanna Acierno
Unione Europea
Estesa l’applicazione della Direttiva
sulle operazioni straordinarie
Il Consiglio Unione Europea con la Direttiva 17
febbraio 2005, n. 2005/19/CE (pubblicata sulla
G.U.U.E 4 marzo 2005, L58) ha modificato la direttiva 90/434/CEE relativa al regime fiscale comune
da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti
società di Stati membri diversi, estendendone il
campo di applicazione anche alle scissioni parziali e
al trasferimento di società europee o società cooperative europee.
Gli scopi della direttiva 90/434/CEE, che il Consiglio ritiene possano essere raggiunti pienamente
solo con l’allargamento suddetto, sono il rinvio dell’imposizione del reddito, degli utili e delle plusvalenze derivanti dalle riorganizzazioni aziendali, la
tutela dei diritti di imposizione degli Stati membri, e
l’eliminazione degli ostacoli al funzionamento del
mercato interno, come la duplice imposizione.
In particolare sono state modificate ed integrate
le disposizioni inerenti l’ambito applicativo e la lotta contro la frode e l’evasione fiscale, e sono stati inseriti due nuovi titoli, rispettivamente relativi al caso particolare delle entità trasparenti e al trasferimento della sede sociale di una SE o di una SCE.
Infatti è previsto che qualora:
a) una SE o una SCE trasferisca la propria sede sociale da uno Stato membro a un altro, oppure
b) in concomitanza con il trasferimento della sua sede sociale da uno Stato membro a un altro, una
SE o una SCE, residente nel primo Stato membro,
estingua la propria residenza fiscale in tale Stato
membro ed elegga la sua residenza fiscale in un
altro Stato membro,
il trasferimento della sede sociale o l’estinzione
della residenza fiscale non dà luogo all’imposizione
delle plusvalenze nello Stato membro dal quale è
stata trasferita la sede sociale, risultanti dagli elementi d’attivo e di passivo della SE o della SCE i
quali, di conseguenza, rimangono effettivamente
262
Maggio-Giugno 2005
collegati con una stabile organizzazione della SE o
della SCE nello Stato membro dal quale è stata trasferita la sede sociale e contribuiscono agli utili o alle perdite presi in considerazione per scopi fiscali.
Adeguamento dei bilanci all’IFRS 2
La Commissione UE con il Regolamento 4 febbraio 2005, n. 211/2005 (pubblicato sulla G.U.U.E.
11 febbraio 2005, L 41) ha precisato che i bilanci di
esercizio che hanno inizio dal 1° gennaio 2005 o in
data successiva dovranno adeguarsi al regolamento
CE della Commissione Europea che modifica taluni
principi contabili internazionali per quanto riguarda
l’International Financial Reporting Standard (IFRS)
1 e 2 e altri IAS (12, 16, 19, 32, 33, 38 e 39).
In particolare, l’IRFS 2, relativo ai “Pagamenti basati su azioni”, ha lo scopo di definire la rappresentazione in bilancio da parte di una società che effettui
operazioni con pagamenti basati su azioni incluse:
• operazioni con pagamento basato su azioni regolate
con strumenti rappresentativi di capitale, in cui la
società riceve beni o servizi come corrispettivo degli strumenti rappresentativi di capitale dell’entità
(incluse le azioni e le opzioni su azioni);
• operazioni con pagamento basato su azioni regolate per cassa, in cui la società acquisisce beni o
servizi assumendo delle passività nei confronti
dei fornitori di tali beni o servizi per importi basati sul prezzo (o valore) delle azioni o di altri
strumenti rappresentativi di capitale della società stessa;
• operazioni in cui la società riceve o acquisisce
beni o servizi e i termini dell’accordo prevedono
che la società, o il fornitore di tali beni o servizi,
possa scegliere tra il regolamento per cassa da
parte (o con altre attività) o l’emissione di strumenti rappresentativi di capitale.
La società deve rilevare i beni o servizi ricevuti o
acquisiti in una operazione con pagamento basato su
azioni alla data in cui ottiene i beni o riceve i servizi, indicando un corrispondente incremento del patrimonio netto se i beni o servizi sono stati ricevuti in
base ad un’operazione con pagamento basato su
azioni regolata con strumenti rappresentativi di ca-
OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
pitale, oppure una passività se i beni o servizi sono
stati acquisiti in base a una operazione con pagamento basato su azioni regolata per cassa.
Approvato il tasso di interesse ufficiale
della BCE al 1° febbraio 2005
La Commissione UE, con la Comunicazione 2
febbraio 2005 (pubblicata sulla G.U.U.E. 2 febbraio
2005, C0261) ha reso noto il dato diffuso dalla Banca Centrale Europea relativo al tasso di interesse applicato sulle principali operazioni di rifinanziamento.
Il saggio, fissato per il mese di febbraio al 2,06%
conferma il dato tendenziale che vede il tasso di riferimento sensibilmente in calo (si ricorda che il
saggio a gennaio 2005 era stato fissato al 2,09%).
Italia
Ratificata la convenzione contro
le doppie imposizioni tra Italia e Uganda
Con la legge 10 febbraio 2005, n. 18 (pubblicata
sulla G.U. 24 febbraio 2005, n. 45, Suppl. Ord. n.
24) è stata ratificata la Convenzione Italia-Repubblica dell’Uganda per evitare le doppie imposizioni
in materia di imposte sul reddito e per prevenire le
evasioni fiscali.
Le nuove norme sono entrate in vigore il 25 febbraio 2005.
Resa esecutiva la convenzione
sulla reciproca assistenza tra paesi UE
e paesi OCSE
L’Italia, con la legge 10 febbraio 2005, n. 19
(pubblicata sulla G.U. 28 febbraio 2005, n. 48, Suppl. Ordinario n. 25), ha aderito alla Convenzione
concernente la reciproca assistenza amministrativa
in materia fiscale tra gli Stati membri del Consiglio
d’Europa ed i Paesi membri dell’Organizzazione per
la cooperazione e lo sviluppo economico-OCSE.
Si ricorda che la convenzione era stata stipulata a
Strasburgo il 25 gennaio 1988.
Entrati in vigore gli accordi tra Italia
e Albania in materia di infrazioni doganali
e autotrasporto di viaggiatori e merci
Il Ministero degli affari esteri, con un comunica-
to datato 5 marzo 2005 ha reso noto che, a partire dal
1° marzo 2005, è entrato in vigore l’Accordo di mutua assistenza amministrativa per la prevenzione, la
ricerca e la repressione delle infrazioni doganali tra
il Governo della Repubblica italiana ed il Governo
della Repubblica d’Albania, firmato a Tirana il 12
marzo 1998
Inoltre, con un altro comunicato, anch’esso datato 5 marzo 2005, è stato reso noto che l’Accordo sulla regolamentazione reciproca dell’autotrasporto internazionale di viaggiatori e merci, firmato a Tirana
il 5 aprile 1993, è entrato in vigore il 3 febbraio
2005.
