Soderini ad Empoli

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Walfredo Siemoni: LA DAMNATIO MEMORIAE DEL
PALAZZO SODERINI A EMPOLI
L’osteria della Cervia, lo stallone dei Ticciati ed un affresco attribuito a Raffaellino del Garbo
Di Walfredo Siemoni
Se, per quanto concerne gli edifici religiosi, sia pure a differenti livelli, è stata effettuata una
indagine del non indifferente patrimonio storico-artistico del territorio empolese, per quel che
riguarda l’edilizia civile il capitolo è ancora tutto da scrivere. E’ forse scontato che, proprio in virtù
dell’appartenere ad una famiglia particolare, la casa, il palazzo, con quanto vi si conservava appare
da sempre sottoposto alle alterne fortune e alla conseguente dispersione e, talvolta, a drastici
mutamenti architettonici al punto da renderlo irriconoscibile. Ciò nonostante sarebbe una ricerca da
fare sia pure iniziando con una semplice campionatura di quegli edifici che tuttora conservano
traccia del loro glorioso passato.
Se l’espressione damnatio memoriae ha un senso questa può senza dubbio essere applicata al
palazzo posseduto da una delle maggiori famiglie fiorentine - i Soderini - che nella millenaria storia
cittadina abbiano risieduto in Empoli,se non edificato, quantomeno ingrandito da Francesco (14531524) cardinale di Santa romana Chiesa. Figlio di Tommaso (1403-1485) e fratello del forse più
noto Piero, gonfaloniere a vita della neonata repubblica fiorentina dopo la parentesi savonaroliana,
professore dell’università pisana, questi scalò rapidamente la gerarchia ecclesiastica. Protetto da
Sisto IV prima e da Innocenzo VIII poi fu ordinato sacerdote solo nel 1486 assumendo la carica di
vescovo di Volterra, carica che mantenne sino al 1509 quando rinunciò a beneficio del nipote
Giuliano di Paolantonio. Filofrancese, fu grazie alla protezione di Luigi XIII che ricevette la dignità
cardinalizia di santa Susanna nel1503 a cui aggiunse, l’anno successivo, il vescovado di Cortona, e,
nel 1513, la diocesi di Tivoli oltre ad altri benefici minori. Coinvolto nella congiura del cardinal
Riario dovette fuggire da Roma; in seguito ad un ennesimo complotto, stavolta contro l’olandese
Adriano VI, fu imprigionato in Castel sant’ Angelo per essere liberato solo alla di lui morte e alla
conseguente elezione di un papa mediceo, Clemente VII (1).
1) Palazzo Soderini, ingresso su via dei Neri
Questo denso e di per sé arido elenco di fatti è utile, ritengo, per inquadrare il nostro personaggio,
abile politico e scaltro diplomatico nel difficile contesto dell’Europa del primo Cinquecento.
Proprietario di vari palazzi e residenze la più nota delle quali fu senza dubbio il palazzo già Riario
ed ora Altemps, attualmente sede del Museo Nazionale Romano, acquistato nel 1511 e per lui
abbellito da due dei principali architetti attivi a Roma in quegli anni: il giovane Antonio da Sangallo
ed il senese Baldassarre Peruzzi (2). Colto e raffinato in arte quanto spregiudicato in politica, il
nostro cardinale pare davvero incarnare la quintessenza del Principe rinascimentale. Nell’altro
palazzo romano di proprietà della famiglia presso il Mausoleo di Augusto era nota la collezione di
antichità dell’altro nipote, Francesco, in cui si annoveravano pezzi di grande qualità, tra tutti il
celebre Arrotino poi pervenuto nelle collezioni medicee e da qui alla Tribuna degli Uffizi (3).
Ed il cardinal Francesco possedeva un palazzo in Empoli….
