FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea in Fisica ENTANGLEMENT E TELETRASPORTO QUANTISTICO Dissertazione di Laurea Triennale in Fisica Candidato Alessandro Manacorda Relatore Prof. Massimo Testa Anno Accademico 2009-2010 Indice Introduzione 2 1 La meccanica quantistica: formulazione, Bell 1.1 I princı̀pi della meccanica quantistica . . 1.2 Il paradosso EPR . . . . . . . . . . . . . 1.3 Il teorema di Bell . . . . . . . . . . . . . 1.4 Località e causalità . . . . . . . . . . . . obiezioni e teorema di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 3 5 6 11 2 Teletrasporto quantistico 14 2.1 Teorema di no-cloning . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 2.2 Realizzazione teorica del teletrasporto . . . . . . . . . . . . . . . 15 2.3 Esperimenti sul teletrasporto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 Conclusioni 21 Bibliografia 22 1 Introduzione A partire dalla sua formulazione, la meccanica quantistica è stata oggetto di numerose e profonde discussioni a proposito nel suo nuovo modo di vedere la realtà: al contrario di tutte le teorie fisiche precedenti, questa si è concentrata esplicitamente e direttamente non sulla descrizione della realtà fisica, cioè di come la realtà è veramente - a prescindere dal senso che può avere questa frase -, bensı̀ sulla predizione delle misure di osservabili fisiche di stati microscopici per i quali non si potevano applicare le stesse nozioni apprese nello studio della fisica classica. Questo approccio ha sconvolto e riparametrato molte delle basi della fisica, ed è stato sottoposto a numerosi test teorici o sperimentali per confermarne la validità. Nella prima parte di questa dissertazione prenderemo in esame il caso dell’entanglement, che è stato al centro di un dibattito ancora in corso sulla coerenza della meccanica quantistica con i princı̀pi di realtà e località, come definiti nella fisica classica. Partendo dal paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen, che posero la questione per la prima volta nel 1935, discuteremo approfonditamente il teorema di Bell, che ha rappresentato una pietra miliare nello studio della meccanica quantistica e della sua coerenza con le altre teorie fisiche, in particolare con la relatività ristretta. Nella seconda parte, discuteremo il teletrasporto quantistico, una delle possibili e più interessanti applicazioni pratiche dell’entanglement e delle sue proprietà. Ci concentreremo soprattutto sulla sua possibile realizzazione teorica e pratica; per la prima proporremo un metodo, per la seconda ci avvarremo di alcuni risultati sperimentali che ne confermano la validità, e che hanno costituito un punto di partenza positivo per esperimenti successivi. 2 Capitolo 1 La meccanica quantistica: formulazione, obiezioni e teorema di Bell 1.1 I princı̀pi della meccanica quantistica La meccanica quantistica, secondo l’interpretazione di Copenhagen, introduce un nuovo formalismo adatto a descrivere il comportamento di stati microscopici. Questo è basato sulla descrizione di un sistema meccanico non più attraverso le sue coordinate nello spazio delle fasi (qi , pi ), bensı̀ attraverso la definizione di una funzione d’onda per il sistema in esame, ovvero un vettore in uno spazio di Hilbert che contiene tutte le informazioni sullo stato del sistema. Per reintrodurre tutte le osservabili fisiche, la meccanica quantistica definisce il processo di misura nel seguente modo (usando la notazione di Dirac): • Lo stato del sistema è completamente descritto da un vettore |ψi nello spazio di Hilbert • f è un’osservabile fisica ⇔ f = f (qi , pi , t) • In generale è possibile associare all’osservabile f un operatore hermitiano fˆ nello spazio di Hilbert H • Ogni misura di f sul sistema restituisce uno degli autovalori di fˆ • Nell’istante successivo alla misura, lo stato del sistema si riduce all’autostato dell’osservabile corrispondente all’autovalore fornito dalla misura stessa: |ψi → |αi, dove fˆ|αi = α|αi (collasso della funzione d’onda) • Il valor medio hf i di un’osservabile f misurata con il sistema allo stato ψ è dato da hψ|fˆ|ψi hf i = (1.1) hψ|ψi Questa teoria della misura, introdotta da P. A. M. Dirac [1] e considerata la base della meccanica quantistica, è profondamente diversa dalla teoria classica. In 3 primo luogo, l’interazione tra l’oggetto dell’osservazione e il soggetto osservatore non è più trascurabile, ma è già introdotta nel processo di misura attraverso il collasso della funzione d’onda. Inoltre, il sistema può, pur trovandosi in uno stesso stato, restituire in maniera aleatoria due o più risultati differenti alla stessa misura, eccetto il caso in cui lo stato del sistema è un autostato dell’osservabile in questione; in tal caso, la misura dell’osservabile restituirà con certezza l’autovalore corrispondente. La richiesta che il risultato di una misura non sia univoco, al primo impatto, è in forte contrasto con la teoria della misura in fisica classica: in quest’ultimo caso, l’incertezza di una misura può essere associata alla fluttuazione statistica del sistema attorno alla sua configurazione media e alla sensibilità dello strumento che stiamo utilizzando, quindi può essere ridotta a piacere tramite l’avanzamento tecnologico degli strumenti e lo studio di sistemi con un numero sempre minore di gradi di libertà. Invece, per un sistema quantistico, l’incertezza è associata a un’indeterminazione di alcune proprietà fisiche che non sono determinate prima di effettuare la misura, e dopo di essa possono assumere alcuni valori, con rispettive probabilità. Questa condizione è necessaria per rispettare il principio di sovrapposizione: se un sistema ammette due stati possibili |ψ1 i e |ψ2 i, diversi per più di un fattore di normalizzazione, allora è possibile realizzare uno stato dato dalla sovrapposizione lineare di questi due |ψi = a1 |ψ1 i + a2 |ψ2 i dove a1 , a2 ∈ C. Il principio di sovrapposizione rappresenta uno scarto netto rispetto alla concezione classica della realtà, secondo la quale ad ogni stato fisico determinato corrisponde una