Utet Giuridica - L`affidamento dei figli nella crisi della famiglia di

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Capitolo Primo
La nuova disciplina dell’affidamento dei figli
nei processi di separazione, divorzio, annullamento matrimoniale e nel procedimento
riguardante i figli nati fuori del matrimonio
di Michele Sesta
Sommario: 1. Il diritto del minore alla bigenitorialità e la sua attuazione. – 2. Una
disciplina unitaria della crisi familiare per l’affidamento dei figli. – 3. L’affidamento condiviso come tipologia ordinaria di affidamento e il carattere residuale dell’affidamento esclusivo. – 4. Alla ricerca dei confini tra affidamento condiviso e affidamento monogenitoriale. – 5. Il contenuto dell’affidamento condiviso: profili
problematici e incertezze applicative. – 5.1. L’autonomia dei genitori ed il ruolo del
giudice. – 5.2. L’esercizio della potestà. – 5.3. Il mantenimento dei figli. – 5.3.1. I
diritti dei figli maggiorenni. – 5.4. Il trattamento dei figli maggiorenni portatori di
handicap. – 5.5. I “rapporti significativi con gli ascendenti”. – 5.6. L’assegnazione
della casa familiare. – 5.6.1. La residenza del minore dopo la separazione dei genitori. – 6. Considerazioni conclusive.
Legislazione: artt. 155-155 sexies c.c.; art. 4, 2° co., l. 8.2.2006, n. 54.
Bibliografia: Al Mureden, Scioglimento della comunione, attribuzione della casa coniugale e computo del preesistente diritto ad abitarla, in Familia, 2002, 872; Id., Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, in Sesta
(diretto da), Nuovi percorsi di diritto di famiglia, Milano, 2007; Arceri, L’affidamento condiviso.
Nuovi diritti e nuove responsabilità nella famiglia in crisi, ibidem; Ead., Commento agli
artt. 155 ss., in Sesta (a cura di), Codice della famiglia, 2a ed., Milano, 2009, 681 ss.; Auletta, Commento all’art. 155 quinquies c.c., in Gabrielli E. (diretto da), Commentario del codice civile, Della
famiglia, a cura di Balestra, I, Torino, 2010, 741; Balestra, Brevi notazioni sulla recente legge in
tema di affidamento condiviso, in Familia, 2006, 655; Ballarani, Potestà genitoriale e interesse del
minore: affidamento condiviso, affidamento esclusivo e mutamenti, in Patti, Rossi Carleo
(a cura di), L’affidamento condiviso, Milano, 2006, 29; Basini, L’affidamento ad un solo genitore
prevale ancora sull’affidamento condiviso, se così impone l’esclusivo interesse della prole, in Fam.
pers. succ., 2006, 784; Bellisario, Autonomia dei genitori tra profili personali e patrimoniali, in
Patti, Rossi Carleo (a cura di), L’affidamento condiviso, Milano, 2006, 83; Bernardini, Mediazione familiare e legge 54/2006, in AIAF, 2006, 79; Bianca C.M., La nuova disciplina in materia di
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Parte Prima – Profili sostanziali
separazione dei genitori e affidamento condiviso: prime riflessioni, in Dir. famiglia, 2006, I, 676;
Bianca M., Il diritto del minore all’“amore” dei nonni, in Riv. dir. civ., 2006, I, 155; Bucci, Affidamento e potestà genitoriale: tra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario, alla luce della legge
n. 54 del 2006, in AIAF, 2006, 68 ss.; Bucciante, La potestà dei genitori, in Tratt. Rescigno, IV, 3,
Persone e famiglia, 2a ed., Torino, 1997, 585; Bugetti, Commento all’art. 155 bis c.c., in Mantovani
(a cura di), Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli
(l. 8 febbraio 2006, n. 54), in Leggi civ. comm., 2008, 137 ss.; Buzzelli, Diritti del minore nella crisi
coniugale e affidamento condiviso, in De Tilla, Operamolla (a cura di), Seminari di diritto di
famiglia, Milano, 2005, 483; Costanzo, La regolamentazione dei rapporti familiari nelle pronunce
di separazione e di divorzio, in Graziosi (a cura di), I processi di separazione e di divorzio, Torino,
2008, 209; Cubeddu, Sui limiti dell’affidamento alternativo dei figli minori ai genitori separati o
divorziati, in Famiglia e dir., 1996, 459; D’Angelo, Di Matto, L’affidamento dei figli. Aspetti processuali. Inadempienze e violazioni, Rimini, 2008; D’Avack, L’affidamento condiviso tra regole
giuridiche e discrezionalità del giudice, Relazione tenuta al Seminario “L’affidamento condiviso”
organizzato dalla Fondazione dell’Avvocatura Italiana, 22.5.2006, in Familia, 2006, 609 ss.; De Filippis, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Padova, 2006; De Filippis,
Casaburi, La separazione e il divorzio nella giurisprudenza, Padova, 2004; Dell’Utri, L’affidamento condiviso nel sistema dei rapporti familiari, in Giur. it., 2006, 1549; De Marzo, L’affidamento condiviso. Profili sostanziali, in Foro it., III, 5, 2006, c. 90; Dogliotti, Ancora sull’obbligo del
genitore al mantenimento del figlio maggiorenne, in Giust. civ., 1977, I, 1605 ss.; Id., Separazione e
divorzio, 2a ed., Torino, 1995; Id., Filiazione naturale e affidamento condiviso, in Famiglia e dir.,
2006, 397; Id. (a cura di), Affidamento condiviso e diritti dei minori: l. 8 febbraio 2006, n. 54, Torino,
2008; Donati, La famiglia come relazione sociale, Milano, 1989; Dosi, Le nuove norme sull’affidamento e sul mantenimento dei figli e il nuovo processo di separazione e divorzio, Milano, 2006;
Eekelaar, A jurisdictio in search of mission: family proceedings in England and Wales, in Familles
et justice. Justice civile et évolution du contentieux familial en droit comparé, diretto da Muelderes,
Klein, Paris-Bruxelles, 1997, 187; Id., The end of an era, in Cross Currents, Family Law and Policy
in the U.S. and England, a cura di Katz, Eekelaar, McLean, Oxford, 2000, 637; Ferri, Della potestà dei genitori (sub artt. 315-342 c.c.), in Comm. Scialoja-Branca, a cura di Galgano, BolognaRoma, 1988, 47; Giacobbe, Frezza, Effetti nei confronti dei figli, in Trattato dir. fam., diretto da
Zatti, I, Famiglia e matrimonio, a cura di Ferrando, Fortino, Ruscello, Milano, 2002, 1330 ss.;
Iid., Ipotesi di disciplina comune nella separazione e nel divorzio, in Trattato dir. fam., diretto da
Zatti, VII, Agg., Milano, 2006, 205; Giorgianni, Della potestà dei genitori, in Comm. Cian, Oppo,
Trabucchi, IV, Padova, 1992, 336; Grimaldi, Affidamento congiunto e alternato tra psicologia e
diritto, in Dir. famiglia, 1989, 301; Irti C., Affidamento condiviso e casa familiare, Napoli, 2010;
Liuzzi, Mantenimento dei figli maggiorenni, onere probatorio e limiti temporali, in Famiglia e dir.,
2005, 139; Lovati, Affidamento condiviso dei figli: luci ed ombre della nuova legge, in Riv. critica
dir. priv., 2006, 165; Maglietta, L’affidamento condiviso dei figli, Milano, 2006; Manera, L’affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Rimini, 2007; Martinelli, Spallarossa,
Gli effetti relativi ai figli nella separazione e nel divorzio, in Tratt. Ferrando, I, Matrimonio, separazione e divorzio, Bologna, 2007, 801 ss.; Mengoni, Affidamento del minore nei casi di separazione
e di divorzio, in Jus, 1983, 245; Napolitano, L’affidamento dei minori nei giudizi di separazione e
di divorzio. Dall’affidamento esclusivo all’affidamento condiviso. Esperienze pregresse e novità
legislative a confronto, Torino, 2006; Padalino, L’affidamento condiviso dei figli. Commento sistematico delle nuove disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei
figli, Torino, 2006; Paladini, L’abitazione della casa familiare nell’affidamento condiviso, in Famiglia e dir., 2006, 329; Pascucci, Conflittualità coniugale, affidamento e potestà: come garantire il
principio di bigenitorialità?, in Famiglia e dir., 2009, 173; Patti, L’affidamento condiviso dei figli, in
Fam. pers. succ., 2006, 303 ss.; Patti, Rossi Carleo (a cura di), Provvedimenti riguardo ai figli (sub
artt. 155-155 sexies), in Comm. Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 2010; Pini,
Primi orientamenti nell’applicazione della legge 54/2006, in AIAF, 2006, 34; Pocar, Ronfani, Il
giudice e i diritti dei minori, Roma-Bari, 2004; Pugliese, Interesse del minore, potestà dei genitori e
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Capitolo Primo – La nuova disciplina dell’affidamento dei figli
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poteri del giudice nella nuova disciplina dell’affidamento condiviso, in Familia, 2006, 1053; Roma,
La nozione di convivenza/coabitazione ai fini della legittimazione del genitore già affidatario a
chiedere l’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne, in Nuova giur. comm., 2006, 5, I, 456;
Id., Commento all’art. 155 quinquies c.c., in Mantovani (a cura di), Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli (l. 8 febbraio 2006, n. 54), in Leggi civ.
comm., 2008, 168; Ruscello, Gli effetti riguardo ai figli, in Ferrando (a cura di), Separazione e
divorzio, II, Torino, 2003, 818 ss.; Id., La tutela dei figli nel nuovo “affido condiviso”, in Familia,
2006, 625; Sacchetti, Dell’affidamento congiunto imposto, in Famiglia e dir., 2003, 243; Salito,
L’affidamento condiviso dei figli nella crisi della famiglia, in Autorino Stanzione (diretto da), Il
diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza. Trattato teorico-pratico, II, 2a ed., Torino,
2011, 369 ss.; Santosuosso, Scioglimento del matrimonio (diritto vigente), in Enc. Dir., XLI, Milano,
1989, 686; Schlesinger, L’affidamento condiviso è diventato legge! Provvedimento di particolare
importanza, purtroppo con inconvenienti di rilievo, in Corriere giur., 2006, 304; Sesta, Diritto di
famiglia, 2a ed., Padova, 2005; Id., Le nuove norme sull’affidamento condiviso: a) profili sostanziali, in Famiglia e dir., 2006, 377; Id., Commento agli artt. 147-148 c.c., in Id. (a cura di), Codice della
famiglia, I, 2a ed., Milano, 2009, 603 ss.; Id., Manuale di diritto di famiglia, 3a ed., Padova, 2009; Id.
L’esercizio della potestà sui figli naturali dopo la l. n. 54/2006: quale sorte per l’art. 317 bis c.c.?, in
Nuova giur. comm., 2011, 12, in corso di pubblicazione; Tommaseo, L’interesse dei minori e la nuova
legge sull’affidamento condiviso, in Famiglia e dir., 2006, 295; Id., Le nuove norme sull’affidamento
condiviso: b) profili processuali, ibidem, 388 ss.; Trabucchi, Un nuovo divorzio. Il contenuto e il senso
della riforma, in Riv. dir. civ., 1987, II, 138; Villa, Potestà dei genitori e rapporti con i figli, in Tratt.
Bonilini-Cattaneo, III, 2a ed., Torino, 2007, 301; Villani, La nuova disciplina sull’affidamento condiviso dei figli di genitori separati (Prima parte), in Studium iuris, 2006, 523.
1. Il diritto del minore alla bigenitorialità e la sua attuazione.
Con apparente paradosso, Lorenzo D’Avack1 ha acutamente osservato
come l’intervento legislativo che ha introdotto l’affidamento condiviso, ancorché diretto a innovare in profondità le regole che governano gli assetti conseguenti alla crisi familiare, a ben vedere non sarebbe stato indispensabile, poiché un atteggiamento più attento e sensibile della giurisprudenza – che pure in
tanti ambiti ha rivelato notevoli, talvolta finanche eccessive, attitudini creative
e di supplenza legislativa – ne avrebbe consentito l’attuazione sulla scorta dei
principi e delle regole già esistenti: come dire che il legislatore sia dovuto intervenire proprio per rimediare all’ingiustificato immobilismo giudiziario.
