Cultura, società e Università. Università, società e cultura

OCCASIONAL PAPERS
R IFLESSIONI
N.
2
Cultura, società e Università.
Università, società e cultura
Franco Pontani
COPYRIGHT
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PROF. FRANCO PONTANI  8 SETTEMBRE 2011
RIFLESSIONI
Cultura, società e Università.
Università, società e cultura
Franco Pontani
cietà di capitali chiari, corretti e veritieri2.
Premessa
L’8 settembre di ogni anno, nell’ambito del programma dell’ONU “Decennio delle Nazioni Unite
per l’Alfabetizzazione” (2003-2012), si celebra la
“Giornata Internazionale dell’Alfabetizza-zione”
promossa dall’UNESCO.
In occasione della celebrazione dell’8 settembre
2009, il Segretario Generale dell’ONU, BAN KIMOON, nel suo messaggio ebbe a precisare:
“l’alfabetizzazione non è solo la capacità di scrivere o leggere: riguarda il rispetto, le opportunità e lo sviluppo”. “The Power of Literacy” (“La
forza dell’alfabetizzazione”) è espressione di un
ruolo decisivo per la partecipazione, la cittadinanza e lo sviluppo sociale.
In concreto, alla vigilia della scadenza del decennio del programma dell’ONU (il 2012 è alle
porte) non sembra che il percorso formativo dei
giovani, dalle scuole primarie alle Università, abbia segnato nel mondo, in Europa ed in Italia,
qualche passo decisivo nell’obiettivo del concreto
miglioramento del tenore di vita degli individui e
delle collettività e per una partecipazione democratica alle decisioni di qualsiasi società civile,
pur facendo dei netti distinguo tra aree geo-sociali
e politiche più avanzate nel percorso di alfabetizzazione rispetto ad altre.
Lo spunto per questo scritto deriva da due lettere, pubblicate sul periodico mensile Accountancy
del 2011, da cui ho ritenuto di trarre conferma,
per l’importanza della questione, di quanto da me
argomentato in tema di sapere in un Convegno del
19 giugno 20031 e, per talune “sostanze”, di
quanto scritto, in un contesto più specialistico e
riferito al mondo economico e finanziario, a supporto delle problematiche connesse agli interessi
degli stakeholder in bilanci di esercizio delle so1
“Il valore del sapere”, in www.aiea.it.
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Formazione e lauree triennali
Torniamo alle due lettere richiamate.
L’Institute of Chartered Accountants of England and Wales, espressione della professione
dell’Accounting britannico, accogliendo il dibattito, sia pure a mezzo di scambio di lettere, ha sostanzialmente posto sul tappeto l’importante questione del valore delle lauree triennali nel
“mercato” degli accountant ed in particolare di
quelli che si dedicano alla professione.
Le lettere di cui trattasi, che riporto testualmente, sono state pubblicate rispettivamente nel giugno e nell’agosto 2011.
DERECK C. SALE (FCA3, CA), nel giugno 2011,
ha scritto (Accountancy - AccountancyMagazine.com4):
“Fifty years ago my ambition was to join the ranks of
the prestigious UK chartered accountants. At that time
training for the professions was much the same across
the board: most law students aspiring to be solicitors
served, fresh out of high school, five years of ‘articles’
in a practising office, just as accountants did. Otherwise it was two the three years in the Inns of Court for
high school graduates aspiring to be barristers. This
2
Gli interessi degli stakeholder sono fortemente condizionati dalle culture sia dei redattori, sia degli utilizzatori delle informazioni di natura contabile, finanziaria e
gestionale ai fini di utili valutazioni e susseguenti decisioni. Sul tema il rinvio è a F. PONTANI, “La clausola
generale ed i principi di redazione del bilancio di esercizio”, Cedam, 2005 e “Il bilancio di esercizio delle
società di capitali”, Cedam, 2011 (in corso di stampa).
3
Fellow Chartered Accountant.
4
Non si è ritenuta opportuna una traduzione in italiano
che, nella trasposizione culturale, avrebbe potuto, in
qualche modo, condurre ad interpretazioni semanticamente fuorvianti.
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commonality in training gave credence to the proud
claim that we were members of a ‘learned’ profession.
Where is that claim today? To my chagrin the April
issue of the CA magazine laid bare for my Canadian
colleagues the atavistic state of the UK profession: a
Big Four firm was hiring young people, straight out of
high school, who would qualify as chartered accountants in five years. Had Britain not heard of a university
degree? After all, the other UK professions had long
ago puffed up their learned chests. Certainly, the legal
profession long ago put great store on its ‘academic’
programme, involving a university education, as a prerequisite to the ‘professional’ stage of training. Even
CICA5, the Commonwealth institute, acted on the need
for an academic base 40 years ago.
Is this note the age of the post-graduate profession
and/or MBA (masters) degrees? Why then is the ACA6
designation stuck in a 1950s backwater? In a world that
genuflects to the proverbial doctor, no professional
body can command the heights of public approbation
without a scholarly foundation. Indeed, without a robust
educational grounding as a necessary attribute how can
accountants raise the bar in the public domain they inhabit, defend against the stereotyping they encounter,
refute the disdain the media foists upon them? If the
raison d’être of the ICAEW’s education programme is
to provide cannon fodder for flagship firms, is the UK
profession notable today only for an anachronism?”.
La risposta alla lettera del professionista fornisce una drammatica valutazione della laurea (breve, il degree) in materie economiche.
JAMES LOGAN, SEYMOUR TAYLOR AUDIT rispose
(la sua lettera è stata pubblicata sul numero di agosto 2011 di Accountancy - AccountancyMagazine.com):
“The reason why the ACA course is choosing to accept
non-graduates is because a university degree gained in
2011 is not of the same quality as ones gained in the
past7; hence, the change in perspective. University degrees could be gained in a range of areas, some of
which are more technically challenging than others.