Come ebbi corsivamente a darne notizia vari anni fa, il palazzo era compreso tra le attuali vie Del
Papa, di santo Stefano e dei Neri, situato pertanto nel cuore cittadino (4). La storia pare essersi
accanita su questo edificio, smembrato e fuso con quelli circostanti al punto che una ricostruzione
anche solo della pianta appare, allo stato attuale delle cose, assai problematica. A testimonianza
della passata grandezza del suo antico proprietario resta la parte inferiore del prospetto su via dei
Neri. Il portoncino archiacuto è chiaro indice di una realizzazione quantomeno cinquecentesca
come pure la borchiatura chiodata che ne suddivide le ante in due coppie di simmetriche formelle; il
consunto stemma lapideo, realizzato in pietraforte e posto a fianco immediatamente al di sopra di
una delle finestre terrene, lo riferisce senz’ombra di dubbio alla famiglia Soderini.
2) Stemma Soderini, sec.XV
La semplice tipologia, a scudo appeso in cui tuttora si distingue, sia pure con una certa fatica, la
triplice serie dei corni di cervo, emblema della famiglia, ne collocherebbe l’esecuzione attorno al
primo Quattrocento, elemento atto a fissare sia pure in modo approssimativo la prima edificazione
del palazzo(5). Termini utili a confermare una simile datazione appaiono l’assenza di consueti
attributi dei Soderini quali il galero cardinalizio, concesso a Francesco nel 1503, e le chiavi
pontificie, donate da Paolo II al di lui padre, Tommaso, ambasciatore a Roma nel 1464, invece
presenti nello stemma che tuttora orna l’architrave della primitiva sala capitolare dei minori di santa
Maria a Ripa, emblema riferibile però ad altro membro della stessa famiglia (6).
3) Ceramelli-Papiani, Stemma della famiglia Soderini di Firenze
Una non facile ricerca tra i Catasti del periodo potrebbe essere illuminante nel collocare, sia pure in
modo approssimativo, l’arrivo della nobile famiglia fiorentina nell’empolese la cui presenza,
inspiegabilmente, parrebbe non aver lasciato particolari segni nel nostro territorio certo anche a
causa della loro appartenenza al partito antimediceo definitivamente sconfitto con l’ascesa del
primo Cosimo.
4) Stemma Soderini, inizi sec. XVI, santa Maria a Ripa, sacrestia, già sala capitolare, stipite
dell’ingresso
Nessuna della consuete fonti – dalle piante tardocinquecentesche dei Popoli alle annotazioni del
ciarliero canonico Figlinesi certosinamente trascritte da Mario Bini – menziona il cardinale o la
famiglia se non in modo sporadico. Fatto altrettanto inconsueto, per di più per un casato così
importante, non risultano altari di loro patronato all’interno delle numerose chiese del piviere
empolese né il pur sempre prolifico canonico Pogni ricorda alcuna iscrizione ad essi riferibile.
Niente…
A ulteriore riprova di come, in modo affascinante e solo in apparenza inspiegabile, i fatti della storia
si intreccino tra loro, è un prezioso ricordo appartenente alla Compagnia dell’Annunziata posta
nella chiesa agostiniana di santo Stefano. In esso si afferma come il nostro porporato nell’agosto
1502 acquistò dai confratelli una casetta e orto di detta Compagnia in Empoli accanto alle stalle di
detto monsignor vescovo; il ricordo prosegue affermando che la detta casetta e orto furno disfatte e
fu ridotto tutto a uso di stallone e unito allo stallone vicino al detto palazzo, ambiente che sappiamo
in seguito incorporato nell’edificio dell’Accademia dei Gelosi, poi Impazienti, a fianco della chiesa
agostiniana e pertanto prospiciente il nostro palazzo (7).
Parrà quindi ipotizzabile con sufficiente credibilità che monsignor Francesco Soderini nei primi
anni del Cinquecento, forse in prossimità alla sua elezione al cardinalato, non si sia limitato ad
ingrandire le proprie stalle ma debba aver rinnovato ed ampliato anche la propria residenza
empolese come vedremo tra breve. Una significativa testimonianza in tal senso giunge dal piano
terreno dell’edificio il quale conserva tuttora, sia pure ampiamente rimaneggiate, le strutture
architettoniche cinquecentesche. L’accesso avviene dal portale archiacuto su via dei Neri il quale
immette in un lungo androne che attraversa il palazzo e l’intero isolato, rispondendo su via via Del
Papa con quello che doveva essere logicamente l’ingresso principale dell’edificio. La struttura
dell’ambiente appare formata da una coppia di brevi volte a crociera presenti anche presso l’altra
estremità, poggianti su eleganti peducci in pietra serena.