È noto, infatti, come nella disciplina previgente l’affidamento dei figli
in occasione dei procedimenti di separazione e divorzio venisse, di regola, disposto dal giudice in favore dell’uno o dell’altro coniuge, anche se
1
D’Avack, L’affidamento condiviso tra regole giuridiche e discrezionalità del giudice,
Relazione tenuta al Seminario “L’affidamento condiviso” organizzato dalla Fondazione
dell’Avvocatura Italiana, 22.5.2006, in Familia, 2006, 612 ss.
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Parte Prima – Profili sostanziali
l’abrogato art. 155 c.c., nello stabilire che il giudice dichiarasse «a quale dei
coniugi i figli sono affidati», prevedeva comunque la possibilità di adottare ogni altro provvedimento relativo alla prole, con esclusivo riferimento
all’interesse morale e materiale di essa e, quindi, di disporre diversamente
con riguardo all’esercizio esclusivo della potestà, così sicuramente consentendo forme di affidamento ad entrambi i genitori.
La consapevolezza dell’importanza di conservare al figlio rapporti significativi con entrambe le figure genitoriali anche dopo la dissoluzione
del nucleo coniugale aveva, poi, indotto il legislatore ad esplicitare modalità alternative all’affidamento monogenitoriale: in particolare, l’art. 6, 2°
co., l. divorzio, come sostituito dall’art. 11, l. 6.3.1987, n. 74, contemplava
la possibilità di disporre l’affidamento congiunto e quello alternato quali
possibili variazioni rispetto all’affidamento ad un solo genitore, in funzione di una pari condivisione delle responsabilità educative. Se, come noto,
sull’affidamento alternato2 si erano appuntate critiche e riserve, ritenendo il passaggio del minore da un’abitazione all’altra fonte di instabilità e
disorientamento tali da comprometterne l’equilibrio3, maggiore interesse
aveva invece riscosso la figura dell’affidamento congiunto4, che, in assenza di una regolamentazione normativa del suo contenuto, si identificava
con l’esercizio in comune della potestà sui figli, mantenuti, istruiti ed educati – in una parola “curati” – sulla base di un unico e concorde progetto5. Tale tipologia di affidamento ha svolto, tuttavia, un ruolo residuale
2
Sui contenuti del quale cfr. Parte I, Cap. XI, § 6.
3
In tal senso v. Trabucchi, Un nuovo divorzio. Il contenuto e il senso della riforma,
in Riv. dir. civ., 1987, II, 138; Santosuosso, Scioglimento del matrimonio (diritto vigente),
in Enc. Dir., XLI, Milano, 1989, 686; Mengoni, Affidamento del minore nei casi di separazione e di divorzio, in Jus, 1983, 245-246. La giurisprudenza ha sottolineato più volte
l’insufficienza della casa familiare a costituire l’unico punto di riferimento costante per i
figli: cfr. T. Napoli, 22.12.1995, in Famiglia e dir., 1996, 459, con nota di Cubeddu, Sui limiti
dell’affidamento alternativo dei figli minori ai genitori separati o divorziati; analogamente
Cass., 23.6.1980, n. 3934, in Dir. famiglia, 1980, 1121.
4
Sulla sopravvivenza di tali forme di affidamento alla Novella del 2006 v. Parte I,
Cap. II, § 6.
5
In argomento, cfr. Ruscello, Gli effetti riguardo ai figli, in Ferrando (a cura di), Separazione e divorzio, II, Torino, 2003, 818; Giacobbe, Frezza, Effetti nei confronti dei figli, in
Trattato dir. fam., diretto da Zatti, I, Famiglia e matrimonio, a cura di Ferrando, Fortino,
Ruscello, Milano, 2002, 1330 ss.; Dogliotti, Separazione e divorzio, 2a ed., Torino, 1995;
Grimaldi, Affidamento congiunto e alternato tra psicologia e diritto, in Dir. famiglia, 1989, 301.
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Capitolo Primo – La nuova disciplina dell’affidamento dei figli
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nell’esperienza giudiziale, la sua concreta applicazione essendo rimessa al
ricorrere di rigidi presupposti, quali l’accordo dei genitori nel richiederlo,
l’assenza tra loro di conflittualità, la sussistenza di stili di vita omogenei,
la vicinanza delle rispettive abitazioni6: presupposti il cui positivo riscontro è stato, per lo più, limitato ad una minoranza delle sole separazioni
consensuali.
I giudici, come rassegnati a prendere atto della perdita ineluttabile di
uno dei genitori, si erano così adagiati sul modello tradizionale dell’affidamento esclusivo, ritenuto più confacente all’interesse del minore ad essere
allevato ed accudito da quello, tra i genitori, che fosse risultato più idoneo a
svolgere detto ruolo, oltre che dotato di migliore capacità di attutire i danni
derivanti dallo smembramento della famiglia.
Il rischio proprio di tale modello era quello della deprivazione del ruolo del genitore non affidatario, di una sua progressiva emarginazione, sino,
talora, a giungere alla sua estromissione dalla vita del figlio. Nell’applicazione pratica della regola della monogenitorialità si riscontrava, infatti,
che il genitore escluso dall’affidamento, pur non essendo formalmente
privato della potestà, restava, nella maggior parte dei casi, quasi relegato
sullo sfondo, e, quindi, indebolito nel suo ruolo educativo, conservando, di
fatto, una ingerenza limitata nella vita del figlio, in più casi soggetta ai veti
imposti dal genitore affidatario, sovente alimentato da motivi di astio ed
intenti di ritorsione inerenti al fallimento del rapporto di coppia.
Il potere di intervento del genitore non affidatario sulle scelte di vita
quotidiana del figlio – scelte anche di rilevante importanza (gli amici da
frequentare, le terapie mediche da seguire, le abitudini di vita, le uscite
serali, ecc.) – si riduceva, invero, ad un blando potere di vigilanza e controllo sull’educazione ed istruzione della prole, con legittimazione ad adire il
tribunale in presenza di decisioni ritenute pregiudizievoli all’interesse del
6
In questo senso, già A. Milano, ord. 9.5.1986, in Dir. famiglia, 1986, 1019; analogamente T. Genova, 18.4.1991, in Giust. civ., 1991, I, 3095, con nota di Maglietta; A. Perugia,
24.3.1988, in Rass. giur. umbra, 1998, 670, che ha escluso l’affidamento congiunto quando
tra i genitori sussiste «un invalicabile muro di ostilità reciproca». In senso difforme, con
riferimento ad una richiesta di revoca dell’affidamento congiunto motivata da una sopravvenuta litigiosità tra i coniugi, cfr. T. Venezia, 22.1.2003, in Famiglia e dir., 2003, 241, con
nota di Sacchetti, Dell’affidamento congiunto imposto, che invece ha affermato che «non
basta a motivare la revoca dell’affidamento congiunto la domanda del coniuge adducente
una conflittualità con l’altro sorta nel decidere una questione di “maggiore interesse” per
il figlio».
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Parte Prima – Profili sostanziali
figlio e salvo, in ogni caso, il potere di intervenire nelle decisioni di maggiore
interesse (così disponevano l’abrogato art. 155, 3° co., c.c. e l’art. 6, 4° co.,
l. divorzio). Spesso si sentiva affermare, con critica espressione, che il ruolo
del genitore non affidatario era ridotto a quello di erogatore dell’assegno
di mantenimento, privo di autorità ed influenza, costretto ad accontentarsi
dei ritagli di tempo concessi dall’altro genitore, il quale ultimo finiva per
atteggiarsi come un vero e proprio genitore esclusivo della prole.
Ma il danno più grave, indubbiamente, era quello risentito dal minore, di
fatto privato di una figura genitoriale. Una esclusione che preparava al genitore affidatario un terreno assai fertile per imporre le proprie convinzioni, i
propri punti di vista, il proprio stile di vita, con il contestuale rischio, soprattutto in presenza di conflittualità, di una sistematica – non necessariamente consapevole – attività che sviliva la figura del genitore non affidatario agli occhi
dei figli. Era dunque pressoché inevitabile che i figli crescessero assorbendo
in prevalenza l’educazione impartita dal genitore affidatario, sia per quel che
concerne i valori da privilegiarsi, i gusti e le attitudini, le scelte fondamentali e
le opzioni religiose, sia nei rapporti con la società e con le istituzioni. Tali indesiderabili effetti erano, del resto, insiti nella stessa “scelta” sottesa alla necessità di individuare il genitore affidatario della prole (il significato dell’espressione è, del resto, “depositario di fiducia”, “colui al quale ci si affida”): sebbene gli
interpreti si sforzassero di affermare che al genitore affidatario incombesse il
dovere di assentire e di favorire i rapporti tra i figli ed il genitore escluso, salva
l’esistenza di precise e gravi controindicazioni, la realtà finiva con l’essere ben
diversa e l’esercizio di un potere pressoché incondizionato da parte del genitore affidatario, forte dell’essere stato giudicato “genitore più idoneo”, finiva
per legittimare un’assoluta predominanza di tale figura a scapito dell’altra7.
In definitiva, nella materia dell’affidamento, i giudici avevano finito per
consolidare una prassi indifferente alle esigenze di valorizzazione dell’interesse dei figli a non subire la “perdita” di un genitore.
A questa “timida” condotta dei giudici, il legislatore, con l. 8.2.2006, n. 54
(“Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”), ha inteso contrapporre una scelta netta ed inequivocabile, i
7
De Filippis, Casaburi, La separazione e il divorzio nella giurisprudenza, Padova,
2004, 13 ss., i quali osservano che il genitore vincitore della battaglia sull’affidamento si
trovava da solo a fronteggiare il carico di responsabilità, impegno e solitudine che tale
vittoria comportava.
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Capitolo Primo – La nuova disciplina dell’affidamento dei figli
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cui contenuti sono ben tratteggiati nel novellato testo del codice civile e, in
particolare, nella disposizione di apertura (art. 155, 1° co., c.c.), secondo la quale «anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di
ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi e di conservare rapporti
significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale»8.
Il legislatore della Novella eleva, dunque, a valore fondamentale la preservazione di un intenso rapporto tra il figlio ed i propri genitori nonostante la cessazione della vita di coppia, ponendo su entrambi un obbligo di
“cura”9, che evoca, indubbiamente, una concreta ed attiva partecipazione
di ciascun genitore alla vita quotidiana del figlio10. Nel contempo, enfatizza
l’importanza dei più ampi legami familiari, riconoscendo al figlio il diritto di
conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun
ramo genitoriale (il c.d. diritto di visita dei nonni11).
8
Tra i primi commenti alla riforma, v. i contributi di Sesta, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: a) profili sostanziali, in Famiglia e dir., 2006, 377; Balestra, Brevi notazioni sulla recente legge in tema di affidamento condiviso, in Familia, 2006, 655; Ruscello,
La tutela dei figli nel nuovo “affido condiviso”, in Familia, 2006, 625; Lovati, Affidamento condiviso dei figli: luci ed ombre della nuova legge, in Riv. critica dir. priv., 2006, 165;
Basini, L’affidamento ad un solo genitore prevale ancora sull’affidamento condiviso, se
così impone l’esclusivo interesse della prole, in Fam. pers. succ., 2006, 784; D’Avack, op. cit.,
609 ss.; Dell’Utri, L’affidamento condiviso nel sistema dei rapporti familiari, in Giur. it.,
2006, 1549; Padalino, L’affidamento condiviso dei figli. Commento sistematico delle nuove
disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli, Torino,
2006; Ballarani, Potestà genitoriale e interesse del minore: affidamento condiviso, affidamento esclusivo e mutamenti, in Patti, Rossi Carleo (a cura di), L’affidamento condiviso,
Milano, 2006, 29; Schlesinger, L’affidamento condiviso è diventato legge! Provvedimento
di particolare importanza, purtroppo con inconvenienti di rilievo, in Corriere giur., 2006,
304; Pugliese, Interesse del minore, potestà dei genitori e poteri del giudice nella nuova
disciplina dell’affidamento condiviso, in Familia, 2006, 1053; Arceri, L’affidamento condiviso. Nuovi diritti e nuove responsabilità nella famiglia in crisi, in Sesta (diretto da), Nuovi
percorsi di diritto di famiglia, Milano, 2007; De Filippis, Affidamento condiviso dei figli
nella separazione e nel divorzio, Padova, 2006; Manera, L’affidamento condiviso dei figli
nella separazione e nel divorzio, Rimini, 2007.
