Descrizione dell`identità ebraica da Miro Silvera

L’identità ebraica nei romanzi di Miro Silvera
Esmeralda Postma
3487105
Scriptie Bachelor Italiaans
Periode 2, studiejaar 2014-2015
Indice
Introduzione ................................................................................................................ 4
Descrizione dell’identità ebraica da parte degli storici ................................................ 5
Sofferenza ............................................................................................................... 5
Successo ................................................................................................................. 8
Elementi importanti dell’identità ebraica .................................................................. 9
Narrazione ............................................................................................................. 10
Miro Silvera ............................................................................................................... 12
Descrizione dell’identità ebraica da Miro Silvera ...................................................... 14
Descrizione generale dell’identità del popolo ebraico............................................ 14
Persecuzioni .......................................................................................................... 15
Elementi religiosi ................................................................................................... 17
Rapporto tra gli ebrei e le parole ........................................................................... 17
Cambiamenti nell’identità ebraica.......................................................................... 19
Conclusione .............................................................................................................. 21
Bibliografia ................................................................................................................ 22
2
“Ricorda: il mondo non si fa con le immagini, ma con le parole.
Iddio creò con le parole. Prima di tutto, le parole. Ecco perché i
libri non moriranno mai. Né coloro che li hanno scritti.”1
1
M. Silvera. Il prigioniero di Aleppo. Milano: Frassinelli, 1996. p. 172
3
Introduzione
Miro Silvera è un vero narratore: i suoi romanzi contengono sia le piccole storie di
diverse persone (per esempio nei ‘Margini d’amore’), sia le storie delle persone che il
protagonista incontra durante i suoi viaggi (per esempio nel ‘Prigioniero di Aleppo’,
‘Passeggero occidentale’, ‘Senso del dubbio’, o ne ‘L’ebreo narrante’.) Leggendo i
romanzi, notavo che l’Ebraismo aveva un ruolo importante: i protagonisti erano di
origine ebraica e cercavano (o forse è meglio dire: trovavano) le storie -incontrando
altre persone-, per conoscere meglio se stessi e la propria cultura.
Silvera dà molte informazioni sull’identità ebraica, usando le esperienze dei suoi
personaggi.
Descrive la storia del popolo ebraico, le conseguenze dello sviluppo della storia per
l’identità ebraica, e spiega che cosa vuole dire ‘essere ebreo’, quali sono gli elementi
importanti della cultura ebraica.
La domanda principale è ‘in quale misura la descrizione dell’identità ebraica di Miro
Silvera corrisponde alla descrizione che gli storici danno’?
Ho cominciato ad indagare la storia del popolo ebraico e gli elementi importanti della
cultura, dal punto di visto storico.
Poi, ho inventariato tutto quello che Silvera dice della storia e della cultura, e ho
confrontato i risultati dello studio e dell’inventario.
Durante quest’indagine ho dovuto scegliere (in considerazione dell’estensione del
lavoro) quali aspetti meritavano più attenzione, la conseguenza è che ho dovuto
mettere in ombra alcuni soggetti interessanti.
Una piccola rassegna di questi:
- Perché piangono gli ebrei la destruzione del Secondo Tempio fino ad oggi?
- Che cosa vuole dire ‘essere in lutto’ per un ebreo?
- In quale misura si influenzavano reciprocamenti le comunità ebraiche nel
campo linguistico?
- Quanto importante è il ritorno ad Israele per gli ebrei contemporanei?
- È possibile essere (e sentirsi) ebreo senza avere alcuna cognizione della
religione ebraica?
Accenno brevemente queste domande, perché hanno importanza per l’indagine
sull’identità ebraica, ma per risponderle bene, si ha bisogno di un esame più
approfondito.
4
Descrizione dell’identità ebraica da parte degli storici
Per ricercare quali sono gli aspetti dell’identità ebraica, e per spiegare la cultura degli
ebrei, è necessario avere conoscenza della storia del giudaismo.
Il problema è che il giudaismo non rientra nelle categorie dell’identità: il giudaismo
non è nazionale, non è genealogico, non è religioso, ma fra tutti questi elementi
esiste una costante tensione dialettica.2
Il popolo ebraico, nonostante le grandi differenze, forma una comunità; ha le
esperienze condivise e persiste nelle circostanze più difficili. È possibile che questa
persistenza ha contribuito all’impressione di essere un popolo speciale, un popolo
eletto.3
Sofferenza
La storia degli ebrei è caratterizzata dall’ambiguità: da una parte la sofferenza
terribile (basata sull’antisemitismo), dall’altra la vittoria e il successo.
La parola antisemitismo si può definire come ‘la paura o l’odio irrazionale per i
giudei’4, e i motivi per fargli del male, erano diversi. Le persecuzioni premoderne
erano religiose, ma gli storici hanno trovato anche qualche motivo economico e
politico: le persecuzioni portavano molti benefici.
Le persecuzioni moderne erano motivate dalle ragioni politiche ed economiche: gli
ebrei detenevano il potere e per ciò erano arroganti e dominanti. Non esisteva
un’altra difesa contro la loro astuzia malevola che spazzarli via.5
Schweitzer spiega che la paura e l’odio per i giudei derivano da diversi pregiudizi, e
questi pregiudizi erano una motivazione per provocare la violenza contro gli ebrei.
Si accusavano gli ebrei di deicidio; gli ebrei erano ‘Christ-killers’, gli agenti di Satana,
i cospiratori eterni che desideravano di avere il dominio del mondo e volevano
distruggere il cristianesimo.
Si descrivevano gli ebrei come sfruttatori avidi, colpevoli di orribili saccheggi
economici.
Un’altro pregiudizio era gli ebrei (quei ‘alieni’ e ‘stranieri’) come profanatori razziali e
inquinatori della nazione. Erano, inoltre, i portatori di malattie e della peste; gli
avvelenatori dell’aria, del cibo, del vino e dell’acqua. Altre ragioni per provocare
violenza contro gli ebrei era l'accusa di omicidio rituale e la profanazione dell’ostia.6
La storia degli ebrei è caratterizzata dalla violenza, dalle persecuzioni, dalla diaspora.
Soprattutto la diaspora è stata importante per lo sviluppo dell’identità ebraica.
2
D. Boyarin, J. Boyarin. Diaspora: Generation and the Ground of Jewish Identity. Chicago Press Critical Inquiry, Vol. 19, No. 4
(Summer, 1993), pp. 693-725, P. 721 (http://nes.berkeley.edu/Web_Boyarin/BoyarinArticles/69%20Diaspora%20(1993).pdf )
3
H. Küng. Het Jodendom. Wezen, geschiedenis en toekomst. Utrecht: Ten Have, 2010. P. 50
4
F. Schweitzer, ‘Persecution of Diaspora Jews. History of Jewish Persecution and expulsion.’ Encyclopedia of the Jewish
diaspora. Origins, Experiences, and culture. Themes and Phenomena of the Jewish diaspora, a cura di M. Avrum Ehrlich. S.l.
