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CONTRIBUTI
FUTURISTICA SINFONIA
CARMEN DE STASIO
Brindisi
L
e piante mostrano nella luce pallida di un mattino d’inverno il loro
fulgore. Il verde smeraldo delle foglie svetta alto sulle ortiche e sul
fogliame selvaggio che minaccia di confondere la beltà di creature
crescenti con dedizione ed amore.
Non si può contrastare la natura ed il suo percorso. Occorre comprenderlo,
avvicinarsi ai processi che dirigono la crescita. Motivarne il contrasto e la
contaminazione. Perché estirpare steli selvaggi dal groviglio innamorato con
piante a noi dilette? Forse che questo induca a riflettere su una forza che
unisce elementi della medesima natura, sebbene taluni a noi reietti? Vivono il
medesimo spazio e il medesimo tempo. Sono natura, sono piante e nella
selvatichezza della visione forse oso cogliere un senso di armonia. Ne annuso
l’intricata bellezza e ne scopro la necessità di vita. Il mio occhio vorrebbe
godere di una bellezza imposta, strappata. Le piante no, tentano di ricostruire
con tenacia la bellezza totale, formulata secondo regole proprie.
Mi scopro a dilettarmi con quello che in un momento si rivela come ordine
delle cose.
Sarà questa idea focalizzante sulle circostanze del tempo la guida che mi
spinge ad apprezzare il futurismo? Leggo il tempo di quel tempo trascorso
per comprenderlo e dar spiegazione dello sviluppo attuale. Mi giovo della
carta vincente per me di chiarificare punti di partenza e di avvio per qualcosa
che andava evolvendo inesorabilmente. In quegli anni del primissimo
Novecento, di fragoroso distacco dal modus di guardare alle cose, ci si
poneva la richiesta di trasformazione, perché trasformazione era in atto e non
solo a partire da un momento specifico. Non una data sul calendario, ma una
compagine di vicende che partivano da una lettura immersa, intricata,
interpretativa dei messaggi che dall’esterno derivavano. La fede in una
scienza che mirava con consapevolezza aderiva alla richiesta di conoscere
oltre e inneggiare e spiegare i mutamenti in atto.
Il furore di pochi era la visione di un tempo e di uno spazio dilatati, che
incuneavano nell’uomo l’interesse e dall’uomo intendevano salpare per
toccare porti nuovi, trasferendo in luoghi diversi dal sé la composizione
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FUTURISTICA SINFONIA
mentale, affinché il momento e il tratto spaziale traessero giovamento e
respiro rinnovato.
Quello che si approcciava era un viaggio alla ricerca di scoperte visibili,
patrimonio per quanti avessero l’energica fondante capacità di visionare oltre
e dentro le cose, estirpandone motivi che applaudissero ad una distaccata e
confortevole, arcaica e tranquilla percezione del fluire degli eventi, affinché
si consolidasse il valore degli avvenimenti in atto. Costoro, gli eletti del
Futurismo, “leggevano” la natura e la natura si prospettava nelle sue
rappresentazioni contemporanee, che avevano forma di automobile - e
quanto sarebbe durato il fenomeno? essi si chiedevano da più parti, giacché
all’alba del nuovo secolo era un mezzo velocissimo, “crudele, violento e
veloce” quello cui si ambiva. Un tremore provocava, ma era la nuova
dimensione. E nella velocità trasmigrava anche il senso di un dinamismo
proiettato a saggiare nuove realtà.
Era la percezione a rimandare immagini diverse, pur restando nel medesimo
mondo.
I futuristi non ambivano a sorseggiare sogni di realtà distanti: essi tentavano
di realizzare un sogno di identità; teorizzarono possibilmente una
comunicazione globale (vedi Mac Luhan) che congiungesse luoghi, civiltà
diverse e consuetudini che potessero contiguamente apporre mescolanze e
contaminazioni per proiettarsi nel volo ascensionale verso la nuova
dimensione spazio-temporale.
Si lasciarono cogliere dal grido inneggiante alla modernità. Nulla di nuovo:
in quegli anni del primissimo Novecento la modernità era una realtà che si
strutturava secondo criteri apertamente culturali, che si rappresentavano
altresì con il “quarto potere”, la stampa, veicolo di informazione=conoscenza,
l’anti prosodico cinematografo, emblema di immediatezza senso-emozionale,
per la fascinazione di scene veloci, che prevedevano la facilitante capacità di
osservare, anziché “pensare” e smuovere emozioni generalmente nascoste tra
le luci di un teatro, in cui l’appiattimento nel bon ton non permetteva la
liberazione di sensazioni personali. Nella “libera oscurità” del cinematografo
l’individuo diveniva ombra e si scopriva senza vergognarsi, senza
schematizzazioni canoniche alla “civica convivenza” che troppo spesso in
quei tempi stava conducendo verso quella che era definita l’ostinatezza
“cattiva”, improbabile ma efficace conversione del male privato e profondo
nella realtà e che nulla condivideva con la costanza di intenti, sinonimo forte
e pressante di menti proiettate verso nuovi enunciati, verso nuove digressioni,
verso un nuovo stile e un nuovo modo di guardare-respirare-vivere-sentire
l’esistenza.
Insomma, i Futuristi ambivano a sintetizzare nell’esistenza la vita, a darne
spasmo, a vivificarne l’anelito e l’essenza.
Il movimento futurista può essere inteso come un New Learning, un modo
di comprendere sintetico, assimilabile nella forza dell’azione da cui evolvere
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CARMEN DE STASIO
ed interpretare anche la parola. Una serie di onomatopeia necessari per
infondere l’essenza di un’azione nel gesto di parola.
La fantasia al potere - schema non nuovo, ma riconducibile ai romantici,
che tentavano di cogliere l’essenza delle cose vivendole da vicino - aveva
infuso una nuova atmosfera nel modo di considerare se stessi e se stessi con
altri e con la realtà circostante, a fronte dell’importante e fondamentale
considerazione che l’uomo stesso fosse il fautore di quella realtà e di quello
stato di cose! Dunque il New Learning era nella possibilità di mutare le cose
e soprattutto lo stile di considerare se stessi tra le cose: l’ambizione non è
energia statica, ma proiettiva e determinante.
Un nuovo tempo per una raffinata determinazione, avulsa dallo spettro
dell’aporia dominante di fronte all’evidenza del nuovo che ormai era parte
integrante del vissuto contemporaneo. Questo era l’atteggiamento dei
futuristi, che disdegnavano l’assoluto accademismo che tendeva
inesorabilmente verso le braccia di Atropo, in una sorta di centellinato e
impercettibile avvelenamento nel mare della statica cultura che guardava alle
spalle (dove?) per sconfiggere la configurazione di tempi e circostanze che si
proiettavano in avanti con spasmo deciso e, talora, invisibile. Denigravano
l’atrofia cerebrale in grado di costruire un’atmosfera di malinconia
assimilabile ad un appiattimento della capacità del sogno e di tradurre in
formula ed azione il significato intrinseco e circostanziale dell’individuo.
Seppero dare una forma a percezioni annullando lo spasmo dell’alterazione di
occhio e orecchio. Non denigrarono la storia: traslarono nel loro tempo
attuale meditazioni trascorse secondo uno stile contemporaneo che ambiva a
percepire e concretizzare nell’azione la vivacità intellettuale.
L’ambizione che muoveva i futuristi era determinata dal ricordo vivo e
sempre attuale dei loro gesti, dei loro movimenti proiettivi in un’estrema
sintesi di azione motivata, esplicativa di parola.
Sui dizionari parola è intesa come insieme di suoni o un unico suono o
sintetico di altri suoni articolati cui corrisponde un significato. I futuristi
controvertirono tale definizione, sebbene ancor oggi presente ed accolta,
facendo confluire nel segno riconoscibile un insieme celato di azioni, di
pensamenti e riflessioni, di storia, contesti e storie individuali, tale da
contrassegnare la parola stessa come nota, suono simbolico per un’azione.
Tutte le realtà adducibili, se considerate nella loro unicità, posseggono un
valore specifico, ma vanno altresì a perdersi se unificate in un unico sistema,
giacché il valore di ciascun elemento tende a confondersi in favore di altro e
divenendo altro. Insomma, si corre il rischio di creare una massa in
appiattimento. Al contrario, i futuristi diedero valore unico all’insieme delle
cose, considerando che, trasponendole in una medesima realtà, non si potesse
fuorviare l’attenzione dal contesto di riferimento ed in cui esse prendevano
vita. Da qui la parola libera, evidenziazione di un caleidoscopio di emozioni e
realtà meta-temporali. Da qui anche la valorizzazione del tempo di attuazione
nel tempo e nello spazio in cui essi si realizzavano, ovvero il tempo della
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città contemporanea, ambiente scelto e diletto per il nuovo senso di civiltà o
civilizzazione.
Proiettato nella novità fagocitante, l’uomo aveva a disposizione una serie di
strategie per conferire valore effettivo a quella realtà in cui era collocato e
che egli stesso aveva costruito!