5a) Peduccio Palazzo Soderini
La restante architettura è formata da cinque snelle campate in cui i medesimi elementi sorreggono
crociere ungulate. Alla destra delle prime due, in origine doveva aprirsi una piccola corte, forse un
giardino segreto, le cui colonne in pietra serena arricchite da sobri capitelli di ordine ionico
dovettero essere tamponate già in epoca antica stando alle mostre lapidee delle finestre che vi
furono ricavate al loro interno. Ai lati dell’androne, prospicienti la centrale via Del Papa, sono due
ampi vani i cui peducci, analoghi agli altri, tenderebbero a ritenerli coevi agli altri al pari dell’intero
ambiente terreno.Gli elaborati peducci fogliati dell’androne, elegante variante corinzia conclusa da
una lunga goccia, presentano caratteristiche stilistiche tali da riferirli alla medesima ditta, quella di
Agnolo di Pacino associato col figlio Andrea (detti anche Pacini) che attorno al 1505 eseguiva, oltre
all’oratorio della Compagnia della Croce, la nuova volta, anch’essa ungulata, nel refettorio del
limitrofo convento di santo Stefano, nonché dell’attigua cucina. La stringente affinità stilistica e
decorativa è tale da reputarli eseguiti nel medesimo giro di anni, circostanza che collima con
l’acquisto della ricordata casetta e quindi col probabile ampliamento del primitivo edificio.
5b) Peduccio convento di Santo Stefano
Tutto ciò porterebbe ad ipotizzare l’ampliamento o quanto meno il rinnovamento, di un più antico
edificio, come attestato dallo stemma quattrocentesco, collocando l’edificazione del palazzo
Soderini negli anni attorno al 1505 (8). Determinato con una sufficiente quanto credibile
approssimazione il periodo in cui l’edificio ricevette l’attuale assetto, almeno alla luce di quanto è
possibile capirne allo stato attuale, veniamo all’affresco che tuttora vi si conserva .Credo che, pur
nella non invidiabile indifferenza in cui giace da lungo tempo il patrimonio artistico cittadino,
questa piccola e garbata pittura possa detenere, senza possibilità di smentita, la maglia nera
dell’abbandono.
Si tratta di una lunetta di modeste dimensioni posta all’interno dell’ingresso lungo via dei Neri, da
molti decenni accesso secondario del palazzo comunale e, come spesso accade alle cose troppo in
vista, mai notata da alcuno, almeno a quanto mi consta. Realizzata ad affresco, questa versa in non
troppo felici condizioni ma l’augurio è che queste poche righe possano contribuire a restituirle la
dignità che le spetta oltre a recuperare una parte del nostro passato. Nonostante vari strati di pesanti
scialbature si notano ampie zone di colore sia pure alquanto deteriorato; chiaramente leggibile
risulta la scena raffigurata, l’Adorazione del Bambino. Al centro è la Madonna, nella variante umile,
inginocchiata ed adorante un robusto Bambino disteso sull’erba, illuminata dalla stella maris
oramai priva dell’originaria doratura, perduta al pari di quella che dovevano presentare i nimbi delle
altre figure. Sulla sinistra si scorge un angelo, anch’esso genuflesso in atto adorante presso il quale
è una seconda figura maschile, anch’essa inginocchiata, forse un pastore come tenderebbero ad
identificarlo le vesti stracciate ed i calzari oppure il piccolo Battista del quale tuttavia non è dato di
scorgere neppure l’impronta della consueta aureola ma in questo caso le precarie condizioni in cui
versa la figura, non chiaramente leggibile a causa delle pesanti scialbature che in gran parte ancora
la nascondono, non consentono di identificarla con sufficiente chiarezza.
