SOCIOLOGIA G -LEZIONI DELLA SETTIMANA 12-14 MARZO 2007
1.Che tipo di scienza è la sociologia?
1.1.La Sociologia è una scienza empirica , cioè che basa i propri asserti sull’esperienza.
Come tale è diversa dalla scienze solo formali-analitiche -speculative come la
matematica o la filosofia.
In quanto appartenente alla classe delle scienze umane la sociologia è altresì
diversa da altre scienze osservative che, avendo come loro proprio oggetto appartengono alla classe
delle scienze naturali
(chimica, fisica, biologia, ecc)
Perché?
Risposta:
-il sociologo studia soggetti in carne ed ossa.
-il sociologo è immerso nel mondo che studia
-il suo oggetto muta a seconda di dove si colloca nello spazio e nel tempo
-il sociologo può utilizzare come fonte di informazione il contatto con individui in carne ed ossa (
tramite interviste, storie di vita). La reazione a tale contatto discorsivo può produrre effetti di
-feedback ( riflessione e relativo eventuale riorientamento) sugli stessi comportamenti e atteggiamenti
oggetto di studio e di sollecitazione al momento dell’intervista o dell’ascolto di una storia di vita.
1.2. La sociologia è una scienza sociale in quanto studia non già il singolo individuo, ma individui
situati in contesti e appartenenti a insiemi più o meno ampi e durevoli (classi sociali, gruppi,
professioni, strati di età ecc.), che costruiscono e filtrano valori e preferenze su cui gli individui
orientano il proprio comportamento
Il rapporto con l’economia
A differenza dell’homo oeconomicus ( cioè l’uomo cui pensa l’economia come scienza) il quale è per
lo più pensato come uomo privato, non socializzato, l’homo sociologicus si costruisce costantemente
dalla relazione con gli
altri. Inoltre, a differenza dell’homo oeconomicus, l’homo sociologicus ha di fronte a sé
non una funzione di utilità precisa e calcolabile in maniera univoca, ma piuttosto
alternative difficilmente misurabili e talora ambigue; si muove orientato anche da altri
tipi di razionalità ( vocabolario) che non riguarda solo l’utilità economica, ma riguarda la conformità a
norme, la dipendenza da abitudini, il rispetto di tradizioni, il riferimento a credenze, la soggezione a
emozioni, affetti, ecc
Il sociologo ha dunque il compito di comprendere una classe molto più ampia di motivazioni che
spingono all’azione di quelle che interessano all’economista.
2. Che tipo di teoria è quella sociologica?
2.1.La teoria sociologica è , specie alle sue origini, meno formalizzata che in altre scienze (cioè non
possiede una sintassi di regole da cui derivare rigidamente i criteri di produzione e trasformazione di
tutti gli asserti di quella teoria, indipendentemente dai loro contenuti).
Il sapere sociologico si organizza più spesso in tradizioni che in paradigmi.
Si parla di tradizione quando si voglia mettere in rilievo la continuità nel tempo di una certo
filone o di una certa corrente di pensiero (idee, immagini, teorie) che, pur non essendo fortemente
strutturata, mantiene un suo nucleo di problematiche (insiemi di interrogativi e di risposte tipiche)
riconoscibile come tale anche nel mutare del tempo dei temi e
nell’avvicendarsi di autori.
La tradizione si distingue dal paradigma. Anch’esso è un insieme di idee, immagini largamente
condiviso. Esso tuttavia si fonda sulla accumulazione selettiva di acquisizioni precedenti della
disciplina stessa, inoltre è fortemente strutturato, è capace cioè di indirizzare lo sviluppo teorico ed
empirico di una disciplina in maniera da definire strettamente ciò che è proprio di quel paradigma e
ciò che invece non gli appartiene (quindi provvede ipotesi, concetti, teorie,. suggerisce temi di
ricerca, tiene memoria dei risultati, costruisce e verifica tecniche di indagine,ecc).
2.2. Inoltre in sociologia raramente si assiste al definitivo superamento di un tipo di analisi teorica,
poiché il modo di procedere dell’analisi sociologica si verifica più per affiancamenti di nuove
interpretazioni rispetto a interpretazioni precedenti, che per cumulazione, o per
smentita e superamento definitivi di una precedente interpretazione di un certo fenomeno.