ABC-CLIO, LLC, 2009. p. 95
5
R. M. Seltzer. ‘History of Jews as a Minority’ Encyclopedia of the Jewish diaspora. Origins, Experiences, and culture. Themes
and Phenomena of the Jewish diaspora, a cura di M. Avrum Ehrlich. S.l. ABC-CLIO, LLC, 2009. p. 76
6
Schweitzer, 95
5
Il termine ‘diaspora’ vuole dire
“dispersione di un popolo nel mondo, dopo l’abbandono dei luoghi d’origine; in
particolare, la dispersione degli ebrei nel mondo antico”.7
È generalmente accettato che la diaspora ebraica iniziò intorno al VIII-VI secolo a.C.
Nel 927 il regno d’Israele è diviso in due parti: al Nord il Regno d’Israele -che era
grande e ben organizzato-, e il Regno di Giudea che era più piccolo e isolato. Questi
due sono stati invasi prima dagli Assiri e poi dai Babilonesi. La venuta degli Assiri
segnò la fine del Regno del Nord: il ceto alto è stato deportato e disperso. Il Regno di
Giudea ha reclamato il nome ‘Israele’, ma circa 150 anni dopo (nel 587-586) ha
subìto lo stesso destino, ma questa volta per mano dei Babilonesi. Questi hanno
distrutto Gerusalemme, e hanno mandato gli abitanti in esilio in Babilonia.
Questi avvenimenti erano l’inizio della diaspora; Israele vive, da quel momento, in
tensione con la patria e la dispersione.8 In Babilonia è permesso agli ebrei di vivere
in piccole comunità, per cui una ripresa religiosa era possibile.
“La Circoncisione (tra i Babilonesi non era un’usanza comune), il comandamento
dello shabbat, le regole di purezza e le regole alimentari, e probabilmente anche le
celebrazioni commemorative, erano adesso di grande importanza come simboli dell’essere
parte del popolo di Geova. Questi erano le caratteristiche che distinguono gli ebrei dalle altre
nazioni."9
Durante quest’esilio cresceva la necessità di raccontare storie: il tempio con il suo
culto non esisteva più, ma il desiderio di vivere in Israele secondo la tradizione,
rimaneva. L’unico modo per conservare l’identità ebraica in Babilonia; per portare
avanti la sua tradizione, era raccontare e scrivere tutte le storie che rappresentavano
la loro identità.
Dopo la conquista di Babilonia da Ciro il Grande (della dinastia Achemenide) nel
539, è stato emanato un editto che permetteva agli ebrei di ritornare in Israele e di
riedificare il tempio.
Nel quarto secolo cominciava il profeta Ezra con una riforma religiosa e culturale, in
cui si focalizzava sulla ‘Thora’ -anche chiamata ‘il Pentateuco’-.10 La focalizzazione
sulla legge, in combinazione con il desiderio degli ebrei di raccontare la storia del
‘Noi e Geova’ e gli insegnamenti dei profeti, creava una religione del libro.11
Le conquiste dei greci sotto la guida di Alessandro Magno, annunciò il crollo
dell’impero persiano e la fine della libertà che Israele ha avuto sotto la dominazione
dei Persiani. Alessandro inserì la Palestina nel suo regno, e tentò di unire la religione
ebraica con la filosofia greca, ma morì prima di aver ellenizzato il suo impero.
Quando gli ebrei si ribellarono contro l’ellenizzazione, intervenne Antioco IV Epifane
con forza: nel 167 vietò il culto rispettoso della legge, la circoncisione e l’osservanza
dello shabbat.12
7
Il dizionario piccolo Garzanti di Italiano, 2009.
Küng, 126-132
9
Ibidem, 133.
10
Ibidem,, 139
11
Ibidem, 144-145
12
Ibidem, 152-154
8
6
La lotta che ne seguì, risultò in ottanta anni di indipendenza ebraica, dal 142 al 63
a.C. L’indipendenza non durava a lungo: gli inviati del popolo ebraico volevano la
disivione tra il potere religioso e quello politico. Questo voleva dire: il restauro della
teocrazia, e cedere il dominio politico alla nuova potenza mondiale, Roma.13
Negli anni successivi cresceva la resistenza alla presenza dei Romani, che ha
portato a una rivolta negli anni 66-70 d.C. La lotta è finita con la distruzione di
Gerusalemme e, la cosa più importante: la distruzione del Tempio.14 Questi fatti
avevano un’influenza permanente sulla storia; non solamente sulla storia degli ebrei,
ma anche sulla storia del Medio Oriente e dell’Europa, perché la città della pace è
diventata la città del conflitto. Ancora una volta gli ebrei vivevano senza una patria,
ancora una volta sono dispersi in tutto il mondo.
Nel frattempo cresceva la popolarità dei rabbini, che significava una ricostruzione
della vita nazionale e religiosa. La sinagoga, -che era il luogo in cui si leggeva e
insegnava la Torah, pure la si annotava e si dibattava-, divenne più importante. Il
luogo della santità rituale si spostò dall’altare sacrificale, alla tavola della famiglia.15
Per questo le regole di purezza si estendevano, e fungevano come una delimitazione
interiore tra il popolo ebraico ‘puro’ e i popoli ‘impuri’.16
Attraverso i secoli, la posizione degli ebrei non migliorava, secondo R.M. Seltzer:
“Although the liberties and limitations defining the status of the Jews in premodern
times differed from land to land and era to era, everywhere Jews were excluded from the
ruling elite. [....] Special taxes and other financial exactions were applied to the Jews. In
some situations the number that could marry annually was limited. In addition, Jews were
specifically excluded from many businesses and professions, prohibited from owning land,
and segregated as to residence. [...] If they resided in a locality, that meant they had the right
to practice Judaism as they saw fit; if Jews were not allowed to worship in their own way,
rear their children in their own religious tradition, observe the laws of kashruth, bury their
dead according to Jewish practice, and so forth, they could not live as a community in that
place.”17
Nel Medioevo gli ebrei soffrivano per la persecuzione dallo stato e dalla chiesa con le
sue crociate, -sebbene le fonti d’informazione non siano d’accordo sulla gravità della
violenza. L’insicurezza degli ebrei si estendeva grazie al rapporto ambiguo di questi
due: a momenti la chiesa e lo stato li proteggevano dall’ira della folla, a momenti
spingevano la folla a commettere violenza contro di loro. Un esempio di questo
‘rapporto ambiguo’ sono gli eventi nel 1096, l’anno in cui tantissimi ebrei sono stati
uccisi.18
13
Ibidem, 156
Ibidem, 162
15
H. K. Wettstein. ‘Diaspora, Exile, and Jewish identity.’ Encyclopedia of the Jewish diaspora. Origins, Experiences, and culture.