6) Raffaellino del Garbo, (attr.) Adorazione del Bambino, primo decennio del XVI secolo
La parte destra della pittura si apre in un profondo quanto sereno paesaggio nel quale si nota una
coppia di cavalieri forse in combattimento. Un’attenta osservazione, ma pare più che ovvio che ogni
giudizio in merito debba restare necessariamente sospeso sino al provvidenziale e speriamo non
troppo lontano recupero della pittura , permette di considerarla coeva all’architettura che la
contiene, i primi anni del XVI secolo.
7) Ridolfo del Ghirlandaio, ritratto di Francesco Soderini (), c.1520, Chambery, musée des beaux
arts
I gracili alberelli che si stagliano, in maniera un po’seccamente simmetrica sul fondo della scena
tenderebbero a porre l’ignoto autore in ambito peruginesco, o più verosimilmente, da collegarsi agli
anni in cui il giovane Raffaello si trova a Firenze in cerca di occasioni per farsi notare, quindi entro
il 1508, anno in cui accetta la prestigiosa offerta dell’amico e concittadino Bramante per recarsi a
Roma ad affrescare il nuovo quartiere che l’architetto aveva da poco realizzato per papa Giulio II. Il
nostro cardinale Soderini, oltre che abile politico, era uomo di grande cultura, collezionista di statue
antiche e attento conoscitore della pittura a lui coeva, indirizzandosi come è logico attendersi da una
persona della sua levatura sociale nonché della sua generazione, verso un gusto solo
apparentemente moderno, tra l’altro in linea con l’ambiente della curia romana ma non solo di essa,
come starebbe ad indicare il ritratto che commissionò in età avanzata a Ridolfo del Ghirlandaio,
noto autore del primo Cinquecento fiorentino ma non certo rappresentante delle tendenze più
innovative (9). Un altro significativo indizio degli orientamenti artistici del cardinale è la notizia
relativa ad un suo incarico al carmelitano Girolamo da Brescia (noto dal 1494 al 1529) di dipingere
nel 1503, pertanto proprio negli anni che stiamo trattando, il proprio stemma al di sopra del portale
della chiesa fiorentina di san Frediano. Si tratta anche in questo caso di una personalità minore,
attivo tra Firenze e la Liguria caratterizzato da uno stile pittorico tradizionale quanto devoto, non
lontano dal gusto che impronta la lunetta empolese sia pure questa parrebbe di un livello maggiore
(10).
A questo punto è d’indubbio interesse conoscere come il cardinale, essendo a capo della diocesi
volterrana, nei medesimi anni in cui probabilmente amplia il proprio palazzo empolese, ebbe anche
a curare un profondo riassetto di una delle chiese poste all’estremo della sua giuriusdizione, l’antica
pieve di santa Maria a Chianni, distante da Empoli solo poche decine di chilometri. Come a suo
tempo rilevai, è all’attività del porporato che si deve il riassetto dell’area battesimale in quanto al di
sopra dell’arcata che custodisce il fonte campeggia il suo stemma ornato del galero, il che mi
permise di circoscrivere l’intervento ad un ristretto arco di tempo, tra il 1503 ed il 1509 appunto.
8) Raffaellino del Garbo, (attr.) L’Eterno adorato da una coppia di angeli, c. 1503 – 1509, pieve di
santa Maria a Chianni
Il piccolo vano ricavato nella controfacciata fu arricchito, certo negli stessi anni, da un affresco
raffigurante il battesimo di Cristo, malauguratamente perito negli interventi ottocenteschi che
coinvolsero la pieve di Chianni e testimoniato da un disegno coevo, coronato da una lunetta con
l’Eterno adorato da una coppia di angeli tuttora visibile (11). Confronti stilistici mi convinsero a
riferire la pittura ad una figura minore del primissimo Cinquecento, Raffaello de’ Carli, noto anche
come Raffaellino del Garbo (c.1466-1524) autore anche della pala d’altare che decora la non troppo
lontana chiesa di san Vivaldo, in genere posta attorno al 1516, ma personalmente, già in tempi non
sospetti, ero incline ad anticiparne l’esecuzione al decennio precedente il che, in maniera suggestiva
quanto intrigante, la porrebbe in prossimità sia dell’affresco di Chianni che di quello empolese (12).