A degree in accounting from one university does not
guarantee what the student has been taught in comparison to a degree in accounting from another. This
should be an indicator in itself as to why the ACA
course accepts non-university educated students: the
ACA course has no (or very little) faith in the quality of
the degrees. Mr. Sale should be asking the universities
why qualifications like the ACA are judging nongraduates to be of the same calibre as their graduate
students. The issue here is with the quality of the uni-
5
Canadian Institute of Chartered Accountants.
Associate Chartered Accountant.
7
Si ripropone drammaticamente la situazione nota in
Italia: lauree pre e post ‘68, ricordando che il declino ha
avuto qualche anticipazione prima del ‘68.
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versity education, not the quality of the ACA qualification”.
Quindi … la laurea, quel tipo di laurea, “recente”, dai contenuti più formali che sostanziali, più
riferita alle “attestazioni” che non ai contenuti
reali dell’apprendimento dei giovani, non serve né
agli stessi giovani8, né ad una qualsiasi collettività
organizzata che ha bisogno di “presenze” e collaborazioni partecipative qualificate per realizzare
gli obiettivi di benessere sociale propri di ogni
sistema civile.
L’impietosa diagnosi della cultura italiana
Come si pone la questione in Italia?
Da una ricerca del 2001, “La competenza alfabetica in Italia”9 del CEDE (Centro Europeo per
l’Educazione10), era emersa una radiografia shock
della situazione dell’(an)alfabetismo nazionale. I
risultati di quel lavoro testimoniavano11 che oltre
la metà degli italiani non sapeva leggere12 i giornali ed era incapace di risolvere problemi banali;
che i semi-analfabeti erano pari al 34,6% della
popolazione, che il 30,9% di individui era in possesso di un limitato patrimonio di competenze di
base, che solo il 26,5% degli italiani era in possesso di un sufficiente patrimonio di competenze
di base e che solo l’8% era in possesso di un elevato patrimonio di conoscenza di base.
Nel 2001, si lamentava che “l’illetterato è andato a scuola, talvolta (nell’8% dei casi) è persino laureato, ma rispetto alla complessità del
mondo ha soltanto una piccola fetta, un micro-
8
I giovani, e per loro le famiglie, ricordiamo, pagano ai
privati o agli Stati tasse e rette per conseguire (si presume nel nostro immaginario) un reale obiettivo formativo e non un attestato da “porre in quadro” ed appendere ad una parete.
9
V. GALLINA, CEDE, 2001.
10
Istituito con DPR n. 419 del 31 maggio 1974 e trasformato in Istituto Nazionale per la Valutazione del
Sistema dell’Istruzione (INVALSI) con il D.Lgs. n. 258
del 20 luglio 1999 in applicazione della L. n. 59 del 15
marzo 1999, art. 11.
11
Si veda R. BASOLI, in L’Espresso dell’1 febbraio
2001.
12
L.M. FOSFENI, “Siamo un popolo di analfabeti e rifuggiamo i libri come la peste (ergo rifiutiamo di comprendere il presente)”, 14 gennaio 2009, in “Vocativo”
in http://vocativo.splinder.com/, ove “La lettura è la
conditio sine qua non, la molla senza la quale non si
potrà mai sviluppare un pensiero autonomo, una conoscenza che aderisca il più possibile alla verità (per quel
che concerne i fatti umani) e non si potrà mai avere
l’eventuale intervento critico (e rivoluzionario, aggiungerei) qualora i fatti e/o le informazioni lo richiedano”.
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settore di conoscenze”13.
Nel 2003, veniva formulato un accorato appello14: “… a tutti i giovani che si accingono ad andare all’Università …: seguite le lezioni dei professori più bravi, più profondi, anche se
all’inizio fate fatica a capire, anche se dovete
studiare di più delle mille e cinquecento ore globali che la riforma vi chiede di non superare.
Ignorate questa legge (n.d.r., non si tratta di
un’imposizione), studiate di più. Imparate a ragionare, ad argomentare. … Le lauree triennali,
…, vi daranno soltanto una informazione di base: uscite ignoranti dai licei e dagli istituti; non
conoscete l’italiano, la letteratura, la storia, la
filosofia, la matematica; non conoscete né la nostra cultura né i grandi filoni della cultura mondiale. I professori più preparati, quando vi sentono parlare, restano smarriti perché si
accorgono che non avete nemmeno il vocabolario per capire che cosa dicono. … Queste lauree
triennali non sono vere lauree, le chiamano così
perché la gente vuole il titolo di “dottore”15
(n.d.r., ma il parcheggiatore, spesso abusivo, vi
chiamerà senz’altro “dottò”) ma, in realtà, spesso
sono solo dei diplomi professionali. …” (n.d.r.,
forse solo degli attestati di avvenuti pagamenti di
rette).
La situazione non appare oggi migliorata: “in
termini di stock di capitale umano il nostro è un
Paese arretrato e, almeno per quanto riguarda i
laureati, continua ad arretrare nei confronti dei
Paesi avanzati” … “le competenze della popolazione oltre all’età dell’obbligo scolastico sono,
nel nostro Paese, inferiori a quelle di tutti i Paesi che hanno partecipato all’ultima indagine
condotta dall’OCSE in materia, …” … “la popolazione adulta italiana, presa nel suo complesso,
non possiede una competenza alfabetica funzionale adeguata alle esigenze di un Paese avanzato: l’ottanta per cento circa degli italiani in età
compresa tra i 16 e i 64 anni ha un livello di padronanza della lingua madre giudicato sostanzialmente insufficiente”16.
13
R. COTRONEO, “La nuova frontiera dell’incultura”,
in L’Espresso dell’1 febbraio 2001.
14
F. ALBERONI, “L’inganno delle lauree brevi e delle
lezioni facili”, in Corriere della Sera, 10 marzo 2003.
15
B. SEVERGNINI, “Dopo tre anni già tutti “dottori”.
La passione italiana è salva”, in Corriere della Sera,
10 novembre 2004.
16
I. VISCO (vice direttore generale della Banca d’Italia,
già direttore dell’Economics Department dell’OCSE),
“Il capitale umano per il XXI secolo”, in Rivista bimestrale di cultura e di politica, n. 1, gennaio-febbraio
2011.