Themes and Phenomena of the Jewish diaspora, a cura di M. Avrum Ehrlich. S.l. ABC-CLIO, LLC, 2009. p. 62
16
Küng, 185
17
Seltzer, 72-73
18
S. Schama. The story of the jews. Finding the words 1000bce-1492Ce. London: The bodley head, 2013. p. 303
14
7
La conseguenza era che gli ebrei hanno la convinzione che non devono aspettare il
rifugio, l’assistenza o la comprensione di nessuno, tranne quello di Dio e della loro
religione. E per ciò si rinchiudevano nel giudaismo, perché vivere in pace con i
musulmani o i cristiani sembrava impossibile.19
Successo
La posizione sociale degli ebrei sembrò deplorevole, ma non è vero che gli ebrei
avevano sempre la peggio. Come dice Gilbert nella sua prefazione all’Atlante di
storia ebraica:
“Ma non ci sono solo i periodi di terrore, e mi è stato di grande conforto essere stato
capace di delineare anche l’altra faccia della medaglia: le rivolte degli ebrei contro
l’oppressione dei romani, dei cinesi e dei persiani, la loro capacità di organizzare strutture di
mutua assistenza e di autodifesa per far fronte ai pogrom russi e ucraini, le loro insurrezzioni
coraggiose e disperate nei ghetti e nei campi di concentramento durante gli anni del nazismo
e l’ostinata resistenza alle pressioni degli arabi nell’Israele dei nostri giorni. [...] Il popolo
ebraico ha dimostrato un grande coraggio e una grande capacità di risollevarsi sempre.”20
Anche il fatto che gli ebrei vivevano sempre in lotta con i goyim, non è vero:
generalmente era possibile coesistere in pace.
Nel suo libro The story of Jews Schama prende come esempio la comunità ebraica di
Elefantina:
“In other words, notwithstanding the fact that a garrison town on the Nile frontier of
Upper Egypt doesn’t sound like an exemplary case for the subsequent unfolding of Jewish
history, it actually was. Like so many other Jewish societies, planted among the Gentiles, the
Jewishness of Elephantine was worldly, cosmopolitan, vernacular (Aramaic) not Hebrew,
obsessed with law and property, money-minded, fashion-conscious, much concerned with
making and breaking of marriages, providing for children, the niceties of the social pecking
order and both the delights and the burdens of the Jewish ritual calendar.”21
Tuttavia, gli ebrei erano spesso dipendenti dalla protezione del potere locale.
Per esempio: Quando i Persiani hanno perduto il potere in Elefantina, non potevano
più proteggere gli ebrei contro la gelosia della popolazione locale. Gli ebrei, che sono
visti come i beneficiari della fiducia dei Persiani, vengono diffidati dalla gente del
posto che presto cominciava i disordini e i saccheggi.22 Questo processo si ripeteva
continuamente: una città, un paese o uno stato attraversa una crisi; i tumulti, la lotta
e la scarsezza si stavano sviluppando e presto gli ebrei attiravano la gelosia e
venivano accusati di essere inaffidabili, di essere malevoli.23
La diaspora non era soltanto un’avvicendamento di miseria e di persecuzione;
spesso la sofferenza e il successo convergevano.
19
Ibidem, 282.
M. Gilbert. Atlante di storia ebraica. Traduzione di Vanna Lucattini Vogelmann. Firenze: Giuntina, 1993.
Schama, 23
22
Schama, 24
23
Ibidem, 204
20
21
8
Può essere visto (con una mostra retrospettiva) pure come un impulso per la
continua vitalità dell'ebraismo come una tradizione intellettuale.
Seltzer argomenta che la diaspora aveva degli esiti positivi:
“Not only did Jews borrow extensively from the popular cultures in their multiple
environments, but in certain challenging eras they interacted with the high civilizations in
times of their greatest flourishing.”24
Molti ebrei non si scusavano per la loro situazione; non si vergognavano di vivere in
diaspora. Non descrivevano se stessi come parte di una diaspora.
Gli ebrei non suggerivano di essere tagliati dal centro –Gerusalemme-, e non
consideravano di condurre un’esistenza separata e insoddisfatta. E non volevano
dare una giustificazione, una razionalizzazione, o una spiegazione per la loro scelta
di residenza.25
Malgrado il fatto che gli ebrei appartenevano ad una minoranza, si distinguevano
spesso per le prestazioni economiche, e le prestazioni culturali e mentali sono rispetto ad altre minoranze-, senza pari. La poesia ebraica, la filosofia della religione,
la teologia, la mistica e la scienza derivano per la maggior parte dalla diaspora.26
Elementi importanti dell’identità ebraica
La memoria collettiva trasmette la storia e la cultura di un gruppo e consiste da “tutte
le immagini, i pensieri e i concetti che sono memorizzati nell'inconscio collettivo”.27
Ma quali sono le immagini, i pensieri e i concetti che fanno parte dell’inconscio
collettivo degli ebrei? Che cosa vuole dire ‘essere ebreo’? Chi è l’ebreo? Secondo la
Halacha (le leggi del Talmud) è ebreo chi nasce da madre ebrea, indipendentemente
dal luogo geografico di residenza, e è anche possibile convertirsi all’Ebraismo. La
Halacha non dà una chiarificazione quali concetti definiscono l’identità ebraica, o
quali caratteristiche deve avere un’ebreo. E forse non è possibile (o desiderabile)
definirlo, come dice il filosofo francese di origini ebraico-russa Vladimir Jankelevitch:
“È all’infinito che il popolo ebraico è definibile; il che non è che un altro modo di
dichiararlo indefinibile, dal momento che l’idea di definizione implica quella di finitezza. E poi
nel rapporto che ci lega al non ebreo. Nei suoi sentimenti nei nostri confronti c’è qualcosa di
specifico, d’essenziale relativamente ai sentimenti dell’uomo per l’uomo. A tal punto che se
gli ebrei non esistessero, si sarebbe dovuto inventarli; si sarebbe dovuto fabbricare un
popolo misterioso e disseminato come siamo noi, nei confronti del quale l’uomo potesse
avere dei sentimenti che non assomigliano agli altri, che non si lasciano banalizzare e che
sussisteranno fino alla fine dei tempi.”28
Però, possiamo indagare quali elementi fanno parte della cultura ebraica.
Un elemento importante è la fede ebraica, e il vivere secondo le regole della
Halacha.
24
Seltzer, 73
E. S. Gruen, ‘Diaspora and Homeland.’ Diaspora and Exiles. Varieties of Jewish Identity. A cura di Howard Wettstein. S.l.
University of California Press, 2002. p. 28
26
Küng, 201.