E’ infatti impossibile creare in sociologia le condizioni per quell’esperimento cruciale che
smentendo definitivamente una certa interpretazione dei fatti definisce il punto di svolta di una
scienza paradigmatica. Come si è già detto la variabilità nello spazio e nel tempo del fenomeno
studiato difficilmente consente di mettere in concorrenza due interpretazioni riferite a oggetti che
possano essere davvero confrontabili per somiglianza e differenza.
2.3. In sociologia sono possibili letture diverse (e quindi diverse teorie) di uno stesso fenomeno, questo
deriva dall’ appartenenza a contesti diversi, dal riferimento a tradizioni teoriche diverse, o a
paradigmi diversi dal mutare dei criteri di rilevanza da un periodo all’altro,
Esempi di teorie.
Es. 1. teoria della devianza secondo Merton: la devianza, è un comportamento non naturale, ma
socialmente costruito: essa deriva dalle diverse risposte date dagli individui alla tensione esistente
tra norme sociali condivise e scarsità dei mezzi leciti disponibili per rispettarle ( l’innovatore è
colui che aderisce alle mete segnalate dalla società ma non ai mezzi leciti che essa prevede debbano
venir utilizzati per raggiungerle).
Es. 2: teoria della devianza secondo Sutherland (devianza come subcultura) la devianza è un
comportamento appreso tramite il contatto e la comunicazione ravvicinata con altri “devianti”
insediati in uno stesso contesto sociale e geografico.
3.Teoria e spiegazioni
3.1 Spiegare significa tentare di dare risposta a un interrogativo, a un perché.
può essere interessante sapere che l’etimologia latina del verbo spiegare si riferisce al fatto di
svolgere( di-spiegare) una pergamena ( influenza dell’antico egitto): man mano che si srotola
il foglio ciò che era nascosto al lettore appare alla luce.
Spiegare quindi presuppone la possibilità di portare alla luce qualcosa, intervenendo noi stessi
attraverso l’impiego di corretti utensili mentali e intellettuali, quali sono appunto gli a-priori, concetto
filosofico già caro a Kant e riproposto da Raymond Boudon per sottolineare la natura selettiva della
conoscenza scientifica.
La conoscenza scientifica, utilizza, come quella di senso comune, degli a-priori ovvero categorie
mentali preesistenti, che restringono il campo della ricerca della verità.
Gli a-priori conoscitivi sono diversi da quelli relativi ad attività di valutazione e di giudizio. Nelle
scienze ( nella prospettiva dunque di cercare una spiegazione non occasionale e non singolare di un
certo fenomeno), non ci si chiederà mai di chi è la colpa, ma quale sia, o quali siano, le cause di un
certo effetto osservato.
Dal neopositivismo (una corrente di pensiero circa le leggi del conoscere-dunque, un’epistemologia che succede al positivismo all’inizio del ‘900, su questo si vedano poi anche lezioni successive) gli
scienziati contemporanei hanno ereditato l’idea cruciale secondo il quale i dati non parlano da soli, ma
vanno appunto fatti parlare attraverso una lente, un
filtro. Questa lente e questo filtro sono costituiti da categorie mentali preesistenti (che sono già
sedimentate
in teorie vere e proprie oppure che si trovano ancora allo stato di ipotesi, cioè di teorie provvisorie), le
quali
si riferiscono ad alcuni tra i molti possibili aspetti di un certo fenomeno e si concentrano su alcuni tra i
molti possibili nessi che possono essere indagati con riferimento a quel fenomeno.
In altre parole la conoscenza di qualsiasi fenomeno, e quindi la ricerca delle sue cause, presuppone una
capacità di interrogarsi su aspetti selezionati e ritenuti rilevanti di quel fenomeno. Infatti qualsiasi
scienza, non solo la sociologia, non opera alla cieca, ma per rispondere a problemi
(problemi=interrogativi rimasti senza soluzione).
Nessun interrogativo può essere posto se non c’è una qualche conoscenza precedente. Per sapere ciò
che
non so, devo sapere quel che so!! !!! Quindi alla base della ricerca che vuole superare l’ignoranza
relativamente a un certo fenomeno ci dev’essere per forza già un sapere che orienta la mia indagine
(appunto una teoria, o una semplice ipotesi, ecc.).
Un tentativo di spiegazione attraverso una teoria si distingue dalla spiegazione di buon senso perché
nel primo caso non ci si riferisce a fatti episodici o casuali ( perché quella gallina attraversa la
strada?) ma a fatti che si presuppone siano ripetibili, generalizzabili o, se unici, non dovuti al caso.