configurazione determinata nello spazio delle fasi. Al contrario, nella meccanica quantistica, è ammesso che uno stesso stato fisico contenga la possibilità di due risultati mutuamente esclusivi della misura di un’osservabile, e quindi che non tutte le proprietà fisiche di un sistema siano prevedibili con certezza (probabilità uguale a uno). Questa possibilità è stata alla base della confutazione della completezza della meccanica quantistica da parte di Einstein, Podolsky e Rosen. L’entanglement Le complicazioni su cui verte il paradosso EPR riguardano la natura degli stati entangled. Per descrivere un sistema a due particelle, definiamo la funzione d’onda del sistema nello spazio degli stati dato dal prodotto tensoriale degli spazi relativi. Se |αi i ∈ HA sono gli autoket della prima particella rispetto all’osservabile A e |βj i ∈ HB quelli della seconda particella rispetto a B, allora la funzione d’onda complessiva del sistema |Ψi sarà data dalla combinazione lineare del prodotto tensore degli autoket dei sottospazi: X |Ψi = cij |αi i|βj i i,j e |Ψi ∈ H ≡ HA ⊗ HB . Guardiamo ai coefficienti cij : nel caso in cui è possibile per ogni i, j scrivere cij come un prodotto ai bj , possiamo scomporre la funzione d’onda complessiva: ! X X X |Ψi = ai bj |αi i|βj i = ai |αi i bj |βj i = |ΦA i|ΦB i i,j i j 4 In questo caso, quindi, possiamo fattorizzare la funzione d’onda in due funzioni d’onda delle due particelle, che si trovano cosı̀ ad essere in due stati entrambi ben definiti |ΦA i, |ΦB i. Perciò questo caso corrisponde esattamente a quello di due particelle separate che costituiscono un unico sistema. Viceversa, il caso opposto è quando cij non può essere scritto come prodotto di due fattori ai bj . In tal caso, non c’è modo di separare la funzione d’onda totale in due funzioni di stato delle due particelle prese singolarmente. Lo stato del sistema è perciò detto entangled. In questa situazione, le particelle non hanno uno stato ben definito e quindi non si possono trattare separatamente: il sistema va sempre preso in considerazione nella sua totalità. 1.2 Il paradosso EPR Nel 1935, Einstein, Podolsky e Rosen proposero la loro obiezione alla meccanica quantistica attraverso il famoso paradosso EPR [2]. Lo scopo del lavoro era di dimostrare l’incompatibilità di tre assunzioni chiave: principio di realtà, principio di località, e completezza della meccanica quantistica. Una definizione dei seguenti concetti è la seguente: • principio di realtà: If, without in any way disturbing a system, we can predict with certainty (i. e. with probability equal to unity) the value of a physical quantity, then there exists an element of physical reality corresponding to this physical quantity. [2] • principio di località: The real factual situation of the system S2 is indipendent of what is done with the system S1 , which is spatially separated from the former. (A. Einstein, citato in [3]) • Completezza di una teoria fisica Whatever the meaning assigned to the term complete, the following requirement for a complete theory seems to be a necessary one: every element of the physical reality must have a counterpart in the physical theory. We shall call this the condition of completeness. [2] In questo modo, EPR stabiliscono due princı̀pi che si accordano largamente con la fisica per come l’abbiamo conosciuta finora. In particolar modo, il principio di località è una conseguenza necessaria della teoria della relatività di Einstein, secondo la quale la simultaneità di due eventi (e quindi la loro connessione causale) è determinata dal vettore spaziotemporale che li separa; se due eventi sono separati spazialmente, allora uno non può in nessun modo essere causa o effetto dell’altro. Nel nostro caso questo significa che, se due sistemi fisici in esame sono separati, come specificato nel principio di località nessuna interazione con il primo può modificare le proprietà del secondo, e viceversa. La terza assunzione, la completezza, è la proprietà della meccanica quantistica che gli autori intendono confutare. I due requisiti fondamentali - e sicuramente imprescindibili - posti da EPR per giudicare il successo di una teoria fisica 5 sono per l’appunto la correttezza (ovvero accordo con i dati sperimentali) e la completezza. Se uno dei due venisse a mancare, si avrebbe motivo di rigettare la teoria fisica. A questo punto, stando alla teoria quantistica in esame, ci sono due possibilità: o la meccanica quantistica non è completa oppure quando due operatori associati a due osservabili non commutano, queste non possono avere simultaneamente realtà fisica. La dimostrazione data dagli autori procede per assurdo: supponendo la meccanica quantistica una teoria completa, gli autori arrivano a dimostrare che esistono quantità fisiche che possono avere simultaneamente realtà fisica, anche se gli operatori associati non commutano. Quindi la negazione della prima opzione porta direttamente alla negazione della seconda opzione, l’unica rimasta. Un’altra possibilità sarebbe data dalla violazione della località, per cui sarebbe possibile che degli stati fisici possano influenzarsi reciprocamente sebbene siano separati spazialmente. Ma questa opzione è prontamente rifiutata da Einstein, per il principio di località da lui formulato: But on one supposition we should, in my opinion, absolutely hold fast: the real factual situation of the system S2 is indipendent of what is done with the system S1 , which is spatially separated from the former. [3] Scartata questa ipotesi, dobbiamo concludere per assurdo che l’unica possibilità accettabile è che la meccanica quantistica non sia una teoria completa. L’articolo di EPR si conclude cosı̀: While we have thus shown that the wave function does not provide a complete description of the physical reality, we left open the question of whether or not such a description exists. We believe, however, that such a theory is possible. [2] La speranza di Einstein era, appunto, che potesse esistere una teoria superiore alla meccanica quantistica, basata sul fatto che non siamo in grado di associare realtà fisica ad alcune grandezze per la nostra mancanza o impossibilità di conoscenza di alcune variabili fisiche sottostanti alle grandezze conosciute (variabili nascoste) (VN), conoscendo le quali potremmo rimuovere qualsiasi incertezza e ritrovare un modello determinista e realista di realtà fisica. Una teoria del genere è detta teoria a variabili nascoste, e la possibilità della sua esistenza è stata a lungo oggetto di dibattito. Il teorema di Bell che andremo a esporre dà una risposta alla domanda in questione. 