ENTANGLEMENT E TELETRASPORTO QUANTISTICO

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FACOLTÀ DI SCIENZE
MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI
Corso di Laurea in Fisica
ENTANGLEMENT E
TELETRASPORTO QUANTISTICO
Dissertazione di Laurea Triennale in Fisica
Candidato
Alessandro Manacorda
Relatore
Prof. Massimo Testa
Anno Accademico 2009-2010
Indice
Introduzione
2
1 La meccanica quantistica: formulazione,
Bell
1.1 I princı̀pi della meccanica quantistica . .
1.2 Il paradosso EPR . . . . . . . . . . . . .
1.3 Il teorema di Bell . . . . . . . . . . . . .
1.4 Località e causalità . . . . . . . . . . . .
obiezioni e teorema di
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3
3
5
6
11
2 Teletrasporto quantistico
14
2.1 Teorema di no-cloning . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
2.2 Realizzazione teorica del teletrasporto . . . . . . . . . . . . . . . 15
2.3 Esperimenti sul teletrasporto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
Conclusioni
21
Bibliografia
22
1
Introduzione
A partire dalla sua formulazione, la meccanica quantistica è stata oggetto di
numerose e profonde discussioni a proposito nel suo nuovo modo di vedere la
realtà: al contrario di tutte le teorie fisiche precedenti, questa si è concentrata
esplicitamente e direttamente non sulla descrizione della realtà fisica, cioè di
come la realtà è veramente - a prescindere dal senso che può avere questa frase
-, bensı̀ sulla predizione delle misure di osservabili fisiche di stati microscopici
per i quali non si potevano applicare le stesse nozioni apprese nello studio della
fisica classica. Questo approccio ha sconvolto e riparametrato molte delle basi
della fisica, ed è stato sottoposto a numerosi test teorici o sperimentali per confermarne la validità.
Nella prima parte di questa dissertazione prenderemo in esame il caso dell’entanglement, che è stato al centro di un dibattito ancora in corso sulla coerenza
della meccanica quantistica con i princı̀pi di realtà e località, come definiti nella
fisica classica. Partendo dal paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen, che posero la questione per la prima volta nel 1935, discuteremo approfonditamente il
teorema di Bell, che ha rappresentato una pietra miliare nello studio della meccanica quantistica e della sua coerenza con le altre teorie fisiche, in particolare
con la relatività ristretta.
Nella seconda parte, discuteremo il teletrasporto quantistico, una delle possibili
e più interessanti applicazioni pratiche dell’entanglement e delle sue proprietà.
Ci concentreremo soprattutto sulla sua possibile realizzazione teorica e pratica; per la prima proporremo un metodo, per la seconda ci avvarremo di alcuni
risultati sperimentali che ne confermano la validità, e che hanno costituito un
punto di partenza positivo per esperimenti successivi.
2
Capitolo 1
La meccanica quantistica:
formulazione, obiezioni e
teorema di Bell
1.1
I princı̀pi della meccanica quantistica
La meccanica quantistica, secondo l’interpretazione di Copenhagen, introduce
un nuovo formalismo adatto a descrivere il comportamento di stati microscopici.
Questo è basato sulla descrizione di un sistema meccanico non più attraverso le
sue coordinate nello spazio delle fasi (qi , pi ), bensı̀ attraverso la definizione di
una funzione d’onda per il sistema in esame, ovvero un vettore in uno spazio di
Hilbert che contiene tutte le informazioni sullo stato del sistema. Per reintrodurre tutte le osservabili fisiche, la meccanica quantistica definisce il processo
di misura nel seguente modo (usando la notazione di Dirac):
• Lo stato del sistema è completamente descritto da un vettore |ψi nello
spazio di Hilbert
• f è un’osservabile fisica ⇔ f = f (qi , pi , t)
• In generale è possibile associare all’osservabile f un operatore hermitiano
fˆ nello spazio di Hilbert H
• Ogni misura di f sul sistema restituisce uno degli autovalori di fˆ
• Nell’istante successivo alla misura, lo stato del sistema si riduce all’autostato dell’osservabile corrispondente all’autovalore fornito dalla misura
stessa: |ψi → |αi, dove fˆ|αi = α|αi (collasso della funzione d’onda)
• Il valor medio hf i di un’osservabile f misurata con il sistema allo stato ψ
è dato da
hψ|fˆ|ψi
hf i =
(1.1)
hψ|ψi
Questa teoria della misura, introdotta da P. A. M. Dirac [1] e considerata la base
della meccanica quantistica, è profondamente diversa dalla teoria classica. In
3
primo luogo, l’interazione tra l’oggetto dell’osservazione e il soggetto osservatore
non è più trascurabile, ma è già introdotta nel processo di misura attraverso il
collasso della funzione d’onda. Inoltre, il sistema può, pur trovandosi in uno
stesso stato, restituire in maniera aleatoria due o più risultati differenti alla
stessa misura, eccetto il caso in cui lo stato del sistema è un autostato dell’osservabile in questione; in tal caso, la misura dell’osservabile restituirà con
certezza l’autovalore corrispondente.
La richiesta che il risultato di una misura non sia univoco, al primo impatto, è in
forte contrasto con la teoria della misura in fisica classica: in quest’ultimo caso,
l’incertezza di una misura può essere associata alla fluttuazione statistica del sistema attorno alla sua configurazione media e alla sensibilità dello strumento che
stiamo utilizzando, quindi può essere ridotta a piacere tramite l’avanzamento
tecnologico degli strumenti e lo studio di sistemi con un numero sempre minore
di gradi di libertà. Invece, per un sistema quantistico, l’incertezza è associata
a un’indeterminazione di alcune proprietà fisiche che non sono determinate prima di effettuare la misura, e dopo di essa possono assumere alcuni valori, con
rispettive probabilità. Questa condizione è necessaria per rispettare il principio
di sovrapposizione: se un sistema ammette due stati possibili |ψ1 i e |ψ2 i, diversi
per più di un fattore di normalizzazione, allora è possibile realizzare uno stato
dato dalla sovrapposizione lineare di questi due
|ψi = a1 |ψ1 i + a2 |ψ2 i
dove a1 , a2 ∈ C. Il principio di sovrapposizione rappresenta uno scarto netto
rispetto alla concezione classica della realtà, secondo la quale ad ogni stato fisico
determinato corrisponde una configurazione determinata nello spazio delle fasi.
Al contrario, nella meccanica quantistica, è ammesso che uno stesso stato fisico
contenga la possibilità di due risultati mutuamente esclusivi della misura di
un’osservabile, e quindi che non tutte le proprietà fisiche di un sistema siano
prevedibili con certezza (probabilità uguale a uno). Questa possibilità è stata
alla base della confutazione della completezza della meccanica quantistica da
parte di Einstein, Podolsky e Rosen.