Distanti dalla reticenza e dalla sperimentazione di un presunto ritorno per i
timori che la scienza-conoscenza stesse apportando e a cui non tutti ponevano
il gratificante plauso (vale sempre l’idea che a guardare oltre si rischia di
vedere e sentire oltre) i futuristi misero in essere la forza svettante di evitare
la desolante visione del rischio di non vedere o sentire mai più. Si fecero
portavoce di una contro-tendenza che usciva per le strade, si modificava e
annusava nell’aria il tormento eccitante della modernità, che si realizzava in
svariate e talora bizzarre forme. Esemplificarono la visione nell’arte abile di
produrre ciò che era parte del gioco esistenziale. Tradussero in suoni-parola i
segnali e si fecero ribelli intellettuali di una nuova tendenza.
Era questo il senso? O era solo parodia? Un plauso si elevò da parte di chi
riuscì a concepire nella novità stilistica l’emblema del tormento-in-crescita,
tormento-crescita. Era progresso. La sintesi era atto quotidiano. La ricerca di
accelerare la corsa verso le proprie mete era parte dell’esistenza. Il senso di
piacere e di emozione facevano capolino, pur mai dimenticando che la
produzione per ricevere il meglio per sé avesse significato solo nella
realizzazione riscontrabile del proprio tempo e nel proprio contesto, giammai
in una realtà altra, in un sogno sospeso.
Nulla di nuovo, se già Shakespeare aveva a suo tempo scosso in un fremito
le coscienze introducendo nella sua arte l’abilità di mostrare senza
funamboliche metafore i segni della realtà, sporgendosi dal palcoscenico per
annusare i cambiamenti e le multifacciali personalità. Parlava una parolapensiero. Tradusse in bellezza individuale e intellettuale il segno femminile,
non in ragione di una bellezza altera e silenziosa, ma roboante, efficace,
personalissima, promettente di una nuova concezione del sé.
I tempi hanno loro linguaggi. Sta a noi interpretarli.
Attività di cesello, scienziati della cultura, scultori della poesia come
elemento creativo in senso stretto, non abominevole imitazione pedissequa;
rigenerazione per sottolineare la vitalità dell’elemento.
Il pensiero diveniva campo d’azione e le percezioni erano l’immagine
identificativa di un modo di considerare le cose: un po’ assimilabili al Piccolo
Principe che vede oltre le pareti e nella scatola scopre l’esistenza di una
pecora, ma si sente redarguito perché, secondo la visione accolta da un modo
di guardare consueto, in una scatola la pecora non può stare. Ma nella scatola
della fantasia certamente sì. I futuristi inserirono nella “loro scatola” non
magia, ma la natura di cose che trassero all’esterno, dando loro la forma
essenziale.
Entusiasmo! Questa la realtà futurista. E l’entusiasmo dato da un treno in
corsa verso le stelle non poteva che coniugarsi con un’impetuosa sinfonia.
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CARMEN DE STASIO
Una Futuristica Sinfonia.
In musica i Futuristi traslarono le percezioni esterne in un percorso fin
verso le viscere delle cose per comprenderle, saggiarne l’efficacia, e tradurle,
infine, in pensieri individuali.
Soggettivismo contro accademismo.
Personalità contro piatta oggettivazione.
Mi immergo nella lettura di riviste di cento e più anni fa e scopro di vivere
quelle realtà come fossero a me contemporanee. Sconvolgo il mio tempo per
ritrovarmi catapultata ad annusare quegli spazi. Quelle atmosfere. Mi scopro
a sfogliare pagine impregnate di novità, di slogan inneggianti a nuovi sistemi,
nuove strategie per vivere meglio, scalpitanti ad offrire una compagine di
vitali essenze per distruggere - se possibile - il timore di un futuro senza
prospettive. Un tempo di movimenti. Un tempo in movimento.
Avverto la ricerca di ottimizzazione delle competenze, il grido di battaglia
intellettuale sul fronte dell’antiarcaismo. Sento diffondersi il rumore di una
vitalità che è progresso, che è dinamismo, che è azione, pensiero-azione,
azione di parola. Inventiva, fantasia tradotta in fasi crescenti di
immaginazione, creatività e poi creazione stessa.
Il progresso era la musica del momento. I futuristi non fecero che suonare
distintive note su un grande spartito, su cui si confrontavano equamente la
struttura di una megalopoli - musa di un tempo in continuo e pulsante
divenire, cuore dell’azione, mente creativa e proiettiva - e la possibilità di
costruire il proprio angolo, il proprio castello.
Alitava alto nell’aria il senso di una modernità pressante.
Era la musica del tempo. Lo spartito era la strada. La folla era luogo e
colore.
Nuovo tempo. Nuovo spazio-contesto.
Il nemico era la malinconia, l’accidia come condizione di apatia e tristitia,
senso di una desolazione che potesse coprire per sempre le velleità in un
sonno letargico e disumanizzante. Essi operarono una sorta di transumanza
dal colle parnassiano verso il cuore della civiltà e in essa cercarono di
realizzare la codificazione dei loro eclettici linguaggi.
Questo il motivo per cui con forza affermo che il futurismo non sia mai
finito, ma sia in continua silenziosa evoluzione: diario di un viaggio che
subisce le interpretazioni dei tempi con i loro linguaggi e che da quel tempo
in avanti ha preso diverse costruzioni che non si chiamano più futurismo, ma
da esso partono.
Ed infatti mi piace collegare l’idea attuale e in divenire di Futurismo con un
fenomeno culturale di estrema energia sintetica, la Singlossia, una realtà
alchemica che rivela - tra le righe da interpretare - la compenetrazione di
linguaggi diversi, talora rigettanti nella reciprocità e che nella composizione
riescono a motivare la flessibile individuazione della grandezza data dalla
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FUTURISTICA SINFONIA
corposità di unione. Un collage di pensamenti, di parametri che
interloquiscono ed interagiscono senza scavalcamenti e che trovano riscontro
esattamente nella dimensione sinergica, simultanea, come scena progressive
perenne, sulla quale l’eterno Orlando (personaggio e titolo dell’omonimo
lavoro di Virginia Woolf) continua la sua infinita ricerca di conoscenza.
Dunque di vita.
Nell’oggi di sempre si può affermare che esistono frange rischiose di
annichilimento da grigiume disturbante l’ambizione-sogno dell’uomo a
potenziare se stesso, con un sommo problema: per potenziare occorre
possedere. Per possedere occorre essere, altrimenti ciò che si ha non vale
nulla. Insomma, non era la consapevolezza della possibilità dell’uomo colto
di leggere in se stesso che ipotizzavano il futurismo ed i futuristi?
Il viaggio vorticoso é forse ciò che in economia qualche anno fa era definita
politica del just in time – JIT. Il JIT attuale potrebbe essere manifestazione
del futurismo di cento anni fa. Perché è JIT tutto intorno. Occorre adeguare il
passo per evitare l’obsolescenza. Ciò che è negativizzato è il movimento
disordinato e bustrofedico che non porta da nessuna parte. Invece, ciò che è
forza svettante – uso sovente questo termine – è un’organizzazione burkiana
anti-rivoluzione-fine-a-se-stessa-estemporanea. In altri termini, diversa è la
rotazione ondulante, che apporta variazioni un attimo dopo l’altro e mai
simile a se stesso, pur in apparenza tale. Si tratta di una rivoluzione in senso
astronomico, intorno al sole, indicando per tale la concreta distintiva capacità
di assurgere in maniera razionale-emozionale al raggiungimento di una
sintesi finale comprensiva. In questo senso l’inglese potrebbe essere
configurarsi come lingua sintetica futurista per eccellenza: la lingua inglese è
lingua di musicalità, in cui le immagini e le note si incontrano su un piano
spaziale che tende a ridurre le incongruenze con il tempo, si codifica in esso e
da qui emerge il momento elevato dell’essere. Una nota ed un colore,
traduzione in suoni del significato identificativo di un’azione-elemento e
dell’elemento funzionale all’azione. Concetto nell’azione, ovvero concettosintesi-movimento.
La lingua inglese si serve di linguaggi esortativi di nuove costruzioni di
immagini che condensano in un unicum la prospettiva di una parola che,
dunque, si fa segno. Ed è un vocalizzo di suoni forti, energici e/o suadenti in
relazione all’intenzione del parlante, motivo per il quale sovente la
traduzione non rende l’effettivo significato profondo. Non è possibile
tradurre il pensiero o la velleità di un’intonazione musicale. La linearità in
questo senso non permette intromissioni; la vorticosità non concede pertugi.
E pertugi non ci sono stati nella costruzione dell’impalcatura culturale da
quel lontano 1909 ad oggi.
Avevo anzitempo parlato di “gestione” del tempo e dello spazio-ambientecontesto. In questa misura posso anche controvertire l’ordine delle cose
affermando che l’operazione culturale effettuata dai futuristi fu muta, e
questo per sottolineare che il carattere dominante era l’assorta meditazione
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CARMEN DE STASIO
sulle immagini che velocissime scorrevano di fronte agli occhi e alle menti di
chi si soffermava a tentare di ca(r)pirne i linguaggi.
Ancora una volta si tratta di interpretare i linguaggi dei tempi.
Il mutismo si pone dunque non come rassegnato isolamento, ma come
deflagrante composizione globale di elementi che sostengono con strategie
diverse l’assordante energia del silenzio. Intermezzi poetici ed inneggianti
alla riflessione. Per questo li definisco muti, ma non isolati o isolanti: muti
perché parlano la voce dell’azione, della roboante rumorosità della
riflessione. Della fugacità e non dell’assopimento della mente.
