Musica e bene comune Il fondamento filosofico del fare musica tutti nel sistema formativo Convegno internazionale di studi V Edizione Roma 12 - 13 aprile 2012 Luigi Berlinguer Introduzione La riflessione che il Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica e il Dipartimento di Filosofia dell’Università Roma Tre periodicamente dedicano al problema della cultura musicale in Italia si rivolge quest’anno a un tema di grande attualità. L’educazione come bene comune e in particolare la musica nel suo aspetto teorico e pratico come componente essenziale della formazione giovanile per sviluppare capacità e competenze e per costruire un’idea di comunità, trovano la propria legittimità fin dalle origini della riflessione filosofica. Nella società contemporanea la relazione tra musica e bene comune pone in evidenza la funzione imprescindibile del “fare musica tutti” per il riconoscimento non solo del valore della tradizione musicale come patrimonio culturale condiviso, ma anche del ruolo della musica come apertura all’”altro” e alla differenza attraverso un costante rapporto di empatia e dialogo tra sensibilità e culture diverse. Elio Matassi Musica e bene comune Il bene comune è tornato di straordinaria attualità nel dibattito pubblico contemporaneo, che si era concentrato esclusivamente sull’alternativa privato/pubblico (mercato/stato). Vi è una tradizione filosofica specifica, da Immanuel Kant fino a Jean Luc Nancy, che tenta di rivalutare questa dimensione dell’‘in comune’, troppo trascurata nel secondo Novecento, almeno fino a qualche anno fa. Una nozione che nasce sulla base di un ripensamento spregiudicato della Gesellschaft su cui aveva riflettuto nel 1893 con molto acume, in un celebre testo, Ferdinand Tönnies. Il bene comune, i beni comuni rientrano in questo circuito sociale aperto che rivitalizza, attraverso la democrazia partecipativa, la stessa democrazia rappresentativa. Un circuito sociale aperto può essere considerato anche il gruppo di lavoro che da cinque anni sta portando avanti il programma-progetto della musica per tutti. I nemici culturali e politici di questa prospettiva possono essere considerati, ovviamente da vari punti di vista, Platone, Hobbes e Hegel, mentre l’antropologia filosofica tedesca del Novecento e, in particolare, Günther Anders Stern, ridefiniscono l’identità dell’uomo proprio a partire dalla centralità formativa dell’ascolto e della musica. Gisella Belgeri Un nuovo patto tra il musicista e la collettività La Federazione CEMAT è il soggetto che da anni si preoccupa della promozione della musica contemporanea in Italia. Nessuna arte si accontenta di guardarsi alle spalle, pur se pieni di ammirazione e di riconoscenza. Noi abbiamo bisogno di tutto il supporto dei nostri musicisti, compositori e interpreti. L’Italia ha bisogno di creatività, ed è necessario rendere disponibili gli strumenti necessari, perché è indispensabile trasferire ai giovani, e fin dalle scuole per i più piccoli, il know how necessario, perché è da lì che si deve cominciare. E la complicità degli artisti è necessaria. Da anni si cerca in tutti i modi di facilitare un lavoro per far musica tutti, - e lo sforzo in tal senso del Comitato Nazionale preposto è a dir poco eroico - ma si viaggia sul minimale quasi scusandosi del fatto che si vuole dare musica. La musica oggi è un elemento indispensabile per la vita perché dà benessere, perché chi fa musica riesce ad esprimere una sua propria creatività ed esce da quel vuoto impotente nel realizzare se stessi, che si avverte così spesso nei nostri adolescenti. Aiutiamoli a crescere e a valorizzarsi finalmente. Cerchiamo di dare alla musica finalmente uno spazio preciso, delle risorse precise, con i tempi che occorrono, con le competenze che occorrono perché è evidente che debbano esserci le persone giuste ai posti giusti; troppe volte abbiamo assistito a situazioni critiche, precipitate solo perché mancavano all’appello le persone preparate a risolvere i problemi in modo confacente, senza illudersi che un volontarismo seppur meritorio potesse sostituire le capacità professionali. Affrontiamo la realtà. Il nostro paese deve ormai avere una apposita legge che si istituisca un patto consapevole