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Studenti, Università e società
Ma quale è od è stata la reazione, a qualsiasi livello del sistema formativo, grazie anche alla
complicità sociale, ed in particolare parentale, che
porta a “vittimizzare” lo studente?
La risposta17 del “sistema” o, meglio, l’indifferenza del “sistema” alla constatazione ed alla
critica (che non viene formulata solo negli scritti
appena citati) è rappresentata dall’indifferenza e
dalla “coltivazione” di una “tradizione” che si è
andata consolidando nel tempo, da una sorta di
“uso”.
Da almeno da quarant’anni, nel sistema sociale
nazionale (e non solo in quello), l’“ignorante”
(nell’intuitivo significato di “colui che ignora”,
“che non sa”) “si dedica” (“insegna”) a contestare il colto (colui che ne sa certamente di più
dell’ignorante) e, quindi, crea una sorta di cultura
(che si “tipizza” nella fattispecie della “cultura
dell’ignorante” (che diviene anche arrogante e
prevaricatore), che travalica le frontiere dei Paesi)
del rigetto del sapere; ciò facendo si instilla nel
fanciullo e nel giovane il principio (assoluto) della divisione nel mondo in:
a) “amici”, cioè coloro che fanno parte
dello stesso gruppo di riferimento, del
suo “clan” (della sua “tribù”);
b) “nemici”, coloro che si trovano
dall’altra parte, a volte, dietro una cattedra, “nemici” che debbono essere ingannati, combattuti con ogni mezzo.
Si copia agli esami (anche in quelli dei concorsi
pubblici, salvo altro sistema di “forzatura” dei
risultati) con il ricorso a strumenti sempre più sofisticati, perché “così fanno i giovani che sanno
vivere”; si rappresentano vaghezze, si eludono
domande fondamentali - girando intorno ai temi
senza fornire soluzioni -, si distrae (o si tenta di
farlo) l’esaminatore, lo si accattiva (se sensibile a
lusinghe e promesse); si colpiscono (nell’amor
proprio, a volte anche con manifestazioni di gruppo) i docenti (integerrimi, preparati, rigorosi), se
ne “distrugge” l’immagine rappresentandoli negativamente nel contesto sociale di riferimento (la
famiglia, la scuola, l’Università) parlando (scrivendo anche nei blog con la copertura
dell’anonimato) male di loro ad amici, genitori,
altri docenti (sensibili al “grido di dolore” dello
studente “oppresso”), organi scolastici (in senso
lato), si inviano, anche agli stessi docenti, lettere
anonime, anche per e-mail, si compilano prospetti
informativi e statistici menzogneri (le c.d. schede
di “valutazione”, compilate dagli studenti “igno17
F. ALBERONI, “La beffa di chi odia e aggredisce: accusare la vittima”, in Corriere della Sera, 15 marzo
2004 (con nostre integrazioni ed adattamenti).
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ranti” e che, però, tanto peso hanno per
l’immagine degli Atenei e per la carriera dei docenti di ruolo; i “clienti studenti” sono soddisfatti: è la “customer satisfaction”, che dimentica la
“qualità autentica” del sapere. Nel contesto, i
docenti a contratto “scomodi” vengono “mandati
a casa” (o minacciati in tal senso) se non hanno
“sufficiente protezione ambientale” o non hanno
realizzato pubblicazioni realmente scientifiche e
di “lustro” per l’Ateneo).
L’insegnante, il docente, il comunicatore e il
propagatore della conoscenza vengono accusati di
essere la causa di una voluta, dal “discente”, irrinunciabile ignoranza fondata, a priori, sul suo rifiuto della conoscenza, della fatica dell’apprendimento, dell’autocritica dei propri limiti (molti
sono gli inadatti a qualsiasi formazione universitaria avendo altre abilità) e ciò seguendo un indirizzo comportamentale di opportunismo e di sfruttamento degli altri (una delle tante forme di
parassitismo sociale) o delle circostanze utili per
conseguire un beneficio indebito (“truffaldino”)
od egoistico. L’“aggressore si fa beffa” delle proteste del pacifico (insegnante), e lo accusa di essere lui la causa (come detto: “non sa farsi capire” e, quindi, “non insegna bene”) della propria
ignoranza: in realtà è acclarato che, in contesti
sociali diversi, è quasi sempre l’aggressore che
accusa la vittima18.
L’Università e le “pagelle”. Esamifici
e cartiere di titoli
“Le pagelle serviranno alle Università per accreditarsi agli occhi del Ministero e dimostrare
di meritare una percentuale dei finanziamenti
pubblici” 19 e, come fece sapere l’UdU, l’Unione
degli Universitari, in commento alla norma, già in
vigore in virtù della Legge 370 del ’99, “sarebbe
(stato) più opportuno legare in qualche modo gli
esiti della valutazione alla carriera ed agli incentivi dei docenti” …: come dire (se volessimo dare
una maliziosa chiave di lettura alla posizione riportata), dato che è pacifico che non vi è valutazione “terza”, “indipendente” degli studenti
sull’operato dei docenti, che ottenere la compiacenza dei valutatori (gli studenti) fa guadagnare le
Università, è utile, quindi, la captatio benevolentiae, l’abbassamento sostanziale del li-vello
dell’insegnamento (leggere le slide a lezione riduce la fatica …, ma limita il dialogo) e la disincentivazione dei docenti rigorosi e più preparati ap18
F. ALBERONI, “La beffa di chi odia e aggredisce: accusare la vittima”, cit..
19
I. TROVATO, “E gli studenti daranno i voti ai professori”, in Corriere Università, 4 giugno 2004.
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profittando del loro carattere (disprezzato) pacifico, incapaci di odio e di ritorsione (ma che provano tristezza e pena per questa involuzione culturale, a tutti i livelli, della società civile ove la scala
dei valori autentici di una società civile è stata
stravolta e dove l’etica è stata smarrita).
