Quaderni di Teoria Sociale n. 13 | 2013 Morlacchi Editore Quaderni di Teoria Sociale Direttore Franco Crespi Co-direttore Ambrogio Santambrogio Comitato di Direzione Franco Crespi, Enrico Caniglia, Gianmarco Navarini, Walter Privitera, Massimo Rosati, Ambrogio Santambrogio Comitato Scientifico Franco Crespi, Franco Cassano, Luigi Cimmino, Cecilia Cristofori, Alessandro Ferrara, Paolo Jedlowski, Carmen Leccardi, Danilo Martuccelli, Massimo Pendenza, Davide Pero, Walter Privitera, Loredana Sciolla, Roberto Segatori, Gabriella Turnaturi, Elisabetta Zontini Redazione a cura di RILES Per il triennio 2013-2015 Ambrogio Santambrogio Gianmarco Navarini Teresa Grande Nota per i collaboratori I “Quaderni di Teoria Sociale” sono pubblicati con periodicità annuale. I contributi debbono essere inviati a Quaderni di Teoria Sociale, Dip. di Scienze Politiche, Via Elce di Sotto, 06123, Perugia, in dattiloscritto e su supporto elettronico (preferibilmente Word per Windows), seguendo le modalità di impaginazione e di citazione usate nella rivista. Per contattare la redazione: [email protected] Impaginazione: Agnese Tomassetti Quaderni di Teoria Sociale, n. 13, 2013. ISSN: 1824-4750 Copyright © 2013 by Morlacchi Editore, Piazza Morlacchi 7/9 | Perugia. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata. www.teoriasociale.it | [email protected] | www.morlacchilibri.com Stampa: novembre 2013, Digital Print, Segrate (Milano). Quaderni di Teoria Sociale n. 13 | 2013 www.teoriasociale.it Sommario Parte monografica Gramsci e la sociologia (a cura di Massimo Rosati e Michele Filippini) Michele Filippini, Massimo Rosati Introduzione. Ampliare il canone: la sociologia e Gramsci Massimo Rosati Conversazioni immaginarie: Gramsci e Durkheim sulla trama del sociale 9 21 Michele Filippini Antonio Gramsci e Max Weber. Un dialogo a distanza sulla “selezione” fordista 51 Giovanni Pizza Gramsci e de Martino. Appunti per una riflessione 75 Miguel Mellino Gramsci a pezzi o la decostruzione postcoloniale di Gramsci 121 A partire dai classici Ritorno a Tarde (a cura di Massimo Pendenza) Massimo Pendenza Ritorno a Gabriel Tarde 145 Andrea Salvini È davvero una rivincita? L’opera di Gabriel Tarde e la sua rivalutazione nella riflessione sociologica contemporanea 149 Massimo Cerulo Gabriel Tarde e le emozioni: appunti per la riscoperta di un classico 167 Saggi Ursula Apitzsch Revolution, Defeat, and Subalternity: Antonio Gramsci in dialogue with Giulia and Tatiana Schutz 187 Emanuela Susca Teoria critica ed emancipazione: il contributo di Pierre Bourdieu 215 Gennaro Ienna Pierre Bourdieu: un caso epistemologico 239 Gennaro Iorio L’amore-agape: un concetto per la critica sociale 269 Giovanni Barbieri Il ritorno della comunità 293 Loris Caruso Critica sociale ed emancipazione collettiva nei movimenti sociali contemporanei 321 Lello Savonardo Pop music, mass media e culture urbane 357 Libri in discussione Enrico Caniglia Recensione a Andrea Spreafico, La ricerca del sé nella teoria sociale, Armando Editore, Roma 2011. 383 *** Notizie sui collaboratori di questo numero Elenco dei revisori permanenti 389 395 Parte monografica Gramsci e la sociologia (a cura di Massimo Rosati e Michele Filippini) Michele Filippini, Massimo Rosati Introduzione. Ampliare il canone: la sociologia e Gramsci 1. The sound of silence I l silenzio sociologico – intendendo con ciò il silenzio della letteratura sociologica italiana ufficiale (manuali, riviste accademiche, monografie, ecc.) – su Gramsci è piuttosto assordante. Eppure la storia di questo rapporto mancato tra la sociologia italiana e Gramsci aveva avuto un possibile punto di innesco nei primi interventi di Alessandro Pizzorno e Luciano Gallino alla fine degli anni sessanta (Pizzorno 1967; Gallino 1967). L’accento veniva posto in quel caso su due elementi: da un lato le evidenti potenzialità sociologiche insite nella lettura gramsciana della crisi dell’ordine liberale di inizio Novecento, dall’altro la forte critica di Gramsci alla sociologia del suo tempo, che però non inficiava la portata gnoseologica e scientifica dello studio dei fatti sociali. Entrambi gli autori rilevavano al famoso convegno gramsciano del 1967 come i concetti gramsciani “anticipano a volte con sorprendente chiarezza taluni