( i fatti che attraversano la strada di sera rimangono in genere abbagliati perché….)
Un tentativo di spiegazione attraverso una teoria si distingue dalla spiegazione di buon senso perché
nel primo caso non ci si riferisce a fatti episodici o casuali ( perché quella gallina attraversa la
strada?) ma a fatti che si presuppone siano ripetibili, generalizzabili o, se unici, non dovuti al caso.
( i fatti che attra versano la strada di sera rimangono in genere abbagliati perché….)
In qualsiasi modo questa spiegazione avvenga nelle diverse scienze, essa comunque prevede la
messa in relazione di concetti (società complessaà eterogeneità dei valori e delle credenze, declino
industrialeàrischio di disoccupazione; secolarizzazione àdiminuzione del clero, ecc.).
3.2. Il modo di spiegare che le scienze sociali, non diversamente da quelle naturali, ereditano dalla
epistemologia neopositivista si distingue da quello, precedente, positivista, perché:
-ritiene che la conoscenza abbia carattere convenzionale. Cioè che la produzione di verità
scientifiche sia garantita non dalla perfetta corrispondenza tra realtà e conoscenza, ma dall’ accordo
degli scienziati su determinate regole (di osservazione , analisi, inferenza* , quest’ultima essendo un
modo di passare dalle premesse alle conclusioni, in un ragionamento) stabilite dalla comunità
scientifica
-ritiene che la realtà sia solo parzialmente conoscibile:le teorie non rispecchino la realtà sociale così
com’è, nella sua completezza, bensì la costruiscono per quegli aspetti che al ricercatore interessa
selezionare e indagare
-utilizza un modello probabilistico e non deterministico: cioè un modello non guidato dall’ipotesi di
esistenza di cause necessarie e sufficienti, bensì aperto, cioè orientato ad accettare l’incertezza relativa
all’esistenza di più alternative possibili.
In sociologia, in particolare, occorre accettare il presupposto di non avere mai un perfetto controllo su
tutti i fattori che possono entrare in gioco nel produrre un certo fenomeno (il fenomeno da spiegare è
infatti
sempre espresso da comportamenti e atteggiamenti che è impossibile smontare e riprodurre in
laboratorio, è difficile se non impossibile ricostruire nelle sue concatenazioni temporali, spesso di tipo
cumulativo, infine, è difficile, isolare dalle possibili interferenze create dal ricercatore stesso nell’atto
di intervistare, di sollecitare risposte, di osservare una situazione in cui il soggetto osservato coinvolto
come oggetto di studio.
4. La spiegazione in sociologia e i suoi a-priori
Come si è visto, a proposito dei rapporti tra sociologia ed altre scienze, ogni disciplina ha una sua
classe di a-priori con cui guarda al mondo.
Il modello causale
In sociologia le cause dei fenomeni vanno ricercate a livello del sociale (non della sfera psichica né
dell’ambito fisico)
In sociologia, come nelle altre scienze umane, non si utilizza il concetto di causalità in senso stretto
(per cui un relazione causale implica una produzione diretta , esclusiva, a senso unico, di effetti di
mutamento ad opera di un fattore su un altro). I nessi causali vanno quindi individuati per altra via, per
via indiretta (vedi più oltre: la lezione di Durkheim), dal momento che il sociologo, che raramente
utilizza il metodo dell’esperimento, difficilmente assiste direttamente al costruirsi del fenomeno
sociologico che sta indagando, più spesso osserva il fenomeno già “costruito”.
Nella spiegazione usata in sociologia non si trovano tendenzialmente mai condizioni di necessità e
sufficienza (una condizione è necessaria quando per produrre un certo effetto essa dev’essere
sempre presente; una condizione è sufficiente quando basta da sola a produrre un certo effetto. Una
condizione necessaria e sufficiente, se applicata al comportamento sociale, chiude quindi la porta a
qualsiasi libertà di scelta e presuppone massima prevedibilità dei comportamenti e totale assenza di
eterogeneità nella popolazione indagata, sotto quel certo aspetto.
Il modello causale in sociologia è piuttosto multifattoriale, si costruisce attraverso pluralità di
combinazioni e concatenazioni tra fattori e spesso è di tipo cumulativo. Gli esempi
(si rifletta sulla quantità di fattori che contribuiscono a spiegare la riduzione del tasso di natalità in
Italia, o sui fattori che possono variamente influenzare l’aumento della disoccupazione, o sulla
molteplicità di stimoli che possono indurre a scegliere una facoltà—A> esercizio in classe).