1.3 Il teorema di Bell Con la pubblicazione dell’articolo On the Einstein-Podolsky-Rosen Paradox nel 1964, il fisico irlandese John Stuart Bell ha dato un contributo fondamentale allo studio del paradosso EPR e della possibilità di una teoria a variabili nascoste [3]. Esso prende in considerazione un esperimento ideale pensato da Bohm 6 e Aharonov, concettualmente analogo a quello pensato da EPR per dimostrare l’incompletezza della meccanica quantistica, che esporremo di seguito. Consideriamo un sistema costituito da due particelle libere, di spin 1/2, che si muovono nelle direzioni opposte e dal tempo iniziale si trovano nello stato di singoletto. Misurando le componenti degli spin σ 1 e σ 2 attraverso, per esempio, dei magneti di Stern-Gerlach, possiamo dire che, se la misura di σ 1 · a è uguale a 1, dove a è un vettore unitario, allora la misura di σ 2 · a dovrà restituire -1, e viceversa. Supponendo che le due misure siano effettuate a grandi distanze, l’orientazione di un magnete non dovrebbe influenzare il risultato ottenuto con l’altro magnete. Dato che possiamo però predire in anticipo il risultato di una misura di una qualsiasi componente di σ 2 misurando precedentemente σ 1 , allora il risultato di una misura del genere deve essere determinato a priori. Siccome la funzione d’onda iniziale non determina questo risultato, deve essere possibile una specificazione più completa dello stato in questione. Consideriamo una teoria a variabili nascoste: la VN in questo caso è un parametro (o un insieme di parametri) λ. Possiamo definire i risultati A e B delle misure rispettivamente di σ 1 · a e σ 2 · b cosı̀: A(a, λ) = ±1, B(b, λ) = ±1 (1.2) L’assunzione fondamentale, per soddisfare la richiesta di località di Einstein, è che B non dipenda da a, e A non dipenda da b. Se ρ(λ) è la distribuzione di probabilità della variabile λ, allora il valore atteso del prodotto (σ 1 · a)(σ 2 · b) è dato da Z P (a, b) = dλρ(λ)A(a, λ)B(b, λ) (1.3) e questo risultato è in accordo con la meccanica quantistica se è uguale al valore atteso predetto da quest’ultima, che è h(σ 1 · a)(σ 2 · b)i = −a · b (1.4) Costruiamo un modello per capire se questo risultato è possibile oppure no. Per prima cosa, definiamo come la variabile nascosta influisce sulla misura dello spin di una particella: supponendo di avere una particella di spin 1/2 in uno stato puro di spin con polarizzazione lungo un vettore p. La nostra variabile nascosta sarà un vettore unitario λ con probabilità uniforme sull’emisfero in cui λ · p > 0. Definiamo il risultato di una misura della componente σ 1 · a come sign λ · a0 (1.5) dove a0 è un altro vettore unitario che dipende da a e p in un modo da specificare. La media su λ è quindi hσ · ai = 1 − 2θ0 /π (1.6) dove θ0 è l’angolo tra a0 e p. Se supponiamo che a0 sia ottenuto da a tramite una rotazione attorno a p fino a che 1− 2θ0 = cos θ π (1.7) dove θ è l’angolo tra a e p. Allora otteniamo il risultato cercato: hσ · ai = cos θ 7 (1.8) In questo caso, molto semplice, mostriamo come sia possibile determinare il risultato di una qualsiasi misura specificando il valore di una variabile nascosta. Con questo modello, il carattere probabilistico della meccanica quantistica è causato dal fatto che non possiamo (o non sappiamo) determinare il valore di queste variabili nascoste. In secondo luogo, possiamo riprodurre nella stessa forma (1.3) le sole caratteristiche del valore (1.4) usate per discutere il problema: ( P (a, a) = −P (a, −a) = −1 (1.9) P (a, b) = 0 se a · b = 0 Se per esempio λ fosse un vettore unitaro λ, con distribuzione di probabilità uniforme su tutte le direzioni, avremmo ( A(a, λ) = sign a · λ (1.10) B(b, λ) = −sign b · λ e quindi otterremmo 2θ (1.11) π dove θ questa volta è l’angolo tra a e b, e la (1.11) ha le stesse proprietà della (1.9). Al contrario della (1.4), la funzione (1.11) non è stazionaria sul valore minimo -1, dove θ = 0. Questo risultato è dovuto alle proprietà delle funzioni come la (1.3), come andremo a dimostrare. P (a, b) = −1 + Siccome ρ è una distribuzione di probabilità normalizzata, avremo Z dλρ(λ) = 1 (1.12) e, a causa delle proprietà (1.2), P in (1.3) non può essere minore di -1. Può essere uguale a -1 in a = b solo se A(a, λ) = −B(b, λ) (1.13) eccetto un insieme di punti con probabilità zero. Assumendo questa ipotesi, possiamo riscrivere le (1.3): Z P (a, b) = − dλρ(λ)A(a, λ)A(b, λ) (1.14) Segue che, se c è un altro vettore unitario Z P (a, b) − P (a, c) = − dλρ(λ) [A(a, λ)A(b, λ) − A(a, λ)A(c, λ)] = Z = dλρ(λ)A(a, λ)A(b, λ) [A(b, λ)A(c, λ) − 1] (1.15) usando la (1.2), quindi Z |P (a, b) − P (a, c)| ≤ dλρ(λ) [1 − A(b, λ)A(c, λ)] 8 (1.16) Il secondo termine sulla destra equivale a P (b, c), quindi 1 + P (b, c) ≥ |P (a, b) − P (a, c)| (1.17) Nonostante P sia costante, il termine di destra è generalmente di ordine |b − c| per piccoli |b − c|. Perciò, P (b, c) non può essere stazionario al valor minimo -1 (quando b = c) e non può essere uguale al valore atteso dalla meccanica quantistica. Abbiamo dimostrato che l’andamento della teoria a variabili nascoste, cosı̀ definita, non può essere lo stesso della meccanica quantistica. Verifichiamo adesso che il valore atteso (1.4) non può essere arbitrariamente vicino alla predizione data dalla (1.3). Tralasciamo il caso in cui l’approssimazione non sia valida per punti isolati, quindi prendiamo in esame le funzioni P̄ (a, b) e −a · b dove la barra indica medie indipendenti di P (a0 , b0 ) e −a0 · b0 su vettori a0 e b0 entro angoli assegnati piccoli di a