9
Sesta, Le nuove norme sull’affidamento condiviso, cit., 377 ss. e Id., Commento agli
artt. 147-148 c.c., in Id. (a cura di), Codice della famiglia, I, 2a ed., Milano, 2009, 606.
10
Arceri, L’affidamento condiviso, cit., 61.
11
T. Firenze, 22.4.2006, in Famiglia e dir., 2006, 291, con nota adesiva di Tommaseo, L’interesse dei minori e la nuova legge sull’affidamento condiviso. In dottrina, v. Bianca M., Il
diritto del minore all’“amore” dei nonni, in Riv. dir. civ., 2006, I, 155. V. infra, § 5.5. Per una
più compiuta trattazione dell’argomento si rinvia alla Parte I, Cap. XI e alla Parte II, Cap. I.
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Parte Prima – Profili sostanziali
A ben vedere, dunque, la legge del 2006 ha dato attuazione ad un principio
già da tempo introdotto nel nostro ordinamento, a seguito della ratifica della Convenzione di New York del 20.11.1989 sui diritti del fanciullo, la quale
all’art. 9, 3° co., prevede, appunto, il diritto del minore alla bigenitorialità,
affinché questi conservi rapporti paritari e significativi con entrambi i genitori12.
A tal fine, la Novella ha predisposto un sistema di affidamento idoneo a
consentire ad entrambi i genitori di partecipare attivamente, e tendenzialmente con pari intensità, alla vita del figlio anche dopo la disgregazione del
nucleo familiare, così abbandonando la tradizionale distinzione di ruoli tra
genitore che si occupa del figlio e genitore “del tempo libero”13. È quanto
dispone l’art. 155, 2° co., c.c., ai sensi del quale «Per realizzare la finalità
indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente
la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure
stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità
della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il
modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura,
all’istruzione e all’educazione dei figli. (...)».
Con una decisa inversione del rapporto regola-eccezione, l’affidamento
condiviso è assurto, dunque, a tipologia preferenziale di affidamento, mentre
l’affidamento ad un solo genitore è stato degradato a fattispecie residuale14,
12
La relazione di accompagnamento alla riforma sottolinea che l’affidamento condiviso era già regola generale in diversi Paesi europei: Svezia, Grecia e Spagna (fino dal 1981);
Regno Unito (Children Act del 14.10.1991); Francia (l. 8.1.1993); Belgio (l. 13.4.1995);
Olanda (l. 1.1.l998); Germania (l. 1.6.1998). Per una riflessione più ampia sugli orientamenti emersi sul piano internazionale, v. Sesta, Diritto di famiglia, 2a ed., Padova, 2005,
378, e Arceri, L’affidamento condiviso, cit., 14 ss.; sulla legislazione francese e tedesca,
cfr. Patti, L’affidamento condiviso dei figli, in Fam. pers. succ., 2006, 303 ss.; per alcuni cenni di carattere generale sulla legislazione europea, v. anche Buzzelli, Diritti del minore
nella crisi coniugale e affidamento condiviso, in De Tilla, Operamolla (a cura di), Seminari di diritto di famiglia, Milano, 2005, 483; De Filippis, op. cit., 9 ss.
13
Sesta, Le nuove norme sull’affidamento condiviso, cit., 377.
14
Contra, Bellisario, Autonomia dei genitori tra profili personali e patrimoniali,
in Patti, Rossi Carleo (a cura di), L’affidamento condiviso, cit., 83: secondo l’A., il
legislatore della riforma non ha espresso alcuna preferenza per l’uno o l’altro modello di
affidamento, l’affidamento migliore essendo quello «che può effettivamente realizzarsi in
ciascun caso concreto», non potendosi «offrire una risposta legata a parametri oggettivi».
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Capitolo Primo – La nuova disciplina dell’affidamento dei figli
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fermo restando che, se il criterio ispiratore che governa le decisioni in materia di
affidamento va ora ravvisato nell’interesse alla continuità del rapporto di cura,
educazione, istruzione goduto con entrambi i genitori, non può quel medesimo
interesse non essere considerato anche ove il giudice si determini a disporre l’affido esclusivo. In tal senso depone l’art. 155 bis, 2° co., c.c., a tenore del quale, ove
il giudice disponga l’affidamento esclusivo, ha il dovere di far salvi, per quanto
possibile, i diritti del minore, così come disciplinati dal 1° co. dell’art. 155 c.c.15.
Il giudice è, in definitiva, chiamato ad occuparsi della tutela della famiglia disgregatasi «con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale» della prole (art. 155, 2° co., c.c.), dovendosi garantire al figlio quella
continuità di affetti che la separazione tra i genitori è potenzialmente idonea a minare. Un interesse non definibile soltanto in astratto, ma che deve
essere rapportato al caso concreto. Di qui la necessità che il provvedimento
del giudice tenga conto di questo interesse e delle sue concrete possibilità
di attuarsi nella realtà dei fatti. A tal fine, la nuova legge sull’affidamento
condiviso, in conformità alle direttive poste dalle Convenzioni internazionali in materia16, ha previsto l’audizione del minore prima dell’emanazione
dei provvedimenti concernenti l’affidamento (art. 155 sexies, 1° co., c.c.17),
quale strumento per raccogliere le sue opinioni e percepire le esigenze di
tutela dei suoi primari interessi, espressione di quel fondamentale canone
di civiltà giuridica che non può consentire lo svolgersi e l’esaurirsi di un
procedimento giurisdizionale che influisce, in modo decisivo, sulla vita di un
soggetto senza che costui abbia avuto la possibilità di portare a conoscenza
dell’organo decidente le proprie opinioni ed i propri desideri18.
15
In argomento v. più diffusamente infra, § 3.
16
È noto come il diritto per il fanciullo di partecipare in prima persona alla formazione
e alle scelte che lo riguardano sia espressamente enunciato nella Convenzione di New
York del 1989, ratificata con l. 176/1991, che all’art. 12 stabilisce il diritto per il fanciullo
capace di discernimento di esprimere la sua opinione su ogni questione che lo interessa in
considerazione dell’età e del suo grado di maturità, mentre la Convenzione di Strasburgo
del 1996, ratificata con l. 77/2003, prevede all’art. 6 la necessità per l’autorità giudiziaria, prima di adottare qualsiasi decisione nelle procedure che interessano un fanciullo, di
consultarlo personalmente, quando abbia una sufficiente capacità di discernimento, consentendogli di esprimere la sua opinione e tenendone in debito conto. In argomento, cfr.
più ampiamente Sesta, Diritto di famiglia, cit., 33; Pocar, Ronfani, Il giudice e i diritti dei
minori, Roma-Bari, 2004, 25 ss.
17
In argomento v. ampiamente Parte II, Cap. VI.
18
Arceri, L’affidamento condiviso, cit., 200.
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Parte Prima – Profili sostanziali
Può, dunque, concludersi che, nel nuovo assetto delineato dalla l. 54/2006,
la bigenitorialità non costituisce una legittima rivendicazione del genitore, bensì un diritto soggettivo del minore, da collocarsi nell’ambito dei diritti della personalità, al quale assicurare la più ampia attuazione a fronte di una evidente e
profonda crisi dei modelli familiari consolidati e dei ruoli educativi tradizionali,
minati dall’accresciuta instabilità dei vincoli di coppia19. Come già si è osservato in altra sede20, a fronte dell’ampliarsi dei modelli familiari e, in particolare,
dell’autonomia dei coniugi nel disporre del rapporto matrimoniale – destinato
sempre più a divenire un vincolo la cui finalità essenziale è costituita dal soddisfacimento di esigenze personali, con conseguente possibilità di rimuoverlo
ogniqualvolta tale obiettivo non appaia realizzabile –, è maturata la consapevolezza della necessità di rafforzare gli strumenti di tutela dei figli, sia con riguardo ai comportamenti richiesti ai genitori, sia con riguardo all’intervento
pubblico21. Dunque, la libertà di autodeterminazione dei genitori, che comporta instabilità della coppia e, quindi, della famiglia, non può e non deve compromettere il diritto dei figli a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo
con entrambe le figure parentali di riferimento: per il minore, nonostante la
19
La bibliografia sull’affidamento condiviso, a distanza di oltre cinque anni dall’entrata in vigore della l. 54/2006, è già assai vasta. Si rammentano, senza pretesa di completezza,
alcune opere (oltre a quelle già indicate in nota 8): Napolitano, L’affidamento dei minori
nei giudizi di separazione e di divorzio. Dall’affidamento esclusivo all’affidamento condiviso. Esperienze pregresse e novità legislative a confronto, Torino, 2006, passim; Martinelli,
Spallarossa, Gli effetti relativi ai figli nella separazione e nel divorzio, in Tratt. Ferrando,
I, Matrimonio, separazione e divorzio, Bologna, 2007, 801 ss.; D’Angelo, Di Matto, L’affidamento dei figli. Aspetti processuali. Inadempienze e violazioni, Rimini, 2008, passim;
Dogliotti (a cura di), Affidamento condiviso e diritti dei minori: l. 8 febbraio 2006, n. 54,
Torino, 2008, passim; Salito, L’affidamento condiviso dei figli nella crisi della famiglia,
in Autorino Stanzione (diretto da), Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza. Trattato teorico-pratico, II, 2a ed., Torino, 2011, 369 ss.; Bugetti, Commento all’art.
155 bis c.c., in Mantovani (a cura di), Disposizioni in materia di separazione dei genitori
e affidamento condiviso dei figli (l. 8 febbraio 2006, n. 54), in Leggi civ. comm., 2008, 137
ss.; Arceri, Commento agli artt. 155-155 sexies c.c., in Sesta (a cura di), Codice della famiglia, cit., 681 ss.; Patti, Rossi Carleo (a cura di), Provvedimenti riguardo ai figli (sub artt.
155-155 sexies), in Comm. Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 2010; Irti
C., Affidamento condiviso e casa familiare, Napoli, 2010, passim.
20
Sesta, Diritto di famiglia, cit., 32.
21
Donati, La famiglia come relazione sociale, Milano, 1989, 39; Eekelaar, A jurisdictio
in search of mission: family proceedings in England and Wales, in Familles et justice. Justice
civile et évolution du contentieux familial en droit comparé, diretto da Muelderes, Klein,
Paris-Bruxelles, 1997, 187.
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Capitolo Primo – La nuova disciplina dell’affidamento dei figli
13
crisi genitoriale, deve continuare ad esistere una famiglia, non più fondata sulla
convivenza dei genitori, ma sulla loro capacità di continuare a svolgere il ruolo educativo22. La bigenitorialità sopravvive alla fine del rapporto coniugale:
cessare di essere marito e moglie non significa non essere più padre e madre.
Come ha scritto uno studioso inglese23, l’indissolubilità, in passato riferita al
rapporto di coppia, si è oggi trasferita al rapporto genitoriale: il rapporto tra
coniugi cessa, ma, ove essi siano genitori, non possono non continuare a relazionarsi tra loro per l’assolvimento degli irrinunciabili compiti di cura dei figli.
È certo allora che, per più versi, le nuove regole abbiano segnato in
profondità il modello familiare tradizionale, già notevolmente rivisitato dalla riforma del 1975, di cui la Novella del 2006 costituisce un coerente e significativo sviluppo: il legislatore, nel collocare il diritto alla bigenitorialità al
centro della disciplina e nel disporre che esso perduri inalterato, nonostante
la fine del rapporto della coppia genitoriale, ha svincolato le decisioni che lo
riguardano dalle vicende della relazione tra i genitori.
