Universit`a degli Studi di Trieste ENERGETICA DI SORGENTI

Università degli Studi di Trieste
Dipartimento di Fisica
Corso di Laurea Triennale in Fisica
ENERGETICA DI SORGENTI SOLARI
DELLO SPACE WEATHER
Laureando:
Filippo Sottocorona
Relatore:
prof. Mauro Messerotti
ANNO ACCADEMICO 2015–2016
Indice
Sommario
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Introduzione
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Magnetoidrodinamica
2.1 Plasma solare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Le equazioni fondamentali della MHD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Magnetoidrostatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Modellistica di una Struttura Statica
3.1 Descrizione e campi magnetici . . . . . .
3.2 Analisi energetica . . . . . . . . . . . . .
3.3 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4 Effetti della pressione come perturbazione
3.5 Applicazioni del modello statico . . . . .
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Modellistica di una Struttura Non Statica
4.1 Topologia e Campi Magnetici . . . . .
4.2 Analisi Cinematica . . . . . . . . . .
4.3 Analisi Energetica . . . . . . . . . . .
4.4 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . .
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Struttura e Fenomeni di Attività Solare
1.1 Struttura Solare Interna . . . . . . .
1.2 Fotosfera, Cromosfera e Corona . .
1.3 Macchie solari . . . . . . . . . . . .
1.4 Regioni Attive . . . . . . . . . . . .
1.5 Protuberanze . . . . . . . . . . . .
1.6 Brillamenti Solari e CME . . . . . .
1.7 Vento Solare . . . . . . . . . . . . .
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Conclusioni
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Bibliografia
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Sommario
Il presente lavoro vuole porre le basi per una descrizione dell’evoluzione dell’energia interna libera che strutture magnetiche, che si verificano nell’atmosfera solare, presentano a seguito di
perturbazioni di varie entità. Tali strutture (indicate a volte come tubi di flusso) possono essere
protuberanze oppure archi coronali, in entrambi i casi sono state calcolate le energie principali,
ovvero magnetica e gravitazionale. Partendo da una struttura statica, ovvero una struttura su cui
non agiscono forze e il plasma presenta basse velocità sono stati ricavati i valori energetici, a seconda delle dimensioni della struttura e dei campi magnetici che la generano, e sono stati valutati
gli effetti dell’attorcigliamento del tubo attorno al suo asse. Inoltre sono state rappresentate le
equazioni energetiche, che forniscono tali valori, in funzione del raggio del tubo di flusso. Successivamente è stata applicata una perturbazione, in particolare è stata considerato il ruolo della
pressione all’interno dell’equazione e di come le grandezze in gioco si modificano in conseguenza
a ciò. Infine è stata considerata una struttura di tipo dinamico in equilibrio, nel caso in oggetto una
struttura che emerge dalla Fotosfera e si inarca nella bassa Corona, assieme a due sorgenti perturbative: due macchie solari di polarità magnetica opposta, situate nelle vicinanze del tubo di flusso,
e una corrente elettrica che fluisce al di sotto della superficie fotosferica. Per comprendere meglio
i parametri che descrivono questa struttura, oltre ad un’analisi energetica, è stata fatta un’analisi
cinematica, per la valutazione della velocità e degli effetti elettromagnetici su quest’ultima.
I risultati di questo lavoro mostrano che, per la maggior parte delle strutture prese in considerazione, i valori energetici sono compresi nell’intervallo energetico osservato su un gran numero
di eiezioni di massa dalla corona, ovvero tra 1021 e 1026 J, questo ci permette di concludere che
queste strutture possono dar luogo, in fase eruttiva, ad eiezioni di massa dalla Corona. Oltre a
ciò, è stato osservato che sia gli effetti di attorcigliamento del tubo, sia gli effetti perturbativi della
pressione, provocano un aumento dell’energia interna della struttura, aumentandone la stabilità.
Per quanto riguarda il modello dinamico, la struttura in oggetto presenta anch’essa valori energetici compresi nell’intervallo energetico sopra citato. In particolare gli effetti perturbativi sembrano
aumentarne la stabilità, in condizioni di equilibrio. Venendo a mancare tale equilibrio, ovvero o
la corrente elettrica sottostante diminuisce in intensità o le macchie solari presentano un’attività
magnetica più intensa, la struttura inizia a presentare segni di instabilità per lo più dal punto di
vista cinetico. Nello specifico è stata osservata la formazione di un tubo di flusso più piccolo,
all’interno della struttura, in cui il plasma accelera. Tale tubo di flusso viene inoltre proiettato
verso l’esterno della struttura nei pressi della sommità e con direzione assiale rispetto al piano di
simmetria del tubo, passante per l’asse.
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Introduzione
I fenomeni solari sono molto difficili da studiare in quanto sono causati da molti processi fisici
correnti, molti dei quali al momento non ancora spiegati nel dettaglio. L’attività solare è di vitale
importanza per la vita sulla Terra e quindi è necessario cercare di capire approfonditamente lo
stato del Sole e l’impatto che ogni giorno esercita sul nostro pianeta.
Il presente lavoro cerca di porre le basi per un modello teorico circa l’evoluzione di strutture solari
ed in particolare l’evoluzione dell’energia immagazzinata da queste ultime, in quanto, in seguito
ad instabilità, possono generare immense tempeste solari con ripercussioni importanti sui sistemi
tecnologici e su quelli biologici, è quindi necessario monitorare costantemente le perturbazioni
apportate dal Sole a quello che viene definito Space Weather, ovvero il tempo meterologico dello
Spazio Esterno. Sono state quindi analizzate strutture di plasma magnetizzato in diverse condizioni fisiche, in modo tale da cercare di capire come l’energia immagazzinata evolva sotto diversi tipi
di perturbazioni presenti nell’atmosfera solare.
Il primo Capitolo darà una descrizione delle varie parti del Sole e le topologie che si vengono a
creare a causa dei campi magnetici che esso genera (si veda ad esempio [1] e [2]). Successivamente, nel secondo Capitolo, verrà data una descrizione delle equazioni di base che descrivono
il plasma solare e le strutture magnetiche nell’atmosfera solare. Queste verranno poi applicate,
nel terzo Capitolo, ad una struttura generica statica, cioè con velocità del plasma al suo interno
trascurabile, e saranno discussi i risultati ottenuti applicando successivamente una perturbazione
alla struttura. Nel quarto Capitolo sarà trattata una struttura non statica con la presenza di due
perturbazioni magnetiche, la relativa analisi energetica e un calcolo dell’andamento della velocità,
a partire dai campi magnetici. Infine l’ultimo Capitolo riassume i risultati ottenuti e considera
prospettive future per un’analisi più dettagliata.
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Capitolo 1
Struttura e Fenomeni di Attività Solare
In questo Capitolo daremo una descrizione della struttura solare, partendo dal nucleo fino alla
Corona. Verranno trattati i fenomeni che hanno luogo a seguito della complessa rete di campi
magnetici solari, nelle varie parti dell’atmosfera solare, e daremo, inoltre, le dimensioni tipiche
delle strutture solari che sono oggetto della successiva trattazione energetica fatta nei Capitoli 3 e
4 assieme alle intensità tipiche dei campi magnetici che generano tali strutture.
1.1
Struttura Solare Interna
Il Sole può essere descritto come un immenso sistema di plasma di forma approssimativamente
sferica in equilibrio idrostatico per il bilanciamento della forza gravitazionale e della pressione del
gas determinata dalle fusioni nucleari nel nucleo centrale. L’interno del Sole può essere suddiviso
in tre zone: il nucleo, la zona radiativa e la zona convettiva.
Il nucleo solare è la parte più calda del Sole. Grazie alle alte temperature è possibile fondere gli
atomi di idrogeno per produrre elio ed energia, processo che mantiene la stella stabile. Lo studio
del nucleo è difficile in quanto non è possibile osservarlo direttamente. I metodi più usati per ottenere dati sono l’eliosismologia, che sfrutta l’analisi delle oscillazioni del plasma prodotte dalle
reazioni di fusione, e l’analisi dei neutrini solari.
L’energia generata dal nucleo si propaga dal nucleo attraverso la zona radiativa mediante la diffusione dei fotoni prodotti dalla fusione. A causa del continuo assorbimento e riemissione dei fotoni
prodotti, essi impiegano milioni di anni per attraversare questa zona.
All’interfaccia con questa zona si trova la zona convettiva. In questa zona l’energia viene trasportata dal plasma mediante moti convettivi che nascono dalla differenza di temperatura tra la parte
più interna e la più esterna della zona. Tra la zona radiativa e quella convettiva esiste una zona di
transizione, chiamata tacoclina. Al di sotto di questa zona la rotazione della stella è paragonabile
a quella di un corpo rigido, mentre più in alto di essa assume una rotazione differenzale. La rotazione rigida provoca lo spostamento di grandi quantità di particelle cariche, instaurando intense
correnti elettriche nella parte interna del Sole e,tali correnti, danno origine al campo magnetico dipolare, analogo a quello terrestre. Come è noto però l’attività magnetica solare è molto più intensa
e complicata di un semplice campo dipolare.
1.2
Fotosfera, Cromosfera e Corona
La Fotosfera è la regione in cui il gas inizia a diventare trasparente ai fotoni, e quindi questi ultimi riescono a lasciare la parte interna del Sole per procedere verso lo spazio esterno. A queste
profondità viene a crearsi una superficie visibile, anche se localmente non si hanno vere e proprie
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10
CAPITOLO 1. STRUTTURA E FENOMENI DI ATTIVITÀ SOLARE
Figura 1.1: Rappresentazione della struttura solare, con valori di temperatura, densità e distanze
medie [1].
distinzioni tra la zona in cui il gas blocca ancora i fotoni e la zona sovrastante. La Fotosfera non
presenta uniforme luminosità nè una stabilità dal punto di vista dinamico. Sulla superficie si possono osservare gli effetti dei moti convettivi, in funzione della loro intensità, e questi causano delle
zone con minore intensità luminosa, effetto che ricopre tutta la Fotosfera e a seconda della scala
spaziale viene chiamato granulazione, mesogranulazione oppure supergranulazione.
I granuli rappresentano la parte superiore di celle convettive che operano nella zona convettiva, e
continuamente si formano e scompaiono su tutta la superficie fotosferica. Tipiche dimensioni dei
granuli più piccoli vanno dai 0,3 ai 2 Mm, con un tempo di vita medio di 10 min, mentre quelli
che fanno parte di una rete supergranulare hanno dimensioni dai 20 ai 70 Mm, con una vita media
di 1 o 2 giorni. Il centro di ogni granulo appare luminoso poichè è la zona in cui il plasma caldo
risale dalla zona sottostante, mentre il bordo del granulo è scuro, in quanto, una volta in superficie,
il plasma tende a raffreddarsi e a sprofondare nuovamente nella zona convettiva. In questa parte
del Sole sono presenti strutture magnetiche con una vasta gamma di dimensioni e intensità. Le
più piccole sono loop magnetici che coinvolgono i granuli, quindi sono comparabili in dimensione. Ci sono poi strutture contenute nei supergranuli e infine si hanno le regioni attive che sono
indipendenti dai supergranuli e la loro presenza modifica i moti convettivi nella zona sottostante.
Le strutture magnetiche più intense sono verticali e occupano circa il 5% della superficie e sono
quelle che si trovano in genere nei supergranuli, con campi magnetici dell’ordine di 10−1 T. Strutture minori sono orizzontali e occupano la maggior parte dell’interno dei supergranuli, con campi
magnetici dell’ordine di 10−3 T.
La Cromosfera è un sottile strato dell’atmosfera solare che sovrasta la Fotosfera. A differenza
delle altre parti del Sole, questa zona è sostanzialmente trasparente a buona parte della radiazione
visibile e contiene numerose strutture di vario tipo. L’osservazione della Cromosfera mediante filtri nella riga rossa dell’idrogeno neutro, detti Hα, ha permesso di osservare una foresta di plasma
jet chiamati spicole. Le spicole di Tipo 1 si trovano principalmente nelle regioni attive e occasionalmente nelle regioni quiescenti. Queste vengono emesse dai bordi di supergranuli, lungo le
linee di campo magnetico, nella parte sovrastante la Cromosfera, in genere hanno una vita media
di alcuni minuti. Le spicole di Tipo 2 sono più dinamiche e tendono quindi ad avere una vita media minore, dell’ordine dei secondi. Un altro tipo di struttura che prende forma nella Cromosfera
1.3. MACCHIE SOLARI
11
Figura 1.2: Schema della natura dinamica e delle strutture dell’atmosfera solare [1].
sono le fibrille cromosferiche. Possono essere lunghe, in questo caso sono più orizzontali e si
inarcano sopra le celle supergranulari, oppure dinamiche, con una vita media minore. Un esempio
delle strutture sopracitate lo si ha in Figura 1.2. Tra la Cromosfera e la Corona c’è una Regione
di Transizione, in cui la temperatura sale molto rapidamente con l’altezza passando dai 25000 K
della Cromosfera ai 106 K della Corona Solare.
Nella Corona Solare hanno luogo gli eventi solari più intensi. L’osservazione della Corona, assieme alla Cromosfera, può essere fatta mediante immagini coronografiche, oppure durante le eclissi
totali di Sole, in quanto è necessario oscurare le sorgenti luminose della Fotosfera per rendere queste due zone visibili. Un aspetto chiave ancora inspiegato della Corona è l’origine della sua alta
temperatura. La Corona è costituita da gas, principalmente idrogeno ed elio, che, a causa dell’alta
temperatura, si trovano allo stato di plasma e questo viene sostenuto nelle arcate create dai campi
magnetici locali. Tra i vari fenomeni che caratterizzano la Corona vi sono: i buchi coronali, zone
della Corona di bassa emissività a lunghezze d’onda brevi, raggi X e EUV (Extreme UltraViolet),
dove il plasma viene proiettato dalle linee di campo magnetico al di fuori dell’atmosfera solare
e da origine al vento solare veloce; i loop coronali che connettono due regioni di polarità opposta nella Fotosfera; e i punti luminosi negli raggi X. Nel resto del Capitolo verranno trattate nel
dettaglio la fenomenologia dalla Fotosfera alla Corona.
1.3
Macchie solari
Le macchie solari sono delle regioni della Fotosfera, e costituiscono il nucleo di regioni più estese
dette regioni attive, in cui sono presenti intensi campi magnetici, che in Fotosfera sopprimono la
convenzione in zone localizzate identificabili con le macchie solari. Appaiono di forma approssimativamente circolare e risultano più scure e più fredde delle zone circostanti, proprio a causa
della parziale inibizione, da parte degli intensi campi magnetici, dei moti convettivi. Presentano
dimensioni che possono andare da 3,5 a 60 Mm di diametro e sono formate da una zona centrale, più scura, chiamata ombra, in cui i campi magnetici sono per lo più verticali. A circondare
l’ombra ci sono delle strutture filamentari che formano una zona meno scura del centro, chiamata
penombra , in cui i campi magnetici si inclinano fino a raggiungere una orientazione quasi orizzontale. La loro vita media dipende dalle dimensioni e può andare da 2-3 giorni sino a 90 giorni.
A fine vita le macchie solari diventano più luminose, indice che il campo magnetico che le causa
si sta indebolendo e quindi l’attività convettiva ritorna alla normalità. I campi magnetici che generano una macchia solare sono di intensità medie pari a 0,3 T, per quanto riguarda il centro della
12
CAPITOLO 1. STRUTTURA E FENOMENI DI ATTIVITÀ SOLARE
macchia, mentre i valori decrescono in funzione del raggio arrivando a campi quasi orizzontali a
bordo macchia, con valori compresi tra 0,07 T e 0,09 T.
Le macchie solari presentano molti aspetti dinamici che influiscono sul loro tempo di vita medio.
Figura 1.3: A sinistra: un gruppo di macchie solari in cui si distingue la parte scura (ombra) dalla
parte meno scura e filamentare (penombra). A destra: una rappresentazione del campo magnetico
e dei flussi di plasma in una macchia solare [1].
Il flusso Evershed è un fenomeno che riguarda la penombra e trasporta materiale, in direzione
radiale, dal centro della macchia fino al bordo, con velocità medie di 2,5 km · s−1 . Le macchie
possono presentare anche una dinamica propria lungo la superficie fotosferica che gli consente di
traslare sulla superficie. Le macchie solari sono indice della attività magnetica solare, dato che
sono fenomeni strettamente connessi. Il numero delle macchie infatti non è costante ma varia tra
un numero minimo, in cui l’attività magnetica è bassa, e un numero massimo indice di intensa
attività magnetica. I valori di massimo e minimo non sono ben definiti ma variano a seconda del