L’entanglement Le complicazioni su cui verte il paradosso EPR riguardano
la natura degli stati entangled.
Per descrivere un sistema a due particelle, definiamo la funzione d’onda del
sistema nello spazio degli stati dato dal prodotto tensoriale degli spazi relativi.
Se |αi i ∈ HA sono gli autoket della prima particella rispetto all’osservabile A e
|βj i ∈ HB quelli della seconda particella rispetto a B, allora la funzione d’onda
complessiva del sistema |Ψi sarà data dalla combinazione lineare del prodotto
tensore degli autoket dei sottospazi:
X
|Ψi =
cij |αi i|βj i
i,j
e |Ψi ∈ H ≡ HA ⊗ HB .
Guardiamo ai coefficienti cij : nel caso in cui è possibile per ogni i, j scrivere cij
come un prodotto ai bj , possiamo scomporre la funzione d’onda complessiva:

!
X
X
X
|Ψi =
ai bj |αi i|βj i =
ai |αi i 
bj |βj i = |ΦA i|ΦB i
i,j
i
j
4
In questo caso, quindi, possiamo fattorizzare la funzione d’onda in due funzioni
d’onda delle due particelle, che si trovano cosı̀ ad essere in due stati entrambi
ben definiti |ΦA i, |ΦB i. Perciò questo caso corrisponde esattamente a quello di
due particelle separate che costituiscono un unico sistema.
Viceversa, il caso opposto è quando cij non può essere scritto come prodotto di
due fattori ai bj . In tal caso, non c’è modo di separare la funzione d’onda totale
in due funzioni di stato delle due particelle prese singolarmente. Lo stato del
sistema è perciò detto entangled. In questa situazione, le particelle non hanno
uno stato ben definito e quindi non si possono trattare separatamente: il sistema
va sempre preso in considerazione nella sua totalità.
1.2
Il paradosso EPR
Nel 1935, Einstein, Podolsky e Rosen proposero la loro obiezione alla meccanica
quantistica attraverso il famoso paradosso EPR [2].
Lo scopo del lavoro era di dimostrare l’incompatibilità di tre assunzioni chiave: principio di realtà, principio di località, e completezza della meccanica
quantistica. Una definizione dei seguenti concetti è la seguente:
• principio di realtà:
If, without in any way disturbing a system, we can predict with
certainty (i. e. with probability equal to unity) the value of a
physical quantity, then there exists an element of physical reality
corresponding to this physical quantity. [2]
• principio di località:
The real factual situation of the system S2 is indipendent of
what is done with the system S1 , which is spatially separated
from the former. (A. Einstein, citato in [3])
• Completezza di una teoria fisica
Whatever the meaning assigned to the term complete, the following requirement for a complete theory seems to be a necessary
one: every element of the physical reality must have a counterpart in the physical theory. We shall call this the condition of
completeness. [2]
In questo modo, EPR stabiliscono due princı̀pi che si accordano largamente con
la fisica per come l’abbiamo conosciuta finora. In particolar modo, il principio
di località è una conseguenza necessaria della teoria della relatività di Einstein,
secondo la quale la simultaneità di due eventi (e quindi la loro connessione causale) è determinata dal vettore spaziotemporale che li separa; se due eventi sono
separati spazialmente, allora uno non può in nessun modo essere causa o effetto
dell’altro. Nel nostro caso questo significa che, se due sistemi fisici in esame
sono separati, come specificato nel principio di località nessuna interazione con
il primo può modificare le proprietà del secondo, e viceversa.
La terza assunzione, la completezza, è la proprietà della meccanica quantistica
che gli autori intendono confutare. I due requisiti fondamentali - e sicuramente imprescindibili - posti da EPR per giudicare il successo di una teoria fisica
5
sono per l’appunto la correttezza (ovvero accordo con i dati sperimentali) e la
completezza. Se uno dei due venisse a mancare, si avrebbe motivo di rigettare
la teoria fisica.
A questo punto, stando alla teoria quantistica in esame, ci sono due possibilità:
o
la meccanica quantistica non è completa
oppure
quando due operatori associati a due osservabili non commutano, queste non
possono avere simultaneamente realtà fisica.
La dimostrazione data dagli autori procede per assurdo: supponendo la meccanica quantistica una teoria completa, gli autori arrivano a dimostrare che
esistono quantità fisiche che possono avere simultaneamente realtà fisica, anche
se gli operatori associati non commutano. Quindi la negazione della prima opzione porta direttamente alla negazione della seconda opzione, l’unica rimasta.
Un’altra possibilità sarebbe data dalla violazione della località, per cui sarebbe
possibile che degli stati fisici possano influenzarsi reciprocamente sebbene siano
separati spazialmente. Ma questa opzione è prontamente rifiutata da Einstein,
per il principio di località da lui formulato:
But on one supposition we should, in my opinion, absolutely hold
fast: the real factual situation of the system S2 is indipendent of
what is done with the system S1 , which is spatially separated from
the former. [3]
Scartata questa ipotesi, dobbiamo concludere per assurdo che l’unica possibilità
accettabile è che la meccanica quantistica non sia una teoria completa.
L’articolo di EPR si conclude cosı̀:
While we have thus shown that the wave function does not provide a
complete description of the physical reality, we left open the question
of whether or not such a description exists. We believe, however,
that such a theory is possible. [2]
La speranza di Einstein era, appunto, che potesse esistere una teoria superiore
alla meccanica quantistica, basata sul fatto che non siamo in grado di associare
realtà fisica ad alcune grandezze per la nostra mancanza o impossibilità di conoscenza di alcune variabili fisiche sottostanti alle grandezze conosciute (variabili
nascoste) (VN), conoscendo le quali potremmo rimuovere qualsiasi incertezza
e ritrovare un modello determinista e realista di realtà fisica. Una teoria del
genere è detta teoria a variabili nascoste, e la possibilità della sua esistenza è
stata a lungo oggetto di dibattito. Il teorema di Bell che andremo a esporre dà
una risposta alla domanda in questione.
1.3
Il teorema di Bell
Con la pubblicazione dell’articolo On the Einstein-Podolsky-Rosen Paradox nel
1964, il fisico irlandese John Stuart Bell ha dato un contributo fondamentale
allo studio del paradosso EPR e della possibilità di una teoria a variabili nascoste [3]. Esso prende in considerazione un esperimento ideale pensato da Bohm
6
e Aharonov, concettualmente analogo a quello pensato da EPR per dimostrare
l’incompletezza della meccanica quantistica, che esporremo di seguito.
