Il Decreto Christus Dominus - Pontificia Università della Santa Croce

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TESTO PROVVISORIO
Pontificia Università della Santa Croce - Concilio Vaticano II - Roma, 3-4 maggio 2012
IL VALORE PERMANENTE DI UNA RIFORMA PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
Il Decreto Christus Dominus
PROF. DON GERALDO LUIZ BORGES HACKMANN
FACOLTÀ DI TEOLOGIA
PONTIFICIA UNIVERSITÀ CATTOLICA DO RIO GRANDE DO SUL, BRASILE
La presente comunicazione intende ricostruire brevemente la storia del Decreto Christus Dominus del
Concilio Ecumenico Vaticano II, proponendo tra l’altro un commento conciso dello schema del
Decreto e analizzando alcuni aspetti teologici del testo, per concludere infine con la citazione di alcuni
documenti che ne testimoniano la recezione.
1. La storia del Decreto Christus Dominus
a) La genesi del Decreto
Il 5 giugno 1960, con il Motu Proprio Superno Dei Nutu, Papa Giovanni XXIII apre la fase
preparatoria del Concilio Vaticano II. In questo periodo, la Commissio de episcopis et de dioecesium
regimine, composta dai Vescovi e dai rappresentanti delle Diocesi, e presieduta inizialmente dal
Cardinale Mimmi e, dopo la sua morte, dal Cardinale Marella, fu incaricata di redigere sette progetti
di decreti. Furono così presentate le bozze di sette documenti: De rationibus inter episcopos et S.
Curiae romanae Congregationes, De diocesium partitione, De episcoporum coadiutoribus et
auxiliaribus deque episcoporum cessatione a munere pastorali, De episcoporum coetu seu
conferentia, De rationibus inter episcopus et parochos, De rationibus inter episcopos et religiosos
praesertim quoad apostolatus opera exercenda, e Praecipuae de animarum cura quaestiones.
Il Cardinale Marella fu incaricato di coordinare la Commissione De episcopis ac de Diocesium
regimine, cui fu affidato il compito di preparare gli schemi sulle questioni concernenti la
partecipazione delle Diocesi, le Conferenze Episcopali, le relazioni tra i Vescovi e le Congregazioni
romane, e il ruolo dei Vescovi coadiutori e dei Vescovi ausiliari. Quest’ultimo schema, il più
importante, era diviso in due parti: De animarum cura in genere, sui problemi della Pastorale in
generale, e De animarum cura in particulari, dedicata alla Pastorale di determinate categorie di
fedeli, come gli emigrati, i marinai, gli aviatori, i nomadi e i turisti, e i cristiani esposti all’influenza
marxista. La bozza del decreto De cura animarum fu divisa in 5 capitoli. La bozza del De episcopis ac
de dioecesium regimine fu discussa in tre sessioni, nel novembre del 1963.
Poiché la Commissione centrale chiese di ridurre lo schema tenendo conto degli altri schemi
dedicati a temi simili, redatti da altre commissioni preparatorie, la Sottocommissione centrale per le
materie miste, coadiuvata da segretari ed esperti di altre Commissioni, presentò un nuovo schema
intitolato De cura animarum, che fu pubblicato, nel 1962, nella terza serie degli Schemi delle
costituzioni e decreti.
Dopo una serie di discussioni, tenutesi tra la prima e le ultime sessioni conciliari, il progetto fu
votato dall’assemblea nella sessione pubblica del 28 ottobre 1965, e fu approvato con 2319 voti a
favore, 2 voti contrari e 1 voto nullo. Il Decreto, frutto della riflessione e dei dibattiti dei Padri durante
i lavori conciliari, fu quindi ratificato e promulgato da Paolo VI.
b) Il Decreto
Essendo un decreto, il documento conciliare Christus Dominus sul munus pastorale dei
Vescovi nella Chiesa, pur contenendo i fondamenti dottrinali sull’episcopato e sulla missione dei
Vescovi, intende innanzitutto evidenziare le ripercussioni di tale dottrina sulla missione pastorale che i
Vescovi svolgono nella Chiesa universale e nelle Chiese particolari, e indicare ciò che è loro affidato e
ciò che essi devono realizzare nella Chiesa di Gesù Cristo. Il Decreto evidenzia ciò che compete ai
Vescovi richiamandosi alla dottrina sull’episcopato già sviluppata dalla Costituzione dogmatica
Lumen gentium, e offre le linee guida per lo svolgimento della loro missione. Per questo è un decreto
e non una costituzione.
