Osservatorio nazionale sulla famiglia
Unità Tecnica di Bologna
COMITATO TECNICO SCIENTIFICO DELL’OSSERVATORIO NAZIONALE SULLA FAMIGLIA
Prof. Pierpaolo Donati (presidente)
Ordinario di Sociologia della famiglia presso l'Università di Bologna
Prof. Luca Antonini
Ordinario di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza
dell'Università degli studi di Padova
Prof. Gian Carlo Blangiardo
Ordinario di Demografia presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell'Università
degli Studi di Milano "Bicocca"
Cons. Roberto G. Marino
Capo del Dipartimento per le politiche della famiglia, membro di diritto
Prof.ssa Giovanna Rossi
Ordinario di Sociologia della famiglia presso la Facoltà di Psicologia
dell'Università Cattolica del Sacra Cuore di Milano
Prof. Francesco Tomasone
Ordinario di diritto del lavoro e della previdenza sociale della Scuola superiore
dell'economia e delle finanze "Ezio Vanoni" - Roma
Cons. Italo Volpe
Capo Ufficio Legislativo - settore finanze - del Ministero dell'economia e delle
finanze
dott. Francesco Gallo
Dirigente Regione Veneto
dott. Luciano Malfer
Dirigente Provincia Autonoma di Trento
ARIANNA VETTOREL,
LE LINEE EVOLUTIVE NEL DIRITTO INTERNAZIONALE SOVRANAZIONALE E
COMPARATO DEI MODELLI FAMILIARI
ISBN: 978-88-97693-03-1
Prima edizione: marzo 2012
L’ebook è liberamente scaricabile da:
www.osservatorionazionalefamiglie.it
Sito del Dipartimento per le politiche della famiglia della PCM
REALIZZAZIONE EDITORIALE:
-
Supervisione redazionale: Giovanni Vetritto
Impaginazione e progetto grafico: Stefano Di Placido
Font: Lucida Sans
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Segreteria dell’Osservatorio nazionale della famiglia
c/o Dipartimento per le politiche della famiglia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri
Via della Mercede, 9 - 00187 Roma
OSSERVATORIO NAZIONALE SULLA FAMIGLIA
Arianna Vettorel
LE LINEE EVOLUTIVE
NEL DIRITTO INTERNAZIONALE
SOVRANAZIONALE E COMPARATO
DEI MODELLI FAMILIARI
SOMMARIO
1. La famiglia nella normativa e nella giurisprudenza sovranazionale ........................... 7
1.1 Introduzione ........................................................................................................... 7
1.2 La definizione di famiglia nel contesto internazionale: la Cedu ............................... 8
1.3 La famiglia nel contesto dell‘Unione europea ........................................................ 14
1.3.1 La nozione di famiglia ................................................................................ 17
1.3.1.1 La nozione di famiglia nel quadro normativo ......................................... 17
1.3.1.2 La nozione di famiglia nell‘interpretazione della giurisprudenza........... 20
1.3.2 La filiazione ................................................................................................ 21
1.3.2.1 La normativa ........................................................................................... 21
1.3.2.2 La giurisprudenza ................................................................................... 24
2. La famiglia nell‘ordinamento italiano e in alcune esperienze straniere .................... 28
2.1 Introduzione ......................................................................................................... 28
2.2 Scenari di sviluppo normativo sulla nozione di famiglia ........................................ 29
2.3 La nozione di famiglia nella giurisprudenza .......................................................... 30
2.3.1 I soggetti del matrimonio ........................................................................... 30
2.3.3 Gli accordi prematrimoniali e i contratti di convivenza ............................. 33
2.4 La filiazione: casi giurisprudenziali e profili evolutivi ............................................ 34
3. L‘incontro tra culture: le problematiche derivanti dal confronto tra le normative
occidentali e la famiglia islamica ................................................................................. 39
3.1 Le caratteristiche del matrimonio islamico e i punti di conflitto con gli ordinamenti
occidentali .................................................................................................................. 39
3.2 Il matrimonio islamico nel diritto sovranazionale: problematiche relative alla
poligamia .................................................................................................................... 41
3.2.1 Il matrimonio poligamico nel contesto della Convenzione europea dei diritti
dell‘uomo ............................................................................................................ 41
3.2.2 Il matrimonio poligamico nel contesto dell‘Unione europea ..................... 42
3.3 Il matrimonio islamico nell‘ordinamento interno ................................................... 43
3.3.1 La celebrazione del matrimonio islamico ................................................... 43
3.3.2 Il riconoscimento e la trascrizione del matrimonio islamico in Italia ......... 44
3.3.3 Il matrimonio poligamico in Italia: il ricongiungimento famigliare e lo stabilirsi
di situazioni di poligamia de facto ....................................................................... 46
3.3.4 Lo scioglimento del vincolo: il ripudio ...................................................... 47
3.4 Questioni relative alla filiazione .......................................................................... 48
5
3.4.1 Il riconoscimento della paternità naturale ................................................ 48
3.4.2 La Kafala e il divieto di adozione di minori islamici .................................. 50
Riferimenti bibliografici ............................................................................................... 53
6
1.
LA
FAMIGLIA
NELLA
NORMATIVA
E
NELLA
GIURISPRUDENZA
SOVRANAZIONALE
Sommario: 1. Introduzione. – 2. La definizione di famiglia nel contesto internazionale: la
CEDU. – 3. La famiglia nel contesto dell‘Unione europea. - 3.1. La nozione di famiglia. –
3.1.1. La nozione di famiglia nel quadro normativo. – 3.1.2. la nozione di famiglia
nell‘interpretazione della giurisprudenza. – 3.2. La filiazione. – 3.2.1. La normativa. –
3.2.2. La giurisprudenza.
1.1 INTRODUZIONE
La famiglia costituisce sia nel contesto sovranazionale che nell‘ambito dell‘ordinamento
interno il principale istituto su cui si fonda la società, in quanto tale doverosa di tutela.
In seno alle Nazioni Unite, il ruolo preponderante della famiglia è sottolineato, in primo
luogo, nella Dichiarazione universale dei diritti dell‘uomo, ove è definita come ―l‘elemento
naturale e fondamentale della società e dello Stato‖.
L‘art. 23 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, poi, prevede che ―1. La famiglia
è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla
società e dallo Stato. 2. Il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia è riconosciuto agli
uomini e alle donne che abbiano l'età per contrarre matrimonio. 3. Il matrimonio non può
essere celebrato senza il libero e pieno consenso dei futuri coniugi. 4. Gli Stati parti del
presente Patto devono prendere misure idonee a garantire la parità di diritti e di
responsabilità dei coniugi riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e al momento
del suo scioglimento. In caso di scioglimento deve essere assicurata ai figli la protezione
necessaria.‖. Similmente, la Carta sociale europea adottata dal Consiglio d‘Europa nel
1961, afferma che ―la famiglia, in quanto cellula fondamentale della società, ha diritto ad
una protezione sociale, giuridica ed economica atta a garantire il pieno sviluppo‖.
Sempre nel contesto dell‘ONU, un ulteriore riconoscimento dell‘importanza della famiglia
può riscontrarsi anche nelle raccomandazioni deliberate dall‘Assemblea Generale. In tal
senso può, ad esempio, leggersi la Risoluzione n. 62/129 del 18 dicembre 2007,
intitolata ―Follow-up to the tenth anniversary of the International Year of the family and
beyond‖ nella quale ―the General Assembly encouraged Governments to continue to make
every possible effort to realize the objectives of the International Year of the Family and
to integrate a family perspective into national policymaking. The assembly also invited
governments to continue to develop strategies and programms aimed at strenghening
national capacities to adress national priorities relating to family issues and encouraged
the United Nation Programme on the Family, within its mandate, to assist Government in
this regard‖.
7
Un importante rilievo assumono poi le convenzioni volte a stabilire un quadro di principi
comuni di tutela. In proposito si ricorda, a mero titolo esemplificativo, la Convenzione di
New York, promossa in seno alle Nazioni Unite, del 20 novembre 1989 sui diritti del
fanciullo.
L‘importanza della famiglia è riconosciuta, inoltre, nei vari sistemi regionali, come la
Convenzione interamericana del 1969, la Carta africana dei diritti dell‘uomo e dei popoli
del 1981, la Carta araba dei diritti umani del 2004. In ambito europeo, essa trova tutela
sia nell‘ambito del Consiglio d‘Europa e della Convenzione europea che dell‘Unione
europea, come si vedrà in seguito.
In materia familiare, un ruolo decisivo è svolto dalla Conferenza dell‘Aja di diritto
internazionale privato, nel cui ambito sono state adottate numerose convenzioni volte a
garantire, al di fuori dei confini statali, l‘attuazione di alcuni diritti relativi ai rapporti di
famiglia, come il diritto agli alimenti, la tutela delle relazioni tra genitori e figli,
l‘adozione.
Il
tentativo
di
prevedere
un
quadro
di
principi
e
di
norme
internazionalprivatistiche comuni in materia di diritto di famiglia, espresso tramite la
conclusione di accordi internazionali da parte degli Stati, risente, però, dell‘ambiguità
derivante dalla difficoltà di trovare una soluzione condivisa sulla nozione di famiglia. Se
questo problema definitorio si presentava di difficile soluzione già in passato, a causa
della diversità delle culture e tradizioni dei vari Stati, esso assume oggi dei tratti ancor più
problematici a causa del rapido mutare all‘interno dei singoli Stati-nazione delle
caratterisctiche e dei valori sottesi a tale istituzione, che ne mettono in discussione la
natura e lo scopo cui è stato tradizionalmente preordinato. Si tratta di una problematica
che si rende sempre più stringente dal momento che le norme in tema di diritto di
famiglia sono sottese a salvaguardare diritti fondamentali degli individui, come le norme
che tutelano gli interessi superiori dei figli.
In questa prospettiva, dunque, è interessante analizzare, in primo luogo, quale sia il
soggetto giuridico a cui sono rivolte le norme pattizie internazionali e comunitarie, per
poi analizzare, in un secondo momento, gli atti giuridici a cui si sta lavorando, sempre a
livello sovranazionale nella materia ivi considerata.
1.2 LA DEFINIZIONE DI FAMIGLIA NEL CONTESTO INTERNAZIONALE: LA CEDU
Nell‘ambito della tutela dei diritti fondamentali viene in rilievo, innanzitutto, la
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell‘uomo e delle libertà fondamentali
firmata a Roma nel 19501, ormai in vigore in più di quaranta Stati2. L‘importanza della
1
V. Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell‘uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il
4 novembre 1950, in vigore dal 3 settembre 1953, depositata presso il segretario generale del Consiglio
d‘Europa. La Convenzione è stata redatta in due lingue ufficiali, inglese e francese.
8
tutela conferita da tale accordo3, oltre che per la materia di cui tratta, viene in rilievo
anche per il fatto che l‘interpretazione delle norme in essa contenute è affidata ad una
Corte ad hoc, la Corte europea dei diritti dell‘uomo avente sede a Strasburgo.
Quest‘ultimo punto assume ancor più rilevanza se si considera che, concretamente, la
Convenzione europea dedica alla famiglia solo due articoli e non viene fornita alcuna
definizione dell‘istituto in esame. Le norme di riferimento sono, precisamente, l‘art. 8,
che tutela la vita privata e familiare, e l‘art. 12 che garantisce il diritto al matrimonio, le
quali dovranno essere, dunque, lette tenendo in considerazione l‘interpretazione
giurisprudenziale. La Corte, infatti, è giunta a pronunciarsi su tematiche di notevole
rilievo come l‘adozione da parte del singolo, i rapporti tra la madre nubile e il figlio
naturale e la coppia omosessuale.
Innanzitutto, la Corte europea di Strasburgo ha sempre riferito l‘art. 12 CEDU al modello
tradizionale di famiglia, fondata sul matrimonio4. La norma prevede che "Men and women
of marriageable age have the right to marry and to found a family, according to the
national laws governing the exercise of this right" (enfasi aggiunta). Essa, quindi, sancisce
il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, ―in base alle previsioni del diritto
nazionale‖.
Con riferimento al diritto si sposarsi, è stato precisato che esso comprende la libertà di
scelta tra matrimonio e celibato, quindi la libertà di non contrarre matrimonio, ma non
quello di ottenere lo scioglimento del matrimonio precedentemente contratto per
contrarne uno nuovo. Un‘eventuale normativa nazionale che non prevedesse il divorzio
non sarebbe, dunque, in contrasto con l‘art. 125. La questione di compatibilità di una
simile normativa interna con la CEDU si pose negli anni Ottanta con riferimento
all‘ordinamento irlandese, il quale, non ammettendo la possibilità di chiedere il divorzio,
impediva al signor Roy H.W. Johnston di sciogliere il proprio matrimonio, celebrato
secondo il rito della Chiesa irlandese, per potersi sposare con la nuova convivente in
modo tale da poter garantire a lei e alla figlia nata dalla loro unione diversi diritti e
garanzie, in particolare per quel che riguardava la successione mortis causa. La Corte,
nella sentenza resa il 18 settembre 1986, precisò che l‘art. 12 CEDU prevede
2
Si tratta di Andorra, Armenia, Austria, Azerbaigian, Belgio, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Cipro,
Croazia,
Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lettonia, Liechtestein,
Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Malta, Moldova, Monaco, Montenegro, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia,
Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Russia, San Marino, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Spagna,
Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria.
3
Ratione materiae, la Convezione si applica in relazione ai diritti e alle libertà fondamentali degli individui così
come definite dalla giurisprudenza delle Corte europea, ratione personae, l‘art. 1 Conv. prevede che gli Stati si
impegnino a rispettare i diritti sanciti nel testo convenzionale nei confronti di tutte le persone soggette alla
propria giurisdizione e non soltanto nei confronti dei propri cittadini.
4
V. La sentenza del 17 ottobre 1986, Rees c. Regno Unito, in Recueil des arrêts et décisions, serie A, n. 106. Sul
tema, v. FERRANDO, Gli interventi della Corte Europea dei Diritti dell‘Uomo in materia di famiglia e il loro rilievo
per la disciplina interna: gli artt. 8 e 12 della Convenzione, atti del convegno del CSM, La famiglia nel diritto
internazionale privato, nel diritto comunitario e nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell‘uomo,
Roma, 25 gennaio 2005.
5
V. La sentenza del 18 dicembre 1986, Johnston c. Irlanda, in Recueil, serie A, n. 112.
9
esclusivamente il diritto di sposarsi, non invece quello di divorziare, espressamente
escluso nei lavori preparatori della Convenzione6. Tale preteso diritto, poi, non potrebbe
farsi discendere neppure da un‘interpretazione evolutiva del testo convenzionale. La
Corte ha sostenuto infatti che, nonostante la Convenzione debba essere interpretata
tenendo in considerazione lo sviluppo della società, non si può far derivare in via
interpretativa un diritto che non è previsto, a maggior ragione quando si tratta di
un‘omissione deliberata, come emerge dai lavori preparatori e dalla mancata inclusione di
tale preteso diritto nel protocollo n. 7, adottato nel novembre 19847. In calce alla stessa
sentenza, inoltre, deve notarsi la dichiarazione del giudice Pinheiro Farinha, secondo il
quale sarebbe stato opportuno inserire nella motivazione un esplicito riferimento alla
famiglia tradizionale affinché non sorgano dubbi sull‘importanza accordata all‘istituto del
matrimonio8. Al contrario, si riscontra anche un‘opinione parzialmente dissenziente. Il
giudice De Meyer, dopo aver sottolineato che nel caso sottoposto al giudizio della Corte la
6
―The Court agrees with the Commission that the ordinary meaning of the words "right to marry" is clear, in the
sense that they cover the formation of marital relationships but not their dissolution. Furthermore, these words
are found in a context that includes an express reference to "national laws"; even if, as the applicants would
have it, the prohibition on divorce is to be seen as a restriction on capacity to marry, the Court does not
consider that, in a society adhering to the principle of monogamy, such a restriction can be regarded as injuring
the substance of the right guaranteed by Article 12 (art. 12). Moreover, the foregoing interpretation of Article 12
(art. 12) is consistent with its object and purpose as revealed by the travaux préparatoires. The text of Article 12
(art. 12) was based on that of Article 16 of the Universal Declaration of Human Rights, paragraph 1 of which
reads: ‗Men and women of full age, without any limitation due to race, nationality or religion, have the right to
marry and to found a family. They are entitled to equal rights as to marriage, during marriage and at its
dissolution.‘ In explaining to the Consultative Assembly why the draft of the future Article 12 (art. 12) did not
include the words found in the last sentence of the above-cited paragraph, Mr. Teitgen, Rapporteur of the
Committee on Legal and Administrative Questions, said: ‘In mentioning the particular Article of the Universal
Declaration, we have used only that part of the paragraph of the Article which affirms the right to marry and to
found a family, but not the subsequent provisions of the Article concerning equal rights after marriage, since we
only guarantee the right to marry‗. In the Court‘s view, the travaux préparatoires disclose no intention to include
in Article 12 (art. 12) any guarantee of a right to have the ties of marriage dissolved by divorce‖. V. sentenza del
18 dicembre 1986, cit. supra nota precedente, punto 52.
7
―It is true that the Convention and its Protocols must be interpreted in the light of present-day
conditions...However, the Court cannot, by means of an evolutive interpretation, derive from these instruments a
right that was not included therein at the outset. This is particularly so here, where the omission was deliberate.
It should also be mentioned that the right to divorce is not included in Protocol No. 7 (P7) to the Convention,
which was opened to signature on 22 November 1984. The opportunity was not taken to deal with this question
in Article 5 of the Protocol (P7-5), which guarantees certain additional rights to spouses, notably in the event of
dissolution of marriage. Indeed, paragraph 39 of the explanatory report to the Protocol states that the words ‗in
the event of its dissolution‘ found in Article 5 (P7-5) ‗do not imply any obligation on a State to provide for
dissolution of marriage or to provide any special forms of dissolution‘…‖, ibidem, punto 53. In dottrina, fra gli
latri, v. P. van Dijk, ‗Positive Obligations‘ Implied in the European Convention on Human Rights: are the States
still the ‗Masters‘ of the Convention? , in M. Castermans-Holleman, F. van Hoof, J. Smith (Eds), The Role of the
Nation-State in the 21st Century Human Rights, International Organisations and Foreign Policy. Essay in Honour
of Peter Baehr, Kluwer Law International, The Hague, 1998, p. 19.
8
With great respect to my eminent colleagues, I consider that the following sentence should have been added to
sub-paragraph (b) of paragraph 55 of the judgment: "The Court recognizes that support and encouragement of
the traditional family is in itself legitimate or even praiseworthy.‖ This is a citation from paragraph 40 of the
Marckx judgment of 13 June 1979, the omission of which might cause the present judgment to be interpreted incorrectly - as meaning that the Court attaches no importance to the institution of marriage, Declaration of
Judge Pinheiro Farina, annessa alla sentenza citata.
10
questione riguardava soltanto lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, non
invece la validità del matrimonio religioso, sostenne che la normativa irlandese fosse
contraria agli artt. 8, 9 e 12 della Convenzione. Il divieto di divorzio si porrebbe in
contrasto, infatti, sia con le libertà di tutte le persone, cattoliche e non, sia con la libertà
religiosa proclamata in particolare in occasione del Concilio Vaticano II9.
Per quanto riguarda questa sede d‘indagine, è interessante notare che la Corte giunge a
ritenere legittima la normativa nazionale, la quale non ammette la possibilità di divorzio,
non già sulla base dei principi fondamentali e tradizionali comuni riconosciuti dagli Stati
parte della Convenzione, ma sulla base di una sola interpretazione oggettiva-letterale del
testo, che potrebbe naturalmente mutare.