ciclo solare. Anche la durata del ciclo solare non è precisa, ma è possibile osservare un periodo
medio di 11 anni tra due valori massimi del numero di macchie consecutivi.
1.4
Regioni Attive
Le regioni attive vengono identificate dall’insieme di più strutture a loop e danno origine a tutti
gli effetti che il campo magnetico solare causa in tutta l’atmosfera: nella Fotosfera troviamo le
macchie solari, descritte in precedenza e facole, zone particolarmente brillanti nella riga Hα rispetto a quelle circostanti che si formano attorno a regioni attive e possono essere preannunciare
la formazione di macchie solari o di brillamenti. Nella Cromosfera troviamo le protuberanze, che
verranno trattate in seguito, e le plage, zone che sovrastano le regioni attive, sono simili alle facole
ma presentano dimensioni maggiori e sono più brillanti (Hα), infine nella Corona si estendono gli
archi coronali.
Quando i tubi di flusso emergono dalla Fotosfera, producono dei punti brillanti in diverse zone dell’atmosfera solare. La maggior parte delle volte l’emersione non raggiunge una stabilità e quindi
nel giro di poche ore i punti brillanti prodotti svaniscono. Dopo circa 3-4 giorni viene raggiunto
l’equilibrio stabile, da parte del tubo di flusso, e i campi magnetici emersi danno luogo agli effetti
nelle varie parti dell’atmosfera solare che modellano una regione attiva. In circa 10-15 giorni, la
regione attiva raggiunge la sua massima stabilità. La fase di decadimento, invece, impiega più
tempo di quella di emersione in cui il campo magnetico inizia lentamente a svanire. Quello che
rimane sono semplici strutture a loop che collegano zone di polarità opposta visibili nel dominio
dei raggi X. Dimensioni di regioni attive vanno dai 10 Mm ai 100 Mm, con un range di cam-
1.5. PROTUBERANZE
13
pi magnetici molto ampio, ma per regioni di medie dimensioni si ha un flusso totale magnetico
dell’ordine di 1014 Wb.
1.5
Protuberanze
Le protuberanze sono immense strutture coronali e appaiono come filamenti scuri, se osservate in
proiezione sul disco solare, mediante filtri Hα, ma appaiono brillanti in immagini coronografiche
prese al lembo. Spesso sono localizzate in presenza di campi magnetici che sovrastano una linea
di inversione di polarità. Queste strutture possiedono una dorsale, che è il corpo centrale della protuberanza, le estrusioni che sono filamenti secondari che dalla dorsale fuoriescono e si estendono
nella Cromosfera e infine due colonne di sostegno che poggiano nella Fotosfera, chiamate appunto
gambe della struttura, mentre i punti di contatto con la superficie fotosferica sono chiamati piedi.
Le protuberanze si dividono in due tipologie: quiescenti e attive.
Le strutture quiescenti presentano una complessa rete di ramificazioni in cui il plasma viene trasportato dalla Fotosfera, lungo le linee di campo. Queste presentano dimensioni che variano in
lunghezza tra i 60 e i 600 Mm, in altezza tra i 10 e i 100 Mm e in spessore tra i 3 e i 10 Mm.
Il plasma all’interno si muove con velocità tipiche di 5 km · s−1 , ma in condizioni turbolente può
raggiungre i 70 km · s−1 , con una temperatura interna compresa tra i 7500 K e i 9000 K. La bassa
temperatura interna del plasma spiega perchè appaiono come filamenti scuri se osservate in proiezione sul disco solare, in quanto la temperatura media della Corona è di qualche milione di kelvin.
I campi magnetici, che modellano queste strutture, presentano una rapida salita verticale iniziale,
ma per la maggior parte della lunghezza le linee di campo sono orizzontali, e questo consentirà di
effettuare un’approssimazione geometrica durante la trattazione di strutture statiche, in cui si considererà una geometria cilindica per la colonna di plasma, anzichè toroidale. L’intensità di questi
campi è compresa tra 0.8 mT e 1.5 mT, ma strutture più importanti possono arrivare a possedere
campi di intensità pari a 8 mT.
Le strutture attive sono in genere più piccole di quelle quiescenti (mediamente 10 Mm di lunghezza e altezza sotto i 2.5 Mm), però presentano campi magnetici molto più intensi, che possono
trovarsi in un range tra i 0.06 T e i 0.07 T. La formazione di una protuberanza è un processo che richiede una quantità di tempo che dipende dalla zona di formazione. Per strutture attive il tempo di
emersione può andare da qualche minuto a qualche ora, mentre per le strutture quiescenti servono
da qualche giorno a qualche settimana. Lo stesso vale per il tempo di vita medio della struttura:
quelle attive durano da qualche ora a qualche giorno, mentre quelle quiescenti restano stabili fino
a 300 giorni.
A fine vita queste strutture possono attivarsi, cioè iniziano a diventare più scure, se l’immagine
è coronografica, oppure più luminose se osservate con filtri Hα, e qualche volta tale attivazione
porta all’eruzione della protuberanza. Il decadimento però può avvenire anche prima, a seguito
di perturbazioni locali intense che erodono irreparabilmente la struttura. In ogni caso, ad un dato istante, la protuberanza diviene instabile. Durante l’eruzione, che ha probabilità maggiori per
altezze superiori a 50 Mm, una parte del plasma viene proiettato all’esterno dell’atmosfera e una
parte scende della Cromosfera, dando luogo al fenomeno delle piogge coronali.
1.6
Brillamenti Solari e CME
I brillamenti solari sono uno dei fenomeni più energetici del Sistema solare. Questi eventi si
formano nelle regioni attive, in cui i campi magnetici sono più intensi, e convertono l’energia magnetica contenuta nel campo in energia termica e in energia cinetica per le particelle. I brillamenti
sono strettamente connessi a fenomeni che interessano le linee di campo chiamati riconnessione
magnetica, un esempio lo si ha in Figura 1.5. Quando la distanza tra i piedi di una struttura (2λ)
14
CAPITOLO 1. STRUTTURA E FENOMENI DI ATTIVITÀ SOLARE
Figura 1.4: Immagine in una protuberanza ripresa dal Big Bear Solar Observatory. Si può osservare la disposizione quasi orizzontale per la maggior parte della struttura e le estrusioni che
scendono nella Cromosfera
diventa sufficientemente piccola, le linee di campo magnetico di polarità opposta si riconnettono
formando i fogli di corrente (o current sheet). La riconnessione causa un riscaldamento della zona
attorno cui si è verificato l’evento e può accelerare particelle verso l’esterno e verso l’interno. Nel
Figura 1.5: Riconnessione associata ad un tubo di flusso. L’evoluzione degli eventi è descritta: a)
dall’altezza del tubo in funzione della separazione dai piedi;b)-e) dalle fasi di equilibrio viste in
sezione, lungo la curva (Forbes and Priest 1995)
tempo è stata introdotta una classificazione per questi fenomeni. I brillamenti sono identificati
dalle classi A, B, C, M oppure X, in funzione del picco a 0,8 nm dei raggi X vicino alla Terra,
misurato dalle sonde spaziali GOES. Oltre a questo viene misurato il picco di flusso energetico in
W·m−2 , ogni classe di brillamento differisce con la successiva di un ordine di grandezza, arrivando
ad un picco di 10−4 W·m−2 per brillamenti di classe X. In anni di osservazioni di brillamenti sono
state identificate quattro fasi che descrivono l’evoluzione di questi fenomeni:
• Prima di tutto sia ha la fase di prebrillamento, che può durare dai 10 minuti a qualche ora, in
1.6. BRILLAMENTI SOLARI E CME
15
cui si ha un incremento dell’intensità nei raggi X molli, in concomitanza con l’attivazione
della protuberanza.
• L’inizio del brillamento è segnato da una fase impulsiva, della durata da 100 a 1000 secondi, indicata dalla presenza di impulsi nelle microonde e negli raggi X duri, causati dall’elevata accelerazione che gli elettroni subiscono. Generalmente l’emissione di raggi X duri
proviene dai piedi della struttura.
• Successivamente si ha la fase di flash, della durata tipica di 5 minuti, indicata da un rapido
aumento dell’emissione di raggi X molli e di emissioni Hα, mentre la protuberanza esplode
rilasciando il materiale contenuto nella Corona.
• Infine si ha la fase principale, in cui le intensità delle emissioni di raggi X, microonde e Hα
diminuiscono e la struttura raggiunge una nuova stabilità.
Figura 1.6: In alto: un brillamento solare visto negli EUV. Sotto: una Halo CME, con emissione
in tutte le direzioni e un normale CME, con la classica bolla di plasma in espansione (immagini
coronografiche SoHO/LASCO).
I processi energetici che seguono questi brillamenti perturbano chiaramente l’atmosfera solare. In
primo luogo tutta l’energia immagazzinata, prevalentemente nel campo magnetico e nell’attorcigliamento del campo magnetico, viene liberata sotto varie forme, principalmente energia cinetica
per le particelle e calore, in seguito avvengono le produzioni di onde d’urto e di picchi nelle onde
radio, che possono innescare eventuali altri brillamenti, in quanto destabilizzano strutture attigue.
Nei processi più violenti è possibile osservare, in successione ad un brillamento, una propagazione di onde eliosismiche che si propagano sulla superficie, un analogo degli tsunami sulla Terra,
fenomeno che prende il nome di solemoto.
16
CAPITOLO 1. STRUTTURA E FENOMENI DI ATTIVITÀ SOLARE
Fenomeni collegati ai brillamenti solari sono le eiezioni di massa dalla corona o CME. Questi
eventi, innescati da protuberanze in fase esplosiva, rilasciano grandi quantità di plasma accelerato,
che poi si propaga attraverso il Vento Solare verso le regioni più esterne. L’osservazioni di questi
fenomeni è fatta mediante coronarografi, nelle cui immagini sono evidenti immense strutture a forma di bolla che vengono proiettate verso l’esterno dell’atmosfera solare. Eventi ancora maggiori
sono le Halo CME che, a differenza delle CME, tendono ad espandersi lungo tutte le direzioni.
Le origini di questi eventi sembra essere fortemente collegata alla riconnessione magnetica. Può
succedere che in arcate coronali si inneschi un fenomeno di riconnessione creando nuovi loop
nella bassa atmosfera, lasciando sconnesse molte linee di campo sovrastanti. Avviene così un brillamento nel punto di riconnessione e si formano in particolare due flussi: un flusso verso l’interno
(o inflow) che porta le particella verso la Fotosfera, e un flusso verso l’esterno (o outflow) che, se
sufficentemente intenso, può spingere il plasma congelato nelle linee di campo sconnesse verso la
Corona esterna e, in seguito, propagarsi lungo il Vento Solare.
1.7
Vento Solare
La Corona non è in equilibrio idrostatico, ma si espande continuamente verso l’esterno generando
il Vento Solare. Il Vento Solare è composto da particelle cariche, prevalentemente protoni ed elettoni e un campo magnetico che permea il mezzo interplanetario. Tale fenomento ha origine della
differenza di pressione tra la Corona e lo spazio interplanetario, che spinge il plasma solare in
direzione radiale, fuoriuscendo dall’atmosfera del Sole. Il Vento Solare è influenzato direttamente
dall’attività solare. Lo studio di questo flusso ha permesso di evidenziare diverse caratteristiche,
valutate ad 1AU di distanza per rendere trascurabili gli altri effetti dovuti alla presenza del Sole. Il
vento presenta due componenti: una componente veloce, con valori di velocità compresi tra 700
e 750 km ·s−1 , accelerato nei buchi coronali in regioni magneticamente aperte, e una componente
lenta, con velocità tra i 300 e i 400 km ·s−1 , associato a regioni magnetiche chiuse durante il minimo dell’attività magnetica solare, e alle regioni attive durante il massimo dell’attività magnetica.
Il Vento Solare, in prossimità della Terra, interagisce con il campo geomagnetico, dando luogo a
tempeste geomagnetiche. L’esempio più comune dell’interazione tra campo geomagnetico e Vento Solare è il fenomeno luminoso noto come aurora. Questo fenomeno avviene nella Ionosfera
terrestre, quando le particelle cariche contenute nel Vento Solare interagiscono con gli atomi presenti nella Ionosfera, eccitandoli. La diseccitazione degli atomi avviene mediante emissione di
fotoni, causando il fenomeno luminoso.
Capitolo 2
Magnetoidrodinamica
Come discusso nel precedente Capitolo, le strutture coronali, oggetto del presente lavoro, sono formate da plasma sostenuto da archi magnetici. In questo Capitolo daremo un’introduzione
al plasma, elencando alcune caratteristiche che risultano utili in seguito, e cosidereremo brevemente le equazioni della magnetoidrodinamica (MHD), trattando solo le equazioni che sono state
utilizzate nell’analisi che segue.
2.1
Plasma solare
Le stelle come il nostro Sole sono nate quando una nube gassosa ha iniziato a ruotare e a collassare
gravitazionalmente verso il suo centro di massa. A seguito di pressioni via via maggiori, si ha un
aumento della temperatura e quindi la possibilità di innescare le reazioni nuclari per controbilanciare la forza di gravità. Nel caso del Sole la fusione consta nella produzione di elio da atomi
di idrogeno. A causa dell’alta temperatura, gli elettroni appartenenti agli atomi di idrogeno ed
elio vengono ionizzati e, sempre l’alta temperatura, conferisce ad elettroni e protoni una energia
cinetica tale per cui non riescono a legarsi per formare nuovamente atomi. Sulla base di queste
considerazioni è possibile individuare un stato della materia diverso dai tre noti e tale stato viene
chiamato plasma. La definizione odierna di plasma prevede, oltre all’elevata ionizzazione della
particelle, che sia un ottimo conduttore elettrico, che nel complesso sia statisticamente neutro e
che le particelle che lo compongono mostrino un comportamento collettivo.
Le osservazioni fatte su molti dei processi che avvengono nell’atmosfera solare permettono di approssimare alcune caratteristiche che un plasma possiede. In particolare, spesso è possibile trattare
il plasma come elettricamente neutro, in quanto è possibile assumere una densità di protoni e di
elettroni simile. Diremo quindi che un plasma, nel nostro caso composto per lo più da idrogeno,
che soddisfa tale condizione è un plasma di idrogeno completamente ionizzato. In realtà non è così
in quanto la presenza di elementi più pesanti porta ad uno sbilanciamento che vede un aumento
della densità dei protoni. Oltre alla neutralità, considereremo un plasma che presenta velocità
delle onde elettromagnetiche molto basse, rispetto a quella della luce, in modo da poter utilizzare
equazioni elettromagnetiche non relativistiche.
2.2
Le equazioni fondamentali della MHD
Le equazioni della magnetoidrodinamica sono necessarie in quanto descrivono fluidi all’interno
di strutture magnetiche e quindi sono fondamentali per descrivere il plasma contenuto nelle protuberanze solari. Iniziamo la descrizione di queste equazioni partendo dalla componente elettro17
18
CAPITOLO 2. MAGNETOIDRODINAMICA
magnetica. Come è noto dall’elettrodinamica classica, le equazioni cardine di questa teoria sono
le quattro equazioni di Maxwell:
ρ
∇·E=
(2.1)
∇·B=0
(2.2)
∂B
(2.3)
∂t
1 ∂E
∇ × B = µj + 2
(2.4)
c ∂t
dove µ e , per i plasma solari, sono molto vicini a quelli nel vuoto, quindi nel resto della trattazione verrano considerati come µ0 e 0 . Avendo richiesto che le velocità delle onde elettromagnetiche
siano v0 << c, ne segue che il secondo termine di Eq. 2.4, che rappresenta le correnti di spostamento elettrico jD , sono trascurabili. Una conseguenza di questa condizione si ha dalla divergenza
di Eq. 2.4 che, senza il contributo di spostamento elettrico, porta a
∇×E=−
∇ · (∇ × B) = µ∇ · j = 0
(2.5)
che fisicamente corrisponde a non avere accumuli locali di cariche elettriche nel tempo e flussi di
corrente in circuiti chiusi. Ricordiamo inoltre che per un circuito reale vale la legge di Ohm
j = σE
(2.6)
per un sistema di riferimento a riposo. Nel nostro caso invece il plasma si muove con velocità
v, quindi occorre tenere conto del fattore di traformazione tra il sistema di riferimento a riposo e
quello solidale con il plasma. La legge di Ohm risulta
j = σ (E + v × B)
(2.7)
dove σ è la conducibilità elettrica del plasma. Successivamente considereremo spesso plasmi
con conducibiltà perfetta, in modo da semplificare la trattazione (per una più completa trattazione
della legge di Ohm rimandiamo al Jackson [3]). Infine ricaviamo la prima delle cinque equazioni
della MHD usando le Eq. 2.3, 2.4 e 2.7, eliminando le variabili j e E, e rielaborando l’equazione
troviamo
∂B
= ∇ × (v × B) + η∇2 B
(2.8)
∂t
dove η = 1/(µ0 σ) rappresenta la diffusività magnetica. Questa che abbiamo appena ricavato è
l’equazione di induzione e ad essa è associato un parametro che permette di stabilire l’accoppiamento tra plasma e campo magnetico. Tale parametro è il numero magnetico di Reynolds
Rm =
l0 v0
η
(2.9)
con l0 lunghezza di scala della struttura e v0 velocità tipica del plasma in considerazione. Grazie a
questo parametro possiamo individuare due comportamenti estremi:
• il primo caso corrisponde a Rm << 1, tipico dei plasma prodotti in laboratorio, a cui corrisponde generalmente una diffusività magnetica molto elevata, tale per cui si può approssimare l’Eq. 2.8
∂B
= η∇2 B
∂t
per
Rm << 1
(2.10)
2.2. LE EQUAZIONI FONDAMENTALI DELLA MHD
19
e quindi si ha il limite diffusivo, in cui il campo magnetico si diffonde attraverso il plasma. A
