Imposta ungherese sul commercio locale nel contesto comunitario

DIRITTO TRIBUTARIO COMUNITARIO
Imposta ungherese sul commercio locale
nel contesto comunitario
di Dániel Deák(*)
Come l’imposta regionale italiana sulle attività produttive, esaminata dalla Corte di Giustizia
europea nel caso C-475/03(1), così l’imposta ungherese sul commercio locale è stata oggetto di
controversie, ma, a differenza dell’IRAP, potrebbe rientrare nella portata del divieto sancito
all’articolo 33 (1) della sesta Direttiva.
1. Il problema dell’imposta ungherese
sul commercio locale alla luce
della sentenza sull’IRAP
L’imposta ungherese sul commercio ungherese è
un’imposta proporzionale ai ricavi e il cui carico fiscale viene traslato tipicamente dal contribuente al
consumatore. Sebbene la Corte di Giustizia abbia alla fine deciso sul caso disattendendo i pareri degli
Avvocati generali, questi ultimi sono certamente rilevanti per valutare gli orientamenti che si sviluppano nell’interpretazione dell’articolo 33 della sesta
Direttiva.
Come spiegato dall’Avvocato generale Dott.ssa
Christine Stix-Hackl al paragrafo 29 del suo parere(2), possono evidenziarsi due diversi aspetti dell’approccio seguito dalla Corte al problema. Innanzitutto, si può promuovere un fondamentale interesse su
come tutelare i principi che sostengono il sistema
dell’IVA e su come precludere interferenze con esso.
In secondo luogo, si può comunicare una volontà di
definire più formalmente e nell’interesse della certezza giudiziaria i criteri secondo i quali le imposte
nazionali possono essere chiaramente identificate
come incompatibili con il sistema dell’IVA. Facendo
un accertamento dell’imposta in discussione, l’Avvocato generale afferma, al paragrafo 35 del proprio
parere, che la Corte di Giustizia ha giustamente ritenuto che un’imposta non deve necessariamente essere identica all’IVA sotto ogni aspetto per ricadere
nel divieto. Tuttavia, in ogni circostanza deve considerarsi vietata se presenta le caratteristiche essenziali dell’IVA. La Dott.ssa Stix-Hackl pensa che a tal
fine non è necessario trovare una coincidenza con le
singole caratteristiche in maniera rigida e assoluta,
essendo sufficiente una corrispondenza sostanziale
ed effettiva.
Inoltre, fatto ancor più importante è che al paragrafo 57 l’Avvocato generale sostiene che l’articolo
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93 del Trattato non riesce a fornire una valida base
giuridica per l’armonizzazione dell’imposizione diretta a livello comunitario. Tuttavia, esso può chiaramente fornire una base valida per il legislatore comunitario per vietare qualunque forma di imposizione nazionale in grado di mettere a repentaglio il funzionamento di una forma di imposizione indiretta armonizzata come è l’IVA. Non è necessario ricercare
una diversa base giuridica soltanto perché l’imposizione nazionale in questione potrebbe avere alcune
caratteristiche dell’imposizione diretta. Ciò che importa è verificare se possiede caratteristiche tali da
ostacolare il funzionamento del sistema dell’IVA,
senza tener conto dell’eventualità che ne abbia anche altre, nel caso in cui queste ultime non lo mettano a rischio. L’Avvocato generale Stix-Hackl continua al paragrafo 58 sostenendo che l’articolo 93 del
Trattato delle Comunità europee non consente alla
legislazione comunitaria di invadere la sovranità degli Stati membri nel campo dell’imposizione diretta.
D’altra parte, lo stesso articolo non consente agli
Stati membri di adottare, nell’esercizio della propria
sovranità, misure tali da mettere a repentaglio gli accordi per l’armonizzazione della tassazione indiretta.
In seguito all’adesione dell’Ungheria all’Unione
europea, applicare il diritto comunitario e valutare
le conseguenze giuridiche, basandosi sul confronto
funzionale fra la legislazione comunitaria e quella
nazionale, è un compito difficile per gli enti pubbli([email protected]). Professore di Diritto, Università
Corvinus di Budapest, Dipartimento di Diritto Finanziario e
Tributario; Membro del Comitato di Ricerca, Istituto di Ricerca sul
Diritto e le Politiche Tributarie, Università di Monash, Melbourne
(*)
Note:
Sentenza della Corte di Giustizia del 3 ottobre 2006 (non ancora
pubblicata in Racc.).