In ambito musicale le emozioni ebbero immediata traduzione nel suono:
posero in essere la visione microscopica sulle-intorno-nelle cose, dando
spinta eclettica al soggetto musicale e al contempo allo spazio su cui agivano.
Davano forma al rumore. E dunque al movimento. Nella proiezione musicale
la mescolanza-contaminazione di immagini complesse di odori e rumori,
azione e azioni, gesti e pensieri era l’applicazione di un montaggio tecnico
cinematografico che esaltava una composizione orchestrata secondo toni
corali in cui coesisteva il fluire della narrazione in pillole sintetiche da
interpretare, insieme al mosaico di inquadrature atte a far emergere momenti
come essenziali e come parte per il tutto e, in tal modo, sostenendo un
equilibrio esterno-interno-oltre-in profondità, in quanto metafora del tempo
esistenziale nell’ambiente di riferimento.
La creazione di un siffatto equilibrio dava ragione della potenzialità di
gestire i suoni ambientali, di pensiero e fisici in una contemporaneità che non
suffragava il senso di asservimento alla macchina=marchingegno diabolico,
ma anticipava la voce della gestione consapevole della meccanicità stessa.
Essi acquisivano la forza adeguata per consentire alla propria mente di
regolamentare la macchina stessa. Era un corredo per vivificare la propria
esistenza, non un totem da esaltare con un fine esotico e feticista. Era il
medium, non lo scopo. Ancora una volta era l’applicazione ante litteram della
tesi di MacLuhan.
Mentre sono assorta a scrivere, mi estraneo dall’apparente solitudine
rumorosa di pensieri che si attorcigliano, si rincorrono, si abbracciano, si
calpestano, mentre l’idea più energica tende a scompensare le altre e
schiaccia parole a fil di labbra.
Ascolto sbadatamente ma non troppo un CD, nuovo sovrano della musica
che, dopo aver usurpato il trono ormai consunto dell’antico e datato long
playing, ha distrutto la musicassetta ed è divenuto emblema di modernità.
Quotidianità.
La nuova ricerca in musica si realizza seguendo una tecnica di flessibilità e
strategia organizzativa e rinnova il tormento di una società in trasformazione
ed insoddisfatta: nella determinazione cronologica l’artista si rappresenta in
una composizione intuitiva di un’espressione mai finita e pesante, ma
evanescente fino a creare un’atmosfera priva di spigolature e limitazioni. In
nome di questa ricerca di affermazione del senso di libertà, trova riparo
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FUTURISTICA SINFONIA
contro gli irrigidimenti per mezzo di immagini enucleative di forme ed
essenze. La parola ritma con impressioni strappate, estemporanee; assume la
forma di un’improvvisazione scenica nella quale le intenzioni sfumano in
icone dotate di inesauribile flessibilità e trasla con una fortissima personalità
le sollecitazioni che giungono dall’esterno.
I nuovi compositori “sperimentatori” del novecento - e già a partire dalla
fine del secolo precedente - raccolgono le suggestioni del contesto non solo
nella misura di stimoli e di folgorazioni, ma come un impatto che impregna
di sé lo spartito. Sono artisti intellettuali che affermano la loro capacità di
improvvisare come applicazione di tecnica teatrale, in cui i fattori della
competenza e della conoscenza permettono di volare oltre il tecnicismo e
assumere il respiro della pittura, della parola in poesia, il vento della
quotidianità. Dedicano buona parte del loro tempo agli incontri, da cui
traggono giovamento e sollecitazione per creazioni formidabili, virtuosismi
esemplificativi di nuovi linguaggi, in sintonia con il cambiamento e
l’eclettismo della nuova società.
Il relativismo dimensionale riguardante la percezione soggettiva di spazio e
tempo aveva avuto una forte incidenza sulla visione del mondo: ciò si
tradusse in ambito artistico nella sperimentazione verbale e l’uso
assolutamente rinnovato della parola come medium di esplorazione della
mente, il ruolo della memoria e dell’esistenza in sé e suggerita
dall’esperienza. In questo senso l’universo culturale si fece portavoce di un
tormento che si rappresentava come costante proiezione verso nuovi orizzonti
e al contempo non distaccava lo sguardo dalle circostanze impregnate di
semplicità e schiettezza.
Un senso di emancipazione da formule imposte e da privilegi di casta
ossessionavano i nuovi artisti; la trasformazione in ambito artistico avvenne
per gradi, seppur in maniera incisiva ed esuberante, con applicazione di
quelle teorie che afferivano al soggettivo dimensionamento di tempi intimi
ipotizzato da Henri Bergson, con la demarcazione tra tempo storico
(diacronia – la durée) e tempo intimo (sincronia – le temps): si prospettava la
curvatura in un punto “zero” del già accaduto proiettandolo nel divenire.
Cadeva la concezione di una linearità ad onde lente. L’incertezza del futuro
spingeva dunque a marcare ulteriormente di energia lo spasmo verso un
soggettivismo in cui il fuori era accolto come suggerimento. Il passaggio
verso la sintesi di emozione, percezione individuale, ricordo ed associazioni
mentali libere condusse alla consacrazione di una letteratura simbolica,
metafisica dei nuovi fronti su cui combattere la propria lotta personale per
vivere.
In questo gioco delle parti l’artista compositore si concepiva nella
preparazione tecnica e nella ricerca costante, allo scopo di riunire sullo
spartito la freschezza dell’individuo purificato da artifici e ritrovare l’uomo
totale e la sua dignità.
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CARMEN DE STASIO
Non si trattava esclusivamente di rimodulare al tempo attuale il linguaggio,
ma di dare altresì una veste strutturale al suono che fosse rimarchevole della
diversità dei nuovi linguaggi proposti, in una sorta di narrazione per effetti
speciali, condotta con un cromatismo versatile derivante dalla continua
intersezione tra gli spazi intimi animati da emozioni e riflessioni profonde,
visioni e sensazioni procurate dall’esterno.
Dunque, si tratta di un caleidoscopio di vibrazioni intime orchestrate in atti
solisti che compongono l’insieme nella diversità; le pulsioni emozionali
intervengono a dare una rappresentazione complessa carica di significati e
riconducibile sempre ad altro.
Un’esaltazione estetica di bellezza+ragione, sintomatica di un’irrequietezza
anti-lineare per rendere incandescenti e simboliche le immagini musicali in
un’estemporaneità evocativa, meditata, tonante.
E’ quanto si ravvisa nella letteratura in prosa, quanto nel verso libero:
liberazione da schemi preconfezionati che “coincide” con la voce-percezione
dell’individuo. Si concepisce nel nuovo modo di fare pittura: nelle immagini
confluiscono
le
intuizioni-percezioni-sensazioni-emozioni
storiche
sincroniche per sintetizzarsi in un evocativo momento d’essere.
Il risultato è una sinfonia di elementi in apparente dissonanza, che assurge a
koinè di tempi diversificati, come i tempi di ciascuno lo sono all’interno di un
grande e superiore tempo e in uno spazio condiviso. Sulla scena ritmano
tonalità dodecafoniche, riferibili ad una scala cromatica distinguibile a fornire
l’essenza intenzionale completa. In questo senso la musica prende sempre più
le sembianze di una composizione pittorica, in cui il colore assurge a simbolo
di verità intime e profonde; la struttura e la linea si dileguano in favore
dell’incandescenza delle emozioni e l’inquietudine della instabilità del tempo
interviene a rendere magistrale il significato intrinseco. Ogni singola parte
vive di vita propria pur inserita in un contesto di oggettiva visione e
privatistica percezione. La composizione assurge ad un flusso di coscienza in
cui la parola-suono è intervallata da slanci di pensiero-rumore, con il
dissolvimento della forma in favore del complesso contenuto.
La creazione é all’epoca intesa come uno scossone appoltigliato di suono
senza senso, intonazione orrifica, stonata. E’ la musica del tempo, nucleo di
idee risultanti dal culminante incontro con l’esistenza e la vita dentro-fuori,
lanciate per rappresentare e “solleticare” la riflessione.
La creazione finale è amalgama di contenuto e forma espressi nella
compenetrazione di libera voce, tonalità afferibili al mondo vivibile, visibile
e corporeità, intesa come movimento proiettivo, che si traduce sulla scena in
balletto + musica, novità che si estrinseca nel duplice ed univoco intervento
di Diaghilev e Stravinski che apporterà variazioni sul tema fino ai giorni
nostri. Si trattò, soprattutto con Petruška, portata in scena nel 1911, di una
vera operazione di stampo futurista, nella misura in cui l’artista compositore
Igor Stravinski si confrontava con una realtà naïf elevata ad opera d’arte, in
una completezza che solo l’intervento coreografico di Diaghilev poteva far
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FUTURISTICA SINFONIA
pensare e pesare. Era un ambage simile alla realtà, che si frangeva con il suo
spasmo di normalità esaltata come opera d’arte e che si giovava di una
ricerca di amplificazione in musica di storie: poesia, narrazione, tempi intimi,
senso di alienazione, sofferenza, morte, prospettiva, sogno e tenace
rappresentazione drammatica nel senso di teatralizzazione della scena
composita di musica, movimenti, parole, ritmicità. Dunque, sintesi della
capacità creativa e rappresentativa dell’individuo.