27
Van Dale Groot woordenboek van de Nederlandse taal, digitale uitgave
28
V. Jankelevitch, La coscienza ebraica, Firenze: Giunta, 1986. p. 20.
25
9
Alcuni componenti rilevanti sono: il credere in un Dio (l’unico Dio) che non è un
essere corporale, che è un Dio personale e eterno; e la relazione tra Dio e l’uomo, tra
Dio e il popolo ebraico, e le relazioni tra le persone.
Altri elementi importanti della cultura ebraica sono le usanze antichissime, le
conseguenze delle persecuzioni per se stessi o per i parenti prossimi o per il popolo
ebreo in generale; la solidarità con lo Stato d’Israele e il sentimento di fratellanza per
tutte le comunità ebraiche nel mondo; un senso di continuità con la storia e la cultura
ebraica.29
Narrazione
L’ultimo elemento che merita la nostra attenzione è la narrazione, perché era
essenziale per la propagazione della fede e della cultura.
Ha come obiettivo la trasmissione della sapienza, delle storie, e delle usanze
antichissime. Ma questo mezzo (la narrazione) è, ad un certo momento, diventato
parte della cultura ebraica. Sin dall’inizio della consapevolezza della cultura ebraica
equivale ‘essere ebreo’, ‘essere l’uomo del Libro’.30
La Torah, per esempio, contiene le tradizioni, le saghe e le leggende che descrivano
la creazione del mondo, l’Alleanza di Dio, l’esodo dall’Egitto, ed altri avvenimenti
importanti per gli ebrei. Anche il Talmud ha contribuito alla conservazione dei ricordi.
Il Talmud Babilonico fu compilato intorno ai 500 anni dopo la morte di Gesù, e
consiste di due parti: la Halacha (le leggi) e la Haggadah, che è un rapporto dei
dibattiti sulle leggi e tanti altri temi. Si può dire che è una codificazione della
tradizione, perché ancora oggi pone la base per la dottrina religiosa e per la
legislazione dell’ortodossia ebraica.31
La maggior parte della Bibbia era, di generazione in generazione, scritta quando le
debolezze del potere statale spiccavano di più. I manoscritti diventavano il
contrappeso della spada. Per ciò l'idea nasceva che la vita ebraica era pari alle
parole ebraiche, e che queste parole continuavano ad esistere, qualunque fossero le
circostanze.
La visione unica dell’Ebraismo è la separazione della parola e la spada; perché le
altre religioni del libro le uniscono.32
Siccome la narazzione ha un ruolo importante, è interessante esaminare quali
elementi sono un tratto tipico della narrazione ebraica.
Il primo è il modo di leggere: non avviene in silenzio, e non lo fanno per
l’arricchimento della coscienza riflessiva. Il leggere è rumoroso: sociale, amichevole,
animato e teatrale. L’apparizione pubblica intende spronare il lettore all’azione,
29
A. van der Heide. Jodendom. Kampen: Kok, 2006. p. 110
Schrama, 70
31
Küng, 174.
32
Schrama, 170
30
10
leggere che invita la discussione, il commento, il dubbio, l’interruzione e
l'interpretazione. Il leggere non finisce mai. 33
Il secondo elemento è l’uso della lingua. Mentre incorporando molte caratteristiche
della lingua di partenza, le lingue ebraiche correlate tendono a differire in diversi
aspetti, ma hanno anche alcuni caratteristiche in comune.
Questo fatto non è una sopresa: gli ebrei, ovunque andassero, mantenevano una
distinta identità religiosa e etnica, e conservavano la propria autonomia (in ogni caso
parziale) in materia religiosa.
L’ebraico aveva un ruolo fondamentale nella propagazione e la conservazione della
religione ebraica: i testi sacri e le preghiere formali sono state lette in ebraico, e
anche la corrispondenza si trattava usando l’ebraico. Per ciò si usano le espressioni
dell’ebraico nel linguaggio corrente:
“Because of their centrality in discussions connected with Jewish civilization, Hebrew
roots, words, expressions, and even grammatical elements were incorporated within
everyday Jewish language speech and writing, and especially in the language of rabbinical
scholars.”34
L’interazione tra gli ebrei e la società in cui vivevano, si intensificava nell’era
moderna. Gli ebrei sentivano la pressione di integrare in esso, e cresceva il desiderio
di far parte della società.
La conseguenza linguistica era l’assimilazione: si scrivevano le lingue ebraiche con
l’alfabeto non ebraico, si prestavano intensivamente dalle lingue locali e dalle lingue
prestigiose internazionali come il francese, l’italiano e l’inglese; la commutazione di
codice tra le lingue ebraiche e non ebraiche, una tendenza crescente a percepire la
lingua ebraica come "gergo".35
33
Ibidem, 61
D. M. Bunis. ‘Languages of the Diaspora. Charcteristics of Jewish Languages’ Encyclopedia of the Jewish diaspora. Origins,
Experiences, and culture. Themes and Phenomena of the Jewish diaspora, a cura di M. Avrum Ehrlich. S.l. ABC-CLIO, LLC,
2009. p. 167
35
Ibidem, p. 171
34
11
Miro Silvera
Miro Silvera è nato ad Aleppo, in Siria nel 1942, da un’antica famiglia di sefarditi
italiani. Sin dal 1947 si è trasferito a Milano, dove vive e lavora fino a oggi. Perciò
conosce tante lingue; il francese –associato all’arabo-, l’italiano, l’ebraico e l’inglese.
Ha incominciato lavorando per il teatro e facendo il consulente editoriale. Ha tradotto
libri di narrativa e saggistica, e ha scritto di cinema, d’arte e di letteratura su varie
riviste. La sua carriera letteraria è iniziata con il romanzo L’ebreo narrante (1993),
seguita dalla raccolta di racconti Margini d’Amore (1994) il romanzo Il prigioniero di
Aleppo (1996), i Giardini dell’Eden (1998), Il senso del dubbio (2001) Contro di noi
(2003), Libroterapia (2007) e Il passeggero occidentale (2009). Silvera è un scrittore
cosmopolitico, si considera un ‘outsider’ nel panorama della letteratura italiana. I
suoi saggi, romanzi e le sue poesie hanno vinto diversi premi letterari; tra cui il
Premio del Giovedì Marisa Rusconi per L’ebreo narrante, il Premio Selezione
Giovanni Comisso 1996 per Il prigioniero di Aleppo, e il Premio Kieslowski e il Premio
SIAE per i Giardini dell’Eden.