Il costante riferimento alla normativa interna statale e la mancata individuazione di una
tradizione comune a fondamento della Convenzione stessa conduce, inevitabilmente,
all‘emanazione di sentenze che sembrano in netto contrasto tra loro. Con la sentenza del
18 dicembre 1987, ad esempio, la Corte si è pronunciata relativamente a un altro caso di
divorzio10. Il richiedente aveva già divorziato due volte e l‘ultima domanda era stata
presentata due settimane dopo il terzo matrimonio. Il giudice gli aveva vietato, in base
alla norma dell‘art. 150 del codice civile svizzero, di risposarsi prima che fossero passati
tre anni. A stretta maggioranza11, la Corte ritenne che tale divieto fosse in contrasto con
l‘art. 12, in quanto misura sproporzionata12.
Nonostante, come si è visto, la Corte abbia saldamente riferito l‘art. 12 al modello
tradizionale di famiglia fondata sul matrimonio, ciò non ha significato che le altre
relazioni siano state lasciate prive di tutela. Esse, infatti, sono state fatte ricadere
nell‘ambito di applicazione dell‘art. 8, secondo cui "1. Everyone has the right to respect
for his private and family life, his home and his correspondence. 2. There shall be no
interference by a public authority with the exercise of this right except such as is in
accordance with the law and is necessary in a democratic society in the interests of
national security, public safety or the economic well-being of the country, for the
9
―The prohibition, under the Constitution of the respondent State, of any legislation permitting the dissolution
of marriage is, as seems already to have been recognized in 1967 by a Committee of that State‘s Parliament,
ʻcoercive in relation to all persons, Catholics and non-Catholics, whose religious rules do not absolutely prohibit
divorce in all circumstancesʼ and ʻat variance with the accepted principles of religious liberty as declared at the
Vatican Council and elsewhereʼ. Above all, it is, as that Committee stated, ʻunnecessarily harsh and rigidʼ. In
what the Convention, in several provisions and notably those concerning respect for private and family life and
freedom of conscience and religion, calls ʻa democratic societyʼ, the prohibition cannot be justified.‖, Separate
Opinion, partly dissenting and partly concurring, of Judge De Meyer, annessa alla sentenza citata.
10
11
V. La sentenza del 18 dicembre 1987, F. c. Svizzera, in Recueil, A, n. 128.
Si registrano alcune opinioni contrarie. V. Dissenting Opinion of Judges Thór Vilhálmsson, Bindschedler-
Robert, F. Gölcüklü, F. Matscher, Pinheiro Farinha, B. Walsh, J. De Meyer and N. Valticos.
12
La Corte nella motivazione ha precisato che si trattava di un caso divergente da quello precedentemente
analizzato, dal momento che al signor F non era stato impedito il divorzio.
11
prevention of disorder or crime, for the protection of health or morals, or for the
protection of the rights and freedoms of others"13.
Secondo la giurisprudenza di Strasburgo, precisamente, ricadono nella nozione di ―vita
familiare‖ tutte quelle relazioni che rivelano ―the real existence in practice of close
personal ties‖14.
La clausola del rispetto della ―vita privata‖, è stato utilizzata, invece, come base giuridica
per conferire tutela alle coppie omosessuali 15, escluse dall‘ambito di applicazione dell‘art.
12. Sempre in riferimento alla tutela della vita privata è stato condannato il diniego
dell‘affidamento del figlio al padre omosessuale in ragione del suo orientamento
sessuale16.
Proprio la clausola del rispetto della vita privata e familiare ha consentito l‘avvio di una
giurisprudenza favorevole al riconoscimento delle coppie transessuali. La Corte di
Strasburgo nel 1992, infatti, ha riconosciuto il diritto dei transessuali alla correzione degli
atti di stato civile che, invece, alcuni ordinamenti interni, ad esempio quello francese, non
ammettevano17. In attuazione di questa sentenza e senza attendere interventi legislativi,
l‘Assemblea Plenaria della Corte di Cassazione francese 18, modificando il proprio
precedente orientamento, ha autorizzato la modifica dello stato civile. In due sentenze
dell‘11 luglio 2002 la Corte europea ha inoltre riconosciuto il diritto del transessuale,
dopo il mutamento di sesso, di contrarre matrimonio 19. Diversamente dalla precedente
sentenza, però, in questo caso la normativa nazionale che impediva ai transessuali di
contrarre matrimonio è stata giudicata contraria all‘art. 12, ovvero al diritto di sposarsi.
La Corte, infatti, pur riferendo il diritto di sposarsi ad un uomo e una donna, ha
evidenziato la necessità di intendere questi termini in un‘accezione evolutiva, non
ancorata esclusivamente a caratteri biologici, capace dunque di comprendere chi ha
subito una modificazione di sesso.
Il modello tradizionale di famiglia fondata sul matrimonio è stato, recentemente, messo in
crisi da una nuova pronuncia della Corte di Strasburgo, che si è pronunciata nella sua
massima composizione, resa il 22 gennaio 200820. Una donna omosessuale e stabilmente
convivente con un‘altra donna aveva inoltrato, il 26 febbraio 1998, una richiesta di
13
Sul significato di vita familiare v. in dottrina, fa gli altri, N. Blake, R. Husain, Immigration, Asylum & Human
Rights, Oxford University Press, Oxford, 2003, pp. 165-210.
14
Ibidem, p. 166.
15
Ibidem, p. 169.
16
V. sentenza del 21 dicembre 1999, Salgueiro De Silva Mouta c. Portogallo, in Corriere giuridico, 2000, p. 694.
17
V. la sentenza del 25 marzo 1992, B. c. Francia, in Recueil, serie A, n. 232-C.
18
Cour de Cassation, sentenza del 1 dicembre 1992, Gaz. Pal, 1993,1, 180.
19V.
la sentenza del 22 aprile 1997, X Y e Z c. Regno Unito, in Recueil, 1997-II, che afferma la sussistenza della
vita privata e familiare tra due donne, di cui una aveva subito il mutamento di sesso ed il figlio della coppia
generato mediante inseminazione artificiale.
V. Sentenza del 22 gennaio 2008, E.B. c. Francia, in Famiglia e diritto, 2008, p. 221 s., con nota di E. Faletti,
La Corte europea dei diritti dell‘uomo e l‘adozione da parte del single omosessuale.
20
12
adozione che era stata rigettata dalle autorità francesi a causa dell‘assenza della figura
paterna di riferimento, dell‘omosessualità dell‘aspirante adottante e della manifestata
indisponibilità della convivente a occuparsi dell‘adottando. Partendo dalla disamina del
diritto interno francese, a norma del quale è consentita anche l‘adozione da parte di
persone singole, purché maggiori degli anni 28, la Corte ha ritenuto che il rifiuto delle
autorità fosse lesivo dei diritti tutelati dagli articoli 8 e 14 CEDU, ovvero, rispettivamente,
il rispetto della vita privata e familiare e il divieto di discriminazione. Dal momento che
l‘ordinamento francese ammette l‘adozione da parte di persone singole, il rigetto della
domanda di adozione da parte del single omosessuale è evidentemente discriminatorio.
Nonostante la decisione sia stata adottata dalla Corte nella sua massima composizione
(17 giudici), si registrano alcune opinioni dissenzienti21, che, sulla base di percorsi
argomentativi diversi, hanno evidenziato l‘inesistenza del diritto affermato dalla Corte per
assicurare al minore le condizioni di accoglienza favorevoli22.
In base alla giurisprudenza della Corte europea, dunque, non può dirsi che dalle norme
della CEDU sia enucleabile un concetto di famiglia intenso in senso assoluto, espressione
di determinati valori. All‘opposto si assiste a una relativizzazione dei concetti, in qui la
Corte svolge la funzione di guardiano del principio di uguaglianza formale.
Si noti che la Convenzione europea e la giurisprudenza interpretativa delle norme CEDU
saranno destinate ad assumere nel contesto dell‘Unione europea una valenza più
pregnante nell‘ipotesi in cui l‘Unione decida di aderire alla Convenzione, secondo quanto
previsto dal Trattato di Lisbona23. Invero, la Corte di giustizia ha già iniziato a
pronunciarsi sul rispetto dei diritti fondamentali24 e il dialogo fra le due Corti negli anni si
21
V. Dissenting Opinion of Judge Costa, joined by judges Türmen, Ugrekhelidze and Jočienė, Dissenting Opinion
of Judge Zupančič, Dissenting Opinion of Judge Loucaides, Dissenting Opinion of Judge Mularoni.
Sul tema v. anche A. Donati, Omosessualità e procedimento di adozione in una recente sentenza della Corte di
Strasburgo, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2008, p. 1096.
22
V. Trattato di Lisbona che modifica il trattato sull'Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità
europea, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007, in GUCE, C-306 del 17 dicembre 2007, pp. 1 ss.. V. anche
Versione consolidata del trattato sull'Unione europea e del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in
GUCE, C-115 del 9 maggio 2008, pp. 1 ss. L‘art. 6, comma 2, del TUE, come modificato dal Trattato di Lisbona,
23
dispone che ―L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati.‖, l‘art. 218, comma 6,
del TFUE (ex art. 300 TCE), poi, dispone ―Il Consiglio, su proposta del negoziatore, adotta una decisione relativa
alla conclusione dell'accordo. Tranne quando l'accordo riguarda esclusivamente la politica estera e di sicurezza
comune, il Consiglio adotta la decisione di conclusione dell'accordo: …ii) accordo sull'adesione dell'Unione alla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali…‖.
24
Dopo una prima fase in cui la CGCE si dichiarava incompetente rationae materia a pronunciarsi in materia di
diritti fondamentali, con le sentenze Stauder e Internationale Handelsgesellschaft si procedette ad una nuova
fase, in cui la CGCE non ha esitato ad affermare che ―i diritti fondamentali della persona… fanno parte dei
principi generali del diritto comunitario di cui la Corte garantisce l‘osservanza‖ e, ammettendo che la tutela di
tali diritti pur essendo ―improntata alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati Membri‖ può e deve essere
garantita anche nell‘ambito della Comunità nei limiti e in funzione della propria struttura e finalità. V. CGCE,
sentenza 12 novembre 1969, causa 29/69, Stauder, in Racc., 1969, p. 420; CGCE, sentenza 17 dicembre 1970,
causa 11/70, Internationale Handelsgesellschaft, in Racc., 1970, p. 1125.
13
è sempre più intensificato25. Tuttavia, non può negarsi che la ratifica del Trattato di
Lisbona comporta una decisiva novità con riferimento all‘efficacia giuridica della Carta di
Nizza del 2001.
1.3 LA FAMIGLIA NEL CONTESTO DELL‘UNIONE EUROPEA
La problematica inerente i diritti fondamentali delle persone non è stata posta
espressamente nel 1950, quando alcuni Paesi dell‘area europea decisero di creare
un‘Unione doganale e un mercato comune di scambio e di circolazione di merci, servizi e
lavoratori. Le Comunità Europee infatti nascevano con finalità strettamente economiche e,
per questo, nei Trattati istitutivi non fu previsto un espresso richiamo ai diritti
dell‘individuo, se non con riferimenti circoscritti a diritti che avessero una protezione
economica.
Anche la tutela riservata alla famiglia rifletteva tale impostazione e, sempre in
quest‘ottica, furono adottate le direttive sul ricongiungimento famigliare dei lavoratori.
Dal punto di vista contenutistico, dunque, la problematica relativa alla definizione di
famiglia è entrata, dapprima, nel dibattito sorto all‘interno dell‘Unione in relazione al
riconoscimento della libertà di circolazione dei lavoratori e, in un secondo momento, delle
persone.
L‘importanza attribuita dalla Comunità ai diritti fondamentali in quanto tali si sviluppò nel
corso degli anni con il progressivo passaggio da un‘unione doganale a un mercato
interno, fino alla creazione di uno ―spazio giuridico europeo di libertà, sicurezza e
giustizia‖ ad opera dei Trattati di Maastricht e di Amsterdam, rispettivamente del 1992 e
del 1999.
In seguito all‘inclusione, da parte del Trattato di Amsterdam, nel c.d. ―primo pilastro‖ del
Titolo IV, rubricato ―Visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera
circolazione delle persone‖, sono state introdotte diverse normative disciplinanti la vita
familiare. Si tratta di disposizioni che per la loro natura rivestono efficacia vincolante per
gli Stati membri, senza bisogno di ratifica. Dal 1° dicembre 2009, data di entrata in vigore
del Trattato di Lisbona, poi, la Comunità europea ha cessato di esistere: le sue
competenze sono state trasferite in capo all‘Unione europea e il trattato CE è stato
ridenominato trattato sul funzionamento dell‘Unione europea (TFUE). La divisione in
pilastri è, pertanto, venuta meno e tutta la materia disciplinata dal titolo VI TUE (artt. 2942) è confluita nel titolo V TFUE.
Sul rapporto tra Corte di giustizia e Corte europea v., fra gli altri, A. Rosas, Fundamental Rights in the
Luxembourg and Strasbourg Courts, in C. Baudenbacher et al. (Eds), The EFTA Court: ten Years on, Oxford, Hart,
2005; S. Douglas-Scott, A tale of two Courts: Luxembourg, Strasbourg and the growing European Human Rights
Acquis, in Common Market Law Review, 43, 3, 2006, pp. 629 ss.
25
14
La c.d. ―comunitarizzazione‖ della cooperazione giudiziaria in materia civile ha quindi
aperto la strada verso l‘elaborazione, peraltro da molti auspicata, di un ―diritto di famiglia
europeo‖, volto ad armonizzare le legislazioni familiari degli Stati membri, determinando
nel contempo delicate problematiche, derivanti dalla circostanza che in alcuni Paesi
europei si è andato via via disgregando il modello tradizionale di famiglia. Infatti, dal
2001 in Olanda, dal 2003 in Belgio, dal 2005 in Spagna è possibile celebrare le nozze
indipendentemente dal sesso. In altri Paesi, invece, le coppie omosessuali registrate sono
equiparate alle coppie eterosessuali sposate. Si tratta precisamente della Danimarca dal
1989, della Norvegia dal 1993, della Svezia dal 1994 e, con alcune peculiarità, della
Francia, della Germania, della Finlandia, del Lussemburgo, della Slovenia e della
Repubblica ceca. Negli altri Paesi – Italia, Grecia, Irlanda, Polonia, Malta, Cipro, Estonia,
Lettonia, Lituania, Slovacchia, Bulgaria e Romania – ancorati al modello familiare
tradizionale, il riconoscimento di queste nuove unioni è stato fino ad ora impedito
attraverso il ricorso alla clausola dell‘ordine pubblico.
Un ulteriore passo in avanti si è avuto, infine, con la conclusione del Trattato di Lisbona
mediante la quale è stata ―incorporata‖ nel Trattato sull‘Unione europea (TUE) la Carta di
Nizza del 2001, ottenendo de facto il medesimo risultato che si era cercato di
raggiungere qualche anno fa con la c.d. Costituzione europea, la quale prevedeva una
sorta di catalogo dei diritti fondamentali degli individui. Tale elenco fu, insieme ad altri
elementi, osteggiato da più parti perché si riteneva che evocasse troppo la formulazione
delle carte costituzionali moderne e, dunque, avrebbe potuto far pensare all‘Unione come
a uno Stato federale. Per evitare il riproporsi di tali critiche, al momento di negoziare il
Trattato di Lisbona i rappresentanti degli Stati prestatarono molta attenzione ad evitare
qualsiasi riferimento idoneo a evocare l‘idea di una federazione di Stati, mediante
un‘ulteriore cessione di sovranità da parte dei vari Paesi membri all‘Unione europea, che
ora gode anche di personalità giuridica propria. Per quanto qui interessa, la riforma non
ha inteso riproporre un preambolo contenente i diritti fondamentali. Lo scopo di
introdurre tale categoria di diritti nel contesto del diritto dell‘Unione europea, già peraltro
rientranti nei principi di diritto dell‘UE, è stato ottenuto mediante il rinvio operato all‘art.
6, comma 1, il quale prevede che ―L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti
nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il
12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.‖.
Nella Carta di Nizza si riscontrano numerose norme riguardanti la famiglia: l‘art. 7
assicura il rispetto della vita privata e familiare, l‘art. 9 garantisce il diritto di sposarsi e il
diritto di costituire una famiglia, l‘art. 14 afferma il diritto dei genitori di provvedere
all‘educazione e all‘istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose,
filosofiche e pedagogiche, l‘art. 23 codifica il diritto alla parità tra uomo e donna, l‘art. 24
i diritti del bambino, l‘art. 25 quelli degli anziani, l‘art. 26 quelli dei disabili, mentre l‘art.
33 enuncia il principio di ordine generale secondo cui ―è garantita la protezione della
famiglia sul piano giuridico, economico e sociale‖. Si noti che la Carta di Nizza, come la
Convenzione europea, non si limita a riconoscere il ―diritto di sposarsi‖, ma riconosce
anche il ―diritto di fondare una famiglia‖, determinando la possibilità di un‘apertura
dell‘ordinamento alle unioni di fatto.
15
Invero, deve notarsi che in occasione della riforma di Lisbona gli Stati membri non hanno
manifestato alcuna volontà di conferire alle istituzioni europee il potere di legiferare
direttamente nel campo del diritto materiale di famiglia. Al contrario, deve segnalarsi il
rafforzamento delle condizioni e dei limiti nel rispetto dei quali le istituzioni sono
legittimate ad adottare misure di diritto internazionale privato e processuale in tale
ambito.
Analizzando più specificamente le disposizioni riguardanti la ―Cooperazione giudiziaria in
materia civile‖, assume rilievo il capo 3 del titolo V TFUE che, all‘art. 81 (ex art. 65 TCE),
par. 1, dichiara di fondarsi sul principio del reciproco riconoscimento delle decisioni
giudiziarie ed extragiudiziali. Tale cooperazione include altresì la possibilità di adottare
misure volte a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Al
paragrafo 2, poi, si precisa che l‘emanazione degli atti contenuti nell‘elencazione del
paragrafo 3 e, in particolare, le misure volte a garantire il riconoscimento negli Stati
membri di decisioni giudiziarie ed extragiudiziali, nonché le relative misure di
esecuzione, è limitata alle sole ipotesi in cui ciò appaia necessario ai fini della
cooperazione giudiziaria civile e, in particolare, del ―buon funzionamento del mercato
interno‖ (enfasi aggiunta).
In tale settore, pertanto, l‘adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni
legislative e regolamentari degli Stati membri è consentita solo nella misura in cui appaia
funzionale a tale obiettivo ed, in ogni caso, ―nel rispetto dei diritti fondamentali nonché
dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri‖
(enfasi aggiunta), come precisato all‘art. 67, par. 1, TFUE. Dunque, pur legando sempre la
logica della cooperazione giudiziaria alla realizzazione del mercato interno, quest‘ultimo
non ne costituisce più l‘unico parametro di riferimento.
Oltre a quanto si è detto, nella materia familiare, la disciplina di fonte europea è stata
sin‘ora limitata ai soli profili internazionalprivatistici del diritto di famiglia, a causa dello
sfavore con cui gli Stati membri concepiscono un eventuale intervento di diritto
sostanziale, come conferma l‘art. 81, par. 3, TFUE. (par. 3). Infatti, mentre, in generale, la
procedura legislativa da seguire per la realizzazione dello spazio giudiziario europeo è
individuata in quella ordinaria, vale a dire nel procedimento di codecisione, che prevede il
voto a maggioranza qualificata (art. 81, par. 2, TFUE), le corrispondenti misure relative al
diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali devono essere stabilite dal Consiglio
secondo una procedura legislativa speciale, ovvero all‘unanimità previa consultazione del
Parlamento europeo (art. 81, par. 3, comma 1, TFUE). Su proposta della Commissione e
sempre previa consultazione del Parlamento europeo, il Consiglio all‘unanimità può,
peraltro, deliberare che certi aspetti del diritto di famiglia aventi implicazioni
transnazionali siano assoggettati alla procedura legislativa ordinaria. In tal caso, in base
al principio di sussidiarietà, i parlamenti nazionali sono informati della relativa proposta e
se uno di essi, entro sei mesi, comunica la propria opposizione, la decisione non è
adottata (art. 81, par. 3, comma 2, TFUE).