In termini di spettacolo si parla di scenografia, di coreografia, di
orchestrazione complessa di tutti gli elementi che potessero divenire
espressione simbolica di disagio umano ed esistenziale, che esplose nella
composizione Histoire du Soldat, miscellanea di quegli elementi
caratterizzanti di cui ho già parlato, insieme ad una mescolanza equilibrata
nei canoni mentali del compositore e che mediavano da stili diversi e talora
opposti, ma che proprio nell’eclettismo formale trovavano il punto di
convergenza che avrebbe suscitato stupore e avrebbe simboleggiato la chiave
di lettura di un tempo contemporaneo in continuo divenire.
Una rappresentazione di globalità in cui, ancora una volta, si configura la
suggestiva atmosfera di un mezzo quale messaggio da interpretare secondo il
respiro dei nuovi tempi e che allude ad una configurazione poetica nuova. Se
ne ravvide la formulazione patchwork per la istintività degli elementi che
mediavano da una parola scomposta ma interprete della condizione mentale
in una composizione metafisica, geometrica.
Con Stravinski si assiste ad una vera e propria manifestazione camaleontica
dell’artista mai pienamente soddisfatto, alla continua ricerca dell’elemento
caratterizzante della sua intenzione, tanto da esplicare ritmicamente esigenze
estemporanee che assorbivano completamente, in relazione al momento e al
proprio tempo individuale, folklore con zampilli di evocazione, tradizione ed
influenze contemporanee, sofferenza e pessimismo totale, fino al dramma
esistenziale e, in fase successiva, un tocco pregnante di ironia e giocosità non
come accettazione passiva di una realtà soggiogata dall’irrazionalità umana,
ma come esasperazione delle capacità di individuo colto ed in grado di
cogliere i respiri di un vento che passa sulle cose, inebriato da una forza
intellettuale che avrebbe veicolato un linguaggio-modello per gli
sperimentalisti musicali futuri.
Insomma i tempi propendevano per una demarcazione netta con il passato.
La musica si adeguava. Diveniva interprete di uno stato di agitazione
intellettuale che poneva sotto una prospettiva nuova l’esistenza ed il campo
di azione: testa di ponte tra gli individui nella loro soggettività ed
espressione in una oggettivazione esistenziale, che diveniva universale.
Odi, signore Iddio grande e tremendo
cui fecer grido i padri combattendo
su le rembate : questo ch’io t’accendo
È il Rogo e il Faro.
77
CARMEN DE STASIO
………………………………………….
…O Iddio che vagli e rinnovelli
nel Mar le stirpi, o Iddio che le cancelli,
i viventi i viventi saran quelli
che sopra il Mare
ti magnificheranno, sopra il Mare
ti glorificheranno, sopra il Mare
t’offriran mirra e sangue dall’altare
che porta rostro.
Fa di tutti gli Ocèani il Mare Nostro!
Amen
(dal Prologo de La Nave di Gabriele D’Annunzio – Milano, Fratelli Treves
Editori, 5 gennaio 1908)
Sebbene non si sia mai definito compiutamente futurista, Gabriele
D’Annunzio per certi visibili segni rappresentò la svolta che anche in ambito
musicale si stava realizzando in Italia. Qui un gruppo di musicisti,
solitamente definiti la generazione del 1880, diede una scrollata alla
composizione classica e pianificarono la dissoluzione di criteri tradizionali.
Conducevano una vera battaglia che prendeva corpo nei teatri, in cui
imposero il loro modo distintivo di rottura e portarono un’aria assolutamente
nuova, che si realizzò con Alfredo Casella.
Casella, pur se alla prima di Notte di maggio fu accolto dall’insoddisfazione
palesemente manifestata da Marinetti, echeggia come simbolo di originalità
in ambito musicale. Sebbene in aperto contrasto con gli ideali
sperimentalistici futuristi, il compositore proponeva una musicalità diversa e
di chiaro di spunto nazionalistico, di contro alla fusione occidentale e
perpetrava una sorta di riscoperta di tutto quanto fosse realmente di stampo
italico. In questo senso si allineò alla tempra battagliera di quel D’Annunzio
che trionfava con il recupero di un vero spirito nazionalistico.
Tuttavia Casella non stabilì una norma: risale all’11 ottobre 1910 il primo
manifesto futurista musicale ad opera di Francesco Balilla Pratella, che
ambiva ad una sintesi efficace di parola libera e suoni in una sinfonia
rappresentata e completa di forme come rappresentazione dinamica dei tempi
e dei contesti. A dare potenziamento alla nuova stilizzazione musicale fu in
un certo senso Luigi Russolo, il quale accostò - o, meglio - frappose tra la
armonia e la ritmicità libera di Pratella il rumore come esaltazione
dell’attuale società in progressione. L’operazione restò in ambito
laboratoriale, ma segnò la svolta anche in funzione e a motivo
dell’innovazione tecnologica “in perenne corsa”, che avrebbe aperto ad una
sperimentazione successiva sviluppata con il computer.
La sinfonia acquisì valore crescente nei concerti e la forza di congiunzione
con la drammaticità della rappresentazione, ripulita dalla formula essenziale e
78
FUTURISTICA SINFONIA
con incisive tonalità coloristiche afferibili alla variazione intenzionale,
impressiva anti-descrittiva, razionale, colta, intensa, variegata.
Quella che definisco rimarchevole strategia della dissonanza si collocava
come raffinata espressione di suoni dall’apparente disarticolazione, che
seguivano l’onda funambolica delle impressioni soggettive e toccavano
costiere frastagliate dell’individuo nella sua integrità, simbolo in una
complessità onomatopeica dell’esistenza globale, di confluenza di suoni
dell’introspezione, sogno, cambiamento, versatilità, in una conformazione
che codificava la serialità cromatica completa.
Si opera con strumenti che hanno a che fare con la gente, con la popolare
visione di nuovi mezzi e nuovi punti di vista.
L’innovazione parte da lontano. Addirittura posso riferire alla musica jazz il
cambiamento. Lo stesso Russolo aveva adottato nell’intonarumori strumenti
in uso presso popoli distinti. Un conforto ad una sconvolgente quanto
affascinante interveniente globalizzazione.
Quella futurista si delineava come grido di libertà e di liberazione oltre la
nebbia e la desertificazione dei gusti. Era uno scossone che ascoltava la
strada e il cicaleccio confuso; ascoltava i rumori dell’esistenza e si faceva
portavoce di Vita! Di Vitalità.
I tempi cambiano ed é dall’uomo che parte la novità. La musica diveniva lo
specchio di una realtà evidente ma non visibile a tutti. Lo racconta Erik Satie,
compositore francese che secondo me più di tutti riuscì a risolvere la sintesi
di suono, parola, nota, rumore, azione, facendo convergere nella esplicativa
Gymnopédies i movimenti lenti, le onde provocate dall’aria, dal vento, dal
pensiero nella nota, una parola da interpretare nella sua integrità. Così come
precedentemente Scott Joplin aveva traslato l’antica religiosità africana delle
radici, il senso funereo di un tempo che passa sulle vite e la fantasmagoria
dell’eclettico spazio vitale. Sintesi linguistica di rumore di lavoro,
trascinamento emozionale e sensibile. Un nuovo stile musicale riflesso di
esistenza.
Si afferma il frastuono e la riflessione. Diviene genere. Consonanza e
coincidenza storica.
Altri in epoche successive hanno apportato traslazioni efficaci e
personalissime, come il grande Louis Armstrong-Satchmo. Il big mouth creò
ghirigori nonsense, un registro personalissimo di comunicazione. Parola
come segno non di interpunzione, ma una sineddoche con il tempo e lo
spazio-luogo di interpretazione. Era invenzione, era impavida creazione,
poesia da interpretare sebbene non investita di metafisici riscontri incongrui,
ma talmente evidenti da richiamare realtà distanti ed evanescenti.
E’ tutto qui.
Ma la mente sbadata degli uomini non permette che si veda con occhiomente-parola.
La consapevolezza di vivere un tempo versatile, camaleontico e non
sottoposto a leggi di ripensamento ed anaforico spingono i molti artisti
79
CARMEN DE STASIO
all’applicazione poliedrica e multiforme dell’impianto musicale che non solo
genera stupito autocontrollo, ma è fortemente impregnato di significazione
socio-comunicazionale e di un messaggio altamente culturale che attiene ad
una forma che non disdegna alcuni accenti riferibili alla tradizione, in quanto
rappresentativi di una identità sociale; al contempo, indugia nell’osservare e
trasferire in musica quelle variazioni che si elevano come unico grido di
rinnovamento anche in campo internazionale. In tal senso si può parlare di
musica novecentesca come filtro e miscellanea di mondi dall’apparente
diversità che, tuttavia, raggiungono punti di incontro grazie e a favore di
confini che diventano sempre più duttili e flessibili, che condividono il
territorio impervio di un avanzamento completo che si manifesta nella varietà
cromatica spontanea e insieme controllata della forma.
La musica filtra il messaggio sociale e culturale e si fa interprete del
proprio tempo.