9) Raffaellino del Garbo (attr.) Madonna con Bambino adorata da santi, primo decennio del XVI
secolo, Montaione, chiesa di san Vivaldo
Nonostante le condizioni in cui versa il nostro affresco i volti degli angeli di Chianni tradiscono una
vistosa affinità con questi ultimi; un’ulteriore conferma può giungere dall’evidente raffaellismo di
quest’opera, una tra le principali caratteristiche della produzione dell’eclettico pittore fiorentino. La
coppia di guizzanti cavalieri alle spalle della Madonna nel loro acceso dinamismo, mostrano
probabili contatti con celebri opere leonardesche, quali le figure sullo sfondo dell’adorazione degli
Uffizi come pure i guerrieri della battaglia d’Anghiari, vera scuola del mondo sia pure tradotte in
un linguaggio più corsivo e semplificato. Pare pertanto un’ ipotesi assai percorribile ritenere che il
cardinal Francesco Soderini nel decorare il proprio palazzo scegliesse un autore il quale, nei
medesimi anni, già lo aveva soddisfatto a Chianni. Riterrei, fermo restando la giustezza dell’
attribuzione, secondario e a tal fine ininfluente, stabilire la priorità dell’opera empolese su quella di
Chianni o viceversa, in quanto entrambe eseguite, come credo di aver dimostrato a sufficienza,
nello stesso giro di anni.
Ulteriori conferme di questa attribuzione a Raffaellino, del quale abbiamo pochissime testimonianze
ad affresco, o al più alla di lui bottega, ma parrebbe difficile ritenere che il cardinale si
accontentasse di una qualche figura secondaria per decorare il proprio palazzo, giungono da
confronti con altre opere riferite all’eclettico autore. Pressoché identica trovo la posizione della
Madonna in almeno due delle numerose opere a lui riferite raffiguranti tale tema: la figura già nella
Collezione Kress ed ora in collezione privata statunitense o quella ad Oxford in cui anche la figura
del Bambino parrebbe perfettamente sovrapponibile a questo empolese mentre l’angelo si apparente
in modo stretto a quella della tela americana. Il tondo conservato all’Oxford Church Museum,
raffigurante la Madonna adorante il Figlio tra i santi Lorenzo e Maddalenapresenta anche un
piccolo quanto robusto san Giovannino la cui postura inginocchiata ricorda assai la figura non del
tutto identificabile nell’affresco empolese (13).
10a) Raffaellino del Garbo, (attr.) angelo adorante (palazzo Soderini)
Tali fattori stilistici trovano, come già anticipato, piena conferma da quanto affermato dalle rade
fonti storiche le quali, unite alla lettura degli elementi architettonici, concorrono a fissare l’
esecuzione della pittura negli anni attorno alla metà del primo decennio del Cinquecento.
Rare ma preziose testimonianze ricordano inoltre come Francesco Soderini ebbe a soggiornare nel
palazzo varie volte in questi anni d’inizio secolo facendone ipotizzarne molte altre delle quali non
resta traccia alcuna, tutte circoscritte al primo decennio del secolo mostrando in tal senso
un’altrimenti sconosciuta predilezione per il sito empolese forse ritenuto più tranquillo oltre che
protetto da orecchie indiscrete rispetto ai sontuosi palazzi romani. Questo è deducibile da varie
lettere quali una missiva indirizzata, nell’agosto 1502, a Nicolò Machiavelli, o quella rivolta al
cardinal Ippolito d’Este nel settembre 1509 entrambe vergate ad Empoli.
10b) Raffaellino del Garbo, angelo musico (Pieve a Chianni)
Pochi mesi prima, nel luglio dello stesso anno, sappiamo della stipula di un atto notarile alla
presenza di Giovanni Girolami, suo uomo di fiducia nel tenere i collegamenti con la corte francese,
appena tornato da una missione diplomatica in Lorena per conto del cardinale, avvenuta proprio nel
palazzo empolese ad ulteriore prova della non secondaria importanza dell’edificio da parte del
porporato al quale non difettavano residenze ben più prestigiose (14). Altri fattori concorrono
inoltre a lasciar intravedere una prolungata residenza in città da parte del prelato; parrebbe
altrimenti incomprensibile perché, nei medesimi anni (1504) nomina proprio l’empolese Piero di
Leonardo Giachini, canonico della pieve di sant’Andrea, suo familiare nonché cappellano a
Volterra (15).
