Viaggi di cultura – Siria antologia

Viaggi di cultura – Siria antologia
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Siria, antologia
[Manjusri Database Culturale, www.manjusri.it]
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Palmyra Tadmur (Siria)
Nel cuore del deserto stepposo della Siria, sulla strada che unisce Damasco all'Eufrate e, di qui, a
Baghdad. Poche località del Vicino Oriente Antico hanno il fascino clamoroso e scenografico di
Palmira. Il colore della pietra, in molti punti quasi intatta, viene esaltato dalla lucentezza dei colori
del deserto, dal rosso infuocato di tramonti eccezionalmente lunghi e romantici. Ed anche la strada,
che pure come una ferita di asfalto attraversa le rovine, non sollecita in definitiva il ricordo che
siamo davanti a una delle più grandi ed imponenti città carovaniere del mondo antico? La storia di
Palmira, come quella di tante città del mondo antico e moderno, è la vicenda stessa di un luogo che
in breve tempo raggiunse incredibile fortuna. E che in tempo ugualmente breve sprofondò nelle
sabbie dei deserto e dell'oblio.
CENNI STORICI
Sulla strada che conduceva ad Occidente fin dai tempi più remoti le carovane provenienti dalle pianure
dell'Eufrate e del Tigri o dagli altipiani della Persia, attraversavano il deserto siriano o lo costeggiavano
risalendo il corso dell'Eufrate. E' probabile che anche allora queste carovane usassero tanto le ricche
sorgenti di acqua sulfurea situate a mezza strada fra l'Eufrate e Damasco quanto l'oasi che le circonda,
come luogo di sosta sulla loro strada verso occidente. Accanto a una di queste sorgenti venne costruito
un tempio e, successivamente, deve essere anche nato un villaggio. Tadmur, come la Bibbia chiama
questo villaggio, prese più tardi il nome di Palmira, fu il centro della tribù che possedeva l'oasi:
dovevano avvenire molti ed importanti eventi perché il semplice villaggio del mondo antico si
trasformasse, in un certo momento della sua storia, in potentissima città carovaniera. Per tutto il
periodo pre-ellenistico le informazioni concernenti Palmira sono nulle. Nel 280, un generale di Seleuco,
di nome Nicator, diede inizio alla costruzioni di piccole colonie di soldati in prossimità del corso
dell'Eufrate. Erano gli anni in cui l'impero dei Seleucidi, successori di Alessandro Magno in Siria,
controllavano l'Iran e l'altopiano anatolico. Dalla loro capitale Seleucia, posta sulle rive del Tigri,
avevano la necessità di proteggere le rotte carovaniere che portavano all'unico grande porto del
Mediterraneo da loro controllato: Antiochia. Si spiega così lo sforzo di insediare piccoli avamposti
militari sul corso dell'Eufrate con compiti di difesa militare e di colonizzazione in un'area in cui, fino a
quel momento, erano stati padroni assoluti i predoni e i nomadi del deserto.
Ma le rotte carovaniere di quel tempo non potevano attraversare il deserto della Siria e dirigersi su
Damasco e Homs: la Fenicia era infatti controllata dai rivali d'Egitto, i Tolomei, che ne amministravano
tutti i porti. E così i traffici dei Seleucidi seguirono per tutta la fine del 111 secolo rotte più
settentrionali che dall'Eufrate portavano fino ad Aleppo e poi, da qui, ad Antiochia. E' probabile che le
conquiste della Palestina e della Fenicia a danno dei Tolomei operate da Antioco III abbiano in qualche
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modo contribuito a sollevare la situazione per Damasco ed Homs, ma non è dato sapere se il piccolo
villaggio di Palmira ne avesse tratto fin da questa data un certo giovamento.