(1)
Rilasciato il 14 marzo 2006 sul caso C-475/03, Banca Popolare di
Cremona. È stato preceduto da un parere sullo stesso caso rilasciato
dal primo Avvocato generale, F. Jacobs, il 17 marzo 2005.
(2)
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ci ungheresi. Il significato giuridico delle leggi nazionali non può essere spiegato in modo statico, ma
nel contesto del diritto comunitario, rispecchiando il
mercato interno così com’è in un dato luogo e in un
certo periodo. La relazione di autorità fra il diritto
comunitario e quello nazionale non può essere
esplorata senza che prima venga chiarito l’impatto
della legislazione nazionale sull’azione di un’istituzione del diritto comunitario qual è l’imposta sul valore aggiunto armonizzata. La stima delle stesse caratteristiche della legislazione nazionale (es.: la legge nazionale dell’imposta sul commercio locale) potrebbe mutare in relazione all’influenza che la legge
nazionale potrebbe esercitare sugli effetti del diritto
comunitario che le si avvicina. Al contrario, i rilievi
che muovono verso la legislazione nazionale potrebbero essere cambiati nella loro applicazione in dipendenza dalle politiche della legislazione comunitaria presente.
Un’affermazione resa nel parere del secondo Avvocato generale può essere utile per rispondere alla
questione posta dalla corte ungherese alla corte delle Comunità europee riguardo il caso ungherese dell’imposta sul commercio locale, nei seguenti termini. Secondo una corretta interpretazione della sesta
Direttiva, quali sono i criteri in base ai quali un’imposta può considerarsi priva delle caratteristiche di
un’imposta sugli affari secondo l’articolo 33 della
sesta Direttiva?(3) Al paragrafo 41, l’Avvocato generale Stix-Hackl conclude la propria analisi sostenendo che un’imposta non mette verosimilmente a
repentaglio il funzionamento dell’imposta sul valore
aggiunto armonizzata:
• se non si applica in modo generale (le imposte riservate a specifiche categorie di beni o servizi
non possono verosimilmente interferire con il sistema nel suo complesso);
• se non è prelevata in ogni stadio della produzione
o della catena di distribuzione (questi tipi di imposte potrebbero riguardare una particolare fase
della catena, ma non l’intero sistema);
• se non è proporzionale al valore aggiunto di ciascuno stadio e quindi al prezzo globale di ogni fase (le imposte ad aliquota fissa possono in generale coesistere in parallelo con imposte proporzionali) e
• se non è possibile traslarla sul consumatore finale.
La corte ungherese, affrontando la sopraccitata
questione, suggerisce una risposta che sembra essere negativa. Ciò significa che i giudici nazionali, nella loro decisione di rinvio pregiudiziale(4), enumerano le caratteristiche dell’imposta ungherese sul
commercio locale, che sembra un’imposta diversa
da quella sugli affari ai fini sesta Direttiva:
• l’imposta sul commercio locale non può considerarsi di carattere generale (questa affermazione
della corte ricorrente è diametralmente opposta
all’opinione dell’Avvocato generale);
• l’oggetto dell’imposta sul commercio locale sono
le attività imprenditoriali (commerciali) e il contribuente è l’imprenditore (da notare che l’oggetto base di un’imposta è sottoposto alla legge sui
tassi locali per le attività economiche, non per
quelle imprenditoriali (commerciali); questa casistica è vera anche per l’IVA);
• la base imponibile dell’imposta sul commercio
locale è costituita dai ricavi rettificati con certe
partite contabili mentre, eccezionalmente, è applicabile una sorta di imposta forfetaria (la corte
sostiene che questa imposta è diversa dall’IVA);
• la determinazione del debito d’imposta può, per
varie ragioni, derogare alle regole generali tramite l’applicazione estensiva di misure per ottenere
sgravi fiscali (la corte afferma che questa imposta
è diversa dall’IVA); e
• l’imposta sul commercio locale non deve essere
indicata in un documento assimilabile a una fattura; la traslazione dell’aggravio fiscale sul consumatore finale non sarebbe automatica; l’imposta inclusa nel prezzo di vendita non può essere
portata in detrazione (non è menzionato nella disposizione della corte nazionale che la base imponibile dell’imposta sul commercio locale potrebbe essere rettificata con certe partite contabili con un esito assimilabile nell’insieme alla deduzione dell’IVA a credito, calcolabile dall’IVA
in relazione a ciascuna singola transazione).