La storia continua con tecnologie e strategie sempre più avanzate, per
formulare il concetto-tesi di uomo mutevole ed in continua progressione oltre
se stesso. Secondo tale considerazione, posso affermare quanto l’espressione
musicale partecipi alla memorizzazione di tempi e spazi particolari: si pensi a
balzi della ricordanza sollecitati dall’ascolto di un brano, che sovente
riconduce all’identificazione immediata di un tempo, di un popolo, di uno
stile di vita. Che si tratti della “rottura” dei limiti conclamata con il tango, o il
cakewalk (paradossale caricatura del passo ondulato dei “bianchi” da parte
dei primi jazzisti), o il charleston, emblema di anni “ruggenti post bellum”. O
ancora, più immediate, le realtà “rabbiose” del rock degli anni’50 o della
musica “beat” dei ’60, fino allo ska o al rap della nostra storia più recente,
quali intonazioni di una rabbia metropolitana incandescente.
In quanto fenomeno di evoluzione linguistica, la musica è linguaggio:
occorre interpretare la sintesi di parola-suono-idea per comprendere (cogliere
nell’insieme) quanto operato dai futuristi nell’ambito musicale e quanto sia
stato condotto con ricerche-azioni nelle epoche seguenti, ma non
immediatamente e non necessariamente successive.
La musica è linguaggio
I futuristi ne colsero la visione mediana come insieme di discrete unità
basate sulla discontinuità e sull’acquisizione, sistema che prevede il
trasferimento della configurazione su un piano linguistico e che induce a
mettere in atto frasi-intonazioni mai dette-create o sentite in precedenza,
tuttavia legate non per mera imitazione ma come effetto di sintesi superiore.
La traslazione era stata per i futuristi efficace quanto originale, in quanto
aveva apportato la grande novità di inserire nelle sonorità - o nei suoni sonori
- la sordità di elementi facenti parte della quotidianità.
Per natura propria l’uomo ambisce ad apporre un marchio che lo identifichi
come gestore di un intervento di ricercata intuizione. Per vanificare lo
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FUTURISTICA SINFONIA
scadimento in un’attività di ridondante auto-imitazione, urge applicare un
sistema detto di ricorsività, basato sull’elaborazione di situazioni linguistiche
via via più complesse, mediante la costruzione di un’impalcatura orchestrata
con tasselli sempre nuovi, efficaci ed identificabili.
Non è un’operazione semplice da realizzare, eppure i futuristi avevano
osato sperimentare strategie di lettura del proprio tempo-spazio con
l’adozione di metodi diversi e sconvolgenti. Lo stesso accadeva nel periodo
’60 – ’70, quando gruppi musicali abbinavano un abbigliamento simbolico
della musica battente in una sinfonia di voci espressive di parola-suono senza
interferenze e puntanti a far cogliere nell’immediata immagine l’idea stessa
del brano. Era espressione di ribellione giovane, di nuovo, in un’epoca in cui
anche la pubblicità osannava i giovani.
Sono anni di consapevolezza e tentativi spinti di liberazione dall’ossequio a
schemi rigidi. Tuttavia, ancora si tende a schiacciare con metodi ipercorrettivi
che ambiscono a conclamare similitudini ed imitazioni anti innovativi.
E’ notizia di questo momento in cui scrivo della morte di Richard Wright,
co-fondatore nel 1963 dei Pink Floyd, un fluido rosa in un tempo in cui il
rosa era non la percezione della rabbia che sobillava il mondo, ma il segno di
una speranza cui si diede uno scossone per vedere un po’ di luce. Essi non
fecero che cantare l’alienazione e la solitudine (riporto termini dal notiziario
su internet). Mi conforta questa definizione, evocativa di linguaggi
intellettuali che vedevano oltre la scorza di massificazione e di tutto bello
anche se non vero, né sostenuto dalla visione dell’esterno, da ricondurre al
tempo in cui i futuristi accesero micce dissacratorie per fustigare l’apparente
bellezza e serenità di un tempo dominato dai concetti nuovi afferibili a
relativismo, relatività e transitorietà, esigenti di nuovi registri di
comunicazione, spazializzazione, temporizzazione.
Nello specifico, la spinta progressista dell’alba degli anni ‘60 partiva da una
ricerca di tregua che debellasse definitivamente la ferita infetta provocata
dalla seconda guerra mondiale. In Italia si anelava ad una costruzione ex
novo dei parametri esistenziali per costruire un’esplosiva società da fissare su
fondamenta di crescita e di totale cambiamento.
L’entusiasmo e il desiderio di strapparsi di dosso la polvere nera della
guerra erano il “motore” della nuova realtà, che si stigmatizzò in una corsa
accelerata verso la modernità e che assunse quale simbolo di prospettiva
scattante il motociclo (la Lambretta prima e, poco dopo, la Vespa). Si poteva
parlare di un nuovo futurismo, del rumore “disturbante” del motore di una
due ruote, anelito di libertà, veicolo di slancio. Chiamerei questo come il
fenomeno del motorismo (neo futurismo). Un velocismo nuovo che si
riscontra nel brano Money (dei Pink Floyd), evocativo del rumore prodotto da
monetine sonati in un registratore di cassa. O, ancora, nella scandalosa Je
t’aime, moi non plus (1969), nella quale l’autore e cantante Serge Gainsbourg
dava vita ad un vero scuotimento delle coscienze con la traduzione sulle note
81
CARMEN DE STASIO
musicali della parola detta in sussurro e riconducibile all’intenzione non
velata di sollecitazione di sensi, giacché dai sensi partiva.
Tantissimi sono gli esempi in questo senso. Tutti convogliano equamente in
un unico assunto: la nuova produzione prende la “forma” di una
sceneggiatura musicale strutturata come un’enciclopedia di storia del nostro
tempo attuale. La parola si esplica come punto di sintesi, acme di un percorso
storico e temporale, fuggente e sfuggente, brillante, intelligente: un passaggio
fugace come il vento e la scia di un treno. In sottofondo lo strumento-coro
esprime la velocità, la progressione verso un orizzonte oscuro.
Dunque, come in linguistica, anche in ambito musicale si parla di identità
funzionale come assimilazione dell’espressione finalizzata alla visione reale.
Secondo Noam Chomsky (linguista americano) il linguaggio fa uso infinito
di mezzi finiti: in musica la capacità creativa dell’individuo - compositore di
immagini e sintesi di parola suono - tenta di scavalcare i limiti di uno status
quo con l’introduzione di tutte le potenzialità atte a rendere comprensivo di
idee specifiche il territorio su cui operare. La costruzione di unità
indipendenti nel discorso musicale, articolate in un corpo unico, é
significativo di una sintesi conclamata che parte dal presupposto di quanto da
me inizialmente asserito e confortato dall’idea che i tempi posseggono
linguaggi specifici che sta a noi interpretare. O, posso aggiungere, portare
alla luce con segni e segnali evidenti, esplicativi, esortativi di un
cambiamento in atto. Solo gli artisti intellettuali convinti - in grado, cioè, di
interpretare le circostanze come forze intervenienti e prevalenti nel
messaggio - possono dar voce e sistema a nuove realtà in ambito artistico. Si
pensi ai cosiddetti poeti della guerra, i quali riuscirono a far sentire il gusto
acre e sanguigno, il torpore di quei momenti frammisto con il sapore della
polvere da sparo, le nubi di terrore e la velleità schiacciate di giovani soldati
mediante versi che annunciavano aspetti naturali estremi nella metafora del
gas, della sopraffazione. Crearono immagini cinematografiche narrative di
sofferenza, armi, fatica, morte, senza la necessità di indugiare in
sentimentalistiche spiegazioni aggiuntive o aneddotiche, ma semplicemente
facendo alitare nella mente del lettore lo sconvolgimento di una realtà
distante, terrifica, inconcepibile.
Immagini create da una poesia sintetica, libera da limiti spaziali, libera da
strutture formali. Libera di suonare la propria sinfonia acerba, cruda come
canto di un giovane cigno dalla vita spezzata.
Lo sperimentatore appare come il competente maestro in grado di
intelligere nuove realtà e da esse trarre nuovi linguaggi ispirati.
La letteratura colta, d’avanguardia del Novecento azzarda una
sperimentazione che vagheggia e sorprende per l’incisività di una scrittura
per immagini, in cui il detto si allinea con il non detto: questo accade in prosa
ed equamente in versi. Ogni parola é simbolo e metafora di un significato
intrinseco, fatto di vibrazioni sensoriali, emozione, impressioni che
rimandano ad altro. Scrittura “di pensiero” mediata da un montaggio
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FUTURISTICA SINFONIA
cinematografico, in cui ogni evento, ogni azione corrisponde a silenzi tra le
frasi, tra le parole in un’atmosfera sovente surreale. Determinante è la
brevità: nell’espressione che ingloba in sé la parola detta, l’alito sussurrato e
il non detto resta incisa la motivazione e l’intenzione.
Si fa ricorso sempre più spesso ad elementi linguistici che mediano dai
comportamenti dell’individuo e questo conduce ad una rottura con la linearità
argomentativa. Sono le condizioni esterne a determinare il cambiamento, la
chiusura in una nicchia di silenzi che si coniuga con l’inquieto spasmo della
solitudine cui l’uomo si sarebbe presto adeguato.