La necessaria limitazione dell‘intervento del legislatore europeo in tale ambito è stata
sottolineata anche dalla Corte costituzionale tedesca nella famosa sentenza del 30 giugno
16
200926. Secondo quest‘ultima, infatti, tra le aree in cui è essenziale che lo Stato conservi il
potere di imprimere la propria politica sarebbero incluse, inter alia, la cittadinanza, l‘uso
della forza militare e civile, il diritto penale e, naturalmente, gli aspetti legati alla cultura
ed alle caratteristiche proprie di un Paese come lingua, famiglia e libertà di opinione,
stampa e associazione (par. 249). In un successivo passaggio della sentenza, poi, si legge
che il fondamentale principio democratico sarebbe violato se non si garantisse a ciascuno
di realizzarsi ―in one‘s own cultural area as regards decisions that are made in particular
concerning the school and education system, family law, language …‖ (enfasi aggiunta).
1.3.1 La nozione di famiglia
1.3.1.1 La nozione di famiglia nel quadro normativo
Nei vari testi normativi che sono stati sin‘ora adottati, l‘Unione (già CE) non ha fornito una
definizione
del
termine
―famiglia‖,
lasciando
ai
legislatori
nazionali
un‘ampia
discrezionalità in materia, essenzialmente sulla base del principio di sussidiarietà.
Invero, qualche tentativo definitorio è riscontrabile nella Direttiva 2004/38/CE del 29
aprile 2004, recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, il cui
quinto ―considerando‖ afferma che ―la definizione di familiare dovrebbe altresì includere il
partner che ha contratto un‘unione registrata, qualora la legislazione dello Stato membro
ospitante equipari l‘unione registrata al matrimonio.‖. Il trentunesimo ―considerando‖
afferma, poi, che ―gli Stati membri dovrebbero dare attuazione alla presente direttiva
senza operare tra i beneficiari della stessa alcuna discriminazione fondata su
discriminazioni quali sesso … o tendenze sessuali.‖. L‘art. 2.2, poi, è stato formulato
riferendosi ai membri della famiglia in termini di rapporto di coniugio, ma ha altresì
previsto la figura del partner.
Oltre all‘armonizzazione mediante direttive, l‘Unione è intervenuta nella materia
famigliare con lo strumento dei regolamenti.
In proposito, però, il Regolamento (CE) n. 2201/0327, che ha abrogato il precedente
Regolamento
(CE)
n.
1347/00,
relativo
alla
competenza,
al
riconoscimento
e
all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità
genitoriale, non fornisce alcuna definizione di famiglia.
26
27
Sentenza del Bundesverfassungsgericht, secondo Senato, del 30 giugno 2009 sul Trattato di Lisbona.
Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al
riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale,
che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000, in GU, L 338 del 23.12.2003, pp. 1 ss. Il regolamento è
applicabile dal 18 giugno 2011, secondo quanto previsto dall‘art. 76 Reg.
17
Recentemente è entrato in vigore il Regolamento (CE) n. 4/2009 28, che rappresenta il
primo atto comunitario successivo all‘adesione della Comunità europea alla Conferenza
dell‘Aja di diritto internazionale privato. Il regolamento si applica, ai sensi dell‘art.1, alle
―obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, parentela o affinità.‖. Anch‘esso,
però, non precisa né cosa si debba intendere con l‘espressione ―obbligazione alimentare‖,
né con il termine di ―famiglia‖. Con rifermento, a quest‘ultimo aspetto, invero, nella
proposta della Commissione al Consiglio si rileva un tentativo di estensione dell‘ambito
applicativo agli obblighi alimentari scaturenti da rapporti di coppia non coniugali, definiti
―relazioni con effetti simili‖ a quelli dei rapporti familiari, secondo il diritto ad essi
applicabile29. Tale estensione non è stata accolta nella provvedimento definitivo adottato
dal Consiglio, il quale non ha, però, neppure precisato quale sia il modello familiare a cui
fa riferimento.
Posto che, come già in altri campi, la Corte di giustizia è solita far riferimento a una
nozione automa degli istituti privatistici, ci si potrebbe chiedere se ciò valga anche con
riferimento all‘istituto in esame. In proposito, in dottrina si sostiene la maggiore
ragionevolezza di una definizione rimessa ai singoli Stati membri. Tale soluzione sarebbe
coerente in vista del coordinamento con il protocollo dell‘Aja, che definisce negli stessi
termini il proprio ambito di applicazione materiale. In tale contesto, infatti, è stato
sottolineato che non sembra preclusa ad uno Stato la possibilità di dare alla nozione di
rapporti di famiglia un‘interpretazione ex lege fori30.
Questo dato, tuttavia, è molto meno tranquillo di quanto non sembri, laddove si consideri
la disciplina prevista per il riconoscimento e l‘esecuzione delle decisioni straniere.
Secondo l‘art. 22 del Regolamento (CE) n. 4/09, infatti, non occorre che il rapporto di
famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità alla base dell‘obbligazione alimentare e
che ha dato luogo alla decisione attestante il diritto di credito, sia riconosciuto da parte
dello Stato in cui tale diritto vuole farsi valere. Il regolamento, in sostanza, è ispirato al
principio di scindibilità del rapporto alimentare da quello familiare sottostante, come
chiarisce anche il ―considerando‖ n. 25, secondo cui ―Il riconoscimento in uno Stato
28
Regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge
applicabile, al riconoscimento e all‘esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni
alimentari, in GU, L 7 del 10.1.2009, pp. 1 ss. Il regolamento è applicabile dal 18 giugno 2011, secondo quanto
previsto dall‘art. 76 Reg.
29
V. l‘art. 1 della proposta di regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile, al
riconoscimento e all‘esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari,
COM(2005) 649 def. del 15 dicembre 2005. In dottrina, v. PASTINA, La ―comunitarizzazione‖ del diritto delle
obbligazioni alimentari nella proposta di Regolamento presentata alla Commissione, in Studi sull‘integrazione
europea, 2007, pp. 633 ss., VIARENGO, Le obbligazioni alimentari nel diritto internazionale privato comunitario,
in BARIATTI (a cura di), La famiglia nel diritto internazionale privato comunitario, Milano, 2007, pp. 225 ss.,
TROMBETTA-PANIGADI, Le obbligazioni alimentari, in DE CESARI (a cura di), Persona e famiglia, II, Un Trattato di
diritto privato dell‘unione europea, Torino, 2008, pp. 343 ss., BARUFFI, Il riconoscimento delle decisioni in
materia di obbligazioni alimentari verso i minori:l‘Unione europea e gli Stati Uniti a confronto, in Nuovi
strumenti del diritto internazionale privato. Liber F. Pocar, Milano, 2009, pp. 39 ss.
In tal senso v. A. BONOMI, The Hague Protocol of 23 November 2007 on the Law Applicable to Maintenance
Obligations, in Yearbook of Private International Law, 2008, pp. 339 ss.
30
18
membro di una decisione in materia di obbligazioni alimentari mira soltanto a consentire
il recupero del credito alimentare determinato nella decisione. Non implica il
riconoscimento da parte di tale Stato membro del rapporto di famiglia, di parentela, di
matrimonio o di affinità che ha dato luogo alle obbligazioni alimentari da cui è scaturita la
decisione.‖. In base a tale principio, il riconoscimento e l‘esecuzione di una sentenza
possono essere concessi riguardo alla sola statuizione sugli alimenti, anche se il rapporto
familiare sottostante non è riconoscibile secondo le norme dello Stato richiesto. Sulla
base dell‘art. 22, pertanto, sembrerebbe potersi eseguire in Italia un diritto di credito
alimentare fondato su un‘unione civile che il nostro ordinamento di per sé riterrebbe
contraria all‘ordine pubblico, poiché non sembra necessario un sindacato sulla validità del
rapporto che origina l‘obbligazione.
Si noti, inoltre, che in base all‘art. 21, il rifiuto dell‘esecuzione può essere concesso, ad
istanza del debitore, solo qualora il diritto di ottenere l‘esecuzione sia prescritto, la
decisione sia incompatibile con una decisione emessa nello Stato dell‘esecuzione o che
soddisfi in tale Stato le condizioni necessarie per il suo riconoscimento, il debitore abbia
richiesto il riesame della decisione all‘autorità dello Stato d‘origine. Dunque, non è
prevista la contrarietà all‘ordine pubblico tra le ipotesi di rifiuto dell‘esecuzione.
In dottrina31, invero, è stato notato che il risultato concreto del diniego della pretesa
alimentare potrebbe in taluni casi essere raggiunto in sede di accertamento del diritto
sulla base dell‘art. 6 del protocollo dell‘Aja del 2007 che conferisce al debitore la
possibilità di opporre alla richiesta di alimenti l‘inesistenza dell‘obbligazione ai sensi della
legge in cui risiede abitualmente e, eventualmente, della legge nazionale comune. Sono,
infatti, eccettuate dalla previsione soltanto le obbligazioni nei confronti dei figli e tra
coniugi o ex coniugi, ma non quelle tra partners di un‘unione non coniugale. Ai sensi di
tale norma, dunque, sembra potersi opporre alla richiesta dell‘attore l‘inesistenza
dell‘obbligazione derivante da un‘unione di fatto, non invece quella derivante da un
matrimonio omosessuale.
Sempre in materia familiare, poi, si segnala l‘adozione del recente Regolamento ―Roma
III‖32. Invero, il regolamento pur introducendo norme di conflitto in materia matrimoniale
non offre alcuna definizione di famiglia. L‘uniformazione delle norme di diritto
internazionale privato conseguente all‘adozione del regolamento Roma III contribuirà,
tuttavia, alla realizzazione di un‘uniformazione de facto anche dei diritti sostanziali e
processuali applicabili nei vari Paesi membri. A conferma di ciò, è sufficiente riferirsi alle
norme che consentono ai coniugi di scegliere consensualmente sia il tribunale davanti al
Sul tema v. MALATESTA, La convenzione e il protocollo dell'Aja del 2007 in materia di alimenti, in Rivista di
diritto internazionale privato e processuale, 2009, p. 829 ss.
31
32
Regolamento (UE) n. 1259/2010 del Consiglio del 20 dicembre 2010 relativo all‘attuazione di una
cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, in GU L 343
del 29.12.2010, pp. 10-16. V. anche Proposta di Regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge
applicabile, al riconoscimento e all‘esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi,
Bruxelles, 16 marzo 2011, COM(2011) 126 definitivo; Proposta di Regolamento del Consiglio relativo alla
competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all‘esecuzione delle decisioni in materia di effetti
patrimoniali delle unioni registrate, Bruxelles, 16 marzo 2011, COM(2011) 127 definitivo.
19
quale radicare la causa di scioglimento del matrimonio, sia la legge ad essa applicabile,
determinando il fenomeno del c.d. forum shopping. Nell‘esercizio di tale facoltà i coniugi
potrebbero designare quale giudice competente e quale legge applicabile quelli di uno
Stato membro che consenta loro di beneficiare, ad esempio, degli effetti di istituti come
gli
accordi
prematrimoniali
e
gli
accordi
sulle
conseguenze
del
divorzio
che,
nell‘ordinamento di rispettiva appartenenza, non siano invece ammessi. Inoltre, se è vero
che rimane in capo ai giudici nazionali la possibilità di invocare la clausola dell‘ordine
pubblico, è altrettanto vero che tale clausola dovrà essere interpretata restrittivamente. In
proposito, è interessante notare che nella proposta di regolamento sulla legge applicabile
al regime patrimoniale delle unioni registrate33, l‘art. 18, par. 2, prevede che la legge
designata sulla base del regolamento non potrà essere esclusa invocando la clausola
dell‘ordine pubblico, per il solo fatto che l‘ordinamento del foro non conosce tali tipi di
unioni.
1.3.1.2 La nozione di famiglia nell‘interpretazione della giurisprudenza
In merito alla nozione di famiglia, inoltre, occorre tenere presente che un ruolo
interpretativo molto importante è costantemente svolto sia dalla Corte di giustizia,
chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità del diritto nazionale con le libertà garantite
dal Trattato, sia dai vari giudizi nazionali, interpreti del diritto comunitario negli
ordinamenti statali.
Con la sentenza del 7 gennaio 2004, ad esempio, la Corte di giustizia ha dichiarato
incompatibile con il diritto comunitario, in particolare con il principio di eguaglianza tra i
sessi nella retribuzione, ex art. 141 Tr. CE, una legislazione nazionale che, in violazione
della Convenzione europea del 1950, impediva a una coppia transessuale di soddisfare la
condizione del matrimonio, necessaria affinché uno di essi potesse godere, in termini di
reversibilità, di un elemento della retribuzione dell‘altro. Nel caso di specie la lavoratrice
da tempo conviveva con un uomo divenuto tale in seguito a mutamento di sesso, ma con
il quale, a causa della legge inglese che impediva la modifica degli atti di stato civile, non
poteva contrarre matrimonio34.
La Corte di giustizia, invece, è stata restia, sino ad ora, ad estendere al convivente dello
stesso sesso i benefici riconosciuti al coniuge. Sono emblematici, in proposito, il caso
Reed35 ed il caso Grant36, il primo inteso a negare l‘assimilazione tra coniuge e
33
V. Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile e all‘esecuzione delle
decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate, del 16 marzo 2011, cit. supra nota precedente.
34
CGCE, sentenza del 7 gennaio 2004, causa C-117/01, in Racc. 2004, p. I-541.
35
CGCE, sentenza del 17 aprile 1986, causa 59/85, Reed, in Racc. 1986, p. 1283.
36
CGCE, sentenza del 17 febbraio 1998, causa C-249/96, Grant, in Racc. 1998, p. I-621.
20
convivente, e il secondo a escludere che alle coppie omosessuali possa essere
riconosciuta la stessa tutela attribuita a quelle eterosessuali non coniugate. Il principio è
stato ribadito nella più recente sentenza D. e Regno di Svezia e a c. Consiglio, che esclude
che la norma del Regolamento che attribuisce ai dipendenti della Comunità, se coniugati,
un assegno di famiglia possa applicarsi a coppie omosessuali 37.
Con riferimento ai giudici nazionali è utile segnalare, sempre a titolo esemplificativo, la
recente sentenza della Corte di Cassazione italiana del 17 marzo 2009, n. 6441,
interpretativa della normativa di attuazione della Direttiva comunitaria 2003/86/CE sul
ricongiungimento familiare. Secondo la sentenza non ha diritto al ricongiungimento
familiare il cittadino extracomunitario legato da un‘unione debitamente attestata nel
proprio Paese d‘origine (nel caso di specie si trattava della Nuova Zelanda), con un
cittadino italiano dello stesso sesso, perché la qualità di ―familiare‖ - necessaria, ai sensi
dell‘art. 30 del d.lgs n. 286 del 1998, recentemente modificato 38 - per il riconoscimento
del diritto è esclusa, nel nostro ordinamento, per qualsiasi convivenza di fatto, etero e
omosessuale. Non è detto però che tale orientamento, favorevole al riconoscimento del
primato della famiglia tradizionale, sia destinato a rimanere immutato nel tempo, data la
nota mutevolezza della categoria dell‘ordine pubblico, caratterizzata dal principio di
relatività.
1.3.2 La filiazione
1.3.2.1 La normativa
Mentre non si assiste a una totale apertura nel senso progressista della nozione
comunitaria di famiglia, per quanto riguarda i rapporti di filiazione è ormai pacifica
l‘adozione di una nozione ampia, che include la filiazione legittima, naturale e adottiva e,
altresì, tutela le famiglie, rispetto alle quali il legame di filiazione sia stabilito soltanto con
riferimento a un genitore, in conformità con l‘art. 24 della Carta dei diritti fondamentali,
che prevede il diritto del bambino a intrattenere regolarmente relazioni personali e
contatti diretti con i due genitori.
L‘evoluzione verso una nozione ampia di filiazione si coglie con chiarezza nel settore
della cooperazione giudiziaria civile. In tale contesto, deve notarsi la novità introdotta con
il Regolamento (CE) n. 2201/2003, rispetto al precedente Regolamento (CE) n.
1347/2000, il cui ambito di applicazione era limitato ai figli comuni dei coniugi. Il
37
CGCE, sentenza 22 febbraio 2002, cause C-122/99 e C-125/99, D. c. Consiglio, in Racc. 2001, p. I-4319.
38
Precisamente, la nozione di ―familiare‖ è stata delineata dal legislatore nell‘art. 29 del d.l.gs 286/1998, come
modificato dai dd.lgs. n. 5/2007 e n. 160/2008.
21
Regolamento del 2003, invece, al fine di garantire pari diritti a tutti i minori, include nel
proprio ambito applicativo le famiglie di fatto e quelle ricostituite, come risulta dalla
nozione di responsabilità genitoriale e dalla recisione del legame di necessaria
contestualità tra i provvedimenti adottati in tale contesto e quelli in materia di
dissoluzione del vincolo matrimoniale.
Il concetto di responsabilità genitoriale, non definito nel Regolamento del 2000, né nella
Convenzione del 1998 su cui tale strumento si basa, è invece puntualizzato all‘art. 2, n.
7, del Reg. n. 2201/03 e designa ―diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o
giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore
riguardanti la persona o i beni di un minore‖. La correlativa nozione di titolare della
responsabilità genitoriale include, in base all‘art. 2, n. 8, qualsiasi persona che eserciti la
responsabilità di genitore su un minore‖, dunque trascende la figura del genitore,
includendo sia altre persone fisiche, legate al minore da una relazione di fatto
formalizzata da una decisione giudiziaria o da un valido accordo, sia persone giuridiche,
come ad esempio le istituzioni a cui il minore sia affidato. Tutte le nozioni riguardanti le
misure di tutela del minore contemplate nel Regolamento, poi, riflettono l‘ampiezza della
nozione di filiazione e sono volte a coprire un ampio novero di situazioni, nel
perseguimento dell‘obiettivo di uguaglianza tra minori nati all‘interno e fuori della
famiglia legittima.
L‘ampiezza della nozione di filiazione trova riscontro, inoltre, nella legislazione in materia
di asilo e immigrazione ai fini dell‘attribuzione del diritto di soggiorno in territorio
comunitario.
La
nozione
di
―figlio‖
accolta
dalla
Direttiva
2003/86/CE 39
sul
ricongiungimento familiare include infatti i figli minorenni comuni ai coniugi e quelli di
ciascun coniuge, nonché i figli adottati da entrambi i coniugi o da ciascuno, ove
l‘adozione sia avvenuta ―secondo una decisione presa dall‘autorità competente dello Stato
membro interessato o una decisione automaticamente applicabile in virtù di obblighi
internazionali‖. Analogamente nella Direttiva 2001/55/CE40 sulla protezione temporanea
degli sfollati, la nozione di figlio include i figli minorenni non sposati del richiedente il
ricongiungimento e/o del coniuge, legittimi, naturali o adottati. Nel Regolamento CE n.
343/200341 sulla determinazione della competenza all‘esame delle domande di asilo,
nella Direttiva 2003/9/CE42 sull‘accoglienza dei richiedenti asilo e nella Direttiva
39
Direttiva 2004/86/CE della Commissione, del 5 luglio 2004, che modifica, per adeguarla al progresso tecnico,
la direttiva 93/93/CEE del Consiglio concernente le masse e le dimensioni dei veicoli a motore a due o tre ruote,
in GU L 236 del 7.7.2004, pp. 12-14.