Il titolo indica, in modo molto generale, l’obiettivo del Decreto. Il titolo iniziale – De episcopis
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ac de diocesium regimine – non rispecchiava più il contenuto del documento così come i Padri
conciliari lo avevano inteso, perché evidenziava esclusivamente i compiti dei Vescovi nel governo
delle diocesi loro affidate: dal momento che il Decreto era stato modificato, il vecchio titolo non era
più giustificato, mentre il nuovo titolo ne rispecchiava il contenuto: la descrizione della missione dei
Vescovi considerata nei suoi diversi aspetti e secondo le diverse attività svolte nella Chiesa. Il titolo
attuale, più generale, corrispondeva meglio alle attese dei Padri conciliari e annunciava
un’esposizione completa sul munus pastorale che i Vescovi devono svolgere nella Chiesa di Cristo.
Il Decreto è diviso in tre capitoli, introdotti da un breve proemio. Esso riconduce i fondamenti
del munus pastorale dei Vescovi, in quanto successori degli Apostoli, alla missione ricevuta da Gesù
Cristo, e si propone di «determinare i doveri pastorali dei vescovi in maniera più particolareggiata» (n.
3).
Il numero 3 del Decreto giustifica la divisione del documento in tre capitoli. Ognuno di essi
corrisponde a un diverso aspetto della missione dei Vescovi nella Chiesa di Cristo: La posizione dei
vescovi riguardo alla Chiesa universale (capitolo primo), I Vescovi e le Chiese Particolari o Diocesi
(capitolo secondo) e la Cooperazione dei Vescovi al bene comune di più Diocesi (capitolo terzo) di
una stessa Provincia ecclesiastica, di una stessa regione o di una stessa nazione. Questa dottrina era
stata già elaborata dalla Lumen Gentium: «La consacrazione episcopale conferisce pure, con l’ufficio
di santificare, gli uffici di insegnare e governare; questi però, per loro natura, non possono essere
esercitati se non nella comunione gerarchica col capo e con le membra del collegio» (Lumen Gentium,
21). Così, i Vescovi sono «maestri della fede, pontefici e pastori» (Christus Dominus, 2) in virtù della
missione inerente all’episcopato.
C’è, qui, un elemento nuovo: la sequenza dei capitoli mostra come, in conformità con la
dottrina esposta dalla Lumen Gentium, il munus pastorale dei Vescovi sia legato alla missione che
essi devono compiere nella Chiesa Universale in virtù della consacrazione episcopale, e non in quanto
pastori di una Chiesa particolare. In altre parole, il munus pastorale della Chiesa universale “precede”
quello della Chiesa particolare, e non il contrario. Il Decreto Christus Dominus accoglie così la
dottrina esposta nel terzo capitolo della Lumen Gentium.
2. Aspetti rilevanti del Decreto
a) Una visione organica dell’episcopato
Nell’affermare la sacralità dell’episcopato e i tre munus del Vescovo – ministero di
evangelizzare, di santificare e di guidare il Popolo di Dio (n. 12-16) – il Decreto adotta una teologia
organica e pastorale dell’episcopato, respingendo una concezione “isolata” del Vescovo, frutto anche
di una percezione teologica della Chiesa particolare.
Riguardo all’esercizio del potere del Collegio dei Vescovi, discusso nel n. 4 del Decreto, si
afferma che i Vescovi iniziano la loro partecipazione al Collegio a seguito dell’ordinazione episcopale
(cf. Lumen Gentium, 21 e 22), a condizione però, che siano in «comunione gerarchica col capo e con
le membra del collegio» stesso (LG, 21). Superando una visione che separa il potere d’Ordine dal
potere di giurisdizione, il Decreto afferma quindi che non soltanto i Vescovi residenziali, ma tutti i
Vescovi devono essere chiamati a partecipare al Concilio ecumenico: quest’ultimo è il luogo in cui il
Collegio dei Vescovi, costituito da tutti i Vescovi del mondo, esercita il suo potere collegiale con a
capo il successore di Pietro, il Papa (cf. Nota Esplicativa Previa, n. 1).