Mentre l’esame minuzioso dell’imposta sul commercio locale viene posto nel contesto dell’obiettivo
di armonizzazione europea delle imposte indirette,
Note:
Riferimento per un rinvio pregiudiziale da Zala Megyei Bíróság,
Ungheria, depositato il 29 giugno 2006 - Kögáz Rt. e altri nel caso C283/06, GUCE C 212 (02.09.06), pag. 23. Un altro caso è stato aggiunto a questo sotto il n. C-312/06, GUCE C 327 (30.09.06), pag. 6, in seguito al rimando per un rinvio pregiudiziale inoltrato dalla Corte suprema della Repubblica ungherese e riguardante lo stesso problema
giuridico. La Corte suprema ha reiterato la questione che la precedente Corte nazionale aveva posto riguardo la portata della deroga
(con la decisione n. Kfv.I.35.021/2006/8), depositandola il 18 luglio.
Tuttavia, la seconda questione della Corte suprema, che affronta il
problema di interpretazione sostanziale della legge, è stata convertita. Vale a dire che riguarda direttamente l’imposta nazionale in discussione. Quindi, la Corte suprema chiede se l’art. 33 della sesta Direttiva impedisce all’Ungheria di mantenere un’imposta come quella sul commercio locale nella sua attuale forma.
(3)
(4)
Zala Megyei Bíróság, 1.K.21.703/2005/13.
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ciò che è interessante non è tanto la qualificazione
giuridica dell’imposta nazionale di che trattasi,
quanto piuttosto rispondere al problema se l’imposta
nazionale in questione possa mettere a repentaglio,
con le sue specifiche caratteristiche, il sistema europeo armonizzato dell’IVA. Di conseguenza, il significato dell’articolo 33 della sesta Direttiva deve essere esaminato tenendo in considerazione che:
• dall’articolo 93 del Trattato delle Comunità europee, relativamente al corretto funzionamento del
mercato comune, si evince che è proibito mantenere un’imposta nazionale che non sia compatibile con le imposte indirette armonizzate;
• secondo l’articolo 2 della prima Direttiva consigliare,(5) è proibito mantenere un’imposta nazionale che sia prelevata sul valore aggiunto in modo non cumulativo.
Nel caso dell’imposta ungherese sul commercio
locale, il requisito per cui un’imposta nazionale dovrebbe essere prelevata sul valore aggiunto non può
essere rispettato solo nella misura in cui l’imposta
prelevata in un primo stadio potrebbe essere portata
in detrazione, riducendo i ricavi conseguiti dalle vendite dal costo degli acquisti, sulla base dei dati aggregati del giro d’affari registrato di volta in volta ai
fini fiscali. Il significato dell’articolo 33 aiuta più del
comune sistema di imposizione sul valore aggiunto
così come introdotto dalla sesta Direttiva. Nel momento in cui implementa l’articolo 93 del Trattato,
l’articolo 33 non prescrive che è proibito mantenere
un’imposta nazionale che possa essere caratterizzata
dal sistema uniforme di imposizione sul valore aggiunto così come introdotto dalla sesta Direttiva. Esso sancisce che è proibito mantenere un’imposta nazionale che venga prelevata sul valore aggiunto in
proporzione al prezzo pagato dal contribuente nell’ipotesi che l’imposta da versare sia la stessa, senza tenere conto del numero di transazioni intervenute.