L'orizzonte politico e militare dei Vicino Oriente Antico era però alla vigilia di importantissimi
cambiamenti. Nell'altopiano iranico si ebbe la ripresa della potenza persiana sotto il regno dei Parti. Fu
un'espansione impressionante e forse tuttora poco conosciuta dalla tradizione storica occidentale
abituata dalle fonti greche e romane a individuare nei Parti un rivale. E' probabile però che una
potenza come quella Partica che seppe unificare in un solo impero l'attuale Iran, Afganistan, il Pakistan
fino al corso dell'Indo e parte degli attuali territori dell'Uzbekistan e Turkmenistan fosse un impero retto
da un'aristocrazia al tempo stesso potente e raffinata. Invano i Seleucidi, certamente indeboliti dalla
perenne conflittualità con i Tolomei, cercarono di fermare l'avanzata verso occidente della Parti.
Nonostante le spedizioni di Antioco 111 e Antioco IV la Mesopotamia cadde progressivamente sotto il
controllo dei Parti. Nel 140-130 era ormai saldamente in mano persiana e lo sarebbe rimasta per molti
secoli.
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Per la prima volta, dopo molti secoli, il deserto della Siria e il corso dell'Eufrate diventarono il confine
militare di due impero, quello seleucide e quello partico, in perenne conflitto. Da una parte i Seleucidi
cercavano di resistere all'espansione partica che li avrebbe definitivamente estromessi dalla scena
politica, dall'altra i Parti inseguirono il progetto di raggiungere, come già gli imperatori persiani dei
secoli precedenti, le coste del Mediterraneo. E' probabile che in questa situazione di conflitto nessuna
città posta sul confine potesse sperare in stabilità politica e in un certo successo commerciale. E quindi
è possibile dedurre che anche per il piccolo villaggio di Palmira il II secolo, sebbene vedesse
incrementare i traffici commerciali, non sia stato un periodo particolarmente fortunato.
La storia degli anni che seguirono avrebbe visto il definitivo trionfo partico in Siria e in Mesopotamia e
l'unificazione del Vicino Oriente sotto i Parti se altri sconvolgenti avvenimenti nel Mediterraneo
occidentale non avessero schiuso le porte ad una nuova era. Il crescere della potenza romana nel bacino
orientale del Mediterraneo fu segnato da una progressione impressionante. Dopo la Grecia cadde in
mano romana il regno di Mitridate, sulle rive del Mar Nero. Arrestata l'avanzata partica in Asia Minore
e distrutte con Pompeo le flotte di pirati che rendevano pericolosi i commerci, i romani fecero propria la
politica seleucide di ellenizzazione del Vicino Oriente. La prima tappa fu la annessione della Siria da
parte di Pompeo e le successive guerre contro i Parti che portarono alla ben nota sconfitta di Crasso.
L'espandersi della potenza romana aveva così raggiunto confini che sarebbe durati a lungo. Tra le città
della Siria e la frontiera partica c'era un grande vuoto, il deserto siriano, dove intraprendenti
commercianti, a proprio rischio e pericolo, tenevano aperta una rotta commerciale di grande
importanza economica. E' probabile che proprio in questi anni la potenza di Palmira abbia cominciato a
crescere e che nel deserto siriano si siano cominciate ad accumulare una prima parte delle immense
fortune economiche che resero questa città famosa nel mondo antico. Ma tutto questo non era ancora
sufficiente. Per tutto il primo secolo i due contendenti, Romani e Parti, non accettarono la situazione
determinata dalla rispettiva forza militare. Gli uni cercarono di assoggettare la Mesopotamia, mentre gli
altri tentarono a più riprese di invadere la Siria.
Fu merito del realismo di Augusto l'avere compreso che nessuno dei due contendenti sarebbe mai
riuscito ad avere la meglio sull'altro. Scambiati i prigionieri e rese le insegne militari conquistate,
ognuna delle due parti parve accettare finalmente lo status quo. La frontiera dell'Impero era così fissata:
le città della Siria venivano definitivamente poste sotto il controllo romano, quelle della Mesopotamia
si inserivano definitivamente nell'orbita partica. In mezzo, nel deserto della Siria, si affermò una città
che non era né con Roma né con i Parti e la cui neutralità era, di fatto, utile ad entrambi i contendenti.