Consideriamo un sistema costituito da due particelle libere, di spin 1/2, che si
muovono nelle direzioni opposte e dal tempo iniziale si trovano nello stato di
singoletto. Misurando le componenti degli spin σ 1 e σ 2 attraverso, per esempio,
dei magneti di Stern-Gerlach, possiamo dire che, se la misura di σ 1 · a è uguale
a 1, dove a è un vettore unitario, allora la misura di σ 2 · a dovrà restituire -1,
e viceversa. Supponendo che le due misure siano effettuate a grandi distanze,
l’orientazione di un magnete non dovrebbe influenzare il risultato ottenuto con
l’altro magnete. Dato che possiamo però predire in anticipo il risultato di una
misura di una qualsiasi componente di σ 2 misurando precedentemente σ 1 , allora il risultato di una misura del genere deve essere determinato a priori. Siccome
la funzione d’onda iniziale non determina questo risultato, deve essere possibile
una specificazione più completa dello stato in questione.
Consideriamo una teoria a variabili nascoste: la VN in questo caso è un parametro (o un insieme di parametri) λ. Possiamo definire i risultati A e B delle
misure rispettivamente di σ 1 · a e σ 2 · b cosı̀:
A(a, λ) = ±1,
B(b, λ) = ±1
(1.2)
L’assunzione fondamentale, per soddisfare la richiesta di località di Einstein, è
che B non dipenda da a, e A non dipenda da b. Se ρ(λ) è la distribuzione di
probabilità della variabile λ, allora il valore atteso del prodotto (σ 1 · a)(σ 2 · b)
è dato da
Z
P (a, b) = dλρ(λ)A(a, λ)B(b, λ)
(1.3)
e questo risultato è in accordo con la meccanica quantistica se è uguale al valore
atteso predetto da quest’ultima, che è
h(σ 1 · a)(σ 2 · b)i = −a · b
(1.4)
Costruiamo un modello per capire se questo risultato è possibile oppure no.
Per prima cosa, definiamo come la variabile nascosta influisce sulla misura dello
spin di una particella: supponendo di avere una particella di spin 1/2 in uno
stato puro di spin con polarizzazione lungo un vettore p. La nostra variabile
nascosta sarà un vettore unitario λ con probabilità uniforme sull’emisfero in cui
λ · p > 0. Definiamo il risultato di una misura della componente σ 1 · a come
sign λ · a0
(1.5)
dove a0 è un altro vettore unitario che dipende da a e p in un modo da specificare.
La media su λ è quindi
hσ · ai = 1 − 2θ0 /π
(1.6)
dove θ0 è l’angolo tra a0 e p. Se supponiamo che a0 sia ottenuto da a tramite
una rotazione attorno a p fino a che
1−
2θ0
= cos θ
π
(1.7)
dove θ è l’angolo tra a e p. Allora otteniamo il risultato cercato:
hσ · ai = cos θ
7
(1.8)
In questo caso, molto semplice, mostriamo come sia possibile determinare il
risultato di una qualsiasi misura specificando il valore di una variabile nascosta.
Con questo modello, il carattere probabilistico della meccanica quantistica è
causato dal fatto che non possiamo (o non sappiamo) determinare il valore
di queste variabili nascoste. In secondo luogo, possiamo riprodurre nella stessa
forma (1.3) le sole caratteristiche del valore (1.4) usate per discutere il problema:
(
P (a, a) = −P (a, −a) = −1
(1.9)
P (a, b) = 0 se a · b = 0
Se per esempio λ fosse un vettore unitaro λ, con distribuzione di probabilità
uniforme su tutte le direzioni, avremmo
(
A(a, λ) = sign a · λ
(1.10)
B(b, λ) = −sign b · λ
e quindi otterremmo
2θ
(1.11)
π
dove θ questa volta è l’angolo tra a e b, e la (1.11) ha le stesse proprietà della
(1.9).
Al contrario della (1.4), la funzione (1.11) non è stazionaria sul valore minimo
-1, dove θ = 0. Questo risultato è dovuto alle proprietà delle funzioni come la
(1.3), come andremo a dimostrare.
P (a, b) = −1 +
Siccome ρ è una distribuzione di probabilità normalizzata, avremo
Z
dλρ(λ) = 1
(1.12)
e, a causa delle proprietà (1.2), P in (1.3) non può essere minore di -1. Può
essere uguale a -1 in a = b solo se
A(a, λ) = −B(b, λ)
(1.13)
eccetto un insieme di punti con probabilità zero. Assumendo questa ipotesi,
possiamo riscrivere le (1.3):
Z
P (a, b) = − dλρ(λ)A(a, λ)A(b, λ)
(1.14)
Segue che, se c è un altro vettore unitario
Z
P (a, b) − P (a, c) = − dλρ(λ) [A(a, λ)A(b, λ) − A(a, λ)A(c, λ)] =
Z
= dλρ(λ)A(a, λ)A(b, λ) [A(b, λ)A(c, λ) − 1]
(1.15)
usando la (1.2), quindi
Z
|P (a, b) − P (a, c)| ≤
dλρ(λ) [1 − A(b, λ)A(c, λ)]
8
(1.16)
Il secondo termine sulla destra equivale a P (b, c), quindi
1 + P (b, c) ≥ |P (a, b) − P (a, c)|
(1.17)
Nonostante P sia costante, il termine di destra è generalmente di ordine |b − c|
per piccoli |b − c|. Perciò, P (b, c) non può essere stazionario al valor minimo
-1 (quando b = c) e non può essere uguale al valore atteso dalla meccanica
quantistica.
Abbiamo dimostrato che l’andamento della teoria a variabili nascoste, cosı̀ definita, non può essere lo stesso della meccanica quantistica. Verifichiamo adesso
che il valore atteso (1.4) non può essere arbitrariamente vicino alla predizione
data dalla (1.3).
Tralasciamo il caso in cui l’approssimazione non sia valida per punti isolati,
quindi prendiamo in esame le funzioni
P̄ (a, b)
e −a · b
dove la barra indica medie indipendenti di P (a0 , b0 ) e −a0 · b0 su vettori a0 e
b0 entro angoli assegnati piccoli di a e b. Supponiamo che per ogni a e b la
differenza tra le due quantità sia più piccola di un termine ε:
|P̄ (a, b) + a · b| ≤ ε
(1.18)
Se questo ε può essere reso piccolo a piacere, possiamo concludere che la teoria
VN può approssimare con precisione arbitraria le previsioni della MQ. Altrimenti, dobbiamo concludere che la (1.3) non può rappresentare in alcun modo
il valore atteso dalla MQ.
