Corso di laurea triennale in Fisica STUDIO DI CORRELAZIONE FRA RAGGI COSMICI NELLA REGIONE DELL’EEV E SORGENTI GALATTICHE CON I DATI DELL’OSSERVATORIO PIERRE AUGER Relatore: Dr Lino Miramonti Correlatore: Dr Viviana Scherini Elaborato di Federico Guercilena matricola 709793 Anno Accademico 2009/2010 2 Indice 1 Raggi Cosmici 1.1 Composizione . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Lo Spettro Energetico . . . . . . . . . . 1.3 Origine dei Raggi Cosmici . . . . . . . . 1.3.1 Accelerazione secondo Fermi . . . 1.3.2 Sorgenti Astrofisiche . . . . . . . 1.4 Propagazione dei Raggi Cosmici . . . . . 1.4.1 Effetto dei campi magnetici . . . 1.4.2 L’effetto GZK . . . . . . . . . . . 1.4.3 Propagazione di neutroni e fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Rivelazione dei raggi cosmici e l’Ossevatorio Pierre Auger 2.1 Fisica degli sciami di particelle atmosferiche . . . . . . . . . 2.1.1 Il modello di Heitler per le cascate elettromagnetiche 2.1.2 Sciami adronici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Rivelatori di superficie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Rivelatori di fluorescenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 8 9 10 11 12 15 15 16 17 . . . . . 21 22 23 24 25 27 3 Identificazione di eccessi di raggi cosmici nella regione dell’EeV 3.1 Il campione di dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Significanza secondo Li-Ma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3 Generazione del fondo isotropo di riferimento . . . . . . . . . . 3.4 Strategia di scan e ottimizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5 Software e risorse di calcolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Possibili sorgenti e 4.1 X-Ray Binaries 4.2 Pulsars . . . . . 4.3 Magnetars . . . studio di . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 32 32 33 34 35 36 correlazione 39 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 3 4.4 4.5 Supernova Remnants . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 Il Centro Galattico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 5 Conclusioni 47 4 Introduzione Nonostante siano trascorsi 98 anni dalla scoperta dei raggi cosmici, molte domande riguardo la loro origine e natura rimangono tuttora senza risposta. Negli ultimi anni tuttavia è stato effettuato un grande sforzo nel campo della fisica delle astroparticelle che ha portato ad un notevole miglioramento delle prestazioni dei rivelatori. Grazie ad i nuovi dati raccolti dagli esperimenti di ultima generazione si sta ora entrando in una fase nella quale finalmente sarà possibile cominciare la ricerca di risposte a tali questioni aperte. In questo panorama occupa una posizione particolare l’Osservatorio Pierre Auger (Pierre Auger Observatory, PAO). Il progetto dell’Osservatorio sfrutta le più avanzate tecniche di rivelazione, combinando inoltre in un unico esperimento dispositivi di rivelazione di superficie e di fluorescenza; impiega due siti di ossevazione, l’uno completo nell’emisfero australe ed un secondo nell’emisfero boreale (la cui realizzazione è purtroppo compromessa a causa della mancanza di fondi), ottenendo quindi una completa copertura del cielo e la massima esposizione totale finora raggiunta; beneficia infine di una collaborazione internazionale di circa 300 scienziati provenienti da 17 nazioni. I dati raccolti dall’Osservatorio permettono ora studi che hanno come scopo di rispondere alle domande sui raggi cosmici di cui sopra, in particolare domande relative alle sorgenti ed ai meccanismi di accelerazione che possano spiegare l’osservazione di particelle con energie di centinaia di EeV. Scopo di questo lavoro è lo studio della correlazione fra le direzioni di arrivo di raggi cosmici di energia maggiore o uguale all’EeV e le posizioni di possibili sorgenti galattiche utilizzando i dati dell’Osservatorio Pierre Auger. La presente relazione è organizzata nella maniera seguente: • Il capitolo 1 fornisce una presentazione dello stato attuale della ricerca sui raggi cosmici, trattando la propagazione degli stessi nel campo magnetico galattico e le possibili sorgenti, argomenti di particolare rilevanza per il presente lavoro. • Il capitolo 2 funge da panoramica sulle tecniche di rilevazione dei raggi cosmici di altissima energia e la loro implementazione presso l’Osservatorio Auger. • Il capitolo 3 insieme al successivo rappresenta il cuore di questo lavoro. Sono descritti qui in dettaglio lo scopo scientifico del lavoro stesso, i dati utilizzati e la procedura di analisi degli stessi studiata e implementata per raggiungerlo. 5 • Il capitolo 4 presenta i risultati dei metodi descritti nel capitolo precedente, vale a dire le posizioni di eccessi di eventi sulla sfera celeste e la correlazione di queste con vari cataloghi di possibili sorgenti. • Il capitolo 5 riassume risultati e conclusioni di questo studio e avanza proposte per l’estensione della ricerca in questo campo. Al termine dello studio sono stati trovati sei eccessi di eventi rispondenti alle caratteristiche precedentemente accennate dotati di un’alta significanza. Tuttavia essi non presentano una significativa correlazione con nessuna delle cinque tipologie di possibili sorgenti considerate (pulsars, magnetars, LMXB, HMXB, SNR), mentre è stata trovato un indizio di correlazione con l’area del Centro Galattico. 6 Capitolo 1 Raggi Cosmici A partire dalla scoperta di Victor Hess nel 1912 [19], lo studio dei raggi cosmici assunse rapidamente una grande importanza come strumento di indagine in vari campi della fisca, particolarmente la fisica delle particelle e l’astrofisica. A partire dallo studio delle reazioni indotte dalla radiazione di origine cosmica si arrivò nell’ambito della fisica particellare alla scoperta del positrone, del muone e del pione. Inoltre, poichè i raggi cosmici pervengono sulla Terra con energie sinora irraggiungibili dagli accelleratori costruiti dall’uomo, essi rappresentano un indispensabile strumento per estendere la nostra conoscenza della fisica delle interazioni fondamentali. Questi stessi raggi cosmici sono d’altra parte oggetto di interesse per l’astrofisca, in quanto portatori di informazione provenienti da sorgenti galattiche ed extragalattiche. In particolare i cosiddetti UHECR (ultra high energy cosmic rays), caratterizzati da energie superiori ai ∼ 1018 eV, dovrebbero puntare direttamente ai propri siti di accelerazione, fornendo una nuova finestra di osservazione sul cosmo complementare allo studio della radiazione elettromagnetica. L’esistenza di UHECR di energia superiore ai 1020 eV, inizialmente riconosciuta da Linsley nel 1966 [25], è stata riconfermata da molti esperimenti successivi. Rimangono tuttora sostanzialmente ignote però la composizione e la natura di questi eventi, e nessun oggetto o fenomeno astrofisico è stato chiaramente identificato come sorgente. Sono stati però elaborati con successo modelli riguardanti la propagazione dei raggi cosmici, la loro interazione con i campi magnetici galattici ed intergalattici, e con la radiazione di fondo cosmico. Sono stati inoltre compiuti progressi nel capire quali meccanismi agiscano nell’accelerazione di queste particelle ad energie tanto elevate. Al7 cuni di questi modelli propongono una nuova fisica come spiegazione delle osservazioni, come il decadimendo o l’annichilazione di particelle esotiche, e possono essere testati sperimentalmente. 1.1 Composizione Il flusso di raggi cosmici che investe il nostro pianeta decresce all’aumentare dell’energia di questi ultimi, ed oltre una certa soglia (∼ 1014 eV, [11])è cosı̀ basso da richiedere tecniche di rivelazione tali da rendere estremamente difficoltosa l’identificazione delle particelle che li costituiscono. Di conseguenza, la composizione dei raggi cosmici è sperimentalmente nota solo per basse energie. Fino a circa 100 GeV i raggi cosmici sono costituiti per l’ 86% da protoni, per l’ 11% da nuclei di elio (particelle alfa), da nuclei di elementi pesanti per l’1% e per il 2% da elettroni. Sono presenti infine anche piccole quantità di antiprotoni e positroni [31]. Fra i vari nuclidi sono particolarmente abbondanti due gruppi di elementi: Li, Be, B e Sc, Ti, Va, Cr, Mn; al contrario idrogeno ed elio risultano essere meno abbondanti di quanto non siano mediamente all’interno del sistema solare [6]. La relativa mancanza di questi due elementi non è del tutto compresa: potrebbe riflettere la composizione degli oggetti responsabili della loro accelerazione, o dipendere dal fatto che elementi più pesanti sono di più facile ionizzazione e quindi accelerazione. Invece è nota l’abbondanza di Li, Be e B essere dovuta a processi di spallazione del carbonio e dell’ossigeno. Questi comuni elementi possono frammentarsi durante il loro tragitto fra la sorgente e la Terra, interagendo con l’elio e l’idrogeno del mezzo interstellare, e producendo quindi elementi più leggeri. Analogamente si spiega l’abbondanza di Sc, Ti, Va, Cr, Mn con processi di spallazione del ferro. La composizione dei raggi cosmici è invece simile a quella del sistema solare nell’abbondanza di carbonio, ossigeno, azoto e ferro; in entrambe si riscontra inoltre una relativa abbondanza o deficienza di elementi a seconda che essi abbiano numero atomico pari o dispari, dovuta ad una maggiore o minore stabilità degli stessi. La composizione degli oggetti sedi dei meccanismi di accelerazione dei raggi cosmici in questa finestra energetica pare quindi non essere dissimile da quella galattica locale. Per quanto riguarda la piccola frazione di elettroni e positroni, i primi sono considerati di origine galattica, ed accellerati direttamente da sorgenti primarie, mentre i secondi sono probabilmente generati secondariamente, ad esempio dalla produzione di coppie da parte degli elettroni primari [6]. 