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Fu così che Palmira divenne l'importante città carovaniera che i resti archeologia testimoniano con
grande evidenza. E sebbene nessun documento scritto autorizza ad affermarlo è molto probabile che
entrambe le potenze si rendessero garanti, verso la città, della sua indipendenza economica e militare.
Che la città potesse pertanto contare sull'aiuto romano in chiave antipartica, e sull'aiuto partico in
chiave antiromana.
Fu questa intesa a trasfomare Palmira con incredibile rapidità in una delle più ricche, più lussuose e più
eleganti città della Siria. Il piccolo villaggio di Tadmur già ai tempi di Tiberio in tempi quindi
relativamente brevi era uno dei più importanti santuari della Siria e poteva gareggiare in splendore con
qualunque altro tempio allora esistente. Né, si dimentichi, che la Siria era allora una delle più ricche
province di tutto l'Impero.
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La strada carovaniera che attraversava Tadmur divenne a Palmira una delle più grandiose vie che si
potessero trovare nella Siria romana. Centinaia di colonne la fiancheggiavano; i tetrapili la
suddividevano, la intersecavano strade e i balconi si aprivano su di essa. La terra situata accanto alle
sorgenti a cui sostavano le carovane fu strappata al deserto, adornata di belle costruzioni e trasformata
nell'attivo centro intorno a cui si sviluppò la vita commerciale e civile della città.
E' noto che la politica di pace e tranquillità nel Vicino Oriente, adottata da Augusto e dai suoi
successori, subì un cambiamento sul principio del Il secolo d. C. Sotto Traiano venne abbandonata
volutamente la politica augustea di transazioni e accomodamenti in Oriente e si passò dalla diplomazia
alla strategia e alle guerre di conquista in luogo di negoziati e trattati. In questo Traiano seguì le orme
di Cesare e di Antonio poiché, come loro, egli era probabilmente convinto della possibilità di
conquistare la Partia affinché l'intero mondo civile potesse di nuovo divenire un regno unico come lo
era stato sotto Alessandro il Grande. Traiano riuscì per un certo tempo a strappare la Mesopotamia alla
Partia e trasformarla in una provincia romana. Sappiamo che, nella loro marcia verso il Sud lungo il
Tigri e l'Eufrate, i due eserciti trovarono poca resistenza dai parti.
Ma le conquiste di Traiano non potevano esser viste di buon occhio dalle genti di Palmira. Una
occupazione permanente della Mesopotamia per opera di Roma non presagiva nulla di buono per
Palmira, visto che il suo ufficio di mediatrice fra la Partia e Roma sarebbe presto giunto al suo termine
e con esso il periodo di ricchezza e di indipendenza. Le si prospettava la probabilità di divenire nulla
più che una città provinciale romana, impoverita forse da una lotta senza speranza con le città
carovaniere più antiche della regione. La politica di Traiano minacciava di vibrare un vero colpo
mortale a Palmira.