e b. Supponiamo che per ogni a e b la differenza tra le due quantità sia più piccola di un termine ε: |P̄ (a, b) + a · b| ≤ ε (1.18) Se questo ε può essere reso piccolo a piacere, possiamo concludere che la teoria VN può approssimare con precisione arbitraria le previsioni della MQ. Altrimenti, dobbiamo concludere che la (1.3) non può rappresentare in alcun modo il valore atteso dalla MQ. Supponiamo che per ogni a e b sia |a · b − a · b| ≤ δ (1.19) |P̄ (a, b) + a · b| ≤ ε + δ (1.20) allora dalla (1.18) si ottiene Stando alla definizione (1.3), abbiamo che Z P̄ (a, b) = dλρ(λ)Ā(a, λ)B̄(b, λ) (1.21) dove necessariamente |Ā(a, λ)| ≤ 1 e |B̄(b, λ)| ≤ 1 Perciò, dalla (1.20) e (1.21), abbiamo che per a = b Z dλρ(λ) Ā(b, λ)B̄(b, λ) + 1 ≤ ε + δ (1.22) (1.23) e quindi, dalla (1.21) Z P̄ (a, b) − P̄ (a, c) = Z = Z − dλρ(λ) Ā(a, λ)B̄(b, λ) − Ā(a, λ)B̄(c, λ) = dλρ(λ)Ā(a, λ)B̄(b, λ) 1 + Ā(b, λ)B̄(c, λ) + dλρ(λ)Ā(a, λ)B̄(c, λ) 1 + Ā(b, λ)B̄(b, λ) 9 (1.24) Allora, usando la (1.22) Z |P̄ (a, b) − P̄ (a, c)| ≤ Z + dλρ(λ) 1 + Ā(b, λ)B̄(c, λ) + (1.25) dλρ(λ) 1 + Ā(b, λ)B̄(b, λ) che ci porta a - dalla (1.21) e (1.23) |P̄ (a, b) − P̄ (a, c)| ≤ 1 + P̄ (b, c) + ε + δ (1.26) e finalmente, usando la (1.20), possiamo scrivere la disuguaglianza generale |a · c − a · b| − 2(ε + δ) ≤ 1 − b · c + 2(ε + δ) oppure 4(ε + δ) ≥ |a · c − a · b| + b · c − 1 (1.27) Applicando questa equazione in una caso √ particolare mostriamo la nostra tesi. Prendiamo a · c = 0, a · b = b · c = 1/ 2. In tal caso √ 4(ε + δ) ≥ 2 − 1 E quindi abbiamo mostrato che, per δ finiti piccoli a piacere, ε non può essere anch’esso piccolo a piacere. Abbiamo dimostrato cosı̀ che la previsione della MQ non può essere riprodotta né accuratamente né con precisione arbitraria dall’espressione fornita dalla teoria VN, data nella (1.3). Possiamo generalizzare questa dimostrazione? Abbiamo spiegato come, per due spazi di Hilbert bidimensionali, esistano due operatori σ 1 e σ 2 , per i quali possiamo trovare uno stato nel prodotto degli spazi (singoletto), nel quale la previsione della MQ è radicalmente differente dalla previsione di qualsiasi teoria VN. Perciò, se consideriamo spazi di dimensione maggiore di 2, possiamo sempre considerare dei sottospazi bidimensionali e definire degli operatori analoghi ai precedenti che, per i princı̀pi della MQ [1], corrisponderanno anch’essi a delle osservabili fisiche (in quanto operatori hermitiani con un set completo di autostati). Perciò questa dimostrazione è valida per analogia in qualunque spazio di Hilbert con dimensione maggiore o uguale a due. Quali conclusioni teoriche possiamo trarre? Abbiamo osservato che nessuna teoria VN può riprodurre in alcun modo i risultati della MQ. Al termine del suo articolo, Bell afferma: In a theory in which parameters are added to quantum mechanics to determine the results of individual measurements, without changing the statistical predictions, there must be a mechanism whereby the setting of one measuring device can influence the reading of another instrument, however remote. Moreover, the signal involved must propagate instantaneously, so that such theory could not be Lorentz invariant. [3] Questa affermazione è diretta conseguenza della dimostrazione di cui sopra; l’assunto fondamentale era che nella teoria VN i risultati delle misure sul singolo magnete non dipendessero dall’orientazione dell’altro magnete, ovvero che A 10 dipendesse solo da a e B solo da b. Dato che una teoria basata su questo principio però conduce a previsioni diverse dalla MQ, allora se vogliamo formulare una teoria VN che riproduca i risultati della MQ, dobbiamo accettare necessariamente la non-località, ovvero che due sistemi spazialmente separati possano influenzarsi l’uno con l’altro. Inoltre, il segnale trasmesso tra i due sistemi si dovrebbe propagare istantaneamente, per cui la teoria non sarebbe invariante per trasformazioni di Lorentz. Questa conclusione è nota anche come teorema di Bell, che è ora possibile enunciare: Non è possibile formulare una teoria locale a variabili nascoste in grado di produrre esattamente gli stessi risultati della meccanica quantistica. Si aprono quindi due possibilità: o esistono in natura delle violazioni alle disuguaglianze di Bell, e quindi la MQ è corretta e non lo sono le teorie locali VN, oppure non sono possibili queste violazioni, e quindi è vero il contrario. Al tempo in cui Bell scriveva non c’erano prove sperimentali che conducessero a una opzione o all’altra. Diversi esperimenti sono stati fatti [4] [5], sui quali non ci soffermeremo, che portano evidenze sperimentali sulla violazione delle disuguaglianze di Bell. Sebbene siano stati fatti anche altri esperimenti che invece portano a risultati in disaccordo con la MQ [6], la maggior parte degli esperimenti conferma l’accordo con la MQ e, come segnalato da molti autori, le condizioni sensibili per cui si possono osservare violazioni sono rare, perché le perturbazioni sull’apparato sperimentale tendono a scorrelare i sistemi in esame, mentre le violazioni si possono osservare solo in caso di buona correlazione. 1.4 Località e causalità È importante sciogliere la contraddizione comunque emersa tra MQ e località; è veramente possibile trasmettere informazioni a velocità maggiori della luce, in totale disaccordo con la teoria della relatività ristretta? Per analizzare la questione ricorriamo all’uso dell’operatore densità come definito dalla MQ. La matrice densità Quando effettuiamo una misura in meccanica quantistica, sappiamo che lo stato del sistema viene proiettato su uno degli autostati dell’osservabile che si sta misurando; perciò dopo la misura si è alterato lo stato del sistema e quindi non ha senso effettuare altre misure per ottenere informazioni sul sistema di partenza. Per definire, ad esempio, il valore medio di un’osservabile su uno stato quantistico, facciamo ricorso alla seguente rappresentazione: se avessimo infinite repliche dello stato quantistico |ψi, allora il valor medio dell’osservabile A sarebbe dato da hAi = hψ|Â|ψi nel caso in cui |ψi sia normalizzata. Se