“… La creazione della laurea breve di tre anni
è stata fatta con lo scopo di far entrare prima i
giovani nel mondo del lavoro. Però gli studenti,
anziché tre anni, ce ne mettono quattro. Per agevolarli, per far loro rispettare i tempi, allora è
stata data disposizione di ridurre i programmi e
le ore di studio. Col risultato che la qualità
dell’insegnamento e dell’apprendimento (n.d.r.,
nozionistico e mnemonico) è peggiorata. Il processo si aggrava con il diffondersi di Internet: il
ragazzo acquisisce un “pensiero a zapping”.
…(lo studente) non impara a esporre, a scrivere,
ad argomentare. … Nel mondo moderno, le persone devono anche saper ragionare, esaminare
criticamente problemi complessi. Coloro che mirano a diventare dei dirigenti inoltre dovrebbero
avere una ampia formazione culturale sulla nostra tradizione e sui grandi assi culturali extraeuropei”.
L’Università diventa l’esamificio, l’ente che
“pagate le tasse e le rette” rilascia il titolo di
“dottore”.
… E i docenti sono “privi di un peccato originale” e si possono considerare
“puri” per svolgere la loro “missione”?
Che dire di molti docenti universitari di ruolo,
espressione portante della struttura del sapere
scientifico oggetto della formazione universitaria?
“… Nell’Università italiana, …, i risultati dei
concorsi, non solo quello di ricercatore, anche
quelli di professore associato e di professore ordinario, sono abitualmente decisi anni prima in
base a complicate alchimie clientelari e politiche. … L’Università italiana non è un cenacolo
culturale, scientifico, una fucina di idee. Io non
ricordo, negli ultimi trent’anni (accidenti!), una
sola volta, una sola ripeto, che, trovandomi con
alcuni colleghi (quindi tutti docenti di ruolo),
qualcuno si sia messo a parlare di qualche problema scientifico. Neanche a cena. Nemmeno nei
congressi, perché quasi tutti restano nei corridoi
a fare manovre elettorali per i concorsi, per eleggere i presidi, i rettori, o accordi politici.
…20”.
20
F. ALBERONI, “Università, la casa dove non abitano
gli scienziati”, in Corriere della Sera, 17 novembre
2003.
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Come non ricordare gli scandali, anche recenti,
dei “concorsi truccati”?
La produzione scientifica (fatte sempre le debite, ma purtroppo poche, eccezioni) se non viene
finanziata dal sistema pubblico, non viene realizzata (primus pecunia) e spesso pubblicazioni, che
hanno ricevuto contributi pubblici per la ricerca
scientifica, di scientifico non hanno nulla o ben
poco.
Si potrebbe aggiungere anche che diversi docenti universitari di ruolo annoverano nel loro
curriculum scientifico una o due opere realizzate
venti o trent’anni fa (per partecipare a qualche
concorso) e su quella hanno “ricamato” nel tempo altri scritti, in genere monotematici, che costituiscono riedizioni parziali dell’unico scritto originario (talvolta di dubbia natura scientifica).
Non si può non rilevare, poi, come molti autori
(non si può parlare di “studiosi”) recenti operino,
sempre senza bibliografia di riferimento con il
noto sistema del “taglia e cuci” rubacchiando,
qua e là, da altri autori, italiani e stranieri od utilizzando (in modo indegno) tesi di laurea (o parti
delle stesse) degli studenti (vezzo, questo, non
solo italiano, ma internazionale) o “saccheggiando” il web (sempre senza citazione delle fonti e
loro verifica di correttezza ed autenticità), sicché
l’idea “nuova” dell’“Autore” (lo “studioso”, il
“ricercatore”) non raramente è di altri che hanno
scritto per case editrici sconosciute, libri od articoli, poi esauriti od andati al macero, non ripubblicati, caduti nell’oblio, ovvero, oggi, copiando
da quanto “pubblicato” in Internet, profittando
dell’altrui genio o sapere, o semplicemente “riciclando”.
Si dice che la ricerca comincia con i ricercatori
stipendiati per farla …, ma qualche maligno insinua che alcuni (forse non solo “alcuni”) ricercatori in realtà “ricercano” solo come vincere i
concorsi.
Molti docenti, come lamentava il compianto
Prof. GILBERTO MAZZA, “nelle loro lezioni riscaldano la minestra”. Si può impietosamente
aggiungere: per la preparazione di una materia un
certo numero di docenti suggerisce testi obsoleti,
di cui sono autori, e che continuano ad essere
stampati e ristampati ed ancora ristampati senza
aggiornamenti o con aggiornamenti mal fatti (si sa
che con “il taglia e cuci” qualcosa sfugge!) tali
da rendere contradittoria la fonte primaria di riferimento per lo studio, il libro; questo quando, una
volta fatti acquistare i testi, i docenti non suggeriscono agli studenti, in modo diretto od attraverso i
loro assistenti, di studiare gli appunti (che circolano a volte a pagamento) e le slide proiettate durante le lezioni (spesso le stesse utilizzate per corsi diversi e non sempre specificatamente adatte ad
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uno specifico corso).
Non sapere e sapere: farsi capire e
capire
Il non sapere, o meglio il non sapere a sufficienza,
rispetto ad un’attesa o ad un’autentica esigenza
sociale, viene espresso con il termine “ignoranza”21 e l’ignoranza (e per quanto astrattamen-te
apprezzabile in quanto espressione del valore della consapevolezza del non sapere) ha un costo in
termini sia della difficoltà evolutiva degli individui, dei gruppi, delle società civili, delle società
economiche e delle imprese, sia dalla possibilità
di risolvere il problema del bisogno (in senso lato,
quindi non solo economico) e della creazione del
valore.
La questione cruciale è anche quella della difficoltà di farsi capire22 nei rapporti di comunicazione; quando parliamo o scriviamo è d’obbligo
utilizzare linguaggi appropriati, prima di tutto
riguardo all’oggetto, al tema trattato, e poi agli
interlocutori o lettori, ma non possiamo degradare, banalizzare l’esposizione (con il rischio
poi di tradire il vero ed autentico, seppur a volte
complesso, significato del messaggio, del discorso, della trasmissione del sapere, della realizzazione dell’obiettivo prefissato di alfabetizzare nel
senso di realizzare e consentire, il rispetto, le opportunità e lo sviluppo di una società civile) solo
per tentare di farsi comprendere da interlocutori inadatti al dialogo o da lettori che non
comprendono ciò che leggono, per loro carenze,
tutti in quanto non alfabetizzati o non sufficientemente alfabetizzati in relazione alla natura e
contenuti del discorso o del messaggio.