Per altro verso, non può mancarsi di considerare come la Novella finisca
per sacrificare quella complessa trama di rapporti, molto più articolati di
quelli scaturenti dalla famiglia nucleare classica, che pure frequentemente
originano dalle nuove unioni formatesi a seguito della rottura del vincolo
coniugale (c.d. famiglia ricomposta o ricostituita): può infatti accadere che
il coniuge cui siano affidati i figli minori, ed ora, molto più probabilmente, il
coniuge coaffidatario presso il quale la prole risulti prioritariamente collocata, si unisca nuovamente in matrimonio; situazione analoga può presentarsi
anche a seguito di convivenza successiva ad una separazione legale o ad una
precedente convivenza. Ebbene, la vigente disciplina in tema di affidamento
condiviso finisce per accentuare i potenziali conflitti tra genitore biologico
e genitore c.d. sociale (o step parent24) sia con riferimento all’esercizio
22
D’Angelo, Di Matto, op. cit., 33; Al Mureden, Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, in Sesta
(diretto da), Nuovi percorsi di diritto di famiglia, cit., 223 ss.
23
Eekelaar, The end of an era, in Cross Currents, Family Law and Policy in the U.S.
and England, a cura di Katz, Eekelaar, McLean, Oxford, 2000, 649.
24
Si noti che il fenomeno, ancorché relativamente diffuso, è, allo stato, pressoché ignorato dall’ordinamento, che neppure dispone di vocaboli idonei a definire i ruoli all’interno
della famiglia ricostituita. I sociologi parlano di genitore sociale, termine che certamente
non si presta ad essere utilizzato nel linguaggio comune, oppure preferiscono adottare la
terminologia inglese (step family, step father, step mother, step parents, step child).
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Parte Prima – Profili sostanziali
congiunto della potestà anche dopo la separazione coniugale (art. 155, 3° co.,
c.c.25), sia con riferimento al godimento della casa familiare (art. 155 quater
c.c.26). Sotto il primo profilo, occorre invero rilevare che, se oggi l’ordinamento è così sensibile al protrarsi della responsabilità genitoriale anche dopo la
rottura della coppia e salvaguarda la continuità del vincolo, anche giuridico,
non solo affettivo o personale, tra ciascun genitore e figlio27, diventa, allora,
problematico riconoscere un ruolo allo step parent – che pure, in via di fatto,
può essere chiamato a svolgere un compito molto rilevante, sia con riguardo
alla funzione educativa che alla tutela degli interessi del minore, anche nei
confronti dei terzi –, perché in potenziale collisione con quello del genitore
biologico, che in linea tendenziale si vuole resti immutato nonostante la rottura della coppia genitoriale. Con riguardo all’abitazione, come si dirà28, tra
le novità dell’art. 155 quater c.c. merita particolare attenzione la previsione
per cui il diritto a godere della casa coniugale, che spetta sul presupposto
della convivenza con i figli, viene meno a seguito del nuovo matrimonio o
dell’instaurazione di una convivenza more uxorio, con ciò finendosi per sacrificare in modo automatico, e ingiustamente punitivo, l’interesse stesso che
la norma si ripromette di tutelare in via primaria, ossia quello della prole a
conservare il proprio habitat domestico29. Ecco allora che, nel silenzio del
legislatore – ed al di fuori della speciale ipotesi di adozione che può essere
disposta con riguardo al figlio del coniuge [art. 44, 1° co., lett. b), l. 4.5.1983,
n. 184]30 –, non è facile individuare strumenti appropriati di disciplina dei
25
V. infra, § 5.2.
26
V. infra, § 5.6.
27
V. infra, § 5.2.
28
V. infra, § 5.6.
29
Come vedremo (infra, § 5.6), tale automatismo, che rifugge da ogni valutazione discrezionale del giudice, ha suscitato dubbi di legittimità costituzionale in relazione agli
artt. 2, 3, 29 e 30 Cost. e sollecitato una lettura costituzionalmente orientata della norma,
capace di svuotarla di ogni contenuto ingiustificatamente sanzionatorio.
30
Lo step parent, in base a questa disposizione, può – a certe condizioni – adottare
il figlio del proprio coniuge. Naturalmente si tratta di famiglie ricostituite coniugate,
giacché se i partners non sono coniugi l’adozione non è possibile. Il ricorso all’adozione
pone però questioni molto delicate, perché, ancorché non legittimante, inevitabilmente
incide sulle prerogative del genitore biologico, che deve comunque dare il suo consenso, ancorché il tribunale, ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse
dell’adottando, possa pronunziare ugualmente l’adozione, salvo che l’assenso sia stato
rifiutato dal genitore esercente la potestà (art. 46, l. 184/1983). Su questi argomenti v. già
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Capitolo Primo – La nuova disciplina dell’affidamento dei figli
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rapporti tra genitore sociale e figli conviventi del coniuge (o del partner).
A ciò si aggiunga che, nel caso di morte del genitore biologico affidatario, si
pone il problema dell’affidamento del minore che abbia un rapporto psicologico e significativo con lo step parent: ci si domanda, in tal caso, se possa
disporsi l’affidamento in favore dello step parent, che potrebbe essere quella
«terza persona» cui faceva cenno l’abrogato art. 155, 6° co., c.c.31; oppure se, a
seguito di rottura del secondo rapporto, sia configurabile un diritto di visita
dello step parent.
2. Una disciplina unitaria della crisi familiare per l’affidamento dei figli.
Un profilo di primaria importanza, che si accompagna al riferito mutamento di prospettiva – inteso a valorizzare una pari condivisione delle
responsabilità educative in capo ad entrambi i genitori –, è che la regola
dell’affidamento condiviso si applica anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili e di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti
relativi ai figli di genitori non coniugati (art. 4, 2° co., l. 54/2006).
Questa previsione – che purtroppo non ha trovato collocazione nel tessuto del codice civile –, nel disporre che «le disposizioni della presente legge
si applicano anche ai figli di genitori non coniugati», colma una lacuna del
sistema, che non contemplava norme per la regolamentazione della dissoluzione della coppia genitoriale non coniugata, neppure con riguardo all’affidamento dei figli32, e che, per le altre situazioni, dettava regole in vario modo
differenziate.
La disposizione, pur creando motivi di grave incertezza di ordine processuale ed originando uno dei problemi interpretativi più dibattuti nell’immediatezza dell’entrata in vigore della nuova disciplina33, ha rappresentato
Sesta, Manuale di diritto di famiglia, 3a ed., Padova, 2009, 183 ss. e Id., Diritto di famiglia,
cit., 391 ss.
31
V. infra, § 5.5.
32
La giurisprudenza, invero, è ricorsa spesso all’applicazione analogica degli artt. 155
c.c. e 6, l. divorzio per ritenere le relative disposizioni estensibili al giudice minorile:
cfr. A. Venezia, 26.11.1990, in Dir. famiglia, 1991, I, 570; T. min. Bari, 11.6.1982, in Foro it.,
1982, III, 2032; A. Catanzaro, 8.11.1988, in Dir. famiglia, 1992, I, 1036.
33
Ci si è chiesti, in particolare, se tale norma potesse incidere sul riparto di competenze
tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni, come inteso ed applicato fino
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Parte Prima – Profili sostanziali
un notevole passo verso l’equiparazione della famiglia naturale a quella legittima; in questo senso, può ritenersi che la Novella abbia inferto, forse inconsapevolmente, un potente vulnus al matrimonio, che, quanto all’affidamento
dei figli nella fase patologica del rapporto, ha perduto in consistente misura la
vis che da sempre lo aveva contraddistinto, restando privo di ogni specificità
rispetto alla convivenza.
A ben vedere, quindi, la legge che ha introdotto l’affidamento condiviso, nel dettare una disciplina unitaria della crisi familiare e nel delineare
i nuovi diritti (dei figli) e le nuove responsabilità (dei genitori), prelude a
nuovi svolgimenti della disciplina giuridica delle relazioni familiari, quali la
scomparsa della dicotomia figli legittimi/figli naturali34 e più espliciti riconoscimenti alla coppia di fatto. Con essa, il legislatore ha espresso – come
recita una recente pronuncia di legittimità – «un’evidente scelta di assimilazione della posizione dei figli naturali a quelli nati nel matrimonio, quanto
al loro affidamento. (...) Dunque sono applicabili, anche in questo settore,
le regole introdotte dalla predetta legge per la separazione e il divorzio:
potestà esercitata da entrambi i genitori, decisioni di maggior interesse di
comune accordo (con intervento diretto del giudice, in caso di contrasto),
quelle più minute assunte anche separatamente, privilegio dell’affidamento
condiviso rispetto a quello ad uno dei genitori, che comunque può
essere disposto, quando il primo appaia contrario all’interesse del minore;
assegno per il figlio, in subordine, essendo preminente il principio del
mantenimento diretto da parte di ciascun genitore, audizione obbligatoria
del minore ultradodicenne, possibilità di revisione delle condizioni di
affidamento, ecc.»35.
all’entrata in vigore della citata legge. Per la questione v. diffusamente Parte II, Cap. II.
Sulle questioni in tema di competenza nei procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, v. già Tommaseo, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) profili processuali,
in Famiglia e dir., 2006, 388 ss.; Bucci, Affidamento e potestà genitoriale: tra tribunale per
i minorenni e tribunale ordinario, alla luce della legge n. 54 del 2006, in AIAF, 2006, 68 ss.
34
In questa direzione, del resto, si muovono alcuni recenti progetti di legge in tema di
unificazione dello status di filiazione. V., da ultimo, il d.d.l. 2805, approvato dalla Camera
dei deputati (XVI Legislatura) il 30.6.2011, contenente “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”.
35
Così Cass., 30.10.2009, n. 23032, in Dir. famiglia, 2010, 153. Sui profili di diritto sostanziale riguardanti l’affidamento dei figli naturali v. ora anche Cass., ord. 2.12.2010, n. 24526,
in www.dejure.giuffre.it.
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Capitolo Primo – La nuova disciplina dell’affidamento dei figli
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3. L’affidamento condiviso come tipologia ordinaria di affidamento e il
carattere residuale dell’affidamento esclusivo.
Nel nuovo impianto normativo, l’affidamento condiviso assurge, dunque, a modalità ordinaria di affidamento della prole, mentre quello monogenitoriale, verso il quale il legislatore mostra un chiaro disfavore, è
relegato ad ipotesi residuale36: ciò che contribuisce a dare concretezza al
principio di bigenitorialità proclamato dall’art. 155, 1° co., c.c. È quanto
dispone l’art. 155, 2° co., c.c., ai sensi del quale il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi
alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di
essa, valutando «prioritariamente la possibilità che i figli minori restino
affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono
affidati».
Rafforzando e specificando la previsione, l’art. 155 bis c.c. circoscrive la
statuizione giudiziale dell’affido esclusivo ai casi in cui l’affidamento ad entrambi i genitori si riveli in contrasto con l’interesse del minore e introduce
un obbligo di motivazione del giudice che scelga di discostarsi dal modello
prioritario di affidamento.
Con la clausola in bianco dell’“interesse del minore” (art. 155 bis c.c.), se, da
un lato, si riconosce al giudice ampia discrezionalità nell’individuare, al di là di
ipotesi espressamente tipizzate37, le circostanze di fatto in presenza delle quali
l’affidamento ad entrambi i genitori si riveli in concreto pregiudizievole per il
figlio, dall’altro è certo che solo in stretto subordine il giudice si determinerà a
disporre l’affidamento esclusivo38, a tal fine occorrendo specifiche ragioni, oggettive o soggettive, che rendano uno dei due genitori, in concreto, impossibilitato o inadeguato ad assumersi le responsabilità relative alla cura e crescita del
figlio39. Nella delineata prospettiva, pare non potersi fondare la presunzione di
36
Per l’affido esclusivo come tipologia di affidamento di carattere residuale, v. Parte I,
Cap. II.