Fu un timore che gli eventi si incaricarono di allontanare. Le continue rivolte scoppiate in Mesopotamia
resero impossibile una reale conquista della Partia. Alla morte dell'imperatore Adriano, suo successore,
tornò alla politica di Augusto nel Vicino Oriente. Ne risultò che prima la Mesopotamia e poi Dura
vennero restituite alla Partia e l'ansia di Palmira ebbe tregua. Adriano fu in questo modo il nuovo
fondatore di Palmira; e i cittadini, apprezzando subito il suo atto, si dissero a giusta ragione « palmireni
di Adriano ». Non è noto con certezza quale fosse la politica di Adriano verso di loro, ma sappiamo che
ai suoi giorni Palmira non era una comune città provinciale romana, ma conservava una forte
autonomia. Le tasse doganali erano fissate e riscosse non da un procuratore romano, ma dal consiglio
della città stessa che forse stava sotto il controllo di un commissario romano. Ma malgrado il liberale
trattamento di Adriano, Palmira allacciò relazioni sempre più strette con l'Occidente. Si fece più greca
di quanto lo fosse stata prima, la sua costituzione fu fortemente ellenizzata, e per la prima volta nella
sua storia molti dei suoi cittadini presero la cittadinanza romana e aggiunsero ai loro nomi semitici
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nomi gentilizi romani (come Ulpius, Aelius, ecc.). Forse sotto il governo d'Adriano, o poco più tardi
sotto Marco Aurelio, Palmira fu per la prima volta occupata da una guarnigione romana, e ciò è
provato da parecchie iscrizioni trovate nel sito del campo militare romano che si trovava nel II secolo d.
C. accanto al più grande tempio palmireno.
Palmira godette un periodo di prosperità considerevole durante i regni di Adriano e dei suoi immediati
successori, fino allo scoppiare delle guerre civili del III secolo d. C. La maggior parte degli importanti
edifici della città furono eretti in quel tempo, e il maggior numero di tombe monumentali fu innalzato
durante il II secolo d.-C., benché molte delle più importanti siano un poco anteriori. La maggior parte
delle grandi colonne che limitano le magnifiche strade furono innalzate in questo periodo e fu
probabilmente allora che i territori di Palmira divennero veramente estesi. Da questi territori
provenivano le divisioni dei suoi migliori arcieri a cavallo, di cui essa poté fornire l'esercito romano,
divisioni che in seguito vediamo sparse per tutto l'impero romano. Anche più significativo è il grande
sviluppo del commercio palminervio in questa epoca; i suoi mercanti non si accontentavano più di
servire semplicemente da mediatori fra la Partia e le città commerciali della Siria, ora essi mandavano
carovane su carovane a tutte le più importanti città commerciali della Partia, e possedevano agenti o,
più precisamente, colonie commerciali a Babilonia, Vologesia e Spasinu Charax. In Occidente i
palmireni andavano ora oltre Damasco e le città fenice, stabilendo le loro agenzie commerciali molto al
di là dei limiti dell'Oriente. Abbiamo loro notizie sulle sponde del Danubio, nella lontana Dacia, in
Gallia e in Spagna, come in Egitto e a Roma. Là nella capitale del mondo, possedevano i loro propri
templi, dedicati alle loro deità, adorni di altari e statue.
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Questo sviluppo del commercio di Palmira, le relazioni commerciali che giungevano così lontano, e la
concentrazione di vasti interessi finanziari nella città, spiegano ciò che a prima vista può parere strano,
ossia i suoi stretti rapporti con Petra. Perché non solo alcune carovane della Partia, dirette a Petra e in
Egitto, passavano attraverso Palmira (invece di attraversare il deserto dalla Mesopotamia meridionale
dritto per Bosra), ma anche le carovane di Petra, recanti mercanzie dell'Arabia meridionale destinate ai
porti fenici, prendevano abitualmente la via di Palmira invece che quella di Damasco, il che prova che
Palmira non era soltanto una città carovaniera, ma anche un importante centro bancario e finanziario
per le carovane.
Gli sforzi spasmodici dei successori di Adriano per ritornare alla politica di Traiano e sfruttare le
difficoltà che travagliavano il regno partico, furono soltanto episodi della storia posteriore di Palmira. Il
regno partico era ora alla vigilia del suo declino, il suo scettro stava per passare nelle mani d'un'altra
dinastia, la sassanide. La prima campagna contro la Partia, dopo la morte di Traiano, fu diretta da Lucio
Vero fratello di Marco Aurelio e dovette il suo pieno successo all'abilità di Avidio Cassio che più tardi
fu un pretendente sfortunato all'impero.