8 1.2 Lo Spettro Energetico Lo spettro energetico caratteristico della radiazione cosmica varia su più di 30 ordini di grandezza in energie comprese fra il GeV e le centinaia di EeV, seguendo una legge di potenza dN/dE ∼ E −α dove l’indice α assume diversi valori in diverse finestre energetiche. Figura 1.1: La figura mostra lo spettro energetico differenziale dei raggi cosmici, evidenziando i punti in cui si trovano il ginocchio e la caviglia. Da [11]. Per basse energie α assume un valore di circa 2.7. All’energia di circa 5·1015 eV compare la prima variazione dello spettro, il cosiddetto “ginocchio” (“knee”), dove la diminuzione del flusso della radiazione si fa più rapida, con un indice α di valore circa 3. A 5 · 1017 eV compare un secondo ginocchio e l’indice α arriva al valore di 3.3. Infine ad energie intorno ai 1019 eV si ha la “caviglia” (“ankle”), dove lo spettro si fa decisamente più piatto, proseguendo con un indice α di valore circa 2.7. Il flusso decade quindi da 9 circa una particella per metro quadro per secondo a 100 GeV fino ad una particella per kilometro quadro per anno sopra i 10 EeV [11][21]. Fino alle energie in cui è situata la caviglia si pensa che i raggi cosmici siano di origine galattica. Il modello standard per la descrizione delle osservazioni in questa regione dello spettro, della presenza del ginocchio in particolare, vuole che i raggi cosmici siano accellerati da processi (accelerazione secondo Fermi) aventi luogo in supernova remnants (SNR). Poichè la massima energia raggiungibile da questi processi dipende dalla rigidità delle particelle, l’energia di soglia, oltre la quale lo spettro diventa più ripido e il flusso decresce più rapidamente, risulta proporzionale in questo modello alla carica elettrica delle particelle stesse. Di conseguenza l’energia di soglia dello spettro galattico risulta essere di circa 5 ∼ 8 · 1016 eV, vale a dire l’energia di soglia per il ferro. Esistono vari modelli più o meno simili a questo, i quali giungono ad una stessa forma dello spettro totale della radiazione, mentre differiscono nel calcolo dello spettro delle singole componenti (cio lo spettro relativo a nuclei incidenti aventi diverso numero atomico); è stato inoltre proposto che il ginocchio sia un indicazione di nuovi processi che avverrebbero al momento dell’interazione dei raggi cosmici con l’atmosfera, processi che involverebbero il trasferimento di parte dell’energia a particelle non osservabili (o non ancora osservate, come particelle supersimmetriche o gravitoni) appiattendo cosı̀ lo spettro. Un’ ampia rassegna di questi modelli si può trovare in [21]. Si pensa invece che la presenza della caviglia sia legata all’emergere alle energie in cui essa è situata di una nuova popolazione di raggi cosmici di origine extragalattica [20]. In questa regione lo spettro di origine extragalattica, caratterizzato da un minor indice α, attraverserebbe il più ripido spettro galattico, cosı̀ generando la caviglia. Lo spettro extragalattico è coerente con quello originato dall’accelerazione di particelle in fronti d’urto ultrarelativistici. Il problema è spiegare una composizione dominata da nuclei pesanti fino a 1019 eV. La soluzione potrebbe quindi risiedere in un modello caratterizzato da una composizione mista della radiazione extragalattica, come proposto da [3]. Un altro modello, basato su una componente extragalattica caratterizzata da protoni, spiega la caviglia attraverso la produzione di coppie elettrone-positrone attivata dall’interezione con il fondo cosmico di microonde [4]. 1.3 Origine dei Raggi Cosmici La determinazione di quali oggetti astrofisici siano sede dei processi che generano l’accelerazione di raggi cosmici fino alle più elevate energie e quale 10 sia l’esatta natura di questi processi è uno dei problemi fisici più difficili e stimolanti. Molti modelli teorici sono stati proposti in questo ambito, suddividibili in tre classi principali: accelerazione da sorgenti astrofisiche (modelli “bottom-up”), non accelerazione (modelli “top-down”), e modelli ibridi basati su entrambe le ipotesi. Dal punto di vista sperimentale la ricerca di anisotropie significative nelle direzioni d’arrivo degli eventi rilevati è stata effettuata da vari esperimenti, in diversi intervalli di energia e a diverse scale angolari. La distribuzione dei punti d’arrivo risulta sostanzialmente isotropa in un’ampia banda di energia. Eccessi di eventi dal Centro Galattico o raggruppamenti a piccole scale angolari in corrispondenza di sorgenti compatte non sono stati confermati. Il proseguimento di questo indirizzo di ricerca con l’Osservatorio Auger dovrebbe fornire in tempi brevi risposte non ambigue a questi interrogativi. 1.3.1 Accelerazione secondo Fermi Un ingegnoso meccanismo stocastico adatto a spiegare l’accelerazione dei raggi cosmici fu proposto da Enrico Fermi nel 1949 [12] [34]. Egli illustrò come l’interazione di una particella carica con nubi di gas interstellare magnetizzate possa condurre ad un guadagno di energia per la particella. Si assuma che una particella relativistica di energia E0 incontri una nube di grande massa dotata di un campo magnetico caotico. Poichè la particella è relativistica E0 ' p0 , mentre la massa della nube è infinita rispetto a quella della particella, e la sua velocità vale βcl . La particella penetra nella nube con angolo θ1 rispetto alla velocità della nube e diffonde sulle irregolarità del campo magnetico al suo interno, quindi ne fuoriesce con angolo θ2 . L’energia iniziale della particella nel sistema di rifermiento della nube è: E0∗ = γcl E0 (1 − βcl cosθ1 ), dove γcl è il fattore di Lorentz relativo alla nube, mentre l’energia finale nel sistema di laboratorio vale: E1 = γcl E1∗ (1 + βcl cosθ2∗ ), E0∗ Siccome le collisioni della particella all’interno della nube sono elastiche, = E1∗ . Da ciò risulta: 1 − βcl cosθ1 + βcl cosθ2∗ − βcl2 cosθ1 cosθ2∗ ∆E = − 1. E 1 − βcl2 È necessario ora mediare su tutte le possibili direzioni di entrata e di uscita della particella ripetto alla nube. A causa della natura casuale delle collisioni 11 della particella all’interno della nube, < cosθ2∗ >= 0, mentre la media sulla direzione d’entrata dipende dalla velocità relativa dei due oggetti: assumendo βcl 1 risulta < cosθ1 >= −βcl /3. Da ciò risulta un guadagno medio di energia pari a: ∆E 4 ' βcl2 . E 3 Questo meccanismo è tuttavia poco efficiente, poichè il guadagno energetico ad ogni collisione nube-particella è quadratico rispetto a βcl . Siccome il valore di βcl è molto piccolo, l’accelerazione ad energie elevate richiederebbe un grande numero di interazioni ed un tempo elevato. Un meccanismo simile ma più efficiente fu proposto negli anni ’70 [34]: l’accelerazione di raggi cosmici in fronti d’urto generati da fenomeni energetici come nove, supernove, AGN e simili. Un simile fronte è generato dall’espandersi del materiale espulso dalla sorgente a velocità vr molto maggiore della velocità del suono nel mezzo interstellare. La velocità vs del fronte dipende R vr . Una particella può difda vr e dal rapporto di compressione R: vs = R−1 fondere sulle irrogolarità magnetiche del mezzo interstellare e attraversare il fronte. A prescindere dalla direzione di attraversamento, essa vede la materia dall’altro lato avvicinarsi a velocità vr , perciò ad ogni attraversamento del fronte vi è un guadagno di energia. Detti ora θ2∗ e θ1 gli angoli di attraversamento della direzione della particella rispetto al piano del fronte dalla parte posteriore del fronte a quella anteriore e viceversa rispettivamente, si possono calcolare i valori medi < cosθ2∗ >= 2/3 e < cosθ1 >= −2/3. Dalla formula precedente si ha ora per il guadagno di energia ad ogni passaggio del fronte: 4 ∆E ' βcl , E 3 vale a dire esso è ora del primo ordine in βcl , ed il mecanismo di accelerazione è quindi molto più efficiente. 