Forse in seguito alla rinuncia alla diocesi volterrana e ai fatti che lo videro protagonista all’interno
della curia pontificia, il cardinale dovette allontanarsi da Empoli o almeno risiedervi in modo
sporadico.
Il palazzo, anche dopo la morte che lo colse a Roma nel 1524, dovette restare per un certo periodo
in mano alla famiglia, forse del fratello PierAntonio che ereditò il giardino di antichità romane; fatto
sta che, ancora nel 1541, l’edificio è ricordato come possesso dei Soderini da parte di Ugolino
Grifoni il quale, in una lettera a PierFrancesco Riccio, segretario del duca Cosimo, ricorda come
questi vi soggiornò insieme alla granduchessa Eleonora in avanzato stato di una delle numerose
gravidanze per cui la nobildonna alloggiata nel palazzo insieme al regale consorte cominciò a
vomitare et di gran maniera cosa che fu interpretata di buon auspicio per il prossimo parto! (16).
A metà secolo l’edificio pare facesse ancora parte delle proprietà dei Soderini nonostante l’ira
granducale che nel 1555 colpì la famiglia, dichiarata ribelle, per cui molti dei loro beni furono
confiscati. Il palazzo empolese dovette tuttavia restare ai Soderini come attesta la Decima pagata
nel 1562 da GiovanVittorio, unitamente a varie proprietà fondiare tra Pagnana,Vitiana e Pianezzoli.
Dal ricordo già citato veniamo a conoscenza che, sin dallo stesso 1562, questa casa era ridotta a
uso di osteria appigionata in detto anno a Francesco di Papo Ticciati per contratto di I° novembre
1562; l’osteria, detta poi della Cervia dei Soderini probabilmente a causa dello stemma lapideo
tuttora non identificato presente sul breve prospetto lungo via di santo Stefano, fu in seguito
semplicemente indicata col nome dell’animale. Per quanto riguarda i Ticciati, questi, con pubblica
asta si aggiudicarono nel 1594 le stalle del cardinale, in seguito inglobate nella nascitura Accademia
dei Gelosi, ed indicate col nome dei nuovi proprietari come lo stallone dei Ticciati i quali dovettero
mantenerne il possesso per l’intero XVII secolo (17).
In una parte del palazzo, forse unendolo con gli edifici limitrofi, fu in seguito collocato il Monte Pio
cittadino fondato per volere di Cosimo I sin dal 1570 ma, secondo quanto ricorda il Lazzeri, sia
pure in modo purtroppo troppo generico, tutti questi locali essendo troppo angusti per l’azienda del
medesimo Monte… fu trasferito dove è di presente cioè nelle vaste stanze terrene della Cancelleria
che era in antico un’osteria detta “della Cervia” di proprietà della famiglia Ticciati d’Empoli da
cui la Comunità a spese del Monte la prese a livello (17). Quando questo dovette accadere non è
dato di saperlo con esattezza; certo dopo l’alienazione del palazzo da parte dei Soderini (1594),
forse, addirittura nel primo Settecento quando i Ticciati saldarono il debito con la Compagnia
dell’Annunziata e, magari questi non volevano più saperne dell’osteria la quale fu forse inglobata
allora nel palazzo del Monte Pio.
Ad ogni buon conto l’edificio dovette certamente subire non poche trasformazioni alle quali si
aggiunsero quelle tardo ottocentesche, ancora più consistenti, particolarmente significative nel
prospetto di via Del Papa, in quanto con l’unità nazionale il palazzo fu scelto quale sede dell’
amministrazione comunale in luogo dell’antico pretorio, funzione che tuttora, almeno in parte,
mantiene, perdendo i connotati originari se non nel già ricordato androne.
Del palazzo Soderini e del suo illustre proprietario, forse anche in virtù dell’anatema ducale, si
perse in breve anche il ricordo, solo tramandato in alcuni toponimi seicenteschi per poi infine
scomparire anch’essi gettando l’edificio ed il suo antico proprietario nel più profondo oblio.