tale condizione spesso si associa un tempo di diffusività τD = l0 2 /η. Tale tempo è dell’ordine
dei 1014 s per struttura solari standard, ma chiaramente è molto maggiore dei tempi medi per
qualunque fenomeno solare visti nel Capitolo 1, quindi possiamo affermare che, nel caso di
strutture solari, il campo magnetico non fa in tempo a diffondersi attraverso il plasma;
• il secondo caso corrisponde a Rm >> 1, tipico dei plasma stellari. A questa condizione si ha
quindi una diffusività molto bassa e l’Eq. 2.8 diventa
∂B
= ∇ × (v × B)
∂t
per
Rm >> 1
(2.11)
chiamato limite ideale, in cui le linee di campo magnetico sono congelate nel plasma, nel
senso che, nel sistema di riferimento solidale con il plasma, le linee di campo magnetico
sono ferme. Questa condizione è data anche nel caso in cui si ha un plasma perfettamente
conduttivo, dato che se la conducibilità diventa molto grande, per come è definita la diffusività magnetica, essa diventa molto piccola. In queste condizioni vale il Teorema di Alfvén
che, oltre ad assicurarci che le linee di campo sono congelate nel plasma, ci dice che sia il
flusso magnetico, sia il numero di linee del campo magnetico si conservano.
Nell’equazione di induzione compare la velocità, quindi per poter formare un set chiuso di equazioni, occorre trovare una relazione con cui esprimere la velocità. La velocità del plasma è governata, come per tutti i fluidi, dalle leggi di continuità e delle forze. Incominciamo dalla prima e
scriviamo
∂ρ
+ ∇ · (ρv) = 0
(2.12)
∂t
dove ρ è la densità del plasma (per evitare confusione con la densità di carica elettrica da qui in poi
useremo ρ per indicare la densità di massa). Tale relazione rappresenta l’equazione di continuità
per la massa del fluido in oggetto, in particolare si può notare che qualora ci sia un flusso entrante
di materia nella regione (∇ · (ρv) < 0), allora la densità in un punto interno alla regione aumenta
( ∂ρ
∂t > 0), e viceversa. Oltre all’equazione di continuità, abbiamo una relazione che bilancia le
forze (per unità di volume) in gioco per una data regione dello spazio
ρ
dv
= −∇p + j × B + F
dt
(2.13)
con p pressione del plasma, assunta come scalare, e F sono altri tipi di forze che possono contribuire. Nel nostro caso considereremo come altra forza quella di gravità, associata alla regione in
oggetto, quindi F = Fg . Ricordiamo che la forza gravitazionale è
Fg = −ρg(r)r̂
con
g(r) =
MG
r2
(2.14)
dove ρ è la densità del plasma nella struttura, M massa del Sole (M = 1, 991 · 1030 kg) e G
costante di gravitazione universale. Inoltre è stata usata g(r) in quanto, date le enormi dimensioni
della struttura, non è possibile assumere uniforme l’accelerazione di gravità solare, lungo l’altezza
della struttura. Sulla superficie solare, r = R = 6, 96 · 108 m, si ha un’accelerazione pari a g =
274 m · s−2 . Con l’equazione di continuità e l’equazione delle forze possiamo ricavare la velocità,
però sono state introdotte due nuove variabili, ovvero la densità e la pressione. Introduciamo
quindi la legge dei gas perfetti, per legare pressione e densità, nella forma
p=
kB
ρT
m
(2.15)
20
CAPITOLO 2. MAGNETOIDRODINAMICA
con kB costante di Boltzmann pari a 1, 381 · 10−23 J · K −1 e m massa media delle particelle (mean
particle mass) ricavabile da µ̃ = m/m p , dove µ̃ è il peso atomico medio, in unità di m p massa
del protone (m p = 1, 673 · 10−27 kg). Poichè noi abbiamo assunto all’inizio che lavoreremo con
un plasma di idrogeno completamente ionizzato dovremmo assumere che µ̃ = 0, 5. Per tenere
conto che in realtà ci sono anche atomi più pesanti dell’idrogeno, in minore quantità, assumiamo µ̃ ' 0, 6. Infine, per chiudere il set di equazioni, occorre definire la temperatura introdotta
nell’ultima equazione e per farlo useremo un’equazione energetica che, descrivendo il bilancio
energetico della struttura, è in grado di fornire informazioni circa le perdite in calore, e quindi
ci fornisce un’indicazione sulla temperatura interna del plasma. Per una trattazione completa su
questa equazione rimandiamo a [1] Cap. 2.4, diamo qui solo il risultato finale
!
ργ d p
j2
=
−∇
·
q
−
L
+
+ FH
r
γ − 1 dt ργ
σ
(2.16)
con γ rapporto tra calori specifici (per il plasma in questione γ = 5/3). Il primo termine RHS
rappresenta la perdita per conduzione del calore e il vettore di flusso q è pari a
q = −κ∇T
(2.17)
dove κ rappresenta il tensore di conduttività termica. Il secondo termine RHS, invece, rappresenta
la perdita per radiazione, che per mezzi otticamente sottili è definita da
Lr = ne nH Q(T )
e
Q(T ) = χT −1/2
(2.18)
dove ne e nH sono rispettivamente le densità di elettroni e di atomi di idrogeno. Nel caso di un
plasma totalmente ionizzato esse coincidono. Il valore dato di Q(T) è un’approssimazione utile
nei modelli analitici, un valore più accurato lo si ha suddiviso in vari range di temperatura [4].
Il terzo termine RHS rappresenta la perdita per dissipazione ohmica, dovuta ad una presenza di
carattere resistivo lungo il circuito che percorre il plasma, mentre l’ultimo termine tiene conto di
effetti secondari
F H = ρ + Hν + Hc
(2.19)
dove il primo termine è il rate di produzione di energia nel nucleo solare, per unità di massa, Hν
è il termine di dissipazione viscosa, in presenza di flussi intensi, e Hc è il termine di riscaldamento della Corona. Ulteriori dettagli verranno dati nel Capitolo 3, quando verranno utilizzate
tali relazioni, ma già qui possiamo trattare il termine coronale. Poichè le cause che provocano il
riscaldamento della Corona non sono ancora del tutto comprese, assumiamo che tale termine non
sia preponderante e quindi lo trascuriamo.
Riassumiamo qui il set di equazioni della MHD
∂B
= ∇ × (v × B) + η∇2 B
∂t
∂ρ
+ ∇ · (ρv) = 0
∂t
ρ
dv
= −∇p + j × B + Fg
dt
p=
kB
ρT
m
!
ργ d p
= −∇ · q − Lr + j2 /σ + F H
γ − 1 dt ργ
2.3. MAGNETOIDROSTATICA
21
tenendo presente che il campo magnetico deve soddisfare la condizione
∇·B=0
Consideriamo ora il termine che compare nell’equazione delle forze, j × B. Se ora noi ci ricaviamo
dalla quarta equazione di Maxwell, ricordando che il contributo delle correnti di spostamento sono
trascurabili, la densità di corrente j e la sostituiamo nel prodotto vettoriale otteniamo
j×B=
B × (∇ × B)
(∇ × B) × B
=−
µ
µ
e utilizzando l’identità vettoriale
1
B × (∇ × B) = ∇(B2 ) − (∇ · B) · B
2
otteniamo
!
1
B2
+ (∇ · B) · B
j × B = −∇
2µ
µ
(2.20)
Questo modo di scrivere la forza magnetica permette di evidenziare due termini fisicamente molto
importanti. Il primo termine RHS rappresenta la pressione magnetica, fondamentale poichè è ciò
che mantiene il plasma confinato all’interno della struttura.
Il secondo termine rappresenta la tensione magnetica. Essa agisce normalmente alla linea di campo magnetico e chiaramente è diversa da zero solo se il campo magnetico è curvato. Un altro parametro fondamentale è il parametro beta del plasma. Tale coefficiente è definito come il rapporto
tra la pressione termica, data dalla legge dei gas perfetti, e la pressione magnetica, quindi
β=
2µp0
B0 2
(2.21)
Le particelle che compongono il plasma, abbiamo visto, sono legate al campo magnetico dal Teorema di Alfvén e sono confinate dalla pressione magnetica. Solo quando la loro energia cinetica
è superiore all’energia magnetica allora possono sfuggire dal tubo di flusso, ma questo è molto
difficile in quanto i campi magnetici coronali sono abbastanza intensi da trattere il plasma. Il parametro beta determina questi due tipi di comportamento. Nella maggior parte della Corona il valore
di beta è minore di uno, infatti la maggior parte del plasma coronale si trova confinato negli archi
coronali, ma ci sono delle zone in cui i campi sono più deboli e di conseguenza presentano un beta
maggiore di uno, indice del fatto che la particelle possono fuoriuscire. In particolare, alcune zone della Fotosfera e della Cromosfera, che presentano campi magnetici deboli, ma anche la parte
esterna della Corona, presentano un beta maggiore di uno.
2.3
Magnetoidrostatica
Le equazioni della MHD che abbiamo appena ricavato descrivono molto bene un fluido immerso in un campo magnetico, e danno tutte le informazioni possibili circa la dinamica causata dal
campo magnetico sul fluido. Spesso conviene però partire da una trattazione più semplice per
poi arrivare ad una più realistica. Quanto fatto nel presente lavoro parte appunto da una struttura in condizioni stazionarie. É quindi utile, partendo dalle equazioni già ricavate nel precedente
paragrafo, ricavare delle relazioni che descrivano un plasma immerso in un campo magnetico in
condizioni stazionarie. Dalla condizione di stazionarietà tutte le derivate temporali sono nulle, in
quanto nessuna variabile è più a tempo dipendente, e le velocità in gioco sono molto basse. Per
22
CAPITOLO 2. MAGNETOIDRODINAMICA
specificare meglio il concetto di basse velocità, utilizziamo tre parametri di controllo per la velocità, in quanto, essendoci tante variabili in gioco, ad alcune di esse viene associata una velocità
specifica. Nel dettaglio usiamo quindi
vs =
r
s
γp0
ρ0
vA =
B0 2
µρ0
p
vg = 2gL0
(2.22)
che rappresentano rispettivamente le velocità del suono, quella di Alfvén e quella di caduta gravitazionale. Tutte le grandezze hanno ovvio significato e il pedice 0 indica i valori caratteristici
di tali grandezze. Diremo quindi che ci troviamo in condizioni stazionarie se la velocità tipica
del plasma v è molto minore delle velocità sopra definite. In questo modo possiamo utilizzare
un sottocaso della MHD, chiamato magnetoidrostatica o MHS, le cui equazioni ricaveremo qui di
seguito.
Considerando le cinque relazioni che abbiamo trovato precedentemente, se applichiamo la condizione di stazionarietà, rimangono solo l’equazione delle forze, quella dei gas perfetti e quella
dell’energia, in quanto le altre due diventano identità. Queste tre relazioni diventano
0 = −∇p + j × B + Fg
p=
kB
ρT
m
0 = −∇ · q − Lr +
(2.23)
(2.24)
j2
+ FH
σ
(2.25)
e queste sono sempre affiancate dalle equazioni di supporto
∇·B=0
e
j=
∇×B
µ
Un caso particolare, ma molto utile ai fini dei modelli che descrivono strutture in equilibrio, è dato
da due condizioni: la prima è che la regione di interesse presenti un parametro beta molto minore
dell’unità, che permette di trascurare gli effetti del gradiente di pressione nell’Eq. 2.23. La seconda
condizione riguarda gli effetti gravitazionali che agiscono sulla struttura. Qualora l’altezza della
struttura sia molto minore dell’altezza di scala della pressione Eq. 2.27, allora anche il termine
gravitazionale può essere trascurato, portando così alla condizione
j×B=0
(2.26)
chiamata force-free. In questa situazione non può sussistere forze di Lorentz troppo intense, in
quanto non ci sono termini in grado di controbilanciarla. Tale condizione è spesso verificata in
caso di equilibrio ed eventualmente situazioni dinamiche evolvono passando tra diversi stati di
equilibrio che possono verificare tale condizione.
Consideriamo, infine, gli effetti della gravità sulla struttura. In particolare prendiamo in considerazione una linea di campo, facente parte di un arco coronale. Applicando l’equazione delle forze,
supponendo trascurabile la forza magnetica si ha
0 = −∇p − ρg(r)r̂
e proiettando l’equazione lungo la direzione di propagazione del campo magnetico b̂
0=−
∂p
− ρg cos φ
∂b
2.3. MAGNETOIDROSTATICA
23
Figura 2.1: Rappresentazione delle linee di campo magnetico e dell’azione della forza gravitazionale, l’angolo φ rappresenta l’inclinazione tra la linea di campo e la verticale lungo cui agisce la
gravità z.
La relazione trovata permette di ricavare la pressione in funzione della posizione b. É più utile
invece trovare la variazione di pressione in funzione dell’altezza z. Come da Figura 2.1 è possibile legare la variabile b con z, mediante la relazione db cos φ = dz. Sostituendo nella relazione
precedentemente trovata si ha
∂p
+ ρg = 0
∂z
Da questa è possibile ottenere la pressione in funzione della densità, che dipende implicitamente
dall’altezza. Prima di risolvere l’equazione differenziale, usiamo la legge dei gas perfetti Eq. 2.15
per sostituire la densità
!
Z z
∂p
pm
dz
+
g = 0 =⇒ p = p0 exp −
(2.27)
∂z kB T (z)
0 H(z)
dove p0 è il termine di pressione iniziale, nel nostro caso sarà la pressione sulla base della struttura,
e questa può variare da una linea di campo all’altra. L’integrando, invece, è definito come
H(z) =
kB T (z)
mg
(2.28)
e rappresenta la lunghezza di scala della pressione, che può variare da una linea di campo all’altra.
Abbiamo detto che la densità dipende implicitamente dall’altezza, ma in realtà potrebbe dipenderne anche esplicitamente, in particolare la densità potrebbe dipendere da tutte le coordinate spaziali.
Qui invece assumeremo che la densità sia indipendente dalle variabili spaziali. Dipende implicitamente in quanto è legata alla temperatura e, come è noto, la temperatura varia dalle migliaia di
kelvin della Fotosfera, ai milioni di kelvin della Corona.
La temperatura, in funzione dell’altezza, può essere ottenuta dalla equazione dell’energia ed è qui
che il ruolo del campo magnetico interviene. Infatti l’intensità dell’attività magnetica può interferire con le leggi di scambio del calore e quindi interferire con le variazioni di temperatura.
Concludiamo il Capitolo accennando ai possibili metodi risolutivi per campi magnetici che presentano le condizioni di force-free [5]. Nello specifico assumiamo che tutte le soluzioni di questi
24
CAPITOLO 2. MAGNETOIDRODINAMICA
campi siano lineari in B, anche se considerando l’Eq. 2.26 e sostituendo il valore di j dato dalla
quarta equazione di Maxwell troviamo
(∇ × B) × B = 0
e si può subito notare che questa relazione presenta termini in B2 e quindi le soluzioni più generali
sono non-lineari. Per ricondurci ad un problema lineare, definiamo una possibile soluzione lineare
come
∇ × B = α(r)B
dove il termine α è una funzione scalare della posizione, ma potrebbe anche dipendere dal tempo.
La soluzione particolare α = 0, determina una caso speciale in cui sia divergenza che rotore del
campo magnetico sono nulli, e quindi è possibile scrivere il campo B come campo di un gradiente
di una certa funzione φ(r), chiamata potenziale scalare magnetico. In questo lavoro non tratteremo
questa condizione, quindi viene data solo l’indicazione dell’esistenza di questa condizione, senza
approfondirne l’applicazione.
La scelta di questa variabile α non è completamente arbitraria, in quanto il campo magnetico deve
soddisfare la condizione di divergenza nulla. Sfruttando questa condizione possiamo applicare
un’altra restrizione su α, considerando l’identità vettoriale ∇ · (∇ × B) = 0. Usando assieme queste
due condizioni ricaviamo
∇ · (∇ × B) = ∇(αB) = α(∇ · B) + B · ∇α = B · ∇α = 0
e tale relazione è verificata, in particolare, se α non varia lungo la linea di campo magnetico. Però
questo implica che tale parametro presenta gradiente nullo e quindi che α non è più funzione della
posizione, ma è diventata una semplice costante
∇ × B = αB
(2.29)
Questa soluzione per campi magnetici in condizioni statiche verrà utilizzata nel prossimo Capitolo
per ottenere le equazioni che descrivono i campi di strutture statiche.
Capitolo 3
Modellistica di una Struttura Statica
In questo Capitolo prenderemo in considerazione strutture come le protuberanza o gli archi coronali, a cui applicheremo le equazioni della magnetoidrostatica per ottenere una possibile descrizione
per i campi magnetici che danno luogo a questi fenomeni nell’atmosfera solare. Note le relazioni
per i campi magnetici si procederà con un’analisi energetica della struttura e ad un successivo confronto con i dati raccolti da osservazioni fatte su un’ampia gamma di CME. Successivamente in
questo modello statico introdurremo una perturbazione per valutare come la struttura si riorganizza
e su come evolvono le energie in essa contenute.
3.1
Descrizione e campi magnetici
Iniziamo la trattazione considerando una struttura statica. Per statica intendiamo che essa è in
uno stato di equilibrio stazionario, e quindi tutta la struttura non presenta dinamica di alcun tipo.
Inoltre anche il plasma che è contenuto al suo interno presenta velocità molto basse e quindi sono
verificate le condizioni per applicare le equazioni della magnetoidrostatica. In particolare i campi
magnetici di questo loop sono di tipo force-free e quindi dovranno soddisfare la condizione dell’Eq. 2.29. Strutture che soddisfano queste condizioni si possono facilmente trovare nelle regioni
in quiete, dove è minore la probabilità di interazione con fenomeni esterni e quindi il tempo di
stabilità dell’arco è maggiore rispetto alle regioni attive. Ciò non vieta di poter trovare condizioni
analoghe anche nelle regioni attive: infatti, come detto nel precedente Capitolo, situazioni dinamiche fanno evolvere la struttura facendola attraversare diversi punti di equilibrio. Di conseguenza
ci sono applicazioni anche nelle regioni attive, l’unica precisazione è che il tempo di stabilità è
molto breve quindi tale descrizione vale solo per certi istanti della vita del loop.