Supponiamo che per ogni a e b sia
|a · b − a · b| ≤ δ
(1.19)
|P̄ (a, b) + a · b| ≤ ε + δ
(1.20)
allora dalla (1.18) si ottiene
Stando alla definizione (1.3), abbiamo che
Z
P̄ (a, b) = dλρ(λ)Ā(a, λ)B̄(b, λ)
(1.21)
dove necessariamente
|Ā(a, λ)| ≤ 1
e
|B̄(b, λ)| ≤ 1
Perciò, dalla (1.20) e (1.21), abbiamo che per a = b
Z
dλρ(λ) Ā(b, λ)B̄(b, λ) + 1 ≤ ε + δ
(1.22)
(1.23)
e quindi, dalla (1.21)
Z
P̄ (a, b) − P̄ (a, c) =
Z
=
Z
−
dλρ(λ) Ā(a, λ)B̄(b, λ) − Ā(a, λ)B̄(c, λ) =
dλρ(λ)Ā(a, λ)B̄(b, λ) 1 + Ā(b, λ)B̄(c, λ) +
dλρ(λ)Ā(a, λ)B̄(c, λ) 1 + Ā(b, λ)B̄(b, λ)
9
(1.24)
Allora, usando la (1.22)
Z
|P̄ (a, b) − P̄ (a, c)| ≤
Z
+
dλρ(λ) 1 + Ā(b, λ)B̄(c, λ) +
(1.25)
dλρ(λ) 1 + Ā(b, λ)B̄(b, λ)
che ci porta a - dalla (1.21) e (1.23) |P̄ (a, b) − P̄ (a, c)| ≤ 1 + P̄ (b, c) + ε + δ
(1.26)
e finalmente, usando la (1.20), possiamo scrivere la disuguaglianza generale
|a · c − a · b| − 2(ε + δ) ≤ 1 − b · c + 2(ε + δ)
oppure
4(ε + δ) ≥ |a · c − a · b| + b · c − 1
(1.27)
Applicando questa equazione in una caso
√ particolare mostriamo la nostra tesi.
Prendiamo a · c = 0, a · b = b · c = 1/ 2. In tal caso
√
4(ε + δ) ≥ 2 − 1
E quindi abbiamo mostrato che, per δ finiti piccoli a piacere, ε non può essere
anch’esso piccolo a piacere. Abbiamo dimostrato cosı̀ che la previsione della
MQ non può essere riprodotta né accuratamente né con precisione arbitraria
dall’espressione fornita dalla teoria VN, data nella (1.3).
Possiamo generalizzare questa dimostrazione? Abbiamo spiegato come, per due
spazi di Hilbert bidimensionali, esistano due operatori σ 1 e σ 2 , per i quali
possiamo trovare uno stato nel prodotto degli spazi (singoletto), nel quale la
previsione della MQ è radicalmente differente dalla previsione di qualsiasi teoria VN. Perciò, se consideriamo spazi di dimensione maggiore di 2, possiamo
sempre considerare dei sottospazi bidimensionali e definire degli operatori analoghi ai precedenti che, per i princı̀pi della MQ [1], corrisponderanno anch’essi
a delle osservabili fisiche (in quanto operatori hermitiani con un set completo
di autostati). Perciò questa dimostrazione è valida per analogia in qualunque
spazio di Hilbert con dimensione maggiore o uguale a due.
Quali conclusioni teoriche possiamo trarre? Abbiamo osservato che nessuna teoria VN può riprodurre in alcun modo i risultati della MQ. Al termine del suo
articolo, Bell afferma:
In a theory in which parameters are added to quantum mechanics to
determine the results of individual measurements, without changing
the statistical predictions, there must be a mechanism whereby the
setting of one measuring device can influence the reading of another
instrument, however remote. Moreover, the signal involved must
propagate instantaneously, so that such theory could not be Lorentz
invariant. [3]
Questa affermazione è diretta conseguenza della dimostrazione di cui sopra; l’assunto fondamentale era che nella teoria VN i risultati delle misure sul singolo
magnete non dipendessero dall’orientazione dell’altro magnete, ovvero che A
10
dipendesse solo da a e B solo da b. Dato che una teoria basata su questo principio però conduce a previsioni diverse dalla MQ, allora se vogliamo formulare
una teoria VN che riproduca i risultati della MQ, dobbiamo accettare necessariamente la non-località, ovvero che due sistemi spazialmente separati possano
influenzarsi l’uno con l’altro. Inoltre, il segnale trasmesso tra i due sistemi si
dovrebbe propagare istantaneamente, per cui la teoria non sarebbe invariante
per trasformazioni di Lorentz. Questa conclusione è nota anche come teorema
di Bell, che è ora possibile enunciare:
Non è possibile formulare una teoria locale a variabili nascoste in grado di
produrre esattamente gli stessi risultati della meccanica quantistica.
Si aprono quindi due possibilità: o esistono in natura delle violazioni alle disuguaglianze di Bell, e quindi la MQ è corretta e non lo sono le teorie locali
VN, oppure non sono possibili queste violazioni, e quindi è vero il contrario. Al
tempo in cui Bell scriveva non c’erano prove sperimentali che conducessero a
una opzione o all’altra.
Diversi esperimenti sono stati fatti [4] [5], sui quali non ci soffermeremo, che
portano evidenze sperimentali sulla violazione delle disuguaglianze di Bell. Sebbene siano stati fatti anche altri esperimenti che invece portano a risultati in
disaccordo con la MQ [6], la maggior parte degli esperimenti conferma l’accordo con la MQ e, come segnalato da molti autori, le condizioni sensibili per cui
si possono osservare violazioni sono rare, perché le perturbazioni sull’apparato sperimentale tendono a scorrelare i sistemi in esame, mentre le violazioni si
possono osservare solo in caso di buona correlazione.
1.4
Località e causalità
È importante sciogliere la contraddizione comunque emersa tra MQ e località;
è veramente possibile trasmettere informazioni a velocità maggiori della luce,
in totale disaccordo con la teoria della relatività ristretta? Per analizzare la
questione ricorriamo all’uso dell’operatore densità come definito dalla MQ.
La matrice densità Quando effettuiamo una misura in meccanica quantistica, sappiamo che lo stato del sistema viene proiettato su uno degli autostati
dell’osservabile che si sta misurando; perciò dopo la misura si è alterato lo stato
del sistema e quindi non ha senso effettuare altre misure per ottenere informazioni sul sistema di partenza. Per definire, ad esempio, il valore medio di
un’osservabile su uno stato quantistico, facciamo ricorso alla seguente rappresentazione: se avessimo infinite repliche dello stato quantistico |ψi, allora il valor
medio dell’osservabile A sarebbe dato da
hAi = hψ|Â|ψi
nel caso in cui |ψi sia normalizzata.