Come ricorda il n. 6 del Decreto, i Vescovi hanno la responsabilità della Chiesa universale: «I
vescovi, come legittimi successori degli apostoli e membri del collegio episcopale, sappiano essere
sempre tra loro uniti e dimostrarsi solleciti di tutte le Chiese». Condividendo la sollecitudine per tutta
la Chiesa e per tutte le Chiese particolari che la compongono, i Vescovi devono aver cura anche di
tutti quei luoghi del mondo che non conoscono ancora la Parola di Dio, nonché delle Chiese che si
trovano in difficoltà, che soffrono o che mancano di sacerdoti e di laici che collaborino fattivamente;
devono inoltre essere solleciti nei confronti dei Vescovi perseguitati (n. 7).
b) Il potere esecutivo conferito ai Vescovi
Il n. 8 del Decreto enuncia un principio generale della massima importanza per definire il
rapporto tra i Vescovi e la Sede Apostolica: «Ai vescovi, quali successori degli apostoli, nelle diocesi
loro affidate spetta di per sé la potestà ordinaria, propria e immediata, che è necessaria per l'esercizio
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del loro ministero pastorale, ferma sempre restando in ogni campo la potestà del romano Pontefice di
riservare alcune cause a se stesso o ad altra autorità».
Ciò significa che i Vescovi dispongono di tutti i poteri necessari per il governo delle loro
Diocesi: hanno il potere legislativo, e hanno il potere di emanare ordinanze di carattere generale per il
bene comune delle loro diocesi, a condizione, però, che non siano in contrasto né con il diritto comune
della Chiesa, né con i diritti particolari. Essi possono emanare leggi praeter ius commune e praeter ius
provinciale et regionale su tutte le materie ecclesiastiche, purché non siano di stretta competenza
dell’autorità suprema della Chiesa, il Papa, del Collegio episcopale o di qualche altra autorità.
Hanno inoltre il potere esecutivo, possono, cioè, porre atti di carattere particolare o individuale
necessari per l’amministrazione delle loro Diocesi, ad eccezione di quelli che competono all’autorità
suprema o a qualche altra autorità ecclesiastica superiore.
I Vescovi, infine, hanno il potere giudiziario nelle rispettive Diocesi, sono giudici di prima
istanza, nel foro esterno, in tutte le cause ecclesiastiche, tanto private quanto pubbliche, a condizione
che non siano espressamente riservate dal Diritto, in conformità con quanto previsto dal canone 1419
del vigente Codice di Diritto Canonico.
I poteri legislativo, esecutivo e giudiziario dei Vescovi sono definiti dal canone 391 del Codice
di Diritto Canonico, e devono essere esercitati «a norma del diritto». Il canone 392 stabilisce che i
Vescovi devono «difendere l'unità della Chiesa universale […] promuovere la disciplina comune a
tutta la Chiesa e […] urgere l'osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche».
La novità consiste nel fatto che è conferito ai Vescovi anche il potere esecutivo in conformità
con quanto il n. 8 del Decreto afferma chiaramente, contrapponendosi alla precedente normativa
generale della Chiesa esposta nel Codice del 1929.
c) La collegialità episcopale
La disposizione dei tre capitoli del Decreto rivela una “scoperta” fondamentale del Concilio
Vaticano II: la collegialità episcopale, già affermata dalla Lumen Gentium. Così il Vescovo, membro
del Collegio episcopale, partecipa della sollecitudine per la Chiesa universale (capitolo primo), è il
Pastore di una Chiesa particolare (capitolo secondo) e coopera con gli altri Vescovi al bene delle varie
Chiese, soprattutto attraverso la Conferenza episcopale e altri collaboratori che lo affiancano nello
svolgimento del suo ufficio episcopale (capitolo terzo). La norma stabilita dal canone 4 del Concilio
di Nicea (325), che prevedeva la presenza di almeno tre Vescovi per l’ordinazione di un nuovo
Vescovo, mostra come fosse intesa, sin dai primi secoli, la collegialità effettiva nella tradizione della
Chiesa.
È così eliminata la dicotomia tra diritto e pastorale, ancora presente nello schema di lavoro. Se
il De episcopis ac diocesium regimine era di natura “canonica” e il De cura animarum era di carattere
pastorale, la fusione dei due schemi dimostra, da un lato, la necessità di inserire il Diritto della Chiesa
in una visione d’insieme della Chiesa stessa e, dall’altro, la scoperta della Chiesa particolare.