Come già accennato nel primo Capitolo, considereremo la struttura come cilindrica, anche se più
correttamente occorrerebbe utilizzare una geometria toroidale. Tale approssimazione è accettabile
nel caso la struttura sia una protuberanza, in quanto abbiamo già visto che i campi magnetici sono
per lo più orizzontali, ad eccezione dei tratti che collegano la struttura alla Fotosfera. Nel caso di
un arco coronale ciò non è vero, ma le immense dimensioni dell’arco permettono di considerare
i fenomeni derivanti dalla curvatura del campo trascurabili. Alla luce di ciò, per la struttura in
considerazione, utilizzeremo le coordinate cilindriche, per le descrizioni spaziali, e le coordinate
cartesiante per gli effetti perturbativi, in quanto essendo dipendenti dall’altezza, come vedremo,
sfrutteremo l’identità sulla variabile z delle coordinate cilindriche per semplificare la trattazione.
Diamo quindi una descrizione dei campi magnetici che descrivono il tubo di plasma in oggetto.
Facciamo prima delle considerazioni sul tipo di campo B = [Br (r, φ, z), Bφ (r, φ, z), Bz (r, φ, z)] che
potrebbe descrivere questa situazione. Dalla condizione di divergenza nulla, ci si può aspettare
che le linee di campo non si propaghino radialmente all’asse del tubo, quindi possiamo assumere
che Br = 0. Successivamente, dalla condizione di stazionarietà, possiamo considerare il campo
25
26
CAPITOLO 3. MODELLISTICA DI UNA STRUTTURA STATICA
Figura 3.1: Tratto cilindrico di una struttura di raggio a in considerazione contenente le indicazioni
sulle grandezze in gioco [1].
magnetico uniforme lungo l’altezza della struttura ed anche tangenzialmente, in modo tale che la
dipendenza sia unicamente radiale. Da ciò otteniamo la seguente forma per il campo magnetico
B = [0, Bφ (r), Bz (r)]
La strategia ora è quella di utilizzare l’Eq. 2.26, ricordando le condizioni imposte nel considerare
i campi in oggetto come force-free, per ottenere un’equazione differenziale da cui ricavare i valori
di B. Utilizzando nabla in coordinate cilindriche si ha
!
1 dBz 1 d
,
(rBφ )
(3.1)
j = 0, −
µ dr µr dr
nota la densità di corrente ora si può sostituire quest’ultima nell’Eq. 2.26 e ottenere
1 d
dBz
+ Bφ
(rBφ ) = 0
(3.2)
dr
r dr
Da notare il fatto che abbiamo ottenuto una equazione a due incognite. Per risolvere questo problema sfruttiamo una caratteristica dei tubi di flusso. É stato osservato che i tubi particolarmente lunghi sono intrinsecamente instabili, in quanto sono soggetti ad un’instabilità di tipo screw − pinch,
che causa la strozzatura del tubo in alcuni punti [6], in particolare è associata all’effetto di twisting
o attrocigliamento del campo magnetico attorno al suo asse. Questo fenomeno causa un aumento
dell’energia interna disponibile, in quanto accumula energia come se fosse un elastico, tanto più
è attorcigliato il campo magnetico, maggiore è l’energia accumulata. La condizione di innesco di
questa instabilità è data da h/L < 1, dove h è la distanza tra due linee di campo attorcigliate che
hanno percorso una rivoluzione attorno all’asse, e L è la lunghezza della struttura. Dalle osservazioni fatte è risultato che nel caso di tubi magnetici solari il rapporto h/L < 1 è quasi sempre
verificato. Ma dato che h = 2πrBz possiamo concludere che se vale la condizione R < L, o meglio
r << L, allora il campo magnetico deve attorcigliarsi.
Per inserire questa considerazione nelle equazioni definiamo il parametro di twisting
Bz
Φ(r) =
Z
dφ =
L
Z
0
Bφ
LBφ (r)
dz =
rBz
rBz (r)
(3.3)
dove è stata usata la relazione dφ = Bφ /(rBz )dz per cambiare variabile all’interno dell’integrale,
relazione che ha natura geometrica, come si può vedere dalla Figura 3.1. Usando il parametro di
3.2. ANALISI ENERGETICA
27
twisting è possibile legare il campo tangenziale a quello assiale in modo tale da poter risolvere
l’equazione differenziale. Occorre però precisare che la soluzione non è unica, poichè dipende
dalle condizioni imposte dal twisting. Consideriamo inizialmente un twisting uniforme, tale che
non dipenda più dalla variabile radiale, e questa condizione ci porta alle due soluzioni per i campi
Bz =
B0
1 + r2 /a2
e
Bφ =
Φ0 rB0
1 + r2 /a2
(3.4)
dove il termine B0 è il valore che il campo assume lungo l’asse del tubo. Si può notare che questa
soluzione prevede campi che sono costanti lungo l’asse, decrescono all’aumentare di r e si annullano all’infinito. Il termine a indica all’incirca quanto è grande la struttura. Abbiamo visto nella
sezione riguardante le strutture coronali, che queste non hanno chiaramente una struttura definita,
quindi non è possibile individuare un raggio ben definito per il tubo. Utilizzeremo a come lunghezza tipica del raggio del tubo, tenedo presente che una struttura reale presenta diversi valori di
raggio, al variare della posizione lungo l’asse e a ne indica un valore medio.
Come già detto, la soluzione all’Eq. 3.2 non è unica. In questa sezione tratteremo, oltre alla
descrizione fornita dall’Eq. 3.4, un altro tipo di descrizione. Abbiamo ricavato le relazioni precedenti imponendo che il twisting del camo magnetico attorno al suo asse sia costante. Un’altra
considerazione che facciamo invece è di assumere costante il campo assiale, per ogni valore di
r. In tal modo l’attrocigliamento non è più costante ma dipenderà radialmente. Questa ulteriore
condizione ci porta ad avere
Bz = B0
e
e parametro di twisting pari a
Φ(r) =
Bφ =
Φ0 rB0
1 + r2 /a2
φ0
1 + r2 /a2
(3.5)
(3.6)
Tali relazioni soddisfano l’equazione per i campi force-free e si può trovare anche il parametro
α che caratterizza l’equazione. Qui specifichiamo solamente che i campi sono force-free ma che
non presentano configurazione potenziale, cioè non è descrivibile mediante la funzione potenziale
scalare φ introdotta precedentemente. Infine precisiamo che le relazioni per i campi valgono solo
all’interno della struttura, al di fuori di essa occorre modificare le relazioni per garantire che nel
limite per r → ∞ i campi si annullino come 1/r2 . Qui e nelle trattazioni successive ometteremo
questa condizione in quanto siamo interessati al comportamento dei campi magnetici solo all’interno della struttura.
Nella sezione seguente queste due semplici descrizioni verrano utilizzate per ricavare le energie
per la struttura in considerazione e valutare l’energia libera interna, in quanto tale energia viene
liberata, ad esempio, dall’esplosione della struttura in un evento CME.
3.2
Analisi energetica
Nelle strutture coronali possono avvenire molti fenomeni, molti dei quali sono correlati fra di
loro, e cercare di trattarli analiticamente è molto difficile. Lo scopo di analizzare l’energia che
una struttura statica possiede è quello di dare un’idea degli ordini di grandezza delle quantità in
oggetto, per poi introdurre via via effetti perturbativi e osservare come le energie evolvano tra i
vari effetti. In una trattazione semplice come quella in oggetto non sono molti i contributi che
riguardano l’energia. Iniziamo a trattare dapprima l’energia magnetica nel tubo coronale. Come
noto dall’elettromagnetismo classico, il campo magnetico è in grado di accumulare energia che
può essere convertita in altre forme a seconda del fenomeno considerato. L’energia associata al
28
CAPITOLO 3. MODELLISTICA DI UNA STRUTTURA STATICA
campo è definita come
Um =
Z
ν
B2
dν
2µ
(3.7)
dove ν rappresenta l’elemento di volume che contiene il campo e ricordiamo che tale relazione è
descritta in coordinate cartesiane. Dato che l’unica variabile che compare delle equazioni dei campi è il raggio, possiamo effettuare un cambio di variabile per semplificare la relazione. Il volume
che prendiamo in considerazione è l’intera struttura e, dato che siamo in coordinate cilindriche, il
volume è pari a ν = πr2 L. Per cambiare variabile prendiamo la derivata del volume rispetto alla
variabile radiale
dν
= 2πrL
(3.8)
dr
e da questa possiamo riscrivere l’Eq. 3.7 come
Z
Z
B2 dν
πL a
Um =
dr =
rB(r)2 dr
(3.9)
2µ dr
µ 0
il ruolo della derivata del volume è quello di jacobiano della trasformazione, in quanto nel cambiare variabile di integrazione, siamo passati in coordinate cilindriche.
Consideriamo prima il campo prodotto dalla Eq. 3.4 e sostituendo nella relazione sopra trovata si
ha
"
!
#
πLB0 2 a2 r2 /a2
1
πΦ0 2 B0 2 a4
r2
Um1 (r) =
+
+ log 1 + 2 − 1
2µ 1 + r2 /a2
2Lµ
1 + r2 /a2
a
(3.10)
dove si può notare che il primo termine deriva dal campo assiale, mentre il secondo deriva dal
campo tangenziale, infatti presenta dipendenza dal twisting uniforme.
Utilizzando l’Eq. 3.5, invece otteniamo
"
!
#
1
πLB0 2 r2 πΦ0 2 B0 2 a4
r2
Um2 (r) =
+
+ log 1 + 2 − 1
(3.11)
2µ
2Lµ
1 + r2 /a2
a
ovviamente l’unica variazione che si ottiene riguarda il primo termine, dove si può notare una
dipendenza pura da r. Le conseguenze e le valutazioni con dati di strutture tipiche verrà fatta nella
sezione successiva.
La seconda forma di energia presente in questi tipi di strutture è l’energia potenziale, necessaria
a sorreggere l’arco coronale per evitare che collassi. L’energia potenziale è generalmente definita
come
Z
Ug =
Fg · dr
(3.12)
usando Eq. 2.14 riscriviamo la relazione sopra
Ug = −GmM
Z
R +h
R
1
1
1
= GmM
−
2
R R + h
z
!
(3.13)
con m massa della struttura e h altezza media.
Altre fonti energetiche, in queste condizioni, sono trascurabili in confronto alle due che abbiamo
preso in considerazione. Data la condizione di stazionarietà imposta all’inizio, le velocità interne
del plasma sono molto basse e da ciò ne segue che l’energia cinetica del plasma è trascurabile. Lo
stesso vale anche per l’aspetto dinamico dell’arco coronale: essendo in quiete non ci sono forze
esterne che ne possono modificare l’equilibrio e quindi è trascurabile anche l’energia cinetica della
struttura.
3.3. RISULTATI
3.3
29
Risultati
Cerchiamo ora di valutare le soluzioni energetiche trovate nella sezione precedente per strutture di
diverse dimensioni. Per avere una panoramica abbastanza ampia delle possibili strutture all’interno della Corona Solare, sono stati utilizzati dati circa le dimensioni di archi che qui classifichiamo
come piccoli, medi e grandi, al crescere delle dimensioni, e data la diversità dei campi magnetici
nelle regioni attive dalle regioni quiescenti, è stata presa in considerazione anche una struttura
all’interno di una regione attiva.
Le Eq. 3.10 e 3.11 contengono molti parametri, quindi occorre fare considerazioni singolarmente
su ogni parametro in modo tale da comprenderne tutte le informazioni possibili. É stato scelto di
esprimere l’energia in funzione del raggio per comodità, in quanto potrebbero comparire strutture
con dimensioni simili ma spessori diversi. La Tabella 3.3 riporta i dati che compaiono nelle relazioni energetiche delle strutture considerate
Tabella 3.3. Tipi di struttura
Parametro Piccola Media Grande
L (Mm)
100
200
600
h (Mm)
10
50
100
a (Mm)
1.5
2.5
5
B0 (mT)
0.8
1.5
8
Attiva
10
2.5
0.6
60
Figura 3.2: Andamento delle energie date dall’Eq. 3.10 e 3.11 in funzione del raggio dell’arco
coronale.
i dati utilizzati sono riferiti alle strutture descritte nel Capitolo 1. Il termine Φ0 è stato assunto
costante per tutti i tipi di tubi coronali, pari a due rotazioni complete attorno al proprio asse e
successivamente verrà trattato nel dettaglio.
Avendo a disposizione tutti i dati, per prima cosa vediamo l’andamento dell’energia in funzione
del raggio. Presentiamo di seguito il grafico dell’energia in funzione del raggio per una struttura
di medie dimensioni, in quanto anche variando le dimensioni della struttura, l’andamento è abbastanza simile.
30
CAPITOLO 3. MODELLISTICA DI UNA STRUTTURA STATICA
Il risultato mostrato in Figura 3.2 evidenzia un andamento che cresce lentamente, tipico della
funzione logaritmica, per quanto riguarda la descrizione a twisting costante. Per la descrizione
a twisting variabile si ha una crescita quasi parabolica causata dal primo termine dell’Eq. 3.11.
Quindi tale risultato mette in evidenza che nel primo caso a dominare l’energia è il termine derivante dal campo tangenziale, mentre nel secondo caso domina il termine derivante dal campo
assiale.
La linea verticale nera che compare nel grafico rappresenta il caso particolare in cui r = a. É stato
Figura 3.3: Andamento dell’energia data dall’Eq. 3.10 in funzione del raggio dell’arco coronale e
dal numero di twist attorno al proprio asse.
scelto un range un po’ più grande per la variabile radiale, in quanto, come già detto in precedenza,
il valore del raggio oscilla a seconda della posizione assiale, quindi è bene osservare l’andamento
energetico in un intorno di a. Nel caso in considerazione, si può osservare che la struttura con twisting variabile contiene più energia, circa il doppio, di una struttura con twisting uniforme. Questo
perchè, anche se l’effetto di attorcigliamento accumula ulteriore energia, il campo magnetico assiale è costante a differenza di quello dell’Eq. 3.10 che invece decresce.
Un altro risultato è riportato in Figura 3.3, sempre per un loop coronale di medie dimensioni. In
questo caso, oltre alla variabile radiale, abbiamo reso variabile il numero di twist che la struttura compie attorno al proprio asse. É stata presa in considerazione solo l’Equazione 3.10 poichè
la descrizione dei campi fra le due possibilità è simile, dal punto di vista della variabile Φ0 , di
conseguenza per evitare ricorrenze abbiamo preso in considerazione solo la prima. Dal grafico
si può notare che , all’aumentare del numero di giri compiuti, l’energia immagazzinata aumenta
e l’effetto è tanto più forte quanto più è grande la struttura. Per valori di r = a sono necessarie
oltre 100 rotazioni complete attorno al proprio asse per avere un aumento significativo dell’energia. Ovviamente, in assenza di perturbazioni, ci aspettiamo che l’energia non possa diminuire, ma
solo eventualmente aumentare. Il ruolo del twisting, quindi, è quello di stabilizzare la struttura
e aumentare l’energia accumulata al suo interno. Questo è vero nella realtà solo fino a un certo
punto, in quanto se la struttura si attorciglia troppo subentrano effetti perturbativi che, al posto di
aumentare la stabilità, la rendono instabile fino magari a causarne l’eruzione.
Concludiamo la sezione trattando i valori energetici nel caso di r = a. I risultati sono riassunti in
Tabella 3.3
3.4. EFFETTI DELLA PRESSIONE COME PERTURBAZIONE
Energia
Um1 (J)
Um2 (J)
Ug (J)
Tabella 3.4. Valori energetici
Piccola
Media
Grande
5.72 · 1019 1.78 · 1021 6.04 · 1023
1.11 · 1020 3.54 · 1021 7.14 · 1024
1.15 · 1018 5.03 · 1019 1.13 · 1021
31
Attiva
1.09 · 1022
1.90 · 1022
7.74 · 1015
I valori ottenuti mostrano che le energie accumulate nei campi magnetici e nel twisting del loop
coronale sono di qualche ordine di grandezza superiore all’energia impegnata per vincere la forza
gravitazionale. Di conseguenza, l’energia che viene liberata è data dall’energia accumulata nella
struttura, ovvero l’energia magnetica, ma a questa è necessario sottrarre tutte le energie spese
per mantenere la struttura, in questo caso l’energia potenziale. Data la grande differenza tra le
due possiamo concludere che l’energia liberata sarà circa pari all’energia contenuta nei campi.
É possibile affermare anche che strutture di piccole dimensioni in oggetto non riescono a dar
luogo ad eruzioni coronali. Infatti il range osservato di energie, in un’ampia varietà di CME è di
1021 − 1026 J [7].
3.4
Effetti della pressione come perturbazione
I dati ottenuti precedentemente sono riferiti a strutture stabili, cioè senza aver tenuto conto di effetti che possono destabilizzarne l’equilibrio. In questa sezione vogliamo vedere come le equazioni
energetiche ottenute evolvano, qualora subentrino ulteriori effetti nelle equazioni della MHS. Di
effetti destabilizzanti associati a protuberanze ce ne sono svariati, in particolare considereremo gli
effetti che la pressione apporta alla struttura in oggetto.
Il tubo di flusso che ora trattiamo presenta le stesse caratteristiche della struttura precedente, ovvero è in condizioni stazionarie e i campi sono di tipo force-free. Nel Capitolo 2 abbiamo visto
come varia la pressione, in funzione dell’altezza, per solo effetto della gravità. Anzichè ottenere
una relazione per la pressione considerando anche il termine di Lorentz, utilizziamo il principio di
sovrapposizione degli effetti per ottenere delle relazioni per i campi magnetici che contengano gli
effetti della pressione. Riprendiamo l’Eq. 2.27
p(r, z) = p0 (r) exp −
z
Z
0
dz
H(z)
!
(3.14)
in cui abbiamo esplicitato la considerazione fatta in precedenza, ovvero che il termine p0 possa
variare tra una linea di campo e l’altra. Per semplificare supponiamo che tale variazione avvenga
solo radialmente, cioè che linee di campo che distino r dall’asse della struttura presentino valori
di pressione uguali. Per legare questa relazione ai campi magnetici utilizziamo l’Eq. 2.23, senza
considerare gli effetti della gravità, in quanto sono già contenuti nell’espressione per la pressione.
Come fatto precedentemente, ricaviamo la densità di corrente dalla quarta equazione di Maxwell
e la sostituiamo nel termine di Lorentz presente nell’Eq. 2.23 e ricaviamo
 2
2
2
∂p
d  Bφ + Bz  Bφ
+
=0