1.3.2 Sorgenti Astrofisiche La forma regolare dello spettro dei raggi cosmici entro un ampio intervallo di energia suggerisce un meccanismo di accelerazione comune che potrebbe aver luogo in diversi oggetti e fenomeni astrofisici. Sono stati avanzati molti modelli e proposte diverse sorgenti capaci di accelerare particelle ad energie eccedenti l’EeV, ma a tutt’oggi nessuno è stato verificato sperimentalmente. Vi sono basilarmente due meccanismi di accelerazione riguardanti i raggi cosmici: accelerazione diretta di particelle cariche da parte di campi elettromagnetici ed accelerazione stocastica secondo Fermi, avente luogo in nubi 12 Figura 1.2: Rappresentazione grafica dell’accelerazione di raggi cosmici in fronti d’urto. Da [34]. magnetizzate. In entrambi i casi l’energia massima delle particelle che una data sorgente può generare impone dei limiti all’intensità dei campi magnetici presenti in quella regione di spazio e alle dimensioni della regione stessa. Detta Emax l’energia massima che un dato oggetto oggetto astrofisico può conferire a particelle cariche, essa può essere raggiunta solo se le particelle in questione rimangono confinate nella regione di spazio assegnata [34]. In altri temini il raggio di girazione delle particelle all’interno del campo magnetico della sorgente deve essere minore o uguale alle dimensioni lineari della sorgente stessa: Emax = γqBR dove B è l’intensità del campo magnetico della sorgente, R il suo raggio, q la carica della particella e γ il fattore di Lorentz del mezzo in cui avviene l’accelerazione. Data quindi una certa specie di particelle (e specificatane la carica elettrica) di data energia, si possono determinare quali oggetti possano costituirne i siti di accelerazione. Tali considerazioni possono essere riassunte nel grafico detto plot di Hillas, in cui in scala bilogaritmica vengono riportate in ordinate l’intensità del campo magnetico ed in ascisse le dimensioni lineari di varie possibili sorgenti. Quelle in alto a destra, al di sopra della zona ombreggiata soddisfano i requisiti necessari ad accelerare protoni ad energie di 100 EeV, mentre la linea più scura rappresenta il limite per l’accelerazione di nuclei di ferro a 100 EeV. Come si può vedere esistono nel primo caso solo quattro tipi di sistemi che possano essere responsabili per questo fenomeno: stelle di neutroni dotate di grande campo magnetico, nuclei galattici attivi, lobi di radiogalassie e fronti d’urto su scale del gigaparsec nel mezzo extragalattico. È utile una panoramica sulle varie tipologie di sorgenti che si trovano in letteratura: 13 Figura 1.3: Plot di Hillas. La parte superiore della banda ombreggiata rappresenta il limite inferiore per l’accelerazione di protoni a 100 EeV, la linea scura il limite inferiore per nucledi di ferro a 100 EeV. Da [34] • Fronti d’urto associati alla formazione di strutture su larga scala. Simili fronti possono formarsi a causa dell’attrazione gravitazionale e generare in principio campi magnetici. L’energia massima è dipendente dalle dimensioni del fronte: assumendo valori del nanogauss per i campi extragalattici e del microgauss per i campi generati dal fronte, essa eccede i 1020 eV per dimensioni di 50 Mpc. • Ammassi di galassie. Sono stati osservati in questi sistemi campi magnetici di 5 µG su distanze di 500 kpc, e ciò porta ad una energia massima di 1020 eV. • Radiogalassie. In particolare galassie di tipo FR II presentano lobi di dimensioni fino a 100 kpc e campi stimati in 10 µG, per energie massime intorno ai 1021 eV. • Nuclei galattici attivi. In principio qualunque AGN potrebbe essere sorgente di UHECR, visti i campi di circa 5 G in volumi delle dimensioni di 0.02 pc, nei pressi del buco nero centrale. Il problema sono le ampie perdite di energia nella zona centrale dell’AGN. • Gamma-ray bursts. Nei jet relativistici (γ = 100 ∼ 1000) dei GRB potrebbero avere luogo efficienti processi di accelerazione di UHECR. 14 La principale obiezione sono le distanze cosmologiche di questi oggetti che li rendono sorgenti poco probabili a causa dell’effetto GZK. • Collisioni di galassie. Il movimento delle galassie all’interno degli ammassi e le loro collisioni potrebbero generare ampi fronti d’urto. Fronti di dimensioni pari a 30 kpc e campi magnetici di 20 µG potrebbero accelerare raggi cosmici fino a 1020 eV. • Buchi neri non attivi. è stato suggerito che l’accelerazione di UHECR potrebbe avvenire all’orizzonte degli eventi di buchi neri massivi in rotazione. Il modello richiede buchi neri di almeno un miliardo di masse solari entro 50 Mpc dalla Terra. Altre possibili sorgenti particolarmente rilevanti per il presente lavoro (pulsars,magnetars,LMXB,HMXB,SNR) sono trattate in maggiore dettaglio nel quarto capitolo. 1.4 1.4.1 Propagazione dei Raggi Cosmici Effetto dei campi magnetici Durante il tragitto fra il sito di accelerazione e la Terra i raggi cosmici sono naturalmente deflessi dalla presenza di campi magnetici. L’intensità di questi campi viene determinata dallo studio della rotazione del piano di polarizzazione della radiazione elettromagnetica emessa da lontane sorgenti extragalattiche come pulsar o sorgenti radio. Campi magnetici intergalattici regolari sono fortemente limitati a valori di circa 10−9 G o inferiori da queste misure, mentre ammassi di galassie potrebbero avere campi magnetici più intensi coerenti sulla scala del megaparsec. È noto che il campo magnetico della nostra Galassia possiede una struttura regolare su grande scala. Esso mostra un intensità tipica di alcuni microgauss, approssimativamente uniforme su distanze di qualche kiloparsec. Le linee di forza di questo campo seguono la struttura a spirale dei bracci galattci. Vari modelli del campo esistono che differiscono per il segno del campo nei bracci e per la simmetria rispetto al piano galattco [17]. L’entità della deflessione subita da un raggio cosmico che interagisca con il campo magnetico galattico dipende dalla sua rigidità. Protoni di energia 1 EeV sono intrappolati nelle strutture del campo magnetico stesso e assumono una traiettoria elicoidale spiraleggiante intorno alle linee di forza. Il raggio di girazione di questa traiettoria per un campo di 3 µG è approssimativamente 300 pc, circa lo spessore del piano galattico. Protoni di energia maggiore 15 Figura 1.4: La figura mostra le traiettorie seguite da protoni nel campo magnetico galattico. Le linee continue rappresentano protoni da 1 EeV, quelle tratteggiate protoni da 10 EeV. Da [17]. o uguale a 10 EeV (o particelle di ancora maggiore rigidità) invece sono poco influenzate dalla presenza del campo magnetico, avendo un raggio di girazione il cui ordine di grandezza è pari a quello della distanza percorsa. In questo caso l’informazione sulla direzione originaria della particella viene preservata ed possibile ricostruirla. La quantità chiave per determinare la deflessione angolare rispetto alla direzione di provenienza è il raggio di girazione (o di Larmor) della particella rL ' E/(Z · B⊥ ), dove Z è la carica della particella e B⊥ la componente del campo magnetico perpendicolare al momento della particella. Assumendo un campo magnetico costante lungo la distanza percorsa d, si ottiene: E dθ(E, d) ' d/rL ' 0.52 · Z · 100 EeV ◦ −1 · B 10−9 d · G M pc ! Questo equivale ad una deviazione di meno di 1◦ per un protone da 100 EeV su una disanza di un kiloparsec in un campo di 1 µG, o equivalentemente una distanza di un magaparsec in un campo di un nG [7][29]. 1.4.2 L’effetto GZK Alle più alte energie alle quali vengono accellerati i raggi cosmici non solo l’interazione con i campi magnetici gioca un ruolo importante nello studio 16 della loro propagazione, ma anche l’interazione con la radiazione cosmica di fondo di microonde, infrarossa e radio. Ciò presenta ripercussioni anche per l’interpretazione dello spettro energetico. A seguito della scoperta del fondo cosmico di microonde (da parte di Penzias e Wilson [30]), Greisen [16], Zatsepin e Kuz’min [23] predissero una forte soppressione del flusso di protoni a partire da energie di circa ∼ 5 · 1019 eV a causa di processi di fotoproduzione di pioni per intereazione sul CMB. I principali processi che coinvolgono i protoni in questo range di energie sono: p + γCM B −→ p + π 0 p + γCM B −→ n + π + p + γCM B −→ p + e+ + e− . Nel sistema di riferimento di laboratorio, l’energia al quadrato del sistema vale: s = m2p + 2Ep (1 − β cos θ), dove è l’energia del fotone, θ è l’angolo di incidenza fra protone e fotone e c = 1. L’energia di soglia perché questo processo avvenga in una collisione frontale e considerando una tipica energia per il fotone di ∼ 6·10−4 eV risulta essere circa ∼ 1020 eV, ma può essere anche inferiore poichè lo spettro del CMB si estende fino ad energie di circa ∼ 10−3 eV. La lunghezza di interazione per i protoni si può ricavare nota la sezione d’urto di questo processo e la densità di fotoni del fondo cosmico, e risulta pari a: 1 ' 8 M pc λp = σ · nCM B Poichè la perdita di energia del protone per ogni collisione è di circa il 20%, la lunghezza di attenuazione oltre la quale essa scende al di sotto dell’energia di soglia necessaria perché il processo di fotoproduzione avvenga si aggira su alcune decine di Mpc. Questo porta come conseguenza che le sorgenti di UHECR di energie superiori al cutoff GZK devono essere contenute in una sfera di raggio non superiore a questo valore, altrimenti la loro energia verrebbe dissipata prima che essi possano raggiungere la Terra. 