Quando dobbiamo insegnare o spiegare, illustrare, concetti complessi, è ragionevole ritenere
si debba procedere per gradi, e purtuttavia vi sono
casi in cui le differenze culturali tra colui che
parla e scrive e colui che ascolta e legge costituiscono sbarramenti invalicabili alla possibilità di comunicare in ogni campo del sapere, a
maggior ragione in aree complesse ove principi
generali, categorie dei valori di riferimento, regole tecniche e giuridiche, nonostante le apparenze,
le etichette, le posizioni nelle organizzazioni degli
interlocutori e dei lettori, lasciano presumere la
sussistenza di culture e di conoscenze date per
scontate. Immaginarsi, poi, quando intere società
civili sono affette da gravi e strutturali carenze in
materia di conoscenze di base.
21
P.F. CAMUSSONE, “Il costo sociale dell’ignoranza”,
in Mondo Digitale, giugno 2003.
22
F. ALBERONI, “E’ difficile farsi capire”, in Corriere
della Sera, 1 marzo 2004.
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Il semianalfabetismo ed il tempo
Un’indagine (“Volare senz’ali”23) condotta dall’UNLA (Unione Nazionale per la Lotta contro
l’Analfabetismo) nel 200324 ha evidenziato che in
Italia il 39,2% degli adulti rientrava nella categoria degli analfabeti, quelli che potevano vantare
(sostanzialmente) al massimo una licenza elementare.
In verità25, si deve parlare, più che di analfabeti, di semianalfabeti includendo in questa categoria anche coloro con un titolo di studio, ma non lo
“esercitano” da più di cinque anni (il fattore tempo che distrugge il “sapere”). Dopo un simile lasso di tempo, se non si “esercita” ciò che a suo
tempo si è imparato, è accertato, si regredisce
al titolo di studio precedente, per cui si impone
una formazione permanente (“lifelong learning”)
con un atteso ruolo specifico delle Università26.
Per recuperare (e conservare) competitività (in
senso lato ed) economica, senza istruzione e ricerca la produzione economica (e, quindi, di ricchezza e di valore per l’individuo per una comunità sociale) non ha slancio nel futuro. Il Ministro
delle Innovazioni delle Tecnologie dell’epoca
(siamo, si ricorda, nel 2003), LUCIO STANCA, ebbe
a dichiarare che due terzi dei cittadini italiani
non “frequentavano” le nuove tecnologie e non
erano in grado di usarle procurando al Paese
mancanza di competitività27.
23
Presentata a Roma il 22 gennaio 2004. S. ARDUINI,
“Italia: 22,5 milioni di semianalfabeti” (che sanno “a
mala pena leggere, scrivere e far di conto …”, ma che
hanno sfruttato “al meglio l’arte di arrangiarsi”, “22
milioni e mezzo di evasori della costituzione”), in Vita
Magazine in www.vita.it.
24
I. TROVATO, “Siamo un popolo di semianalfabeti. Per
4 italiani su 10 Internet, TV e giornali sono incomprensibili”, in Corriere Università, Corriere della Sera, n.
4, 27 febbraio 2004 (e noi aggiungiamo periodici, libri,
scritti in genere) sono incomprensibili (noi precisiamo
sia in termini assoluti, sia in relazione alle materie trattate, non fosse altro per obiettivi di comparazione tra
comunicazioni diverse pertinenti lo stesso oggetto o
materia).
25
Così precisava S. AVVEDUTO, presidente dell’UNLA
sino al 2008.
26
Commissione Europea, Programma di apprendimento
permanente (LLP) (2011/C 233/06) che si fonda sulla
decisione che istituisce il LLP ed adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 15 novembre 2006 (decisione n. 1720/2006/CE). Il programma riguarda il periodo 2007-2013. V. anche “European Universities’
Charter on lifelong learning”, dell’European University
Association, 2008 in www.eua.be.
27
I. TROVATO, “Siamo un popolo di semianalfabeti. cit..
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Semianalfabetismo e passaggi generazionali. Le scelte dei percorsi formativi
Ad avviso di chi scrive, il semianalfabetismo è
anche il prodotto di regole che presiedono ai trasferimenti delle conoscenze tra generazioni (con
conflitto tra l’inadeguata conoscenza della precedente generazione ed il tentativo di formazione
dei giovani. Spesso nel “sistema parentale”, frequentemente autopoietico, si perpetuano formule
del tipo: “una cosa è la teoria altra è la pratica”,
“per sopravvivere occorre essere furbi”,
“l’importante è diplomarsi/laurearsi”, “essere
dottori”, “non importa se alle prove d’esame o di
profitto copi, anzi, se sei furbo, devi farlo, tanto
lo studio serve a poco nella vita”, ecc.).
Il giovane studente che consegue il diploma di
maturità spesso si iscrive all’Università e, grazie
ad una società civile poco attenta e scarsamente
indirizzata a valutare scenari di lungo periodo,
senza che esista una vera politica di orientamento,
sceglie uno dei 3.000 corsi di laurea triennali,
spesso facendosi abbagliare dal nome, dal titolo,
dall’etichetta (… dal sogno di famiglia: un figlio
laureato). Questi studenti bivaccano tre o quattro
anni, quando va bene, nei cortili, nelle aule super
affollate, nelle mense, nei bar e … alla fine si laureano.