NOTE
1) Sull’interessante e non priva di un certo fascino figura di Francesco Soderini si rimanda
all’omonima voce in :Wikipedia e alla bibliografia in essa contenuta. Sul cardinale si raccomanda
inoltre la lettura di: K.J.Lowe, The life and career of Cardinal Francesco Soderini, 2002, purtroppo
di non facile reperibilità.
2) Sulle vicende di palazzo Riario, poi Altemps, cfr. Palazzo Altemps: Indagini per la fabbrica
Riario, a cura di F. Coppola, A.Maresca Campagnaro, 1987. Sui possessi romani del cardinale
vedasi anche: Lowe, cit., pp.122-23, note 1 e 2.
3) Su questo interessante ruolo di collezionisti svolto a Roma dai Soderini si rimanda all’ottimo
saggio di A.M. Riccomini, A garden of statues in marbles: the Soderini collection in the
Mausoleum of Augustus, JWCJ,, 1995, pp.277-78. Cfr. inoltre: R. De Angelis D’Ossat, Il marchese
Correa e il Mausoleo di Augusto, in: Illuminismo e illustracion: le antichità e i loro protagonisti a
cura di J.B.Fortes, 2003.
4) Ne detti una sia pur breve comunicazione in: Empoli. Una città ed il suo territorio, Empoli,
1997, p.37.
5) Interessante, o perlomeno curioso, rilevare come, tranne quello presente a santa Maria a Ripa,
questo sia il solo stemma Soderini presente nel territorio empolese.
6) Sull’araldica della famiglia Soderini, suddivisa nei rami fiorentino, romano e veneziano, cfr.
Ceramelli-Papiani, in: Archivio di Stato, Pisa, 2008. Ebbi modo di notare lo stemma nel complesso
francescano in occasione del lavoro svolto a quattro mani con Lucia Pagni: La chiesa ed il convento
di santa Maria a Ripa. Storia architettura e patrimonio, Tirrenia, 1988, p.35, in cui riferivo in via
ipotetica tale stemma al matrimonio tra Maddalena di Nicolò e Benedetto di Uberto Adimari, uno
dei patroni fondatori dell’insediamento minorita, celebrato nel 1484.
7) Archivio della Collegiata di sant’Andrea n. 356, cc. nn. alla data 26 agosto 1502. Il lungo quanto
dettagliato ricordo è originato dalla vertenza che vide contrapposti la Compagnia dell’Annunziata
ed i Ticciati, rei di non aver pagato sin dal 1652 l’affitto dello stallone, come da contratto, e
pertanto condannati a risarcire la confraternita solo con sentenza del 6 settembre 1709 !!
8) Essendo tuttora in gestazione la riedizione, riveduta ed ampliata, in cui troveranno posto non
poche sorprese, faccio riferimento al mio vecchio testo, La chiesa ed il convento di santo Stefano
degli agostiniani a Empoli , Firenze, 1986, p.42.
9) Il riferimento a Ridolfo del Ghirlandaio si trova in: Lowe, cit, p.281 oltre che nella pagina
monografica di Wikipedia dedicata a Francesco Soderini; di questa pittura, conservata al Musee des
Beaux Arts di Chambery e riferita agli anni Venti del Cinquecento, ne esistono altre quattro copie di
varia qualità: a Gosford House (Coll. Earl of Weymess), a New York (Coll. Wildenstein, a
Poitiers(Coll. Campana) e a Firenze (Coll. Campana); quest’ultima con un’insolita veduta
paesaggistica non presente negli altri dipinti. La maggior qualità dell’ esemplare di Chambery, tra
l’altro a figura intera, lo porterebbe ad identificarlo come modello degli altri quattro. La scheda del
museo di Chambery (Joconde, Portail des collections des musées de France) identifica il
personaggio del dipinto con PierFrancesco Soderini, il cui nome appare confuso nelle quattro copie
con Piero Soderini, la cui ampiamente nota iconografia differisce totalmente dall’effigiato.