40
Direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della
protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra
gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi, in GU L 212
del 7.8.2001, pp. 12-23.
41
Regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di
determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli
Stati membri da un cittadino di un paese terzo, in GU L 50 del 25.2.2003, pp. 1-10.
42
Direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all'accoglienza dei
richiedenti asilo negli Stati membri, in GU L 31 del 6.2.2003, pp. 18-25.
22
2004/83/CE43 sull‘attribuzione dello status di rifugiato, la nozione di figlio comprende i
figli minorenni del richiedente asilo, beneficiario dello status di rifugiato e i figli comuni
―a condizione che non siano coniugati e siano a carico, indipendentemente dal fatto che
siano legittimi, naturali o adottivi secondo le definizioni del diritto nazionale‖.
Un‘ulteriore conferma dell‘ampiezza della nozione di figlio si ricava, poi, dallo statuto del
personale, ove ai fini dell‘attribuzione dell‘assegno di famiglia, la nozione di figlio a
carico comprende il figlio legittimo, naturale o adottivo del funzionario, oppure del
coniuge di questi, che sia effettivamente mantenuto dal primo 44.
La rilevanza dei rapporti di filiazione nati al di fuori del matrimonio e delle famiglie
ricostituite è stata sottolineata inoltre in via giurisprudenziale 45.
La nozione comunitaria di figlio è dunque definita in modo autonomo e uniforme. L‘unico
rinvio al diritto nazionale, segnatamente dello stato di accoglienza, viene operato in
materia di immigrazione per selezionare le tipologie di filiazione adottive idonee a
fungere da presupposto per l‘attribuzione del diritto comunitario di soggiorno.
Si noti, inoltre, che gli strumenti normativi citati fanno riferimento ai figli minori, senza
peraltro chiarire la nozione di ―minore‖. I Regolamenti n. 1347/2000 e 2201/2003
limitano la propria applicabilità in materia di responsabilità genitoriale ai figli minori e la
legislazione sul diritto di soggiorno fa sovente riferimento a tale categoria. Anche l‘art. 24
della Carta dei diritti fondamentali sembra assumere che i ―diritti del bambino‖ si
riferiscono all‘individuo minorenne. La nozione di minore, tuttavia, non è definita in modo
chiaro e univoco. Alcuni strumenti in materia di libera circolazione fissano il limite di
ventuno anni per il godimento del diritto di soggiorno nello stato ospitante in qualità di
discendenti diretti del cittadino dell‘unione. Il limite di diciotto anni è invece utilizzato
nell‘art. 2, par. 3, dell‘Allegato VII allo Statuto dei funzionari ai fini dell‘attribuzione
dell‘assegno di famiglia a carico dei funzionari. Alcuni strumenti in materia di asilo, poi,
utilizzano la nozione di ―minore non accompagnato‖, che sembra indicare che il concetto
43
Direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di
paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, in GU L 304 del 30.9.2004, pp. 12-23.
44
Art. 2, par. 2 dell‘Allegato VII allo Statuto dei funzionari.
45
V. Trib. I grado, sentenza 30 gennaio 2003, causa T-307/00, C. c. Commissione, in Racc. 2003, p. II-221,
par. 50 e 53; Trib. I grado, sentenza 29 settembre 1999, caua T-68/97, Neumann-Scholles, in Racc. 1999, p. II1005. L‘estensione della tutela prevista a favore dei figli legittimi ai figli nati al di fuori del matrimonio si
riscontra anche nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo. V. Corte europea dei diritti dell‘uomo, sez. V, 3
dicembre 2009, ric. n. 22028/04, Zaunegger c. Germania. Il ricorrente era un cittadino tedesco, padre di un
minore nato fuori dal matrimonio che, in base alla legislazione tedesca, non poteva ottenere l‘affidamento
condiviso del figlio minore, anche quando sarebbe nell‘interesse dello stesso, senza il consenso della madre, a
differenza di quanto previsto nell‘ipotesi in cui i genitori siano stati sposati. Diversamente da quanto sostenuto
dal Tribunale costituzionale tedesco, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che non fosse ragionevole disciplinare
questa ipotesi (in cui non sono in questione la paternità del ricorrente e la sua disponibilità ad occuparsi del
minore) in modo diverso da quella di due genitori divorziati: manca infatti una ragionevole relazione di
proporzionalità tra il mezzo, consistente nella mancanza di un sindacato del giudice sull‘affidamento previsto
dalla legge in esclusiva alla madre, e lo scopo perseguito, cioè quello di garantire l‘interesse del minore nato
fuori dal matrimonio. Il giudice Schmitt ha espresso un‘opinione dissenziente.
23
di minore è autonomo e fissato a meno di diciotto anni. Una disposizione della Direttiva
2003/9/CE sull‘accoglienza dei richiedenti asilo fornisce tuttavia spunti di segno diverso,
definendo la nozione di maggiore età tramite rinvio alla legislazione dello Stato
comunitario ove la domanda di asilo è stata presentata o viene esaminata. Analogamente,
secondo l‘art. 15 della Direttiva 2003786/CE sul ricongiungimento familiare ―i…
minorenni… devono avere un‘età inferiore a quella in cui si diventa legalmente
maggiorenni nello stato membro interessato‖. La nozione internazionalprivatistica di
minore non è definita nei Regolamenti n. 1347/2000 e 2201/2003. Il parere del Comitato
sociale europeo sulla proposta di regolamento n. 2201/2003 assume che tale nozione sia
autonoma e indichi coloro che non abbiano compiuto i diciotto anni. Diversamente,
secondo la guida pratica per l‘applicazione del regolamento medesimo, la questione della
minore o maggiore età è di competenza di ciascuno Stato membro, anche se di regola la
nozione di minore includerà i fanciulli di età inferiore ai diciotto anni. Qualora il diritto
nazionale consenta l‘emancipazione per matrimonio, gli interessati non potranno più
essere considerati minori ai sensi del regolamento.
Il diritto comunitario, dunque, contemplando un‘ampia nozione di figlio sembra orientato
a un‘ampia tutela di tali soggetti.
1.3.2.2 La giurisprudenza
Mentre, come si è visto, la normativa europea contempla una nozione ampia del figlio
nato, tanto da abbracciare pressoché tutti gli status (legittimo, naturale e adottivo di uno
o di entrambi i coniugi), maggiore incertezza si riscontra in relazione allo status del
concepimento. La questione si è posta nel 2006 in relazione alla tutela contro il
licenziamento illegittimo di una lavoratrice che si era sottoposta ad una pratica di
fecondazione in vitro, ove si doveva comprendere se la lavoratrice si trovasse o meno in
stato di gravidanza. La Corte nella motivazione della sentenza, resa il 26 febbraio 2008,
ha omesso di entrare nel merito della questione, risolvendo la problematica in base al
principio di parità di trattamento tra uomo e donna46.
Si segnala, poi, un caso in cui l‘applicazione del diritto comunitario ha permesso di
tutelare un diritto fondamentale, senza tuttavia affermarlo.
La vicenda rispetto alla quale la Corte si è pronunciata riguardava la signora cinese Man
Lavette Chen, la quale, d‘intesa con il marito, anch‘egli cinese, aveva deciso di avere un
secondo figlio, in contrasto con la politica di contenimento delle nascite (politica del figlio
unico) attuata dalla Repubblica popolare cinese. La signora Chen, per sfuggire a tale
politica, in prossimità della nascita della secondogenita, si recò a Belfast, dove il 16
settembre 2000, nacque la figlia Kunqian Catherine Zhu (di seguito ―Catherine‖). La scelta
46
CGCE (grande sezione), sentenza del 26 febbraio 2008, causa C-506/06, Sabine Mayr c. Bäckerei und
Konditorei Gerhard Flöckner OHG, in Racc., 2008, p. I-01017.
24
di Belfast, quale città per il parto, aveva uno scopo ben preciso. La legge sulla nazionalità
e sulla cittadinanza irlandesi (Irish Nationality and Citizenship Act del 1956, modificato
nel 2001), infatti, attribuisce la cittadinanza iure soli, consentendone l‘acquisto a tutti
coloro che nascono nell‘isola dell‘Irlanda, anche se fuori dal territorio dell‘Eire (come nel
caso della piccola Catherine). L‘intento della signora Chen era proprio quello di partorire
una figlia irlandese per stabilirsi poi, insieme alla bambina, nel Regno Unito che,
contrariamente all‘Irlanda, attribuisce la cittadinanza iure sanguinis. Il Secretary of State
for the Home Department del Regno Unito, tuttavia, rifiutò di accordare alla signora Chen
e a sua figlia Catherine il permesso di soggiorno di lunga durata, ritenendo che non
avessero diritto a soggiornare nel Regno Unito, poiché la prima non era cittadina di un
Paese dello Spazio economico europeo e la seconda non rientrava tra le categorie di tali
cittadini contemplate dall‘art. 5 dell‘Immigration Regulations 2000.
La Corte di giustizia, dopo aver respinto le eccezioni del governo irlandese e del Regno
Unito e dopo aver negato che Catherine avesse un diritto di soggiorno a tempo
―indeterminato‖ in base alla direttiva 73/148/CEE del 21 maggio 1973 47, analizzò la
questione sulla base dell‘art. 18 TCE, ai sensi del quale ―ogni cittadino dell‘Unione ha il
diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte
salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente trattato e dalle disposizioni
adottate in applicazione dello stesso‖. La Corte, riaffermando l‘enunciazione fatta nella
sentenza Baumbast del 17 settembre 200248, statuì, anzitutto, che tale disposizione,
avendo un contenuto chiaro e preciso, è direttamente applicabile e, quindi, conferisce ad
ogni cittadino dell‘Unione il diritto di soggiorno negli Stati membri, seppure con le
limitazioni e alle condizioni previste dal diritto comunitario. Sotto quest‘ultimo profilo la
Corte ritenne sussistenti le condizioni contemplate dall‘art. 1, n. 1, della direttiva
90/364/CEE del 28 giugno 199049, relativa al diritto di soggiorno dei cittadini di Stati
membri che non beneficiano di tale diritto in base ad altre disposizioni del diritto
comunitario, destinata ad essere sostituita, assieme ad altri atti comunitari, dalla direttiva
2004/38/CE del 29 aprile 2004. Secondo la predetta direttiva gli Stati membri possono
richiedere che i cittadini di altri Stati membri che intendano soggiornare nel proprio
territorio dispongano di un‘assicurazione malattia e di risorse sufficienti, al fine di evitare
che essi costituiscano un onere per l‘assistenza sociale dello Stato ospite. Ambedue le
condizioni erano presenti nel caso di Catherine, non essendo rilevante la circostanza che
47
Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei
cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri,
che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE,
73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, in GU L 158 del 30.4.2004, pp.
77-123.
48
CGCE, sentenza della Corte del 17 settembre 2002, causa C-413/99, Baumbast e R contro Secretary of State
for the Home Department, in Racc. 2002, p. I-7091.
49
Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei
cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri,
che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE,
73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, in GU L 158 del 30.4.2004, pp.
77-123.
25
le risorse non fossero personali della bimba, ma provenissero dalla signora Chen. La
Corte, infine, respinse un ultimo argomento avanzato dal governo del Regno Unito,
secondo il quale il diritto di soggiorno doveva essere negato per il fatto che la signora
Chen avrebbe abusato delle norme di diritto comunitario, recandosi a partorire in Irlanda
del Nord nell‘intento di utilizzare tali norme per stabilirsi in un altro Stato membro.
L‘esistenza di un abuso di diritto è stata negata in termini estremamente chiari
dall‘avvocato generale Tizzano: ―Non si è qui in presenza, infatti, di persone che invocano
a fini illegittimi o fraudolenti il diritto comunitario, stravolgendo la portata e le finalità
delle norme di quell‘ordinamento, ma di persone che, conoscendo il contenuto delle
libertà previste dal diritto comunitario, se ne avvalgono con mezzi legittimi, proprio per
conseguire l‘obiettivo che la norma comunitaria vuole garantire: il diritto di soggiorno
della bambina‖. Per altro verso, osservò la Corte – il Regno Unito, come qualsiasi altro
Stato membro, non può mettere in discussione gli effetti dell‘attribuzione della
cittadinanza di un altro Stato membro. Come affermato già dalla sentenza resa nel caso
Micheletti50, la determinazione dei modi di acquisto della cittadinanza rientra, infatti,
nella competenza di ciascuno Stato membro.
La Corte concluse, dunque, che la piccola Catherine, in base all‘art. 18 del Trattato CE e
alla direttiva 90/364, poteva beneficiare del diritto di soggiorno a tempo indeterminato
negli Stati membri.
Più problematico appariva invece il riconoscimento di un analogo diritto di soggiorno
della madre. La citata direttiva 90/364 garantisce, infatti, tale diritto agli ascendenti che
sono a carico del titolare del diritto di soggiorno, quale che sia la loro cittadinanza (art. 1,
n. 2, lett. b). Nella fattispecie all‘esame della Corte, tuttavia, la situazione era
diametralmente opposta, essendo la figlia, titolare del diritto, a carico della signora Chen.
La Corte, però, ha affermato che, nelle condizione specifiche del caso in esame, le stesse
disposizioni che attribuiscono ad un cittadino in tenera età il diritto di soggiorno
conferiscono tale diritto anche al genitore che ha effettivamente la custodia del cittadino.
Il riconoscimento di tale diritto, che l‘avvocato generale Tizzano qualificò come diritto di
soggiorno derivato da quello della figlia cittadina dell‘Unione, discende dal principio
dell‘effetto utile, in base al quale le disposizioni del diritto comunitario vanno interpretate
e applicate in modo da realizzare pienamente gli obiettivi che intendono perseguire. È
evidente, infatti, che una bimba in tenera età possa esercitare effettivamente il diritto di
soggiorno solo se è accompagnata alla persona che ne garantisce la custodia e se questa,
pertanto, possa godere del diritto di soggiorno. Negare il diritto di soggiorno alla madre,
invece, ―priverebbe di qualsiasi effetto utile il diritto di soggiorno‖ della figlia. Anche alla
signora Chen, pertanto, è stato riconosciuto il diritto di soggiorno a tempo indeterminato
nel Regno Unito51.
50
CGCE, sentenza della Corte del 7 luglio 1992, causa C-369/90, Mario Vicente Micheletti e altri c. Delegación
del Gobierno en Cantabria, in Racc. 1992, p. I-04239.
CGCE, sentenza del 19 ottobre 2004, causa C-200/02, Kunqian Catherine Zhu e Man Lavette Chen c.
Secretary of State for the Home Department, in Racc., 2004, p. I-09925.
51
26
La sentenza considerata merita di essere particolarmente segnalata per la rilevanza che,
pur restando sullo sfondo della sentenza, sembra assumere la tematica dei diritti
fondamentali dell‘uomo. Sebbene la Corte non abbia avuto necessità di pronunciarsi sul
punto, la sentenza appare ispirata, da un lato, al diritto, richiamato sia dal giudice di
rinvio che dall‘avvocato generale, al rispetto della vita familiare, riconosciuto dall‘art. 8
CEDU e dall‘art. 7 della Carta di Nizza; dall‘altro, al principio dell‘interesse superiore del
fanciullo, principio cardine della tutela internazionale dei diritti del fanciullo, ex art. 3
della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, richiamata
anche dalla citata nuova direttiva 2004/38.
27
2. LA FAMIGLIA NELL‘ORDINAMENTO ITALIANO E IN ALCUNE ESPERIENZE
STRANIERE
Sommario: 1. Introduzione. – 2.Scenari di sviluppo normativo sulla nozione di famiglia. La nozione di famiglia nella giurisprudenza. – 3.1. I soggetti del matrimonio. - 3.2. Gli
accordi prematrimoniali e i contratti di convivenza. – 4.La filiazione: casi giurisprudenziali
e profili evolutivi.
2.1 INTRODUZIONE
Il diritto di famiglia ha subito nel nostro ordinamento notevoli cambiamenti, in particolare
ad opera della Riforma del 1975, che hanno inciso profondamente sulla concezione
dell‘istituto originariamente contenuta nel Codice civile del 1942, come dimostrano le
modifiche in tema di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi52, di equiparazione tra
figli legittimi e figli naturali53, nonché la legge sul divorzio e quella sull‘adozione.
La maggior parte di tali modifiche si sono rese necessarie per adeguare la normativa
codicistica alla Carta costituzionale del 1948, la quale oltre a sancire all‘art. 3 Cost. il
principio di eguaglianza, prevede all‘art. 29, primo comma, che ―la Repubblica riconosce i
diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio‖ e, al comma
successivo, che ―il matrimonio è ordinato all‘eguaglianza morale e giuridica tra i coniugi,
con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell‘unità familiare‖. L‘art. 30 Cost., poi, fissa i
principi in materia di filiazione, affrontando il rapporto tra filiazione legittima e filiazione
naturale. Il primo comma, nello stabilire che è dovere e diritto dei genitori mantenere,
istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, sottolinea la centralità della
persona del figlio. Gli obblighi genitoriali sono identicamente enunciati anche con
riguardo ai figli nati fuori dal matrimonio, principio questo, all‘epoca, decisamente
innovativo, che risulta, peraltro, contemperato con quanto affermato dal terzo comma
della disposizione in esame, ove si stabilisce che la legge assicura ai figli nati fuori dal
matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, ―compatibile con i diritti dei membri della
famiglia legittima‖.
Deve tuttavia notarsi come le modiche legislative siano andate ben oltre la necessità di
conferire effettività al principio di eguaglianza, nel segno di una tutela primaria
52
La riforma, oltre realizzare ill principio di eguaglianza dei coniugi, ha valorizzato la volontà dei nubendi
all‘atto della celebrazione del matrimonio, con riferimento al regime patrimoniale della famiglia.
53
La riforma ha, infatti, attuato l‘equiparazione sostanziale tra filiazione legittima e naturale (art. 261 c.c.),
anche in sede successoria (art. 566 c.c.), ed eliminato il divieto di riconoscimento dei figli adulterini (art. 253
c.c.).
28
dell‘individuo, come dimostrano la legge sul divorzio e sull‘aborto, fonte dell‘acceso
dibattito sulla natura stessa dell‘istituto familiare.
2.2 SCENARI DI SVILUPPO NORMATIVO SULLA NOZIONE DI FAMIGLIA
I mutamenti della società hanno dato luogo, negli ultimi anni, anche in Italia ad un vivace
dibattito sulla nozione di famiglia, il quale, sul piano legislativo, ha condotto alla
presentazione di alcuni progetti di legge di riforma dell‘attuale panorama giuridico.
Solo nel corso dell‘ultima legislatura, ad esempio, sono stati presentati diversi importanti
progetti di legge: il d.d.l. n. 2142 ―Disposizioni per il riconoscimento giuridico delle
unioni civili tra coppie omosessuali‖ presentato al Senato il 28 aprile 2010; il d.d.l. n.
1858 ―Riconoscimento giuridico di diritti, responsabilità e facoltà alle persone che fanno
parte di unioni di fatto e delega al Governo per la disciplina della successione tra le
medesime‖ presentato il 3 novembre 2008; il d.d.l. n. 603 ―Modifiche al codice civile e
altre disposizioni in materia di unione civile‖ presentanto il 21 maggio 2008; il d.d.l. n.
594 ―Modifiche al codice civile in materia di diritto a contrarre matrimonio‖ presentato il
20 maggio 2008; il d.d.l. n. 91, ―Norme sul riconoscimento giuridico delle unioni civili‖,
presentato in data 29 aprile 2008. Si segnala, poi, il d.d.l. n. 577 ―Modifiche alla disciplina
in tema di separazione personale tra i coniugi, scioglimento e cessazione degli effetti
civili del matrimonio e successione ereditaria del coniuge‖ presentato il 16 maggio 2008.
