Progetto Nkubu Articolo di Sandro Dall`Oro

Inaugurata la sala neonatologia dell'ospedale missionario Consolata Hospital - Nkubu-Meru
di Alessandro Dall’Oro
Kenya, febbraio 2015
Grazie, papà Pietro.
Sono sicuro che papà Pietro, lassù, è contento. Certamente ha gioito anche lui, insieme con i suoi
più cari amici di collegio e i santi protettori Don Orione e Don Sterpi, per quanto avvenuto a Nkubu
(Meru - Kenya) presso l'ospedale missionario diocesano della Consolata lo scorso 18 febbraio.
In fin dei conti, se non si fosse dato da fare per ottenere il "nulla osta dei Superiori", il figlio Alessandro non si sarebbe deciso a scrivere quel libro sulla famiglia da cui poi doveva nascere l'idea di
ritornare in Africa a pregare sulla tomba della piccola Giulia, con tutto quello che ne sarebbe seguito!
È il suo lavorio invisibile, ma sensibile a chi crede e l'ha conosciuto, che rende ragione del successo insperato del libro, della decisione di Virginia, dopo tanti anni di rifiuto interiore, di tornare serena in Africa nei luoghi di sofferenza. È lui che mi fatto incontrare per caso il giornalista Flavio Ineschi, suo ex allievo, artefice delle tante belle iniziative per onorarne la memoria. Di certo c'è lui
dietro al mio primo colloquio con il vescovo di Meru nel 2014, quando mi offrii volontario di realizzare la nuova unità di neonatologia senza sapere dove avrei reperito i fondi necessari.
Ma oltre all'ispirazione di papà Pietro, che dire della generosità, del sostegno morale e organizzativo di tanti amici e associazioni di volontariato di Portogruaro, Caorle e Concordia nel portare a
compimento il progetto in pochi mesi?
Verso Nairobi, il viaggio
E infine il progetto si è realizzato. È il 14 febbraio 2015 quando la piccola comitiva di sei persone,
Virginia ed io, mia figlia Betty, nata in Kenya, con l'amica Sara, Ahmed e la moglie Vittoria, parte
dall'aeroporto di Venezia per giungere a Nairobi a coronare l'impresa. Saranno dieci giorni intensi
di visite a missioni, ospedali, scuole e anche a qualche parco naturale, viaggiando su buone strade
asfaltate e lunghi tratti di sterrato polveroso, spesso bagnato, con buche e solchi paurosi.
Nairobi non è più la deliziosa, ordinata e linda città verde del passato. È diventata una megalopoli
inquinata dai gas tossici di un traffico caotico e infernale e dai fumi dei grandi cementifici. I quartieri
periferici sono in continuo e disordinato sviluppo con vaste aree di povertà e degrado sociale. C'è
un via vai di matato, taxi stracolmi di persone e mercanzia, e di dikdik, motociclette di produzione
cinese, spesso adibite a taxi di basso prezzo per brevi tragitti.
L'altopiano e la missione di don Romano Filippi a Mugunda
Usciti dalla grande città, si comincia a respirare aria pulita e a vedere finalmente la vera Africa. È
tutto un susseguirsi di altipiani con colture di caffè, ananas, banane, mango, papaia, mais, patate e
fagioli. Lungo la strada si incontrano numerose bancarelle di frutta esotica dai colori sgargianti. Se
ti fermi a osservare o a fotografare, sei circondato da un nugolo di venditori insistenti che ti offrono
la loro merce in sacchetti di plastica contrattando all'infinito il prezzo. All'orizzonte, a nord, si stagliano con le loro grandi foreste i due massicci montuosi del Kenya e dell'Abardere alti oltre quattromila metri. Ad ovest dell'Abardere c'è la Rift Valley, la grande depressione della crosta terrestre
che si prolunga per migliaia di chilometri in direzione nord est verso il lago Turkana e il mar Rosso.
È qui che ha avuto inizio - a quanto sembra - la specie umana e da qui si è diffusa in tutti i continenti. Forse il mal d'Africa è un richiamo inconscio e ancestrale alle nostre origini primitive avvenute in questi luoghi!