Entrata in vigore la convenzione
tra Italia e Uzbekistan
per la cooperazione in materia doganale
Con un comunicato del 10 marzo 2005 (pubblicato sulla G.U. 10 marzo 2005, n. 57) il Ministero degli affari esteri ha reso noto che il 1° aprile 2005 è
entrato in vigore l’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica dell’Uzbekistan sulla mutua assistenza amministrativa
in materia doganale.
In vigore le nuove regole per
l’applicazione dei principi contabili
internazionali
Con il D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38 (pubblicato sulla G.U. 21 marzo 2005, n. 66), a partire dal 22
marzo 2005, entra in vigore la disciplina sull’applicazione dei principi contabili internazionali.
Le nuove disposizioni si applicano ai seguenti
soggetti:
• società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati di qualsiasi Stato membro dell’UE;
• società aventi strumenti finanziari diffusi tra il
pubblico;
• banche italiane;
• società finanziarie capogruppo dei gruppi bancari iscritti nell’elenco speciale;
• società di intermediazione mobiliare;
• società di gestione del risparmio;
• società finanziarie;
• istituti di moneta elettronica;
• società di assicurazioni;
• società incluse secondo i metodi di consolidamento integrale, proporzionale e del patrimonio
netto nel bilancio consolidato redatto dalle soMaggio-Giugno 2005
263
OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
cietà emittenti strumenti finanziari ammessi in
mercati regolamentati e dalle società di assicurazioni, diverse da quelle che possono redigere il
bilancio in forma abbreviata.
È, inoltre, previsto che le società che redigono il
bilancio di esercizio secondo i principi contabili internazionali non possono distribuire:
• utili d’esercizio in misura corrispondente alle
plusvalenze iscritte nel conto economico, al netto
del relativo onere fiscale e diverse da quelle riferibili agli strumenti finanziari di negoziazione e
all’operatività in cambi e di copertura, che discendono dall’applicazione del criterio del fair
value o del patrimonio netto;
• riserve del patrimonio netto costituite e movimentate in contropartita diretta della valutazione
al fair value di strumenti finanziari e attività.
Gli utili di cui al primo punto vanno iscritti in
una riserva indisponibile. In caso di utili di esercizio
di importo inferiore a quello delle plusvalenze, la riserva è integrata, per la differenza, utilizzando le riserve di utili disponibili, o in mancanza, accantonando gli utili degli esercizi successivi.
Tale riserva si riduce in misura corrispondente
all’importo delle plusvalenze realizzate, anche attraverso l’ammortamento, o diventate insussistenti per
effetto della svalutazione. Essa può essere utilizzata
per la copertura delle perdite di esercizio solo dopo
aver utilizzato le riserve di tutti gli utili disponibili e
la riserva legale. In tal caso essa è reintegrata accantonando gli utili degli esercizi successivi.
Va, infine, ricordato che il decreto legislativo ha
apportato modifiche ad alcune disposizioni del
TUIR relativamente a:
• determinazione del reddito complessivo (art. 83);
• ammortamento dei beni materiali (art. 102);
• spese relative a più esercizi (art. 108);
• norme generali sui componenti del reddito d’impresa( art. 109);
• norme generali sulle valutazioni (art. 110);
• operazioni fuori bilancio (art. 112).
Canada
Approvata la Legge finanziaria per il 2005
Il Legislatore canadese ha approvato il bilancio
statale per il 2005 e le relative norme di manovra finanziaria.
Con riferimento a questo ultimo aspetto, le più
importanti novità riguardano i seguenti punti:
264
Maggio-Giugno 2005
• agevolazioni per i prossimi 5 anni in favore di
programmi di sviluppo dell’istruzione e a favore
dei giovani;
• benefici per i redditi medio bassi, anch’essi applicabili per i prossimi 5 anni;
• nuove misure agevolative per i soggetti disabili,
attraverso l’estensione dei requisiti per applicare
il c.d. “disability tax credit”;
• aumento della soglia di reddito di esenzione fiscale a 10.000 dollari, a partire dal 2009;
• semplificazioni ed agevolazioni fiscali per i fondi
pensione;
• eliminazione dell’imposta aggiuntiva sulle società a partire dal 2008;
• riduzione di due punti percentuali dell’imposta
sulle società a partire dal 2010 (in tal modo l’aliquota viene tenuta al di sotto di quella applicata
negli USA);
• stanziamento di fondi da utilizzare nei prossimi
anni per combattere i cambiamenti climatici.
Giappone
Riforma fiscale per il 2005
Il governo giapponese ha approvato una riforma
del sistema fiscale che modifica sostanzialmente la
disciplina in vigore precedentemente.
Per quanto riguarda l’imposta sul reddito delle
persone fisiche, la riforma, che si applicherà a partire dal 2006, è basata sui seguenti principi:
• l’aliquota d’imposta viene ridotta dal 20% al 10%;
• il tetto massimo imponibile passa da 250,000 yen
a 125.000 yen.
Per quanto riguarda la c.d. “Local Inhabitants
Tax” le modifiche, sempre a partire dal 2006, riguardano:
• l’aliquota d’imposta viene ridotta dal 15% al
7,5%;
• il tetto massimo imponibile passa da 40.000 yen
a 20.000 yen.
Con riferimento alla tassazione degli immobili,
sono previste nuove agevolazioni oltre all’estensione
di quelle esistenti.
Per quel che riguarda, invece, gli strumenti finanziari, saranno introdotte nuove modalità di tassazione e di gestione dei titoli, anche attraverso sistemi più efficienti.
Dal punto di vista della fiscalità internazionale,
si prevedono le seguenti novità:
• l’estensione del periodo di deducibilità dei divi-
OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
dendi delle subsidiaries straniere che passerà da
5 a 10 anni;
• le società straniere che operano in Giappone e
sono effettivamente gestite sul posto, potranno
dedurre il 10% del costo del personale dal reddito tassabile in base alle regole sulle “CFC”;
• i capital gain derivanti dalla vendita di titoli di
società il cui valore deriva per almeno il 50% da
beni o attività presenti in Giappone saranno tassate in questo paese;
• sarà introdotta una ritenuta del 20% sul reddito
prodotto da soggetti non residenti attraverso partnership con società giapponesi.
Le nuove norme prevedono, inoltre, molte altre
novità ed agevolazioni fiscali tra cui va ricordato
l’introduzione di un nuovo credito d’imposta pari al
25% per le piccole imprese.