Ciò concorre a formulare una nuova ipotesi compositiva; recupero delle
capacità umane ed intellettuali di leggere e dare interpretazione ad un
pensiero sconvolgente e, vieppiù, coinvolgente di tutte le energie che
l’individuo colto è in grado di gestire e che si fanno risalire ad una
espressione letteraria che ricorre alla metafora del viaggio mediante un vero e
proprio reportage esistenziale attraverso l’esperienza nelle sue forme. Una
via strategica tra il reale e l’irreale; una dinamica dialogica di descrizionemeditazione sui condizionamenti insieme alla percezione soggettiva del
mondo. Un effetto assimilabile al dramatic monologue in quanto esperienza
vivida e sintetica di pensiero libero (strategia poetica colta “inventata” da
John Donne, poeta metafisico inglese). Notevole il valore che si attribuisce
dunque all’introspezione in quanto commistione tra elementi immaginativi e
simbolici, alla varietà di intonazione come traduzione della percezione,
enfatizzata da un registro linguistico sorprendente e fuori da ogni
convenzionalismo di compiacimento.
La capacità di penetrare l’oscurità dei meandri della mente offre il colore
dell’espressione artistica e si rappresenta nella diversità di intonazione
musicale: la musica esprime la variazione, diventa lingua che parla il tempo
e i tempi, diventa voce di contesto, sviluppandosi secondo una simmetria
interna che porta sulla scena l’introspezione (proiezione in sé).
Si potrebbe parlare di trasformismo di forma e struttura, con
un’orchestrazione che subisce mutamenti repentini e dissolventi, come
impressioni immediate e mediate dalla memoria o da sensazioni fisiche.
I ritmi dissacranti in forma talora di ballate portarono aura nuova in quella
palude in cui le note venivano giocate per ripetere gli stessi ritmi alla noia.
Ma la tranquillità di versi comodi e consueti se da una parte stabilizzava,
dall’altra annichiliva su obsolete credenze e da parte di taluni si ossequiarono
le regole. Altri scelsero la strada e i club privati dove far musica con pochi
eletti. Era già accaduto al gruppo dei cinque in Russia, ai jazzisti di prima
generazione e ai futuristi. I neofuturisti erano tuttavia ancora in auge:
avvicendati tra vari stili musicali, tra loro avevano creato una cordata
metaforica che partiva dalle sonorità di Satie, dai rumori di Russolo,
passando per il rock fino al beat=battere.
Rumore.
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CARMEN DE STASIO
L’esigenza di dilatare lo slancio sperimentale si fa urgente soprattutto nella
fase del secondo cinquantennio del XX secolo: si parla di composizione come
progetto, di contaminazione di stili per manifestare l’efficacia del suono e
spiegare l’intenzione dell’artista. Le varianti a spirale e successive si
connotano di questa proprietà: pur afferendo a generi diversi, risultano
convergere in un punto di evanescente intersezione, che ha come scopo finale
la resa del messaggio musicale in quanto segno di comunicazione di altro.
Generalmente quando si parla di sperimentazione, si tratta di composizione
strumentale esclusiva, ma, considerando le band musicali che compaiono
sulla scena, si può asserire che anche la sintassi linguistica offre spunti in tal
senso, come nel caso delle Orme, degli Area, che “parlano” di pressioneoppressione, di realtà vicine in un “ritratto” a compendio sistemico.
L’impegno sociale si manifesta come segno di un passaggio dal mero ascolto
ad una realizzazione di profondo valore estetico, unione inscindibile di
bellezza universale e intelletto. A marcare questa ipotesi è la
contestualizzazione della scena, che avviene con il ricorso a mezzi diversi,
che alludono ad una completezza di intenti mediante look efficaci,
scenografie e coreografie d’effetto, in un enàllage che sostiene e veicola il
messaggio con un “lessico”sovente inatteso all’interno di un contesto
definito.
Mi piace a tal proposito segnalare come esemplificazione di fenomeno a
scambio interno (enàllage) Prisencolinensinainciusol, un brano sconvolgente,
espressione incontrastata di un linguaggio-traduzione riferibile alla
metamorfosi socio-culturale contemporanea (si era all’alba degli anni ‘70).
Un vortice coinvolgente di lettura straordinariamente invasiva di una
formulazione sintattica+esibizione altamente eloquente ed efficace. Fusione
di evoluzione storica e linguistica, componimento concettuale (concept song)
sintetico del dinamico, rabbioso mutamento che sulla scena si rivelava per
mezzo di una scalpitante ossessione vibrata dalla musica-parola senza confini
ed intermittenza. Il ritmo assillante di una generazione progressiva e
progressista fu elemento di contaminazione nel trasferimento dall’aspetto
meramente sociale a quello musicale. Il nonsense linguistico segnava la
rottura ed elevava la parola-suono ironica e dissacratoria ad elemento
compositivo di una totale sinfonia. Anche il corpo muoveva secondo il ritmo
adducendo una mescolanza di sonorità simil-tribali. Ulteriore compensazione
era una coreografia apparentemente scomposta, che aderiva ad una ordinatio
intenzionale di mettere in scena l’affollamento e la coincidenza.
Rappresentazione del caos, della confusione.
Non era questo il tempo? Era la voce della massa ritmante. Era voce
scanzonata, ironica, beffarda. Non era quello il luogo? Compressione di
tempo per recuperare il proprio tempo di meditazione.
Totus mundus agit histrionem (William Shakespeare)
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FUTURISTICA SINFONIA
Ancora una volta si parla di musica come palcoscenico di montaggio
sociale.
Il male vince nel momento in cui il bene smette di agire. In sintesi questa
espressione di Edmund Burke potrebbe esaudire la domanda che oso pormi in
questi tempi in cui la sperimentazione dovrebbe essere fattore coalizzante,
scatenante, quotidiano. C’è da chiedersi come mai si parli ancora di musica
sperimentale in un’epoca convulsa di stravolgimenti quotidiani. E, ancora, ci
si accorge dei cambiamenti, o li si fa risalire ad una sorta di superiore
definizione di allineamento di coincidenze fatali? Quando sul finire degli
anni ‘60 apparve sulla scena musicale italiana un timidissimo, scontroso
Lucio Battisti, che intonava canzoni dai testi inconsueti, criptici e
apparentemente nonsense, da parte dei cosiddetti matusa fu considerato un
aborto canoro. La stroncatura iniziale non bastò tuttavia a completare il ciclo
di questo goffo, riccioluto giovanotto, destinato incredibilmente a divenire
presto icona del cambiamento sociale e mito della nuova avanguardia
musicale italiana. Addirittura, la sua scontrosità divenne motivo per raffinare
ulteriormente il nascente mito. I giovani lo acclamarono come simbolo della
nuova generazione, così come poco tempo prima lo era stata la minigonna.
Versi criptici, enigmatici, paradossali veicolavano un pensiero riflessivo e
inquietante di un individuo scosso dal turbine del dubbio.
I giochi funambolici della mente traslati in musica dei tanti sperimentatori (
menzionarli tutti mi è impossibile, sebbene non oso dimenticare Giorgio
Gaber, i Gufi, Gian Pieretti, Nino Ferrer e tantissimi altri in Italia e all’estero)
segnavano il destino delle canzoni come nuclei compositi di testo + suono+
linguaggi paraverbali-non verbali seguendo la rotta della cultura
dissacratoria, che colpiva con la lama dell’ironia e della gentil (in apparenza)
satira.
La narrazione musicale é un’orchestrazione di personaggi in evoluzione
(round characters) in una rappresentazione teatrale: essa assorbe il significato
alto consolidato nella parola, della nota come parola ed il suo potere, in una
sorta di retorica non declamatoria; una microcosmica energia che, fluttuando,
riesce a trasformare suoni piani in tonanti evocazioni visive e sensoriali,
riconducibili a spazi anche lontani o sommersi e anticipando in questo senso
le tecniche cinematografiche e i video musicali.
Ciò che si va a comporre nella mente innovatrice ed esuberante dello
sperimentatore è la ricerca di tutti quegli elementi (mediati dalla strada, dalla
tradizione popolare e stilistica musicale culturale) che possano consolidare
l’idea iniziale, che egli scopre annusando quell’aire intorno a sé e che
converge in quella definita da Paolo Conte come danza vertigine (Elisir,
1995). La parola crea una continuità comunicazionale con le sonorità e si
conforma subendo una metamorfosi sostanziale a creare la scena più consona
alla creazione mentale. In altri termini, ci si distanzia da quella “valle di
nomadi” (Teatro, Paolo Conte), abitata da sonnacchiosi individui di povero
intelletto, i quali non ambiscono a nutrire la conoscenza e che gongolano a
85
CARMEN DE STASIO
rimanere nel groviglio di un pagliaio, perché questa comodità non li impegna
a pensare, a meditare, a crescere. Gli artisti sperimentatori raccontano le
trasformazioni del nostro tempo; sono gli storici di una cultura che si rinnova
continuamente ed i cui segnali sono scritti sulla strada. On the road again,
nel viaggio di un eterno Ulisse alla scoperta oltre orizzonti che si spengono
solo con la morte=fine.
Uno sconvolgimento che gli stessi futuristi avevano tempo prima compiuto.
I viaggi non si interrompono né dentro né l’oltre visibile. Si può parlare di
esotismo, attrazione affascinante del nuovo; lo si apprende dalla musica jazz,
dai tanti emigranti partiti con la valigia o anche senza. In passato erano stati i
luoghi di colonia e nuovi popoli. Erano stati gli armeni della terra delle
albicocche; i tessuti variopinti e i bandoneon, i limbo martinicani o il
gamelan utilizzato da Debussy.