37
Situazioni “estreme”, quali quelle previste dagli artt. 330 e 333 c.c., come volevano
alcuni progetti di legge.
38
Per una individuazione delle condizioni ostative all’affidamento condiviso si rinvia
infra, Parte I, Cap. II.
39
È significativo secondo Maglietta, L’affidamento condiviso dei figli, Milano, 2006, 44,
che la legge abbia omesso il termine “anche”, inizialmente presente, a sottolineare che si
può escludere un genitore dall’affidamento soltanto per le sue carenze e non per la sua
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Parte Prima – Profili sostanziali
contrarietà dell’affido condiviso all’interesse del minore sul fattore, in sé, della
lontananza delle residenze o della conflittualità tra i genitori; salvo, naturalmente, che il livello di conflittualità, o la lontananza tra le residenze, sia tale da
precludere quel minimo di comunicazione tra i genitori indispensabile al fine
di consentire l’elaborazione concorde delle linee comuni per lo svolgimento
dei compiti genitoriali e, in concreto, la spartizione dei rispettivi compiti: in tali
ipotesi sembra ragionevole ritenere che il principio della salvaguardia dell’interesse del minore richieda di optare per l’affidamento esclusivo. E lo stesso
è a dirsi in presenza di atteggiamenti di un genitore di totale disinteresse nei
confronti del figlio, dell’inettitudine a prendersene cura40, di comportamenti
che siano espressione di disvalori o di anomale condizioni di vita, di disturbi
della personalità, di comportamenti violenti o tali da ostacolare un sereno ed
equilibrato svolgimento del rapporto del figlio con quel genitore.
In sintesi, è necessario aver riguardo unicamente all’inidoneità educativa
del genitore non affidatario, ad esclusione, invece, di qualsivoglia elemento che,
pur costituendo motivo di difficoltà pratica nello svolgimento dell’affidamento,
non sia suscettibile di pregiudicare il benessere psicofisico della prole; ciò vale
a dire che si può escludere un genitore dall’affidamento solo per sue oggettive
carenze comportamentali, per sua inidoneità, ovvero se risulti, in concreto, che
il contatto diretto tra genitore e figlio sia di pregiudizio a quest’ultimo41.
Ne consegue che non saranno neppure omologabili accordi tra i genitori
volti a prevedere l’affido ad uno solo di essi, né avrà rilievo, in sé, la mera
rappresentazione di condizioni preclusive alla concreta attuazione dell’affidamento condiviso. Anzi, le parti saranno edotte del fatto che, ove dovessero
ostacolare l’affidamento condiviso con argomenti pretestuosi, o dovessero
relazione con l’altro, solo, cioè, ove il giudice ritenga, motivatamente, che affidare i figli a
“quel” genitore sarebbe contrario al loro interesse.
40
T. Firenze, 21.2.2007, in Dir. famiglia, 2007, 1724, secondo il quale la mera scarsa presenza relazionale e non oggettiva di un genitore, peraltro né incapace né pericoloso, nei
confronti della prole non giustifica, in sé, l’adozione dell’affidamento esclusivo in favore
dell’altro genitore: la carente sensibilità del primo e la sua tendenza a non onorare le
proprie responsabilità parentali possono essere superate e vinte con l’adozione dell’affidamento condiviso, che vincola entrambi i componenti della coppia all’assunzione ed
all’osservanza di uguali doveri nei confronti della prole.
41
Nel senso che soltanto «una condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa» del genitore sarà idonea a rendere l’affidamento ad entrambi i genitori in concreto
pregiudizievole per il minore Cass., 18.6.2008, n. 16593, in Famiglia e dir., 2008, 1106, con
nota di Amram.
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Capitolo Primo – La nuova disciplina dell’affidamento dei figli
19
adottare comportamenti ostruzionistici nei riguardi dell’altro genitore, pregiudicandone il rapporto con la prole, potranno subire sanzioni: si pensi al
monito posto dall’art. 155 bis, 2° co., c.c. nei riguardi del genitore che richieda
l’affidamento esclusivo in assenza dei relativi presupposti42; alla gamma di
strumenti apprestati dall’art. 709 ter c.p.c. a fronte dei comportamenti che
ostacolino l’affidamento condiviso, che spaziano dall’ammonizione del soggetto inadempiente ai doveri genitoriali, alla condanna al risarcimento dei
danni in favore sia dell’altro genitore sia del figlio, alla modifica delle condizioni di affidamento43; o ancora, nelle ipotesi più gravi, alle fattispecie di
reato che possono configurarsi in ragione o in occasione dell’affidamento
dei figli44, fra le quali spicca quella di cui all’art. 388, 2° co., c.p., ravvisabile
nella condotta di chi impedisca di fatto all’altro genitore di frequentare i
figli, eludendo così l’esecuzione del provvedimento del giudice civile45.
L’insieme di questi strumenti contribuisce ad elidere il contenzioso che
scaturiva dalla necessità di “scelta”, di fatto contenuta nella normativa previgente: è stata, infatti, pressoché soppressa la previsione legislativa che
legittimava l’aspettativa di ciascun genitore di esser preferito all’altro. Di
norma, oggi i genitori si presentano al giudice consapevoli del fatto che, con
elevata probabilità, il giudice disporrà l’affidamento condiviso e che solo in
casi realmente estremi per la loro gravità sarà possibile ottenere l’affidamento esclusivo46, così rinunciando ad intraprendere la lite sull’affidamento.
4. Alla ricerca dei confini tra affidamento condiviso e affidamento
monogenitoriale.
Poiché nel tessuto normativo le figure dell’affidamento condiviso e
dell’affidamento esclusivo risultano chiaramente delineate quali modalità di
42
Sulla richiesta pretestuosa di affidamento esclusivo da parte di uno dei genitori
v. infra, Parte I, Cap. II, § 5.
43
Sull’ambito di applicazione dell’art. 709 ter c.p.c., sia con riferimento al sistema di
sanzioni apprestate dalla norma, sia sotto il profilo della modifica dei provvedimenti in
vigore, v. Parte II, Cap. VIII.
44
V. Parte III, Cap. I e Cap. II.
45
V. Parte III, Cap. II, § 1.
46
V. infra, § 6.
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Parte Prima – Profili sostanziali
affidamento alternative tra loro (ancorché non paritarie), si è posta la questione
relativa alla identificazione delle loro specifiche caratteristiche e dei contenuti
che consentano di tracciarne i rispettivi confini. Invero, da un lato, l’art. 155,
2° co., c.c. – a norma del quale il giudice «valuta prioritariamente la possibilità
che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale
di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza
presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di
essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione
dei figli» – non consente di individuare in che cosa consista esattamente la differenza tra l’affidare “a entrambi” oppure “ad uno solo” dei genitori; dall’altro,
l’art. 155 bis c.c. – nel prevedere che il giudice possa «disporre l’affidamento dei
figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che
l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore» –, pur supponendo che il modello di affido monogenitoriale sia sopravvissuto alla riforma, non
contiene alcuna indicazione circa il suo statuto concreto.
Per tentare di fornire una risposta persuasiva, che sia coerente con lo spirito e con il dettato letterale della legge – invero lacunoso e non limpido –,
pare opportuno muovere dal rilievo che la locuzione “affidamento condiviso”, che il legislatore utilizza nell’intitolazione della legge e nella rubrica
dell’art. 155 bis c.c. senza tuttavia definirne i caratteri, rimanda ad un’idea
di compartecipazione dei genitori nei compiti di cura e crescita del figlio;
secondo il significato letterale dell’espressione, condividere significa “spartire insieme con altri”: nella specie, infatti, ciascun genitore “spartisce” con
l’altro la cura e i compiti educativi del figlio47; o meglio, spartisce la responsabilità genitoriale, operando direttamente per la cura del figlio, dividendo
e, necessariamente, coordinando con l’altro le relative responsabilità sulla
base di un comune progetto educativo e di un mansionario che definisca i
rispettivi compiti in una condizione tendenzialmente paritaria.
L’affidamento condiviso, inteso come “ripartito” fra i genitori, si differenzia, quindi, nettamente dall’affidamento congiunto, che vede i genitori esercitare il loro ruolo assieme, cioè “a mani unite”48. E, ovviamente, si differenzia anche dall’affidamento esclusivo, ancorché il discrimen non possa ridursi ad una
diversità meramente quantitativa, in termini di collocazione del minore, residenza, presenza, misura e modo del mantenimento: condizioni e prestazioni,
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47
Sesta, Le nuove norme sull’affidamento condiviso, cit., 380.
48
Sesta, op. ult. cit., 380.
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Capitolo Primo – La nuova disciplina dell’affidamento dei figli
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queste, che, come lascia intendere l’art. 155, 2° co., c.c., appaiono perfettamente
compatibili sia con l’una sia con l’altra modalità di affidamento, tenuto altresì
conto che, ai sensi dell’art. 155 bis, 2° co., c.c., anche nel caso di affidamento ad
un solo genitore, il giudice deve in ogni caso far salvi «per quanto possibile, i
diritti del minore previsti dal primo comma dell’art. 155 c.c.». In particolare,
la nozione di affidamento non può degradare al mero profilo materiale della
“collocazione” del figlio presso l’uno o l’altro genitore – come ritenuto, invece,
da alcuni Autori49 –, il profilo della collocazione prevalente ponendosi allo stesso modo nell’affidamento esclusivo ed in quello condiviso (art. 155, 2° co., c.c.).
Ora, posto che affidare il figlio altro non significa se non attribuire al
genitore le responsabilità connesse al compito di crescerlo e di prendersene
cura, la differenza tra le due forme di affidamento – che, ripetesi, il legislatore distingue e contrappone nettamente senza definirne i connotati –
non può che essere ricercata nello strumento che ai genitori è dato per
esercitare tali funzioni, ossia la potestà50. Ne consegue che, come meglio
si vedrà51, la disciplina in tema di potestà, dettata all’art. 155, 3° co., c.c., il
quale ne prevede l’esercizio da parte di entrambi i genitori senza alcuno
specifico richiamo al tipo di affidamento, non possa in concreto che riferirsi all’affidamento condiviso, mentre il giudice che dispone l’affidamento
esclusivo dovrà far sì che il predetto esercizio spetti al solo genitore affidatario, così come prima della riforma disponeva l’abrogato art. 155, 3° co., c.c.
Detta conclusione appare infatti necessitata dall’esigenza di dare un senso
alla specificità dell’uno e dell’altro tipo di affidamento, in applicazione del
principio di non contraddizione, benché la legge nulla dica circa le modalità
di esercizio della potestà in caso di affidamento ad un solo genitore ed anzi
sembri voler generalizzare la previsione contenuta nell’art. 155, 3° co., c.c.
49
Nel senso che, nel nuovo assetto delineato dalla l. 54/2006, l’affidamento abbia perso
gran parte del suo significato, servendo essenzialmente a definire la collocazione prevalente del minore e, con ciò, a determinare i conseguenti provvedimenti di ordine economico e in relazione alla casa familiare, Padalino, op. cit., 17 e specie 44 ss., ove si richiamano
le varie tesi enunciate in seno ai lavori preparatori; Pini, Primi orientamenti nell’applicazione della legge 54/2006, in AIAF, 2006, 34; Lovati, op. cit., 169.
50
V. già Sesta, Le nuove norme sull’affidamento condiviso, cit., 380, e Arceri, L’affidamento condiviso, cit., 40-41, 87-88.
51
Sull’esercizio della potestà in regime di affidamento esclusivo si rinvia infra, Parte I,
Cap. II, mentre la potestà in ambito di affido condiviso è trattata, oltre che infra, par. 5.2,
nel Cap. IV della Parte I.