introduciamo ora un’incertezza classica nella preparazione delle repliche, avremo che lo stato |ψi i ha una probabilità pi di essere preparato, e la somma di tutte le pi sarà uguale a 1. In questo caso, il valor medio dell’osservabile A sarà dato da X hAi = pi hψi |Â|ψi i i 11 Definiamo cosı̀ uno stato puro dato dal ket |ψi, e una miscela statistica data dai ket |ψi i. A questo punto possiamo definire l’operatore matrice densità ρ X ρ= pi |ψi ihψi | (1.28) i Ricordiamo le proprietà di questo operatore: X T r(ρ) ≡ hn|ρ|ni = 1 (1.29) n hAi = T r(ρÂ) (1.30) La prima di queste proprietà ci dà la traccia di ρ (che come per ogni operatore è indipendente dalla scelta della base), la seconda ci dice che possiamo calcolare il valor medio di una qualunque osservabile A dalla traccia di ρÂ. Nel caso in cui ci troviamo in uno stato puro |ψi , abbiamo ρ = |ψihψ|. Effettuando delle misure di A su questo stato, portiamo ogni replica in un diverso autostato |λi dell’operatore Â. Dallo stato puro creiamo cosı̀ una miscela statistica. La matrice densità dello stato finale ρf è data da X ρf = Pλ ρi Pλ (1.31) λ dove Pλ = |λihλ| è il proiettore sull’autostato |λi e ρi = |ψihψ| è la matrice densità iniziale. La MQ viola la località? Vediamo ora come affrontare il problema della causalità; immaginiamo due osservatori, Alice e Bob, che misurano entrambi un’osservabile, rispettivamente A e B, su un medesimo stato entangled |ψi. Se lo stato fosse separabile - non entangled - la misura di A da parte di Alice farebbe collassare la funzione d’onda riferita al suo sottospazio, senza alcuna modifica della funzione d’onda riferita al sottospazio di Bob, e viceversa. In questo caso la misura di una delle due osservabili non è influenzata dalla misura dell’altra. Al contrario, se come si è detto lo stato è entangled, la misura di A o B causa il collasso della funzione d’onda totale, e quindi l’osservatore che misura successivamente l’altra osservabile compie la misura su una nuova funzione d’onda. Questo è l’aspetto centrale della questione: se Bob può compiere delle misure che forniranno un risultato diverso a seconda della misura compiuta o meno da Alice, allora, anche se Bob e Alice sono isolati, dal risultato della misura Bob può ottenere un’informazione che si è propagata istantaneamente, grazie al collasso della funzione d’onda. Questa affermazione è in netto disaccordo con il principio di località, conseguenza della causalità nella teoria della relatività ristretta. La questione può essere risolta se consideriamo che l’unico modo che ha Bob per sapere se Alice ha fatto la misura o meno è valutare il valor medio dell’osservabile B nei due casi. Se è Bob il primo a fare la misura, allora la eseguirà sullo stato puro iniziale |ψi del sistema, perciò avremo hBi1 = hψ|B̂|ψi 12 (1.32) Se invece è Alice a misurare per prima l’osservabile A, per calcolare il nuovo valore atteso hBi2 di B in questo caso ricorriamo alla matrice densità: come detto prima, la densità finale di A sarà X (A) (A) (A) ρf = Pλ ρ i Pλ λ Perciò ! hBi2 = (A) T r(ρf B̂) = Tr X (A) (A) Pλ ρi Pλ B̂ λ = X = X (A) (A) hψ|Pλ B̂Pλ |ψi λ = X (A) (A) hn|Pλ |ψihψ|Pλ B̂|ni = n,λ = X (A) (A) hψ|Pλ Pλ B̂|ψi λ = X (A) hψ|Pλ B̂|ψi = λ hψ|λihλ|B̂|ψi = hψ|B̂|ψi = λ = hBi1 (1.33) dove, nei vari passaggi, abbiamo sfruttato il fatto che [Â, B̂] = 0 per due osservabili riferite a due osservatori separati spazialmente (risultato ottenuto dalla (A) (A) meccanica quantistica relativistica), quindi Pλ e B̂ commutano perché Pλ (A) (A) (A) dipende solo da Â. Inoltre Pλ Pλ = Pλ , proprietà di ogni proiettore. Per il penultimo passaggio abbiamo sfruttato la relazione di completezza. Troviamo quindi che il valor medio osservato da Bob è assolutamente identico nei casi in cui Alice effettua o no la misura, se Alice e Bob sono separati spazialmente, quindi Alice non trasmette alcuna informazione. Perciò, la MQ garantisce che non ci può essere trasmissione d’informazioni tra due osservatori a velocità maggiori di quelle della luce, in accordo con la teoria della relatività. 13 Capitolo 2 Teletrasporto quantistico 2.1 Teorema di no-cloning Una premessa importante nello studio del teletrasporto quantistico è il teorema di no-cloning, formulato da Wootters e Zurek [7]. L’enunciato è il seguente: Non può esistere un sistema in grado di replicare uno stato quantistico arbitrario. Gli autori del teorema forniscono una prova basata sulla clonazione di fotoni con lo stesso stato di polarizzazione. Se esistesse un amplificatore in grado di replicare un fotone che si trova in uno stato di polarizzazione |si, l’operazione sullo stato del sistema sarebbe la seguente: |ψ0 i|si → |ψs i|ssi (2.1) dove |ψ0 i è lo stato iniziale dell’apparato e |ψs i è il suo stato finale, che può dipendere oppure no dalla polarizzazione del fotone incidente. Il ket |ssi indica lo stato in cui sono presenti due fotoni con la stessa polarizzazione. Supponiamo di poter costruire un duplicatore come il precedente per gli stati di polarizzazione verticale |vi e orizzontale |hi. In tal caso, possiamo rappresentare l’amplificatore tramite un operatore  tale che Â|ψ0 i|vi = |ψv i|vvi (2.2) Â|ψ0 i|hi = |ψh i|hhi (2.3) Secondo la meccanica quantistica, questo operatore  dovrà essere necessariamente lineare. Quindi lo stato risultante dall’amplificazione di una combinazione lineare degli stati di polarizzazione H e V dovrà essere uguale alla combinazione lineare degli stati H e V amplificati. Calcoliamo lo stato prodotto dall’amplificazione dello stato α|vi + β|hi: stando alla definizione precedente e imponendo la linearità di  , avremo Â|ψ0 i(α|vi + β|hi) = α|ψv i|vvi + β|ψh i|hhi (2.4) Questo stato finale è diverso a seconda che gli stati finali dell’apparato nei due casi (|ψv i e |ψh i) siano differenti o no. 14 Se |ψv i = 6 |ψh i, allora i fotoni prodotti dall’amplificatore sono in uno stato di polarizzazione misto. Se |ψv i = |ψh i, lo stato di polarizzazione dei fotoni è α|vvi + β|hhi (2.5) Nessuno di questi due casi corrisponde allo stato in cui abbiamo due fotoni con la stessa