1.4.3 Propagazione di neutroni e fotoni Come detto precedentemente è di grande importanza al fine di compiere studi relativi ai siti di accelerazione tenere conto dell’effetto dei campi magnetici nella propagazione dei raggi cosmici carichi. Ciò vale in particolare per particelle di energia relativamente bassa (E < 10 EeV) e di origine verosimilmente 17 Figura 1.5: Andamento dell’energia dei protoni in funzione della distanza secondo l’effetto GZK. Si noti come quale che sia l’energia di partenza, a circa 100 Mpc dalla sorgente essa scenda a ∼ 1020 eV. Da [11]. galattica quali quelli di interesse per il presente lavoro. La ricerca in questo settore si muove in due direzioni strettamente legate: da un lato si cerca di capire l’effetto del campo magnetico galattico sulla distribuzione delle direzioni di provenienza dei raggi cosmici, dall’altro si inverte il procedimento per ricavare informazioni sul campo nota la distribuzione dei raggi. In generale comunque per il range di energie in questione si è visto come la presenza del campo magnetico galattico isotropizzi sostanzialmente la distribuzione dei raggi cosmici: ne segue che eventuali eccessi di misure in date direzioni devono essere dovuti a perticelle neutre, non influenzate dal campo magnetico. In particolare i candidati principali sono neutroni e fotoni. Essi possono propagarsi in linea retta e rilevandoli all’arrivo sulla Terra è in linea di principio possibile risalire alla loro sorgente. Bisogna tuttavia tenere conto delle altre possibili interazioni che interessano fotoni e neutroni e che possono impedirne la propagazione indisturbata fin sul nostro pianeta. Per i neutroni in particolare il problema principale è l’instabilità: un neutrone libero effettua decadimento β con una vita media di circa 15 minuti. Se si considera però l’effetto della dilatazione temporale per un neutrone ultrarelativistico (E ' 1 EeV) risulta che esso può propagarsi in media per ∼ 10E kpc prima di decadere, vale a dire possono giungere sulla 18 Terra neutroni di 1 EeV prodotti entro una sfera di raggio pari a 10 kpc, o più estesa se l’energia è superiore. Tenendo conto che il raggio della Galassia è approssimativamente pari a 15 kpc e la Terra dista da Centro Galattico circa 8 kpc, possono giungere sulla Terra neutroni da quasi qualunque punto della Galassia. Per quanto riguarda i fotoni, vi sono invece argomenti che sembrano suggerire una più difficile propagazione oltre energie pari a circa 1014 . Innanzitutto i fotoni interagiscono più facilmente con il mezzo interstellare ed in particolare possono essere in alcuni casi completamente schermati da nubi di polvere. Inoltre ad energie cosı́ elevate possono indurre cascate elettromagnetiche a partire dalla produzione di coppie elettrone-positrone. I limiti attuali sulla frazione di fotoni nel flusso di raggi cosmici nella regione dell’EeV sono pari al 2-3 % [2]. 19 20 Capitolo 2 Rivelazione dei raggi cosmici e l’Ossevatorio Pierre Auger Ad energie di circa 1014∼15 eV il flusso di raggi cosmici incidenti sulla Terra si riduce notevolmente, fino a valori dell’ordine di un evento per metro quadro per anno. Risulta perciò impraticabile la rivelazione diretta, tipicamente a mezzo di piccoli rivelatori allogiati in satelliti artificiali e posti al di sopra dell’atmosfera. Vengono sfruttate invece tecniche di rivelazione sensibili ai prodotti dell’interazione fra i raggi cosmici e le molecole dell’atmosfera, e costruiti rivelatori dotati di una grande superficie di raccolta cosı̀ da controbilanciare la poca entità del flusso. La prima rivelazione di questi prodotti secondari, oggi denominati cascate di particelle (extensive air showers, EAS) fu effettuata da Pierre Auger nel 1939 [5]. Egli riportò l’osservazione di segnali coerenti in contatori disposti a varie altezze su un ampia area, dimostrando la presenza di raggi cosmici primari di energie di circa ∼ 1015 eV. Da allora è ampiamente cresciuto l’interesse verso lo studio di questi fenomeni, e parallelamente si è assistito allo sviluppo delle tecniche sperimentali necessarie a supportare tale studio. Col tempo è cresciuta la dimensione dei rivelatori, in modo da soddisfare i requisiti relativi all’apertura del campo di vista e all’efficienza del processo di rivelazione. è stata inoltre messa a punto la tecnica di rivelazione di fluorescenza, che consente di studiare lo sviluppo del profilo longitudinale degli sciami grazie alla luce prodotta da questi durante l’attraversamento dell’atmosfera. L’Osservatorio Pierre Auger occupa una posizione di punta in questo panorama, specialmente per la combinzione di entrambe le tecniche sopra 21 citate, cosa che permette di ottenere misure indipendenti delle stesse quantità e di effettuare una calibrazione incrociata dei rivelatori. 2.1 Fisica degli sciami di particelle atmosferiche Un raggio cosmico costituito da un nucleone o nucleo atomico al raggiungimento della Terra incide sugli strati più alti dell’atmosfera, interagendo con le molecole presenti in essa. Risultato dell’interazione è la produzione di un grande numero di particelle secondarie, le quali ricevono parte dell’energia del raggio cosmico primario, propagandosi verso la superficie terrestre ed interagendo a loro volta con l’atmosfera: questo scenario viene indicato con il nome di cascata o sciame di particelle. Una cascata attraversa l’atmosfera terrestre raggiungendo il massimo sviluppo ad una certa profondità che dipende dall’energia e dalla tipologia del primario che l’ha generata; in seguito l’energia delle particelle che la compongono scende sotto la soglia critica necessaria alla produzione di nuove particelle, la cascata progressivamente si attenua. Il comportamento di una cascata è determinato dalle caratteristiche del primario (energia, tipo di particella, direzione di impatto sull’atmosfera. . . ), dunque in linea di principio è possibile ricostruirele studiando le particelle secondarie che esso genera nell’atmosfera. L’interpretazione di questi eventi è però difficoltosa. Gli apparati registrano particelle che attraversano quasi contemporaneamente il piano di rivelazione, energia e tipo del raggio cosmico vanno ricavate dal numero di particelle della cascata e da altri parametri, ma poichè il punto di origine di quest’ultima è ignoto ne va prima stimato il grado di sviluppo. Inoltre una cascata è usualmente divisa in tre componenti: una elettromagnetica composta di fotoni, elettroni e positroni; una muonica, composta da muoni; ed una adronica, in cui rientrano tutte le altre particelle (pioni per la maggior parte). Non è ugualmente facile modellizzare efficacemente lo sviluppo di tutte le tre componenti. In pratica la ricostruzione delle cascate viene effettuata mediante metodi Monte Carlo, in cui le caratteristiche dello sciame sono confrontate con modelli teorici per risalire alle caratteristiche del primario. Risultati possono essere raggiunti sulla base di un numero statisticamente significativo di eventi. Anche questi metodi presentano tuttavia delle difficoltà: la natura delle interazioni adroniche ad energie elevate non è infatti nota, ma viene estrapolata da valori misurati a più basse energie. Differenti estrapolazioni por22 tano di conseguenza a differenti ricostruzioni degli sciami e differenti stime riguardo le caratteristiche dei primari. Nonostante queste difficoltà è tuttavia possibile stimare con precisione soddisfacente energia e direzione d’arrivo dei UHECR, e prosegue il lavoro sulla discriminazione di adroni e fotoni e su tecniche di rivelazione della componente muonica degli sciami. 2.1.1 Il modello di Heitler per le cascate elettromagnetiche Un modello molto semplice ma efficace per la descrizione delle cascate elettromagnetiche è quello proposto da Heitler [34][18]. Egli descrive uno sciame consistente di particelle dello stesso tipo, ciascuna delle quali è caratterizzata da una lunghezza di interazione λ. Ad ogni interazione, due nuove particelle vengono create, ciscuna di energia pari alla metà dell’energia della particella primaria che le ha generate. Figura 2.1: Rappresentazione grafica del modello di Heitler. Da [34]. Partendo da una singola particella di energia E0 , dopo una lunghezza di interazione si avranno quindi due particelle di energia E = E0 /2, dopo una lunghezza pari a 2λ si avranno 22 particelle di energia E = E0 /22 , ed in generale dopo N interazioni, cioè dopo N λ in termini spaziali, si avranno 2N particelle di energia E = E0 /2N . Questo processo prosegue finchè l’energia delle particelle secondarie non scende sotto una certa soglia critica Ec , alla quale la sezione d’urto di produzione di nuove particelle si annulla. A questo punto il numero di particelle non cresce più, il modello di Heitler si interrompe e lo sciame si attenua. Dunque il numero massimo di particelle di uno sciame è pari a Nmax = E0 /Ec , e viene raggiunto ad una profondità Xmax = λ log 2E0 /Ec . 23 Secondo il modello di Heitler la profondità di massimo sviluppo di uno sciame è proporzionale al logaritmo dell’energia del primario ed il numero di particelle a questa profondità è direttamente proporzionale all’energia del primario. Benchè questo modello sia molto semplice esso descrive in maniera qualitativamente corretta lo sviluppo degli sciami elettromagnetici. Ciò è principalmente dovuto al fatto che per energie al di sopra di 1 MeV i processi dominanti sono la radiazione di bremsstralhung per elettroni e positroni e la produzione di coppie per i fotoni, e questi processi sono caratterizzati da un’unica lunghezza di interazione λ. In prima approssimazione questo modello è valido anche par cascate adroniche. Si consideri un raggio cosmico primario di energia E0 costituito da un nucleo di numero atomico A. Allora si può immaginare di modellizare lo sciame risultante come la sovrapposizione degli sciami prodotti separatamente da ciascun nucleone, dove i nucleoni hanno energia E ∗ = E0 /A. Il punto di massimo sviluppo dello sciame sarà dato da Xmax = λ log 2E0 /A, vale a dire lo sviluppo massimo sarà raggiunto prima nel caso di un nucleo con elevato valore di A piuttosto che che da un singolo nucleone, a parità di energia. 