 +
∂r dr
2µ
µr
(3.15)
Tale equazione descrive l’equilibrio delle forze agenti (per unità di volume) sulla struttura e lega gli
effetti della pressione ai campi magnetici, come voluto. Per poter procedere con i calcoli occorre
specificare, nella relazione della pressione, i termini p0 (r) e H(z). Per quanto riguarda il primo
termine, abbiamo assunto un andamento simile a quello dei campi magnetici, ovvero
p0 (r) =
p0
1 + r2 /a2
(3.16)
32
CAPITOLO 3. MODELLISTICA DI UNA STRUTTURA STATICA
in modo tale che sia uniforme lungo l’asse e che, all’aumentare di r, decresca fino ad assumere
minimo sul bordo. Ovviamente sul bordo non può avere valore nullo perchè deve controbilanciare
la pressione magnetica.
Il secondo termine è più complicato da ricavare, in quanto, dall’Eq. 2.28, contiene l’espressione
della temperatura in funzione dell’altezza. Per ottenere la temperatura è necessario utilizzare l’Eq
2.25. Su tale relazione facciamo le seguenti considerazioni: il plasma che stiamo trattando è
considerato perfettamente conduttore, quindi possiamo trascurare le perdite per effetto resistivo;
il secondo termine, ovvero il termine di perdite per radiazione, contiene il parametro χ che ha
come valore medio 10−32 nella corona, quindi possiamo ritenere anche questo effetto trascurabile;
infine nell’ultimo termine, ovvero gli effetti secondari, abbiamo già trascurato il termine coronale
e trascuriamo anche le perdite per effetto viscoso in quanto dipendono dalla velocità. Alla fine
rimane
∇ · q + ρ = 0
(3.17)
che sono rispettivamente le perdite per conduzione e il termine di produzione di energia nel Nucleo. Sviluppiamo ora il primo termine. Ricordando che il vettore di flusso q è dato dall’Eq. 2.17,
possiamo decomporre il termine di conduzione come
∇ · (κ∇T ) = ∇k · (κk ∇k T ) + ∇⊥ · (κ⊥ ∇⊥ T )
(3.18)
dove i pedici si riferiscono rispettivamente ai valori paralleli e perpendicolari al campo magnetico.
La conduzione lungo il campo magnetico è apportata per lo più dagli elettroni. Per il plasma in
oggetto possiamo usare [8]
κk = κ0 T 5/2
con
κ0 = 9 × 10−12
dove il valore di κ0 è un valore tipico per le regioni coronali. Inoltre se i campi magnetici in oggetto
sono intensi, allora possiamo assumere che la conduzione avviene prevalentemente in direzione
parallela al campo, cioè κk >> κ⊥ , in modo da trascurare gli effetti in direzione perpendicolare.
Infine otteniamo una relazione per la temperatura data da
!
d
5/2 dT
κ0 T
+ ρ = 0
dz
dz
in quanto la variazione parallela equivale ad una variazione lungo l’altezza z. Esplicitando le
derivate della temperatura si ha
!2
d2 T 5 1 dT
ρ
+
=0
+
2
2 T dz
dz
κ0 T 5/2
e risolvendo l’equazione differenziale, ponendo per comodità a zero le costanti di integrazione,
otteniamo
7
T (z) =
4
!2/7 
 (ρ)2
 z
κ02
4/7