Le reazioni sono di scalpitante stupore, ma in realtà di nuovo
essenzialmente non c’è nulla, giacché ogni espressione musicale si è sempre
proposta come interprete sintetica di passaggi storici: nell’ottocento i sistemi
linguistici musicali rimavano con impressionismo, con il cromatismo
lessicale di Ernest Cabaner, le martellanti note della poesia di Walt Whitman,
che “sentiva” nei rumori provocati dalle attività manuali l’avanzamento di
tutto un popolo in azione per emergere dalla polvere. Nel periodo a noi vicino
degli anni ’70 ricordo Eumir Deodato, il quale planò nel mondo ovattato
della musica con una versione funky di Così Parlò Zarathustra di Richard
Strauss. L’imponente orchestrazione univa una versificazione musicale
originale con le moderne tecniche jazz e la musica sinfonica, in una
deflagrazione ritmica talora condotta all’estremo spasmo, tanto quanto era
nelle intenzioni di Strauss e nel costrutto di Frederich Nietzsche, autore
dell’omonimo testo. Un'altra figura di rilievo nel cambiamento di stile é
Federico Monti Arduini, il quale ricorse allo strumento inventato
dall’ingegnere Robert Moog per coniugare il piacere uditivo, la sensibilità e
l’emozione suscitata dal sistema di sintetizzatori con una koinè di atmosfere e
visioni. Le stesse che sempre in quegli anni di fermento sperimentale
soggiogò la mente dinamica di Vangelis, co-fondatore della band Aphrodite’s
Child. Vangelis convogliava nella musica elettronica timbri eterei new age
con la finalità di condensare in un unicum schemi mentali suggestivi,
pregnanti, incidenti per l’intensità di un ritmo che “narrava” il crescendo
musicale fino ad esplodere in sontuosità acustiche fortemente riscontrabili e
fondanti dell’intenzione del compositore.
In tutto questo tempo ci si è mossi per allontanare un ritmo obsoleto e
normativo, che avrebbe stabilizzato standard di esecuzione e dunque modi e
stili di espressione, dissacranti della libertà e della efficace indipendenza di
pensiero.
Occorre puntare l’attenzione sui linguaggi specifici per capire la natura
intima e definire le nuove forme strutturali.
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FUTURISTICA SINFONIA
Le variazioni dei linguaggi musicali in questi anni devono essere ricondotte
ad un organismo di deviazioni consapevoli rispetto a schemi integrati, che
vengono superati con l’adozione di sistemi che accolgono al proprio interno
nuove idee ed esperienze esistenziali di cui stigmatizzano l’immagine con
un’intonazione vicinissima al reale, con tecniche che mediano da un
linguaggio colloquiale ed un’intonazione che è immagine della condizione
umana di annullamento dell’artificiosità.
Il superamento é motivato dall’urgenza di trasformazioni culturali,
filosofiche, sociali, economiche che non hanno un’evoluzione sequenziale e
che sono incessantemente sottoposte al naturale (spontaneo?) ritmo veloce
dell’innovazione. L’intensificazione attuale della rapidità delle proposte
(sovente la novità rima con consuetudine) comporta la selezione all’interno di
un macro sistema di frammenti non di repertorio e su esso agisce in maniera
scientifica e capillare. Ancora, si tratta di considerare la sincronia temporale,
la cui visualizzazione è concessa esattamente dal livello di competenza
raggiunto nell’attivare processi comunicazionali scomponibili in ulteriori
frazioni di verificabilità, che riguardano l’individualità nella massa ed
espongono l’uomo-artista nella sua conclamata autonomia di riflessione
(soggettiva percezione delle cose).
Adesso qui, in questo tempo, in questo spazio non è ancora capolinea.
I messaggi della quotidianità scalciano interruzioni e rotture. Occorre
porgere l’orecchio al silenzio, alle sfumature e cogliere gli svolazzi, le brezze
leggere. Intelligere anche il ricordo, un passo ruggente che, con energia, ha
segnato la traiettoria che, successivamente e in più fasi, è stata obnubilata dal
frastuono scomposto, nella forzata incrinatura di suoni che non sono né
virgole, né aliti, poiché le consonanti non sono rintocchi, né rumori.
La combinazione di suoni - nucleo di molecole collegate tra loro - segue
una regolamentazione interna ordinata, di cui l’intenzione profonda è parte
integrante e non separata. Dunque, non è possibile declinare suoni secondo
un impulso estemporaneo, ma occorre cogliere le sfumature e le armonie dei
tasselli esterni-interni, le onde e il magnetismo, circostanze, momenti,
energia esterna interveniente in grado di potenziarne il senso di sintesi. In
questo validissimo aiuto apporta lo studio approfondito dei linguaggi, giacché
già dalla metà dell’Ottocento si parlava di uniformità nota-colore, dunque
musica-pittura. Oserei aggiungere parametri quali società, costume,
industrializzazione, rivoluzione, meccanismi che regolano i passaggi da
un’epoca all’altra e che regolamentano anche una visione che tenga in forte
considerazione un aspetto fondamentale che riguarda il concetto di
simmetria, che concorre a formulare una sorta di continuità più riconducibile
ad una sincronia, una sinergia di intenti, piuttosto che riferibile ad una
distribuzione differenziata nel tempo come sequenzialità rispetto al passato.
Parlo di simmetrie, giacché in musica è in atto una sorta di trasformazione
che agisce all’interno e che sembra lasciar invariato l’aspetto, che definirei
come forma. In questa visione esistono dei cosiddetti punti fissi che non
87
CARMEN DE STASIO
compaiono nella simmetria, giacché nel corso della trasformazione essi sono
stati eliminati per fattori contingenti e collegati, come ad esempio i
mutamenti sociali, il linguaggio temporale, pur se gli spazi di azione siano
rimasti invariati. Ciò in riferimento al fatto che si deve riconsiderare la
posizione dell’individuo rispetto all’oggetto, alla realtà. Una riflessione che
agisce anche sulla composizione. Le motivazioni di carattere sociale, spaziale
e culturale rappresentano condizionamenti, o, meglio, contaminazioni che
hanno permesso l’influenza anche di una “terminologia linguistica musicale”
specifica del momento.
Si parla dunque di variabilità come crescita, come arricchimento e
globalizzante interveniente.
Un forte impatto ha avuto in questi anni l’elaborazione tecnologica e
scientifica, che ha aperto a nuove strategie di far musica.
Sul finire degli anni ’70 la ricerca di mezzi consoni a manifestare il proprio
spirito di ricercatori sperimentali in musica si spinse verso il computer.
Una delle motivazioni è da ritrovare nell’incipiente “duemila” come nuovo
millennio di totali e totalizzanti cambiamenti, al quale si intendeva arrivare
assolutamente non impreparati.
Gruppi come i Krisma o i Kraftwerk, divenivano emblema di una nuova
tendenza che molto derivava dal superamento di ritmi punk di rottura e
traslava in ritmi “robotici” la consistente società del futuro. A questo
interesse si affacciarono altri sperimentatori che colsero la tecnologia e il
progresso eccezionale dell’uso della macchina al servizio dell’uomo senza
per questo denaturalizzare il suono, ma vieppiù facendo coincidere il
progresso umano e scientifico con il progredire di una visione sempre più
dilatata a toccare fermenti sociali, una cultura sempre più versatile e, insieme,
la frustrazione ed il tormento dell’uomo. Tra i fautori di una nuova
strutturazione sociale menziono gli Alan Parsons Project, i quali
comunicavano attraverso la musica una compagine di rinnovamento talora
avveniristico, che raggiunse l’acme nel 1982 con Mammagamma, una sfida al
sistema musicale con l’applicazione del computer nella produzione di un
suono.
Giungeva l’epoca di un altamente funzionale computerismo.
Era il riconoscimento ed il plauso ad un’invenzione futurista e che
osannava l’indagine intorno all’uomo e alle sue facoltà.
In agguato era sempre la melodia ed il rischio dell’imitazione, ma in quel
tempo di ripensamenti, in cui sconvolgimenti di varia natura avevano messo
in allarme contro l’emergente collasso dell’umanità, il richiamo forte alla
tecnologia come final chance, o un ticket to ride rappresentava lo scudo tra le
braccia del nuovo eroe. Un nuovo Beowulf.
In questo scenario gli Alan Parsons Project furono riconoscibili nelle loro
espressioni musicali a ottemperare il suono come novità di esecuzione non
solo per la strumentazione, ma anche veicolante del significato profondo
dell’opera stessa. Si consideri il tormentato crescendo assimilabile ad una
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FUTURISTICA SINFONIA
marcia ossessiva di Lucifer tune, colonna sonora del film Blade Runner.
Un’ascesi assimilabile ad un’inquietudine crescente e che veicolava
immagini di tensione e di forte impatto visivo ed uditivo, prefigurante scenari
minacciosi in un’atmosfera oscura e labirintica, che nelle linee forti
dell’intonazione ridondante spiegava l’evolversi della storia. Una sorta di
ricerca di sinestesia completa.
In tal senso il fenomeno attualizzato era proprio anestetico, giacché
prevedeva una reazione immediata.