Silvera dice nell’intervista fatta da Filippo Tuena che noi uomini siamo molto
condizionati da quello che avvertiamo nell’aria, da dove siamo cresciuti, da come ci
nutriamo, dalle memorie che ci vengono trasmesse in casa. Queste memorie si
affastellano, e poi ne nasce qualche cosa che cerchiamo di trasmettere agli altri. 36
Perciò, non è una sorpresa che il suo ambiente ebraico ha influenzato le memorie e
le storie che lui trasmette. Conferma questa grande influenza dell’Ebraismo sul suo
narrare nel suo articolo ‘la necessità di raccontare’:
“L’ebraismo è per me, più che una religione, soprattutto una filosofia del vivere e un
retaggio culturale. Il mio narrare ne è dunque fortemente marcato. Non ho voluto
nascondermi, e non voglio mascherarmi. Sono portatore di storie e di un’umanità che vuole a
tutti i costi essere tramessa. Questa è la mia linea e questa è la mia urgenza.” 37
Si può dire che Silvera è immerso nella sua identità ebraica: ha sempre sentito la sua
appartenenza a una minoranza come una diversità, ma una diversità positiva, che ha
vissuto come un privilegio che gli ha dato una marcia in più.38
Non si considera uno scrittore italiano, ma vuole essere considerato uno scrittore
europeo o, forse è meglio dire ‘uno scrittore ebreo’:
“sono molto fiero di essere ebreo e orgoglioso di sbandierarlo, proprio perché ci
siamo raccontati così poco”.39
La lingua in cui scrive, è un elemento molto importante, perché secondo lui siamo la
lingua che usiamo. Ogni lingua ha altri idiomi, altri espressioni che influenzano il
modo di vedere il mondo; quindi influenzano la formazione del carattere.
F. Tuena. ‘Filippo Tuena incontra Miro Silvera’. Per amore della lingua. Incontri con scrittori ebrei. A
cura di Laura Quercioli Mincer. Roma: Lithos, 2005. p.61
37 M. Silvera. ‘La necessità di raccontare’. Scrittori italiani di origine ebrea ieri e oggi: un approccio
generazionale, a cura di Raniero Speelman, Monica Jansen & Silvia Gaiga. Italianistica Ultraiectina 2.
Utrecht: Igitur, Utrecht Publishing & Archiving Services, 2007. p.155
38 Mosaico-cem.it, http://www.mosaico-cem.it/archivio/intervista/miro-silvera-e-la-cura-delle-parole
39 Tuena, 59
36
12
Secondo Silvera non si deve mai dimenticare l’importanza di raccontare storie,
perché le storie sono una medicina per l’anima, la curano, confortano e nutrono. I libri
danno benessere.
Per dare una risposta alla domanda principale (In quale misura la descrizione
dell’identità ebraica di Miro Silvera corrisponde alla descrizione che gli storici
danno?) indago i libri di carattere ebraico più importanti: L’ebreo narrante, Il
prigioniero di Aleppo e Il passeggero occidentale. Queste opere sono formate dalla
ricerca identitaria, attraverso le storie raccontate da persone che appartengono ad
un’altra generazione, e che hanno spesso dei legami con la famiglia del protagonista.
Dennis Smit dice nel suo articolo ‘Il viaggio come ‘percorso identitario’ nell’opera di
Miro Silvera’ che i generi preferiti di Silvera sono
“il romanzo a spunti autobiografici e (più o meno) genealogici e il romanzo di
formazione in cui il percorso ebraico dello scrittore sembra rispecchiarsi in quello dei suoi
narratori e personaggi”.40
Silvera cerca il giusto mezzo tra Oriente e Occidente, tra convivenza e violenza, tra
carnalità e spiritualità, tra l’essere diverso e l’essere cittadino del mondo.
L’ebreo narrante racconta la storia del protagonista Meir e la sua nonna Rena che
amava ascoltare i racconti, e il signor Zaki che sapeva raccontarli. È una raccolta di
racconti, che sono nati dalla storia pubblica e privata; seguendo le generazioni di una
famiglia ebraica costretta a viaggiare.
Il prigioniero di aleppo racconta la storia di Meir, che decide di andare ad Aleppo,
(una città in Siria) dove è nato ma che è ormai vietato agli ebrei. Qui incontra Zaki,
che racconta le storie degli ebrei ad Aleppo, e della sua familia. Durante il suo
viaggio Meir compie una difficile crescita ed impara ad accettare le proprie origine.
Secondo Speelman si può leggere il libro come “manifesto della tolleranza e
convivenza, unica forzo capace di realizzare una società vivibile per l’umanità e unica
soluzione per i mali provocati dal nazionalismo.”41
Il passeggero occidentale racconta la storia del protagonista anonimo che è un
trentenne che abita a Boston. Decide di intraprendere un viaggio sulle tracce di un
padre che non ha mai conosciuto. Viaggiando il mondo, trova ricordi e persone legati
alla madre, morta quando era ancora bambino. Trova pace con se stesso, vivendo
con compassione.
D. Smit. ‘Il viaggio come ‘percorso identitario’ nell’opera di Miro Silvera’. Ebrei migranti: le voci della
diaspora, a cura di Raniero Speelman, Monica Jansen e Silvia Gaiga. Italianistica Ultraiectina 7.
Utrecht: Igitur Publishing, 2012. p. 350
41 R. Speelman ‘Multiculturalità ottomana e scrittori italiani da Saul Israel a Miro Silvera e Daniel
Fishman’. Scrittori italiani di origine ebrea ieri e oggi: un approccio generazionale, a cura di Raniero
Speelman, Monica Jansen & Silvia Gaiga. Italianistica Ultraiectina 2. Utrecht: Igitur, Utrecht Publishing
& Archiving Services, 2007. p. 161
40
13
Descrizione dell’identità ebraica da Miro Silvera
Miro Silvera ha scritto alcuni romanzi in cui descrive gli elementi dell’identità ebraica.
Specialmente nei romanzi ‘Il passeggero occidentale’, ‘Il prigioniero di Aleppo’ e
‘L’ebreo narrante’, i protagonisti parlano di diversi elementi dell’identità ebraica.
Discuto la sua descrizione generale dell’identità del popolo ebraico, la religione, il
rapporto tra gli ebrei e le parole, e le persecuzioni e, per finire, le conseguenze per
l’identità ebraica.
Descrizione generale dell’identità del popolo ebraico
Miro Silvera descrive, usando le voci dei protagonisti, gli ebrei come ‘inevitabilmente
diversi’; uomini che si adattavano a fatica’.42 Per spiegare questo ‘essere diverso’
racconta una piccola storia:
“Secondo te, perché noi ebrei siamo così diversi, e ci sentiamo anche diversi?
>Perché siamo circoncisi?
Questa può essere una risposta, ma non è tutto. Pensaci bene: in realtà, come dicevano i
nostri maestri, noi siamo nati con tre occhi. Due sono come quelli degli altri, ma il terzo è in
mezzo alla fronte. E sai a cosa ci serve?
>Suppongo per vedere qualcosa di speciale, no?
Sì, se affini la vista di quell’occhio in più, riesci ad arrivare persino a vedere l’anima di una
persona, con tutti i suoi colori.”43
Questa piccola storia accentua che gli ebrei conoscono bene la natura umana.