Dal momento che il tenore letterale dall’art. 33
sembra consentire agli Stati membri di mantenere
imposte nazionali che non possono considerarsi imposte sugli affari ai fini di quell’articolo, l’idea del divieto così come stabilito dall’art. 33 nasce proprio dal
concetto dell’imposta sul valore aggiunto armonizzata. Non appare, dunque, ragionevole confrontare minuziosamente le imposte nazionali con il sistema armonizzato dell’IVA, come introdotto dalla sesta Direttiva, e in particolare con il calcolo dell’imposta in
ogni stadio del processo di offerta di beni o servizi e
con la detrazione dell’IVA a credito prelevata in una
fase precedente, secondo l’art. 17 (2) della sesta Direttiva. L’art. 33 deve essere interpretato alla luce
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dell’art. 93, o persino dell’art. 10, del Trattato: gli
Stati membri non devono mettere a repentaglio il raggiungimento degli obiettivi del Mercato interno stabiliti dal Trattato. Nel caso in cui, esaminando un’imposta nazionale, il sistema comune della tassazione
sul valore aggiunto servisse quale termine di confronto, lo scopo del divieto sancito dall’art. 33 in
realtà verrebbe meno. La questione se un’imposta
nazionale sia compatibile con l’imposta sul valore aggiunto è stata, infatti, sollevata perché l’imposta nazionale ungherese non sembra identica all’IVA, nonostante presenti alcune similarità, dal momento che
è prelevata sul valore aggiunto in modo non cumulativo. Paradossalmente, maggiore è la somiglianza di
un’imposta nazionale con l’IVA, minore è la probabilità che ostacoli il suo operare (paragrafo 36).
2. Le caratteristiche dell’imposta
ungherese
La legge nazionale che ha introdotto l’imposta ungherese sul commercio locale consente ad ogni governo locale di decidere se applicarla e a quale aliquota
(che in ogni caso non può essere superiore al 2%). Di
solito, tuttavia, l’imposta viene prelevata al tasso più
elevato in tutto il Paese.(6) Diversamente dall’IVA, non
è prelevata sulle singole transazioni, ma sul valore
aggiunto che deve essere determinato cumulativamente di anno in anno, sottraendo dai ricavi il costo
delle merci vendute, determinati costi di produzione
e i costi dei servizi di intermediazione risultanti dalle
scritture contabili. Il modo in cui il debito d’imposta
è calcolato è comunque irrilevante ai fini del confronto: mentre nel sistema dell’IVA l’imposta a credito
può essere detratta in relazione a ogni singola operazione commerciale, in quello dell’imposta sul commercio locale la base imponibile viene adeguata di
anno in anno per legge. È importante notare che l’imposta ungherese, come l’IVA, è prelevata sui ricavi e
oggetto di tassazione sono le attività economiche (paragrafo 4 (d) dell’Atto sulle Imposte locali), esattamente come nell’IVA. Diversamente dall’imposta sul
valore aggiunto, tuttavia, la legge nazionale non forniNote:
(5)
Direttiva 67/227/EEC, GUCE 71 (14.04.67), pag. 1301.
Secondo il Governo ungherese, un’imposta non è di applicazione
generale se è prelevata a livello locale o regionale, in particolare se
è opzionale e/o l’ente locale o regionale può determinarne il tasso.
L’Avvocato generale Stix-Hackl certamente non è d’accordo con questa opinione (paragrafo 84). Infatti, pensa che il problema sia piuttosto se l’imposta è generale all’interno della sua area di applicazione, indipendentemente dal fatto se quell’area sia nazionale o solamente locale.
(6)
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sce un’autonoma definizione di attività economiche
cui si applica l’imposta. Sebbene possano essere notate delle differenze relativamente a regole particolari per il calcolo della base imponibile, in entrambi i
casi il punto di partenza per calcolarla sono i ricavi
(paragrafo 39 (1) dell’Atto sulle Imposte locali; paragrafo 22 (1) dell’Atto sull’IVA). I costi dell’imposta
sul commercio locale in cui incorrono i contribuenti
sono nella pratica tipicamente traslati sui consumatori finali includendoli nel prezzo di vendita, anche se
le spese del versamento dell’imposta sul commercio
locale possono essere dedotte per legge dalla base
imponibile delle società. Ne deriva che tutti i criteri
applicati dall’Avvocato generale possono essere utilizzati per definire, nel contesto del caso ungherese,
un’imposta che può caratterizzarsi come un’imposta
sugli affari ai fini dell’art. 33 della sesta Direttiva.