Se introduciamo ora un’incertezza classica nella preparazione delle repliche,
avremo che lo stato |ψi i ha una probabilità pi di essere preparato, e la somma di tutte le pi sarà uguale a 1. In questo caso, il valor medio dell’osservabile
A sarà dato da
X
hAi =
pi hψi |Â|ψi i
i
11
Definiamo cosı̀ uno stato puro dato dal ket |ψi, e una miscela statistica data dai
ket |ψi i. A questo punto possiamo definire l’operatore matrice densità ρ
X
ρ=
pi |ψi ihψi |
(1.28)
i
Ricordiamo le proprietà di questo operatore:
X
T r(ρ) ≡
hn|ρ|ni = 1
(1.29)
n
hAi = T r(ρÂ)
(1.30)
La prima di queste proprietà ci dà la traccia di ρ (che come per ogni operatore
è indipendente dalla scelta della base), la seconda ci dice che possiamo calcolare
il valor medio di una qualunque osservabile A dalla traccia di ρÂ.
Nel caso in cui ci troviamo in uno stato puro |ψi , abbiamo ρ = |ψihψ|. Effettuando delle misure di A su questo stato, portiamo ogni replica in un diverso autostato |λi dell’operatore Â. Dallo stato puro creiamo cosı̀ una miscela
statistica. La matrice densità dello stato finale ρf è data da
X
ρf =
Pλ ρi Pλ
(1.31)
λ
dove Pλ = |λihλ| è il proiettore sull’autostato |λi e ρi = |ψihψ| è la matrice
densità iniziale.
La MQ viola la località? Vediamo ora come affrontare il problema della
causalità; immaginiamo due osservatori, Alice e Bob, che misurano entrambi
un’osservabile, rispettivamente A e B, su un medesimo stato entangled |ψi. Se
lo stato fosse separabile - non entangled - la misura di A da parte di Alice farebbe collassare la funzione d’onda riferita al suo sottospazio, senza alcuna modifica
della funzione d’onda riferita al sottospazio di Bob, e viceversa. In questo caso
la misura di una delle due osservabili non è influenzata dalla misura dell’altra.
Al contrario, se come si è detto lo stato è entangled, la misura di A o B causa il
collasso della funzione d’onda totale, e quindi l’osservatore che misura successivamente l’altra osservabile compie la misura su una nuova funzione d’onda.
Questo è l’aspetto centrale della questione: se Bob può compiere delle misure
che forniranno un risultato diverso a seconda della misura compiuta o meno
da Alice, allora, anche se Bob e Alice sono isolati, dal risultato della misura
Bob può ottenere un’informazione che si è propagata istantaneamente, grazie al
collasso della funzione d’onda. Questa affermazione è in netto disaccordo con
il principio di località, conseguenza della causalità nella teoria della relatività
ristretta.
La questione può essere risolta se consideriamo che l’unico modo che ha Bob
per sapere se Alice ha fatto la misura o meno è valutare il valor medio dell’osservabile B nei due casi. Se è Bob il primo a fare la misura, allora la eseguirà
sullo stato puro iniziale |ψi del sistema, perciò avremo
hBi1 = hψ|B̂|ψi
12
(1.32)
Se invece è Alice a misurare per prima l’osservabile A, per calcolare il nuovo
valore atteso hBi2 di B in questo caso ricorriamo alla matrice densità: come
detto prima, la densità finale di A sarà
X (A)
(A)
(A)
ρf =
Pλ ρ i Pλ
λ
Perciò
!
hBi2 =
(A)
T r(ρf B̂)
= Tr
X
(A)
(A)
Pλ ρi Pλ B̂
λ
=
X
=
X
(A)
(A)
hψ|Pλ B̂Pλ |ψi
λ
=
X
(A)
(A)
hn|Pλ |ψihψ|Pλ B̂|ni =
n,λ
=
X
(A) (A)
hψ|Pλ Pλ B̂|ψi
λ
=
X
(A)
hψ|Pλ B̂|ψi =
λ
hψ|λihλ|B̂|ψi = hψ|B̂|ψi =
λ
= hBi1
(1.33)
dove, nei vari passaggi, abbiamo sfruttato il fatto che [Â, B̂] = 0 per due osservabili riferite a due osservatori separati spazialmente (risultato ottenuto dalla
(A)
(A)
meccanica quantistica relativistica), quindi Pλ e B̂ commutano perché Pλ
(A) (A)
(A)
dipende solo da Â. Inoltre Pλ Pλ = Pλ , proprietà di ogni proiettore. Per
il penultimo passaggio abbiamo sfruttato la relazione di completezza.
Troviamo quindi che il valor medio osservato da Bob è assolutamente identico nei casi in cui Alice effettua o no la misura, se Alice e Bob sono separati
spazialmente, quindi Alice non trasmette alcuna informazione. Perciò, la MQ
garantisce che non ci può essere trasmissione d’informazioni tra due osservatori
a velocità maggiori di quelle della luce, in accordo con la teoria della relatività.
13
Capitolo 2
Teletrasporto quantistico
2.1
Teorema di no-cloning
Una premessa importante nello studio del teletrasporto quantistico è il teorema
di no-cloning, formulato da Wootters e Zurek [7]. L’enunciato è il seguente:
Non può esistere un sistema in grado di replicare uno stato quantistico
arbitrario.
Gli autori del teorema forniscono una prova basata sulla clonazione di fotoni
con lo stesso stato di polarizzazione. Se esistesse un amplificatore in grado di
replicare un fotone che si trova in uno stato di polarizzazione |si, l’operazione
sullo stato del sistema sarebbe la seguente:
|ψ0 i|si → |ψs i|ssi
(2.1)
dove |ψ0 i è lo stato iniziale dell’apparato e |ψs i è il suo stato finale, che può
dipendere oppure no dalla polarizzazione del fotone incidente. Il ket |ssi indica
lo stato in cui sono presenti due fotoni con la stessa polarizzazione.
Supponiamo di poter costruire un duplicatore come il precedente per gli stati di
polarizzazione verticale |vi e orizzontale |hi. In tal caso, possiamo rappresentare
l’amplificatore tramite un operatore  tale che
Â|ψ0 i|vi = |ψv i|vvi
(2.2)
Â|ψ0 i|hi = |ψh i|hhi
(2.3)
Secondo la meccanica quantistica, questo operatore  dovrà essere necessariamente lineare. Quindi lo stato risultante dall’amplificazione di una combinazione
lineare degli stati di polarizzazione H e V dovrà essere uguale alla combinazione
lineare degli stati H e V amplificati.
Calcoliamo lo stato prodotto dall’amplificazione dello stato α|vi + β|hi: stando
alla definizione precedente e imponendo la linearità di  , avremo
Â|ψ0 i(α|vi + β|hi) = α|ψv i|vvi + β|ψh i|hhi
(2.4)
Questo stato finale è diverso a seconda che gli stati finali dell’apparato nei due
casi (|ψv i e |ψh i) siano differenti o no.
14
Se |ψv i =
6 |ψh i, allora i fotoni prodotti dall’amplificatore sono in uno stato di
polarizzazione misto.