2.1.2 Sciami adronici Uno sciame adronico viene avviato dall’interazione di un nucleo o un nucleone su di un nucleo atmosferico. In entrambi i casi circa la metà dell’energia totale viene trasferita a mesoni secondari, principalemente pioni neutri e carichi. In questo processo il numero di pioni carichi è circa due volte il numero di pioni neutri. Il resto dell’energia iniziale si trova in un nucleone secondario, il quale dopo aver percorso mediamente una lunghezza di interazione produce a sua volta una seconda cascata di pioni. Nel frattempo i pioni di prima generazione interagiscono accrescendo lo sciame, e questo processo continua fino a che l’energia non scende al di sotto della soglia critica di interazione [34]. A meno di non avere energia estremamente alta, i pioni neutri decadono quasi immediatamente in fotoni, essendo caratterizzati da una lunghezza di interazione pari circa 10−8 m. I fotoni iniziano quindi degli sciami elettromagnetici. I pioni carichi invece hanno una lunghezza di interazione molto maggiore, circa 7.8 m: essi possono decadere o interagire di nuovo. Lo sviluppo longitudinale dello sciame è determinato quindi dai dettagli dell’interazione e del decadimento dei pioni: pioni carichi di alta energia tendono ad interagire, mentre pioni di bassa energia tendono a decadere in muoni e neutrini muonici. Il quadro è complicato dal variare del comportamento delle parti24 celle al variare delle densità atmosferica man mano che lo sciame prosegue verso terra. Una parametrizzazione dello sviluppo longitudinale del fascio è stata proposta da Gaisser e Hillas [34] nella forma: N (X) = Nmax X − X1 Xmax − λ −λ Xmax λ X − X1 · exp − λ dove X1 è il punto di prima interazione del primario nell’atmosfera. Questa formula è un fit standard per lo sviluppo longitudinale degli sciami. Analogamente è stata sviluppata da Greisen e Nishimura-Kamata una teoria che conduce ad una parametrizzazione per la distribuzione laterale del fascio, vale a dire la densità di particelle ad una distanza r dall’asse del fascio al livello del suolo. Essa è: C1 (s)Ne ρ(r) = 2πr12 r r1 s−2 r 1+ r1 s−9/2 1 + C2 r r1 δ ! dove il parametro r1 è detto raggio di Molière. 2.2 Rivelatori di superficie L’idea alla base della progettazione dei rivelatori di superficie (surface detectors, SD) è molto semplice: si tratta di attrezzare una area opportunamente scelta con dei rivelatori che permettano di campionare le particelle di uno sciame, in modo da poterne stimare numero, natura, direzione di arrivo e correlare poi queste caratteristiche a quelle del primario. Questo metodo presenta il chiaro vantaggio di poter in principio disporre di una superficie di raccolta molto ampia, cosı́ da aumentare l’esposizione e poter rivelare un numero statisticamente significativo anche di eventi di altissima energia, per cui il flusso è molto basso. Naturalmente vari motivi, principalmente economici, impediscono di ricoprire l’intera area disponibile con rivelatori. Essi, di superficie pari a qualche metro quadro, sono posti invece ad una certa distanza l’uno dall’altro secondo una configurazione regolare. La distanza fra i rivelatori è frutto di un compromesso fra i costi di costruzione, l’area da ricoprire e la distribuzione laterale degli sciami che si cerca di rivelare. Un altro parametro di cui tenere conto è l’altezza del rivelatore sul livello del mare: essa deve corrispondere alla profondità alla quale gli sciami di energia di interesse raggiungono il massimo sviluppo. I rivelatori di cui l’apparato è costituito sono generalmente rivelatori Cherenkov o scintillatori. 25 Figura 2.2: Disposizione geografica e geometrica dei rivelatori di superficie dell’Osservatorio Auger. Da [34]. Il sito sud dell’Osservatorio Pierre Auger dispone di un rivelatore di superficie costituito da 1600 detector Cherenkov, separati da circa 1.5 km e disposti su di una griglia triangolare regolare che si estende per circa 3000 km2 , ad una altezza media di 1400 m sul livello del mare. Altezza e distanza dei rivelatori sono state studiate per ottenere piena efficienza per sciami di energia maggiore o uguale a 10 EeV. Ciascun detector è costituito da una tanica di acqua di 3.6 m di diametro e 1.2 m di profondità, per un volume di 12 m3 e una superficie di raccolta di 10 m2 . All’interno di ogni tanica sono presenti 3 tubi fotomoltiplicatori da 200 mm di diametro per la rivelazione della luce Cherenkov, mentre all’ esterno si trovano i pannelli solari e le batterie necessarie all’alimentazione dell’elettronica e le antenne di comunicazione: un antenna radio per la trasmissione del segnale ed una GPS per la sincronizzazione. L’acqua è deionizzata e purificata al fine di ottenere la massima lunghezza di attenuazione per la luce Cherenkov, inoltre il rivestimento interno delle taniche è costituito da polietilene e tyvek, materiale che garantisce una riflettività prossima al 100% [32]. Dall’analisi dei segnali rilevati da ciascun detector è possibile ricavare i parametri di un fascio e da questi le caratteristiche del primario. Il primo passo è la determinazione della direzione dell’asse del fascio in termini dell’angolo zenitale ed azimutale. ciò si ricava dal confronto fra i tempi di arrivo del fascio su almeno tre detector non allineati: ad esempio detta dij la distanza fra due rivelatori e tij l’intervallo di tempo trascorso fra i segnali 26 registrati, l’angolo zenitale si ricava come ctij θ = arcsin dij ! . La risoluzione angolare dipende dal numero di particelle rilevate e dalla risoluzione temporale dei rivelatori, e nel caso dell’Osservatorio Auger raggiunge valori tipici di 1◦ . Stabilita la direzione di arrivo è possibile trovare il core del fascio, cioè il punto di intersezione fra l’asse ed il terreno, che non è possibile stabilire a priori dalla direzione del fascio perché la distribuzione NKG è definita sul piano perpendicolare all’asse, non sul piano del terreno. A questo punto è possibile stimare il numero di particelle di cui il fascio è costituito e ricavarne il valore dell’energia del primario. 2.3 Rivelatori di fluorescenza Le particelle energetiche di uno sciame nel transitare attraverso l’atmosfera eccitano le molecole di azoto in essa presenti, e la successiva diseccitazione di queste molecole avviene mediante emissione di quella che viene chiamata luce di fluorescenza. Sotto opportune condizioni sperimentali (principalmente climatiche), è possibile rilevarla e ricavare informazioni sullo sciame che l’ha prodotta. Lo schema concettuale di un rivelatore in grado di effettuare questa misura è molto semplice: si tratta di un telescopio che focalizzi la luce di fluorescenza su di un array di fototubi che la rivelino. Le condizioni necessarie al funzionamento di questi sistemi sono: assenza di fonti luminose nel campo di vista del telescopio, cielo limpido ed assenza di perturbazioni atmosferiche. Praticamente ciò significa che buone misure possono essere effettuate solamente di notte, con cielo non nuvoloso ed evitando il disturbo della luce lunare. Di conseguenza il duty cycle di questi rivelatori è molto basso. L’Osservatorio Auger dispone di quattro stazioni per la rivelazione della luce di fluorescenza da sciami atmosferici. Ciascuna è dotata di sei telescopi, per un campo di vista di 180◦ in azimuth e 30◦ in elevazione. Ogni telescopio è costituito da uno specchio sferico, un diaframma per eliminare le aberrazioni da coma, un filtro che trasmette luce con lunghezza d’onda compresa fra circa 300 e 400 nm per l’eliminazione del fondo luminoso ed un anello collettore per la riduzione dell’aberrazione sferica. La luce viene riflessa da questo sistema su di un array di 440 tubi fotomoltiplicatori, ed i dati acquisiti sono trasmessi da un collegamento wireless al CDAS (Central Data Acquisition 27 Figura 2.3: A sinistra rappresentazione della traccia vista da un rivelatore di fluorescenza sull’array di PMT. A destra visualizzazione della traiettoria dello sciame vista dal telescopio. Da [34]. System) [32]. Il duty cycle è pari circa al 12%. È infine presente una facility laser nel centro dell’Osservatorio per la calibrazione del sistema. La luce di fluorescenza è emessa in modo isotropo da ogni punto dello sciame, quindi i rivelatori FD possono effettuare misure anche su sciami il cui core non cada vicino alla posizione del telescopio. Essi vedono uno sciame come un punto in moto alla velocià della luce che lascia una traccia in coordinate celesti sull’array di fototubi. Le grandezze più importanti da determinare nell’analisi di uno sciame sono il parametro d’impatto R⊥ , cioè la minima distanza fra la traiettoria dello sciame e il rivelatore, e il piano definito dalla traiettoria dello sciame e il punto in cui si trova il telescopio. Risulta a questo punto facile determianare la traiettoria se la rivelazione è stata stereoscopica, cioè se lo sciame è stato visto da due rivelatori posti in locazioni diverse. L’incertezza è molto più grande se sono disponibili dati da un solo rivelatore. Determinati i paramtetri geometrici dello sciame è possibile studiarne lo sviluppo longitudinale. La stima della luce emessa lungo l’asse dello sciame viene effettuata integrando i segnali dei fotomoltiplicatori nell’intervallo di tempo in cui la traccia permane nel campo di vista di ciascuno di essi, tenendo ovviamente conto della loro effcienza quantica e dellattenuazione atmosferica, continuamente monitorata. Il numero di fotoni raccolti da uno specchio è pari a: A T (r)∆L 4πr2 dove Ne è il numero di particelle cariche del fascio (nell’angolo sotteso dalla traccia vista dal rivelatore), A l’area del telescopio, r la distanza dallo Nγ = Ne Yγ 28 sciame, T (r) una funzione che descrive la propagazione luminosa nell’atmosfera e ∆L la lunghezza della traccia sull’array di PMT e Yγ il numero di fotoni prodotti da una particella carica per unità di cammino percorso (resa luminosa). Nota Yγ è possibile trovare Ne in funzione di X (profondità dello sciame nell’atmosfera), cioè il profilo longitudinale. Integrandolo è possibile stimare l’energia del primario: E=α Z +∞ 0 Ne (X)dX dove α è un parametro che dipende dall’energia critica dell’elettrone e 2 dalla lunghezza di radiazione in aria, e vale circa 2 M eVg cm . A questa energia va applicata una correzione del 10% dovuta al contributo di particelle non rilevabili come neutrini e muoni, che essendo più penetranti non rilasciano energia nell’atmosfera. 