Svezia
Approvate nuove regole per il rilascio
dei permessi di soggiorno
per gli stranieri
Sono entrate in vigore, in Svezia, nuove norme
che regolano il rilascio dei permessi di soggiorno per
i lavoratori stranieri.
Tra le tante novità si segnala la possibilità per i
soggetti residenti in altri stati membri dell’Unione
europea di essere espulsi dalla Svezia se condannati per crimini da un tribunale svedese.
Approvata la legge finanziaria per il 2005
Le autorità svedesi hanno approvato la legge finanziaria per il 2005 che contiene alcune misure di
carattere fiscale tese a dare una spinta all’economia
nazionale.
Inoltre, sono previsti numerosi tagli per incentivare lo sviluppo del mercato del lavoro con la creazione di nuovi posti di lavoro.
Tra gli altri, si segnalano i seguenti punti:
• abbassamento della pressione fiscale per le persone fisiche;
• innalzamento della deduzione base;
• incremento delle deduzioni d’imposta per i lavoratori dipendenti.
Sono, inoltre, previste agevolazioni e sconti fiscali per i figli a carico e più in generale per i familiari
a carico oltre che per l’acquisto di autovetture ecologiche.
Thailandia
Adottate misure di sostegno fiscale
contro la crisi petrolifera
Il Ministro delle finanze tailandese ha reso noto
che il governo intende adottare misure fiscali al fine
di contrastare il continuo incremento del prezzo del
petrolio ed il contestuale deprezzamento del dollaro.
Le misure si inseriscono in un più ampio disegno
di legge che prevede, tra l’altro, lo sviluppo dei fondi sociali e alcune misure fiscali volte a combattere
la crisi economica in atto.
L’obiettivo dichiarato è quello di stabilizzare l’economia e, di conseguenza, il gettito fiscale per i
prossimi quattro anni.
Approvate agevolazioni fiscali
straordinarie per le vittime
dello tsunami
Al fine di fronteggiare l’emergenza umanitaria
conseguente al cataclisma che ha interessato la
Thailandia, il governo locale sta varando alcune importanti disposizioni che prevedono misure straordinarie a favore delle popolazioni colpite.
In particolare si tratta della sospensioni dei termini fiscali e dell’introduzione di tassi di interesse
molto bassi sui prestiti contratti da tali popolazioni.
In tal modo si vuole venire incontro a chi ha perso ogni cosa nel disastro e non può più sostenere il
carico fiscale.
Usa
Stimato l’impatto dei nuovi tagli fiscali
Il Dipartimento del Tesoro americano ha reso noto che saranno milioni i contribuenti che beneficeranno dei tagli fiscali previsti nel “Tax Relief Reconciliation Act of 2001”.
In particolare, la nuova aliquota del 10% interesserà 94 milioni di americani, mentre 27 milioni di
famiglie beneficeranno dell’incremento delle detrazioni per figli a carico e 32 milioni di giovani coppie
usufruiranno degli sconti fiscali previsti per i neo
sposi.
Maggio-Giugno 2005
265
QUESITI
Quesiti di fiscalità internazionale
I rimborsi Iva in Polonia
per i soggetti non residenti
La X S.p.a., società italiana, ha maturato un
credito IVA in Polonia in relazione a taluni acquisti di beni.
Ci si interroga sulle corrette modalità di compilazione e di inoltro della relativa richiesta di
rimborso.
Con Decreto del Ministro delle Finanze 23 giugno 2001 sono state introdotte in Polonia specifiche
disposizioni, in vigore dal 1° luglio 2001, sulle modalità di esecuzione del rimborso dell’imposta pagata da soggetti non residenti sull’acquisto di beni e
servizi.
Sotto il profilo soggettivo, hanno diritto a richiedere il rimborso dell’imposta assolta sull’acquisto di
beni e servizi, le persone fisiche, le persone giuridiche e le organizzazioni senza personalità giuridica
prive di residenza, sede o stabile organizzazione in
Polonia.
Più specificatamente, il rimborso dell’IVA pagata
sugli acquisti viene accordato alle seguenti condizioni:
- il soggetto richiedente deve essere soggetto passivo IVA o di imposta similare nel Paese in cui ha
la sua sede, residenza o domicilio, non deve essere soggetto passivo IVA in Polonia ed infine non
deve ivi effettuare operazioni imponibili, con la
sola eccezione di talune fattispecie, appositamente elencate nel predetto Decreto;
- deve sussistere una condizione di reciprocità tra
lo Stato di “appartenenza” dell’operatore economico e la Polonia.
Sotto il profilo oggettivo, invece, il rimborso compete, con riferimento ai beni e ai servizi acquistati,
nella sola misura in cui la relativa imposta risulti detraibile ai sensi della normativa polacca.
Dal punto di vista meramente procedurale, infine, le richieste di rimborso devono essere fatte pervenire all’Ufficio IVA di Varsavia entro il 30 giugno
dell’anno successivo a quello a cui si riferisce il periodo per il quale è inoltrata la domanda, unitamente alle fatture originali e ai documenti doganali che
attestano l’ammontare richiesto, e alla certificazione
atta a dimostrare che il soggetto istante è passivo di
imposta nel Paese in cui ha sede, residenza o domi266
Maggio-Giugno 2005
cilio. Quest’ultima, in particolare, rilasciata dalle
autorità fiscali del Paese di appartenenza dell’operatore economico, deve rispettare la forma prevista dal
Decreto in commento e ha una validità pari a un anno, con riferimento a tutte le diverse richieste di
rimborso presentate nel medesimo anno solare.
L’Ufficio IVA di cui sopra, a sua volta, ha tempo
sei mesi dalla data di presentazione della richiesta
per acconsentire al rimborso, salvo proroghe nell’eventualità in cui richieda un maggior corredo documentale, ed in caso di erogazione provvede altresì a
restituire le fatture ed i documenti allegati alla domanda, opportunamente timbrati e contrassegnati
onde evitarne il successivo utilizzo. L’accredito, in
particolare, viene effettuato in valuta locale direttamente sul conto corrente del soggetto in Polonia o
nel Paese in cui ha sede o residenza, senza spese per
il disponente.
a cura di Pierangelo Albertini
ed Emanuele Lo Presti Ventura
Studio Belluzzo&Associati
Accordo con la Svizzera
sulla Direttiva risparmio
Quali sono, in sintesi, i termini principali dell’accordo stipulato dalla Commissione europea
con la svizzera ai fini dell’adozione di misure
“equivalenti” a quelle previste dalla Direttiva
2003/48/CE?