3. Conclusioni
Alla luce della posizione assunta dalla corte nazionale che nel caso C-283/06 ha posto all’attenzione dei
giudici comunitari l’imposta sul commercio locale,
non sembrano esistano valide argomentazioni a favore
della compatibilità dell’imposta ungherese con il sistema europeo armonizzato dell’IVA. La domanda posta dai giudici nazionali alla Corte di Giustizia non
sembra in realtà possa avere una risposta. La corte
ungherese, in sostanza, vorrebbe sapere in modo sistematico se può essere esclusa una volta per tutte l’ipotesi che l’imposta ungherese sul commercio locale
non sia compatibile con l’imposta sul valore aggiunto.
Il punto di partenza per esaminare il problema è l’art.
93 del Trattato delle Comunità europee, che è la fonte
di rango più elevato per l’accertamento delle questioni di incompatibilità. Come spiega il secondo Avvocato generale per il caso dell’IRAP (nel paragrafo 58 del
suo parere), si evince dall’art. 93 che non può essere
introdotta alcuna misura legale nazionale che possa
mettere a repentaglio il corretto funzionamento del
Mercato interno, in particolare dell’imposta sul valore
aggiunto armonizzata. L’art. 93 costituisce chiaramente in questo senso un limite alla giurisdizione nazionale per l’introduzione di imposte dirette o indirette.
Tuttavia, si può esaminare caso per caso solo il problema se la particolare legge nazionale sia compatibile con il diritto comunitario relativo. Dunque, la Repubblica ungherese non si può aspettare che la Corte
di Giustizia rilasci una sorta di proibizione per l’imposta ungherese sul commercio locale.
È possibile rispondere alla domanda su quali siano le caratteristiche che fanno sì che un’imposta deb-
ba essere considerata un’imposta sugli affari ai fini
della sesta Direttiva. La Corte di Giustizia ha minuziosamente esaminato diverse imposte nazionali. Nel
caso di cui trattasi, i giudici comunitari dovrebbero
analizzare l’imposta ungherese sul commercio locale
seguendo la costante giurisprudenza precedente,
cambiando pertanto la domanda posta dalla corte nazionale per riuscire a valutare nel merito l’imposta
ungherese sul commercio locale e per capire se sia
compatibile con l’imposta sul valore aggiunto.
Nel caso dell’IRAP, per ciò che riguarda la seconda caratteristica essenziale dell’IVA, la Corte di Giustizia ha osservato (al paragrafo 30) che, mentre l’IVA
è prelevata sulle singole transazioni nella fase di distribuzione e il suo ammontare è proporzionale al
prezzo dei beni o servizi offerti, l’IRAP è, al contrario, un’imposta calcolata sul valore netto della produzione di un’impresa in un determinato periodo. La
sua base di calcolo è data dalla differenza tra il “valore della produzione” e i “costi di produzione” che
appaiono nel conto economico (così definiti dalla legge italiana). Essa include elementi quali le variazioni delle rimanenze di magazzino e l’ammortamento,
che non hanno tuttavia alcun collegamento diretto
con l’offerta di beni o servizi in quanto tale. In queste
circostanze, l’IRAP non può essere considerata proporzionale al prezzo dei beni o servizi offerti. L’imposta ungherese sul commercio locale non è un’imposta
prelevata sulle attività produttive. Al contrario, essa
è applicata esclusivamente sul giro d’affari. Sebbene
nel caso dell’IRAP la Corte di Giustizia abbia ritenuto che l’imposta italiana in questione non fosse incompatibile con l’imposta sul valore aggiunto europea armonizzata, il caso ungherese può essere giudicato diversamente. L’imposta ungherese sul commercio locale è, infatti, diversa dall’IRAP dal momento
che quest’ultima può essere prelevata non solo sui ricavi delle vendite, ma anche sull’aumento delle giacenze di magazzino e del titolo di sviluppo.
La conclusione principale che si può trarre dalla
storia dell’imposta ungherese sul commercio locale,
paragonabile al sistema europeo armonizzato dell’imposta sul valore aggiunto, è che l’imposta sul
commercio locale da imporre sui ricavi di vendita,
anche se rettificata in molte circostanze, può essere
considerata in concorrenza con l’imposta sul valore
aggiunto armonizzata; per quanto riguarda la valutazione di ciò, è cruciale tenere in considerazione
l’impatto che questa imposta può generare sul corretto funzionamento dell’IVA, invece di focalizzarsi
sulla questione meramente dogmatica se essa possa
essere catalogata come imposta diretta o indiretta.
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