29 Figura 2.4: Rappresentazione grafica di un evento visto dal rivelatore di superficie e dalle quattro stazioni di fluorescenza dell’Osservatorio Pierre Auger. Da sito ufficiale dell’Osservatorio, http://www.auger.org/ 30 Capitolo 3 Identificazione di eccessi di raggi cosmici nella regione dell’EeV Raggi cosmici di energia poco superiore ai 1018 eV sono ritenuti essere in grande maggioranza di origine galattica, e considerato il grande volume di dati raccolti da esperimenti come l’Osservatorio Auger è possibile cercare di identificarne le sorgenti. Come illustrato nei capitoli precedenti, la maggior parte degli eventi rilevati è quasi certamente dovuta a particelle cariche, protoni e nuclei. Per energie simili a quelle considerate d’altro canto la rigidità magnetica di queste particelle è sufficientemente bassa da risultare in una notevole deflessione da parte del campo magnetico galattico durante il tragitto fino alla Terra. Di conseguenza l’informazione riguardante il punto d’origine di queste particelle è persa, e si può assumere che esse giungano sulla Terra con una distribuzione isotropa. Questo tuttavia non vale per particelle neutre, cioè in questo caso neutroni e fotoni: questi viaggiano in linea retta nei campi magnetici, preservando l’informazione riguardante la posizione della sorgente. La produzione di neutroni aqueste energie è più efficiente di quella di fotoni, e questi ultimi sono inoltre facilmente schermati dal materiale interstellare. I neutroni effettuano decadimento β con una vita media di circa 15 minuti, durante la quale coprono distanze di circa 10 E kpc, dove E è espresssa in EeV. Di conseguenza essi possono giungere sulla Terra da qualsiasi punto della Galassia. Con questo lavoro si è cercato quindi di identificare sorgenti galattiche puntiformi di neutroni di energia 1 EeV o superiore. 31 3.1 Il campione di dati È stato selezionato un campione di dati fra gli eventi rivelati dall’Osservatorio Pierre Auger fra gennaio 2004 e dicembre 2009, estratti dal catalogo ufficiale dela collaborazione (Herald v4r6p3). La principale caratteristica del campione è il limite inferiore imposto all’energia degli eventi, 1 EeV. Altri criteri di selezione sono stati implementati allo scopo di disporre di eventi per cui fosse disponibile una ricostruzione qualitativamente soddisfacente; ad esempio è stato richiesto che per ciascun evento la stazione che ha registrato il segnale più intenso fosse circondata da un esagono di 6 stazioni funzionanti; si sono considerati solamente eventi caratterizzati da un angolo zenitale inferiore a 60◦ ; sono inoltre stati esclusi eventi rivelati durante i “bad periods”, intervalli di tempo durante i quali il segnale prodotto dal rivelatore non è stato giudicato attendibile. In totale il numero di eventi rispondente a questi criteri è risultato essere 278724. 3.2 Significanza secondo Li-Ma Al fine di caratterizzare gli eccessi di eventi in quanto tali e poter quindi stimare la probabilità che l’osservazione di un eccesso non sia dovuta ad una fluttuazione statistica nei dati si è scelto come parametro la significanza di Li e Ma [24], originariamente introdotta per studi di astronomia gamma. Dato un detector che osserva un certo numero di eventi Non in un tempo ton per poi effettuare una misura di background di Nof f eventi in un tempo tof f , la significanza S di un eventuale eccesso di eventi è definita come: S= √ ( 2 Non ln " # " Nof f 1+α Non + Nof f ln (1 + α) α Non + Nof f Non + Nof f #) 1 2 dove α = ton /tof f . La significanza cosı́ definita risulta da simulazioni Monte Carlo avere una distribuzione molto vicina ad una curva gaussiana di valor medio nullo e varianza unitaria. Di conseguenza la probabilità che una reale sorgente esista nella direzione di osservazione, può essere valutata come p = 1 − ξ, dove ξ è il valore della distribuzione normale valutata per il valore di S misurato. La significanza S può essere facilmente adattata allo studio dei raggi cosmici: data una certa cella di osservazione centrata in un punto (α, δ) della sfera celeste (α e δ rappresentano rispettivamente l’ascensione retta e la declinazione) e di raggio angolare θ, Non sarà il numero di raggi cosmici di data 32 energia provenienti da quella cella e Nof f il numero di eventi di background attesi in quella cella calcolati secondo l’accettanza del rivelatore e l’esposizione relativa delle diverse parti del cielo. Per diminuire la probabilità che la misura sia affetta da fluttuazioni statistiche, il fondo atteso viene ricalcolato un certo numero nof f di volte, dunque α = 1/nof f . Infine bisogna tenere conto che la significanza è positiva sia nel caso di un eccesso di eventi rispetto al fondo sia nel caso di un conteggio minore di eventi rispetto al fondo. Conviene pertanto ridefinirla in modo da distinguere i due casi. Ciò si può ottenere scambiando nel secondo caso i valori Non e Nof f , sostituendo ad α il valore reciproco e ponendo la significanza negativa. 3.3 Generazione del fondo isotropo di riferimento Per poter identificare eventuali eccessi di eventi è necessario effettuare una stima del numero di conteggi che dovrebbero risultare se la distribuzione degli eventi fosse perfettamente isotropa. Utilizzando il linguaggio del paragrafo precedente, è necessario calcolare il valore Nof f da utilizzare per il calcolo della significanza. Esistono sostanzialmente due metodi per affrontare questo problema utilizzati all’interno della collaborazione Pierre Auger. Entrambi consistono nel ricavare l’esposizione in funzione della posizione sulla sfera celeste a partire dai dati rilevati, essendo estremamente difficoltoso effettuare questo calcolo a partire da modelli teorici della performance del rivelatore. Si tratta del metodo • detto dello shuffling o scrambling. Esso consiste nel generare un campione isotropo di dati ridistribuendo in maniera casuale alcune delle variabili di ciascun evento in modo da preservare la distribuzione di altre variabili scelte. Le variabili che possono venire ridistribuite sono quelle legate al tempo di arrivo del raggio cosmico: tempo UTC, GMT o JD (Julian day, giorno secondo il calendario giuliano). • detto semi-analitico. A partire da considerazioni geometriche si approssima l’espressione dell’esposizione in funzione dell’angolo zenitale, per poi migliorare la stima con un fit polinomiale dei dati a disposizione. Passando dalle coordinate altazimutali a quelle equatoriali si ottiene l’esposizione finale, ed è possibile correggere per effetti di dipendenza temporale dovuti a modifiche apportate all’array di rivelatori, a variazioni giornaliere e/o stagionali della temperatura o ad altri effetti. Infine si generano eventi secondo questa distribuzione. 33 Il rischio nell’utilizzo di entrambi i metodi è che eventuali anisotropie nel campione di dati iniziale si riflettano nel calcolo del fondo, diminuendo quindi la sensibilità. Simulazioni Monte Carlo sembrano indicare che in questo senso il metodo semi-analitico sia migliore rispetto allo shuffling. In questo primo studio si è però optato per un terzo metodo, ispirato da un precedente lavoro di R. Bonino [9], che sarà chiamato metodo delle “celle on-off”. Data una certa cella di nota posizione e raggio angolare sulla sfera celeste (cella “on”) e un certo intervallo di energia per gli eventi da considerare (e noto quindi il numero di eventi rilevati nella cella data), il numero di eventi di fondo viene calcolato considerando sullo stesso campione di dati (ed utilizzando una stessa soglia energetica) un certo numero nof f di celle di identico raggio (celle “off”), ma posizionate in parti differenti della sfera celeste, in modo da non sovrapporsi nè fra di loro nè con la cella on. Il valore di nof f è stato posto in questo lavoro uguale a 8, mentre le posizioni delle celle off sono state scelte a declinazione identica a quella della cella on, cosı́ da garantire la stessa esposizione, che in prima approssimazione (ma piuttosto buona per dati relativi al solo rivelatore di superficie) è indipendente dall’ascensione retta. Figura 3.1: Visualizzazione delle celle on e off in coordinate equatoriali (in ascisse l’ascensione retta e in ordinate la declinazione in gradi). I punti rossi sono gli eventi rilevati