Il numero dei laureati ha, nel tempo, tendenze
di crescita numerica, ma di quale tipo di laureati
si parla? Forse di laureati di massa che sempre in
massa trovano posto di lavoro; questo certamente
non in “coerenza” con la “laurea” conseguita,
visto che li vediamo come commessi di negozi,
super od ipermercati o come addetti operativi a
call center, collaboratori in piccole unità commerciali di famiglia (in famiglia un laureato dà
prestigio sociale), contabili d’ordine in piccolemedie imprese, ecc., e, ancora in massa, si sentono proporre, e partecipano a, stage, tirocini, prove
di pratica aziendale e professionale senza retribuzione o con contratti di collaborazione, for-mali
od irregolari (l’importante è il “netto da spendere
al mese”) contratti a termine (senza formazione
sul campo) e così via. Possiamo aggiungere che
con contratti di lavoro (frequentemente a termine,
con perpetuazione dei fenomeni di sostanziale
precariato), non dissimili da quelli dei diplomati,
spesso, i laureati vengono impiegati in funzioni
d’ordine non diverse, sostanzialmente, da quelle
attribuibili a licenziati di terza media, forse con la
cultura della scuola elementare (laureati residenti
in Italia e cittadini stranieri trovano occupazione
come operai, ma che risultano nelle percentuali
dei laureati che hanno trovato un’occupazione
dopo la laurea: un successo delle statistiche).
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Poniamoci un quesito: una laurea a tutti i costi?
Spesso è così ed il percorso scelto non è in funzione delle attitudini personali e delle autentiche
preferenze dei giovani, ma dei desiderata della
famiglia e dei sistemi sociali di riferimento immediato.
Titoli di studio, mansioni e retribuzioni in azienda
Le mansioni del laureato e del diplomato28 tendono ad assimilarsi, quanto è oggetto di studio non
viene praticato e la retribuzione a laureati e diplomati adibiti sempre di più a funzioni d’ordine
(digitare ad una tastiera di un computer da supporti cartacei, tra una pausa caffè ed un’altra) remunera tali funzioni e non i titoli di studio che
perdono di valore anche per quei laureati e diplomati che, studiosi, attenti, formati, meritevoli, non
riescono a competere in un sistema di assorbimento globale che richiama quella che, in modo non
corretto, venne e viene definita la Legge di Gresham29.
… E la formazione (alfabetizzazione
informata al pragmatismo) in azienda?
È da rilevare che non infrequentemente la formazione aziendale si estrinseca in un recupero di difetti formativi, a volte gravi e diffusi:
a) dei lavoratori neo assunti a ragione dei
gravi difetti formativi scolastici, prima,
ed universitari, poi;
b) dei lavoratori provenienti da altre impre28
Quanto esposto trae spunto, con qualche nostra integrazione, da MAVERICK, “Care imprese, i laureati pagateli di più”, in “Le caratteristiche del “nuovo incompetente””, in Corriere Università, n. 4, 27 febbraio
2004.
29
Quella definizione ricondotta alla formula “la moneta
cattiva caccia quella buona” fu così coniata
dall’economista HENRY DUNNING MACLEOD (1821 1902) nel 1857 ritenendo, erroneamente, che fosse da
attribuirsi al GRESHAM mentre altri autori (anche
ORESME e COPERNICO) ne avevano già trattato (Voci
GRESHAM e MACLEOD, in Enciclopedia Italiana Treccani, 1949, Voll. XVII e XXI). Questo, tenuto conto
delle conseguenze prodotte dalla presenza di diverse
monete contemporaneamente in circolazione. Possiamo,
nel nostro caso, parlare di diverse culture e, quindi, non
necessariamente del rapporto tra la cultura della conoscenza e la “cultura” dell’ignoranza, ma anche di “cultura” di maggioranza, di cultura imposta, colonialista,
ecc. e di culture di minoranza soffocate, inglobate, assimilate, emarginate e distrutte nei sistemi di globalizzazione e mondializzazione.
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se od organizzazioni che li hanno formati secondo il principio (giuridicamente
e/o tecnicamente errato) del “si è sempre fatto così”, “così fan tutti”, “queste
sono le nostre regole e procedure”, “se
va bene così per i sindaci od i revisori
vuol dire che il comportamento è corretto”, e simili, ovvero, ancora, richiudendosi in inaccettabili schemi metodologici del tipo: “lo fa il calcolatore”,
“questa è la formula da applicare e che
non si può discutere perché standard o
messa a punto dalla Società X o dal
Prof. e Dott. Y nostri consulenti da anni”, e… negli anni i comportamenti errati vengono consolidati e divengono
“norma”.
Si possono verificare anche casi in cui lavoratori pervengano già “aziendalmente formati”,
all’impresa, per cui esprimere come “asset”
l’investimento formativo come attività da porre in
relazione con i risultati economici differenziali
conseguiti o conseguibili può dar luogo a false
rappresentazioni, sia in termini di valore di impiego, sia come risultato delle assunte relazioni di
produttività. Si argomenta che30 (con riferimento
normativo all’obbligo formativo sino a 18 anni)
un “diritto dovere alla formazione ed
all’istruzione”, che “nella nuova norma si dice
che anche il lavoro va considerato apprendimento. E va bene. Ma come? Chi stabilirà l’equivalenza tra apprendimento sviluppato in aula e sapere sviluppato in azienda? I percorsi di conoscenza nell’impresa saranno soggetti a verifiche,
a comparazioni con standard di riferimento consolidati e tali da costituire un benchmark di riferimento, a processi di tutoraggio?”.
“Le competenze dei singoli cervelli vengono
condivise (n.d.r., quando lo sono effettivamente,
forse, attraverso una modesta osmosi da frequentazione) da altri team di lavoro, con l’inevitabile
diffusione sul mercato delle loro conoscenze … la
c.d. “cooperation”, acronimo di collaborazione e
competizione (n.d.r., i corrispondenti termini in
lingua inglese) fa scendere la febbre per la guerra
dei talenti”31. Invece di inseguire le eccellenze,
le aziende sembrano, tuttavia, preferire politiche di “retention” più generalizzate.
Si deve poi rilevare che, non infrequentemente,
il genio o la persona particolarmente capace
quando non riesce a svolgere la sua attività in un
team, nelle condizioni appena descritte, vive in
30
MAVERICK, “La formazione non può essere “bricolage”, in Corriere Università, 4 giugno 2004.