5. Soluzione statistica al problema della casualità multifattoriale in sociologia
Il problema della multicausalità è stato affrontato in modi diversi:
il modo dell’analisi multivariata ( dalla sociologia che usa gli strumenti quantitativi i della statisticaàa
partire da Durkheim);
il modo dell’imputazione ( dalla sociologia che usa gli strumenti qualitativi della documentazione
storico giuridica e l’osservazione di tipo antropologicoà a partire da Weber, per cui si vedano
dispense delle prossime settimane).
5.1.àil modo dell’analisi multivariata è il modo tipico della sociologia che usa la statistica (e che tra
l’altro si diffonderà fortemente a partire dagli anni’ 50 negli Stati Uniti)..
La forma più semplice e preliminare con cui illustrare la logica della spiegazione causale affidata alla
verifica statistica è quello dell’analisi bivariata (viene analizzata la variazione di due sole variabili, una
supposta essere quella che spiega, l’altra quella che viene spiegata).
Nella pratica della analisi statistica di tipo causale si lavora contemporeamente su più variabili supposte
contribuire in qualche modo al prodursi del fenomeno in questione, attendendosi come risultato
un’informazione che riguarda il diverso contributo (varianza spiegata) che ciascuna variabile dà al
prodursi del fenomeno
Per ritornare alla analisi bivariata, quando si vuole produrre una spiegazione causale di questo tipo si
moltiplicano le osservazioni effettuate in
condizioni confrontabili (prendendo gruppi omogenei) e cercando di dimostrare che la variazione di un
certo fattore ad esempio (il maggiore disagio famigliare rispetto agli standard di un certo contesto)
rende più
probabile, cioè più frequente, la variazione del fenomeno da spiegare ( ad esempio rende maggiore la
difficoltà di apprendimento infantile).
Se l’interrogativo è ad esempio da cosa da possa dipendere la difficoltà di apprendimento dei ragazzi
figli
di famiglie disagiate che vivono alla periferia di grandi città , possiamo cominciare con il chiederci
quanto
questa difficoltà sia influenzata dalla mancanza di supporto in famiglia, quanto dalla esposizione alla
vita di
strada, quanto dallo stigma vissuto in classe, ecc. Ci sono procedure statistiche capaci di attribuire a
ciascun
fattore un peso che individua il suo contributo alla spiegazione del fenomeno in esame
In ogni caso ciò che qui si sottolinea è la logica della variazione concomitante e, in secondo luogo,
del controllo della natura delle relazioni che si vanno via delineando tra i vari fattori ( le relazioni
possono essere apparenti, o indirette, ecc).
5.2 Il ruolo di Durkheim nella logica della spiegazione sociologica.
Si deve a Durkheim l’aver introdotto l’assunto delle variazioni concomitanti e del controllo della terza
variabile. Durkheim, sa di non poter utilizzare, a differenza del positivismo, il metodo sperimentale,
che sappiamo molto difficile da applicare al campo sociologico e più in generale nelle scienze
umane.Egli fa riferimento al metodo delle variazioni concomitanti ispirate dal filosofo Stuart Mill:
"Vi sono casi in cui noi non possiamo separare una causa dal suo effetto, allo stesso modo in cui
non si può allontanare il pendolo dalla terra né la terra dal pendolo, per vedere se esso continuerebbe ad
oscillare, qualora l'azione che la terra esercita su di esso venisse eliminata... In casi come questo è pur
sempre possibile ottenere risultati scientifici.
Il metodo grazie al quale essi si ottengono può essere chiamato metodo delle variazioni
concomitanti. Esso è sottoposto al canone seguente: un fenomeno che varia in una certa maniera tutte le
volte che un altro fenomeno varia
nella stessa maniera è o una causa o un effetto di questo fenomeno o è ad esso legato per qualche
fatto di causazione”.
Tuttavia Durkheim è anche consapevole delle trappole delle statistica: Durkheim infatti capì che
per considerare causale una relazione statistica ci vogliono una serie di controlli. Infatti una
relazione statistica non può essere interpretata, se non con grandi precauzioni come una relazione
causale. qualsiasi relazione statistica per indicare una causa dev'essere inserita in un modello
causale.