Posso parlare di sinestesia in ambito musicale già a partire da tempo
precedente il futurismo, e anche in epoche successive, giacché nella
combinazione di sensibilità diversificate e talora oppositive, si riscontrano
parametri applicati sia dai rumoristi futuristi che dai discepoli della
sperimentazione, con una sorta di considerazione oppositiva tra melodia e
composizione con rumori della strada. Una contaminazione che si è realizzata
come metafora di cambiamenti e di combinazione dentro fuori, musica=
esistenza= simbolo esistenziale e stile anche in tempi seguenti.
L’applicazione, dunque, come figura retorica utilizzata per attribuire maggior
pregnanza all’aspetto musicale. Accade anche con le parole. Valga la sintesi
concettuale stupefacente del brano degli Alan Parsons Project, Days are
numbers – The Traveller:
The traveller is always leaving town
He never has the time to turn around
And if the road he's taken isn't leading anywhere
He seems to be completely unaware
The traveller is always leaving home
The only kind of life he's ever known
When every moment seems to be
A race against the time
There's always one more mountain left to climb
I giorni sono numeri e l’uomo é il viandante in continua partenza da ogni
luogo. Egli non ha tempo per voltare lo sguardo intorno a sé e non si accorge
che la strada porti al nulla. Procede perché il viaggio è l’unica realtà, l’unica
vita che gli è concesso conoscere. Percepisce l’attimo come una corsa contro
il tempo. Ma si accorge che davanti a sé c’è sempre una nuova vetta da
scalare.
Un momento d’essere “strappato” a Kronos.
Insomma, il metodo diventa elemento trainante. Si parlerebbe, come per le
lingue, di musica e note morte, ma le foglie morte sono necessarie per nuovi
cambiamenti. Il nuovo avanza riflettendo sul trascorso e mediando affinché si
possa corroborare nuova linfa con strategie similari, pur con metodi relativi
alla diversità spazio-temporale.
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CARMEN DE STASIO
Nella letteratura musicale contemporanea il concettuale é una miscellanea
narrativa che ha uno svolgimento storico e afferisce a momenti e situazioni
identificative correlate al momento. Una iniziativa che fin dagli esordi aveva
avuto un certo riscontro per aprire e chiudere e soprattutto motivare la
compilazione di un insieme di brani. Di estrema significazione anche i titoli
dati alle canzoni o in genere alle composizioni musicali, sempre in perfetta
consonanza con il tema centrale della storia da raccontare.
Da qui il passo verso ampi scenari di disponibilità alla proiezione della
propria inclinazione hanno condotto a ricercare forme significative,
espressive e riflettenti se stessi anche in musica, ambito nel quale il
motorismo della società fu applicato nell’utilizzo di nuovi strumenti, nuove
sonorità e raffinatezza stilistica.
Insomma, il futurismo sebbene in una forma rudimentale e a volte appena
accennata, avrebbe spalancato le porte ad una visualizzazione soggettiva
impregnata di divenire, di sensazioni urbane ed emozionali la scena
successiva.
La musica è esperienza significativa di percezione del reale, simbolo di
tempi in mutamento progressivo, a spirale, concentrici anche relativamente al
qui ed ora traslato e frammentato in tasselli minimi. E’ quanto accadeva con
gli sperimentatori artefici della band Art of Noise agli inizi degli anni ‘80 del
XX secolo. Gli Art of Noise veicolarono una sorta di discussione-crescita
all’interno di una discussione-società-sistemi acclarati in contemporanea ed
in essa trovarono il terreno di applicazione della loro sperimentazione. Ecco
il futurismo: nell’unione, nel nucleo, le differenze, sintomo di libertà,
parolibera, suono libero evocativo e mai sublime o distante, ma dentro la
scorza delle cose. Respiro di un’epoca oscillante. La conoscenza capillare di
sistemi musicali diversi, la letteratura ed una fervida immaginazione, insieme
ad una indiscutibile
competenza nell’uso dello strumento musicale,
portarono alla celebrazione di un ritmo altamente privatistico tale da suscitare
ammirazione nei coevi ed essere spunto per sonorità sperimentali successive,
con stravolgimenti ritmici e una cromia reale al suono. Una tecnica
assolutamente nuova nel qui occidentale, riconducibile a quelle sonorità
esotiche, pressoché naturali, tipiche di popoli distanti dal meccanicismo
contemporaneo, i cui ritmi erano fortemente impregnati di religiosità, di
individualità, di significazioni adattate all’azione e al pensiero dell’uomo.
Il risultato è la concordanza di suoni minimi e chiarificanti dotati di una
forza impetuosa, uno Sturm und Drang come agisce come tempesta che si
frantuma in grani d’acqua in una sintesi di uomo-natura, in una varietà
compositiva che media tra la capacità creativa e le sensazioni condotte dallanella natura stessa, con influenze popolari diverse in una sorta di
globalizzazione ritmica. Esempio di estrema novità, reso nella ritmicità acuta,
talora esagerata e ricorrente di una strumentazione adeguata all’esplorazione
musicale. Un ritmo filosofico-linguistico, in cui l’intensità del tono si coniuga
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FUTURISTICA SINFONIA
con l’intenzione e lo strumento idoneo e produce una un’atmosfera altamente
evocativa dell’immagine mentale per renderne la sintesi di linguaggio.
Immagini, atmosfere, timbro vocalico e musicale sono tutti elementi
irripetibili che ormai fanno parte a pieno titolo della storia musicale
contemporanea. Un’innovazione che apre al Pop, al Synth Pop come
effervescenti note di un tempo slanciato verso novità ed esemplificativo della
emergente società del futuro.
Il contesto è la cornice di attuazione della ricerca-azione degli
sperimentatori di ogni tempo. Da qui si articola l’osservazione di circostanze
contingenti afferibili a cambiamenti che vivacizzano la scena esistenziale con
una fragorosa velocità di mimetismo. E’ il Just in Time di cui già parlavo
inizialmente, che riconduce all’efficacia della strutturazione a sintesi, che nel
tempo del computerismo ricorre ad un sistema basato sulla campionatura
ottenuta dalla mescolanza di strumenti.
Gli anni ’70 e ’80 furono una vera fucina di talenti nell’ambito della
sperimentazione, riconducibile ad un’imponente organizzazione che partiva
dal presupposto di innovazione allargata e accolta da un pubblico che ambiva
a partecipare della sperimentazione. All’ascoltatore partecipe “desiderato”
dai futuristi andava sostituendosi un pubblico sempre più nutrito di
“specialisti” pur con storie minime e differenti: si pensi all’escalation di sale
musicali, di corsi di preparazione musicale, la nascita di private band e
concorsi musicali ambiti da quanti osavano, osano sperimentare innanzi tutto
nel chiuso di stanze adibite a laboratori di sperimentazione, prima di
affacciarsi sulla scena pubblica e mettersi palesemente in gioco.
La musica acquisisce ulteriormente il ruolo di interprete e messaggero di
svolta sociale e culturale. Oggi, nel decennio del terzo millennio, la storia
continua pur tra miriadi di granelli di polvere che dal letargo emergono per
imitazione e falsa identità.
Penso a questi autori come post-futuristi d’eccellenza – pur non mancando
altre figure dalla sperimentazione talentuosa evidente – per la capacità di
condensare in un unico sistema l’organizzazione linguistica della musica
costruita per significare l’azione di parola=nota musicale con l’intenzione,
l’atmosfera, la configurazione narrativa sincronica, immagini prospettiche e
capacità funamboliche per trasformare il momento musicale in validissimo
strumento di considerazione spaziale e temporale all’unisono, tanto da
produrre un contesto “parlato” con voce univoca.
Non un phantasma (Giulio Cesare – W. Shakespeare) ma una realtà
evidente.
Insomma, per poter evidenziare l’evoluzione ad oggi della musica futurista
in quanto riflessione storica, occorre far riferimento ad un sistema che
consideri i vari passaggi collegati tra loro da schemi che potrei definire di
interpunzione, o sospensione o esplicativi di un’organizzazione frammentata
che non è immediata, ma comprensibile nel tempo, temperata dall’energia
compulsiva della variabilità.
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CARMEN DE STASIO
In realtà occorre sempre considerare che non esistono stacchi totali dalle
origini, né fu all’epoca “presuntuosa scissione” quella operata dai futuristi,
come oggi, all’alba di un nuovo secolo, non si può avere la pretesa di
cancellare gli approcci intenzionali e intellettuali con gli slanci impetuosi di
un urlo di rinnovamento.
Arma la prora e salpa verso il mondo
Questa frase, impressa sulla retrocopertina di La Nave di Gabriele
D’Annunzio urla come una sentenza, un monito, un’incitazione a proseguire
nella ricerca di un miglioramento che solo affrontando un viaggio solitario,
lontano dal canto distraente delle sirene in agguato, lontano da illusori miti e
facili codificazioni, il viaggiatore sperimentatore potrà esaudire. Un viaggio
continuo, che si avvarrà di tecnologie e mezzi sempre più avanzati; che godrà
in quanto egli stesso fautore, attivo traduttore di movimenti concessigli.
Armonizzerà le facoltà di riflessione, di immaginazione e di parola a lui
concesse, amalgamando le energie di ogni formula sperimentata.
Nella traslazione di se stesso unificherà il significato massimo di creazione,
ovvero la sua capacità creativa.
La sua funzione di costruttore di realtà.
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