Il 26 ottobre 2004 la Commissione europea ha
concluso un accordo con la Svizzera che stabilisce
l’adozione di misure “equivalenti” a quelle definite
nella Direttiva 2003/48/CE in materia di tassazione
dei redditi da risparmio transfrontalieri (Gazz. Uff.
CE n. L 385 del 29 dicembre 2004). Il raggiungimento di un’intesa con la Svizzera è una delle condizioni a cui è subordinata la concreta operatività della
Direttiva 2003/48/CE, che regola lo scambio automatico delle informazioni tra autorità competenti degli
Stati membri in relazione al pagamento di interessi.
L’accordo prevede, tra l’altro, che i pagamenti di
interessi effettuati a beneficiari effettivi (persone fisiche) residenti in uno Stato membro UE da un
QUESITI
“agente pagatore” stabilito sul territorio della Svizzera siano soggetti a una ritenuta alla fonte. Il prelievo sarà operato nella misura del 15% per i primi
tre anni, del 20% per il secondo triennio e del 35%
negli anni successivi. La Svizzera è autorizzata a
trattenere il 25% del gettito generato dalla ritenuta
mentre dovrà trasferire il residuo 75% allo Stato
membro di residenza del beneficiario effettivo. La
Confederazione elvetica si impegna a stabilire una
procedura che consenta al beneficiario effettivo di
evitare l’applicazione della ritenuta, autorizzando
espressamente l’agente pagatore situato in Svizzera
a comunicare alle autorità competenti di tale Stato le
informazioni riguardanti il pagamento di interessi.
Relativamente ai redditi contemplati dall’accordo, le autorità competenti elvetiche e quelle degli
Stati membri si scambieranno le informazioni sui
comportamenti che costituiscono frode fiscale a norma della legislazione dello Stato interpellato o sulle
violazioni analoghe (intendendosi per tali quelle che
presentano lo stesso livello di illiceità, come definito dalla legislazione dello Stato che riceve la richiesta). Le informazioni verranno scambiate (limitatamente al campo di applicazione definito dall’accordo) in conformità alle procedure stabilite dalle Convenzioni in materia di doppia imposizione in vigore
tra la Svizzera e lo Stato interessato. L’intesa siglata
con la Confederazione elvetica investe anche l’applicazione della Direttiva 2003/49/CE su interessi e
royalties (secondo modalità e termini fissati nell’accordo). Vengono inoltre definite le condizioni affinché i dividendi corrisposti dalle società figlie alle
società madri (una delle quali abbia la residenza fiscale in Svizzera e l’altra in uno Stato membro) siano esenti da imposizione nello Stato d’origine.
L’accordo richiede la ratifica o l’approvazione
delle parti contraenti in conformità alle rispettive
procedure. Come emerge dallo scambio di lettere intervenuto tra le parti, le disposizioni contenute nell’intesa dovrebbero applicarsi a partire dal 1° luglio
2005, “a condizione che gli obblighi costituzionali
svizzeri siano soddisfatti entro tale data”.
a cura di Piero Bonarelli
“Contributi stampi” in ambito
internazionale
La nostra società stipula contratti con clienti
esteri (di Paesi extra Ue) per la fornitura agli stessi di prodotti finiti realizzati mediante stampi e altre attrezzature predisposti per l’occasione.
Tali stampi e attrezzature:
• in certi casi: vengono ceduti al cliente estero,
con addebito del relativo prezzo, e restano in prestito d’uso presso la società italiana;
• in altri casi: restano di proprietà della società
italiana; a fronte degli stessi la società italiana riceve un contributo, pari al costo di produzione
degli stessi.
Ci si chiede quali siano le procedure da osservare, ai fini Iva, nelle due situazioni sopra esposte.
Nella prassi operativa è frequente il caso in cui il
cliente estero, in base ad un unico contratto d’appalto, ma con distinti corrispettivi, incarichi l’impresa italiana di:
• approntare gli stampi e le attrezzature necessari
per realizzare una determinata produzione;
• utilizzare gli stessi per la realizzazione della fornitura dei prodotti.
Sul piano pratico possono aversi due ipotesi:
• gli stampi e le attrezzature passano di proprietà del cliente estero e restano presso il cedente in “prestito d’uso”, al fine di realizzare la
produzione programmata. In tale situazione:
° l’impresa italiana deve annotare gli stampi e le
attrezzature su apposito registro (dei beni di terzi
presso l’impresa) tenuto ai sensi dell’articolo 39
del D.p.r. n. 633/1972; tale registro deve essere
tenuto al fine di vincere le presunzioni di cui al
D.p.r. n. 441/1997 (il quale ha sostituito l’articolo 53 del D.p.r. n. 633/1972);
° gli stampi e le attrezzature devono essere fatturati senza applicazione dell’IVA in base all’articolo
8, primo comma, lettera a), D.p.r. n. 633/1972 (Cfr.
in merito: Circolare n. 26/411138 del 3 agosto
1979, RM n. 412178 del 4 gennaio 1980, RM n.
421221 del 9 luglio 1980, RM n. 416907 dell’8 ottobre 1987, RM n. 500462 del 18 febbraio 1992);
° in sede di esportazione dei prodotti, anch’essi
non imponibili ex articolo 8, primo comma, lettera a), D.p.r. n. 633/1972, nella bolletta di esportazione occorre tenere conto del corrispettivo addebitato per lo stampo/attrezzature (o in unica soluzione o con spalmatura sulle varie operazioni di
esportazione dei prodotti finiti).
Maggio-Giugno 2005
267
QUESITI
Terminata la fabbricazione gli stampi e le attrezzature potranno o essere inviati al cliente estero o
essere distrutti o resi inservibili.
• gli stampi e le attrezzature restano di proprietà dell’impresa italiana (contributi in
conto stampi/attrezzature), e vengono dalla
medesima utilizzati per la realizzazione della produzione programmata. E’ da ritenere che il contributo in conto stampi/attrezzature costituisca
una sorta di anticipo contrattuale (tale è l’interpretazione fornita dalla Risoluzione n. 186 del 17
agosto 1996, emessa in relazione a operazioni in-
268
Maggio-Giugno 2005
tracomunitarie, ma da ritenere valida anche in
caso di operazioni di esportazione), con obbligo
di sua fatturazione al cliente, ma sempre in basa
all’articolo 8, primo comma, lettera a), D.p.r. n.
633/1972. In sede di esportazione dei pezzi, anch’essi da fatturare in base all’articolo 8, primo
comma, lettera a), D.p.r. n. 633/1972, nella bolletta di esportazione occorre tenere conto del corrispettivo addebitato per lo stampo/attrezzature.