Se |ψv i = |ψh i, lo stato di polarizzazione dei fotoni è
α|vvi + β|hhi
(2.5)
Nessuno di questi due casi corrisponde allo stato in cui abbiamo due fotoni con
la stessa polarizzazione α|vi + β|hi iniziale. Questo stato, infatti, corrisponde
al vettore
(α|vi + β|hi)(α|vi + β|hi) = α2 |vvi + 2αβ|vhi + β 2 |hhi
(2.6)
Abbiamo perciò dimostrato che un apparato di amplificazione non può replicare un generico stato quantistico; vista la generalità con cui abbiamo costruito
l’operatore di amplificazione (imponendo solo la linearità) e la possibilità di
estendere per analogia il ragionamento usato con i fotoni a ogni altro sistema
quantistico, possiamo affermare che non possono esistere apparati in grado di
clonare uno stato quantistico arbitrario. In questo modo abbiamo provato il
teorema di no-cloning.
Notiamo che il teorema non afferma che nessuno stato quantistico possa essere
replicato. Il problema è che, per costruire l’apparato di amplificazione, abbiamo
dovuto associarlo ad un operatore definito su una base del nostro spazio, e la scelta della base cambia le proprietà dell’operatore. Se lo avessimo definito su una
base costituita da stati di polarizzazione a ± 45◦ , per esempio, avremmo avuto
lo stesso problema di prima per gli stati con polarizzazione V e H. In conclusione,
per essere sicuri che un apparato del genere stia effettivamente replicando uno
stato quantistico, bisogna prima avere osservato lo stato in questione, ma questo
significa ridurre le informazioni contenute nello stato originario (collasso della
funzione d’onda) e quindi si torna al problema della riproducibilità di un’informazione in termini classici. Al contrario, la non riproducibilità dell’informazione
è una delle caratteristiche fondamentali dell’informazione quantistica.
2.2
Realizzazione teorica del teletrasporto
Una possibile realizzazione del teletrasporto quantistico è stata proposta [8],
e si basa sullo sfruttamento di due canali d’informazione, uno classico e uno
quantistico (entangled).
Anzitutto è importante dare una definizione del fenomeno: quando un sistema
quantistico, in uno stato qualsiasi |ψi scompare e dopo un certo intervallo di
tempo ricompare nello stesso stato |ψi in un’altra posizione, chiamiamo questo
fenomeno teletrasporto quantistico. Chiaramente è importante sottolineare che,
perché il processo sia fisicamente realizzabile, deve rispettare alcuni limiti fisici:
ad esempio il sistema non può superare la velocità della luce, quindi non potrà
teletrasportarsi su distanze di tipo spazio.
Consideriamo adesso un possibile modo per realizzare questo fenomeno: abbiamo due osservatori, Alice e Bob. Il sistema di Alice, che può essere un fotone o
una particella con spin 1/2, si trova in uno stato quantistico |ψi sconosciuto a
priori, e l’obbiettivo è che Alice possa mandare a Bob un’informazione sufficiente
affinché lui possa ricostruire lo stato. In generale sarebbe sufficiente conoscere
lo stato |ψi e inviare in modo classico i dati sufficienti per descriverlo, ma nella
15
maggior parte dei casi questo non è possibile con una sola misura. Infatti, ogni
volta che effettuiamo una misura, il collasso della funzione d’onda distrugge lo
stato originario, quindi dovremmo avere a disposizione infinite repliche dello
stato originario per determinarne lo stato quantistico con esattezza (e non è il
caso che vogliamo trattare).
Un’idea interessante sarebbe produrre una copia del sistema quantistico di Alice
e inviarla direttamente a Bob, che cosı̀ avrebbe direttamente lo stato quantistico
richiesto. Ma in questo caso, non solo il fenomeno non sarebbe di teletrasporto
per come l’abbiamo definito - dato che Alice manterrebbe l’originale dello stato
quantistico -, ma si violerebbe direttamente il teorema di no-cloning che abbiamo precedentemente dimostrato. Possiamo però seguire questa strada, con
qualche correzione: immaginiamo, in linea generale, che Alice faccia interagire lo stato |ψi con un sistema ausiliario nello stato iniziale |a0 i, e che dopo
l’interazione |ψi si trasformi in |ψ0 i, mentre l’informazione sullo stato iniziale
sia interamente contenuta nello stato finale del sistema ausiliario, |ai, in modo
che, inviando quest’ultimo, Bob possa ricostruire perfettamente lo stato |ψi. In
questo modo abbiamo spedito l’informazione a Bob in un modo più semplice
(per come avremo costruito il sistema ausiliario) e avremo distrutto il sistema
di Alice al termine del teletrasporto, rispettando il vincolo del no-cloning.
Per formulare quantitativamente il modello, usiamo come sistema ausiliario due
particelle con spin 1/2 che si trovano inizialmente in uno stato entangled
1
(−)
|Ψ23 i = √ (| ↑2 i| ↓3 i − | ↓2 i| ↑3 i)
2
(2.7)
Gli indici 2 e 3 indicano le singole particelle entangled, mentre la particella di
Alice nello stato |ψi sarà indicata nello con l’indice 1.
A questo punto, le particelle 2 e 3 sono separate spazialmente: la 2 è inviata ad
Alice, la 3 a Bob. Possiamo descrivere le tre particelle come un unico sistema
(−)
nello stato |ψi|Ψ23 i. Notiamo che in questo stato non c’è nessuna correlazione
tra le particelle 2 e 3 e lo stato originario (particella 1), quindi Bob non può
ricevere nessuna informazione su 1 da una misura su 3.