10) Su questa figura minore, non priva di una certa suggestione arcaizzante, cfr.: S. Falabella; a lui
riferite Girolamo da Brescia, voce monografica in: Dizionario biografico degli italiani, vol.56,
2001 ed alla bibliografia in esso riportata.
11) Su questa interessante problematica cfr. quanto ebbi ad affermare in: Santa Maria a Chianni.
Una pieve lungo la via Francigena , Certaldo, 2003, pp. 27-30.
12) Su Raffaello de’ Carli o Raffaellino del Garbo si veda: Anna Padoa Rizzo, Voce monografica
in: Dizionario biografico degli italiani, vol. 20, 1977 e alla ampia bibliografia in esso contenuta per
quanto oramai non più aggiornatissima. Per un rapido punto sull’attribuzione a Raffaellino della
pala di san Vivaldo cfr. W. Siemoni, Il ritorno di san Vivaldo, in: Miscellanea Storica della
Valdelsa, n.3, 1990. In esso dissentivo, per vari motivi, storici quanto stilistici, da una tarda
datazione attorno al 1520 in favore di una prossima all’edificazione della chiesa, nei primi anni del
Cinquecento.
13) Un utile quanto rapido ed istruttivo confronto tra l’affresco empolese e le succitate opere, a cui
è possibile aggiungerne altre stante la non particolare originalità con cui il nostro pittore affronta
tale tema, è effettuabile tramite la consultazione dei materiali fotografici consultabili presso la
Fondazione Federico Zeri.
14) La lettera indirizzata a Nicolò Machiavelli in data 10 agosto 1502, è consultabile in: Indice
generale delle Lettere, a cura di G. Borghi, 1996. Quella al cardinal Ippolito, 1 settembre 1509, si
trova in: Lowe, cit., p.122 nota 1. La notizia del contratto stipulato nel palazzo empolese è
contenuta in: Giovanni Girolami, Dizionario biografico degli italiani, vol.56. Torino, 2003 a cura
di Vanna Arrighi Tomberli.
15) La notizia è contenuta in: Inventario dell’archivio Salvagnoli Marchetti,
16) La curiosa notizia si trova in: The Medici Archive project, doc. 5945 alla data 10 gennaio 1542.
La notizia che i beni empolesi erano pervenuti a Giovanvittorio è nella già citata memoria della
Compagnia dell’Annunziata (Arch. Coll. 356). Sui pochi possessi fondiari relativi ai Soderini nel
tardo Cinquecento cfr. L. Guerrini. W. Siemoni, Il territorio empolese nella seconda metà del XVI
secolo, Firenze, 1987, pp.213, 219, 223.
17) Arch. Coll, Ivi; il nipote Giovanvittorio Soderini (1526-1597) ebbe una vita altrettanto
avventurosa conclusa da una condanna a morte in seguito ad uno scritto circa la misteriosa – ma
non troppo – morte del granduca Francesco e di Bianca Cappello in seguito commutata in esilio a
vita. Sul suo passaggio della proprietà empolese cfr., ancora una volta, Arch. Coll, Ivi; il toponimo
di stallone de’ Soderini ricorre varie volte nella storiografia locale, ad esempio in: Vecchie famiglie
empolesi a cura di Mario Bini, in: Bullettino Storico Empolese, n.3, 1964, n. 1097 in cui vi viene
ambientato un evento miracoloso durante l’occupazione spagnola successiva al saccheggio del
1530. Il nome di osteria della Cervia de’ Soderini compare in :Ivi, n.1223 e non si sottolineerà mai
abbastanza l’importanza di simili contributi nella storiografia, locale e non solo.
18) Inspiegabilmente scarse le notizie riguardanti la fondazione in città di un’istituzione di tale
importanza; i soli a farne un sia pur corsivo riferimento sono il Lazzeri, Storia di Empoli, Empoli,
1878, pp.51-52 e pp.120-121, e il preposto Bucchi, Guida di Empoli, Firenze, 1916, pp. 89-90,
trattando entrambi in modo generico il luogo dove questo si trovasse in origine.
Vorrei ringraziare Alena e Paolo senza i quali questa breve nota non avrebbe mai visto la luce,
nonché per preziosi consigli e l’ottima documentazione fotografica
valfredo siemoni
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