Secondo Silvera, il popolo ebraico è un popolo di viaggiatori;44
“un popolo piccolo, sempre assidiato e continuamente minacciato di estinzione, deve
fondare sull’unità della famiglia il suo sogno di continuità. Fare figli è il dovere, seminare per
perpetuare.”45
Nonostante le circostanze, il popolo ebraico era sempre capace di conservare la sua
peculiarità:
“Dispersi su tutta la terra, gli ebrei conservavano, se non i loro beni – sempre
sottratti, da un padrone all’altro, da un paese all’altro- almeno la loro identità culturale e la
loro dignità. Sempre quelle si portarono via e poco altro, quando dovettero scappare. Ebrei
erranti, ebrei paganti, sempre e comunque.”46
Grazie al fatto che gli ebrei erano costretti a viaggiare, lo scambio culturale nelle
piccole comunità ebraiche era possibile:
“Viaggiando, gli ebrei si sono sempre mescolati, magari solo tra di loro, ma mescolati
sì, di paese in paese, fino a farsi paese diverso nel paese, un frutto più nuovo e resistente.
Non razza fisica, ma mentale.”47
M. Silvera. L’ebreo narrante. Milano: Frassinelli, 1993. p.2
M. Silvera. Il passeggero occidentale. Milano: Adriano Saladini Editore, 2009. p.107
44
M. Silvera. I giardini dell’Eden. Casale Monferrato: Edizioni Piemme, 1998. p.32
45
Ibidem, 45-46
46
L’ebreo narrante, 13
47
M. Silvera. Il prigioniero di Aleppo. Milano: Frassinelli, 1996, p. 170
42
43
14
Silvera descrive la conseguenza della vita vagabonda e nota che il popolo ebraico è
molto speciale: un popolo che primeggia su tutti gli altri popoli:
“Noi siamo quelli del passo danzante e dallo sguardo malinconico. Noi siamo nati per
incidere nella storia, ma serviamo soltanto a illuminare la polvere, quella sollevata dai nostri
passi vagabondi alla ricerca di un Dio più grande... da padre a figli, la storia si perpetua per
interposta persona, secondo il capriccio di un Dio fantasioso che vede là dove noi non
riusciamo a vedere, e ci conduce sino al punto finale.”48
Il vivere come nomadi influenza il carattere degli ebrei, perché il popolo ebraico è
diventato un popolo che è sempre animato dalla speranza:
“Voi, con la vostra speranza, guardate sempre avanti, verso un futuro di eterni
nomadi in cammino, e se per caso vi voltate, dietro di voi vedete solo morte e distruzione,
rischiando di diventare statue di sale come la moglie di Lot. Per questo vi conviene guardare
avanti e credere ciecamente in un domani migliore. Sapete usare il presente per il futuro,
lavorando e arrichendovi ovunque vi troviate. Siete stati banchieri, scienziati, scopritori:
volete ostinatamente migliorare lo stato del vivere.”49
Persecuzioni
Silvera spiega che la diversità degli ebrei è una delle ragioni per la divisione tra gli
ebrei e i goyim:
“Noi abbiamo sempre coltivato la nostra diversità: è la sola cosa che ci ha permesso
di sopravvivere sino a ora conservando una precisa identità. Usi e costumi, credenze e
religione, ricorrenze e astuzie. Però la separazione non l’abbiamo voluta noi. Gli altri vollero
separarci, vollero distinguerci e allora ci misero un berretto a punta, un velo colorato, una
rotella gialla, una stella di stoffa, ci rinchiusero in certi poveri e umidi quartieri, fra mura molto
molto alte, con un solo portone che di notte veniva sprangato. Eravamo pericolosi, le nostre
idee erano pericolose. Così abbiamo coltivato con orgoglio la nostra diversità...”50
Quest’impossibilità di assimilare, di dimenticare la loro identità era la causa dell’odio:
“...la vera causa dell’odio di cui tutti continuano a gratificarci è la condizione anomala
del nostro popolo, una nazione fantasma in mezzo alle altre nazioni. Inutile dunque
assimilarsi, e patetico cercare di far dimenticare la nostra identità. (...) La plebe scettica vi
riporterà alla memoria chi siete, niente altro che parassiti vagabondi, e vi ricorderà che
nessuna legge è stata scritta per voi. (...) come vedi siamo stati eletti all’esecrazione
universale, condannati a correre per sempre nei gironi infernali di una storia fatta dagli
altri.”51
L’impossibilità di assimilare non è l’unica ragione per l’odio, un’altra è la gelosia:
“È come in Medio Oriente, come in Germania, come ovunque siamo andati. Ci
odiano perché esistiamo al loro posto, al posto loro abbiamo costruito questa o quella parte
di ricchezza, lavorato a questo o quel progetto, dissodato questo o quel pezzo di terra che
48
Passegero, 16
Passeggero, 167
50
L’ebreo narrante, 73
51
Passeggero, 111
49
15
abbiamo tra l’altro saputo far fruttare meglio di loro. L’odio non pensa: è cieco e stupido. Non
riflette su quanta fatica e quanta pena sia costato tutto questo. Vuole e basta. La tragedia è
che ci vedono ancora e sempre come diversi, mentre siamo fatti della stessa carne. Loro
sono il branco locale, e noi gli stranieri venuti da fuori...”52
Anche i potenti credevano che gli ebrei fossero innocui:
“i dittatori di ogni paese non hanno mai amato l’ebraismo, perché esso portava
immancabilmente dentro di sé il seme di una pericolosa libertà di pensiero.”53 Si
consideravano gli ebrei e specialmente l’eresia giudaizzante ‘un tumore maligno da
eliminare’.54
L’essere diverso nutrisce la diffidenza per gli ebrei, e questa diffidenza causava la
violenza contro di loro:
“Eravamo oggetto di curiosità. (...) E gli ebrei vennero accusati di avere diffuso la
malattia inquinando i pozzi. Ancora una volta, fummo costretti a scappare. (...) Molti furono
uccisi, molti si uccisero con le loro stesse mani, alcuni si convertirono per salvare la vita, e
tutti seppellirono i loro testi sacri perché non venissero bruciati.55
I pregiudizi alimentavano la diffidenza, e quando gli ebrei subivano le torture,
confessavano di aver fatto cose orribili:
“Gli uomini, sotto tortura, amisero d’essere colpevoli, d’avere utilizzato il sangue del
bambino per fare le azzime pasquali, cosa assurda e impensabile per i seguaci della
religione ebraica che non hanno un vero orrore per il sangue, sia animale sia umano. Quei
disgraziati giunsero ad ammettere qualsiasi cosa, purché venissero lasciate libere le donne e
i loro bambini.”56
Ma secondo Silvera la vera tragedia era che non appartenevano realmente a nessun
paese. “Non riusciamo a dividere sino in fondo un passato comune con gli abitanti di
nessun luogo...”57 La conseguenza della mancanza di sicurezza era che gli ebrei non
dormivano sonni tranquilli: ”La valigia è idealmente sempre pronta sotto il letto, e il
nostro paese è il mondo intero.”58
Silvera nota che i nemici non sono solamente i goyim:
“Lo sai che i veri nemici degli ebrei siamo noi stessi? Amiamo tanto criticarci e farci
del male a vicenda. È un vecchio veleno di cui pare non possiamo più fare a meno, un
antidoto che riesce miracolosamente a tenerci in vita.”59
52
Passeggero, 125
L’ebreo narrante, 20
54
Prigioniero, 168
55
L’ebreo narrante, 15
56
Ibidem, 103
57
Passeggero, 126
58
L’ebreo narrante, 74
59
Passeggero, 44
53
16
Elementi religiosi
Silvera si limita all’essenziale e spiega che la religione è un elemento importante
della vita, un elemento che dà forma alla vita e alla crescita personale.