La guerra condusse alla sottomissione della Mesopotamia settentrionale e con essa cadde anche Dura.
Nel 165 d. C. questo avamposto cessò d'essere un forte partico e venne occupato da una guarnigione
romana. Questo cambiamento di nazionalità non influì su Dura, perché essa rimase ancora una città
carovaniera. Ma è probabile che da allora le guerre frequenti sull'Eufrate volgessero un numero
considerevole di carovane verso altre strade; per esempio, dalle città carovaniere partiche direttamente
te attraverso il deserto, e non risalendo l'Eufrate, per raggiungere Palmira.
Dal tempo di Settimio Severo diviene tradizionale una politica di conquista sull'Eufrate. Severo, mezzo
semita lui stesso, fu il fondatore d'una dinastia semitica. Nella politica dei suoi successori, Caracalla,
Eliogabalo e Alessandro Severo, parecchie abili donne ebbero parte importante. E fra queste
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specialmente Giulia Domna, moglie di Severo, e le altre donne della famiglia, Giulia Mesa, Giulia
Mammea e Giulia Soaemiade, tutte semite ellenizzate, educate secondo le tradizioni seleucidi.
Sognavano un impero romano con una capitale orientale che fosse una rinascita dell'impero greco di
Alessandro il Grande. La conquista della Partia divenne la loro mira, ma benché la Partia fosse in
agonia, né Severo né la sua dinastia riuscirono a conquistarla. Si era in un vicolo cieco proprio come
sotto Marco Aurelio; Roma conservava soltanto la Mesopotamia settentrionale. Malgrado ogni sforzo
possibile i Severi furono incapaci di aggiungere la Mesopotamia meridionale all'elenco delle loro
conquiste, e dopo la morte di Settimio Severo la sua politica andò incontro a una serie di disastri. Il suo
erede, Caracalla, fu assassinato dai propri soldati durante una campagna contro i parti, e Alessandro
Severo sfuggì per miracolo dalle mani di Ardashir, il primo re sassanide.
A Palmira il periodo del governo severiano fu periodo di grandi cambiamenti e innovazioni. Pare che
questa dinastia mezzo semitica abbia amato i palmireni e abbia avuto fiducia in loro, perché parecchi di
essi furono ammessi in quel tempo ai ranghi dell'aristocrazia romana, e un numero anche maggiore
quasi tutta l'aristocrazia di Palmira prese, la cittadinanza romana. Il nome di Septimius e quello di suo
figlio Caracalla-Aurelius divennero componenti dei nomi portati dai palmireni cittadini romani. A
questi due nomi era spesso aggiunto quello di Tulius, nome della moglie di Settimio e della madre di
Caracalla. A Palmira, insieme a Dura e ad altre città siriane, fu concesso il titolo di colonia romana, ma
ciò non la ridusse al livello di una città provinciale ed essa conservò sempre buona parte della sua
libertà e della sua autonomia.
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Nonostante i loro nomi romani i cittadini di Palmira rimasero immutati. Conservarono ancora la loro
speciale forma di governo, e pare che l'unico cambiamento che arrecò la politica di Settimio Severo
fosse di avvicinarli maggiormente a Roma e portarli in più stretto contatto con la dinastia regnante.
Vediamo lo stesso fenomeno apparire nella vita militare. Dell'organizzazione militare di Palmira nei
primi tempi dell'impero poco ci è noto. E tuttavia molto improbabile che nel 1 secolo d. C. essa fosse
occupata da una guarnigione romana. Una simile guarnigione non appare prima del tempo di Traiano;
e anche in quel tempo Palmira aveva certamente entro le mura la propria polizia che s'occupava della
sicurezza delle carovane e della manutenzione dei suoi caravanserragli (catalymata) e dei pozzi
(hydreumata) sulle strade carovaniere che partivano dal suo territorio.