Si tratta di un progetto di legge che, nonostante non miri a riconoscere le unioni di fatto
etero e omosessuali, è ugualmente volto ad incidere sulla famiglia tradizionale. Nella
relazione al progetto, infatti, dopo aver ricordato che la Repubblica riconosce i diritti della
famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, si afferma la necessità ―di
agevolare nella forma e nei tempi, in alcuni casi almeno, cioè in assenza di figli, le unioni
matrimoniali fallite, diminuendone i costi e consentendo di ricorrere allo strumento della
convenzione matrimoniale, fiscalmente agevolata con apposita norma, attraverso il
ministero del notaio, per sua natura professionale ed istituzionale atto a mediare le
controversie con ben altra efficacia rispetto al giudice‖.
Invero, l‘urgenza di facilitare lo scioglimento del vincolo matrimoniale non è certo
sconosciuta nel nostro ordinamento, come dimostra il sempre maggiore interesse in
relazione agli accordi prematrimoniali, volti a definire in anticipo le conseguenze della
separazione e del divorzio, di cui ci si occuperà in seguito.
29
2.3 LA NOZIONE DI FAMIGLIA NELLA GIURISPRUDENZA
2.3.1 I soggetti del matrimonio
La nozione di famiglia è stata oggetto di una recente pronuncia della Consulta, a causa
della mancanza di una chiara definizione di matrimonio e della mancanza di una norma
chiara che vieti espressamente il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Il Tribunale di Venezia, infatti, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 29 e 117,
primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli articoli
93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis del codice civile, ―nella parte in cui,
sistematicamente interpretati non consentono che le persone di orientamento
omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso‖54. La
medesima questione di legittimità costituzionale è stata poi sollevata anche dalla Corte di
appello di Trento.
A fronte delle due ordinanze di rimessione, la Corte costituzionale 55, dopo aver analizzato
le questioni preliminari di rito, è passata a giudicare il merito, valutando, in primo luogo,
la compatibilità con l‘art. 2 Cost., il quale dispone che la Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell‘uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si
svolge la sua personalità e richiede l‘adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale. La Corte, in un primo momento, ha affermato che ―in tale
nozione è da annoverare anche l‘unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra
due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente
una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla
legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri‖. Essa si è tuttavia subito
premurata di precisare la necessità di escludere che ―l‘aspirazione a tale riconoscimento…
possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al
matrimonio‖. Rientra dunque nella discrezionalità del legislatore individuare le forme di
54
La questione di legittimità costituzionale è sorta nell‘ambito di un giudizio avverso l‘atto con il quale l‘ufficiale
di stato civile del Comune di Venezia rifiutò di procedere alle pubblicazioni di matrimonio, ritenendo la richiesta
in contrasto con la normativa vigente, costituzionale e ordinaria, secondo la quale l‘istituto del matrimonio,
nell‘ordinamento giuridico italiano, sarebbe incentrato sulla diversità di sesso tra i coniugi. Il giudice a quo, da
un lato, rilevava che, nell‘ordinamento italiano, pure in assenza di una norma definitoria ―l‘istituto del
matrimonio si riferisce indiscutibilmente solo al matrimonio tra persone di sesso diverso‖, sulla base di ―una
consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio come unione di un uomo e di una donna‖. D‘altro lato,
sosteneva che non potevano neppure essere ignorate le rapide trasformazioni della società e dei costumi, il
superamento del monopolio detenuto dal modello di famiglia tradizionale, la nascita spontanea di forme diverse
di convivenza, le quali ―si ispirano al modello tradizionale e, come quello, mirano ad essere considerate e
disciplinate‖. Il giudice a quo infatti poneva l‘attenzione sul fatto che ―nuovi bisogni, legati anche all‘evoluzione
della cultura e della civiltà, chiedono tutela, imponendo un‘attenta meditazione sulla persistente compatibilità
dell‘interpretazione tradizionale con i principi costituzionali‖.
55
Corte Cost., sentenza del 15 aprile 2010, n. 138, in http://www.giurcost.org/decisioni/2010/0138s-10.html.
30
garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, ―restando riservata alla Corte
costituzionale la possibilità d‘intervenire a tutela di specifiche situazioni (come è avvenuto
per le convivenze more uxorio: sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988)‖. Secondo la
Corte, infatti, ―può accadere che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la
necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella
della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di
ragionevolezza‖.
La questione di legittimità non è stata ritenuta fondata neppure con riferimento agli artt.
3 e 29 Cost.
La Corte, per giungere a un giudizio circa la compatibilità o meno della normativa con tali
parametri costituzionali, ha preso le mosse dall‘analisi dell‘art. 29 Cost. e precisamente
dalla nozione di matrimonio che si rinviene nel nostro ordinamento. A tale scopo essa ha
sottolineato come i concetti di famiglia e di matrimonio non si possano ritenere
cristallizzati con riferimento all‘epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, ma anzi
debbano essere interpretati tenendo conto delle trasformazioni dell‘ordinamento,
dell‘evoluzione della società e dei costumi. Essa ha però sottolineato che l‘opera di
interpretazione ―non può spingersi fino al punto d‘incidere sul nucleo della norma,
modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non
considerati in alcun modo quando fu emanata‖. A tal proposito la Corte ha posto l‘accento
sul fatto che, come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni
omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea. A
conforto di tale tesi può essere citato il secondo comma della disposizione che,
affermando il principio dell‘eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo
proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel
rapporto coniugale. Similmente, nella visione della Corte neppure la doverosa tutela
garantita ai figli naturali potrebbe essere invocata per far venir meno il rilievo
costituzionale attribuito alla famiglia legittima ed alla finalità procreativa del matrimonio.
La Corte ha poi concluso l‘analisi di tale precetto costituzionale affermando che esso non
può essere superato per via ermeneutica perché ciò darebbe luogo ad un‘interpretazione
creativa.
La normativa del codice civile non è stata considerata illegittima neppure con riferimento
all‘art. 3 Cost., in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al
matrimonio.
La Corte ha, inoltre, ritenuto che nessuna discriminazione potesse rinvenirsi con
riferimento al richiamo del Tribunale di Venezia alla legge 14 aprile 1982, n. 164,
intitolata ―Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso‖ 56. Secondo la Corte,
infatti, tale normativa non può fungere da tertium comparationis. Al contrario,
disciplinando un‘ipotesi del tutto differente da quella omosessuale, essa confermerebbe
la linea interpretativa della Corte. La legge in questione, infatti, prevede la possibilità per
56
V. l. 14 aprile 1982, n. 164, ―Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso‖, in G.U., 19 aprile
1982 , n.106.
31
il
transessuale
di
contrarre
matrimonio,
in
seguito
all‘avvenuto
intervento
di
modificazione del sesso, autorizzato dal tribunale. In altre parole, si riconosce il diritto di
sposarsi soltanto a coloro che abbiano cambiato sesso, confermando così il carattere
eterosessuale del matrimonio.
Nell‘ultima parte della motivazione, infine, la Corte ha esaminato la questione in relazione
all‘art. 117, primo comma, Cost., invocato peraltro soltanto dal Tribunale di Venezia. Il
rimettente aveva richiamato, quali norme interposte, gli artt. 8 (diritto al rispetto della vita
privata e familiare), 12 (diritto al matrimonio) e 14 (divieto di discriminazione) della CEDU,
nonché con l‘art. 7 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), l‘art. 9 (diritto a
sposarsi ed a costituire una famiglia), l‘art. 21 (diritto a non essere discriminati) della
Carta di Nizza. Il giudice a quo, poi, pose l‘accento su una sentenza della Corte europea
dei diritti dell‘uomo del 200257, che dichiarò contrario alla Convenzione il divieto di
matrimonio del transessuale con persona del suo stesso sesso originario, sostenendo
l‘analogia della fattispecie con quella del matrimonio omosessuale. Il giudice a quo fece
infine riferimento a varie risoluzioni delle Istituzioni europee, che da tempo invitano gli
Stati a rimuovere gli ostacoli che si frappongono al matrimonio di coppie omosessuali
ovvero al riconoscimento di istituti giuridici equivalenti, segnalando inoltre che in molti
ordinamenti giuridici stranieri, aventi civiltà giuridica affine a quella italiana, si sta
delineando una nozione di relazioni familiari tale da includere le coppie omosessuali.
La Corte ha, però, respinto tutte le censure di illegittimità con il diritto sovranazionale.
Essa ha sottolineato, in primo luogo, che il richiamo alla citata sentenza della Corte
europea non è pertinente, perché riguarda una fattispecie, disciplinata dal diritto inglese,
concernente il caso di un transessuale che, dopo l‘operazione, avendo acquisito caratteri
femminili aveva avviato una relazione con un uomo, col quale però non poteva sposarsi
―perché la legge l‘ha considerata come uomo‖. Situazione che non potrebbe certo crearsi
in Italia dopo l‘entrata in vigore della legge n. 164 del 1982. Dal punto di vista normativo,
la Corte ha inoltre affermato che nel caso in esame non doveva farsi riferimento agli artt.
8 e 14 della CEDU e agli artt. 7 e 21 della Carta di Nizza, in quanto ―contengono
disposizioni a carattere generale in ordine al diritto al rispetto della vita privata e familiare
e al divieto di discriminazione‖. Al contrario, secondo la Corte vengono in rilievo, per il
principio di specialità, gli artt. 12 della CEDU e 9 della Carta di Nizza, norme che tutelano
il diritto di sposarsi soltanto nei limiti in cui questo diritto è previsto dalle leggi nazionali,
come si è visto nel capitolo precedente.
57
Corte europea dei diritti dell‘uomo, sentenza dell‘11 luglio 2002, n. 28957/95, causa Goodwin c. Regno
Unito, in Recueil, 2002-VI.
32
2.3.3 Gli accordi prematrimoniali e i contratti di convivenza
Un‘ulteriore fattore di novità rispetto alla disciplina tradizionale della famiglia deriva
dall‘entrata nel nostro ordinamento di istituti quali gli accordi prematrimoniali e i
contratti di convivenza, che contribuiscono ad avvicinare la famiglia alla categoria dei
contratti, ove è lasciata un‘ampia libertà all‘autonomia delle parti.
I contratti prematrimoniali costituiscono dei patti stipulati dalle coppie prima del
matrimonio, di cui sono volti a regolare gli effetti. Essi, inoltre, assumono una notevole
importanza in relazione alla crisi matrimoniale, dal momento che sono volti a disciplinare
anche la separazione e il divorzio. Diversamente da quanto accade in molti ordinamenti
stranieri58, in Italia, sino ad ora, la giurisprudenza ha dimostrato un orientamento
sfavorevole a tali accordi. Con varie sentenze a partire dalla fine degli anni ‘80, infatti, la
Corte di Cassazione59 ha escluso la validità di qualsiasi accordo preventivo volto a
determinare le conseguenze patrimoniali di un successivo eventuale divorzio. Secondo la
Corte, infatti, tali accordi determinano un commercio di status ed incidono su diritti posti
a tutela di interessi pubblicistici indisponibili. Con la sentenza n. 3777 del 198160, in
particolare, la Cassazione, ha evidenziato che gli accordi preventivi sono nulli perchè essi
condizionano la volontà del coniuge distogliendolo dal contestare la domanda di divorzio.
I contratti di convivenza, invece, sono costituiti da qualsiasi accordo contrattuale diretto a
regolare un rapporto di convivenza, sia esso fondato sul matrimonio o no, sia che essa
riguardi persone eterosessuali che dello stesso sesso 61. Diversamente dagli accordi
58
L‘istituto è sorto negli Stati Uniti, dove, peraltro, non trova una disciplina uniforme a livello federale. Invero,
negli ultimi decenni sono stati propostri alcuni progetti di uniformazione della materia: si tratta dell‘ ―Uniform
Premarital Agreement Act‖ (UPAA) del 1983 e dei ―Principles of the Law of Family Dissolution‖ redatti
dall‘American Law Institute nel 2002. Secondo l‘UPAA, che riproduce un principio già previsto nella maggior
parte delle legislazioni degli Stati membri, un ―prenuptial agreement‖ non può trovare applicazione quando
determini una situazione di iniquità, da valutarsi sia con riferimento al momento della stipulazione dell‘accordo
che a quello della sua esecuzione. L‘UPAA pone inoltre a carico delle parti di un prenuptial agreement un
obbligo di ―fair e reasonable disclosure‖, cioè una dichiarazione fedele circa i beni materiali e finanziari di
proprietà, pena l‘ineseguibilità dell‘accordo, salvo che l‘altra parte conoscesse la reale situazione o avesse una
ragionevole possibilità di conoscerla. Un ulteriore motivo di iniquità si verifica quando l‘accordo prenuziale
prevede l‘esclusione dell‘obbligo di mantenimento e delle prestazioni alimentari ed una delle parti si ritrovi poi
in stato di bisogno o di insufficienza di mezzi, così da evitare che la parte debole del rapporto ricorra
all‘assistenza statale. Come negli Stati Uniti, anche in Germania i nubendi possono determinare preventivamente
qualsiasi aspetto patrimoniale di un futuro divorzio, anche escludendo completamente la corresponsione di un
assegno divorzile. Diversamente dagli ordinamenti statunitense e tedesco, invece, l‘ordinamento inglese nega
valore vincolante a tali accordi. Anche in Francia questi non sono visti con favore. La giurisprudenza francese,
infatti, tende a negare validità a tali accordi, anche se tale divieto risulta temperato dal fatto che il codice civile
conferisce ampio spazio all‘autonomia privata nell‘ambito delle convenzioni matrimoniali. Sul tema, v. MAIETTA,
Gli accordi prematrimoniali e gli accordi di convivenza. Nel diritto italiano e negli altri ordinamenti, in
http://www.uniese.it/pubblicazioni/gli-accordi-prematrimoniali-e-gli-accordi-di-convivenza.html.
59
Cass. 11giugno 1981, n. 3777, in Foro it., 1981, I, p. 184 e in Giur.it., 1981, I, 1, 1553 con nota di Trabucchi;
Cass., sentenza 1 marzo 1991, n. 2180, in Giust. civ. Mass., 1991, fasc. 3 e in Dir. fam., 1991, fasc. 4.
60
61
Cass. 11giugno 1981, n. 3777, cit. supra nota precedente.
Emblematici sono i ―patti civili di solidarietà‖ francesi, che possono essere definiti come contratti di
convivenza tipizzati. I PACs sono una forma di unione alternativa al matrimonio, cui possono accedere anche
33
prematrimoniali, i contratti conclusi per regolare gli aspetti patrimoniali di una
convivenza, sono stati ritenuti validi62.
2.4 LA FILIAZIONE: CASI GIURISPRUDENZIALI E PROFILI EVOLUTIVI
L‘influenza del diritto sovranazionale e straniero si rileva anche con riferimento alla
filiazione,
come
giurisprudenza
di
dimostra
merito,
la
recente
relativa
alla
problematica,
compatibilità
emersa
con
nell‘ambito
l‘ordine
della
pubblico
dei
provvedimenti stranieri di maternità surrogata.
Precisamente, la questione si è posta di fronte alla Corte d‘Appello di Bari, in seguito al
diniego di riconoscimento in Italia di due ―parental orders‖ emessi dall‘autorità giudiziaria
inglese63 attributivi della maternità a una signora italiana, c.d. ―madre committente‖, in
coppie omosessuali. La disciplina dei PACs introduce una specifica disciplina in tema di responsabilità dei
contraenti e di proprietà degli immobili. Con riferimento alla prima tematica, è previsto un regime di
responsabilità solidale dei contraenti per le obbligazioni assunte per far fronte alle necessità giornaliere o alle
spese per l‘abitazione in comune. Con riferimento alla seconda, si prevede per quanto riguarda i beni immobili
un regime di comunione con l‘attribuzione in parti uguali ai conviventi. Anche in Germania si è ammessa la
validità dei contratti di convivenza (Partnershaftvertrage), per lungo tempo vietati. Nell‘esperienza statunitense i
cohabitation contracts sono stati progressivamente riconosciuti efficaci, fino al punto di indurre molti Stati della
Federazione ad adottare leggi che sostanzialmente equiparano la convivenza al matrimonio. Il processo di
affermazione dei cohabitation contracts quali strumenti per conferire giuridicità ad una unione di fatto, iniziò
con la sentenza del 1978 della Corte Suprema della California relativa al caso Marvin. In quell‘occasione fu
riconosciuto alla convivente, Michelle Marvin il diritto, in base ad un contratto verbale, di ottenere una quota dei
beni del partner. Dal caso Marvin in poi molti Stati americani hanno introdotto l‘istituto della domestic
partnership, che conferisce valenza giuridica alle unioni di fatto. Nella maggior parte delle legislazioni che la
prevedono, la registered partnership conferisce determinati benefici economici solitamente legati al matrimonio,
come l‘assicurazione sanitaria. L‘introduzione dell‘istituto, progressivamente esteso a tutti i tipi di coppie, ha
sostanzialmente inteso limitare il ricorso allo strumento dei cohabitation contracts ed evitare un‘eccessiva
discrezionalità delle parti nella regolamentazione delle convivenza. Sul tema, v. MAIETTA, Gli accordi
prematrimoniali e gli accordi di convivenza. Nel diritto italiano e negli altri ordinamenti, cit. supra, nota 58.
62
Cass., sentenza 8 giugno 1993, n. 6381, in Nuova giur. civ. commentata, 1994, I, 339, nota di BERNARDINI.
63
I due bambini, figli naturali del sig. YY e della sig.ra ZZ (madre surrogata), naquero nella città di Northallerton,
nello Yorkshire. Dopo la nascita, la sig.ra ZZ affidò i figli ai coniugi committenti. I bambini furono subito portati
in Italia, quali figli naturali del sig.YY. Successivamente, al fine di ottenere la dichiarazione di maternità in favore
della sig.ra XX, i coniugi, secondo le intese intercorse con la madre surrogata, assunte in base all‘art. 30 della
―Human Fertilisation and Embriology Act — 1990‖, ottennero presso la Croydon Family Proceedings Court i c.d.
―parental orders‖, rispettivamente del 30 giugno 1998 e del 15 giugno 2001, volti ad attribuire alla sig.ra XX la
maternità dei due bambini, in sostituzione della sig.ra ZZ che vi aveva formalmente rinunciato. I ―parental
orders‖ non furono mai impugnati e divvennero, quindi, definitivi. I piccoli, per la legge brittanica figli del sig. YY
e della sig.ra XX, hanno stabilmente vissuto in Italia, a Bari, con il sig. YY e con la sig.ra XX. Sempre a Bari essi
hanno frequentato e frequentano la scuola ed ivi hanno instaurato i loro rapporti di amicizia e di affetto anche al
di fuori della famiglia. I sig.ri XX e YY, pur avendo avuto, nel corso del rapporto matrimoniale, intenzione di
chiedere il riconoscimento in Italia dei provvedimenti resi dalla Corte di Croydon, non vi hanno mai realmente
provveduto, sicchè all‘Anagrafe del Comune di Bari, ove è censito il nucleo familiare, i piccoli risultavano, alla
data della controversia, ancora figli della sig.ra ZZ. Nel corso degli anni, i coniugi si sono separati e si rese
34
relazione a due bambini figli naturali del marito della committente e della madre
gestante. Si noti che in Italia, a seguito dell‘entrata in vigore della legge n. 40 del 2004,
recante ―Norme in materia di procreazione medicalmente assistita‖, è stata vietata ogni
forma di maternità surrogata, stabilendo all‘art. 12, comma 6, l. n. 40/2004 che
―Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione
di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre
mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro‖. Nel caso di specie,
tuttavia, al momento della nascita dei due bambini (1997 e 2000), la materia non era
disciplinata e nessuna norma penale italiana vietava e puniva la tecnica procreativa della
maternità surrogata64. Nel caso concreto, inoltre, sulla base dell‘art. 33 della legge n.