(o in unica soluzione o con spalmatura sulle varie
operazioni di esportazione dei prodotti finiti).
a cura di Stefano Garelli
DOCUMENTAZIONE
CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, Bruxelles,
31 marzo 2005 (06.04)
NOTA RIVEDUTA
Oggetto: CODICE DI CONDOTTA per l’effettiva attuazione della Convenzione sull’arbitrato
(90/436/CEE del 23 luglio 1990)
CODICE DI CONDOTTA
IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA E I RAPPRESENTANTI DEI GOVERNI DEGLI STATI MEMBRI, RIUNITI IN SEDE DI CONSIGLIO,
VISTA la Convenzione 90/436/CEE del 23 luglio
1990 relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni
in caso di rettifica degli utili di imprese associate,
RICONOSCENDO la necessità per gli Stati membri e i
contribuenti di disporre di norme più dettagliate per attuare in maniera efficace la summenzionata Convenzione,
PRENDENDO ATTO della comunicazione della
Commissione, del 23 aprile 2004, relativa alla relazione
sulle attività del Forum congiunto dell’UE sui prezzi di
trasferimento nel settore della tassazione delle imprese,
contenente una proposta di codice di condotta,
SOTTOLINEANDO che il codice di condotta è un impegno politico e non pregiudica i diritti e gli obblighi degli Stati membri o le rispettive sfere di competenza degli
Stati membri e della Comunità derivanti dal trattato,
RICONOSCENDO che l’attuazione del presente codice di condotta non deve ostacolare la ricerca di soluzioni
su un piano più generale,
ADOTTANO IL SEGUENTE CODICE DI CONDOTTA:
Fatte salve le rispettive sfere di competenza degli Stati membri e della Comunità, il presente codice di condotta riguarda l’attuazione della Convenzione 90/436/CEE
del 23 luglio 1990 relativa all’eliminazione delle doppie
imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate e ad alcune questioni connesse relative alle procedure amichevoli previste nel quadro delle convenzioni
contro le doppie imposizioni tra Stati membri.
1. Decorrenza del periodo di tre anni
(scadenza per la presentazione
della domanda ai sensi dell’articolo 6,
paragrafo 1 della Convenzione
sull’arbitrato)
Si considera data di decorrenza del periodo di tre anni la data del “primo avviso di accertamento fiscale o misura equivalente che comporta o può comportare una
doppia imposizione ai sensi dell’articolo 1, per esempio a
causa di una rettifica dei prezzi di trasferimento”(1).
Per quanto riguarda i casi presentati in merito ai prezzi di trasferimento, si raccomanda agli Stati membri di
applicare questa definizione anche per determinare il periodo di tre anni di cui all’articolo 25, paragrafo 1 del modello OCSE di convenzione fiscale sul reddito e sul patrimonio, attuato nelle convenzioni contro le doppie imposizioni tra Stati membri dell’UE.
2. Decorrenza del periodo di due anni
(articolo 7, paragrafo 1
della Convenzione sull’arbitrato)
(i) Ai fini dell’articolo 7, paragrafo 1 della Convenzione,
un caso si considera sottoposto ai sensi dell’articolo 6,
paragrafo 1 quando il contribuente fornisce le seguenti informazioni:
a) identificazione (nome, indirizzo e codice di identificazione fiscale) dell’impresa dello Stato contraente
che presenta la domanda e delle altre parti interessate alle operazioni in questione;
b) informazioni particolareggiate per illustrare i fatti e
le circostanze da prendere in considerazione (compresi i dettagli relativi alle relazioni tra l’impresa e le altre parti interessate alle operazioni in questione);
c) indicazione dei periodi fiscali in questione;
d) copie degli avvisi di accertamento fiscale, del verbale di constatazione o del documento equivalente che
hanno comportato la presunta doppia imposizione;
e) informazioni particolareggiate sulle cause o le procedure di ricorso avviate dall’impresa o dalle altre
parti interessate alle operazioni in questione e eventuali sentenze del tribunale relative al caso;
f) una relazione in cui l’impresa illustra i motivi per
cui ritiene che i principi definiti all’articolo 4 della
Convenzione sull’arbitrato non siano stati rispettati;
g) l’impegno da parte dell’impresa a rispondere il più
rapidamente possibile e nel modo più esauriente a
tutte le richieste ragionevoli e appropriate formulate
da un’autorità competente e a mettere a sua disposizione la documentazione necessaria; e
Nota:
Il rappresentante delle autorità fiscali italiane ritiene che il periodo di tre anni decorra dalla “data del primo avviso di accertamento
fiscale o misura equivalente a seguito di una rettifica dei prezzi di
trasferimento che comporta, o può comportare, una doppia imposizione ai sensi dell’articolo 1”, perché l’applicazione della vigente
Convenzione sull’arbitrato dovrebbe essere limitata ai casi in cui si
abbia una “rettifica” dei prezzi di trasferimento.
(1)
Maggio-Giugno 2005
269
DOCUMENTAZIONE
h) eventuali informazioni supplementari specifiche richieste dalle autorità competenti entro due mesi dal
ricevimento della domanda del contribuente.
(ii) Il periodo di due anni decorre dalla data più recente
fra le seguenti:
a) la data dell’avviso di accertamento fiscale, ossia
della decisione finale dell’amministrazione fiscale sul
maggior reddito, o di una misura equivalente;
b) la data in cui l’autorità competente riceve la domanda e le informazioni minime di cui al paragrafo 2,
punto i).
3. Procedura amichevole avviata nel
quadro della Convenzione sull’arbitrato
3.1 Disposizioni generali
a) Conformemente agli orientamenti dell’OCSE, è applicato il principio della piena concorrenza senza tenere
conto delle conseguenze fiscali immediate per singoli
Stati contraenti.
b) I casi sono risolti il più rapidamente possibile tenendo conto della loro complessità.
c) Sono presi in considerazione tutti i mezzi indispensabili per giungere ad un accordo il più rapidamente possibile, compresi i confronti diretti; se necessario, l’impresa
è invitata a illustrare il caso alla sua autorità competente.
d) Tenendo conto delle disposizioni del presente codice, l’accordo deve essere raggiunto entro due anni dalla
data in cui il caso è stato sottoposto per la prima volta ad
una delle autorità competenti conformemente al paragrafo 2, punto ii) del presente codice.
e) La procedura amichevole non deve imporre al richiedente, o a chiunque altro sia coinvolto nel caso, costi
di adempimento non dovuti o eccessivi.