esiti della sociologia contemporanea” (Gallino 1967, 81), e che quindi bisogna “indicare certe confluenze fra la concettualizzazione gramsciana e quella delle scienze sociali odierne” (Pizzorno 1967, 117). Dopo questo iniziale interesse è difficile rintracciare altre tracce di questo rapporto mancato. Gli stessi due elementi vengono ancora ribaditi nell’unica 12 | Michele Filippini, Massimo Rosati “sistematica” trattazione del rapporto tra Gramsci e la sociologia, condotta dai Quaderni dell’Istituto Gramsci Marche un quarto di secolo dopo, nel 1992, in un numero curato da Massimo Paci che aveva per titolo Gramsci e i classici della sociologia. Al centro dell’analisi erano, in quel numero, il rapporto tra Marx e Gramsci (Umberto Cerroni), Durkheim e Gramsci (Alberto Izzo), Weber e Gramsci (Alessandro Cavalli). Firme prestigiose di alcuni dei “padri” della sociologia e scienza politica italiane. Massimo Paci, nella sua introduzione, sottolineava come in Gramsci fosse presente “un vero e proprio disegno di teoria sociale complessiva” (Paci 1992, 10), ma anche come ancora in occasione delle (allora) recenti celebrazioni del Cinquantenario della morte di Gramsci fosse stata data “scarsa attenzione (…) alla rilevanza della concettualizzazione gramsciana per l’analisi della società contemporanea” (ivi, 5). Nel 1998, in un bel volume dal titolo Il mondo in questione, Paolo Jedlowski, nel capitolo finale su “La sociologia in Italia agli inizi del secolo”, dedicava un paragrafo ad Antonio Gramsci, sottolineandone (cosa non scontata purtroppo) le differenze rispetto al pensiero degli elitisti Mosca e Pareto, e soprattutto le intuizioni sociologiche nell’analisi del fordismo, la rilevanza del concetto di egemonia, e in generale l’opera di de-positivizzazione del marxismo (Jedlowski 1998, 166-169). Bisognerà poi aspettare il 2011 per vedere edito, per i tipi dell’editore Belforte di Livorno (dunque non proprio con una grande visibilità accademica e pubblica), un volumetto di Gerardo Pastore, dottore di ricerca in Storia e sociologia della Modernità a Pisa, dal titolo Antonio Gramsci. Questione sociale e questione sociologica, il cui contenuto mantiene però poche delle promesse del titolo.1 Non molto in sostanza. La domanda, ovvia, è: perché? Perché la sociologia italiana non ha inglobato nel suo canone, sistematicamente, le analisi di Gramsci? Perché non si è fatta promotrice di un suo riconoscimento nel canone sociologico internazionale, in cui Gramsci è poco più presente che in Italia, ma per lo più considerato all’interno della tradizione elitista (cfr. Bellamy 1987; Levine 1995)? 1 Uno dei due autori ha indagato sistematicamente negli ultimi dieci anni il tema del rapporto tra le scienze sociali e il pensiero di Antonio Gramsci. Rimandiamo quindi in questa occasione alla prossima pubblicazione di un volume sul tema di Michele Filippini, frutto del lavoro di ricerca seguito a una tesi di dottorato che è comunque già rintracciabile online a questo indirizzo: http://amsdottorato.cib.unibo.it/820/1/Tesi_Filippini_Michele.pdf. Introduzione. Ampliare il canone: la sociologia e Gramsci | 13 Perché, anche considerando le voci di autori come Antony Giddens e Randall Collins – evidentemente non insensibili a generiche eredità marxiste, o a sociologie del conflitto, o ad analisi del capitalismo – al nome di Gramsci possiamo trovare associate al più poche ricorrenze negli indici analitici, ma mai nulla di simile a una trattazione più sistematica? Ancora in un volume del 2009, Capitalism and Classical Sociological Theory, edito da John Bratton, David Denham e Linda Duetschmann, il nome di Gramsci è completamente assente. Almeno con riferimento all’Italia, l’ipotesi che è stata avanzata è che a pesare sia stata la critica di Gramsci alla sociologia. Dagli scritti giovanili fino ai Quaderni, Gramsci identifica la sociologia con il positivismo e l’evoluzionismo, in Francia come in Italia, nel campo conservatore come soprattutto in quello socialista riformista, entrambi tesi a individuare presunte leggi della storia e della società, con l’effetto di negare la dinamicità della storia stessa e la dimensione del libero agire di individui e gruppi. Ma può essere bastato il giudizio negativo di Gramsci sulla sociologia