Rispetto a trent'anni fa la gente è vestita meglio.Tutti usano le scarpe. Anche qui è diffuso il telefonino, in particolare tra giovani e studenti. I muri delle case lungo la strada asfaltata sono tappezzati
da pubblicità che richiama in particolare quattro prodotti principali: la birra, la pepsicola - cocacola sprite, la carta telefonica e le motociclette cinesi. Si constata un certo miglioramento delle condizioni economiche e sociali rispetto al passato, anche se non mancano scene raccapriccianti di povertà assoluta. Arriviamo a Mugunda dall'amico Don Romano, missionario della diocesi di Pordenone Concordia, da oltre quarant'anni in Kenya. Ha fatto grandi cose in questa regione. Intorno
alla parrocchia da lui eretta sono sorte scuole primarie e secondarie, il dispensario e sopratutto
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l'acquedotto che porta acqua potabile a oltre seimila famiglie ed è gestito da una cooperativa di
soci locali che ne controlla l'attività e l'efficenza. Il risultato si vede subito: la gente sta meglio ed è
più pulita. La missione è accogliente: le camere sono spartane ma pulite, c'è l'acqua corrente. Il
cibo non manca. Diventa la base di partenza per le nostre escursioni nei tre giorni che precedono il
nostro trasferimento ad Nkubu, a circa duecento chilometri di distanza.
Decidiamo di visitare nei due giorni seguenti il grande parco naturale del Masai Mara al confine
sud ovest con la Tanzania. È un percorso lungo e sfibrante. Qui si vede la vera e grande savana
africana, con estensioni di erba alta che si perdono all'orizzonte tra altipiani digradanti verso il lago
Victoria e il parco del Serengeti. Ogni giorno si consumano le eterne lotte per la sopravvivenza tra
gli animali predatori carnivori e gli erbivori. In questo ciclo trovano spazio vitale e cibo anche gli
avvoltoi, le iene e gli sciacalli. Anche i coccodrilli del fiume Mara hanno la loro ambita ricompensa
durante la migrazione degli sprovveduti gnu. È uno spettacolo naturale impareggiabile che ci ricompensa di gran lunga delle fatiche del viaggio.
Nkubu
Ritorniamo stanchi e soddisfatti a Mugunda e ci prepariamo a partire il giorno dopo per Nkubu.
È il momento più bello ed emozionante del nostro viaggio. Ci avviciniamo al monte Kenya con i
suoi cinquemila e duecento metri di altezza. Da lontano sembra una piramide con la punta innevata. Conosco a memoria questi luoghi incantati. Betty è felice, sente aria di casa. Qui è nata il ventidue aprile del 1976. La giornata è limpida e ventilata, la temperatura è ideale. Ci troviamo sugli
altipiani di Naniuky a oltre duemila metri di altezza. Ci fermiamo ad ammirare le bionde messi di
grano che si perdono fluenti a vista d'occhio. La cima del monte Kenya, rigata da bianchi ghiacciai,
fa capolino ad est. Siamo vicini a Meru. Tra poco attraverseremo un tratto di foresta impenetrabile
con l'immancabile presenza di babbuini e di escrementi di elefante. Facciamo una breve sosta a
Geturu, la scuola primaria della Consolata, dove Betty, non ancora compiuti i sei anni, veniva ogni
mattina con la sorella Claudia. Quanti ricordi! Vedo occhi umidi. Ripartiamo subito per Mujuwa, la
prima missione della Consolata nel Meru, sorta nel 1911. Ci attendono dei cari amici per il pranzo.
L'anziano padre Dominici, quasi novantenne, ci accoglie a braccia aperte. Ha una speciale simpatia per Virginia, che un tempo accompagnava spesso in città a fare gli acquisti. C'è il simpatico padre spagnolo Rituerto, l'anziano fratello Cumaron, un altro prete spagnolo, tre volontari veneti che
seguono la falegnameria. È un susseguirsi di baci e abbracci. La tavola nel grande e vecchio refettorio è già preparata per il pranzo. Il piccolo cimitero dove riposa Giulia è a pochi passi. Ci incamminiamo lentamente in silenzio. Il cancello è
aperto, attraversiamo il vialetto di entrata, ombreggiato ai lati dalle grandi foglie di banani. C'è
una grande stella di natale fiorita.Virginia, aiutata da Betty, ne coglie un ramo con due grandi
stelle rosse. C'è un silenzio strano sotto i frangipane che danno ombra al piccolo cimitero. In
fondo spiccano le lapidi bianche dei missionari e
dei cristiani locali. A destra dell'entrata ci sono
due piccole tombe da poco ripulite e messe a
nuovo: una è di Giulia, l'altra di Alessandra.