3.2 Funzionamento pratico e trasparenza
a) Per ridurre al massimo i costi e i ritardi dovuti alla
traduzione, la procedura amichevole, in particolare lo
scambio dei documenti che illustrano la posizione delle
autorità competenti, dovrebbe svolgersi in una lingua di
lavoro comune, o con un metodo di effetto equivalente, se
le autorità competenti possono giungere ad un accordo su
base bilaterale.
b) L’impresa richiedente la procedura amichevole è
informata, dall’autorità competente a cui ha inviato la domanda, riguardo a tutti gli sviluppi significativi durante il
corso della procedura.
c) È assicurata la riservatezza delle informazioni relative a chiunque sia tutelato da una convenzione fiscale
bilaterale o dalla normativa di uno Stato contraente.
d) L’autorità competente accusa ricezione della domanda del contribuente che intende avviare una procedura amichevole entro un mese dal ricevimento della
stessa e informa contemporaneamente le autorità compe-
270
Maggio-Giugno 2005
tenti degli altri Stati contraenti interessati allegando copia della domanda del contribuente.
e) Se ritiene che l’impresa non abbia fornito le informazioni minime necessarie per avviare la procedura amichevole di cui al paragrafo 2, punto i), l’autorità competente, entro due mesi dal ricevimento della domanda, invita l’impresa a fornire le informazioni supplementari
specifiche necessarie.
f) Gli Stati contraenti si impegnano a fare in modo che
l’autorità competente risponda all’impresa richiedente in
uno dei modi seguenti:
(i) se l’autorità competente non ritiene che gli utili
dell’impresa siano inclusi, o possano essere inclusi,
in quelli di una impresa di un altro Stato contraente,
informa l’impresa dei suoi dubbi e la invita a formulare ulteriori osservazioni;
(ii) se la domanda appare fondata e si può giungere ad
una soluzione soddisfacente, l’autorità competente
informa l’impresa e procede il più rapidamente possibile alle rettifiche o autorizza lo sgravio che ritiene
giustificato;
(iii) se la domanda appare fondata ma non si può giungere ad una soluzione soddisfacente, l’autorità competente informa l’impresa che cercherà di risolvere il caso ricorrendo alla procedura amichevole con l’autorità
competente di ogni altro Stato contraente interessato.
g) Se il caso è considerato fondato, l’autorità competente avvia una procedura amichevole informando l’autorità competente dell’altro Stato contraente della sua decisione e allega copia delle informazioni di cui al paragrafo
2, punto i) del presente codice. Nel contempo, informa la
persona che ha chiesto l’applicazione della Convenzione
sull’arbitrato di aver avviato la procedura amichevole. In
base alle informazioni in suo possesso, l’autorità competente che ha avviato la procedura amichevole comunica
inoltre all’autorità competente dell’altro Stato contraente
e al richiedente se il caso è stato sottoposto entro la scadenza di cui all’articolo 6, paragrafo 1 della Convenzione
sull’arbitrato e la data da cui decorre il periodo di due anni previsto all’articolo 7, paragrafo 1 di tale Convenzione.
3.3 Scambio dei documenti che illustrano
la posizione delle autorità competenti
a) Gli Stati contraenti si impegnano a fare in modo
che, una volta avviata la procedura amichevole, l’autorità
competente del paese in cui è stato effettuato, o sarà effettuato un accertamento fiscale, ossia dove si è giunti ad
una decisione definitiva dell’amministrazione fiscale sul
reddito o ad una misura equivalente, la quale prevede
una rettifica che comporta o può comportare una doppia
imposizione ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione
sull’arbitrato, invii alle autorità competenti degli altri
Stati contraenti interessati al caso un documento che illustra la sua posizione e in cui figurano:
(i) la descrizione del caso fornita dal richiedente;
DOCUMENTAZIONE
(ii) il suo parere in merito, per esempio perché si ritiene che si sia verificata o che possa verificarsi una
doppia imposizione;
(iii) le misure da adottare per eliminare la doppia imposizione e una spiegazione dettagliata della proposta.
b) Il documento contiene un’esauriente giustificazione della valutazione fiscale o della rettifica ed è corredato della documentazione di base a sostegno della posizione dell’autorità competente e di un elenco di tutti gli altri
documenti utilizzati per la rettifica.
c) Il documento è inviato a tutte le autorità competenti degli altri Stati contraenti interessati il più rapidamente possibile, tenuto conto della complessità del caso in
questione, e non oltre quattro mesi dalla data più recente
fra le seguenti:
i) la data dell’avviso di accertamento fiscale, ossia
della decisione finale dell’amministrazione fiscale sul
maggior reddito, o di una misura equivalente;
ii) la data in cui l’autorità competente riceve la domanda e le informazioni minime di cui al paragrafo 2,
punto i).
d) Gli Stati contraenti si impegnano a fare in modo
che, qualora l’autorità competente di un paese in cui non
è stato emesso, o non si intende emettere un avviso di
accertamento fiscale o misura equivalente, che comporti, o possa comportare una doppia imposizione ai sensi
dell’articolo 1 della Convenzione sull’arbitrato, per
esempio a causa di una rettifica dei prezzi di trasferimento, riceva un documento che illustra la posizione
dell’altra autorità competente, essa risponda il più rapidamente possibile, tenendo conto della complessità del
caso in questione e non oltre sei mesi dal ricevimento
del documento.
e) La risposta sarà fornita in uno dei due modi seguenti:
(i) se ritiene che si sia verificata o possa verificarsi
una doppia imposizione, e concorda con la soluzione proposta nel documento, l’autorità competente informa l’altra autorità competente e procede alle rettifiche o consente lo sgravio il più rapidamente possibile;
(ii) se non ritiene che si sia verificata, o possa verificarsi una doppia imposizione, o non concorda con la soluzione proposta nel documento, l’autorità competente
trasmette all’altra autorità competente un documento di
risposta in cui espone le proprie ragioni e propone un calendario indicativo per l’esame del caso, tenendo conto
della sua complessità. Eventualmente, la proposta include una data per i confronti diretti, che dovrebbero tenersi entro diciotto mesi a decorrere dalla data più recente
fra le seguenti:
aa) la data dell’avviso di accertamento fiscale, ossia
della decisione finale dell’amministrazione fiscale sul
maggior reddito, o di una misura equivalente;
bb) la data in cui l’autorità competente riceve la domanda e le informazioni minime di cui al paragrafo 2,
punto i).
f) Gli Stati contraenti si impegnano a compiere ogni
passo opportuno per accelerare le procedure, ogni qualvolta ciò sia possibile. A tale riguardo, gli Stati contraenti dovrebbero prevedere di organizzare periodicamente, e
almeno una volta all’anno, riunioni tra le loro autorità
competenti per esaminare le procedure amichevoli pendenti (purché il numero dei casi giustifichi tali riunioni).
3.4 Convenzioni contro le doppie imposizioni
tra Stati membri
Per quanto riguarda i casi relativi a prezzi di trasferimento, si raccomanda agli Stati membri di applicare le
disposizioni dei paragrafi 1-3 anche alle procedure amichevoli avviate conformemente all’articolo 25, paragrafo
1 del modello OCSE di convenzione fiscale sul reddito e
sul patrimonio, attuato nelle convenzioni contro le doppie
imposizioni tra Stati membri.