polarizzazione α|vi + β|hi iniziale. Questo stato, infatti, corrisponde al vettore (α|vi + β|hi)(α|vi + β|hi) = α2 |vvi + 2αβ|vhi + β 2 |hhi (2.6) Abbiamo perciò dimostrato che un apparato di amplificazione non può replicare un generico stato quantistico; vista la generalità con cui abbiamo costruito l’operatore di amplificazione (imponendo solo la linearità) e la possibilità di estendere per analogia il ragionamento usato con i fotoni a ogni altro sistema quantistico, possiamo affermare che non possono esistere apparati in grado di clonare uno stato quantistico arbitrario. In questo modo abbiamo provato il teorema di no-cloning. Notiamo che il teorema non afferma che nessuno stato quantistico possa essere replicato. Il problema è che, per costruire l’apparato di amplificazione, abbiamo dovuto associarlo ad un operatore definito su una base del nostro spazio, e la scelta della base cambia le proprietà dell’operatore. Se lo avessimo definito su una base costituita da stati di polarizzazione a ± 45◦ , per esempio, avremmo avuto lo stesso problema di prima per gli stati con polarizzazione V e H. In conclusione, per essere sicuri che un apparato del genere stia effettivamente replicando uno stato quantistico, bisogna prima avere osservato lo stato in questione, ma questo significa ridurre le informazioni contenute nello stato originario (collasso della funzione d’onda) e quindi si torna al problema della riproducibilità di un’informazione in termini classici. Al contrario, la non riproducibilità dell’informazione è una delle caratteristiche fondamentali dell’informazione quantistica. 2.2 Realizzazione teorica del teletrasporto Una possibile realizzazione del teletrasporto quantistico è stata proposta [8], e si basa sullo sfruttamento di due canali d’informazione, uno classico e uno quantistico (entangled). Anzitutto è importante dare una definizione del fenomeno: quando un sistema quantistico, in uno stato qualsiasi |ψi scompare e dopo un certo intervallo di tempo ricompare nello stesso stato |ψi in un’altra posizione, chiamiamo questo fenomeno teletrasporto quantistico. Chiaramente è importante sottolineare che, perché il processo sia fisicamente realizzabile, deve rispettare alcuni limiti fisici: ad esempio il sistema non può superare la velocità della luce, quindi non potrà teletrasportarsi su distanze di tipo spazio. Consideriamo adesso un possibile modo per realizzare questo fenomeno: abbiamo due osservatori, Alice e Bob. Il sistema di Alice, che può essere un fotone o una particella con spin 1/2, si trova in uno stato quantistico |ψi sconosciuto a priori, e l’obbiettivo è che Alice possa mandare a Bob un’informazione sufficiente affinché lui possa ricostruire lo stato. In generale sarebbe sufficiente conoscere lo stato |ψi e inviare in modo classico i dati sufficienti per descriverlo, ma nella 15 maggior parte dei casi questo non è possibile con una sola misura. Infatti, ogni volta che effettuiamo una misura, il collasso della funzione d’onda distrugge lo stato originario, quindi dovremmo avere a disposizione infinite repliche dello stato originario per determinarne lo stato quantistico con esattezza (e non è il caso che vogliamo trattare). Un’idea interessante sarebbe produrre una copia del sistema quantistico di Alice e inviarla direttamente a Bob, che cosı̀ avrebbe direttamente lo stato quantistico richiesto. Ma in questo caso, non solo il fenomeno non sarebbe di teletrasporto per come l’abbiamo definito - dato che Alice manterrebbe l’originale dello stato quantistico -, ma si violerebbe direttamente il teorema di no-cloning che abbiamo precedentemente dimostrato. Possiamo però seguire questa strada, con qualche correzione: immaginiamo, in linea generale, che Alice faccia interagire lo stato |ψi con un sistema ausiliario nello stato iniziale |a0 i, e che dopo l’interazione |ψi si trasformi in |ψ0 i, mentre l’informazione sullo stato iniziale sia interamente contenuta nello stato finale del sistema ausiliario, |ai, in modo che, inviando quest’ultimo, Bob possa ricostruire perfettamente lo stato |ψi. In questo modo abbiamo spedito l’informazione a Bob in un modo più semplice (per come avremo costruito il sistema ausiliario) e avremo distrutto il sistema di Alice al termine del teletrasporto, rispettando il vincolo del no-cloning. Per formulare quantitativamente il modello, usiamo come sistema ausiliario due particelle con spin 1/2 che si trovano inizialmente in uno stato entangled 1 (−) |Ψ23 i = √ (| ↑2 i| ↓3 i − | ↓2 i| ↑3 i) 2 (2.7) Gli indici 2 e 3 indicano le singole particelle entangled, mentre la particella di Alice nello stato |ψi sarà indicata nello con l’indice 1. A questo punto, le particelle 2 e 3 sono separate spazialmente: la 2 è inviata ad Alice, la 3 a Bob. Possiamo descrivere le tre particelle come un unico sistema (−) nello stato |ψi|Ψ23 i. Notiamo che in questo stato non c’è nessuna correlazione tra le particelle 2 e 3 e lo stato originario (particella 1), quindi Bob non può ricevere nessuna informazione su 1 da una misura su 3. Se il sistema 1 è, per esempio, una particella con spin 1/2, allora possiamo scrivere lo stato |ψi = |ψ1 i come |ψ1 i = a| ↑1 i + b| ↓1 i (2.8) con |a|2 + |b|2 = 1. Perciò possiamo riscrivere lo stato complessivo come b a |Ψ123 i = √ (| ↑1 i| ↑2 i| ↓3 i − | ↑1 i| ↓2 i| ↑3 i) + √ (| ↓1 i| ↑2 i| ↓3 i − | ↓1 i| ↓2 i| ↑3 i) 2 2 (2.9) Possiamo riscrivere la (2.9) nella base di autostati del sistema composto da 1 e 2: 1 (±) |Ψ12 i = √ (| ↑1 i| ↓2 i ± | ↓1 i| ↑2 i) 2 1 (±) |Φ12 i = √ (| ↑1 i| ↑2 i ± | ↓1 i| ↓2 i) 2 16 (2.10) Raggruppando i termini, otteniamo 1 (−) (+) |Ψ123 i = [|Ψ12 i(−a| ↑3 i − b| ↓3 i) + |Ψ12 i(−a| ↑3 i| + b| ↓3 i)+ 2 (−) (+) + |Φ12 i(a| ↓3 i + b| ↑3 i) + |Φ12 i(a| ↓3 i − b| ↑3 i)] (2.11) Segue che, indipendentemente dallo stato |ψ1 i di partenza, i quattro possibili risultati di una misura sono tutti equiprobabili (p = 1/4). Per cui, dopo che Alice avrà effettuato la misura, la particella 3 sarà collassata in uno dei quattro stati puri della (2.11), che, usando la rappresentazione spinoriale per cui a |ψ1 i = b sono a −|ψ3 i ≡ − , b −1 0 0 |ψ3 i, 1 0 1 1 |ψ3 i, 0 0 1 −1 |ψ3 i 0 (2.12) Perciò, dato che |ψ3 i = |ψ1 i, lo stato della particella 3 (inviata a Bob) dopo che Alice effettua la misura è direttamente collegato allo stato incognito che volevamo inviare. Nel primo caso (singoletto), lo stato finale è cambiato solo di un fattore di fase globale, e quindi irrilevante. Negli altri, per riottenere lo stato iniziale Bob deve ruotare lo stato di 180◦ in una precisa direzione (vedi (2.12)) per riottenere lo stato iniziale. Quindi, una volta effettuata la misura da parte di Alice, la particella 3 in mano a Bob contiene tutte le informazioni necessarie per determinare lo stato che volevamo trasportare, ma per utilizzarle bisogna conoscere il risultato della misura di Alice per sapere quale operazione bisogna fare. Il teletrasporto quindi non è ancora completo. A questo punto entra in gioco la comunicazione di un’informazione classica. Il risultato della misura di Alice è un’informazione puramente classica a due bit (4 possibili risultati). Perciò l’unica difficoltà a questo punto è comunicare a Bob il risultato della misura, in modo che lui sappia quale trasformazione operare per ricreare lo stato originario. Il fatto che quest’informazione venga trasferita classicamente ci assicura che il teletrasporto non può avvenire a distanze di tipo spazio. Lo stato di Alice, dopo la misura, è collassato in uno degli autostati dello spin totale di 1 e 2, e quindi non conserva alcuna informazione sullo stato originario |ψ1 i inviato. Questo significa che Alice non può in alcun modo riprodurre lo stato di partenza (a meno di non conoscerlo a priori, ipotesi falsa per uno stato generico), e quindi il sistema è stato a tutti gli effetti trasferito e non duplicato. Perciò il metodo proposto obbedisce al teorema di no-cloning. È importante inoltre sottolineare che, nel processo di teletrasporto, abbiamo ricreato lo stato a distanza ma non abbiamo guadagnato alcuna informazione su di esso. Uno schema del fenomeno è riportato in figura 2.1. 2.3 Esperimenti sul teletrasporto In seguito alla proposta teorica del teletrasporto [8], sono stati effettuati vari esperimenti per realizzare in laboratorio il teletrasporto degli stati. Ne consideriamo due, i primi in ordine cronologico (1997), confrontando i metodi usati: 17 Figura 2.1: Diagramma spazio-temporale del teletrasporto quantistico. Il tempo scorre dall’alto verso il basso. Le linee doppie continue rappresentano una coppia di bit (informazione classica), le linee tratteggiate una coppia di particelle entangled, le linee ondulate una particella in uno stato incognito |ψi l’esperimento di Boschi et al. [9], effettuato a Roma, e l’esperimento di Bouwmeester et al. [10], effettuato a Innsbruck. È importante sottolineare che i due esperimenti sono stati effettuati indipendentemente, e nell’ordine è stato effettuato prima l’esperimento di Roma e dopo l’esperimento di Innsbruck. Entrambi gli esperimenti sono stati effettuati grazie alla teoria dell’ottica quantistica. L’esperimento di Roma Nell’esperimento condotto a Roma, è stato scelto di usare un metodo di trasmissione dell’informazione attraverso uno stato entangled differente da quello proposto da Bennett et al.. Invece di usare tre fotoni (le tre particelle proposte), ne sono stati usati due, e l’entanglement non è stato realizzato sullo stato di polarizzazione bensı̀ sulla posizione dei due fotoni. L’esperimento ha due finalità: 1. Dimostrare che il teletrasporto è una forma di comunicazione dovuta necessariamente ad effetti quantistici, perché viene violato un limite classico 2. Verificare il successo del teletrasporto nei vari stati di polarizzazione Riguardo al primo punto, la meccanica quantistica predice che, se il teletrasporto avviene attraverso forme di comunicazione classiche, la probabilità media del suo successo è S ≤ 0.75. Nell’esperimento di Roma, si è misurato il valore S attraverso il rapporto tra le coincidenze dei conteggi da parte di Alice e Bob che indicavano il successo del teletrasporto e i conteggi totali. Il calcolo sperimentale ha quindi fornito il valore S = 0.853 ± 0.012, che supera il valore limite S = 0.75 di otto deviazioni standard. Quindi il teletrasporto non può essere stato realizzato per via classica. 18 Riguardo al secondo punto, si misurano le coincidenze sperimentali tra l’invio della particella di Alice (trasmittente) in un determinato stato di polarizzazione e la sua ricezione da parte di Bob (ricevente) in tale stato. I risultati ottenuti sono in ottimo accordo con le previsioni teoriche. Questo primo esperimento ha mostrato il successo del teletrasporto. L’esperimento di Innsbruck In questo esperimento, al contrario che in quello precedente, viene applicata la metodologia proposta da Bennett per effettuare il teletrasporto quantistico. Il sistema in esame adopera quattro fotoni, in cui tre vengono usati come nello schema di Bennett e il quarto viene utilizzato come trigger, ed indica che il teletrasporto è in corso. L’obbiettivo dell’esperimento è usare il protocollo di Bennett per teletrasportare una particella (un fotone) e verificare il successo del trasferimento. Per fare questo, gli autori mostrano che il teletrasporto funziona sui vari stati di polarizzazione possibili (lineare e circolare). Come nell’esperimento precedente, anche in questo caso misuriamo il tasso di coincidenza tra la misura della polarizzazione delle particelle di Alice (lo stato da teletrasportare e una delle particelle entangled) che ci riconduce al loro stato, e la misura della polarizzazione della particella in mano a Bob. Per effettuare l’esperimento, restringiamo i casi in cui effettuiamo il teletrasporto ai casi in cui le particelle di Alice (fotoni 1 e 2) vengono rivelati in uno stato di singoletto, che implica che Bob abbia il fotone 3 direttamente nello stato che desideravamo teletrasportare (senza dover effettuare alcuna trasformazione). Misurando la visibilità della polarizzazione nei vari casi, i risultati sono in buon accordo tra l’andamento dei