da Samuel Taylor Coleridge (1772 – 1834)
LA BALLATA DEL VECCHIO MARINAIO (PARTE II)
Il sole ora sorgeva alto ad oriente:
dal mare si levava,
ancora avvolto nella foschia, e a occidente
scendeva a picco sul mare.
E il buon vento del sud soffiava ancora in poppa,
ma l'albatro non ci seguiva,
né venne un giorno al richiamo
dei marinai al cibo o al gioco!
Avevo fatto una cosa infernale,
che avrebbe portato loro disgrazia:
ché tutti affermavano che avevo ucciso l'uccello
che faceva soffiare la brezza.
Ah, disgraziato! dicevano, che hai trucidato l'uccello,
che faceva soffiare la brezza!
Né fosco, né rosso, come il capo stesso d'Iddio,
il sole sorse glorioso:
allora tutti affermarono che avevo ucciso l'uccello
che portava bruma e foschia.
E' stato giusto, dissero, uccidere tale uccello,
che porta bruma e foschia.
Soffiava chiara brezza, la schiuma scorreva bianca,
la scia seguiva libera;
fummo i primi che irrompemmo
in quel mare silenzioso.
La brezza cessò, si abbassarono le vele,
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la tristezza fu al culmine;
prendemmo a parlare solo per infrangere
il silenzio del mare!
In un cielo di rame arroventato,
il sole dannato, a mezzogiorno,
in picco splendeva sopra l'albero,
non più grande della luna.
Giorno dopo giorno, dopo giorno e dopo giorno,
fermi restammo, non un soffio né un movimento;
immobili come una nave dipinta
sopra un oceano dipinto.
Acqua, acqua ovunque,
e tutte le assi si contraevano;
acqua, acqua ovunque,
e non una goccia da bere.
Perfino il mare marciva: o Cristo!
Che dovesse accaderci una tale cosa!
Sì, limacciosi animali strisciavano
sul limaccioso mare.
Tutt'attorno, con ridda vorticosa
i fuochi fatui danzavano nella notte;
l'acqua, come olio stregato,
ardeva verde, bianca e blu.
E alcuni assicurarono che apparve in sogno
lo spirito che tanto ci piagava;
ci aveva seguito a nove braccia di profondità
dalla terra della foschia e neve.
E ogni lingua per la sete estrema
deperì alla radice;
non potevamo parlare, come fossimo
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stati ingozzati di fuliggine.
Ah! Ahimè! Che truci sguardi
su di me da vecchi e giovani!
Non la croce, l'albatro
appeso era al mio collo.
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KUBLA KHAN
In Xanadu Kubla Khan
decretò, signorile, una dimora di svaghi:
dove l'Alfea, il sacro fiume, scorreva
per caverne smisurate all'uomo
verso oscuro mare.
Così per ben due volte cinque miglia di terreno fertile
furono cinte con mura e torri.
E c'erano giardini luminosi con ruscelli sinuosi,
dove fiorivano molti alberi d'incenso;
e qui erano foreste antiche come i colli,
che avviluppano verdi radure soleggiate.
Ma oh! Quel profondo romantico precipizio che s'inclinava
giù per la collina attraverso un boschetto di cedri!
Un luogo selvaggio! Più che mai incantato e
sacro, sotto luna calante era frequentato
da una donna che geme per il suo amante infedele!
E da tale precipizio, ribollente di tumulto incessante,
come se questa terra ansimasse affannosamente,
una potente sorgente si sprigionava ininterrottamente;
in mezzo al cui scroscio rapido semi sospeso
grossi frammenti volteggiavano come grandine che rimbalza,
o com'erano con la pula sotto il bastone del trebbiatore:
e fra queste pietre danzanti d'improvviso
scorreva il sacro fiume ininterrotto.
Per cinque miglia serpeggiando con moto sinuoso.
Scorreva il sacro fiume per la foresta e la vallata,
poi raggiungeva caverne smisurate all'uomo,
e sprofondava tumultuoso in un oceano esanime:
e fra questi tumulti Kubla udì di lontano
voci ancestrali proclamare guerra!
L'ombra del palazzo di svaghi
fluttuava sulle onde a mezza via;
dove si udì il ritmo confuso
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dalla sorgente e caverne.
Era un miracolo di rara creazione,
un solatio palazzo di svaghi con caverne di ghiaccio!
Una fanciulla con un salterio
vidi in una visione:
era una vergine abissina,
e suonava il suo salterio
cantando il monte Amara.
Potrei in me resuscitare
la sua sinfonia e canto,
da tal profondo piacere sarei disarmato,
ché con musica alta e lunga,
edificherei quel palazzo in aria,
quel palazzo solatio!quelle caverne di ghiaccio!
E chiunque udì dovrebbe lì vederli,
e chiunque gridare attenti!, attenti!
Gli occhi lampeggianti e la chioma fluente!
Tessi un cerchio a lui attorno tre volte,
e chiudi gli occhi con sacro timore,
ché lui si nutrì con rugiada di miele
e bevve il latte del paradiso.