Non sappiamo nulla di questa polizia, ma possiamo supporre che normalmente la sicurezza delle
carovane fosse affidata ai suoi capi, i sinodiarchi, i cittadini più ricchi e più in vista di Palmira. Ognuno
di essi aveva certamente a sua disposizione una forza armata che consisteva probabilmente di arcieri
montati su cammelli e cavalli. Sfortunatamente ignoriamo se le scorte militari delle carovane arruolate
o assoldate dalla città facessero parte d'un corpo di milizia palmirena o fossero costituite da mercenari
arruolati volta per volta dal capo e dai membri della carovana. Era necessaria una forza permanente per
la sicurezza delle strade, dei pozzi, delle stazioni carovaniere. Tutti sanno che cosa significhi un pozzo
per la vita delle carovane e dei beduini del deserto. E' certo che i nabatei organizzarono una simile
protezione sulle strade carovaniere che dipendevano da loro, e che, tolte queste strade dai romani ai
nabatei, le strade carovaniere romane vennero vigilate da una serie di campi fortificati di maggiore o
minore grandezza. Non v'è dubbio, quindi, che vi fosse la stessa protezione per le strade carovaniere
palmirene ed è più che probabile che dentro il territorio palmireno le strade fossero vigilate da una
milizia palmirena: il cui principale comandante era il più alto magistrato di Palmira lo stratega. In
tempo di guerra, allorché la sicurezza tanto della città che delle strade carovaniere era insidiata dal
turbolento atteggiamento dei nomadi del deserto, la città, col consenso del governo romano o per
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iniziativa di questo, eleggeva un magistrato speciale, una specie di comandante in capo delle forze
armate di Palmira e lo lasciava agire quale dittatore militare.
E' strano trovare che sotto Caracalla o Alessandro Severo una ventesima coorte palmirena era
acquartierata a Dura. Cumont ne ha dedotto che in quel tempo fosse permesso a Palmira dal governo
romano avere un proprio esercito regolare speciale di circa venti coorti, vale a dire di almeno diecimila
uomini, soldati palmireni comandati da ufficiali romani. Ma la teoria che Palmira possedesse un
esercito indipendente, per quanto possa essere attraente, non convince. Pare più probabile che, dopo i
giorni di Settimio Severo o Caracalla, Palmira, che ricevette da uno di questi imperatori il titolo e i
diritti di colonia romana, non fornisse più all'esercito romano divisioni di cavalleria irregolari, come
aveva fatto prima, ma fornisse reggimenti misti o coorti come facevano le altre parti dell'impero
romano.
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L'organizzazione autonoma di Palmira e la sua forza militare indipendente spiegano la parte che essa
ebbe nella seconda metà del 111 secolo d. C. In Oriente questa agitazione minacciò Roma non solo della
perdita della Mesopotamia, ma anche di quella della Siria. Il nuovo potere sassanide in Persia era più
forte e più vitale della monarchia partica degli Arsacidi, e gli attacchi contro l'impero romano si fecero
sempre più frequenti ed energici proprio nel momento in cui la struttura dello stato era minata da
sanguinose guerre civili. Gli imperatori, dopo Alessandro Severo, così assorti nel loro sforzo di porre
fine a questa disgregazione, erano obbligati a chiudere un occhio sul potere che veniva acquistando la
città-stato autonoma di Palmira. Essi fingevano di ignorare non solo lo sviluppo dell'esercito di Palmira,
ma anche il fatto che una delle sue principali famiglie diventava a poco a poco la famiglia dominante
trasformandosi in piccola dinastia principessa. Dei resto un'evoluzione di questo genere non era insolita
in Siria.