nella cella on, quelli blu nelle 8 celle off. 3.4 Strategia di scan e ottimizzazione Definito un parametro di caratterizzazione degli eccessi rispetto al fondo ed un metodo di stima del fondo stesso, il passo successivo è stato l’iterazione 34 del processo sulla porzione di sfera celeste coperta dal campione di dati. È stata definita una griglia di punti sulla sfera celeste, separati da un passo di 2◦ sia in ascensione retta che in declinazione. Su ciascuno di questi punti è stata centrata una cella on di raggio angolare variabile, compreso fra i 2◦ e i 10◦ con un passo di 1◦ . Inoltre sono state considerate soglie minime crescenti di energia per gli eventi, a partire da 1 EeV fino a 10 EeV con un incremento di 0.2 EeV. Per ciascuna cella il calcolo della significanza è stato ripetuto per ogni combinazione di energia e raggio angolare, selezionando la combinazione di questi parametri che la massimizzasse. La scelta dei passi di incremento tanto della griglia quanto dei parametri è stata dettata da un compromesso fra la precisione necessaria nella ricerca e il tempo di computazione richiesto per completarla. In totale sono stati esaminati circa 104 punti sulla sfera celeste. Ove necessario lo scan è stato ripetuto su porzioni limitate di cielo con una griglia più fine (passo 0.5◦ ) in modo da meglio localizzare un eccesso rivelato dal primo scan. Per poter definire un eccesso come tale è stato infine imposto che la significanza corrispondente fosse positiva e non inferiore a 4. 3.5 Software e risorse di calcolo La ricerca è stata implementata attraverso l’esecuzione di alcuni programmi appositamente scritti a questo scopo. Il linguaggio di programmazione utilizzato è stato il C++, con l’occasionale utilizzo delle librerie di ROOT [33], in particolare alcuni algoritmi utili per il disegno e il fit di grafici ed istogrammi e la generazione di numeri casuali. Visto l’elevato numero di iterazioni del processo di calcolo della significanza (circa 107 ) necessario al completamento della ricerca, essa è stata divisa su piccole regioni di cielo ed eseguita indipendentemente su diverse macchine (alcune decine) presso il Laboratorio Calcolo e Multimedia (LCM) del dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Milano. L’esecuzione di ogni processo è stata controllata dal software Condor [10], sviluppato precisamente per l’ottimizazzione delle risorse di calcolo. Infine i grafici riportanti le posizioni degli eccessi risultanti dalla ricerca e le posizioni degli oggetti galattici che si è ipotizzato esserne le sorgenti (si vedano le figure 3.6 4.1 4.1 4.2 4.3 4.4) sono stati generati utilizzando il framework HEALPix [15]. 35 3.6 Risultati Sono stati individuati sei eccessi di eventi sulla sfera celeste con significanza superiore a 4. Sono riportate in tabella 3.6 per ogni eccesso le coordinate equatoriali e galattiche (in gradi), il raggio angolare (in gradi), l’energia minima (in EeV), il numero di eventi di fondo totali su tutte le celle off, il numero di eventi di segnale sulla cella on e la significanza. Si noti l’eccesso numero sei che, nonostante abbia la statistica più bassa, mostra il valore più alto di significanza ed è localizzato nelle vicinanze del Centro Galattico. Per una discussione dei risultati si veda il capitolo 4. Tabella 3.6 Eccesso 1 2 3 4 5 6 RA, Dec 359.5, 20.5 59.5, -60 90.5, 1 124, -16 340, 7 273, -28 l, b 106.3, -40.6 272.3, -44.5 206.3 ,-10.5 237.1, 10.5 75.1, -43.3 3.7, -4.6 36 θ 7 2 6 8 3 2 E Nof f 2.6 354 5.4 51 1.2 4661 2.2 3314 2.4 175 6.2 19 Non 81 21 699 519 47 16 S 4.59921 4.16816 4.38995 4.64595 4.30852 5.15016 Figura 3.2: Eccessi rilevati sulla sfera celeste, in coordinate galattiche. Il raggio dei cerchi rossi è pari al raggio angolare degli eccessi. La diversa colorazione del fondo riflette l’esposizione del rivelatore SD dell’Osservatorio Pierre Auger. La linea blu denota il piano supergalattico 37 38 Capitolo 4 Possibili sorgenti e studio di correlazione Sono stati fino a qui descritti i metodi e i risultati relativi ad una cosiddetta “blind search”, vale a dire una ricerca di eccessi a partire dal solo campione di dati, senza effettuare un confronto con qualsivoglia oggetto astrofisico. In questo capitolo viene invece descritto lo studio di correlazione compiuto fra gli eccessi riscontrati e presentati nel capitolo precedente ed alcuni cataloghi di corpi celesti che potrebbero soddisfare ai requisiti necessari a fungere da siti di accelerazione per raggi cosmici. In base alle considerazioni fatte in precedenza sono stati scelti cataloghi di soli oggetti presenti all’interno della Galassia, in particolare pulsars, magnetars, stelle binarie a raggi X e un generico catalogo di supernova remnants. La descrizione dettagliata di ciascuna di queste tipologie di oggetti è presente nelle sezioni ad esse dedicate (si vedano le sezioni 4.1, 4.2, 4.3, 4.4). Considerato che sono stati trovati solamente 6 eccessi di eventi mentre anche il più vasto dei cataloghi presi in esame contiene meno di 300 oggetti, si è optato per un metodo semplice per la stima della correlazione. Il metodo consiste nel verificare se ad una data distanza angolare θ da uno qualunque degli eccessi si trovi almeno un oggetto presente nel catalogo scelto, e contare il numero di eccessi che soddisfano questa condizione. Sono state considerate distanze angolari comprese fra 2◦ e 5◦ , con incremento di 1◦ . Il limite inferiore è dettato dalla bontà della ricostruzione della direzione di arrivo dei raggi cosmici da parte dell’Osservatorio Pierre Auger a queste energie, mentre il limite superiore deriva dal considerare che in linea teorica non ci si aspetta alcuna deflessione dei raggi cosmici nell’ipotesi che siano fotoni o neutroni. Lasciamo ad un futuro studio l’applicazione di un metodo statisticamente più elaborato. 39 4.1 X-Ray Binaries Le stelle binarie a raggi X sono sistemi composti da una stella estesa ed una stella compatta (una stella di neutroni, una nana bianca o un buco nero). Si può verificare in questi sistemi il trasferimento di materia dalla stella estesa a quella compatta, con conseguente formazione di un disco di accrezione intorno a quest’ultima. Il gas che spiraleggia verso la stella compatta emette energia potenziale gravitazionale sotto forma di radiazione, perciò questi sistemi risultano molto luminosi all’osservazione nei raggi X. Poichè i meccanismi che sottostanno alla produzione di energia nelle stelle binarie a raggi X sono ritenuti essere sostanzialmente gli stessi che avvengono in AGN, esse sono ritenute dei plausibili candidati come sorgenti di raggi cosmici. Le stelle binarie a raggi X vengono usualmente classificate in Low Mass oppure High Mass a seconda del valore della massa della stella estesa visibile nell’ottico (non si fa alcun riferimento alla massa della stella compatta). Sono stati scelti per questo studio due cataloghi, uno di LMXB (186 oggetti)[27] ed uno di HMXB (114 oggetti)[26]. Figura 4.1: Grafico di correlazione fra eccessi di eventi e LMXB. I primi sono rappresentati come cerchi rossi, le seconde come stelle nere. Nel caso delle LMXB un solo eccesso correla a distanze da 2◦ a 5◦ (figura 4.1). 40 Figura 4.2: Grafico di correlazione fra eccessi di eventi e HMXB. I primi sono rappresentati come cerchi rossi, le seconde come stelle nere. Anche nel caso delle HMXB un solo eccesso mostra correlazione, ma entro 4◦ , mentre per scale angolari minori non si riscontra alcuna correlazione (figura 4.1). 4.2 Pulsars Le pulsars sono stelle di neutroni in rapida rotazione, dotate di un forte campo magnetico (dell’ordine dei 1012 G). Esse emettono fasci di radiazione dai poli magnetici, ma poichè non necessariamente l’asse di rotazione e l’asse magnetico sono allineati, i fasci precessano attorno all’asse di rotazione dando origine al cosiddetto “effetto faro”. Le pulsars sono gli oggetti più compatti presenti nell’Hillas plot in grado di accelerare protoni a 100 EeV. In questo caso i modelli di accelerazione non utilizzano fronti d’urto e accelerazione stocastica, ma diretta nell’intenso potenziale elettrostatico presente alla superficie della stella di neutroni. È stato scelto come catalogo di confronto una lista di pulsars attive nei raggi gamma, osservate dal satellite Fermi (46 oggetti) [13]. Due eccessi mostrano correlazione su scale angolari di 5◦ , non è stata riscontrata alcuna correlazione per scale angolari inferiori (figura 4.2). 41 Figura 4.3: Grafico di correlazione fra eccessi di eventi e pulsars individuate dal satellite Fermi. I primi sono rappresentati come cerchi rossi, le seconde come stelle nere. 4.3 Magnetars Le magnetars sono stelle di neutroni dotate di un campo magnetico estremamente intenso, dell’ordine dei 1014 G. Sono in effetti ritenute essere gli oggetti più fortemente megnetizzati mai osservati, e sono associate alla spiegazione dei fenomeni detti soft gamma repeaters (SGR) e anomalous X ray pulsars (AXP). Visto il campo magnetico cosı́ intenso presente in questi oggetti essi sono un naturale candidato all’accelerazione di particelle. Il catalogo scelto è stato il McGill [28], contenente 21 oggetti. Nessuna correlazione fra gli eccessi dalla blind search e magnetars è stata trovata, a nessuna scala angolare (figura 4.3). 