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Parte Prima – Profili sostanziali
In conclusione, sembra doversi ritenere che la legge non abbia modificato,
nella sostanza, la fisionomia propria dell’affidamento esclusivo, che rimane
caratterizzato, in concreto, dall’attribuzione dell’esercizio della potestà, in via
esclusiva, al genitore affidatario e dal riconoscimento del “diritto di visita” in
capo al genitore escluso dall’affidamento, come era previsto dal previgente
art. 155, 3° co., c.c.52. Fermo restando che il giudice, nel disporlo, dovrà interpretarne i contorni ed il contenuto facendo salvo, «per quanto possibile», il
diritto del minore a mantenere presenti nella propria esistenza entrambe le
figure genitoriali, chiamate ad una concreta ed attiva partecipazione nella
vita del figlio (come risulta dal richiamo operato dall’art. 155 bis c.c. al principio di bigenitorialità sancito dall’art. 155, 1° co., c.c.). Il che, adattato al regime
di affido esclusivo, si traduce comunque nell’attuazione del diritto del minore
«di ricevere cura, educazione e istruzione» anche dal genitore non affidatario,
mantenendo rapporti significativi anche con il suo nucleo di appartenenza. Invero, se la regolazione dei tempi di permanenza nell’affido condiviso funge da
strumento per garantire «una sorta di ideale prosecuzione della famiglia unita,
quanto meno nell’esercizio del ruolo genitoriale»53, la regolamentazione dei
tempi di permanenza (o del diritto di visita) nell’affido monogenitoriale ha la
funzione di consentire, seppure in forma limitata, la conservazione del rapporto tra il genitore non affidatario e la prole54. Anzi, ben può dirsi che il diritto
di visita, in ambito di affido esclusivo, rappresenti lo strumento essenziale per
dare concreta attuazione al diritto del minore alla doppia figura genitoriale55.
È quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che ancor prima della
Novella del 2006 qualificava il diritto di visita quale «strumento in forma affievolita o ridotta per l’esercizio del fondamentale diritto-dovere di entrambi
i genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, il quale trova riconoscimento costituzionale nell’art. 30, comma 1, Cost. e viene posto, dall’art. 147 c.c.,
tra gli effetti del matrimonio»56. Nella delineata prospettiva, dunque,
nulla formalmente sembra opporsi a che, nella formula aperta di cui
all’art. 155 bis c.c., trovi spazio un modello di affido monogenitoriale che,
52
V. Parte I, Cap. II, § 3.
53
L’espressione si deve ad Arceri, Commento agli artt. 155 ss., cit., 726.
54
In tal senso, Pascucci, Conflittualità coniugale, affidamento e potestà: come garantire
il principio di bigenitorialità?, in Famiglia e dir., 2009, 173.
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55
Pascucci, op. ult. cit., 173.
56
Cass., 19.4.2002, n. 5714, in Famiglia e dir., 2002, 415.
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Capitolo Primo – La nuova disciplina dell’affidamento dei figli
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anziché riproporre e reiterare gli “antichi” schemi dell’affido monogenitoriale – con una limitazione a poche ore alla settimana dei tempi di permanenza
dei figli presso il genitore non affidatario –, si caratterizzi – se possibile – per
una più ampia e indeterminata regolamentazione dei tempi di permanenza
presso il genitore non affidatario, nonché dei modi con cui lo stesso dovrà
provvedere alla cura, educazione ed istruzione della prole (ciò che, del resto, sembra ammesso dall’art. 155, 2° co., c.c., che specifica modalità e tempi
compatibili sia con il sistema di affido condiviso sia con quello dell’affido
esclusivo e che induce a scindere la nozione di “affidamento” da quella, strettamente connessa, di “convivenza” e ad attribuire ai due momenti un distinto
rilievo). Così facendo, si possono tendenzialmente superare gli angusti confini spazio-temporali cui il diritto di visita era ancorato nel vigore della previgente normativa – in cui il rapporto personale del figlio col genitore non
affidatario poteva essere vissuto «solo nei brevi tempi concessi dal provvedimento giudiziale, a volte riducendosi alla possibilità di limitate visite»57 – ed
altresì valorizzare il ruolo del genitore non affidatario, che da spettatore e
censore dell’operato dell’altro genitore, relegato per lo più all’assolvimento
dei doveri di contribuzione economica58, viene ora legittimato e responsabilizzato a partecipare attivamente alla vita del figlio59.
5. Il contenuto dell’affidamento condiviso: profili problematici e incertezze
applicative.
Si è messo in luce come l’affidamento condiviso risulti, sin dal suo significato letterale, caratterizzato da una tendenziale ripartizione di compiti e di
responsabilità, il che può in concreto comportare una pluralità di situazioni,
che spaziano da un vero e proprio affidamento congiunto “a mani unite”,
ad una gestione bilanciata delle sfere spettanti a ciascun genitore anche
57
Così Bianca C.M., La nuova disciplina in materia di separazione dei genitori e
affidamento condiviso: prime riflessioni, in Dir. famiglia, 2006, I, 676.
58
In una parola, genitore “del tempo libero”. In tal senso cfr. Sesta, Le nuove norme
sull’affidamento condiviso, cit., 377.
59
In tal senso va salutata con favore l’ordinanza di T. Firenze, 11.2.2008, in Famiglia e
dir., 2009, 167, con nota di Pascucci, op. cit., che, nel modificare il regime di affido condiviso in affido esclusivo, mantiene inalterati i tempi di permanenza ed i tempi di accudimento
della prole così come previsti nella previa regolazione dell’affido condiviso.
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Parte Prima – Profili sostanziali
in dipendenza dell’effettiva collocazione del figlio, fino ad una condizione
prossima all’affidamento esclusivo, a seconda di come il giudice “spartisca”
le rispettive competenze. Dal tenore dell’art. 155, 2° co., c.c. risulta infatti
chiaramente che il giudice sia in primo luogo chiamato a determinare tempi
e modi dell’affidamento condiviso.
La legge assegna, dunque, al giudice il delicato compito di concretizzare
la spartizione, e, quindi, di determinare in concreto modalità e tempi della
presenza del figlio presso ciascun genitore e di fissare il modo e la misura con
cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Lo specifico contenuto del provvedimento sarà
condizionato dalle tante variabili che ciascuna fattispecie presenta: si pensi,
per esempio, agli impegni lavorativi dell’uno e dell’altro genitore, alla loro
personalità – comprensiva delle condizioni di salute, del grado di istruzione,
della fede religiosa, delle attitudini morali –, alla vicinanza o lontananza
delle rispettive abitazioni.
5.1. L’autonomia dei genitori ed il ruolo del giudice.
In tale contesto, riveste un notevole rilievo l’autonomia delle parti,
poiché l’art. 155, 2° co., c.c. opportunamente dispone che il giudice prenda atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i
genitori60. Ciò significa che se costoro sono in grado – come dovrebbero –
di presentare un progetto educativo condiviso, ancorché dal contenuto
generico, il giudice non sia tenuto necessariamente ad elaborare un provvedimento dettagliato, dovendo specificare, al più, i profili relativi alla collocazione, alla residenza anagrafica, ai tempi di permanenza, lasciando la concreta attuazione dei compiti di cura ed educativi agli accordi via via intervenuti
tra i coniugi, alla stregua di quanto avviene in costanza di convivenza.
Il riferimento agli accordi tra i genitori – che pure in linea di principio
non sono indispensabili ai fini della statuizione dell’affidamento condiviso,
in quanto esso può essere disposto dal giudice anche contro la volontà di
uno o di entrambi i genitori – evidenzia come questi costituiscano il nucleo
del comune progetto di affido, di cui il giudice deve tenere massimo conto.
60
Al ruolo dell’autonomia negoziale nella determinazione del contenuto del provvedimento di affidamento condiviso è dedicato il Cap. III della Parte I.
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25
In verità, a tutta prima, pare singolare che si menzioni l’accordo nel
contesto di una regola dettata in materia di separazione giudiziale, la quale
presuppone che le parti non abbiano trovato l’intesa per una separazione
consensuale61. Indubbiamente i confini tra separazione giudiziale e separazione consensuale, sotto il profilo del rapporto genitoriale, sfumano notevolmente. La norma sembrerebbe richiamare, per certi versi, il principio
contenuto negli artt. 144 e 316 c.c.; in effetti, il legislatore, anche se non ha
attuato l’iniziale previsione di un progetto comune da sottoporre obbligatoriamente al tribunale allegato alla domanda di separazione62, intende
comunque valorizzare l’autonomia gestionale ed organizzativa dei genitori, sollecitandoli a suddividersi compiti e responsabilità rispetto alla prole63. D’altronde è impensabile che l’assolvimento dei compiti genitoriali da
parte di ciascuno possa essere attuato esclusivamente ope iudicis e, quindi,
funzionare sulla base di un provvedimento impositivo che non abbia ricevuto l’adesione degli interessati; adesione eventualmente conseguita anche
tramite il ricorso alla mediazione, che la legge (art. 155 sexies, 2° co., c.c.)
menziona come possibile via indicata dal giudice ai genitori per trovare
una soluzione concordata al conflitto64, o mediante l’intervento del consulente tecnico, chiamato ad integrare le competenze di carattere giuridico
del giudice e/o dell’avvocato con le conoscenze proprie della psicologia
infantile e adolescenziale, attraverso un approccio sistemico volto all’analisi del macrocontesto (normativo e relazionale), delle dinamiche della
coppia in conflitto, delle ricadute psicologiche sul minore, che consenta di
61
In argomento già Sesta, Le nuove norme sull’affidamento condiviso, cit., 382.
62
In argomento, cfr. Schlesinger, op. cit., 301 ss.
63
Villani, La nuova disciplina sull’affidamento condiviso dei figli di genitori separati
(Prima parte), in Studium iuris, 2006, 523, secondo cui agli accordi dei genitori deve oggi
essere riconosciuta una certa forza “impositiva” anche nei confronti del giudice.
64
La mediazione ha fatto il suo ingresso, seppur in assenza di disciplina, nei processi di
separazione e divorzio come metodo per la soluzione dei conflitti all’interno della coppia
che si separa, come approccio alternativo alla gestione dei conflitti coniugali in vista di
una separazione o di un divorzio. Dagli scarni riferimenti contenuti nel 2° co. dell’art. 155
sexies c.c. è possibile evincere soltanto che il ricorso alla mediazione è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice, che deve «ravvisarne l’opportunità», sempre che vi sia
il consenso delle parti. All’istituto della mediazione familiare è dedicato il Cap. V della
Parte II. In argomento v. già Bernardini, Mediazione familiare e legge 54/2006, in AIAF,
2006, 79.
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Parte Prima – Profili sostanziali
gestire al meglio le problematiche familiari ed i bisogni coinvolti nelle separazioni conflittuali65.
In sintesi, se i genitori sono d’accordo a continuare a fare i genitori “separatamente” ma “insieme”, rispettando reciprocamente le proprie attitudini e capacità, il giudice potrà limitarsi ad un provvedimento molto asciutto; qualora i genitori, invece, esprimano posizioni confliggenti, non potendo
solo per tale ragione disporre l’affidamento monogenitoriale, il giudice
dovrà necessariamente articolare il provvedimento in maniera dettagliata,
assegnando le rispettive sfere di competenza e inibendo all’uno e all’altro di
ingerirvisi, sempre fatte salve le decisioni di maggiore importanza. In questa
ipotesi, qualora nel prosieguo la perdurante conflittualità impedisca in concreto il funzionamento dell’affidamento condiviso, con conseguente pregiudizio per il figlio, ciascun genitore potrà valersi della facoltà di domandare
l’affidamento esclusivo ai sensi dell’art. 155 bis, 2° co., c.c., o invocare l’applicazione dell’art. 709 ter c.p.c.
5.2. L’esercizio della potestà.
Uno degli aspetti della legge di riforma ritenuti più significativi riguarda la potestà, il cui esercizio è posto, dall’art. 155, 3° co., c.c., in capo ad
entrambi i genitori66.