31
V. TORELLI, “Il genio costa. E il suo know how dura
poco”, Il Mondo, 23 maggio 2003.
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solitudine (e combatte, generalmente soccombendo, la forza prorompente, lo “tsunami”
dell’ignoranza).
Nel contesto di una rappresentazione delle dinamiche industriali e della trasmissione generazionale di capacità ed eccellenze in un ambiente
ricco di esempi e di maestri che coltivano le possibilità del fanciullo o del giovane e lo aiutano a
valorizzarle nel mondo, si verifica lo strano, ma
comprensibile fenomeno, delle differenze qualitative che si verificano nei passaggi generazionali
per cui difficilmente il genio che crea ciò che è
assolutamente nuovo trova conforto e rispetto,
considerazione ed apprezzamento nel contesto
sociale se non in rari casi, nel suo tempo e nel suo
ambiente sociale32.
di non essere uno scienziato, di non seguire canoni o regole prefissate, di propugnare idee e teorie
vaghe), perché non fa parte integrante del sistema consolidato, e deve sapere che, talvolta anche
per tutta la vita, non verrà mai capito fino in fondo”34 e ciò anche a causa del fatto che rispetto
allo stesso gli altri ormai sono solo degli ignoranti. Il suo sapere, il suo anticipare i tempi, il suo
prefigurare conoscenze nuove, modi diversi di
interpretare le realtà non potrà essere condiviso
nel team, non potrà essere propagato, non potrà
esser utilizzato. Quindi, si paga un prezzo per la
“diversità” e questo prezzo è pagato anche dai
docenti preparati e non capiti, spesso osteggiati
dal e nel “sistema” sociale di riferimento.
Sapere, corruzione e prostituzione
Ignoranza e democrazia
L’“indebolimento delle idee, la caduta verticale
del sapere a tutti i livelli” conduce all’indebolimento di qualsiasi sistema democratico 33 in
questo è fortemente ancorato al rapporto con il
sapere e negli ultimi decenni si è assistito “con
orrore e terrore allo scadimento ed all’impoverimento della teoria della democrazia, che è
poi il sapere che la spiega”. Il noto politologo
Sartori ha avuto cura di precisare: “Bobbio ed io
siamo tra i pochi studiosi che ancora credevano e
credono nella trasmissione del sapere (è per me
la prima missione del dotto) e che prima di scrivere leggono chi ha scritto prima. Invece, i nuovi
autori, più giovani, scrivono sempre più libri,
senza bibliografie, inventati dal loro genio sorgivo. Le loro letture (scarse) risalgono, con poche
eccezioni, a vent’anni prima, e più che altro citano coetanei e compagnucci di cordata altrettanto sprovveduti di loro”.
Essere e rappresentare
“È molto difficile che un individuo preparatissimo, informatissimo, un allievo diligente inventi
qualcosa di rivoluzionario. Lo studioso ha bisogno di scuole, di maestri, di solitudine, non ha
bisogno di premi, encomi, lauree honoris causa
(se facciamo una ricerca nel web troviamo autentici collezionisti di attestati e di lauree h.c.), ma
procederà nel silenzio accettando di essere guardato con sufficienza e diffidenza (a volte accusato
Da prima dell’inizio del primo anno accademico
… sino, forse, all’ultimo esame del percorso universitario (ad un costo certamente inferiore a
quello dei corsi di supporto ed alle lezioni di ripetizione) “è il sesso l’arma segreta, pagare in natura: il 57% delle ragazze e il 39% dei ragazzi è
cioè pronto a prendere la scorciatoia sessuale”35.
La “disinvoltura” dell’approccio dei “futuri personaggi di spicco della società civile” al mondo
della preparazione nelle discipline scientifiche ci
fa comprendere come il loro obiettivo non sia
quello di acquisire conoscenza (solo un 24% di
«sfortunati» ritiene più proficuo pagarsi un corso
di preparazione), ma un passpartout (meglio sarebbe parlare di un grimaldello) per entrare in Università e fermarsi nella hall. Poi vi sono le altre
porte da aprire (forzare): gli esami, la tesi, le borse di studio, i dottorati di ricerca sino ai concorsi
(e poi, ancora, nella vita post “carriera scolastica” - tanto ci si è abituati - per i posti di lavoro e
le tappe di carriera, per gli aumenti di retribuzione, ecc.).
Un percorso “corrotto”, di prostituzione (maschile e femminile).
Sappiamo di scandali a matrice sessuale (ma
anche di pagamento in denaro od in cambio di
altri favori) che hanno coinvolto, in alcune Università, un certo numero di docenti (estorsori, corrotti, prostituti al maschile e femminile, pur con
differenze percentuali, pro-tempore) ma queste
sono evidenze dei soli casi denunciati e non cono34
32
F. ALBERONI, “Un genio è anche solitudine (e perfino
ignoranza)”, in Corriere della Sera, 17 febbraio 2003.
33
G. SARTORI “Democrazia: Un principio di legittimità
senza alternative, ma rischia di diventare un guscio
vuoto”, nell’ambito del ciclo di “Lezioni Norberto Bobbio”, in Corriere della Sera, Cultura 4-5 ottobre 2004.
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
Ibidem.
M.N.M.“Sesso col prof per superare i test, lo farebbero sei ragazze su dieci. I dati del portale italiano UniversiNet.it: il 57 per cento delle donne e il 39 degli
uomini sarebbero pronti a prendere la «scorciatoia
hot» per passare gli esami di ammissione”,
http://corrieredelveneto.corriere.it , 24 agosto 2011.
35
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sciamo l’entità reale del fenomeno36.
Ci si pone però una questione: se vi è offerta vi
sarà pure un “embrione” di consumo … è il mercato!
Ma interroghiamoci sulla realtà del rapporto tra
saperi (scientifici o con oggetto scientifico o finalizzati a conseguire obiettivi di conoscenza delle
scienze), corruzione e prostituzione.