risultati sperimentali e la previsione teorica. Questo esperimento conferma che è possibile realizzare il teletrasporto quantistico. Confronto tra i due esperimenti I due esperimenti sono effettivamente diversi. Entrambi vogliono dimostrare la possibilità del teletrasporto quantistico, ma seguono due strade differenti, anche in senso concettuale. Infatti, nell’esperimento di Roma il fotone che abbiamo teletrasportato non ha i requisiti di generalità che invece sono possibili usando il metodo di Bennett. Il fatto che venga creato in uno stato entangled impone delle restrizioni al suo stato in relazione con gli altri fotoni del sistema. In particolare, questo fotone è a un tempo stesso sia parte del sistema da teletrasportare sia parte del sistema analizzatore: questa duplice funzione impedisce, per esempio, che il fotone da teletrasportare sia esterno all’apparato del teletrasporto, condizione che non era richiesta invece da Bennett e neanche da Bouwmeester. Al contrario, l’esperimento di Innsbruck non contiene questa limitazione; sebbene sia capace di realizzare il teletrasporto solo nel 25 % dei casi (quando riveliamo lo stato di singoletto dei fotoni 1 e 2), per questi casi il teletrasporto funziona realmente con uno stato generico. Per molto tempo si è discusso riguardo la priorità di questi due esperimenti; in un certo senso, è vero che l’esperimento di Roma ha preceduto temporalmente (ma non influenzato) l’esperimento di Innsbruck, ma sicuramente è l’esperimento di Innsbruck che per primo ha realizzato il teletrasporto di uno stato generico. Riguardo all’esperimento di Roma, è importante tuttavia osservare che, se si lavora con polarizzazione e vettore d’onda dello stesso fotone, l’informazione 19 trasportata (in informazione quantistica un qubit, da quantum bit) è associata a gradi di libertà della particella non coinvolti nel processo del teletrasporto - lo stato di polarizzazione per l’appunto. Questa modifica al teletrasporto proposto da Bennett, basata sull’estensione del concetto di qubit, ha avuto importanti conseguenze nello sviluppo dell’informazione quantistica. Negli ultimi anni, si sono sviluppati ulteriori e importanti esperimenti sul teletrasporto. In questa sede ci siamo limitati ai primi due, che hanno avuto il merito di aprire la strada, ma è bene ricordare che il terreno di ricerca è tuttora aperto e in continua evoluzione. 20 Conclusioni Con questa dissertazione si è mostrata l’importanza di un fenomeno fisico come l’entanglement, che è stato al centro di grandi dibattiti sulla completezza della meccanica quantistica. Abbiamo potuto vedere l’importanza del paradosso EPR e soprattutto del teorema di Bell che, ribadendo l’incompatibilità dei princı̀pi di realtà e località con la completezza della meccanica quantistica, ha mostrato che anche le sue previsioni (cioè la sua correttezza) sono incompatibili con qualsiasi teoria locale a variabili nascoste. In questo modo si è definitivamente spento il desiderio di Einstein, che credeva nella possibilità di formulare una teoria realista e locale in accordo con la meccanica quantistica - che, lo ricordiamo, è stata oggetto di innumerevoli conferme sperimentali. Ad ogni modo, come abbiamo potuto vedere, la meccanica quantistica si è rivelata comunque coerente con la causalità definita dalla relatività ristretta. Le conseguenze di queste ricerche sono di grande valore, sia dal punto di vista speculativo che applicativo. Il teorema di Bell e la rinuncia ai prı̀ncipi di realtà o di località hanno avuto conseguenze filosofiche molto profonde, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di salvaguardare il determinismo, che oggi è messo seriamente in dubbio da molte teorie fisiche, come abbiamo visto per la meccanica quantistica, ma anche per lo studio dei sistemi dinamici. Le conseguenze dell’entanglement e la non località della meccanica quantistica aprono un’ulteriore sfida al senso comune e ai princı̀pi fisici più consolidati e dati per scontati. Dal punto di vista pratico, abbiamo avuto modo di studiare e verificare la possibilità di realizzare, attraverso le proprietà dell’entanglement, un primo esempio di teletrasporto di sistemi quantistici. Questa è una delle principali applicazioni dello studio teorico ma non è l’unica: l’informazione quantistica e la crittografia quantistica sono gli altri due campi sui quali si sta concentrando maggiormente la ricerca, proprio per gli straordinari risultati applicativi a cui potrebbe approdare. Sebbene la ricerca e soprattutto la sperimentazione in merito siano ancora ad uno stadio molto iniziale, esse contengono delle premesse molto promettenti per i loro sviluppi futuri. 21 Bibliografia [1] P. A. M. Dirac, The Principles of Quantum Mechanics, Oxford University Press, 1930 [2] A. Einstein, B. Podolsky, N. Rosen, Can Quantum-Mechanical Description of Physical Reality Be Considered Complete?, Physical Review, 47, 777 (1935) [3] J. S. Bell, On the Einstein-Podolsky-Rosen Paradox, Physics, 1, 195 (1964) [4] S. J. Freedman, J. F. Clauser, Experimental Test of Local Hidden-Variable Theories, Phys. Rev. Lett. 28, 938 (1972) [5] A. Aspect, J. Dalibard, G. Roger, Experimental Test of Bell’s Inequalities Using Time-Varying Analyzers, Phys. Rev. Lett., 49, 1804 (1982) [6] G. Faraci, S. Gutkowski, S. Notarrigo, A. R. Pennisi, An Experimental Test of the EPR Paradox, Lett. Nuovo Cimento, 9, 607 (1974) [7] W. K. Wootters, W. H. Zurek, A Single Quantum Cannot Be Cloned, Nature, 299, 802 (1982) [8] C. H. Bennett, G. Brassard, C. Crépeau, R. Jozsa, A. Peres, W. K. Wootters, Teleporting an Unknown Quantum State via Dual Classical and Einstein-Podolsky-Rosen Channels, Phys. Rev. Lett., 70, 1895 (1993) [9] D. Boschi, S. Branca, F. De Martini, L. Hardy, S. Popescu, Experimental Realization of Teleporting an Unknown Pure Quantum State via Dual Classical and Einstein-Podolsky-Rosen Channels, Phys. Rev. Lett., 80, 1121 (1998) [10] D. Bouwmeester, J.-W. Pan, K. Mattle, M. Eibl, H. Weinfurter, A. Zeilinger, Experimental Quantum Teleportation, Nature, 390, 575 (1997) 22