218/1995, lo stato di figlio legittimo era regolato dalla legge inglese e non poteva essere
contestato solo in base a tale legge, dal momento che i due bambini avevano la
cittadinanza brittannica. Al riconoscimento e all‘efficacia in Italia dei ―parental orders‖
inglesi, tuttavia, si sarebbe potuto opporre il limite dell‘ordine pubblico. In proposito, la
Corte
d‘Appello
facendo
espresso
riferimento
alla
nozione
di
ordine
pubblico
internazionale, ha affermato che il solo fatto che la legislazione italiana vieti, oggi, la
tecnica della maternità surrogata, ed il sol fatto che essa è ispirata al principio della
prevalenza della maternità ―biologica‖ su quella ―sociale‖, non sono, di per sé, indici di
contrarietà all‘ordine pubblico internazionale, a fronte di legislazioni, come quella
inglese, e quella greca, che prevedono deroghe a tale principio. La Corte ha poi
sottolineato come fosse necessario prestare attenzione agli effetti ―in concreto‖ dei due
provvedimenti stranieri in questione. La Corte, infatti, era stata richiesta di valutare una
situazione giuridica acquisita all‘estero in conformità della legge locale, e a valutare gli
effetti e le ricadute concreti, del rigetto, ovvero dell‘accoglimento della domanda di cui
all‘atto di citazione. Dall‘esame dei fatti è emerso il grave pregiudizio che sarebbe
derivato ai bambini in conseguenza del mancato riconoscimento dei ―parental orders‖, in
palese violazione dell‘interesse superiore del minore, codificato, innanzitutto, nella
Convenzione sui diritti dell‘infanzia approvata dall‘Assemblea Generale delle Nazioni
Unite a New York il 20.11.1989 e, in ambito comunitario, nel Regolamento CE n.
2201/2003, che, all‘art. 23, espressamente stabilisce che la valutazione della ―non
necessario chiarire lo status dei bambini in Italia, in modo da evitare che essi risultassero, sul piano formale,
figli di madri diverse nel Regno Unito ed in Italia. In proposto, il Comune di Bari ritenne che i ―provvedimenti
parentali‖ emessi dalla Corte di Croydon non fossero trascrivibili nei registri di stato civile di Bari perchè: 1.nell‘ordinamento giuridico italiano non è prevista l‘attribuzione della maternità a seguito di un accordo di
surrogazione eterologa di maternità, nè è disciplinata alcuna fattispecie analoga; 2.- non risultava soddisfatto il
requisito di cui alla lettera d) dell‗art. 64 della L. 218/95. V. Corte App. Bari, sentenza 13 febbraio 2009, in, fra
le altre, Giur. merito, 2010, 2, 349, nota di DELL‘UTRI.
64
Prima della l. n. 40 del 2004, in Italia, un caso di maternità surrogata fu deciso dal Tribunale di Monza. La
fattispecie riguardava il caso di una madre partoriente che si era rifiutata di dare il bambino alla coppia
―committente‖, non ottemperando così al contratto stipulato verso corrispettivo. Il tribunale respinse la domanda
con cui la coppia ―committente‖ chiedeva il riconoscimento del rapporto di parentela con il bambino. V. Trib.
Monza, sentenza 27 ottobre 1989, in, tra le altre, Foro it., 1990, I,298.
35
contrarietà all‘ordine pubblico‖ debba essere effettuata ―tenendo conto dell‘interesse
superiore del figlio‖. La Corte ha, infine, evidenziato il profilo riguardante il diritto alla
libera circolazione delle persone tra i cittadini degli Stati membri dell‘Unione Europea. Da
un lato, infatti, la madre committente, sarebbe ―obbligata‖ a trasferirsi nel Regno Unito
per vedere riconosciuta la sua maternità, dall‘altro, i figli minori si troverebbero nella
condizione di vivere in uno Stato in cui non viene riconosciuto loro il legame di filiazione
con la madre non biologica, legame riconosciuto da altro Stato dell‘Unione, del quale
hanno la cittadinanza65.
Un ulteriore problematica che si pone nella prassi, poi, riguarda l‘ammissibilità, o meno,
del riconoscimento in Italia del provvedimento straniero di adozione di minore da parte di
persona singola. Precisamente, si tratta di comprendere se un provvedimento straniero di
adozione da parte di persona singola possa essere riconosciuto in Italia o se ad esso sia
opponibile il limite dell‘ordine pubblico66. L‘invocabilità di tale limite è stata esclusa dalla
Corte di cassazione, poiché il relativo divieto posto dalla legislazione interna non
appartiene ai principi fondamentali del nostro ordinamento. 67 Difatti, il contrasto con
l‘ordine pubblico, ―si realizza quando il comando legislativo contenente una specifica
proibizione appaia unico e senza eccezioni da parte dello stesso legislatore, cosicché
esso, oltre ad essere inderogabile ―da private convenzioni‖ si atteggi quale espressione di
un principio fondamentale dell‘ordinamento. Ed un siffatto carattere di fondamentalità, a
proposito del divieto di adozione da parte di una persona singola, non è dato di
riscontrare‖68. Più di recente, il Tribunale per i minorenni di Bologna ha affermato che non
è configurabile un contrasto tra l‘ordine pubblico italiano ed il riconoscimento di effetti
legittimanti all‘adozione da parte di una persona non coniugata. Il tribunale ha precisato
che sebbene l‘adozione da parte di una coppia di persone coniugate sia un‘ipotesi
preferibile rispetto a quella dell‘adozione da parte di una persona singola, ciò non
65
Sulla tendenza della giurisprudenza comunitaria a valorizzare la tutela del diritto della libera circolazione delle
persone relativamente a questioni internazionalprivatistiche, CGCE, sentenza del 14 ottobre 2008, causa C353/06, Grunkin Paul, in Racc., 2008, p. I-07639.
In tali casi, la Corte europea ha stabilito la prevalenza del diritto comunitario rispetto alle norme di diritto
internazionale privato degli stati membri: l‘eventuale doppia cittadinanza, che, in base all‘art. 19, comma 2, l. n.
218/1995, farebbe scattare la prevalenza della cittadinanza italiana, cederebbe senz‘altro il passo alla
giurisprudenza comunitaria in tema di libera circolazione delle persone in ambito comunitario.
66
L‘adozione è disciplinata dall‘art. 41 della legge di riforma del diritto internazionale privato, n. 218/95. Il
primo comma di tale disposizione prevede in via generale il rinvio agli artt. 64, 65, 66 della medesima legge,
riguardanti il riconoscimento automatico – senza che si renda necessario il ricorso ad alcun procedimento
interno – delle sentenze e degli atti di volontaria giurisdizione, ove ricorrano i presupposti previsti dalla norma
stessa, tra i quali quello della non produzione di effetti contrari all‘ordine pubblico. Il secondo comma dell‘art.
41, tuttavia, fa salve le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione di minori, tra le quali rientra la
legge sulle adozioni n. 184/1983, successivamente novellata dalla legge n. 476/98 di ratifica della Convenzione
de L‘Aja (di seguito ―l. adoz.‖). V. Legge sul diritto del minore ad una famiglia, n. 184 del 4 maggio 1983, in GU,
17 maggio 1983, n. 133, modificata dalla l. di ratifica della Convenzione de L‘Aja del 29 maggio 1993, n. 476
del 31 dicembre 1998, in GU, 12 gennaio 1999, n. 8.
67
Cass. civ., sentenza 5 ottobre 1992, n. 10923, in Giust. civ. mass., 1992, fasc.10.
68
Ibidem.
36
esclude la possibilità di un legame adottivo con una sola figura genitoriale 69. Si consideri
inoltre che anche il nostro ordinamento prevede, seppure entro precisi limiti, la possibilità
per il single di adottare70. Così l‘art. 44, comma 3, l. n. 184/83 introduce dei casi
particolari e tassativi al verificarsi dei quali l‘adozione di un minore straniero da parte di
un singolo non produce effetti legittimanti per il minore 71. Diversamente avviene nelle
speciali circostanze di cui all‘art. 25, comma 4 e 5, l. n. 184/83 che prevedono la
produzione di effetti legittimanti propri dell‘adozione piena 72. A questo proposito, la
Corte di cassazione ha introdotto una distinzione. Il riconoscimento di un provvedimento
straniero di adozione nei confronti di una persona singola è possibile ai sensi dell‘art. 36,
comma 4, l. adoz., secondo cui è necessario un periodo minimo di durata di soggiorno
nel Paese in cui viene pronunciata l‘adozione pari ad almeno un biennio, come previsto
dalla stessa disposizione con riferimento alla residenza. Fuori da questa ipotesi,
l‘adozione internazionale da parte di persona singola è consentita negli stessi limiti
previsti per quella nazionale, ossia nell‘adozione ―in casi particolari‖ e nelle speciali
circostanze previste dall‘art. 25, commi 4 e 5, l. adoz. 73
Si ricorda, inoltre, che l‘Italia, come è stato sottolineato dalla Corte di appello di Torino,
ha aderito alla Convenzione de L‘Aja del 29 maggio 1993 e la legge di ratifica e
conversione 31 dicembre 1998, n. 476, ha assunto i principi della Convenzione de L‘Aja
come principi di ordine pubblico in materia di adozione. Detta Convenzione non conosce
fra i suoi principi quello per cui l‘adozione legittimante possa essere fatta solo a favore di
una coppia, con l‘esclusione del single74. La Corte ha affermato, pertanto, che la
pronuncia di adozione dell‘autorità svizzera a favore di una persona singola che
attribuisce lo status di figlia legittima e il cognome del padre adottante non contrasta con
la Convenzione. Questa soluzione consente di ritenere che proprio questa adozione più
piena, che risponde meglio all‘interesse del minore, realizzi i principi della Convenzione.
La Corte ha così concluso: ―Questa scelta del legislatore italiano di riconoscere in Italia i
provvedimenti stranieri di adozione a favore di cittadini italiani residenti all‘estero, a
condizione che siano conformi ai principi della Convenzione de L‘Aja, comporta il
riconoscimento anche di provvedimenti di adozione che in Italia non sarebbero legittimi o
69
Trib. Min. Bologna, sentenza 27 aprile 2007, in Il merito 2007, fasc. 10, p. 38.
70
V. Trib. Min. Roma, sentenza 24 marzo 1993, in Giust. civ., 1993, I, p. 2821, nota di BEGHÈ LORETI.
71
L‘art. 44, comma 3, l. adoz. recita, ―Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1, l'adozione è consentita,
oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato‖. I casi riguardano, rispettivamente, le ― persone unite al
minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il
minore sia orfano di padre e di madre; quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall'articolo 3, comma
1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre; quando vi sia la constatata impossibilità
di affidamento preadottivo‖.
72
La deroga all‘art. 25, comma 4 e 5, l. n. 184/83, attiene ad ipotesi speciali che si verificano qualora, nel corso
dell‘affidamento preadottivo, intervenga il decesso o l‘incapacità di uno degli adottanti oppure la separazione
degli stessi e venga presentata istanza di adozione da parte del coniuge superstite o capace ovvero dal coniuge
separato.
73
Cass. civ., sentenza 18 marzo 2006, n. 6078, in Giust. civ., 2006, 3, I, p. 512.
74
Corte Appello Torino, sez. minori, decr. 30 ottobre 2000, in Minori giustizia, 2001, p.162.
37
che avrebbero un regime diverso. Rinunciando ad un colonialismo adozionale, il nostro
Stato in queste condizioni recepisce delle adozioni con i requisiti soggettivi e gli effetti
attribuiti dalla legislazione dello stato che le ha pronunciate. Di conseguenza l‘adozione
pronunciata dalla competente autorità della Svizzera deve essere riconosciuta in Italia con
le qualità soggettive e gli effetti giuridici previsti dal codice civile svizzero, anche se
diversi da quelli della legislazione interna‖75.
75
Ibidem.
38
3. L‘INCONTRO TRA CULTURE: LE PROBLEMATICHE DERIVANTI DAL
CONFRONTO TRA LE NORMATIVE OCCIDENTALI E LA FAMIGLIA
ISLAMICA
Sommario: 1. Le caratteristiche del matrimonio islamico e i punti di conflitto con gli
ordinamenti occidentali. – 2. Il matrimonio
islamico nel diritto sovranazionale:
problematiche relative alla poligamia. – 2.1. Il matrimonio poligamico nel contesto della
Convenzione europea dei diritti dell‘uomo. - 2.2. Il matrimonio poligamico nel contesto
dell‘Unione europea. – 3. Il matrimonio islamico nell‘ordinamento interno. – 3.1. La
celebrazione del matrimonio islamico. – 3.2. Segue: Il riconoscimento e la trascrizione del
matrimonio islamico in Italia. – 3.3. Il matrimonio poligamico in Italia: il ricongiungimento
famigliare e lo stabilirsi di situazioni di poligamia de facto. – 3.4. Lo scioglimento del
vincolo: il ripudio. – 4. Questioni relative alla filiazione. – 4.1.Il riconoscimento della
paternità naturale. – 4.2. La kafala e il divieto di adozione di minori islamici.
3.1 LE CARATTERISTICHE DEL MATRIMONIO ISLAMICO E I PUNTI DI CONFLITTO CON GLI ORDINAMENTI
OCCIDENTALI
Le peculiarità della famiglia islamica rispetto alla famiglia tradizionale di modello
occidentale e le problematiche di diritto internazionale privato sono state autevolmente
evidenziate in dottrina da Campiglio76. La sistematicità dell‘opera compiuta dall‘autrice
mette chiaramente in rilievo i motivi che inducono parte della dottrina ad indicare con
l‘espressione ―conflicts of civilisation‖77, piuttosto che ―conflicts of law‖, le norme di
diritto internazionale privato che si occupano di dirimere le problematiche che sorgono
dalla circolazione della famiglia islamica e dall‘incontro di tale istituto con gli ordinamenti
occidentali.
76
CAMPIGLIO, Il diritto di famiglia islamico nella prassi italiana, in Riv. dir. internaz. priv. pr., 2008, p. 43 ss.
77
Sui conflitti di civilizzazione v. CONETTI, Il matrimonio: conflitti di leggi o di culture?, in Ferrari (a cura di), Islam
in Europa/Islam in Italia tra diritto e società, Bologna, 2008, p. 111 ss.; MERCIER, Conflicts de civilisations et droit
International privé: polygamie et repudiation, Ginevra, 1972; DEPREZ, Droit International privé et conflicts de
civilisations. Aspects méthodologiques. Les relations entre systémes d‘Europe occidentale et systémes
islamiques en matriére de statut personnel, in Recueil, 1988, p. 9 ss.; MALATESTA, Cultural Diversity and Private
International Law, in Nuovi strumenti del diritto internazionale privato, Liber Fausto Pocar, Milano, 2009, p. 643
ss. Per molto tempo in Italia, come in numerosi altri Stati europei l‘istituto della famiglia islamica ha generato un
vero e proprio scontro fra culture, come dimostra l‘affermazione della Corte d‘Appello di Roma, secondo la
quale l‘istituto islamico del ―ripudio‖ ―ripugna alla mentalità morale e giuridica dei popoli che hanno raggiunto
un maggior grado di civiltà e che del matrimonio hanno un concetto etico e sociale ben più elevato di quello che
ne hanno i popoli orientali‖. V. Corte di Appello di Roma, sentenza del 29 ottobre 1948, in Foro Pad., 1949, I, p.
348 ss., nota di MARTINO. Ampliamente sul tema, v. CAMPIGLIO, Il diritto di famiglia islamico nella prassi italiana,
cit. supra nota 76, p. 43 ss.
39
Prima di analizzare come tali problematiche sono state risolte dal diritto internazionale
privato, nelle interpretazioni fornite dalla giurisprudenza e dalla dottrina, sembra utile
delineare brevemente i maggiori punti di divergenza, riguardanti i vari aspetti della vita
famigliare.
Una prima importante differenza della famiglia islamica riguarda la natura stessa del
vincolo matrimoniale. Questo, infatti, è un contratto che attribuisce, da un lato, al marito
diritti sulla moglie, dall‘altro, attribuisce alla moglie il diritto ad una sorta di corrispettivo,
paragonabile a un donativo nuziale. La validità del contratto di matrimonio, inoltre,
dipende dall‘esistenza di tre requisiti: la sussistenza della capacità giuridica e del
consenso degli sposi, l‘intervento del tutore (wali) a convalida del consenso della donna
maggiorenne ed, infine, la costituzione del donativo nuziale (mahr), che ha generato
notevoli problemi interpretativi, di cui si sono spesso occupate le corti francesi. Il diritto
islamico, inoltre, conosce il c.d. ―matrimonio temporaneo‖ (mut‘a)78. Si tratta di un
matrimonio concluso per un tempo determinato, anche per qualche ora. L‘istituto è
finalizzato a legittimare gli eventuali figli nati da un‘unione temporanea, considerata
l‘irriconoscibilità, per il diritto islamico, dei figli naturali.
Tra le altre importanti differenze che riguardano il rapporto tra i coniugi, è noto l‘isitituto
della poligamia79. Mentre al marito è concesso prendere in moglie più donne, anche non
musulmane, purchè si tratti di donne ―del Libro‖ (ebree o cristiane), il diritto islamico vieta
alla donna di sposare un non musulmano.
Il matrimonio, poi, può essere sciolto in tre modi: attraverso annullamento o dissoluzione
davanti ad un qadi su richiesta di uno dei due coniugi per gravi motivi, attraverso il
divorzio per mutuo consenso (khul‘) oppure attraverso il ripudio unilaterale (talaq),
pronunciato anche telefonicamente80.
Anche con riferimento ai figli, il diritto islamico della famiglia presenta importanti
peculiarità. Esso infatti riconosce soltanto la filiazione legittima, mentre non permette il
riconoscimento di paternità naturale e vieta l‘adozione. Tuttavia, per i minori in stato di
necessità soccorre l‘istituto della kafala, attraverso il quale un kafil si assume l‘obbligo,
alla presenza dell‘autorità, di provvedere alle cure del minore (makful). Tale istituto,
tuttavia,
non
determina
l‘acquisizione
dello
status di figlio e termina con il
raggiungimento della maggiore età da parte del minore.
78
Tale matrimonio è ammesso soltanto dagli sciiti, non invece dai sunniti.
79
La poligamia è ancora molto presente nel Nord-Africa, ad eccezione della Tunisia, e in Medio Oriente.
80
Diversamente dalla poligamia, il ripudio è assai praticato e conferisce alla moglie il diritto a un compenso
speciale e una quota nella successione del marito.
40
3.2 IL MATRIMONIO ISLAMICO NEL DIRITTO SOVRANAZIONALE: PROBLEMATICHE RELATIVE ALLA POLIGAMIA
3.2.1 Il matrimonio poligamico nel contesto della Convenzione europea dei diritti
dell‘uomo
Le problematiche legate alla poligamia sono spesso evitate mediante il ricorso alla
normativa sull‘immigrazione81, determinando, talvolta, dei contrasti con i diritti e le
libertà garantite dalla Convenzione europea sui diritti dell‘uomo e le libertà fondamentali,
come dimostrano alcune
controversie. In
proposito,
si può ricordare, a
titolo
esemplificativo, una decisione della Commissione europea dei diritti dell‘uomo del 1992
relativa alla richiesta di permesso di soggiorno in Olanda avanzata dal figlio della prima
moglie di un marocchino regolarmente residente in Olanda con la seconda moglie
marocchina da lui sposata in Olanda82. Le autorità olandesi avevano negato il permesso,
precisando di intendere il diritto al ricongiungimento familiare limitato ad una sola moglie
e ai di lei figli. Padre e figlio si rivolsero allora alla Commissione europea dei diritti
dell‘uomo lamentando una violazione del diritto al rispetto della vita familiare, ai sensi
dell‘art. 8 CEDU. La Commissione, tuttavia, dopo aver riconosciuto la sussistenza di
un‘ingerenza nella vita familiare dei ricorrenti, ne sottolineò la legittimità ai sensi del
comma 2 dello stesso art. 8. Precisamente, la legittimità della normativa statale in
questione fu fatta discendere dal margine di discrezionalità statale in materia di
immigrazione, coerentemente con la norma di diritto internazionale generale che lascia
alla libertà degli Stati il potere di regolare l‘entrata e la permanenza degli stranieri nel
territorio dello Stato83.