2


 ' 1, 17  z (ρ)
κ02
4/7


(3.19)
Ora non resta che sostituire l’espressione trovata nell’Eq. 2.28 per poter conoscere l’esponenziale che compare nella relazione per la pressione. Ricordiamo che non possiamo assumere costante il valore di accelerazione di gravità, in quanto l’altezza della struttura non permette tale
approssimazione. Dunque
g2
mg(z)
m
H(z) =
=
kB T (z) 1, 17kB (z + R )2

 (ρ)2
 z
κ02
−4/7


3.5. APPLICAZIONI DEL MODELLO STATICO
33
Infine dobbiamo calcolare l’integrale che compare in Eq. 3.14. Non è stato possibile calcolare analiticamente tale integrale, quindi forniremo nei risultati il valore della corrispondente integrazione
numerica, una volta che sarà nota l’altezza della struttura. Nota ora l’espressione che descrive la
pressione in funzione dell’altezza possiamo calcolare i campi magnetici. Poichè l’Eq. 3.15 contiene entrambi i campi non è possibile risolverla, in quanto sono presenti due incognite e un’unica
equazione. Per risolvere il problema si può utilizzare un’equazione ausiliaria per legare i campi,
mentre noi utilizzeremo il campo magnetico tangenziale dato nella descrizione precedente e ci
ricaveremo il campo magnetico assiale.
Poichè i calcoli sono piuttosto lunghi e complicati riportiamo qui di seguito solo i risultati di
maggior interesse. Consideriamo quindi il campo magnetico tangenziale Bφ dato dall’Eq. 3.4, lo
sostituiamo nell’Eq. 3.15, assieme al termine di pressione, e ricaviamo così il termine di campo
magnetico assiale
s
Bz (r) =
6a2 Φ20 B20
L2
!
!
!
a2 Φ20 B20
1
r2
1
−1 +
log 1 + 2 + µp0 exp(=) 1 −
+ B20
1 + r2 /a2
2L2
a
1 + r2 /a2
dove il termine exp(=) indica il contributo esponenziale presente nel termine di pressione. La
risoluzione dell’equazione differenziale comporta una costante di integrazione che è stata utilizzata per assicurarci che il campo assiale sia pari al termine costante B0 per r = 0. Per avere
una descrizione completa dei campi magnetici dovremmo imporre che per valori r > a il campo
magnetico decresca come 1/r2 , essendo nel vuoto. Qui siamo interessati alle grandezze fisiche e
alla loro evoluzione dentro la struttura e quindi trascureremo questa condizione. Chiaramente il
termine assiale è molto diverso rispetto a quanto visto nella trattazione precedente, in quanto gli
effetti della pressione hanno modificato il termine di pressione magnetica. Noti i campi è possibile
ricavare l’energia accumulata nei campi magnetici, usando l’Eq. 3.9 si ottiene l’espressione

"
!
#
 6πa4 Φ20 B20 πLp0 exp(=)a2 
B2 πr2 L πa4 Φ20 B20
r2
r2


Um (r) = 
−
+
·
 log 1 + 2 − 2 + 0
Lµ
2
2µ
a
a
4L2 µ
#
!
!
#
"
!
"
πa4 Φ20 B20
r2
r2
1
r2
r2
· 1 + 2 log 1 + 2 − 2 +
+ log 1 + 2 − 1
2Lµ
a
a
a
1 + r2 /a2
a
(3.20)
Tale relazione è molto complicata ma si possono riconoscere i termini che sono presenti anche
in Eq. 3.11 e il termine che descrive la presenza della pressione. I termini restanti invece derivano dalle variazioni che la pressione apporta al campo magnetico. Nella prossima sezione verranno analizzati i risultati riguardanti questa soluzione, a confronto con i risultati ottenuti senza
perturbazione.
3.5
Applicazioni del modello statico
Per valutare il modello descritto dalla sezione precedente, dobbiamo applicarlo ad alcuni tipi di
strutture magnetiche. In particolare utilizzeremo gli stessi dati usati per il modello stazionario,
in modo da avere un confronto diretto circa l’evoluzione energetica tra i due modelli. Sono necessari, inoltre, dati aggiuntivi al fine di dare una descrizione completa per quanto riguarda la
perturbazione. Iniziamo fornendo la Tabella 3.5 in cui sono contenuti i dati utilizzati
34
CAPITOLO 3. MODELLISTICA DI UNA STRUTTURA STATICA
Parametro
L (Mm)
h (Mm)
a (Mm)
B0 (mT)
p0 (Pa)
Φ0
m (kg)
ρ (kg · m−3 )
ρ (W · m−3 )
exp(=)
Tabella 3.5. Tipi di struttura
Piccola
Media
Grande
100
200
600
10
50
100
1.5
2.5
5
0.8
1.5
8
103
104
105
2π
2π
2π
10−27
10−27
10−27
10−12
10−12
10−12
276,5
276,5
276,5
−15
−15
4, 74 · 10
9, 29 · 10
1, 22 · 10−14
Attiva
10
2.5
0.6
60
103
2π
10−27
10−12
276,5
2, 63 · 10−15
Le pressioni date sono relative alla base della struttura, nella Fotosfera [9]. Il termine m corrisponde alla massa media delle particelle (data da m = m p µ̃), rispetto alla massa del protone, la densità
è stata assunta costante, anche se in realtà si hanno valori diversi tra Fotosfera e Corona interna,
il termine ρ rappresenta il rate di produzione di potenza nel Nucleo [10], infine l’ultimo termine
rappresenta i valori dell’integrazione numerica dell’integrale presente nell’Eq. 3.14.
Noti i dati necessari è possibili proseguire con l’analisi dei risultati forniti dall’Eq. 3.20 e, come per
la struttura non perturbata, è stato costruito un grafico per rappresentare l’andamento dell’energia
in funzione del raggio, dato da Figura 3.4. Dal grafico si può subito notare che la perturbazio-
Figura 3.4: Andamento dell’energia data dall’Eq. 3.20 in funzione del raggio dell’arco coronale,
per una struttura di medie dimensioni.
ne aumenta la stabilità della struttura, infatti l’energia accumulata nei campi è maggiore di circa
tre ordini di grandezza, rispetto alla struttura non perturbata. Chiaramente nella realtà questo è
vero solo per bassi valori di pressione, in quanto alte pressioni deformerebbero l’arco coronale
dando luogo ad instabilità strutturali. L’andamento è di tipo parabolico, in analogia con l’andamento energetico della struttura con twist variabile, ed è quindi possibile concludere che i campi
magnetici si sono riorganizzati, in presenza della pressione, in modo tale da aumentare l’energia
3.5. APPLICAZIONI DEL MODELLO STATICO
35
accumulata nella struttura mantenendo l’andamento energetico analogo all’andamento non perturbato.
Come fatto per la trattazione non perturbata, diamo i risultati delle energie ricavati nella presente
trattazione, per valori radiali pari a r = a.
• struttura piccola =⇒ U = 6, 42 · 1023 J
• struttura media =⇒ U = 5, 73 · 1024 J
• struttura grande =⇒ U = 6, 89 · 1025 J
• struttura attiva =⇒ U = 1, 37 · 1023 J
Rispetto ai valori ottenuti nel caso non perturbato si osserva un incremento dell’energia, proporzionale alle dimensioni della struttura in oggetto, in particolare le energie qui ricavate appartengono
tutte al range di energie osservate [7], quindi concludiamo che le strutture qui analizzate possono
dar luogo a CME. Tutti i risultati ottenuti sono applicati, ricordiamo, a tubi coronali, le cui dimensioni sono standard per strutture in equilibrio, cioè la terna lunghezza, altezza, raggio dell’arco
coronale risultati proporzionati, infatti una struttura può emergere con dimensioni atipiche. In
questo caso gli effetti delle perturbazioni sono più incisivi. A dimostrazione di ciò consideriamo
una struttura presente in una regione attiva e, nei dati sopra riportati, modifichiamo il valore del
raggio medio a in modo da raddoppiarlo. In Figura 3.5 riportiamo il corrispondente grafico rappresentante l’energia in funzione della variabile radiale e della pressione. Il grafico indica come
Figura 3.5: Andamento dell’energia data dall’Eq. 3.20 in funzione del raggio dell’arco coronale e
della pressione iniziale, per una struttura con dimensioni atipiche e situata in una regione attiva.
gli effetti della pressione siano decisivi per la stabilità della struttura. A basse pressioni la stuttura
non riesce a raggiungere il valore radiale pari ad a, in quanto a tale valore l’energia interna è negativa. Un’energia negativa, nel nostro caso, indica che l’energia richiesta per mantenere la struttura
è maggiore dell’energia interna disponibile e quindi l’arco coronale collassa. Se aumentiamo i valori di pressione iniziale p0 , aumenta l’energia interna e quindi aumenta la stabilità. É possibile la
36
CAPITOLO 3. MODELLISTICA DI UNA STRUTTURA STATICA
formazione di archi di questo tipo, sotto queste condizioni, quando la pressione presenta il minimo
valore tale per cui, a r = a, si ha energia positiva e sufficiente a compensare le energie richieste
per il mantenimento dell’equilibrio. Nel caso in oggetto l’unica energia da sottrarre all’energia
interna è quella gravitazionale e questo comporta un valore soglia di pressione pari a p0min ' 440
Pa. Infine non è stata considerata l’energia in funzione dell’attorcigliamento della struttura, in
quanto gli effetti sono analoghi a quelli descritti per strutture non perturbate.
Capitolo 4
Modellistica di una Struttura Non
Statica
Dopo aver trattato una struttura statica, averne valutato l’energia interna e di come quest’ultima
evolva sotto gli effetti di una perturbazione, in questo Capitolo considereremo una struttura non
statica, cioè sottoposta a forze esterne che ne causano una dinamica, e con un plasma al suo interno
la cui velocità non è soggetta a restrizioni.
4.1
Topologia e Campi Magnetici
La descrizione di tubi di flusso in regioni attive non è semplice, in quanto la dinamica che porta
all’emersione del tubo di flusso, da sotto la Fotosfera fino alla Corona, è molto complicata. Per
dare una descrizione dei campi magnetici che possono portare alla formazione di una struttura di
questo tipo, utilizzeremo il modello di Titov e Démoulin [11]. Tale modello descrive come evolve
la topologia magnetica che descrive un tubo di flusso, che presenta un attorcigliamento attorno al
proprio asse, dall’emersione del tubo fino all’eruzione. Nel presente lavoro utilizzeremo, invece,
una rappresentazione analitica per i campi magnetici per stimare l’energia che una struttura di
questo tipo può accumulare nei campi. L’emersione avviene mediante il passaggio tra diversi
stati in cui i campi sono di tipo force-free, in modo tale che l’intera evoluzione sia di tipo quasistatica. I campi magnetici che vengono usati per descrivere questa struttura sono composti da tre
componenti aventi origine diversa tra loro e verranno descritti in seguito. A differenza di quanto
fatto per le strutture statiche, non possiamo approssimare il tubo di flusso come un cilindro, quindi
verranno date le relazioni in coordinate toroidali



x(r, θ, φ) = r sin θ




(4.1)
y(r, θ, φ) = (R + r cos θ) cos φ





z(r, θ, φ) = (R + r cos θ) sin φ
Un esempio della descrizione che utilizzeremo è data dalla Figura 4.1, in cui compaiono la struttura, le sorgenti dei campi magnetici e un riferimento alle coordinate che verranno impiegate in
questo modello. Successivamente potremmo riferirci a φ come variabile angolare globale e a θ
come variabile angolare locale, data la descrizione che forniscono rispettivamente su grande scala
e su scala locale. Dal punto di vista geometrico, il toro si erge in altezza lungo l’asse z mentre
i piedi si trovano centrati nell’asse y, in posizione opposta rispetto all’origine degli assi. Ad una
profondità d, parallelamente all’asse delle x, si trova l’asse di simmetria del toro, mentre l’origine
della terna cartesiana è posta sulla superficie. Diamo ora una descrizione dei campi magnetici in
oggetto (in particolare daremo solo il risultato ottenuto nel modello preso in considerazione). Il
37
38
CAPITOLO 4. MODELLISTICA DI UNA STRUTTURA NON STATICA
Figura 4.1: A sinistra: rappresentazione della struttura in oggetto, I indica la corrente che genera il
campo magnetico principale ±q indicano le posizioni delle macchie solari e I0 rappresenta la linea
di corrente elettrica che fluisce sotto la Fotosfera. A destra: indicazioni sulle coordinate utilizzate
in questa descrizione. [11]
campo magnetico che verrà classificato come principale è originato dalla corrente I che circola
nel toro, uniformemente distribuita sulla sezione circolare di raggio a. Tale campo presenta le
seguenti componenti
s