Chiarisce l’essenza della religione:
“La religione ebraica, essendo basata sul tempo, è una religione femminile, un’estasi
passiva fatta di paziente attesa. Attesa dello spirituale, attesa di sé, attesa di miracoli. È
orientale, ed è nata in Oriente, è contemplativa, ma come ogni idea duttile, sa essere anche
attiva all’occorrenza. Lungo tutto il corso della sua storia, l’ebraismo non ha mai voluto
conquistare né popoli né terre. E non ha mai voluto formare sacerdoti, perché ardentemente
desiderava che tutto il suo popolo diventasse un giorno un intero popolo di sacerdoti.”60
La religione è importante e deve essere un gran parte della vita:
“Nipote mio, sono fiero di te perché, ricordando, ti stai attenendo alle regole del
nostro Deuteronomio. Amo le Scritture con tutto il mio cuore, e le ripercorro sovente con la
memoria.”61
La religione è essenziale per la crescita personale, perché sensa la conoscenza di
Dio, non esiste vera conoscenza di sé.62
È chiaro che la religione è (o deve essere) intimamente legata alla vita quotidiana.
Rapporto tra gli ebrei e le parole
Le parole non sono solamente un mezzo per esprimere i sentimenti, ma soprattutto
un mezzo di diventare immortale:
“Ricorda: il mondo non si fa con le immagini, ma con le parole. Iddio creò con le
parole. Prima di tutto, le parole. Ecco perché i libri non moriranno mai. Né coloro che li hanno
scritti.”63
Con le parole è possibile di modificare il mondo, sono un mezzo di cambiamento:
“Dio è un giocatore di tennis. Se butta la palla da un lato, tu rispondi dall’altro. Lui ha
creato il mondo con le parole. Tu con le parole puoi modificarlo a tua immagine e
somiglianza.”64
Anche gli aspetti religiosi hanno importanza, perché le parole e le storie uniscono Dio
e gli uomini:
“Se c’è un senso alla nostra sofferenza, il senso è solo nel Libro. Tutta la mia gente è
il popolo del Libro, sognatori di un solo Libro Unico, come di un solo Dio Unico. È Lui che ci
ha sognato, è Lui che ci sveglierà. È infine Lui il grande affabulatore, che ci costringe a
vivere le nostre storie per Lui. E avendole tutte vissute e tutte interiorizzate, allo scadere dei
secoli, saremo forse buoni e compassionevoli, avremmo imparato tutti a creare storie, così
come colui che le ha originate.”65
Silvera attribuisce alla lingua ebraica una qualità speciale:
“Studiando l’ebraico a scuola.. ebbi la sensazione che dovesse trattarsi di una lingua
magica, che ogni lettera nascondesse un altro senso, un altro qualcosa. L’Ebraico era una
L’ebreo narrante, 33
Prigioniero, 99
62
Ibidem, 109
63
Ibidem, 172
64
Passeggero, 158
65
L’ebreo narrante, 9
60
61
17
volta una lingua piena di potere. Aveva il potere di imporre nomi. E il potere di imporre nomi
è –come ho sentito dire- ‘ciò che distingue l’uomo dalla natura’.”66
Silvera usa spesso le parole ebraiche nei suoi romanzi; le usa specialmente nel
‘L’ebreo narrante’ e ‘Il prigioniero di Aleppo’. Una volta spiega il significato nel testo o
nella nota a piè di pagina, un’altra volta non spiega niente.
Do una selezione delle parole che lui spiega: Dibbùr (proferire), Amiràh (l’esprimersi),
Haggadàh (il vero e proprio narrare secondo la tradizione). Shtetl (più piccole
comunità), mitzvoth (atti buoni e regole pratiche che facevano dire ai Pirkei Avoth, i
Detti dei Padri)67, Kasherùt (regole per le donne), alyiah (l’immigrazione ebraica in
Israele), ‘Ma’asé Venishmà (faremo e poi ascolteremo)68, halikhà (andare), yeshivà
(una scuola), Yetzer Haràh69 (lo spirito del Male), seudà shelishìt70 (il Terzo Pasto del
giorno santo).
Altre parole non vengono spiegate, per esempio: kosher71 Mishnà72, Qabbalah73,
Hazveshalom74, purìm75.