La corruzione è, nel nostro sistema di valori,
espressione di decomposizione, disfacimento,
perdita e scadimento di valori etici37; la corruzione (in senso non strettamente giuridico) è rappresentazione dell’abuso di un ufficio per il guadagno o l’interesse privato. Il rapporto (studentedocente e viceversa), nel caso di specie, porta ad
un mutuo vantaggio individuale immediato, ma ad
una grave, irrimediabile, irrecuperabile perdita
individuale (di sapere per lo studente, di dignità
per il docente, che sostanzialmente truffa lo studente, l’università) e sociale (i soggetti corrotti
che non producono e non veicolano il sapere) di
grandissimo rilievo.
Il docente, l’esaminatore, il valutatore corrotto,
prostituto e prostitutore, corrotto e corruttore, è
strumento per la distruzione (e non certamente per
la conservazione, trasmissione, potenziamento dei
valori e potenziamento del capitale di conoscenze) dei valori di una società debole ed al tempo
stesso strumento di freno alla circolazione ed alla
propagazione dell’alfabetizzazione, della conoscenza.
Il fatto che diverse Università Statali38 si siano
date un “Codice di comportamento per la tutela e
prevenzione delle molestie morali e sessuali” dà
evidenza di concretezza e rilevanza del fenomeno
che non è certamente recente, ma che si è andato
sviluppando nel tempo (almeno 30-40 anni) e che
non è esclusivo certamente della realtà italiana39.
36
Si veda, tra le altre fonti, A. BADUEL, “'L’Università
delle molestie impunite, Inchiesta “Dal porno-docente
assolto a Camerino a 60 denunce contro professori di
Roma che non sono mai arrivate al giudice: mappa di
un sopruso sessuale coperto dall'omertà. C’è bisogno di
regole certe che rompano l’omertà e garantiscano la
carriera degli studenti in, un ambiente oggi non democratico”, in “La Repubblica delle Donne”, Anno 9, n.
111, del 24 Luglio 2004, pagg. 31-34.
37
Il SABATINI COLLETTI, “Dizionario di Italiano”,
2006.
38
Tra le altre, Milano, Bologna, Cà Foscari, Insubria,
Cassino.
39
“Yale è un’università dove regna la lussuria”, hanno
detto con grande sconforto le sue studentesse. L’ateneo
Ivy League, ovvero uno degli atenei più prestigiosi degli
Stati Uniti e del mondo, è messo sotto pressione da una
inchiesta federale per la sua inefficienza nel “garantire
un ambiente che non sia sessualmente ostile” secondo
l’ufficio per i diritti civili del Dipartimento di Stato per
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In un sistema sociale obbediente a principi etici
condivisi e con un limitato numero di devianti
(come è ragionevole supporre ed in definitiva attendersi) si deve ritenere che la regola da seguire
sia quella di imporsi ed imporre sacrifici per
l’alfabetizzazione più estesa possibile: pagare un
prezzo individuale e sociale per un’alfabetizzazione che consenta, una volta acquisita, conservata e “coltivata” come bene prezioso, di partecipare con dignità e soddisfazione ad uno sviluppo
individuale e sociale. Al contrario si assiste al fenomeno inverso: si “paga”, con il ricorso a strumenti alternativi, a volte in modo fra di loro integrati, per non venire alfabetizzati.
Conclusioni
La riflessione concludente di quanto esposto non
può altro che essere amara: dopo tanti anni
dall’inizio del programma decennale dell’ONU
per l’alfabetizzazione globale per consentire a
tutti gli individui di conseguire opportunità e di
essere strumenti partecipativi per lo sviluppo sociale, il tasso di alfabetizzazione sostanziale nei
Paesi del c.d. occidente democratico segna il passo e forse si trova in una pericolosa spirale di regressione. La competenza alfabetica funzionale
adeguata alle esigenze dei Paesi più avanzati non
ha mostrato significativi miglioramenti.
Si è in presenza di una perdita di valore dei titoli universitari sia in quanto molti docenti “si
adeguano” alla “clientela” universitaria, la cui
preparazione, dalla scuola primaria ai diplomi di
maturità, è andata via via collassando, sia in
quanto gli stessi (ovviamente non dobbiamo generalizzare) docenti sono espressione e conseguenza
di quel collasso culturale e morale e, quindi, non
hanno più le connotazioni atte a svolgere il ruolo
atteso in relazione alle esigenze della società civile e democratica.
La creazione di “enclave” culturali di alto livello è in contrasto con gli ideali di una diffusione della cultura sociale e preludio pericoloso alla
distruzione delle democrazie. L’ignoranza fa venir meno lo spirito critico costruttivo. Non vi è
più nemmeno il “mercato della cultura”, vi è,
prepotente, il “mercato dell’ignoranza e dell’apparenza”: si paga per non alfabetizzarsi.
Le generazioni dei vecchi docenti, sia delle
scuole medie superiori, sia delle Università, stanno scomparendo e, fatte sempre le debite eccezioni per singole Università e per singoli Paesi, si
deve constatare di essere in presenza di un sistema di corruzione globale nel quale il nostro Paese
l’alta formazione. http://www.universita.it/ G. Pistola, 3
aprile 2011, News, News università estere.
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Cultura, società e Università. Università, società e cultura  R IFLESSIONI
sta gradatamente, ma con costanza, conquistando
non invidiabili posizioni di primato.
L’auspicio di chi scrive è che la crisi economica mondiale in essere sia strumentale per “fare
pulizia”, per ridare, da un alto, dignità al sapere,
ai docenti preparati e rigorosi, agli enti ed alle
istituzioni, alle scuole ed alle Università pubbliche e private che siano portatrici e mezzi di veicolazione delle scienze e delle tecniche,
dall’altro, certezze ai giovani studenti e studiosi
disposti a fare sacrifici per acquisire prima e trasmettere poi conoscenze scientifiche e tecniche, i
loro saperi.
Le riforme scolastiche ed universitarie non
debbono e non possono rimanere dichiarazioni di
principi, formulazione di programmi, ma trovare
concreta e verificata applicazione nell’interesse
esclusivo delle generazioni future.
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