!
 µrI
2 µ2 I 2 

r

BI = (Br , Bθ , Bφ ) = 0 ,
, B2e + 1 − 2
2
2
2πa
a 2πa 
(4.2)
dove il termine Be è un contributo derivante dal terzo campo magnetico e quindi tratteremo a breve.
Il secondo campo magnetico è generato da due cariche magnetiche, indicate in Figura 4.1, nelle
posizioni q e −q, lungo l’asse delle x, e ad una profondità rispetto alla Fotosfera pari a d. Tali
cariche hanno lo scopo di rappresentare due macchie solari poste ad una distanza L dalla struttura,
di polarità opposta, collegate da un’arco coronale che sovrasta il tubo di flusso in oggetto. Il campo
magnetico prodotto dalla presenza delle macchie è
r+
r−
Bq = q
−
3
|r+ |
|r− |3
!
(4.3)
dove q indica il valore della carica magnetica associata alla macchia solare e r± = (x ∓ L, y, z + d),
dato in coordinate cartesiane. Infine l’ultimo campo magnetico è generato da una linea di corrente
elettrica I0 che scorre ad una profondità d dalla superficie, lungo l’asse di simmetria del toroide.
Tale corrente genera un campo puramente tangenziale, parallelo al campo BI , dato dalla relazione
Bφ = 0 , 0 ,
µI0
2π[y2 + (z + d)2 ]1/2
!
(4.4)
anch’esso dato in coordinate cartesiane per comodità. Questo campo permette di determinare il
termine presente nell’Eq. 4.1 Be sulla superficie del toro, quindi Be = µI0 /(2πR).
Nel modello che abbiamo assunto come riferimento, il campo magnetico complessivo è dato dalla
somma di queste tre componenti. Nel presente lavoro invece consideriamo gli ultimi due campi
come perturbazioni per valutare gli effetti sulla struttura in oggetto. Ulteriori dettagli verranno dati
nella descrizione dell’analisi energetica e nei risultati.
4.2. ANALISI CINEMATICA
4.2
39
Analisi Cinematica
Prima di procedere con l’analisi energetica vogliamo valutare una conseguenza dei campi magnetici sopra descritti, in particolare valutiamo qui gli effetti cinetici apportati da tali campi. Dato
che la struttura in oggetto non presenta condizioni di stazionarietà, utilizziamo le equazioni della
MHD per ottenere dai campi magnetici una relazione che esprime la velocità del plasma all’interno della struttura. In particolare, come vedremo successivamente nei risultati, l’intensità del
campo magnetico principale è superiore per diversi ordini di grandezza rispetto a quella degli altri
due campi. Ci aspettiamo che le relazioni per le velocità ereditino questa differenza. In virtù di
questa assunzione ricaveremo l’espressione per la velocità solo dal campo magnetico principale,
in quanto ci aspettiamo che gli effetti cinetici originati dagli altri due campi apportino correzioni
trascurabili alla cinematica descritta dal campo magnetico principale. Infine assumiamo che il
campo magnetico principale non vari nel tempo e che il plasma possieda densità costante.
Per ottenere tale relazione ci è sufficiente utilizzare l’equazione di induzione 2.11, ricordando che
il plasma in questione presenta una conducibilità molto elevata e quindi possiamo porci nelle condizioni di limite ideale. Inoltre avendo assunto che il campo magnetico non vari nel tempo l’Eq.
2.11 si riduce a
∇ × (v × B) = 0
(4.5)
Se ora supponiamo che il vettore velocità sia v = (vr , vθ , vφ ), dove ognuna delle tre componenti può dipendere da tutte e tre le variabili spaziali, otteniamo un sistema di tre equzioni abbastanza complicato da risolvere e con un numero maggiore di incognite, rispetto al numero di
equazioni. Per semplificare la trattazione consideriamo il vettore velocità così composto v =
(0, vθ (r, θ, φ), vφ (r, θ, φ)). Oltre all’equazione di induzione, sia il campo magnetico, sia la velocità
devono soddisfare la condizione di divergenza nulla.
Diamo qui solo gli estremi dell’analisi cinematica, in quanto i calcoli sono piuttosto lunghi. Ricordiamo che per applicare l’equazione di induzione è necessario esprimere l’operatore nabla in
coordinate toroidali, in quanto il presente modello è espresso in tali coordinate. Nella risoluzione
delle equazioni differenziali alle derivate parziali che compaiono nei calcoli, le costanti di integrazione sono state scelte per avere la condizione di velocità nulla sul bordo del toro, in modo da
ottemperare alla condizione sulla divergenza.
Si ricava infine l’espressione della velocità


vr (r, θ, φ) = 0






!
"
!#


2
2 µ2
2 −1/2 




r
φIµr
sin(θ)
sinh(r/a)
I
r





vθ (r, θ, φ) = v0 1 − 2 exp 
− 2
B2e +
1− 2





2



a
πa cos(θ) − cosh(r/a)
2πa
a





!
"
!#−1/2

r2 Iµr sin(θ) sinh(r/a)
I 2 µ2
r2

2


vφ (r, θ, φ) = v0 1 − 2
B +
1− 2
·



a πa2 cos(θ) − cosh(r/a) e 2πa2
a






"
!#−1/2 






I 2 µ2
r2
 φIµr sin(θ) sinh(r/a)


2


·
exp
−
B
+
1
−



e



2
2
 πa2 cos(θ) − cosh(r/a)