Se il sistema 1 è, per esempio, una particella con spin 1/2, allora possiamo
scrivere lo stato |ψi = |ψ1 i come
|ψ1 i = a| ↑1 i + b| ↓1 i
(2.8)
con |a|2 + |b|2 = 1. Perciò possiamo riscrivere lo stato complessivo come
b
a
|Ψ123 i = √ (| ↑1 i| ↑2 i| ↓3 i − | ↑1 i| ↓2 i| ↑3 i) + √ (| ↓1 i| ↑2 i| ↓3 i − | ↓1 i| ↓2 i| ↑3 i)
2
2
(2.9)
Possiamo riscrivere la (2.9) nella base di autostati del sistema composto da 1 e
2:
1
(±)
|Ψ12 i = √ (| ↑1 i| ↓2 i ± | ↓1 i| ↑2 i)
2
1
(±)
|Φ12 i = √ (| ↑1 i| ↑2 i ± | ↓1 i| ↓2 i)
2
16
(2.10)
Raggruppando i termini, otteniamo
1 (−)
(+)
|Ψ123 i = [|Ψ12 i(−a| ↑3 i − b| ↓3 i) + |Ψ12 i(−a| ↑3 i| + b| ↓3 i)+
2
(−)
(+)
+ |Φ12 i(a| ↓3 i + b| ↑3 i) + |Φ12 i(a| ↓3 i − b| ↑3 i)]
(2.11)
Segue che, indipendentemente dallo stato |ψ1 i di partenza, i quattro possibili
risultati di una misura sono tutti equiprobabili (p = 1/4). Per cui, dopo che
Alice avrà effettuato la misura, la particella 3 sarà collassata in uno dei quattro
stati puri della (2.11), che, usando la rappresentazione spinoriale per cui
a
|ψ1 i =
b
sono
a
−|ψ3 i ≡ −
,
b
−1
0
0
|ψ3 i,
1
0
1
1
|ψ3 i,
0
0
1
−1
|ψ3 i
0
(2.12)
Perciò, dato che |ψ3 i = |ψ1 i, lo stato della particella 3 (inviata a Bob) dopo
che Alice effettua la misura è direttamente collegato allo stato incognito che
volevamo inviare. Nel primo caso (singoletto), lo stato finale è cambiato solo di
un fattore di fase globale, e quindi irrilevante. Negli altri, per riottenere lo stato
iniziale Bob deve ruotare lo stato di 180◦ in una precisa direzione (vedi (2.12))
per riottenere lo stato iniziale. Quindi, una volta effettuata la misura da parte
di Alice, la particella 3 in mano a Bob contiene tutte le informazioni necessarie
per determinare lo stato che volevamo trasportare, ma per utilizzarle bisogna
conoscere il risultato della misura di Alice per sapere quale operazione bisogna
fare. Il teletrasporto quindi non è ancora completo.
A questo punto entra in gioco la comunicazione di un’informazione classica. Il
risultato della misura di Alice è un’informazione puramente classica a due bit (4
possibili risultati). Perciò l’unica difficoltà a questo punto è comunicare a Bob
il risultato della misura, in modo che lui sappia quale trasformazione operare
per ricreare lo stato originario. Il fatto che quest’informazione venga trasferita
classicamente ci assicura che il teletrasporto non può avvenire a distanze di tipo
spazio.
Lo stato di Alice, dopo la misura, è collassato in uno degli autostati dello spin
totale di 1 e 2, e quindi non conserva alcuna informazione sullo stato originario
|ψ1 i inviato. Questo significa che Alice non può in alcun modo riprodurre lo
stato di partenza (a meno di non conoscerlo a priori, ipotesi falsa per uno stato
generico), e quindi il sistema è stato a tutti gli effetti trasferito e non duplicato.
Perciò il metodo proposto obbedisce al teorema di no-cloning. È importante
inoltre sottolineare che, nel processo di teletrasporto, abbiamo ricreato lo stato
a distanza ma non abbiamo guadagnato alcuna informazione su di esso. Uno
schema del fenomeno è riportato in figura 2.1.
2.3
Esperimenti sul teletrasporto
In seguito alla proposta teorica del teletrasporto [8], sono stati effettuati vari
esperimenti per realizzare in laboratorio il teletrasporto degli stati. Ne consideriamo due, i primi in ordine cronologico (1997), confrontando i metodi usati:
17
Figura 2.1: Diagramma spazio-temporale del teletrasporto quantistico. Il tempo
scorre dall’alto verso il basso. Le linee doppie continue rappresentano una coppia di bit (informazione classica), le linee tratteggiate una coppia di particelle
entangled, le linee ondulate una particella in uno stato incognito |ψi
l’esperimento di Boschi et al. [9], effettuato a Roma, e l’esperimento di Bouwmeester et al. [10], effettuato a Innsbruck. È importante sottolineare che i due
esperimenti sono stati effettuati indipendentemente, e nell’ordine è stato effettuato prima l’esperimento di Roma e dopo l’esperimento di Innsbruck. Entrambi
gli esperimenti sono stati effettuati grazie alla teoria dell’ottica quantistica.
L’esperimento di Roma Nell’esperimento condotto a Roma, è stato scelto
di usare un metodo di trasmissione dell’informazione attraverso uno stato entangled differente da quello proposto da Bennett et al.. Invece di usare tre fotoni
(le tre particelle proposte), ne sono stati usati due, e l’entanglement non è stato
realizzato sullo stato di polarizzazione bensı̀ sulla posizione dei due fotoni.
L’esperimento ha due finalità:
1. Dimostrare che il teletrasporto è una forma di comunicazione dovuta necessariamente ad effetti quantistici, perché viene violato un limite classico
2. Verificare il successo del teletrasporto nei vari stati di polarizzazione
Riguardo al primo punto, la meccanica quantistica predice che, se il teletrasporto
avviene attraverso forme di comunicazione classiche, la probabilità media del
suo successo è S ≤ 0.75. Nell’esperimento di Roma, si è misurato il valore
S attraverso il rapporto tra le coincidenze dei conteggi da parte di Alice e
Bob che indicavano il successo del teletrasporto e i conteggi totali. Il calcolo
sperimentale ha quindi fornito il valore S = 0.853 ± 0.012, che supera il valore
limite S = 0.75 di otto deviazioni standard. Quindi il teletrasporto non può
essere stato realizzato per via classica.
18
Riguardo al secondo punto, si misurano le coincidenze sperimentali tra l’invio
della particella di Alice (trasmittente) in un determinato stato di polarizzazione
e la sua ricezione da parte di Bob (ricevente) in tale stato. I risultati ottenuti
sono in ottimo accordo con le previsioni teoriche. Questo primo esperimento ha
mostrato il successo del teletrasporto.
L’esperimento di Innsbruck In questo esperimento, al contrario che in quello precedente, viene applicata la metodologia proposta da Bennett per effettuare
il teletrasporto quantistico. Il sistema in esame adopera quattro fotoni, in cui
tre vengono usati come nello schema di Bennett e il quarto viene utilizzato come
trigger, ed indica che il teletrasporto è in corso.
L’obbiettivo dell’esperimento è usare il protocollo di Bennett per teletrasportare una particella (un fotone) e verificare il successo del trasferimento. Per
fare questo, gli autori mostrano che il teletrasporto funziona sui vari stati di
polarizzazione possibili (lineare e circolare).
Come nell’esperimento precedente, anche in questo caso misuriamo il tasso di
coincidenza tra la misura della polarizzazione delle particelle di Alice (lo stato
da teletrasportare e una delle particelle entangled) che ci riconduce al loro stato,
e la misura della polarizzazione della particella in mano a Bob. Per effettuare
l’esperimento, restringiamo i casi in cui effettuiamo il teletrasporto ai casi in cui
le particelle di Alice (fotoni 1 e 2) vengono rivelati in uno stato di singoletto,
che implica che Bob abbia il fotone 3 direttamente nello stato che desideravamo teletrasportare (senza dover effettuare alcuna trasformazione). Misurando
la visibilità della polarizzazione nei vari casi, i risultati sono in buon accordo tra l’andamento dei risultati sperimentali e la previsione teorica. Questo
esperimento conferma che è possibile realizzare il teletrasporto quantistico.