4. Procedure durante la seconda fase
della Convenzione sull’arbitrato
4.1 Elenco delle personalità indipendenti
a) Gli Stati contraenti si impegnano a comunicare senza indugio al Segretariato generale del Consiglio dell’Unione europea i nomi delle cinque personalità indipendenti, candidate a diventare membri della commissione
consultiva di cui all’articolo 7, paragrafo 1 della Convenzione sull’arbitrato e ad informarlo, alle stesse condizioni, di eventuali modifiche dell’elenco.
b) All’atto della trasmissione dei nomi delle personalità indipendenti al Segretariato generale del Consiglio
dell’Unione europea, gli Stati contraenti allegano un curriculum vitae di tali personalità che illustra, tra l’altro,
l’esperienza che esse hanno maturate in campo giuridico,
fiscale e, in particolare, in materia di prezzi di trasferimento.
c) Gli Stati contraenti possono inoltre indicare nell’elenco le personalità indipendenti che soddisfano le condizioni per essere elette presidente.
d) Il Segretario Generale del Consiglio chiede annualmente agli Stati contraenti di confermare i nomi delle
personalità indipendenti e/o di comunicare i nomi dei loro sostituti.
e) L’elenco completo di tutte le personalità indipendenti è pubblicato sul sito Web del Consiglio.
4.2 Costituzione della commissione consultiva
a) Salvo diverso accordo tra gli Stati contraenti interessati, lo Stato contraente che ha emesso il primo avviso
di accertamento fiscale, ossia la decisione finale dell’amministrazione fiscale sul maggior reddito, o la misura
equivalente che comporta, o potrebbe comportare, una
doppia imposizione ai sensi dell’articolo 1 della Conven-
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DOCUMENTAZIONE
zione sull’arbitrato, prende l’iniziativa di costituire la
commissione consultiva e organizza le riunioni di questa,
d’intesa con l’altro Stato contraente.
b) La commissione consultiva è formata di norma da
due personalità indipendenti, dal presidente e dai rappresentanti delle autorità competenti.
c) La commissione consultiva è assistita da un segretariato le cui strutture organizzative sono messe a disposizione dallo Stato contraente che ha costituito la commissione consultiva, salvo diverso accordo degli Stati
contraenti interessati. Per motivi di indipendenza, il segretariato è posto sotto il controllo del presidente della
commissione consultiva. Conformemente alle disposizioni di cui all’articolo 9, paragrafo 6 della Convenzione sull’arbitrato, i membri del segretariato sono tenuti a mantenere il segreto.
d) Il luogo in cui la commissione consultiva si riunisce e quello in cui è emesso il suo parere possono essere
decisi anticipatamente dalle autorità competenti degli
Stati contraenti interessati.
e) Gli Stati contraenti mettono a disposizione della
commissione consultiva, prima che si riunisca per la prima volta, tutta la documentazione e le informazioni pertinenti, in particolare i documenti, le relazioni, la corrispondenza e le conclusioni utilizzati durante la procedura amichevole.
4.3 Funzionamento della commissione
consultiva
a) Il caso è considerato sottoposto alla commissione
consultiva il giorno in cui il presidente conferma che i
suoi membri hanno ricevuto tutta la documentazione e le
informazioni pertinenti di cui al paragrafo 4.2, lettera e).
b) I lavori della commissione consultiva si svolgono
nella lingua o nelle lingue ufficiali degli Stati contraenti
interessati, a meno che le autorità competenti non decidano diversamente di comune accordo, tenendo conto
della volontà della commissione consultiva.
c) La commissione consultiva può chiedere alla parte
che è fonte delle dichiarazioni o dei documenti di presentare una traduzione nella lingua o nelle lingue in cui
si svolgono i lavori.
d) Nel rispetto delle disposizioni dell’articolo 10 della Convenzione sull’arbitrato la commissione consultiva
può chiedere agli Stati contraenti, in particolare allo Stato contraente che ha emesso il primo avviso di accertamento fiscale, ossia una decisione finale dell’amministrazione fiscale sul maggior reddito, o una misura equivalente che ha comportato o che potrebbe comportare una
doppia imposizione ai sensi dell’articolo 1, di presentarsi
dinanzi alla commissione consultiva.
e) I costi connessi ai lavori della commissione consultiva, ripartiti equamente tra gli Stati contraenti interessati,
sono le spese amministrative della commissione consultiva
e i compensi e le spese delle personalità indipendenti.
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f) A meno che le autorità competenti degli Stati contraenti non decidano diversamente:
i) il rimborso delle spese delle personalità indipendenti è limitato al rimborso previsto solitamente per i
funzionari di grado elevato dello Stato contraente che ha
preso l’iniziativa di costituire la commissione consultiva;
ii) i compensi delle personalità indipendenti sono fissati a 1000 EUR a persona e per giorno di riunione della
commissione consultiva; il presidente riceve un compenso superiore del 10% a quello previsto per le altre personalità indipendenti.
g) Il pagamento effettivo delle spese connesse ai lavori della commissione consultiva è effettuato dallo Stato
contraente che ha preso l’iniziativa di costituire la commissione consultiva, a meno che le autorità competenti
degli Stati contraenti non decidano diversamente.
4.4 Parere della commissione consultiva
Gli Stati contraenti si attendono che nel parere figurino:
a) i nomi dei membri della commissione consultiva;
b) la domanda, in cui devono essere indicati:
- i nomi e gli indirizzi delle imprese interessate;
- le autorità competenti interessate;
- una descrizione dei fatti e delle circostanze della
controversia;
- una dichiarazione chiara in merito a quanto è richiesto;
c) una sintesi della procedura;
d) le tesi e i metodi sui quali si basa la decisione che
figura nel parere;
e) il parere;
f) il luogo in cui è emesso il parere;
g) la data in cui è emesso il parere;
h) le firme dei membri della commissione consultiva.
La decisione delle autorità competenti e il parere della commissione consultiva sono comunicati nel
modo seguente:
i) Una volta presa la decisione l’autorità competente
cui è stato sottoposto il caso trasmette copia della decisione delle autorità competenti e del parere della commissione consultiva a ciascuna delle imprese interessate.
ii) Le autorità competenti degli Stati contraenti possono accordarsi per rendere pubblici integralmente il parere e la decisione. Possono altresì decidere di rendere
pubblici il parere e la decisione senza citare i nomi delle
imprese interessate e senza fornire particolari che potrebbero rivelare l’identità di tali imprese. In ambedue i
casi è richiesto l’accordo delle imprese e prima di ogni
pubblicazione le imprese interessate devono aver comunicato per iscritto all’autorità competente a cui il caso è
stato sottoposto di non avere obiezioni alla pubblicazione
del parere e della decisione.
iii) Il parere della commissione consultiva è redatto in
tre copie originali, due delle quali da inviare alle autorità
competenti degli Stati contraenti e una da trasmettere alla Commissione per l’archiviazione. Se vi è l’accordo per
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la pubblicazione del parere quest’ultimo è reso pubblico
sul sito web della Commissione, nella lingua o nelle lingue originali.