Sono morte ambedue poco dopo la nascita. Betty e Virginia si siedono sulla tomba di Giulia, assorte in preghiera. Con una mano toccano anche la tomba dell'altra bimba. Posano su ciascuna piccola lapide una stella di natale. Siamo
tutti commossi e in silenzio.
Il nuovo reparto di neonatologia
Dobbiamo sbrigarci. Nel pomeriggio nel vicino ospedale di Nkubu ci sarà l'inaugurazione della piccola unità di neonatologia, motivo principale del nostro viaggio. A pranzo c'è un tripudio di gioia,
innaffiata dal buon vino portato dall'Italia. Mostro agli amici la targa in plexiglass colorato che sarà
appesa all'entrata del nuovo reparto: sei angioletti di tutte le razze del mondo, sono sopra a una
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nuvola arcobaleno con la scritta in inglese “ Angels' room” e sotto “ in memory of Giulia, Laura and
Davide”. Sono i nomi dei bimbi, figli di carissimi amici, che, come Giulia, sono deceduti prematuramente. Sono tutti ammirati dell'opera. Tony, l'amico falegname, si prende cura di appendere la
targa prima della cerimonia. Alle tre in punto siamo all'entrata dell'ospedale. Palloncini colorati in
segno di festa. L'amministratore diocesano, padre Silas, ci accoglie con grande calore e simpatia.
C'è lo staff al completo: la matron, le caposala, le insegnanti della scuola infermieri e alcune infermiere più anziane. Riconosco tra loro alcune che lavoravano con me. È un saluto strappa lacrime.
Tra le altre c'è Beatrix, l'ostetrica che aiutò Betty a nascere. Si commuovono tutte e due, per Betty
era come una seconda mamma.Tra canti e balli, - gli africani hanno nel sangue la danza - ci avviciniamo al padiglione maternità. Qui tra palloncini colorati è stata imbandita una tavola con tre torte
rosa su cui sono scritti i nomi di Giulia, Laura e Davide. La targa fissata al muro è coperta da due
drappi con i colori del Kenya e dell'Italia. Una cosa
fantastica! Attorno alla tavola ci sono alcune donne
gravide in attesa di partorire e altre con i loro bimbi
in braccio nati da poco. Saranno le prime ad assaggiare il dolce offerto da Virginia, Betty e me.
Una cerimonia breve, ma ricca di significato e calore umano. Ci vestiamo con i camici bianchi e i copriscarpe per andare a visitare la sala di neonatologia. Rimaniamo stupefatti. Le nostre due nuove
incubatrici sono già in funzione! In una ci sono due
gemellini, maschio e femmina, di trentasei settimane, avvinghiati l'uno all'altra. Che tenerezza! Foto e
clips a volontà.
Il congedo è un arrivederci
Prima di lasciare l'ospedale siamo invitati a una piccola
cerimonia privata in cui ci viene donato un ricordo
africano: ad Ahmed e a me un telo rosso da guerriero
Masai con il bastone di comando; alle donne delle collane e un telo colorato da mettere in vita. Ci salutiamo
con grande affetto e con l'impegno di continuare il nostro sostegno e ritornare fra un anno.
All'alba del mattino successivo lasciamo Nkubu. A est
vediamo sorgere il sole. Il grande sole africano. Ci
fermiamo per qualche minuto ad ammirare la meraviglia con il cuore pieno di gioia e di buoni propositi.
Proprio in quella direzione, lontano non più di centocinquanta chilometri, si trova Garissa, la cittadina verso il confine con la Somalia dove, qualche settimana
dopo la nostra visita, verrà perpetrato un orrendo
massacro da mani empie e criminali guidate da un
cuore satanico.
Dio misericordioso degli Ebrei, dei Cristiani, dei Mussulmani, non permettere che l'uomo perda la
speranza in un mondo più giusto, più buono, più tollerante.
Un ringraziamento particolare a
Flavio Ineschi - Marina Moro - Annamaria Lorenzin - Mons. Pietro Cesco - Mons. Orioldo Marson
Mons. Giuseppe Manzato - Antonio Mazzarotto - Piergiorgio Padovese - M.o Alessandro Taverna
ditta Pianoforti Fazioli - Paolo Vignando
Le associazioni: “ Consultorio Familiare Fondaco” “Fondazione Giovanni Lorenzin” “ Gold Smile
Onlus Concordia”, “ Lions Club Caorle”
L’Amministrazione Comunale di Caorle rappresentata dagli Assessori Marco Giro, Giovanni Comisso.
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