Il prestito linguistico (in questo caso l’uso delle parole ebraiche) si usa perché queste
parole hanno una funzione speciale: nominano qualcosa unica, hanno un significato
o una connotazione speciale, e anche perché talvolta è difficile tradurle.76
Credo che l’uso delle parole ebraiche (e arabe) renda il testo autentico, e l’assenza
della spiegazione di alcune parole contribuisca alla misteriosità dell’Ebraico. Pure
contribuisce al carattere dei suoi romanzi: l’ebreo narrante per esempio, è dedicato
alla tradizione orale e ha un carattere saggistico e storico, e il Prigioniero è
autobiografico e romanzesco.77
66
Prigioniaro, 102
L’ebreo narrante, 6-10
68
Passeggero, 10-11
69
Ibidem, 170
70
Prigioniero, 5
71
Passeggero, 125
72
Prigioniero, 29
73
Ibidem, 102
74
Ibidem, 158
75
L’ebreo narrante, 52
76
Taaladvies.net, http://taaladvies.net/taal/advies/tekst/116/het_gebruik_van_leenwoorden_algemeen/#top
77 Speelman, 160
67
18
Cambiamenti nell’identità ebraica
La religione e le persecuzioni avevano una grande influenza sullo sviluppo
dell’identità ebraica. La sofferenza fa parte della vita, e per ciò (in combinazione con
la speranza infinita) è considerata un’elemento positivo:
“La sofferenza può essere un dono del cielo. Come dice il nostro rabbino, sta a noi
trasformarla in una perla. ... ecco, il dolore nasce dal separare gli altri da noi. Quindi cerco di
non giudicare più nessuno. Nemmeno chi mi deride o mi fa male.”78
Dice anche:
“Ogni sofferenza è una vittoria in sé perché ci permetti di mostrare al mondo ciò che
siamo veramente, e che cosa possiamo fare per trasformare ogni travaglio di sofferenza in
luce interiore.”79
Col passar del tempo, gli ebrei sono diventati un popolo combattivo con una
resistenza mentale:
“Non ci eravamo rassegnati alla cosa, che non ci pesava più di tanto. Allenamento
dell’anima, acettazione assorbita con il latte materno, eredità genetica, resistenza alle
umiliazioni.”80
Questo fatto è notato anche da altri:
“Disse [Hitler] che ‘la razza ebraica è innanzitutto e soprattutto una razza mentale
astratta’. ... Il fatto che un ebreo resti un ebreo dovunque vada, e sia refrattario al processo
di assimilazione, è la dimostrazione della superiorita della mente sul corpo.”81
Non perdevano mai la speranza, che è tipica per la loro vitalità:
“Bisogna avere nostalgia del futuro, di quello che noi volevamo fosse il nostro futuro
(...) perché il mondo migliore è al di là di noi e delle nostre età, è un miraggio, uno specchio,
una proiezione della speranza, un’eco dei nostri limitati poteri.”82
Per non perdere la speranza scappavano la realtà: “(...) l’ebreo, dopo secoli, è ancora un
sognatore. (...) e per sé sogna un mondo diverso, il paradiso da cui siamo discesi tutti. Per
passare attraverso questo inferno.”83
La conseguenza delle persecuzioni e della dispersione era l’interiorizzazione dello
spirito ebraico:
“Oramai siamo fuori dai quartieri che ci rinchiudevano, il nostro ghetto l’abbiamo
interiorizzato, è diventato un elemento impalpabile, un recinto della mente, un luogo dello
spirito. La casa è dove appendi il cappello.”84
Per ciò, il patrimonio culturale diventa immortale: “La nostra eredità non sono state terre e
beni, ma spiritualità e fede.”85
78
Ibidem, 112
Prigioniero, 108
80
L’ebreo narrante, 3
81
Prigioniero, 117
79
82
Ibidem, 101
83
Passeggero, 172
84
L’ebreo narrante, 108
85
Ibidem, 7
19
La diversità dell’essere ebreo è anche una fonte di orgoglio:
“Io sono di coloro che il Male lo hanno subìto e sono stati a volte capaci di trarne del
Bene. Quindi niente rimpianti: le differenze non le si deve negare, ma esaltare.”86
Inoltre, la sofferenza ha contributo al senso dell’umorismo:
“Ed è per questa ragione che tanti comici sono ebrei. Per ereditarietà, essi sanno
vedere il lato buffo della vita, quello tragico anche, e spesso quest’ultimo è talmente tragico
che val meglio buttarla decisamente sul ridere.”87
Silvera nota che la memorizzazione delle storie di sofferenza e di sopravvivenza era
molto importante per la formazione dell’identità ebraica:
“Di recente, un giornalista, che sinora avevo creduto più intelligente, ha proposto a
noi ebrei di dimenticare. Forse tutto si risolverebbe così, in un oblio totale, in una assoluzione
generale, in una assimilazione inevitabile e in una grigia cancellazione universale. No, non
mi va bene. Oramai tengo troppo alla mia diversità e alla mia originalità, in un mondo che
tende sempre di più a banalizzarsi, abbiancare e detegersi nell’anonimato, a livellare ogni
differenza ed eccentricità. Io voglio essere sempre più originale ed eccentrico, sempre più
ebreo e sempre più zingaro, sempre più cittadino del mondo intero, piuttosto che di una sola
regione, parlare e scrivere in tante lingue, piuttosto che limitarmi a una sola e magari a un
dialetto per pochi. Voglio accumulare le memorie, e a volte perdonare se il torto è stato fatto
a me, ma non dimenticare mai nulla.”88
86
Passeggero, 42
L’ebreo narrante, 75.
88
Ibidem, 63-64
87
20
Conclusione
La descrizione che Miro Silvera -attraverso i suoi personaggi-, dà dell’identità
ebraica è estensiva: descrive gli elementi religiosi, l’importanza delle parole, e
soprattutto quali cambiamenti l’identità ha subito.
Gli storici, indagando la storia degli ebrei, parlano di ‘sofferenza terribile’ ma anche di
‘vittoria e successo’.
La sofferenza consiste della violenza, delle persecuzioni, della diaspora; e la vittoria
consiste dell’accrescimento personale (per esempio la capacità di risollevarsi sempre
e il fatto che gli ebrei non perdevano mai la speranza di un futuro migliore) ma anche
del successo politico ed economico.
Silvera conferma questa dualità: gli ebrei vivevano in condizioni estremamente difficili
(soffrivano le persecuzioni, i pregiudizi verso loro erano numerosi, gli ebrei erano
costretti a vivere in piccole comunità diffuse nel mondo), ma ciononostante non
perdessero mai la speranza, e eccellessero in tutto ciò che facevano.
Gli storici danno alcune ragioni per la paura e l’odio per i giudei, (ragioni religiose,
politiche o economiche) e Silvera le conferma. Gli ebrei e la loro diversità, la loro
anormalità erano incompresi, e per ciò loro erano temuti. Secondo lui, anche la
gelosia aveva un ruolo importante: gli ebrei ottenevano successo ovunque
andavano, e avevano una pericolosa libertà di pensiero.
Siccome non appartenevano a nessun paese, erano sempre ‘stranieri’ e ‘alieni’ e per
ciò, spiegano gli storici, erano visti come profanatori razziali e inquinatori della
nazione.
La diaspora comportava non solamente la miseria, ma anche alcuni vantaggi.
Secondo gli storici era importante per lo sviluppo dell’identità ebraica, ed era un
impulso per la continua vitalità dell’ebraismo come una tradizione intellettuale.
Credo che sia vero, perché l’identità è per definizione qualcosa indefinibile, e
solamente quando ci si deve difendere da qualcun’altro diventa chiaro quali elementi
sono parte della tua cultura. Inoltre, la necessità di raccontare storie cresceva perché
era l’unico modo per conservare la tradizione, la religione e la cultura.
Silvera conferma che la diaspora contribuisce all’interiorizzazione dello spirito
ebraico, alla conservazione dell’identità e della dignità; quindi alla sopravivvenza
della cultura ebraica.
Gli storici si trovano d’accordo con Silvera sugli elementi che fanno parte dell’identità:
la fede e il vivere secondo le usanze antichissime, la solidarità con altri ebrei, e la
narrazione come mezzo di trasmissione della cultura, della storia e della lingua
ebraica.
Silvera aggiunge che gli ebrei sono cittadini del mondo, che possiedono una vitalità
straordinaria e si distinguono dal loro senso dell’umorismo.
21
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#top
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