81
La Francia, ad esempio, nel 1993 aveva bloccato l‘immigrazione di stranieri a statuto poligamico e aveva
imposto alle mogli già presenti sul territorio francese diverse dalla prima di ―de-coabitare‖ rispetto al marito. V.,
ad esempio, la legge n. 93-1027 del 24 agosto 1993; la circolare del Ministero degli interni del 25 aprile 2000
sul ―renouvellement des cartes de résident obtenues par des ressortissants étrangers polygames avant l‘entrée
en vigueur de la loi du 24 aout 1993‖; la circolare del 10 giugno 2001 del Ministero del lavoro e della
solidarietà, relativa ―au logement des femmes décohabitant de ménages polygames et engagées dans un
processus d‘autonomie‖. Tale linea politica è proseguita con la legge n. 911 del 24 luglio 2006 relativa
all‘immigrazione e all‘integrazione. Sul tema, v. CAMPIGLIO, Il diritto di famiglia islamico nella prassi italiana, cit.
supra nota 76, p. 47.
82
Commissione europea diritti dell‘uomo, decisione 6 gennaio 1992, ric. n. 14501/89 , A. e A. c. Paesi Bassi, in
Dècisions et Rapports, 72, p. 118 ss.
83
Corte europea, Abdulaziz, Cabales and Balkandali v. United Kingdom, ricorsi n. 9214/80, 9473/81, 9474/81,
sentenza del 28 maggio 1985. Sull‘evoluzione della giurisprudenza della Corte europea in merito a tematiche di
ricongiungimento familiare e applicazione dell‘art. 8 CEDU v. D. Thym, Respect for Private and Family Life under
Article 8 ECHR in Immigration Cases: a Human Right to Regularize Illegal Stay?, in International and Comparative
Law Quarterly, 2008, 57, pp. 87-112.
41
3.2.2 Il matrimonio poligamico nel contesto dell‘Unione europea
Nell‘ambito dell‘Unione europea il ricongiungimento a favore delle diverse mogli è
espressamente escluso dall‘art. 4, comma 4, della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto
al ricongiungimento familiare84, la quale prevede che ―se il soggiornante ha già un
coniuge convivente sul territorio di uno Stato membro, lo Stato membro interessato non
autorizza il ricongiungimento familiare di un altro coniuge‖, mentre è indifferente se a
chiedere il ricongiungimento sia la prima moglie o una successiva.
La seconda parte dell‘art. 4 della direttiva, poi, prevede che ―gli Stati membri possono
limitare il ricongiungimento familiare dei figli minorenni del soggiornante e di un altro
coniuge‖. A questo riguardo, il preambolo della direttiva precisa che l‘autorizzazione
eventualmente concessa da uno Stato membro a questi figli ―non pregiudica la facoltà per
gli Stati membri che non riconoscono l‘esistenza di legami familiari (poligamici), di non
concedere a dette persone il trattamento riservato ai familiari per quanto attiene al diritto
di risiedere in un altro Stato membro‖ (considerando n. 10).
Oltre alle previsioni contenute nella direttiva, il problema del ricongiungimento della
famiglia poligamica è stato affrontato anche dalla Corte di giustizia, la quale ha ripreso,
nel contesto del ―dialogo fra Corti‖, di cui si è parlato inizialmente, i principi elaborati
dalla Corte europea in tema di immigrazione. La Corte di Lussemburgo ha, così, affermato
che ―La portata dell‘obbligo per uno Stato di consentire l‘ingresso sul proprio territorio ai
congiunti di persone immigrate dipende dalla situazione degli interessati e dall‘interesse
generale... Conformemente ad un consolidato principio di diritto internazionale, gli Stati
hanno il diritto – senza pregiudizio degli obblighi per essi derivanti dai trattati – di
controllare l‘ingresso di cittadini non nazionali sul loro territorio... In materia di
immigrazione, l‘art. 8 (CEDU) non può essere interpretato nel senso che esso implichi per
uno Stato membro l‘obbligo generale di rispettare la scelta, da parte di coppie coniugate,
della loro comune residenza e di consentire il ricongiungimento familiare sul proprio
territorio‖85. Nel caso di specie la Corte di Lussemburgo, basandosi sulla giurisprudenza
di Strasburgo e alla luce della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 nonché della
Carta dei diritti fondamentali dell‘Unione europea del 2000, ha dunque escluso che le
norme della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare, che
subordinano a determinate condizioni il ricongiungimento dei figli minori, siano contrarie
al diritto al rispetto della vita familiare86.
Diversamente dalla giurisprudenza, parte della dottrina sottolinea che, nonostante
l‘orientamento di sfavore nei confronti della poligamia, a cui si ispira la direttiva in esame,
84
Direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare, in GUUE, L 251 del 3 ottobre 2003, pp.
12-18.
85
Corte di giustizia, 27 giugno 2006, causa C-540/03, Parlamento europeo c. Consiglio dell‘Unione europea, in
Racc., 2006, p. I-05769, punto 55.
86
Sul rapporto tra la direttiva 2003/86 e la CEDU v. CELLAMARE, La disciplina dell‘immigrazione nell‘Unione
europea, Torino, 2006, p. 160 ss.
42
questa dovrebbe essere interpretata alla luce del superiore interesse del minore a
ricongiungersi col padre87.
3.3 IL MATRIMONIO ISLAMICO NELL‘ORDINAMENTO INTERNO
3.3.1 La celebrazione del matrimonio islamico
Prima
di
analizzare
le
problematiche
relative
all‘attuazione
della
direttiva
sul
ricongiungimento famigliare, della quale si è parlato nel paragrafo precedente, è
opportuno, per ragioni di maggiore sistematicità, affrontare le problematiche relative alla
celebrazione, alla trascrizione e al riconoscimento del matrimonio islamico, in relazione
alle quali un ruolo preminente è svolto dagli ufficiali di stato civile.
Innanzitutto, con riferimento alla celebrazione di un matrimonio ―islamico‖ si possono
porre problemi relativi al diniego del nulla osta matrimoniale da parte delle autorità
straniere competenti. In particolare, qualora una donna islamica volesse sposare un
italiano, l‘ufficiale dello stato civile viene a trovarsi di fronte al divieto islamico, secondo
cui la donna musulmana non può sposare un non musulmano. In base a tale divieto,
l‘autorità dello Stato di origine della donna subordina il rilascio del nulla osta all‘adesione
alla fede islamica da parte dei coniugi. Qualora ciò non accada, l‘autorità straniera
negherà il ―nulla osta‖ richiesto dall‘art. 116, comma 1, c.c., la cui mancanza
comporterebbe l‘impossibilità per l‘ufficiale di stato civile di procedere alla celebrazione
del matrimonio. Questi, invero, potrà invocare il limite dell‘ordine pubblico, ex art. 16
della legge n. 218 del 199588, considerato che il diniego del nulla osta su basi religiose è
contrario al principio di non discriminazione sancito dall‘art. 3 Cost. e da numerosi
trattati internazionali per la salvaguardia dei diritti umani89. Nella prassi, invero, talvolta
accade che venga negata la possibilità di celebrare le nozze. Tale problematica, di cui era
stata investita anche la Corte costituzionale90, è stata definitivamente risolta mediante la
circolare n. 46 del Ministero dell‘interno dell‘11 settembre 2007, che ha imposto agli
TOMASI, La tutela degli status familiari nel diritto dell‘Unione europea tra mercato interno e spazio di libertà,
sicurezza e giustizia, Padova, 2007, p. 152; RICCI, La ‗‗famiglia‘‘ nella giurisprudenza comunitaria, in BARIATTI, La
famiglia, cit. supra nota 26, p. 91 ss., sp. p. 133 ss.
87
88
In ogni caso, la celebrazione in assenza di nulla osta non renderebbe invalido la matrimonio, ma integrerebbe
solo un‘infrazione di tipo amministrativo (art. 138 cod. civ.).
89
L‘Institut de droit international, nella risoluzione ―sulle differenze culturali e l‘ordine pubblico nel diritto
internazionale privato della famiglia‖ del 2005, in Riv. dir. int. pr. proc., 2005, p. 1224 ss., ha affermato che ―les
Etats doivent garantir le respect de la liberté du mariage, ce qui conduit, en droit international privé , à opposer
l‘ordre public aux lois étrangères comportant des empêchements de caractère... religieux‖.
90
V. Corte cost., ordinanza n. 14 del 30 gennaio 2003, in Riv. dir. int., 2003, p. 814 ss.
43
ufficiali dello stato civile di procedere alle pubblicazioni di matrimonio senza tener conto
della condizione relativa alla fede religiosa.
3.3.2 Il riconoscimento e la trascrizione del matrimonio islamico in Italia
Un altro importante problematica riguarda la trascrizione di matrimoni celebrati all‘estero
secondo il rito islamico da cittadini italiani.
Nel 1987 il Ministero di grazia e giustizia ha emanato una circolare91 in cui si prevede la
sanzione della nullità per il matrimonio celebrato dal cittadino secondo il rito islamico,
per contrasto con i principi dell‘ordine pubblico. L‘ufficiale dello stato civile che riceve
copia di un atto di matrimonio celebrato all‘estero con rito islamico, pertanto, deve
―senz‘altro procedere alla sua trascrizione (anche se si tratti di un secondo, o terzo, o
quarto matrimonio...) con l‘obbligo di rapporto al Procuratore della Repubblica
competente per la proposizione della domanda di nullità‖92. Diversamente dal Ministero, il
Consiglio di Stato, nel parere reso il 7 giugno 198893, ha affermato che ―il diritto islamico
collega (al matrimonio) fini di natura ed entità non dissimili da quelli propri del medesimo
negozio concluso secondo la legge del nostro ordinamento‖. Il matrimonio celebrato con
rito islamico, dunque, fu ritenuto dal Consiglio di Stato in sé trascrivibile nei registri dello
stato civile italiano, qualora non sussistessero elementi sostanziali in contrasto con i
nostri principi fondamentali, come, ad esempio, la mancanza dello stato libero di
entrambi i nubendi. Sulla base di tale parere, il Ministero di grazia e giustizia emise una
seconda circolare94 in cui si invitavano gli ufficiali di stato civile a procedere alla
trascrizione dei matrimoni celebrati con rito islamico all‘estero95, previa verifica
dell‘assenza di impedimenti inderogabili secondo la legge italiana. Nel 2001, infine, il
Ministero dell‘interno ha emanato una nuova circolare 96 in cui è prevista la trascrivibilità
del ―primo matrimonio celebrato secondo il rito islamico tra un cittadino italiano e un
cittadino di religione islamica‖.
Il tema del riconoscimento in Italia del matrimonio islamico celebrato all‘estero da parte
di un cittadino italiano è stato, inoltre, affrontato in giurisprudenza nell‘ambito della
91
Circolare n. 1/54/FG/3(86)1395, in CAFARI PANICO, Lo stato civile ed il diritto internazionale privato, Padova,
1992, p. 169. In tema v. CAMPIGLIO, cit. supra nota 76, p. 55.
92
L‘ufficiale dello stato civile non potrebbe, in altre parole, rifiutare la trascrizione invocando il limite dell‘ordine
pubblico. Sul punto, v. criticamente CAFARI PANICO, Lo straniero, cit. supra nota precedente, p. 933 ss.
93
V. parere del Consiglio di Stato, sez. III, 7 giugno 1988, in Servizi demografici, 1989, p. 74.
94
Circolare n. 1/54/FG/3(86)1395 del 3 ottobre 1988, in CAFARI PANICO, Lo stato civile, cit. supra nota 91, p.
172.
95
La precisazione «all‘estero» e` contenuta in una successiva circolare (n. 1/54/FG/ 3(86)1395 del 7 febbraio
1989, in CAFARI PANICO, Lo stato civile cit., p. 173.
96
Circolare 26 marzo 2001, in Riv. dir. int. pr. proc., 2002, p. 283 ss.
44
materia ereditaria. Il caso riguardava il matrimonio celebrato in Somalia tra una donna
somala e un vedovo italiano. La moglie, temendo di essere estromessa dall‘eredità dalle
figlie nate dal primo matrimonio del marito, chiese il sequestro conservativo dei beni
ereditari. La domanda di convalida del sequestro fu, però, respinta dal Tribunale di Lodi,
che ritenne il matrimonio somalo, celebrato con rito islamico, privo di effetti in Italia. La
donna si rivolse, dunque, alla Corte d‘Appello di Milano, la quale accolse l‘impugnazione,
con sentenza confermata in Cassazione, sulla base dell‘art. 115 c.c., dal momento che il
matrimonio era stato validamente celebrato ―in paese estero secondo le forme ivi
stabilite‖
97,
senza che assumesse alcun rilievo l‘ammissibilità nell‘ordinamento somalo
dell‘istituto della poligamia e del ripudio, data la loro irrilevanza nel procedimento di
convalida del sequestro98.
In sintesi può dirsi che, nelle ipotesi in cui la problematica relativa alla poligamia si ponga
in via preliminare e si segua la ―teoria disgiunta‖ il matrimonio poligamico potrebbe
essere considerato valido tutte le volte che la legge straniera richiamata preveda la
poligamia. All‘opposta conclusione si giungerebbe, invece, qualora venisse seguita la
―teoria dell‘assorbimento‖ e il rinvio alle norme di applicazione necessaria.
Deve, infine, rilevarsi che l‘Institut de droit International, nel 2005, si è pronunciato a
favore della dottrina di origine francese dell‘ordine pubblico attenuato99, in base alla
quale l‘ordine pubblico ―potrà‖ essere invocato per negare il riconoscimento di matrimoni
poligamici
validamente
celebrati
all‘estero,
qualora
la
fattispecie
presenti
un
collegamento con lo Stato del foro. Una simile situazione di avrà, ad esempio, qualora i
coniugi avessero, al momento delle nozze, la residenza abituale in uno Stato
―monogamico‖, o qualora la prima moglie avesse la cittadinanza di tale Stato o sia ivi
residente. In tutti gli altri casi, l‘ordine pubblico non dovrebbe essere opposto al
riconoscimento di effetti ai matrimoni poligamici100.
Diversamente da quanto affermato dall‘Institut de droit International, altri organi
internazionali, quali il Comitato ONU sull‘eliminazione delle discriminazioni nei confronti
della donna101, il Comitato dei diritti dell‘uomo102 e la Corte europea dei diritti dell‘uomo
hanno
manifestato
ancora
una
decisa
chiusura
nei
confronti
del
matrimonio
poligamico103.
97
Si noti che, in base all‘art. 28 l. n. 218/1995, ―il matrimonio è valido, quanto alla forma, se è considerato tale
dalla legge del luogo di celebrazione‖.
98
V. Cass., sentenza 2 marzo 1999, n. 1739, in iv. dir. int. pr. proc., 1999, p. 613 ss.
99
V. la risoluzione dell‘ l‘Institut de droit international ―sulle differenze culturali e l‘ordine pubblico nel diritto
internazionale privato della famiglia‖, adottata in occasione della sessione di Cracovia del 2005, in Riv. dir.
internaz., 2005, p. 1189 ss.. V. CAMPIGLIO, cit. supra nota 76, p. 62.
100
Ibidem.
101
General Recommendation 21 del 1994 ―Equality in Marriage and in Family Relations‖, punti 13 e 14; v. anche
le osservazioni presentate nel 1997 in occasione dell‘esame dei rapporti di Namibia e Bangladesh.
102
General Comment 28(68) del 29 marzo 2000 relativo all‘art. 3 del patto internazionale sui diritti civili e
politici (CCPR/C/21/Rev.1/Add.10), punto 24.
103
In tema v. CAMPIGLIO, cit. supra nota 76, p. 63.
45
3.3.3 Il matrimonio poligamico in Italia: il ricongiungimento famigliare e lo stabilirsi di
situazioni di poligamia de facto
Dopo aver trovato soluzione nella giurisprudenza e nelle circolari ministeriali 104, il
ricongiungimento della famiglia poligamica ha trovato un‘apposita disciplina nel 1998
con il testo unico sull‘immigrazione105. L‘art. 29, comma 1, lett. a, del T.U. ha previsto il
ricongiungimento allo straniero del relativo ―coniuge‖, senza, peraltro, fornire alcuna
definizione di ―coniuge‖, la quale fu interpretata avendo riguardo alla validità del
matrimonio concluso. Anche quest‘ultima interpretazione, però, non ha risolto in modo
esaustivo il problema.
Essa, infatti, richiede di chiarire la nozione di matrimonio.
Ci si deve dunque interrogare se quest‘ultima debba essere ricostruita secondo il nostro
ordinamento o secondo l‘ordinamento straniero al quale rinviano le norme di diritto
internazionale privato106. Alcuni ritengono che, trattandosi di materia pubblicistica, le
nozioni impiegate dal legislatore debbano essere ricostruite alla luce del diritto materiale
italiano107, salvaguardando l‘armonia interna dell‘ordinamento. La medesima conclusione
potrebbe, poi, essere raggiunta mediante il riferimento a una norma di applicazione
necessaria, l‘art. 86 c.c., il quale prevede tra i requisiti necessari per contrarre matrimonio
la libertà di stato.
L‘ingresso delle altre mogli, tuttavia, potrebbe aversi per un‘altra via. L‘art. 29, comma 1,
lett. b, del testo unico prevede, infatti, il diritto al ricongiungimento dei ―figli minori,
anche... nati fuori del matrimonio... a condizione che l‘altro genitore... abbia dato il suo
consenso‖. Se possono vantare diritto al ricongiungimento i figli naturali, dunque, a
fortiori potrebbero vantare un analogo diritto i figli nati dal matrimonio del padre con
un‘altra moglie. In questo modo, potrebbe aprirsi la strada all‘ingresso in Italia anche
della seconda moglie, attraverso il meccanismo di ricongiungimento ―a rovescio‖. Secondo
l‘art. 29, comma 5, del testo unico infatti ―è consentito l‘ingresso, per ricongiungimento
al figlio minore regolarmente soggiornante in Italia, del genitore naturale che dimostri,
entro un anno dall‘ingresso in Italia, il possesso dei requisiti di disponibilità di alloggio e
di reddito‖.
Si riscontra, poi, anche un‘altra ipotesi in cui l‘interesse del minore potrebbe condurre di
fatto all‘ammissione di coppie poligamiche. Si tratta dell‘ipotesi sottoposta all‘esame della
Corte d‘Appello di Torino qualche anno fa 108. Il caso riguardava un cittadino marocchino
residente in Italia con due mogli e i rispettivi due figli. L‘istanza presentata dall‘uomo di
104
V. CAMPIGLIO, cit. supra nota 76.
105
V. D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, ―Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell‘immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero‖, in G.U., 18 agosto 1998 , n.191, e successive modificazioni.
106
NASCIMBENE, La condizione giuridica dello straniero, Padova, 1997, p. 207.
V. Art. 33, in POCAR, TREVES, CARBONE, GIARDINA, LUZZATTO, MOSCONI, CLERICI, Commentario del nuovo diritto
internazionale privato, Padova, 1996, p. 178 ss., a p. 184 ss.