Il Motu Proprio Apostolos Suos, di Papa Giovanni Paolo II, afferma che le Conferenze
episcopali «costituiscono una forma concreta di applicazione dello spirito collegiale» (cf. Apostolos
Suos, 14). Essendo costituite soltanto da una parte del Collegio episcopale, esse realizzano
parzialmente la collegialità: realizzano essenzialmente la collegialità affettiva, l’affectus collegialis
(cf. Apóstolos Suos, 12), in quanto riuniscono i Vescovi di una determinata zona geografica che
condividono la medesima cura pastorale dei fedeli.
d) La Chiesa Particolare
Il titolo del secondo capitolo I vescovi e le Chiese particolari o Diocesi evidenzia una nuova
percezione teologica. Il capitolo propone una teologia della Chiesa particolare che sarà fondamentale
per la comprensione dell’intera sezione.
In realtà, il n. 11 del Decreto non sembra descrivere la Chiesa particolare in termini innovativi.
Tuttavia, la parola portio offre un elemento nuovo per la comprensione della Diocesi, perché pone
l’accento sul mistero della Chiesa che si fa presente nella Chiesa particolare. La Chiesa universale non
è la somma delle Chiese particolari, ma manifesta pienamente la Chiesa di Cristo in un luogo
determinato. La Chiesa particolare è quindi portio, non pars.
Questa concezione è vicina alla scrittura, e pone l’accento sulla presenza del Vangelo e dello
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Spirito Santo nella Chiesa, mostra l’Eucaristia come pienezza del dono di Dio e segno di comunione
(cf. Sacrosanctum Concilium, 10), e mette in luce il compito apostolico del Vescovo come testimone e
garante della pienezza della sua Chiesa particolare.
e) Il Sinodo dei Vescovi
Il n. 5 del Decreto conferma la creazione del Consiglio o Sinodo dei Vescovi e ne illustra il
significato, in conformità con quanto affermato dal Motu Proprio Apostolica sollicitudo, emanato da
Paolo VI il 15 settembre 1965. Il Sinodo non agisce in nome del Collegio episcopale con atti di
carattere collegiale, né in nome di un organo del Collegio, ma è un aiuto efficace al Supremo Pastore
della Chiesa e manifesta la sollecitudine dei Vescovi in tutto il mondo per la Chiesa universale, in
comunione gerarchica con essa.
Questo paragrafo presenta quattro caratteristiche importanti: il Sinodo dei Vescovi è un
organismo ecclesiastico centrale, rappresentativo di tutto l’episcopato cattolico; è permanente e
possiede una struttura tale che la funzione dei Vescovi eletti è svolta in forma temporanea e
occasionale.
Già durante i dibattiti sul Decreto, i Vescovi chiesero che fosse instaurata una forma di
collaborazione con il Papa nel governo della Chiesa universale. Rispondendo alle istanze dei
partecipanti del Concilio, Paolo VI, nell’allocuzione alla Curia Romana del 21 settembre 1963,
manifestò l’intenzione di creare il Sinodo. Pochi giorni dopo, il 29 settembre, confermò il suo
proposito nell’allocuzione ai Padri conciliari. I Vescovi votarono la costituzione del Sinodo il 4
novembre 1964, con 1912 voti a favore e 81 contrari. Il Santo Padre concretizzò quindi il progetto di
creare un Sinodo.
3. Il ministero dei Vescovi dopo il Vaticano II
Numerosi sono i documenti sull’episcopato emanati dalla Santa Sede dopo la fine del
Vaticano II. Mi limiterò, in questa sede, a citarne alcuni che mi sembrano particolarmente
significativi, come, ad esempio, il Motu Proprio De episcoporum muneribus, del 15 giugno 1966, che
tratta del rapporto tra il diritto universale e l’esercizio della funzione episcopale, e il Motu Proprio
Ecclesiae Sanctae, del 6 agosto 1966, che applica i Decreti Christus Dominus, Presbyterorum
Ordinis, Perfectae Caritatis e Ad Gentes, sulla missione pastorale del Vescovo diocesano.
Altri documenti degni di nota sono la lettera Communionis notio, della Congregazione per la
Dottrina della Fede (28 maggio 1992), che riguarda la Chiesa come comunione, e tratta della
comprensione e della pratica della nozione di comunione nella Chiesa; il Motu Proprio Apostolos
Suos di Giovanni Paolo II (21 maggio 1998), che analizza lo statuto teologico delle Conferenze
episcopali e la loro autorità dottrinale, e, infine, l’Esortazione Apostolica Pastores gregis, del 16
ottobre 2003, frutto della 10ª Riunione ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che riguarda il Vescovo
inteso come servo del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo, riprende la dottrina
conciliare sull’episcopato, e tratta della vita spirituale del Vescovo e del suo ministero in relazione
con la Chiesa particolare e con la Chiesa universale e di fronte alle sfide del mondo contemporaneo.
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