per rendere ancora oggi quest’ultima, in Italia e non solo, insensibile a quel disegno di teoria sociale complessiva implicito, secondo il giudizio di Paci, nel pensiero di Gramsci? Per tentare di offrire una risposta, i saggi pubblicati in questo volume dei Quaderni di Teoria Sociale indagano alcune aree in passato del tutto neglette o poco battute di possibile confronto teorico tra il pensiero di Gramsci e la sociologia. Si tratta, come risulterà evidente, di un primo tentativo, di un contributo che intende aprire una strada e stimolare lavori ulteriori, senza rinunciare tuttavia ad avanzare una proposta interpretativa circa le ragioni di questo silenzio. 2. La società sommersa L’ipotesi che sottoponiamo ai lettori e che esploriamo almeno indirettamente nei contributi a questo volume dei Quaderni di Teoria Sociale è che alla sociologia il pensiero di Gramsci sia “sfuggito”, in Italia come altrove, per questioni squisitamente teoriche, legate alla sovra-determinazione ora del momento economico ora del momento politico nella interpretazione dei fatti sociali, che hanno lasciato in ombra e inesplorata la centralità della dimensione squisitamente sociale, il 14 | Michele Filippini, Massimo Rosati vero possibile luogo d’incontro tra sociologia e pensiero gramsciano. Sottrarre nell’analisi il sociale alla priorità dell’economico e del politico non significa d’altro canto, come è del tutto ovvio anche in Gramsci, non considerare le interazioni tra questo e quelli, ma farlo al di fuori di una logica piramidale e gerarchica propria del pensiero (e dell’azione politica) novecentesco. Sappiamo che il silenzio sociologico su Gramsci potrebbe essere indagato anche da altri punti di vista, con un’analisi ad esempio di sociologia della scienza, storia degli intellettuali, e anzi auspichiamo ulteriori letture di questo genere. Sappiamo altresì che la nostra proposta interpretativa, che si situa sul piano squisitamente teorico (e che non è priva di riflessi politici) può risultare essa stessa controversa, sia sul versante interno alle letture del pensiero di Gramsci sia su quello interno all’interpretazione della storia del pensiero sociologico e dei classici in particolare, ma riteniamo che se l’elemento di verità in essa contenuta sarà sufficiente per aprire un dibattito sul futuro (più che sul passato) di Gramsci nel pensiero sociologico, allora anche l’abbandono dei lidi classici dell’analisi sociologica potrà essere scusato. Per dimensione propriamente sociale intendiamo lo spazio “societario” (Ricciardi 2010) della politica interna al mondo della vita, pre-politica nel senso statale dell’espressione; quella dimensione così propria del pensiero di Gramsci da renderlo celebre proprio in virtù del nesso tra potere ed egemonia (Fontana 1993), del circolo tra coercizione e consenso. Tuttavia, paradossalmente, è proprio alla sociologia che è sfuggito come quel nesso e circolo tra coercizione e consenso, un tema tipicamente durkheimiano, si produca per Gramsci sul terreno del sociale, delle pratiche di formazione e trasformazione di una forma di vita, di un’immagine del mondo (weberianamente), di una coscienza collettiva (durkheimianamente), in cui giocano un ruolo chiave, nel lessico gramsciano, concetti come senso comune ed egemonia. Se ciò è accaduto, è dipeso in realtà dal fatto che la sociologia, con poche eccezioni (di cui Durkheim è forse la principale) ha condiviso piuttosto autolesionisticamente il pregiudizio secondo cui il sociale è una realtà intrinsecamente anomica, che necessita del politico per essere normata. La fortuna di Gramsci nel mondo (Filippini 2011; Kanoussi, Schirru, Vacca, 2011; Baroncelli, Del Pero, Schirru, Vacca, 2010; Baldussi, Manduchi 2009; Capuzzo, Schirru, Vacca, 2008; Schirru, Vacca, 2007; Santucci 1995) è dipesa, negli ultimi decenni, soprattutto dalla “scoperta” che ne è stata fatta dai cultu- Introduzione. Ampliare il canone: la sociologia e Gramsci | 15 ral studies e dalla new left (cfr. Williams 1977; Hall 2006), dai postcolonial e dai subaltern studies (cfr. Mellino 2005). Dalla Sardegna al mondo (cfr. Serra in Baldussi, Manduchi 2010), per così dire, questa ampia galassia di studi, che come sostiene Mellino in questo volume decostruisce in realtà il pensiero di