Confronto tra i due esperimenti I due esperimenti sono effettivamente diversi. Entrambi vogliono dimostrare la possibilità del teletrasporto quantistico,
ma seguono due strade differenti, anche in senso concettuale.
Infatti, nell’esperimento di Roma il fotone che abbiamo teletrasportato non ha
i requisiti di generalità che invece sono possibili usando il metodo di Bennett.
Il fatto che venga creato in uno stato entangled impone delle restrizioni al suo
stato in relazione con gli altri fotoni del sistema. In particolare, questo fotone
è a un tempo stesso sia parte del sistema da teletrasportare sia parte del sistema analizzatore: questa duplice funzione impedisce, per esempio, che il fotone
da teletrasportare sia esterno all’apparato del teletrasporto, condizione che non
era richiesta invece da Bennett e neanche da Bouwmeester. Al contrario, l’esperimento di Innsbruck non contiene questa limitazione; sebbene sia capace di
realizzare il teletrasporto solo nel 25 % dei casi (quando riveliamo lo stato di
singoletto dei fotoni 1 e 2), per questi casi il teletrasporto funziona realmente
con uno stato generico.
Per molto tempo si è discusso riguardo la priorità di questi due esperimenti; in
un certo senso, è vero che l’esperimento di Roma ha preceduto temporalmente
(ma non influenzato) l’esperimento di Innsbruck, ma sicuramente è l’esperimento di Innsbruck che per primo ha realizzato il teletrasporto di uno stato
generico.
Riguardo all’esperimento di Roma, è importante tuttavia osservare che, se si
lavora con polarizzazione e vettore d’onda dello stesso fotone, l’informazione
19
trasportata (in informazione quantistica un qubit, da quantum bit) è associata a
gradi di libertà della particella non coinvolti nel processo del teletrasporto - lo
stato di polarizzazione per l’appunto. Questa modifica al teletrasporto proposto
da Bennett, basata sull’estensione del concetto di qubit, ha avuto importanti
conseguenze nello sviluppo dell’informazione quantistica.
Negli ultimi anni, si sono sviluppati ulteriori e importanti esperimenti sul teletrasporto. In questa sede ci siamo limitati ai primi due, che hanno avuto il
merito di aprire la strada, ma è bene ricordare che il terreno di ricerca è tuttora
aperto e in continua evoluzione.
20
Conclusioni
Con questa dissertazione si è mostrata l’importanza di un fenomeno fisico come
l’entanglement, che è stato al centro di grandi dibattiti sulla completezza della
meccanica quantistica. Abbiamo potuto vedere l’importanza del paradosso EPR
e soprattutto del teorema di Bell che, ribadendo l’incompatibilità dei princı̀pi di
realtà e località con la completezza della meccanica quantistica, ha mostrato che
anche le sue previsioni (cioè la sua correttezza) sono incompatibili con qualsiasi
teoria locale a variabili nascoste. In questo modo si è definitivamente spento il
desiderio di Einstein, che credeva nella possibilità di formulare una teoria realista e locale in accordo con la meccanica quantistica - che, lo ricordiamo, è stata
oggetto di innumerevoli conferme sperimentali. Ad ogni modo, come abbiamo
potuto vedere, la meccanica quantistica si è rivelata comunque coerente con la
causalità definita dalla relatività ristretta.
Le conseguenze di queste ricerche sono di grande valore, sia dal punto di vista speculativo che applicativo. Il teorema di Bell e la rinuncia ai prı̀ncipi di
realtà o di località hanno avuto conseguenze filosofiche molto profonde, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di salvaguardare il determinismo, che
oggi è messo seriamente in dubbio da molte teorie fisiche, come abbiamo visto per la meccanica quantistica, ma anche per lo studio dei sistemi dinamici.
Le conseguenze dell’entanglement e la non località della meccanica quantistica
aprono un’ulteriore sfida al senso comune e ai princı̀pi fisici più consolidati e
dati per scontati.
Dal punto di vista pratico, abbiamo avuto modo di studiare e verificare la possibilità di realizzare, attraverso le proprietà dell’entanglement, un primo esempio
di teletrasporto di sistemi quantistici. Questa è una delle principali applicazioni
dello studio teorico ma non è l’unica: l’informazione quantistica e la crittografia
quantistica sono gli altri due campi sui quali si sta concentrando maggiormente
la ricerca, proprio per gli straordinari risultati applicativi a cui potrebbe approdare. Sebbene la ricerca e soprattutto la sperimentazione in merito siano ancora
ad uno stadio molto iniziale, esse contengono delle premesse molto promettenti
per i loro sviluppi futuri.
21
Bibliografia
[1] P. A. M. Dirac, The Principles of Quantum Mechanics, Oxford University
Press, 1930
[2] A. Einstein, B. Podolsky, N. Rosen, Can Quantum-Mechanical Description
of Physical Reality Be Considered Complete?, Physical Review, 47, 777
(1935)
[3] J. S. Bell, On the Einstein-Podolsky-Rosen Paradox, Physics, 1, 195 (1964)
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Theories, Phys. Rev. Lett. 28, 938 (1972)
[5] A. Aspect, J. Dalibard, G. Roger, Experimental Test of Bell’s Inequalities
Using Time-Varying Analyzers, Phys. Rev. Lett., 49, 1804 (1982)
[6] G. Faraci, S. Gutkowski, S. Notarrigo, A. R. Pennisi, An Experimental Test
of the EPR Paradox, Lett. Nuovo Cimento, 9, 607 (1974)
[7] W. K. Wootters, W. H. Zurek, A Single Quantum Cannot Be Cloned,
Nature, 299, 802 (1982)
[8] C. H. Bennett, G. Brassard, C. Crépeau, R. Jozsa, A. Peres, W. K.
Wootters, Teleporting an Unknown Quantum State via Dual Classical and
Einstein-Podolsky-Rosen Channels, Phys. Rev. Lett., 70, 1895 (1993)
[9] D. Boschi, S. Branca, F. De Martini, L. Hardy, S. Popescu, Experimental
Realization of Teleporting an Unknown Pure Quantum State via Dual Classical and Einstein-Podolsky-Rosen Channels, Phys. Rev. Lett., 80, 1121
(1998)
[10] D. Bouwmeester, J.-W. Pan, K. Mattle, M. Eibl, H. Weinfurter, A.
Zeilinger, Experimental Quantum Teleportation, Nature, 390, 575 (1997)
22
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