4.4 Supernova Remnants Supernova remnant è il generico nome con cui si indicano le strutture formatesi a seguito dell’evoluzione di una stella in una supernova. Si tratta di una vasta gamma di oggetti, spesso di natura composita, ma accomunati dalla formazione di fronti d’urto nella propagazione del materiale espulso dalla 42 Figura 4.4: Grafico di correlazione fra eccessi di eventi e magnetars. I primi sono rappresentati come cerchi rossi, le seconde come stelle nere. stella originale durante la fase di supernova attraverso il mezzo interstellare. A causa di questi fronti esse sono ritenute responsabili dell’accelerazione di raggi cosmici secondo il meccanismo di Fermi (del primo ordine). È stato scelto per le SNR il catalogo compilato da D.A. Green [14], contenente 274 oggetti. Un solo eccesso correla con le posizioni di SNR entro 2◦ o più, nessuno a scale minori (figura 4.4). 4.5 Il Centro Galattico L’eccesso denotato con il numero 6 (si veda la tabella 3.6) è stato trovato in vicinanza del Centro Galattico. Esso è in effetti localizzato entro 6◦ circa dal punto della sfera celeste che viene indicato come centro della Galassia ed entro la stessa scala angolare dal principale oggetto fisico che con esso viene identificato, Sagittarius A*. Al fine di avere un’indicazione sulla distanza fisica che separa l’ipotetica sorgente che potrebbe aver prodotto questo eccesso ed il Centro Galattico si può assumere che la distanza dalla Terra tanto dal Centro Galattico quanto dalla sorgente sia pari a 8 kpc: i due punti disterebbero allora circa 700 pc, vale a dire due volte lo spessore medio del 43 Figura 4.5: Grafico di correlazione fra eccessi di eventi e SNR. I primi sono rappresentati come cerchi rossi, le seconde come stelle nere. disco galattico. L’energia minima degli eventi dell’eccesso in questione è pari a 6.2 EeV. Come si è visto nella sezione 1.4.3 neutroni di tale energia possono propagarsi per oltre 60 kpc prima di decadere, e quindi essere rivelati a Terra. Al fine di determinare quale sia la probabilità che un eccesso di tale significanza sia prodotto da una fluttuazione statistica nei dati piuttosto che da una reale sorgente fisica, il calcolo della significanza è stato ripetuto sulla stessa area di cielo e stessa energia minima su realizzazioni isotrope dei dati. Sono stati generati 100 campioni con il metodo dello shuffling e 100 con il metodo semi-analitico (si veda 3.3). La frazione dei campioni che presentano un eccesso con significanza superiore a quella ottenuta dai dati (5.2 σ) è risultata in entrambi i casi inferiore all’1 %. L’ipotetica sorgente di raggi cosmici in questa regione potrebbe essere un “hot spot” generatosi a partire da attività nel Centro Galattico. Un altro scenario è rappresentato dalla produzione di fotoni di altissima energia nella zona del Centro Galattico. In questa regione è relativamente alta la desità di luce stellare e radiazione infrarossa la cui interazione con UHECR può produrre fotoni secondari di alta energia [22]. 44 Figura 4.6: Immagine dell’area del Centro Galattico a diverse lunghezze d’onda: in giallo osservazioni nel vicino infrarosso del telescopio Hubble; in rosso osservazioni nell’infrarosso dal telescopio Spitzer; in azzurro e viola osservazioni ai raggi X del telescopio Chandra. L’emissione da Sagittarius A* è l’area bianco-azzurra in basso a destra. L’immagine copre circa 26 arcominuti o 60 parsec, dunque il punto corrispondente all’eccesso numero 6 non è visibile. Da NASA, ESA, SSC, CXC e STScI. 45 46 Capitolo 5 Conclusioni La questione scientifica a cui si è tentato di rispodere con questo lavoro è: da quali oggetti o siti astronomici provengono i raggi cosmici di altissima energia? Più precisamente ci si è chiesti se è possibile determinare i siti di accelerazione di raggi cosmici di energia non inferiore ad 1 EeV, nell’ipotesi che essi siano di origine galattica, utilizzando i dati accumulati dall’ossrvatorio Pierre Auger. A tale scopo è stata condotta una blind search, vale a dire una ricerca di eccessi di eventi rivelati rispetto ad una ipotetica distribuzione perfettamente isotropa. Sono stati riscontrati eccessi rispondenti ai requisiti imposti, vale a dire sostanzialmente che la loro significanza definita secondo Li-Ma sia maggiore di 4. Poichè nel range di energia che si è considerato particelle cariche vengono ampiamente deflesse dal campo magnetico galattico producendo una distribuzione sostanzialmente isotropa, si è fatta l’ipotesi che gli eccessi trovati debbano essere dovuti a particelle neutre, in particolare neutroni e fotoni, che essendo neutri possono puntare direttamente al luogo dal quale sono stati accellerati. Si è dunque proceduto a confrontare le posizioni di questi eccessi con quelle di alcune categorie di oggetti astronomici comunemente ritenuti in grado di generare particelle delle energie in gioco, vale a dire gamma ray pulsars, magnetars, X ray binaries e supernova remnants. Non è stata però trovata alcuna significativa correlazione con questi oggetti. Una prima osservazione a tale riguardo riguarda il fatto che dei sei eccessi trovati, solamente uno è localizzato vicino al piano galattico. Siccome le possibili sorgenti prese in considerazione sono invece galattiche, è naturale che si trovi una poco significativa correlazione con esse, o nessuna correlazione. Invece si è trovata una indicazione di correlazione con il Centro Galattico. Simili indicazioni sono state riscontrate in precedenti analisi dei dati prodotti dagli esperimenti AGASA [35] e SUGAR [8], mentre l’analisi effettuata nel 47 2006 su dati raccolti dall’Osservatorio Auger ( prima del completamento del rivelatore SD) non ha confermato questi risultati [1]. Le incertezze presenti in questi risultati non possono essere eliminate con i metodi utilizzati in questo primo studio. Esse possono invece essere affrontate mediante un’ottimizzazione del metodo utilizzato che in particolare preveda: • un miglioramento della procedura di scansione del cielo, cioè l’ottimizzazione della griglia di ricerca e della scelta degli intervalli di energia e di scala angolare. • la discriminzaione della composizione degli eventi, in particolare fra eventi dovuti a barioni (protoni e nuclei) piuttosto che a fotoni. ciò è in linea di principio possibile studiando la profondità atmosferica alla quale lo sciame di particelle giunge al massimo sviluppo; praticamente tale quantità è difficile da determinare, sia dal punto di vista sperimentale sia a causa delle incertezze sulle sezioni d’urto a queste energie. • l’inclusione nello sviluppo della blind search del pattern di deflessione dei raggi cosmici carichi da parte del campo magnetico galattico. Se tale pattern non è isotropo si troverebbero eccessi dovuti alla struttura del campo più che a cluster di sorgenti, col rischio di confondere i due scenari. Un tale obiettivo non è pero di facile realizzazione viste le attuali incertezze sia sulla struttura che sull’intensità di tale campo. Sono interessanti in tal senso studi che guardano al problema dal punto di vista opposto: cercare di determinare le caratteristiche del campo dall’effetto che ha sulla deflessione dei raggi cosmici. • una stima più accurata del fondo generato da una distribuzione perfettamente isotropa delle direzioni d’arrivo dei raggi cosmici. Come discusso nel capitolo 3, il problema associato a queste stime è il permanere di anisotropie nel fondo quando generato a partire dal campione di dati stesso, che è anisotropo. Poichè ciò limita fortemente la sensibilità nella rilevazione di eccessi di eventi, è di fondamentale importanza compiere una stima il più accurata possibile per l’effettuazione di una blind search. • la stima della probabilità che gli eccessi trovati siano dovuti a fluttuazioni statistiche nei dati, in modo da poter quantificare l’impatto di eventuali imprecisioni nel metodo di ricerca sui risultati. • l’utilizzo di nuovi dati di elevata qualità, che coprano anche la parte di cielo visibile dal solo emisfero boreale. Risulta in tal senso auspi48 cabile la costruzione del sito nord dell’Osservatorio Pierre Auger, che attualmente è bloccata per mancanza di fondi. 49 50 Ringraziamenti Ringrazio il mio relatore Lino Miramonti e la mia corelatrice Viviana Scherini per l’indispensabile supporto e guida. Marco Giammarchi e Lorenzo Caccianiga per gli utilissimi suggerimenti e spunti espressi in innumerevoli discussioni. Gli amministratori del Laboratorio Calcolo e Multimedia, in particolare Giorgio Ruffa e Gabriele Vergani, che mi hanno permesso di usufruire della potenza di calcolo a loro disposizione. I miei familiari per la pazienza con cui hanno corretto le mie bozze. 51 52 Bibliografia [1] J. Abraham et al. [Pierre Auger Collaboration], Astropart. Phys. 27 (2007) 244 [2] J. Abraham et al. [Pierre Auger Collaboration], Astropart. Phys. 31 (2009) 399 [3] D. Allard, A. V. Olinto, E. Parizot “On the transition from Galactic to extra-galactic cosmic-rays: spectral and composition features from two opposite scenarios” ArXiv Astrophysics e-prints (Dec 2005) astroph/0512345 [4] R. Aloisio, V. Berezinsky, P. Blasi, and S. Ostapchenko “Signatures of the transition from galactic to extragalactic cosmic rays” ArXiv e-prints 706 (Giu 2007) 0706.2834 [5] P. Auger, P. Ehrenfest, R. Maze, J. Daudin, R.A. Frèon “Extensive cosmic-ray showers” Rev. Mod. 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