Nel celebre studio sul suicidio D. nota che la dimostrata relazione tra temperatura e tasso di
suicidio, che tanto piaceva a coloro che vedevano una relazione tra comportamenti individuali e
fenomeni cosmici, è apparente dal punto di vista causale: essa "passa " in realtà attraverso
l'intervento di variabili sociologiche come il ritmo della vita sociale: le alte temperature si hanno in
estate, ma non è direttamente l’estate né è la temperatura la causa del fenomeno suicidio: le alte
temperature dell’estate indicano l’affermarsi di un maggior ritmo della vita sociale ed economica
rispetto all’inverno ( la società cui Durkheim guarda risente ancora della vita contadina) ed è questo
è non la prima a produrre quei fenomeni di spiazzamento e incertezza che preludono al suicidio!
Nel caso della spiegazione attraverso la logica delle variazioni concomitanti tra diversi variabili si
assume che la complessità delle cause sia riducibile al riscontro (controllato ) di covariazioni tra
variabili -causa e variabile -effetto.
Il fenomeno da indagare si smonta in una serie di variabili di cui è possibile stabilire la forza di impatto
sul fenomeno da indagare.
Si suppone anche che un certo fenomeno (ripetibile, come la disoccupazione) dipenda da variabili
generali che tendono a rimanere le stesse ( appunto perché generali anche in altri contesti).
(L’anomia è una causa così generale di suicidio, secondo Durkheim, che può essere ritrovata in diversi
contesti, seppure con intensità e significati un po’ diversi).
Il modello delle scienze naturali, cui Durkheim si ispira presuppone l’ uniformità e la ripetibilità
degli eventi studiati sotto forma di associazioni ripetute tra certi eventi o fenomeni (effetti) e certi
altri eventi o fenomeni (cause)
Tuttavia è chiaro che senza uno schema causale, sostenuto da una teoria le uniformità riscontrate
rimangono mere generalizzazioni empiriche . le generalizzazioni empiriche sono frasi isolate che
enunciano uniformità di relazioni tra concettiQuando si parla di generalizzazioni empiriche si vuol dire che tali enunciazioni vengono effettuate
senza che le uniformità di relazione tra fenomeni siano collegate a una teoria.
Un esempio da seguire, a proposito dell’ inserimento di una generalizzazione empirica in uno schema
teorico è la teoria del suicidio di Durkeim. Tale teoria , pur appoggiandosi a uniformità empiriche,
inserisce queste uniformità in un quadro teorico attraverso la individuazione di relazioni tra concetti.
5.3. Ecco qui di seguito la sequenza di proposizioni che rendono teoricamente giustifica l’uniformità
empirica che emerge dal riscontro di una più alta frequenza di suicidi tra i protestanti.
Ce la propone Merton (sociologo americano, che ha dato un contributo fondamentale per far entrare la
sociologia nel novero delle scienze rigorose anche dal punto di vista del linguaggio e che studieremo
più oltre) mostrando come le uniformità empiriche nel caso di Durkheim sono derivate da una serie di
proposizioni più astratte e generali, che sono tra loro correlate e che si incardinano nella teoria
dell’anomia.
La leggiamo dall’alto verso il basso (in classe avevamo fatto l’operazione opposta)
1-La coesione fornisce un sostegno ai membri di un gruppo che sono soggetti a tensioni e ad
ansietà acute
2-le percentuali dei suicidi sono in funzione delle tensioni e delle ansietà non alleviate cui le
persone vanno soggette
3-I cattolici hanno una coesione sociale maggiore dei protestanti
4-Perciò si dovrebbero prevedere percentuali di suicidi più basse tra i cattolici che non tra i
protestanti
Il carattere di teoria compare dunque quando la generalizzazione empirica viene concettualizzata in
astrazioni di più alto livello (religione (cattolicesimo/protestantesimo) coesione sociale, tensioni e
ansietà alleviate, sostegno ecc) che vengono incorporate in enunciazioni di relazioni più generali.
Una teoria consente così di estendere la portata della scoperta empirica, anche ad altri ambiti di
comportamento, di cumulare le scoperte empiriche così riformulate ad altre scoperte, fornisce una
eventuale possibile base per la previsione, ecc.
àEsercizio a casa. Riflettere sulla frase di Boudon dettata in classe: identificare i concetti, il carattere
probabilistico delle affermazioni, il carattere sempre “comparativo” dell’analisi sociologica.
No test, per ora, proviamo a fare qualcosa in classe lunedì.