Il principio enunciato ha indubbiamente un forte significato sul piano
della politica del diritto, rappresentando il segno più evidente della discontinuità rispetto al passato. L’abrogato art. 155 c.c., infatti, attribuiva al genitore affidatario, salva diversa disposizione del giudice, l’esercizio esclusivo
della potestà sui figli, mentre soltanto le decisioni di maggiore interesse dovevano essere assunte di comune accordo; in conseguenza di ciò, al genitore
non affidatario, salvo che per le questioni di maggiore interesse, spettava
soltanto il diritto di vigilare sulle decisioni assunte dall’altro genitore, potendo tutt’al più ricorrere al giudice nel caso le avesse ritenute pregiudizievoli all’interesse dei figli. In particolare, si riteneva che il diritto di adottare
congiuntamente le decisioni di maggiore interesse per i figli rilevasse soltan-
65
Sul ruolo del consulente tecnico nei procedimenti di separazione e divorzio
v. Parte II, Cap. VII.
66
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In argomento si rinvia compiutamente infra, Parte I, Cap. IV.
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Capitolo Primo – La nuova disciplina dell’affidamento dei figli
27
to nell’ambito dei rapporti interni tra i coniugi. In questo modo il genitore
non affidatario poteva ricorrere al tribunale ex post, ma non risultava titolare di un diritto a prendere direttamente parte a dette decisioni, come invece
previsto nell’art. 316, 3° co., c.c.67.
Il legislatore del 2006 – con una disposizione assai imprecisa e fonte di
gravi incertezze ermeneutiche – ha, dunque, stabilito che l’esercizio della
potestà spetti ad entrambi i genitori. La medesima disposizione stabilisce
poi che le decisioni di maggiore interesse per i figli, relative all’istruzione,
all’educazione e alla salute, debbano essere assunte di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei
figli. La chiusa del predetto comma dispone, infine, che «limitatamente alle
decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire
che i genitori esercitino la potestà separatamente».
Nel suo insieme, la disposizione è tutt’altro che perspicua, potendosi alternativamente ritenere che il legislatore abbia inteso attribuire separatamente a ciascun genitore la potestà sulle questioni di minore importanza,
ovvero che l’esercizio della potestà sia sempre comune e che solo attraverso
un provvedimento del giudice possa essere esercitata separatamente per le
questioni di minore importanza.
Fonte di perplessità è, altresì, la previsione per cui, in caso di impossibilità
di raggiungere un accordo sulle questioni di maggior interesse riguardanti la
prole, la decisione è rimessa al giudice68. In effetti, non è facile spiegare la diversità di disciplina rispetto al disposto dell’art. 316, 3° co., c.c., alla cui stregua
il giudice, in caso di disaccordo dei genitori, attribuisce la decisione a quello
che, nel singolo caso, ritenga il più idoneo a curare l’interesse del figlio69.
67
Così Bucciante, La potestà dei genitori, in Tratt. Rescigno, IV, 3, Persone e famiglia,
2 ed., Torino, 1997, 585; Villa, Potestà dei genitori e rapporti con i figli, in Tratt. BoniliniCattaneo, III, Torino, 1997, 279 (v. ora in Tratt. Bonilini-Cattaneo, III, 2a ed., Torino, 2007,
301 ss.). Di diversa opinione, invece, Giorgianni, Della potestà dei genitori, in Comm. Cian,
Oppo, Trabucchi, IV, Padova, 1992, 336.
a
68
In argomento v. Parte I, Cap. III, § 4, nonché Cap. IV, § 4.
69
In argomento v. già Ferri, Della potestà dei genitori (sub artt. 315-342 c.c.), in Comm.
Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 1988, 47, secondo cui l’applicabilità
dell’art. 316, 3° co., c.c. presuppone l’esistenza di una famiglia unita e, pertanto, deve escludersi non solo nell’ipotesi di annullamento, separazione e divorzio, ma anche in quella
della separazione di fatto.
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Parte Prima – Profili sostanziali
Altrettanto dubbia, come già messo in evidenza70, è la risposta al quesito
relativo alla applicabilità della regola posta dall’art. 155, 3° co., c.c. all’affidamento esclusivo, pur sembrando preferibile ritenere che la legge non abbia
modificato, nella sostanza, la fisionomia propria dell’affidamento esclusivo,
che rimane caratterizzato dall’attribuzione dell’esercizio della potestà, in
via esclusiva, al genitore affidatario71.
5.3. Il mantenimento dei figli.
La l. 54/2006 ha significativamente innovato anche sulle modalità di
assolvimento dell’obbligo di mantenimento genitoriale.
Come noto, in epoca anteriore alla riforma, il giudice di regola prevedeva un importo fisso mensile (e comunque periodico) che il genitore non
affidatario doveva corrispondere all’altro.
Il novellato art. 155, 4° co., c.c., in piena coerenza con la previsione generalizzata di una pari condivisione dei compiti di cura e delle responsabilità genitoriali, prevede che, salvo diversi accordi delle parti, ciascun genitore provveda al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito e che,
ove necessario, il giudice disponga la corresponsione di un assegno periodico
al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: a) le attuali esigenze del figlio; b) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; c) i tempi di permanenza presso
ciascun genitore; d) le risorse economiche di entrambi i genitori; e) la valenza
economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore72.
A ben vedere, la natura soltanto eventuale (il giudice lo dispone solo «ove
necessario») e dichiaratamente riequilibratrice dell’assegno è chiara testimonianza del fatto che – nel disegno del legislatore – l’assegno non costituisce
70
V. supra, § 4.
71
In senso contrario, ma trattasi di obiter dictum motivato solo con riguardo al tenore
letterale dell’art. 155, 3° co. e 317, 2° co., c.c., v. ora Cass., 10.5.2011, n. 10265, in Guida dir.,
2011, 24, 40, con nota di Padalino e Pricoco, e in Nuova giur. comm., 2011, 12, in corso di pubblicazione, con nota di Sesta, L’esercizio della potestà sui figli naturali dopo la l. n. 54/2006: quale
sorte per l’art. 317 bis c.c.?
72
Per una compiuta trattazione degli aspetti legati all’obbligo di mantenimento della prole, v. Parte I, Cap. VI. Con specifico riferimento all’assolvimento dell’obbligo di mantenimento nei confronti della prole mediante trasferimenti immobiliari e trust, v. Parte I, Cap. VIII.
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Capitolo Primo – La nuova disciplina dell’affidamento dei figli
29
più la modalità ordinaria di assolvimento dell’obbligo di mantenimento, che
va essenzialmente adempiuto in via diretta, ossia con l’immediata soddisfazione, da parte dei genitori, di tutti i bisogni morali e materiali della prole,
sostenendo direttamente gli esborsi a tal fine necessari (acquisto di beni, pagamento di servizi, e via dicendo73). Ciascun genitore è chiamato, dunque, ad
assolvere all’obbligo di mantenimento tenendo presso di sé il figlio minore,
sostenendo gli oneri economici relativi alla somministrazione, in favore del
figlio, di ogni genere di cura e di un ambiente familiare e domestico adeguato.
In tale contesto, l’assegno assume una funzione residuale74, in tutti quei casi in
cui si renda necessario ristabilire l’equilibrio dei rispettivi impegni genitoriali
alla luce della vigente regola di proporzionalità di cui all’art. 148 c.c.
Dunque, il mantenimento diretto rappresenta la forma di contribuzione
più in linea con lo spirito della riforma, e, nel contempo, appare il più consono
al modello della “spartizione” dei compiti e delle responsabilità educative, di
modo che, nella misura in cui esercitano la potestà, i genitori devono, in linea
di principio, anche contribuire direttamente al soddisfacimento delle necessità
dei figli, disponendo, se necessario, il riequilibrio tra loro mediante l’assegno75.
La formula della norma, ancora una volta, non è perspicua, poiché, attenendosi al significato letterale delle parole utilizzate dal legislatore nell’inciso iniziale, parrebbe che gli «accordi diversi» che i genitori possono liberamente sottoscrivere abbiano ad oggetto la proporzionalità al proprio
reddito del contributo di ciascuno; il che, invece, è da escludersi, in quanto
confliggente con il principio generale di cui all’art. 148 c.c., a sua volta espressione del principio di eguaglianza76. Per dare un’interpretazione coerente al
disposto normativo, deve allora ritenersi che il legislatore non abbia voluto
73
In argomento già Sesta, Le nuove norme sull’affidamento condiviso, cit., 385.
74
Contra però cfr. Padalino, op. cit., 60, secondo cui l’eliminazione della contribuzione diretta risulta avvalorata dal fatto che in più punti (artt. 155, 6° co. e 155 quinquies,
1° co., c.c. e art. 3, l. 54/2006) il legislatore pare prendere in considerazione come forma
di contribuzione ordinaria solamente quella indiretta mediante il pagamento di un assegno periodico e che pertanto sotto questo profilo nulla è cambiato rispetto alla disciplina
previgente.
75
Sul punto, v. le osservazioni di De Filippis, op. cit., 106, secondo cui il mantenimento
diretto «fa entrare il genitore nella quotidianità del figlio, coinvolgendolo in essa ben diversamente da quanto avviene con la “delega in bianco” all’altro genitore, che l’assegno
incarna»; Giacobbe, Frezza, Ipotesi di disciplina comune nella separazione e nel divorzio,
in Tratt. dir. fam., diretto da Zatti, VII, Agg., Milano, 2006, 205.
76
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Sugli accordi tra i genitori in tema di mantenimento, v. Parte I, Cap. III, § 5.
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consentire ai genitori di sottrarsi al principio della proporzionalità, che, ripetesi, costituisce attuazione del principio di uguaglianza, quanto piuttosto
permettere loro di accordarsi circa le rispettive modalità del mantenimento,
nel senso che questo, come si intende anche dalla lettura dei lavori preparatori77, può essere prestato da ciascuno dei genitori in maniera diretta o
indiretta per il tramite di un assegno. Invero, l’iniziale esplicita previsione di
una contribuzione necessariamente prestata in forma diretta e per capitoli
separati di spesa è stata espunta dal testo approvato dal Parlamento in via
definitiva78, mentre, per converso, è stata attribuita al giudice la possibilità
di stabilire, ove necessario, un assegno di natura essenzialmente riequilibratrice, la cui entità deve essere determinata alla luce dei cinque parametri
predefiniti. L’inciso iniziale, dunque, che consente ai genitori di concordare modalità diverse di contribuzione, mediante accordi che debbono avere
forma scritta, deve essere inteso come un riferimento alla possibilità che
essi determinino come assumere direttamente parte degli oneri relativi al
mantenimento dei figli mediante l’attribuzione di un bene o attraverso il
pagamento diretto di beni o prestazioni in favore dei figli79.
Con riguardo alla quantificazione dell’assegno perequativo alla luce dei
cinque parametri predefiniti, è evidente lo sforzo del legislatore di sottrarne
l’ammontare all’ampia discrezionalità del giudice80. Al di là del richiamo
scontato di criteri pacifici meramente confermativi di quanto disposto dagli
artt. 147 e 148 c.c., quali quelli indicati ai nn. 1, 2 e 4 dell’art. 155, 4° co., c.c.,
è interessante rilevare come il legislatore, con i parametri enunciati ai nn. 3
e 5, intenda consentire al giudice di valutare l’effettivo “peso” che la cura
del figlio comporta a carico di ciascun genitore, come emerge dal richiamo ai «tempi di permanenza presso ciascun genitore» ed alla «valenza
77
Per una disamina dei lavori preparatori alla l. 54/2006, cfr. De Filippis, op. cit., 18 ss.;
Padalino, op. cit., 44 ss.
78
In argomento cfr. Maglietta, op. cit., 63 ss., che ripercorre i passaggi parlamentari
attraverso i quali si è giunti alla stesura definitiva della norma.
79
Cfr. in argomento Padalino, op. cit., 65, che esclude un’interpretazione dell’inciso
iniziale secondo cui l’autonomia dei genitori possa spingersi fino al punto di derogare al
principio della proporzionalità nella contribuzione, prevedendo, ad esempio, la possibile
esenzione, anche di uno solo di essi, da qualunque forma di contribuzione.
80
Così Dosi, Le nuove norme sull’affidamento e sul mantenimento dei figli e il nuovo
processo di separazione e divorzio, Milano, 2006. Tra le prime applicazioni giurisprudenziali della norma, cfr. T. Catania, ord. 24.4.2006, in www.dejure.giuffre.it.