5. Sospensione della riscossione
dell’imposta durante le procedure
transfrontaliere per la soluzione
delle controversie
Si raccomanda agli Stati membri di prendere le misure necessarie per fare in modo che la sospensione della
riscossione dell’imposta durante le procedure transfrontaliere per la soluzione delle controversie avviate nel
quadro della Convenzione sull’arbitrato possa essere ottenuta dalle imprese interessate da queste procedure, alle stesse condizioni previste per una causa/procedura di
ricorso interna, anche se queste misure possono implicare cambiamenti legislativi in alcuni Stati membri. Sarebbe opportuno che gli Stati membri estendessero queste
misure alle procedure transfrontaliere per la soluzione
delle controversie nel quadro delle convenzioni contro le
doppie imposizioni concluse tra Stati membri.
6. Adesione di nuovi Stati membri
dell’UE alla Convenzione sull’arbitrato
Gli Stati membri si adopereranno per firmare e ratificare, accettare o approvare la Convenzione di adesione
dei nuovi Stati membri dell’UE alla Convenzione sull’arbitrato il più rapidamente possibile e in ogni caso entro
due anni dall’adesione all’UE.
7. Disposizioni finali
Per assicurare un’equa ed efficace applicazione del
codice, gli Stati membri sono invitati a presentare ogni
due anni una relazione sul suo funzionamento pratico alla Commissione. In base a queste relazioni, la Commissione ha l’intenzione di riferire al Consiglio e potrà proporre un riesame delle disposizioni del codice.
Comunicato, Commissione europea, 16 marzo 2005,
IP/05/304
Aiuti di Stato: la Commissione dichiara
illegittime le agevolazioni fiscali
concesse dall’Italia alle società ammesse
alla quotazione in una borsa valori
europea
La Commissione europea ha deciso che un regime italiano che riduce l’aliquota nominale e l’aliquota effettiva dell’imposta sul reddito delle società che sono state ammesse alla quotazione in
un mercato regolamentato dell’UE nel 2004 viola
le regole del trattato UE in materia di aiuti di Stato (articolo 87). Questa decisione è stata presa
dopo un’indagine approfondita avviata nel febbraio 2004. Il regime falsa la concorrenza in
quanto si applica ad un numero limitato di società
- quelle in grado di farsi ammettere alla quotazione nell’arco del breve periodo di tempo (l’anno
2004) previsto dalla legge che l’ha istituito e costituisce una aiuto al funzionamento a favore di
alcune delle imprese italiane a più rapida crescita.
L’aiuto è stato messo ad esecuzione senza la previa autorizzazione della Commissione e deve essere rimborsato dai beneficiari. Le autorità italiane
avevano previsto per il solo 2004 un minor gettito
fiscale di 56 milioni di euro.
L’intervento della Commissione eviterà gravi distorsioni di concorrenza vietando sostanziose agevolazioni fi-
scali a favore di un ristretto numero di beneficiari in Italia” ha commentato il commissario competente per la politica di concorrenza, la signora N. K. L’Italia aveva istituito uno speciale regime fiscale destinato a concedere
una riduzione (del 13%) per tre anni dell’aliquota dell’imposta sui redditi delle società a favore delle società
ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato nel
corso del 2004, più la deduzione per un anno dall’imponibile delle società stesse di un importo corrispondente
alle spese sostenute per ottenere l’ammissione alla quotazione. Benché ne potessero formalmente usufruire tutte le
imprese che ottenessero l’ammissione alla quotazione in
una qualsiasi borsa valori dell’UE, il regime è apparso alla Commissione come una potenziale sovvenzione occulta a favore delle società in grado di farsi ammettere alla
quotazione nel breve arco di tempo previsto. Avviando
un’indagine formale nel febbraio 2004 (IP/04/1494), la
Commissione intendeva accertare se il regime configurasse o no un aiuto. Da un’ indagine approfondita è emerso che nel 2004 sono state ammesse alla quotazione in
Italia solo dieci società, ognuna delle quali avrebbe potenzialmente potuto beneficiare di una riduzione delle
imposte per un totale di svariati milioni di euro. Benché
l’importo esatto dell’aiuto vari da una società all’altra, la
Commissione ha ritenuto che, visto che le società che ne
avrebbero potuto usufruire erano tutte imprese in rapida
crescita, il regime avrebbe avuto un impatto considerevole nei tre anni in cui le agevolazioni sarebbero state ap-
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DOCUMENTAZIONE
plicate. Dopo aver esaminato le osservazioni dell’Italia e
i commenti ricevuti da terzi, la Commissione ha concluso
che il regime costituisce un aiuto di Stato selettivo in
quanto consente unicamente alle società ammesse alla
quotazione durante il 2004 di fruire di una riduzione dell’imposta. L’aiuto è proporzionale agli utili realizzati dai
beneficiari nel periodo ed equivale perciò ad un aiuto al
funzionamento, un tipo di aiuto che è vietato. Inoltre, poiché l’aiuto è concesso mediante il sistema tributario nazionale, sono di fatto favorite le imprese registrate in Italia. Infine, il fatto che dell’agevolazione fiscale potessero
beneficiare solo le società che si facevano ammettere alla
quotazione in borsa si traduceva in un aiuto occulto a favore di alcune delle imprese con il tasso di crescita più
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alto nell’economia italiana ed aveva quindi effetti pregiudizievoli sugli scambi e sulla concorrenza all’interno della Comunità. La Commissione ha rilevato che l’aiuto non
era neppure destinato a finanziare investimenti ammessi
a beneficiare di un sostegno nel quadro delle regole sugli
aiuti di Stato e doveva quindi essere considerato incompatibile con il mercato comune. Poiché ha dato esecuzione all’aiuto senza la previa autorizzazione della Commissione, l’Italia dovrà recuperare gli aiuti di cui i beneficiari abbiano già illegittimamente usufruito. L’Italia aveva
avvertito i potenziali beneficiari della possibilità che l’agevolazione avrebbe potuto essere considerata un aiuto
illegittimo già al momento dell’avvio dell’indagine formale e questo dovrebbe facilitare il recupero.