Gramsci, ha trovato prima nel recupero delle dimensioni sovrastrutturali e poi nello spostamento d’attenzione gramsciano dal (solo) concetto di classe a quello di “gruppi subalterni” un riferimento prezioso per studiare le pratiche di resistenza e lotta che negli stati postcoloniali si danno al di fuori dei circuiti della rappresentanza politica della cittadinanza e della partecipazione democratica, al di fuori delle lenti di analisi della teoria politica liberale e costituzionale (cfr. Chatterjee 2006). All’interno di un quadro teorico e di una sensibilità intellettuali diverse, anche Shmuel N. Eisenstadt (2010), oltre a usare frequentemente il concetto gramsciano di egemonia, nota come il pensiero di Gramsci sia una delle prime fonti capaci di mettere in questione le teorie della convergenza, di pensare la complessità dei rapporti tra processi di modernizzazione e specificità dei contesti, a partire da una sensibilità, inusuale nel marxismo del tempo, per le variabili genericamente sovrastrutturali. Recentemente il pensiero di Gramsci è stato usato anche per cogliere alcune dinamiche del processo di penetrazione dell’Islam post-politico turco nel centro della Repubblica “kemalista”, attraverso una dialettica in cui allo sviluppo del capitalismo verde delle tigri anatoliche si accompagna un’operazione da un lato di ricerca di conquista egemonica da parte dell’Islam della società civile turca, dall’altra un’opera di assorbimento da parte del capitalismo dell’Islam “moderato” (Tuğal 2009). Più in generale, al di là del caso turco, il pensiero di Gramsci torna estremamente utile agli studiosi per comprendere la forza egemonica che movimenti come i Fratelli Mussulmani hanno nel mondo arabo contemporaneo (Baldussi, Manduchi 2009). Ancora una volta, tuttavia, la portata sociologica del pensiero gramsciano emerge quanto più anche la sociologia storico-comparativa si fa sensibile a una svolta culturalista, da un lato, e a una revisione dei rapporti tra politico-economico-sociale, in cui cioè anche il ruolo di movimenti di questo genere (ancora, in Turchia emblematico il caso del Fetullah Gülen) è comprensibile solo ri-concettualizzando i rapporti tra religione, politica e società fuori da un quadro istituzionalista classico. 16 | Michele Filippini, Massimo Rosati Gli esempi sopra riportati servono a mostrare come il rinnovato interesse per il pensiero di Gramsci nel mondo, soprattutto nel primo decennio del nuovo millennio (cfr. Liguori 2012), siano legati alla valorizzazione – teorico-interpretativa oltre che politica – di una dimensione della vita collettiva – il sociale appunto – che con troppa fretta il pensiero sociologico nel Novecento ha teso a riassorbire logicamente entro le dimensioni ora politica ora economica. Eppure, proprio i classici della tradizione sociologica avevano mostrato come una diagnosi critica della modernità non potesse prescindere dall’interpretazione dei mutamenti interni alla dimensione del sociale, dal lavoro di scavo nelle logiche di funzionamento di quest’ultimo. Vale quindi forse la pena intraprendere un confronto teorico sistematico e diretto tra Gramsci e le interpretazioni sociologiche della modernità su questo punto: carattere, trasformazioni e ruolo della dimensione del sociale nella modernità – oggi diremmo nelle modernità – in relazione, naturalmente, alle altre sfere che compongono quest’ultima. 3. Percorsi di lettura Riprendendo e proseguendo il lavoro di ricerca iniziato con Una filologia della società (Filippini 2008, 2009) Michele Filippini dedica il suo contributo al confronto tra Max Weber e Gramsci. Sebbene i riferimenti a Weber nei Quaderni del carcere siano sporadici, tanto da far pensare, in prima istanza, a un “rapporto mancato”, una più attenta analisi rivela tanto una serie di tematiche comuni, quanto un approccio radicale, di entrambi gli autori, ai problemi sollevati dallo sviluppo capitalistico (la legittimità del potere politico, l’avvento del fordismo, la burocratizzazione). Sia Weber che Gramsci, pur rimanendo saldi nelle proprie appartenenze di classe, condividono una concettualità specifica che risale alla tradizione delle scienze sociali ottocentesche, alla formazione di quel corpus di concetti e problemi che vogliono aggredire una