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economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore».
Detti criteri rappresentano una sicura innovazione e risolvono questioni
che si agitavano sovente allorché il genitore affidatario negava che quanto
elargito dall’altro potesse modificare il suo obbligo al pagamento integrale
dell’assegno81. Anche a tale proposito si conferma la stretta connessione tra
i parametri in rassegna e le caratteristiche dell’affidamento condiviso.
Tra i criteri enumerati dalla disposizione in esame non figura alcun
riferimento alla valenza economica rappresentata dal godimento della
casa familiare di proprietà di un genitore che risulti assegnata all’altro in
considerazione dell’interesse dei figli. Tuttavia, l’art. 155 quater c.c. – come
vedremo82 – dispone che dell’assegnazione il giudice tenga conto nella
regolazione dei rapporti economici tra i genitori, cosicché un’interpretazione complessiva delle due disposizioni pare consentire che il giudice, nel
determinare l’assegno perequativo, valuti anche detta circostanza.
Come per la potestà, regolata dall’art. 155, 3° co., c.c. senza alcuna precisazione relativamente alla tipologia di affidamento, anche le disposizioni
relative al mantenimento non contengono alcun riferimento in proposito,
onde i criteri di cui si è detto valgono, tendenzialmente, per l’una e l’altra
forma di affidamento83.
5.3.1. I diritti dei figli maggiorenni.
Con disposizione innovativa, la legge sull’affidamento condiviso ha per
la prima volta espressamente disciplinato la posizione dei figli maggiorenni,
in precedenza oggetto di attenzione esclusivamente da parte della dottrina e
della giurisprudenza84. In particolare, era ormai consolidata l’affermazione,
81
Il contributo dovuto dal genitore non affidatario per il mantenimento dei figli non
poteva essere ridotto tenendo conto del fatto che, nei periodi dell’anno che questi ultimi
trascorrevano con lui, egli provvedesse direttamente al loro mantenimento: cfr. Cass.,
17.1.2001, n. 566, in Mass. Foro it., 2001; Cass., 10.12.1998, n. 12402, in Mass. Foro it., 1998.
82
V. infra, § 5.6.
83
Sull’obbligo di mantenimento v. Parte I, Cap. VI.
84
Unico riferimento testuale, per il vero, era rinvenibile nell’art. 6, 6° co., l. divorzio,
in tema di assegnazione del domicilio familiare; sul punto v. anche, da ultimo, Auletta,
Commento all’art. 155 quinquies c.c., in Gabrielli E. (diretto da), Commentario del codice
civile, Della famiglia, a cura di Balestra, I, Torino, 2010, 741.
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Parte Prima – Profili sostanziali
fondata sull’inequivocabile tenore degli artt. 147 e 148 c.c., che l’obbligo di
mantenimento dei figli non venisse meno, in capo ai genitori, per effetto
del raggiungimento della maggiore età di essi, ma persistesse, invariato, fino
all’acquisto della piena autonomia patrimoniale85.
L’art. 155 quinquies, 1° co., c.c. prevede ora che il giudice, valutate le
circostanze, possa disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti
economicamente il pagamento di un assegno periodico, da versarsi, salvo
diversa determinazione del giudice, direttamente all’avente diritto86.
La norma si spiega in considerazione del fatto che, se fino al raggiungimento della maggiore età il legislatore ha chiaramente mostrato di ritenere
preferibile (laddove, ovviamente, attuabile) la forma di contribuzione
diretta, caratterizzata dalla immediata soddisfazione, da parte dei genitori,
di tutti i bisogni morali e materiali della prole, di contro, quando il figlio diviene maggiorenne, cessa il regime di affidamento ai genitori e viene meno
85
Arceri, L’affidamento condiviso, cit., 172 ss.; Costanzo, La regolamentazione dei
rapporti familiari nelle pronunce di separazione e di divorzio, in Graziosi (a cura di),
I processi di separazione e di divorzio, Torino, 2008, 209; Roma, Commento all’art. 155 quinquies c.c., in Mantovani (a cura di), Disposizioni in materia di separazione dei genitori e
affidamento condiviso dei figli (l. 8 febbraio 2006, n. 54), in Leggi civ. comm., 2008, 168. In
giurisprudenza cfr., ex multis, Cass., 8.9.1998, n. 8868, in Giur. it., 1999, I, 916, con nota di
Barbieri, secondo la quale «il principio generale di tutela della prole, desumibile da varie norme dell’ordinamento (art. 30 Cost., artt. 147, 148, 155, quarto comma, c.c., art. 6, l.
n. 898/70, come modificato dalla l. n. 74/1987) porta ad assimilare la posizione del figlio
divenuto maggiorenne, ma tuttora dipendente non per sua colpa dai genitori, a quella del
figlio minore, ed impone di ravvisare la protrazione dell’obbligo di mantenimento, oltre che
di educazione e di istruzione, fino a che il figlio stesso non abbia raggiunto una propria indipendenza economica, ovvero versi in colpa per non essersi messo in condizione di conseguire un titolo di studio o di procurarsi un reddito mediante l’esercizio di un’idonea attività
lavorativa, o per avere detta attività ingiustificatamente rifiutato»; v. anche: Cass., 28.6.1994,
n. 6215, in Nuova giur. comm., 1995, 133, con nota di Quadri, in Foro it., 1994, I, 3029, in
Giur. it., 1995, I, 1, 620, con nota di Uttaro; Cass., 2.7.1990, n. 6774, in Giur. it., 1991, I, 1, 424;
Cass., 17.1.1977, n. 210, in Giust. civ., 1977, I, 1604, con nota di Dogliotti, Ancora sull’obbligo del genitore al mantenimento del figlio maggiorenne. Più di recente, Cass., 19.1.2007,
n. 1146, in Il civilista, 2008, 2, 6 (s.m.), con nota di Rovacchi, secondo la quale: «con il raggiungimento della maggiore età, ove il figlio tuttora economicamente dipendente continui a
convivere con il genitore che ne era affidatario, resta invariata la situazione di fatto oggetto
di regolamentazione, e più specificatamente, restano identiche le modalità di adempimento
dell’obbligazione di mantenimento da parte del genitore convivente».
86
Sulla posizione dei figli maggiorenni v. Parte I, Cap. VI, § 4 e Cap. IX. Per gli aspetti
squisitamente processuali si rinvia alla Parte II, Cap. I. In argomento già Sesta, Le nuove
norme sull’affidamento condiviso, cit., 386.
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la potestà. Di qui, l’opportunità che il soggetto divenga titolare in proprio
del diritto al mantenimento, in posizione autonoma e distinta rispetto a
quella del genitore tenuto a mantenerlo.
Se la regola della corresponsione diretta dell’assegno all’«avente diritto»
può ritenersi pressoché inderogabile quando il figlio maggiorenne viva per
proprio conto, qualche delicato problema si pone, invece, ove perduri la coabitazione con uno dei genitori, che per tal motivo continui a sopportarne
gli oneri economici, giacché quest’ultimo potrebbe trovarsi nella necessità di
pretendere dal figlio un contributo per le spese derivanti dalla coabitazione87.
Nel qual caso, potrebbe essere necessario che il genitore non convivente versi all’altro un assegno perequativo quale compartecipazione alle spese per
fornire l’alloggio ed i correlativi servizi e corrisponda direttamente al figlio la
restante quota in denaro (soluzione, questa, accolta da parte della giurisprudenza88): la legge, del resto, non esclude affatto l’eventualità che il contributo
venga suddiviso tra il figlio maggiorenne non autosufficiente ed il genitore
convivente che continui, a proprie spese, ad assicurare al figlio l’efficienza
dell’organizzazione domestica, spartizione le cui modalità e proporzioni potranno essere stabilite dal giudice. Peraltro, in queste situazioni, in cui la convivenza con uno dei genitori si protrae oltre la maggiore età, non è affatto
impedita una forma di contribuzione diretta, che il legislatore non ha espressamente escluso nei riguardi del figlio maggiorenne; anzi, il silenzio serbato
a tal proposito ben può essere inteso quale conferma dei principi generali
dettati in tema di mantenimento dei figli minori, salva la facoltà del giudice,
87
In passato si riteneva che in assenza di una richiesta esplicita da parte del figlio
maggiorenne, perdurasse in capo al genitore affidatario il diritto a pretendere iure proprio
l’assegno di mantenimento: cfr. Cass., 18.2.1999, n. 1353, in Famiglia e dir., 1999, 455, con
nota di Morello Di Giovanni; Cass., 8.9.1998, n. 8868, cit.
88
T. Modena, 26.5.2009, in Fam. pers. succ., 2009, 758 ss., con nota di Costanzo. V.
anche, sia pure prima della riforma, Cass., 27.5.2005, n. 11320, in Nuova giur. comm., 2006,
pt. I, 454, con nota di Roma, La nozione di convivenza/coabitazione ai fini della legittimazione del genitore già affidatario a chiedere l’assegno di mantenimento per il figlio
maggiorenne, secondo la quale il rapporto di coabitazione continua quando il figlio, pur
assentandosi con frequenza e per periodi non brevi, ad esempio per motivi di studio, mantiene un collegamento stabile con l’abitazione di uno dei genitori, facendovi rientro ogni
qual volta detti impegni glielo consentano, precisando che tale collegamento costituisce
un sufficiente elemento per ritenere non interrotto il rapporto che lo lega alla casa nella
quale in precedenza era vissuto quotidianamente, e determina l’impegno del genitore che
continua a viverci di provvedere, sebbene con diverse modalità, alle nuove ma persistenti
esigenze del figlio.
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secondo le circostanze, di stabilire differenti modalità di assolvimento del
relativo obbligo.
Rimangono sostanzialmente immutati, dopo l’entrata in vigore della
Novella, i requisiti ed i presupposti per la permanenza, o, all’opposto, per la
cessazione, del dovere dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli
maggiori di età, che, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale,
perdura fin tanto che possa ritenersi non colpevole la protrazione della situazione di dipendenza economica del figlio dai genitori89.
5.4. Il trattamento dei figli maggiorenni portatori di handicap.
Un ulteriore, rilevante, profilo di novità della l. 54/2006 consiste
nell’estensione, operata dall’art. 155 quinquies, 2° co., c.c., delle disposizioni
previste per i figli minori anche ai figli maggiorenni portatori di handicap
grave, per la cui definizione la norma rinvia alla l. 5.2.1992, n. 104, che all’art. 3
definisce portatore di handicap grave colui che presenti una minorazione
fisica o psichica che riduca notevolmente la sua autonomia personale al
punto da rendere necessario un intervento assistenziale continuativo per
l’espletamento degli atti di vita quotidiana90.
Si tratta di una disposizione inedita rispetto all’impianto normativo precedente, che nulla prevedeva a proposito dei figli afflitti da patologie invalidanti. La formulazione dell’art. 155 quinquies, 2° co., c.c., mediante il rinvio
integrale alle norme poste in favore dei figli minori, esprime la finalità di
apprestare una speciale e massima tutela ai soggetti deboli; esigenza, questa,
che spinge il legislatore a prevedere una deroga espressa alla disposizione
di cui al 1° co. dello stesso articolo, che riconosce al figlio maggiorenne non
indipendente economicamente il diritto di ricevere personalmente l’assegno periodico di mantenimento (ciò in virtù della presunzione – posta alla
base di norme codicistiche quali gli artt. 1190 e 1443 c.c. – per cui l’incapace,
in quanto tale, non sia in grado di ritrarre vantaggio dalle prestazioni personalmente ricevute).
89
Ex multis, prima della riforma, Cass., 1.12.2004, n. 22500 e Cass., 18.1.2005, n. 951, in
Famiglia e dir., 2005, 137 ss., con nota di Liuzzi, Mantenimento dei figli maggiorenni, onere
probatorio e limiti temporali, e in Dir. e giustizia, 2005, 6, 29.
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Alla compiuta trattazione dell’argomento è dedicato il Cap. X della Parte I.
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