2πa
a
(4.6)
Tale relazione mostra come l’andamento della velocità venga modificato dai fenomeni elettromagnetici che interagiscono con le grandezze elettromagnetiche e il plasma all’interno della struttura. Inoltre tale andamento viene modulato dalle funzioni trigonometriche introdotte da nabla in
coordinate toroidali. La valutazione della velocità su una struttura tipica verrà fatta, assieme alla
valutazione energetica successivamente, quando tratteremo i risultati di questo modello.
40
4.3
CAPITOLO 4. MODELLISTICA DI UNA STRUTTURA NON STATICA
Analisi Energetica
In questa sezione ci occuperemo di ricavare una descrizione dell’energia, partendo dalle considerazioni fatte a inizio Capitolo e dalle relazioni per i campi magnetici. É necessario prima dare
alcune indicazioni circa le correnti elettriche che compaiono nelle relazioni. La corrente elettrica
I0 , che fluisce ad una profondità d dalla superficie Fotosferica, è un dato noto del problema, quindi
non necessita di particolari considerazioni. La corrente I, che fluisce nell’arco in oggetto, invece, può essere ricavata sotto opportune ipotesi. La struttura è stata classificata come non statica,
ma abbiamo assunto che la sua evoluzione sia del tipo quasi-statico, cioè che l’evoluzione avvenga passando attraverso una serie di stati in equilibrio. Possiamo quindi supporre, per ricavare la
corrente I, che la struttura sia in uno dei molti stati di equilibrio. Consideriamo ora gli effetti che
questa corrente causa, oltre al campo magnetico. Tale corrente interagisce con il campo magnetico
prodotto dalle macchie solari presenti nel modello, dando luogo ad una forza
Fq = −
(R2
2qLI
n̂
+ L2 )3/2
(4.7)
dove il versore r̂ indica la direzione normale all’asse della struttura. Oltre a questa forza è presenta
una forza di origine elettrodinamica causata solamente dalla corrente I. Un osservatore posto
nell’origine della terna cartesiana definita in precedenza, vede tale corrente elettrica salire da una
gamba della struttura e scendere dall’altra. Quando due correnti di verso opposto si instaurano,
parallele tra di loro, nasce una forza elettrodinamica, di tipo repulsivo, che nel caso in oggetto è
"
!#
µI 2
8R 5
FI =
ln
−
n̂
(4.8)
4πR
a
4
Dall’equilibrio di queste due forze si ottiene l’espressione per la corrente I
I=
8πqLR(R2 + L2 )−3/2
µ[ln(8R/a) − 5/4]
(4.9)
Gli effetti del campo magnetico prodotto dalle macchie solari influiscono direttamente sull’equilibrio della struttura, come mostra la relazione sopra, anche se come vedremo dà contributo trascurabile all’energia interna del tubo di flusso.
Nota la forma della corrente elettrica che fluisce all’interno della struttura possiamo ricavare l’espressione per l’energia immagazzinata nella struttura. Come fatto in precedenza utilizziamo l’Eq.
3.7 per ottenere l’energia magnetica. In questo caso il termine di cambiamento di variabili è dato
da
dν
= 4π2 rR
(4.10)
dr
Considerando prima l’Eq. 4.2, in quanto dipende solo da r, possiamo cambiare variabili di integrazione mediante l’Eq. 4.10 e integrando otteniamo la relazione energetica dovuta dal campo
magnetico principale
!
I02 µr2
r2
I 2 µRr4 I 2 πµRr4
UI =
(4.11)
+
1
−
+
16R
32a4
8a4
2a2
Nella sezione successiva forniremo l’andamento di tale relazione in funzione del raggio, ma si può
già notare che tale espressione prevede un aumento dell’energia in funzione del raggio per r < a,
mentre per valori maggiori l’energia tende a diminuire, a causa del secondo termine nel membro di
destra. Per gli altri due campi magnetici occorre prima di tutto cambiare coordinate per passare a
quelle toroidali mediante le relazioni 4.1 . Una volta ottenute le espressioni nelle nuove coordinate
non è possibile utilizzare l’ulteriore cambiamento di variabili dato dall’Eq. 4.10, in quanto sono
presenti anche le variabili angolari, ma occorre calcolare l’integrale nelle tre dimensioni. Non è
4.4. RISULTATI
41
stato possibile calcolare analiticamente questi due integrali a causa della loro complessità. Nel
paragrafo successivo ovvieremo a questo problema valutando l’energia mediante un’integrazione
numerica nelle tre variabili spaziali.
4.4
Risultati
Passiamo ora a valutare le relazioni trovate per l’energia 4.11 e per la velocità del plasma 4.6. A
differenza di quanto fatto per la struttura statica, applichiamo le equazioni precedenti solo ad un
tipo di struttura, le cui dimensioni sono standard per strutture in regioni attive. I dati che verranno
usati sono presi dal modello usato come riferimento per la presente trattazione. Riportiamo nella
Tabella 4.4 i dati che utilizzeremo in questa sezione per i calcoli.
Parametro
Valore
Tab. 4.4. Valori numerici per una struttura non-statica
R (m)
a (m)
L (m)
d (m)
I0 (A) q (T · m−2 )
6
6
6
6
85 · 10
2, 5 · 10
50 · 10
50 · 10
7 · 101 2
108
v0 (m · s−1 )
1, 5 · 104
Usando i valori sopra è possibile valutare l’energia del campo magnetico principale, in funzione
del raggio. Tale andamento è descritto dal grafico in Figura 4.2 Si può notare che per piccoli valori
Figura 4.2: Andamento dell’energia data dall’Eq. 4.6 in funzione del raggio dell’arco coronale
per strutture situate in regioni attive.
di r l’andamento crescente dell’energia è ancora simile a quello di una parabola, analogamente a
quanto visto per le strutture statiche. Successivamente l’andamento si attenua passando da uno
di tipo parabolico ad uno di tipo lineare, fino a raggiungere un valore massimo. Oltre tale valore
massimo, l’energia cala molto rapidamente. Nel grafico, la linea nera verticale rappresenta sempre il valore r = a e, in un intorno di questo punto, l’energia cresce linearmente al crescere del
raggio della struttura. Nel caso in oggetto si ha massimo energetico pari a 1, 16 · 1027 J per un
valore di r pari a 2, 88 · 106 m, che corrisponde ad un aumento del raggio del tubo di flusso pari
al 7%. A differenza delle strutture statiche, si osserva che l’energia è positiva solo per un certo
42
CAPITOLO 4. MODELLISTICA DI UNA STRUTTURA NON STATICA
range di valori radiali. Infatti già a 3,5 Mm la struttura ha perso la maggior parte dell’energia ed
è in procinto di collassare. Quindi la dinamica introdotta dal modello apporta evidenti modifiche
alla regione di stabilità radiale della struttura presente. Per valutare a fondo il comportamento dell’energia, rendiamo variabili anche l’altezza R della struttura e la distanza L delle macchie solari.
In questo modo otteniamo più informazioni sulla regione di stabilità. Presentiamo in Figura 4.3
quattro grafici che rappresentano l’energia in funzione di R e di L, per diversi valori radiali. Resta
Figura 4.3: Evoluzione dell’energia in funzione di R0 e L. I quattro grafici sono stati ricavati per
quattro valori diversi di r, rispettivamente: alto-sinistra r = 2, 500 Mm, alto-destra r = 2, 880 Mm,
basso-sinistra r = 3, 536 Mm e basso-destra r = 3, 650 Mm
dominante il ruolo della variabile radiale nella stabilità della struttura. Come ci si può aspettare
per bassi valori di R0 e L la struttura presenta maggiore stabilità, in quanto presenta dimensioni più
ridotte e quindi una maggiore energia libera contenuta nei campi, mentre la maggiore vicinanza
delle macchie solari intensifica il contributo energetico che apportano alla struttura migliorandone
la stabilità. Qui abbiamo valutato la stabilità in funzione delle variabili geometriche che caratterizzano il modello. Gli effetti delle variabili elettromagnetiche, in particolare i valori delle cariche
magnetiche q e della corrente che fluisce sotto la Fotosfera I0 , verranno valutati sulla velocità, in
quanto dal punto di vista energetico non hanno particolari comportamenti. Passiamo a valutare gli
altri effetti energetici. Come detto in precedenza, non è stato possibile calcolare analiticamente gli
4.4. RISULTATI
43
integrali associati ai campi magnetici perturbativi, di conseguenza daremo solo i corrispondenti
valori di integrazione numerica. Oltre a questi valori energetici sono presenti gli effetti dell’energia potenziale gravitazionale della struttura, data dall’Eq. 3.13, e dell’energia cinetica che il
plasma possiede, a partire dalla relazione per la velocità ricavata precedentemente. Utilizzando i
valori dati in Tabella 4.4 diamo i valori energetici per la struttura in oggetto e per r = a
• energia magnetica U I = 9, 77 · 1026 J
• energia magnetica Uq = 0, 00034 J
• energia magnetica Uφ = 4.52 · 1024 J
• energia potenziale Ug = 6, 42 · 1019 J
• energia cinetica Ukin = 6, 16 · 1017 J
L’energia quindi del campo magnetico principale è dominante in confronto agli altri valori energetici. Per quanto riguarda l’energia apportata dal campo magnetico Bq , il contributo è quasi nullo,
poichè le macchie solari si trovano ad una distanza elevata e sapendo che i campi magnetici vanno
come 1/r2 ci si aspetta che l’energia sia molto bassa. Ciò non avviene invece per il campo magnetico Bφ dato che la corrente elettrica che lo genera è molto intensa. Per il valore dell’energia
cinetica, dato che la velocità è data in funzione di tre variabili e sul bordo assume valori nulli, nel
calcolo dell’energia cinetica è stata utilizzata una velocità media del plasma all’interno del tubo di
flusso. Dato il valore dominante dell’energia magnetica, concludiamo anche per la struttura non
statica che tale energia ricopre un ruolo dominante per la stabilità di una struttura. Inoltre i valori
qui ottenuti rientrano tutti nel range osservato di eventi di CME [7]. Concludiamo questa sezione
Figura 4.4: Evoluzione del modulo della velocità in funzione di r e di θ. L’andamento è chiaramente descrescente, dall’asse del tubo verso il bordo. Tale andamento non dipende dalla variabile
angolare locale.
trattando i risultati che fornisce l’analisi cinematica. Utilizziamo gli stessi dati forniti in Tabella
4.4 e calcoliamo gli andamenti della velocità in funzione delle tre coordinate toroidali. Oltre a
considerare le due componenti della velocità, rappresenteremo anche il modulo di questa. Riportiamo in Figura 4.4 l’andamento del solo modulo, in condizioni di equilibrio. Tale andamento si
44
CAPITOLO 4. MODELLISTICA DI UNA STRUTTURA NON STATICA
Figura 4.5: Evoluzione della velocità in funzione delle tre coordinate spaziali, in condizioni di non
equilibrio. La prima colonna a sinistra rappresenta la velocità vθ , quella centrale la velocità vφ e
quella a destra il modulo del vettore velocità. Ognuna di queste terne di grafici è stata ricavata
rispettivamente a φ = 0, π/4, π/2, 3π/4 e π (dall’alto verso il basso).
4.4. RISULTATI
45
può vedere che è descrescente, dall’asse del tubo di flusso verso il bordo dello stesso, e in particolare non dipende dall’angolo θ. Il grafico in Figura 4.4 è stato ricavato per diversi valori di φ, ma
in tutti i casi l’andamento non subisce modifiche. Da ciò concludiamo che gli effetti che perturbano l’andamento della velocità, in condizioni di equilibrio, sono trascurabili. Tralasciando come
le perturbazioni di tipo geometrico influiscano sulla velocità del plasma, consideriamo gli effetti
elettromagnetici su quest’ultima. Come detto precedentemente le variazioni di valori delle cariche
magnetiche e della corrente elettrica che fluisce sotto la Fotosfera, non determinano particolari
cambiamenti all’energia interna della struttura. Vedremo ora che il loro contributo nella stabilità
della struttura è invece fondamentale. Per valutare tali effetti, supponiamo che ad un certo istante
la corrente elettrica I0 diminuisca di almeno 4-5 ordini di grandezza. Ricordiamo che nel ricavare
la velocità abbiamo supposto che il campo magnetico non vari nel tempo. Nell’ipotesi che tale
corrente elettrica diminuisca, dobbiamo supporre ulteriormente che il transitorio in cui avviene
tale variazione sia abbastanza rapido da mantenere valida la richiesta di non variazione temporale,
da parte del campo magnetico principale. Ipotizzando che tali condizioni siano soddisfatte, valutiamo come la velocità del plasma si comporta in merito a tale variazione. In Figura 4.5 vengono
riportati i grafici rappresentanti gli andamenti delle velocità vθ , vφ e |v| (rispettivamente da sinistra
a destra), in funzione delle variabili r e θ, e i tre grafici sono stati ricavati per diversi valori della
variabile angolare φ = 0, π/4, π/2, 3π/4 e π (rispettivamente dall’alto verso il basso della Figura
4.5). Tali grafici mostrano come la velocità all’interno della struttura venga fortemente modificata. Partendo da un piede della struttura, cioè a φ = 0, si nota come la compenente della velocità
parallela all’asse del tubo di flusso venga perturbata. Avanzando lungo l’asse della struttura anche
la componente tangenziale inizia a modificarsi, iniziando a descrivere una regione all’interno della
struttura in cui il plasma accelera. In cima alla struttura, ovvero φ = π/2, è chiara la formazione
di una specie di secondo tubo di flusso, contenuto nel primo. Inoltre tale secondo tubo, all’aumentare dell’altezza nella struttura, trasla verso il bordo della struttura. Arrivando all’altro piede,
e quindi φ = π, il plasma presente all’interno del tubo di flusso più piccolo ha quadruplicato la
velocità iniziale. La formazione del tubo di flusso all’interno della struttura è evidenziata dalla
regione ellittica, in Figura 4.5 che si sviluppa dall’asse della struttura verso l’esterno (per valori
crescenti del raggio). Il tubo si forma per un valore di θ pari a π/2, di contro si ha la formazione di
una regione a velocità minori di v0 , per un valore di θ pari a 3π/2. Considerando quanto emerge
da questa analisi, possiamo fare delle ipotesi su strutture realmente esistenti nell’atmosfera solare. Il secondo tubo di flusso che viene a formarsi, a seguito dell’instaurarsi della perturbazione
in oggetto, raggiunge il bordo delle struttura già sulla sommità di quest’ultima. Nelle relazioni
che descrivono tale comportamento, abbiamo imposto che la velocità si annulli sulla superficie.
Nella realtà nulla vieta a questo tubo di flusso più piccolo di fuoriuscire dalla struttura causandone
l’eruzione. Infatti qui abbiamo supposto che la corrente elettrica I0 dimiuisca solo di 4-5 ordini
di grandezza, qualora l’effetto sia più intenso, l’eruzione sarebbe più rapida. Lo stesso identico
risultato lo si ottiene aumentando di 4 ordini di grandezza i valori delle cariche magnetiche, rappresentanti le macchie solari, anzichè diminuire I0 . Possiamo anche supporre un effetto combinato
in cui la corrente I0 possa diminuire meno intensamente, ma avvenga un contemporaneo aumento
dell’attività magnetica delle macchie presenti. L’eventuale fuoriuscita della parte di plasma accelerato può avvenire, in accordo con quanto mostrato in Figura 4.5, con probabilità più elevata
sulla sommità della struttura, a θ = π/2, che corrisponde, nel nostro sistema di riferimento, ad
una espulsione di plasma nel piano xz, verso l’esterno solare. Questo plasma avendo una velocità
maggiore presenta di conseguenza anche una temperatura interna maggiore. Questo risultato lo si
può riscontrare in osservazioni fatte di eruzioni solari. Infatti è stato osservato che durante un’eruzione solare sono presenti evidenti tracce di riconnessione magnetica [12]. Oltre a questo, si
osserva l’instaurarsi di due flussi di plasma, uno caldo e accelerato in direzione radiale verso l’esterno solare, e uno più freddo sempre in direzione radiale ma verso la Fotosfera. Questi due flussi
46
CAPITOLO 4. MODELLISTICA DI UNA STRUTTURA NON STATICA
Figura 4.6: Risultati di osservazioni di un particolare brillamento solare. a Formazione di un nuovo
arco di plasma caldo a seguito di riconnessione magnetica. b Evoluzione della configurazione
dell’arco iniziale. c Spettro dei raggi X del plasma caldo, in funzione dell’energia dei fotoni
emessi [12]
possono essere associati a quanto ottenuto dall’analisi cinematica. Concludiamo con il risultato
ottenuto dall’osservazione di riconnessione magnetica, a seguito di un brillamento solare, in cui
vengono osservati anche i flussi di plasma uscenti dalla struttura originale (Figura 4.6). Ulteriori
considerazioni verranno fatte nelle capitolo finale.
Capitolo 5
Conclusioni
Riassumiamo infine i risultati forniti dal presente lavoro. Durante la trattazione analitica ci siamo
sempre riferiti a strutture o a tubi di flusso come oggetto dell’analisi. Tali strutture possono essere
protuberanze nel caso della trattazione statica, in quanto abbiamo assunto che i campi magnetici
siano per lo più orizzontali, tipico di questo tipo di formazioni nell’atmosfera solare. Nel caso
dinamico, invece, ci si può riferire anche ad archi coronali. Un dato importante che è emerso sia
dai risultati di strutture stazionarie, sia dal modello dinamico riguarda l’andamento dell’energia
magnetica. Infatti in entrambe le condizioni si ha una crescita parabolica dell’energia, ovvero
U(r) ∼ r2 , per valori r < a, mentre in un intorno del valore medio a, l’energia cresce linearmente, ovvero U(r) ∼ r. Ipotizziamo che un andamento più rapido per piccoli valori di raggio,
ovvero in fase di formazione della struttura, garantisca una maggiore probabilità di formazione
di una struttura stabile, in quanto essa immagazzina energia più rapidamente. Tutte le strutture
prese in considerazione possiedono energia prevelentemente magnetica e, per la maggior parte di
queste, le energie calcolate presentano valori in accordo con osservazioni fatte di numerose eiezioni di massa dalla corona. Queste osservazioni rivelano che le eiezioni di massa dalla corona
possiedono un’energia rilasciata compresa tra 1021 J e 1026 J [7]. Data la compatibilità tra le osservazioni e le energie qui ottenute, ricordando che nel Sole la fenomenologia che causa le CME
è molto più complicata rispetto a quella qui trattata, possiamo concludere che le strutture che presentano un’energia interna libera, ovvero al netto di spese energetiche necessarie al mantenimento
dell’equilibrio (gravitazionale, cinetica, ecc...), appartenente all’intervallo sopra citato, possono
descrivere strutture che in fase di instabilità danno luogo a CME.
Gli effetti qui trattati, per strutture statiche, apportano maggiore stabilità alla struttura in quanto
ne aumentano l’energia interna. Ovviamente di ulteriori effetti ne esiste una vasta gamma, alcuni
possono aumentare l’energia interna, mentre altri possono portare ad instabilità e di conseguenza
all’eruzione della struttura. Una considerazione fatta in questo lavoro è che le strutture si trovino
isolate, ovvero senza altri tipi di strutture nelle vicinanze. Nel modello dinamico sono presenti
macchie solari, ma non altri tubi di flusso simili a quello in oggetto. Un’ulteriore evoluzione di
questo lavoro può consistere nella valutazione dell’evoluzione energetica in presenza di interazioni elettrodinamiche, causate da strutture simili attigue.
Infine il modello dinamico, ovvero quello descitto da Titov e Démoulin [11], ha prodotto un risultato cinematico interessante, ovvero la formazione di un secondo tubo di flusso contenuto in
quello principale, in cui il plasma presenta una forte accelerazione. Abbiamo concluso in merito a
ciò che, tale plasma accelerato, possa fuoriuscire, con molta probabilità, dalla cima della struttura,
proiettato lungo il piano xz, verso l’esterno solare, della terna cartesiana qui considerata. Tale
plasma essendo accelerato possiede una temperatura interna maggiore rispetto alle condizioni di
equilibrio. Come fenomeno opposto, notiamo dai grafici in Figura 4.5, che in opposizione alla regione di plasma accelerato, viene a formarsi una regione di plasma la cui velocità è molto minore
47
48
CAPITOLO 5. CONCLUSIONI
a quella iniziale e quindi con una temperatura più bassa. Concludiamo che tale comportamento
possa essere compatibile con l’eruzione di un arco solare e la conseguente eiezione di massa dalla
corona. Inoltre la formazione di un flusso di plasma accelerato è stato osservato in un particolare
evento che mostra evidenti tracce di riconnessione magnetica, a seguito di un brillamento solare
particolarmente intenso [12]. Per verificare se il modello qui analizzato è conforme a tale osservazione, occorre verificare se la dinamica in gioco prevede un avvicinamento dei piedi della struttura
e una conseguente riconnessione da parte delle linee di campo magnetico qui definito principale.
Noi qui ci siamo limitati a descrivere l’evoluzione energetica a seguito di fenomeni perturbativi
di varia entità. Concludiamo dicendo che il presente lavoro può essere approfondito sotto due
principali aspetti: il primo è lo studio di ulteriori fenomeni perturbativi e di come l’energia viene
a modificarsi in tali condizioni; il secondo è l’analsi più approfondita del modello dinamico, per
verificare se è in grado di descrivere le osservazioni fatte circa il ruolo della riconnessione magnetica nei brillamenti solari. Tali modelli, una volta approfonditi con ulteriori effetti perturbativi che
caratterizzano le regioni attive, possono essere applicati all’osservazione di strutture in formazione
nell’atmosfera solare, per prevedere se e come queste strutture danno luogo a CME. In tal modo è
possibile fornire una previsione per lo Space Weather e di come possa essere influenzato da queste
strutture ancora in fase di formazione. Questo è un aspetto molto importante che questo modello
vuole iniziare a descrivere, in quanto, maggiore è il tempo di preavviso e migliore è l’accuratezza
con cui vengono fornite le previsioni per lo Space Weather, tanto più tempestive possono essere le
contromisure per limitare i danni che queste tempeste solari possono causare alla vita sulla Terra.
Bibliografia
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