realtà sociale che ha di per sé una forte valenza politica, con la quale il potere politico “statale” deve continuamente fare i conti. Quello che emerge da questo confronto è l’interesse di entrambi gli autori per la dimensione propriamente sociale di una condotta da vita, quella moderna, le cui ricadute antropologiche costituiscono il luogo privilegiato dell’a- Introduzione. Ampliare il canone: la sociologia e Gramsci | 17 nalisi della modernità e, per Gramsci, anche dell’azione emancipatoria. I testi presi in considerazione in questo specifico contributo – il gramsciano Quaderno 22 su Americanismo e fordismo e i saggi weberiani su Selezione e adattamento – sono solo uno dei possibili banchi di prova di questo doppio legame, che vede la sensibilità sociologica di Gramsci connettersi alla politicità intrinseca della sociologia classica. Il contributo di Massimo Rosati intende proporre, benché in modo ancora solo esplorativo, il rapporto tra una costellazione concettuale gramsciana (senso comune, ideologia, ma anche giacobinismo, Riforma) e la concezione durkheimiana della religione. La definizione di David Lockwood – che ha chiamato Gramsci “il Durkheim del marxismo” – ha una sua cogenza anche in virtù di una concezione complessa e non riduzionista della religione. La letteratura su questo particolare aspetto del pensiero di Gramsci – il rapporto con la religione – benché non copiosissima, sembra per lo più omettere qualsiasi riferimento incrociato all’analisi durkheimiana, laddove la letteratura intorno alla concezione durkheimiana dello stesso fenomeno – al contrario numerosa – omette a sua volta possibili utili integrazioni con il pensiero gramsciano. Attraverso un’inedita conversazione tra Gramsci e Durkheim, Rosati sostiene che i due autori convengono nel ritenere che la società sia un fatto morale, e nel ritenere che la trama di questo fatto morale (consenso/conformismo più coercizione, coercizione e desiderabilità) venga tessuta con il filo di fonti normative che affondano nel senso comune, e quindi anche nelle religioni (per Gramsci) e nella grammatica e semantica del sacro (per Durkheim). In modi certamente non identici, ciò comporta, in entrambi gli autori, una “fuoriuscita dal primato del politico” che ci riporta direttamente all’ipotesi interpretativa che stiamo avanzando in questa introduzione. Il contributo di Giovanni Pizza, infine, ci porta in un campo ancora poco esplorato, ma ricco di suggestioni, come quello del rapporto tra Gramsci e l’antropologia, nel confronto con il suo esponente italiano più famoso, Ernesto De Martino. Infine, il contributo di Miguel Mellino apre l’orizzonte dei nessi Gramscisociologia oltre i confini teorici della disciplina classica, indagando la fortuna globale di questo autore e l’appropriazione selettiva e soggettiva che ne è stata fatta 18 | Michele Filippini, Massimo Rosati da tradizioni teoriche anche molto distanti da quella europea. Vengono quindi ricostruiti da Mellino i percorsi di lettura gramsciani dei Subaltern studies e dei Cultural studies, rivendicando a queste tradizioni di pensiero non una filiazione diretta, ma un “passaggio” attraverso Gramsci, che ha permesso loro di acquisire strumenti teorici per la critica della storiografia coloniale (Guha 1997; Chatterjee 1986) o del razzismo (Hall 2006). Mellino prova a evidenziare due tratti centrali di queste letture, l’antistoricismo e l’antiumanesimo, esortando a decostruire e pluralizzare Gramsci più che a ritrovarne una figura di “padre nobile”. Seppure le discipline coinvolte da questi “usi” particolari del pensiero gramsciano siano la storia, la filosofia e la teoria politica, e almeno non in prima istanza la sociologia, ci è sembrato opportuno, con quest’ultimo contributo, ampliare il discorso, proprio in virtù del fatto che il loro oggetto di studio insiste sul punto specifico che qui sosteniamo, ovvero la politicità non riconosciuta ma potente di un sociale che, se da una parte non è anomico e quindi “normato” in maniera verticale dal politico, dall’altra conserva al suo interno una politicità che sia la sociologia che la teoria politica faticano a vedere. Questo volume monografico su Gramsci e la sociologia aspira a contribuire alla riapertura di un discorso su questo rapporto.