Poco oltre la metà del 111 secolo avvenne un grande attacco persiano, diretto dal re Shapur. Shapur
s'impadronì di tutta la Siria e avanzò fino ad Antiochia. Durante quest'invasione Dura Europos fu presa
e per qualche tempo occupata dai persiani. Fra le migliaia di monete rinvenute nelle rovine di Dura
nessuna va oltre il 256 d. C. Valeriano organizzò una campagna per salvare il Vicino Oriente e allorché
essa finì disastrosamente con la sua cattura nel 260 a Edessa, Odenath, che di fatto era il re di Palmira,
benché senza corona, diede principio, quale alleato dell'impero romano, ad una guerra contro i persiani
e altri nemici di Gallieno, il successore di Valeriano; guerra che durò otto anni coronata ripetutamente
dalla buona fortuna. Non è strano, quindi, che simili vittorie avessero tentato Odenath a considerarsi
successore degli Arsacidi. Egli assunse prima il titolo di Re dei Re, poi un altro titolo interpretato in vari
modi, o « Restitutor totius Orientis » (titolo puramente onorifico portato prima di lui soltanto dagli
imperatori romani), o « Corrector totius Orientis », che potrebbe rappresentare una carica a noi
sconosciuta. Odenath, Re dei Re di tipo iranico, e alter ego riconosciuto, se non possibile rivale,
dell'imperatore romano in Oriente, trascorse la massima parte del suo regno fuori di Palmira
combattendo contro i persiani. A Palmira venne rappresentato durante la sua assenza (dal 262 d. C. al
268) da un membro dell'aristocrazia palmirena - un nobiluomo mezzo iranico e mezzo romano
Julius Aurelius Septimius Vorodes. Il titolo portato da costui a Palmira è interessantissimo. Egli era
procurator (governatore) e iuridicus (giudice) secondo la terminologia romana, e argapetes (governatore
militare) secondo quella iranica. In nessun luogo appare con tanta evidenza il duplice carattere di
Palmira, la doppia faccia che sempre essa mostrò -iranica da una parte, romana dall'altra- come nei
suddetti titoli di Odenath e del suo rappresentante a Palmira.
Gli anni che seguirono segnarono l'apice dell'ambizione politica dei governanti di Palmira ed il termine
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definitivo della sua prosperità. Le tendenze indipendentiste che già si erano delineate nei secoli
precedenti raggiunsero l'apice sotto il governo di Vaballath, figlio di Odenath; ed ancor più sotto la
reggenza di sua madre Bat Zadbai, più famosa sotto il nome di Zenobia. Fu in quegli anni che venne
definitivamente consumata la rottura con l'Impero romano. Vaballath cercò di fare nascere un proprio
impero che comprendesse la Siria, l'Egitto e l'Asia minore. Le gesta di Zenobia, affascinante e
spregiudicata signora di Palmira, hanno raggiunto una rinomanza mondiale e vengono continuamente
ricordate dalle guide che conducono turisti sulle rovine di Palmira. Come il commercio carovaniero
aveva causato per primo lo sviluppo di Palmira; fu lo stesso commercio a creare uno stato carovaniero
e un'imperatrice carovaniera. Fin troppo naturalmente l'Egitto divenne parte di questo organismo
commerciale, poiché l'Egitto s'era già trovato nella zona di influenza commerciale di Palmira per un
tempo considerevole. Come è noto il regno carovaniero di Zenobia durò ben poco. Ripresosi dalle gravi
crisi interne l'impero romano sferrò l'offensiva finale contro la città che aveva osato sfidarlo. Dopo un
lungo assedio non privo di coloriti episodi Aureliano riuscì a impadronirsi di Palmira, distruggerla e
obbligare Zenobia, la regina carovaniera, a figurare nel suo trionfo.
Dopo la vittoria di Aureliano su Zenobia e la repressione per opera dello stesso imperatore della
susseguente rivolta di Palmira, il declino della città carovaniera era oramai inevitabilmente segnato. Il
circostante deserto della Siria rimase una terra senza padrone fra l'impero romano e quello persiano.
Allorché il commercio carovaniero rivisse nuovamente in mani arabe essa venne lasciata da parte. Alle
vicende mutevoli di questo commercio Palmira dovette prima il suo splendore, poi la sua rovina.
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