107
108
Corte Appello Torino, sentenza 18 aprile 2001, in Dir. fam., 2001, p. 1492 ss..
46
autorizzare la seconda moglie a restare in Italia fu respinta dal Tribunale per i minorenni
di Torino per contrarietà all‘ordine pubblico. Il ricorso avverso il decreto del tribunale per
i minorenni fu, invece, accolto dalla Corte d‘Appello, con decreto del 18 aprile 2001109,
sulla base dell‘art. 31, comma 3, del testo unico, secondo cui ―per gravi motivi connessi
con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell‘età e delle condizioni di salute del minore
che si trova nel territorio italiano, (si) può autorizzare... la permanenza del familiare, per
un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del... testo
unico‖. L‘autorizzazione, concessa nell‘interesse del figlio minore, nel caso di specie ha
così permesso una sorta di riconoscimento de facto di una situazione poligamica110.
3.3.4 Lo scioglimento del vincolo: il ripudio
Com‘è noto, anche con riferimento allo scioglimento del matrimonio il diritto islamico
conosce un istituto che pone in luce un ―conflict of civilisation‖, data la totale estraneità di
uno dei modi di scioglimento del vincolo: il ripudio. La compatibilità di tale istituto con
l‘ordinamento italiano è stata affrontata in giurisprudenza, la quale lo ha sempre ritenuto
contrario all‘ordine pubblico111. Precisamente, esso è stato ritenuto contrario al principio
di uguaglianza tra i coniugi, anche qualora non vi fosse opposizione da parte della moglie
oppure fosse espressamente quest‘ultima a chiedere il ripudio 112. La giurisprudenza ha
109
Ibidem.
110
Nel 2005 anche la Cassazione si è dovuta confrontare con la problematica in esame. Una donna marocchina
regolarmente soggiornante in Italia ottenne il nulla osta al ricongiungimento del secondo marito e dei figli nati
dal primo matrimonio sciolto con atto di ripudio; l‘Ambasciata italiana in Marocco tuttavia negò il visto di
ingresso dei figli, che erano stati affidati alla tutela del padre. La donna presentò ricorso al Tribunale di Perugia.
Quest‘ultimo, dopo aver accertato che al mantenimento dei bambini provvedeva a distanza la madre, accolse il
ricorso in base all‘art. 29, comma 1, lett. b, T.U., il quale, prima delle modifiche apportare dal d.lgs. n. 5 del
2007, prevedeva il ricongiungimento dei soli figli minori a carico del richiedente. I Ministeri dell‘interno e degli
esteri, tuttavia, proposero reclamo alla Corte d‘Appello di Perugia, invocando il difetto di rappresentanza legale
in capo alla donna. Secondo la legge marocchina, applicabile ai rapporti tra genitori e figli in base all‘art. 36
della legge n. 218/1995, infatti, la rappresentanza sarebbe spettata in via esclusiva al padre. La Corte, però,
dopo aver rilevato la contrarietà all‘ordine pubblico della legge marocchina richiamata, applicò la legge italiana
ex art. 16, comma 2, della legge n. 218/1995. La Cassazione, infine, confermò il giudizio di secondo grado,
ritenendo decisivo il fatto che l‘unico genitore desideroso di convivere con i figli e mantenerli fosse la madre. V.
Cass., 9 giugno 2005 n. 12169, in Fam. dir., 2005, p. 354 ss., nota di P.L. CARBONE, Applicabilità del diritto
italiano al cittadino mussulmano: il minore ―a carico‖ può ricongiungersi alla madre, cittadina del Marocco, in
Italia con permesso di soggiorno.
111
V., fra le altre, Corte Appello Torino, 9 marzo 2006, in Dir. fam., 2007, p. 156 ss., nota di SINAGRA, Ripudio,
divorzio islamico e ordine pubblico italiano.
112
V. Corte Appello Milano, 14 dicembre 1965, in Riv. dir. int. pr. proc., 1966, p. 381 ss.. V. anche Corte Appello
Roma, 9 luglio 1973, in Dir. fam., 1974, p. 653 ss., con nota di SCHWARZENBERG, ove era stata la moglie italiana a
chiedere al marito egiziano di ripudiarla, esonerandolo altresì dal versamento del saldo della dote e dal
pagamento degli alimenti. La Corte negò il riconoscimento, da un lato, perché non si trattava di sentenza né di
provvedimento di volontaria giurisdizione, dall‘altro, perché l‘atto di ripudio era contrario all‘ordine pubblico
italiano.
47
ritenuto, inoltre, che dovesse parlarsi di ripudio anche con riferimento alla domanda di
scioglimento del matrimonio riguardante due stranieri, iraniani, relativa alla norma del
codice civile iraniano, secondo cui ―l‘uomo potrà divorziare dalla moglie ogniqualvolta lo
vorrà‖. Infatti, nonostante la norma utilizzasse il verbo ―divorziare‖, il Tribunale e, poi, la
Corte d‘Appello di Milano ritennero che si trattasse di un vero e proprio ripudio
unilaterale, contrario all‘ordine pubblico internazionale, inteso come insieme dei ―principi
più generali radicati nella civiltà giuridica comune all‘area della quale l‘Italia fa parte‖ ,
poiché ―il carattere dell‘istituto, umiliante per la donna ripudiata, è comunemente
riconosciuto anche nelle società nelle quali l‘istituto è ammesso, trovando generalmente
un correttivo nel costume sociale ostile, e nel timore della reazione dei parenti della
ripudiata‖ 113.
Anche con riferimento all‘istituto del ripudio, tuttavia, deve ricordarsi la possibilità di
aderire alla teoria di origine francese dell‘ordine pubblico attenuato, che limiterebbe
l‘opponibilità della clausola dell‘ordine pubblico nelle ipotesi di limitato collegamento
della fattispecie con l‘ordinamento del foro.
3.4 QUESTIONI RELATIVE ALLA FILIAZIONE
3.4.1 Il riconoscimento della paternità naturale
Come si è in precedenza accennato, la famiglia islamica presenta dei tratti peculiari non
solo con riferimento al rapporto tra coniugi ma anche in relazione al rapporto genitorifigli. In base al diritto islamico, infatti, trova riconoscimento solamente la filiazione
legittima.
Tale considerazione fa sorge, innanzitutto, la problematica della disciplina relativa al
divieto di riconoscimento della paternità naturale.
In un primo caso, deciso con sentenza 8 marzo 1999 n. 1951114, la Suprema Corte si
pronunciò in merito all‘azione di dichiarazione giudiziale di paternità proposta da una
donna marocchina nei confronti di un italiano. La fattispecie, disciplinata dall‘allora
vigente art. 17 disp. prel. c.c., fu regolata in base al diritto italiano, mentre non poteva
applicarsi la legge straniera per effetto del limite dell‘ordine pubblico. Secondo la Corte,
infatti, la norma marocchina ―si ispira ad un rifiuto assoluto di protezione della filiazione
naturale, della quale esclude ogni rilievo, se non al fine di determinare addirittura una
conseguenza sanzionatoria (penale) nei confronti del genitore, non p(uò) essere inserita
113
App. Milano, 17 dicembre 1991, in Riv. dir. int. pr. proc., 1993, p. 109 ss.
114
Cass., sentenza 8 marzo 1999, n. 1951, in Riv. dir. int. pr. proc., 2000, p. 130 ss.; in Fam. dir., 1999, p. 449
ss., nota di CLERICI.
48
nel nostro ordinamento, per contrasto con un principio di ordine pubblico internazionale
italiano, che alla filiazione naturale assegna comune rilievo e tutela. Il nostro ordinamento
riconnette al fatto della procreazione la posizione di figlio ed il relativo status, a tutela di
una fondamentale esigenza della persona, dalla quale deriva il diritto all‘affermazione
pubblica di tale posizione... Se... per l‘ingresso di una normativa straniera sulla materia
non è certo richiesto che esso riproduca una... parificazione di posizione e tutela (dei figli
legittimi e naturali come quella prevista dalla legge italiana), contrastano tuttavia con i
principi fondamentali che riguardano la persona nel nostro ordinamento le regole che
negano giuridicità ad una qualunque specie di filiazione‖. Le medesime considerazioni,
inoltre, sono state riprese dalla Corte d‘Appello di Roma e dalla Corte di Cassazione con
riferimento a una fattispecie totalmente esterna, senza fare ricorso alla teoria dell‘ordine
pubblico attenuato115. Il caso riguardava la richiesta di un cittadino egiziano al Tribunale
per i minorenni di Roma di poter riconoscere la figlia nata da una relazione adulterina con
una cittadina peruviana, che si opponeva al riconoscimento. Secondo la Corte, in tema di
capacità ad effettuare il riconoscimento del figlio, disciplinata dalla legge nazionale del
genitore116, vige il principio di ordine pubblico internazionale che riconosce il diritto alla
acquisizione
dello
status
di
figlio
naturale
a
chiunque
sia
stato
concepito,
indipendentemente dalla natura della relazione tra i genitori. Tale principio costituisce un
limite generale all'applicazione della legge straniera. Nel caso di specie la legge straniera
era la legge egiziana, recepente in materia di "statuto personale" il diritto islamico.
Quest‘ultimo, attribuendo all'uomo la paternità unicamente nell'ipotesi in cui il figlio sia
stato generato in un "rapporto lecito", precluderebbe al padre di riconoscere il figlio nato
da una relazione extramatrimoniale. In tal caso, considerata la contrarietà all'ordine
pubblico internazionale della norma straniera applicabile, la Corte ha applicato la norma
di diritto interno, ovvero l‘art. 250 c.c.
È, infine, interessante notare che, in un caso, il divieto di riconoscimento della paternità
naturale si è cercato di utilizzare a contrariis, per impedire il riconoscimento della
paternità naturale sulla base delle convinzioni religiose. La fattispecie, giunta alla
cognizione della Cassazione nel 1999, riguardava un padre tunisino, autorizzato dal
Tribunale per i minorenni di Milano a riconoscere, in base all‘art. 250 c.c., la figlia avuta
da un‘italiana. Contro il provvedimento, però, la madre propose appello, rilevandone la
contrarietà all‘interesse della minore a causa dell‘asserito fanatismo religioso del padre. Il
ricorso fu respinto dalla Corte d‘Appello di Milano, secondo la quale ―la mera diversità
culturale, di origini, di etnia e di religione non poteva di per sé costituire elemento
significativo al fine di escludere l‘interesse del minore all‘acquisizione della doppia
genitorialità‖. Secondo la Corte, poi, ―un fanatismo religioso... in ipotesi avrebbe potuto
assumere rilievo dirimente soltanto allorché si fosse tradotto in una indebita
compressione dei diritti di libertà del minore o in un pericolo per la sua crescita, secondo
canoni riconosciuti da tutte le società civili, ma nella specie la stessa (madre) aveva...
percepito elementi di integralismo soltanto perché (il padre) si arrabbiava per come si
115
V. Cass., 28 dicembre 2006 n. 27592, in Riv. dir. int. pr. proc., 2007, p. 443 ss.. V. CAMPIGLIO, cit. supra nota
76, p. 69.
116
V. art. 35, comma 2, l. n. 218 del 1995.
49
vestiva o vestiva la bambina ed, inoltre, le faceva spesso vedere delle cassette sulla vita e
sulla religione musulmana‖. Il giudizio della Corte d‘Appello fu, infine, confermato dalla
Cassazione117, la quale ritenne contrario all‘art. 8, comma 1, e 19 Cost. negare il
riconoscimento di paternità su base meramente religiosa.
3.4.2 La Kafala e il divieto di adozione di minori islamici
Un‘ulteriore problematica in materia di filiazione è collegata al divieto islamico di
adozione di minori islamici, i quali, qualora si trovino in stato di necessità, potranno
soltanto venire affidati a due adulti di fede islamica mediante l‘istituto della kafala.
La kafala è un istituto previsto per la protezione dei minori espressamente riconosciuto
dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo118 ed è assimilato alle misure
―occidentali‖ di protezione dei minori dalla Convenzione dell‘Aja del 19 ottobre 1996 in
materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori 119. Si deve
tuttavia osservare che, in sede di Conferenza diplomatica, è stata inserita una norma120,
per cui, qualora venga assunta in uno Stato contraente una misura di ―recueil légal par
kafala‖, in un altro Stato contraente non è sufficiente che le Autorità centrali, o altre
autorità competenti, si consultino reciprocamente ma è necessario che si accordino
preventivamente, realizzando, così, un controllo di fatto sull‘immigrazione di minori
islamici in Europa.
Con riferimento al nostro ordinamento, il riconoscimento dell‘istituto della kafala si è
posto in relazione al ricongiungimento familiare in Italia e alla possibilità di procedere
all‘adozione, dando luogo a una prassi giurisprudenziale in parte contrastante.
Innanzitutto, la kafala non è stata ritenuta equiparabile ad un affidamento preadottivo. In
proposito si è, infatti, pronunciato nel 2002 il Tribunale per i minorenni di Trento, adito
da due coppie italiane, alle quali l‘autorità giudiziaria marocchina aveva affidato un
minore, che chiedevano una pronuncia di adozione dei piccoli marocchini. Il Tribunale
rigettò, dunque, la domanda di adozione ordinaria, ma ritenne ―non... preclusa ai
coniugi... la possibilità di chiedere, nel preminente interesse del minore, l‘adozione del
medesimo secondo le forme degli artt. 44 ss. della legge n. 184 del 1983‖ , ossia
l‘adozione prevista per i ―casi particolari‖ data l‘impossibilità di affidamento
117
V. Cass., sentenza 27 ottobre 1999 n. 12077, in in Dir. fam., 2000, p. 614 ss.
118
V. art. 20, comma 3, Conv. di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989.
119
V. art. 3, lett. e, Conv. Aja del 19 ottobre 1996. La decisione di far rientrare la kafala nell‘ambito di
applicazione della Convenzione dell‘Aja si deve al Marocco. La kafala disposta con atto notarile privato concluso
tra le parti e successivamente omologato davanti al tribunale, non rientra invece nell‘ambito applicativo della
Convenzione.
120
V. art. 33, Conv. Aja del 19 ottobre 1996.
50
preadottivo121, considerato che i minori erano ormai residenti in Italia, nonché alla luce
dell‘art. 20 della Convenzione sui diritti del fanciullo.
In altri casi, poi, la giurisprudenza ha manifestato un atteggiamento ancor più di sfavore,
come dimostrano alcune pronunce del tribunale per i minorenni di Torino.
Una prima controversia prese le mosse da un atto notarile di kafala, omologato dal
Tribunale di Rabat, stipulato in Marocco. Il console italiano aveva negato al minore
marocchino il visto d‘ingresso in Italia per contrasto tra i principi informatori del diritto
islamico, in particolare il divieto di adozione, e l‘ordinamento italiano. Il minore entrò
ugualmente in Italia, ma fu allontanato dalla coppia e dichiarato dal Tribunale per i
minorenni di Torino in stato di adottabilità. La coppia si oppose al decreto, ma la Corte
d‘Appello negò loro la legittimazione all‘opposizione, in base all‘art. 17 della legge n. 184
del 1983, che riserva tale legittimazione al Pubblico Ministero, ai genitori o parenti, e al
tutore. La Corte ritenne, infatti, che il kafil non potesse essere assimilato al tutore, perché
in base alla legge marocchina il kafil è un mero custode, affidatario del minore,
sottoposto per certi atti all‘autorizzazione di un wali, e precisamente del governatore
della prefettura o – in caso di espatrio del minore – del console del Marocco competente
per l‘area di residenza del minore. La conclusione cui giunse il Tribunale fu, però,
riformata in Appello: la Corte d‘Appello di Torino, infatti, non ritenne applicabile la
clausola dell‘ordine pubblico, secondo cui il provvedimento del Tribunale di Rabat non
poteva essere riconosciuto in quanto contrario ai principi fondamentali del nostro diritto
di famiglia. La sentenza, confermata dalla Cassazione122, condusse, tuttavia, ad un
risultato paradossale. Da un lato, la Corte dichiarò la non contrarietà all‘ordine pubblico
della kafala omologata dall‘autorità giudiziaria straniera e, dunque, la sua efficacia
automatica in Italia, con la conseguenza che il minore in Italia non dovrebbe essere
considerato in stato d‘abbandono, e quindi di adottabilità. Dall‘altro, concluse che i kafil
non sono legittimati ad opporsi al decreto che dichiari lo stato di adottabilità perché non
figurano nell‘elenco tassativo dei soggetti legittimati all‘opposizione.
Nonostante tali pronunce, il riconoscimento della kafala è stato successivamente messo in
dubbio, ancora una volta, dal Tribunale per i minorenni di Torino, dando luogo a una
nuova controversia davanti alla Corte d‘Appello di Torino123. Anche in questo caso il
ricorso verteva sulla concessione del visto d‘ingresso di un makful marocchino per
ricongiungimento familiare con i kafil marocchini, poi divenuti italiani. Questi ultimi
presentarono ricorso al Tribunale per i minorenni di Torino, che ritenne la kafala non
riconoscibile in Italia, in quanto non assimilabile ad alcun istituto noto al diritto italiano,
nonché contraria al principio costituzionale di uguaglianza, nonostante tale istituto sia
Trib. min. Trento, decreto 11 marzo 2002, in Riv. dir. int. pr. proc., 2002, p. 1056 ss. e in Nuova giur. civ.
comm., 2003, I, p. 149 ss., nota di LONG, Adozione ‗‗extraconvenzionale‘‘ di minori provenienti da Paesi islamici,
121
ove pubblicato anche il successivo decreto 10 settembre 2002.
122
Cass., 4 novembre 2005 n. 21395, in Riv. dir. int. pr. proc., 2006, p. 791 ss., e in Fam. dir., 2006, p. 243 ss.,
con nota di GELLI, Ancora sulla kafala di diritto islamico: opposizione del kafil alla dichiarazione dello stato di
adottabilità.
123
App. Torino, decreto 28 giugno 2007, in Dir. imm. e cittadinanza, 2007, n. 3, p. 142 ss.
51
riconosciuto nella
Convenzione sui
diritti
del fanciullo
di cui l‘Italia
è
parte.
Contrariamente al Tribunale, la Corte d‘Appello fece riferimento proprio alla citata
Convenzione e al principio dell‘interesse superiore del fanciullo, considerato prioritario in
sede
di
ricongiungimento
familiare
dall‘art.
28,
comma
3,
del
testo
unico
sull‘immigrazione. La Corte giunse così ad affermare la conformità all‘ordine pubblico,
interno e internazionale, della kafala, e la sua efficacia automatica in Italia in base all‘art.
66 della legge n. 218 del 1995. La Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata
sull‘istituto della kafala quale presupposto per il ricongiungimento familiare, precisando
che tale orientamento124 non è applicabile nelle ipotesi in cui i kafil siano cittadini italiani,
preferendo seguire un‘interpretazione più letterale del dato normativo, che sembra
lasciare poco spazio alla tutela del superiore interesse del minore 125.
124
Cass., sentenza del 28 gennaio 2010, n. 1908, in Red. giust. civ. mass. 2010; Cass., sentenza 17 luglio 2008,
n. 19734, in Dir. Giust. 2008; Cass., sentenza 20 marzo 2008, n. 7472, in Dir. Fam. 2008. V. anche Corte
Appello Torino, sentenza 18 luglio 2007, in Dir. Fam. 2008; Trib. Biella, sentenza 26 aprile 2007, in Dir. Fam.
2007.
125
Cass., sentenza del 1 marzo 2010, n. 4868, in Dir. Giust. 2010. V. contra Tribunale di Tivoli, sentenza del 22
giugno 2010, in Redazione Giuffrè 2010.
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