tra politica, istruzione e artisti, capace di inserirsi in quel quadro di sviluppo fin qui evocato, coniugando il peso delle risorse necessarie con i risultati raggiungibili, in termini sociali, formativi e culturali, elemento certo di non secondaria importanza. Giuseppina La Face La musica d’arte: patrimonio d’Europa e strumento d’inclusione L’Europa, e con essa l’Occidente, vanta un patrimonio musicale particolare, che per semplicità chiamiamo ‘musica d’arte’. La tradizione scritta, che della musica d’arte è il presupposto intellettuale e tecnico necessario, nasce insieme con la prima idea di Europa storicamente concretatasi, ossia con l’impero carolingio, e attraverso i secoli discende fino a noi. Il patrimonio musicale – un ‘bene comune’ che chiede di essere salvaguardato, valorizzato, arricchito – si presenta sotto una doppia fattispecie, materiale e immateriale: da un lato, l’arte musicale lascia un deposito di strumenti, partiture, trattati, documenti, edifici adibiti alla musica; dall’altro, alimenta un tesoro di tecniche, opere, autori degni di essere conosciuti e tramandati. Attraverso la conoscenza di tale duplice patrimonio, la musica d’arte può essere un poderoso strumento d’inclusione: per un verso, essa consente di rinvigorire il senso di appartenenza a un’entità sovranazionale che fonda la propria unità sulla varietà delle culture che la costituiscono; nel contempo, grazie al suo potenziale empatico e alla sua attrattiva intellettuale, la musica d’arte può agevolare un accesso non superficiale alla cultura europea da parte degli individui e dei gruppi extra-europei che bussano alle porte dell’Unione. Armando Massarenti Niente cultura, niente sviluppo Punto 4 del Manifesto. È importante che l’azione pubblica contribuisca a radicare a tutti i livelli educativi, dalle elementari all’università, lo studio dell’arte e della storia per rendere i giovani i custodi del nostro patrimonio, e per poter fare in modo che essi ne traggano alimento per la creatività del futuro. Per studio dell’arte si intende l’acquisizione di pratiche creative e non solo lo studio della storia dell’arte. Ciò non significa rinunciare alla cutura scientifica, che anzi deve essere incrementata e deve essere considerata, in forza del suo costitutivo antidogmatismo, un veicolo prezioso dei valori di fondo che contribuiscono a formare cittadini e consumatori dotati di spirito critico e aperto. La dicotomia tra cultura umanistica e scientifica si è rivelata infondata proprio grazie a una serie di studi cognitivi che dimostrano che i ragazzi impegnati in attività creative e artistiche sono anche i più dotati in ambito scientifico. Claudio Strinati Tre modalità di approccio alla Musica: Meditazione, Riflessione, Deduzione. Manca ancora una chiara cognizione dell’ insegnamento della musica dal punto di vista “linguistico”. Indubbiamente non si può paragonare direttamente la musica al linguaggio verbale ma è anche vero che molti strumenti di indagine come la filologia, la linguistica, lo strutturalismo, la dottrina postmoderna e le scienze matematiche, l’elettronica e la fisica, possano fornire allo studente e allo studioso una miriade di spunti per definire, nel modo migliore possibile, il ruolo effettivo della musica in una formazione di tipo umanistico non ignara però degli sviluppi della tecnica moderna. Cogliamo allora l’occasione per studiare diverse modalità di approccio all’ascolto musicale, che vanno da un massimo di riservatezza e di attitudine analitica a un massimo di “frastuono”, nutrito di idolatria e estasi caratterizzanti anche tanti aspetti della moderna fruizione dell’arte in generale, una modalità questa totalmente sconosciuta al mondo antico, che ci renderebbe ancor più chiara e riconoscibile di quanto non lo sia oggi se solo avessimo più concreta cognizione delle prassi esecutive in età medioevale e protorinascimentale. Si concretizza, poi, nelle nostre menti lo snodo fatale della rivoluzione francese che, tra le molte conseguenze, ebbe anche quella di modificare radicalmente la prassi e la fruizione del patrimonio musicale su una nuova base di consapevolezza estetica. Quirino Principe La delegittimazione della musica come bene comune: le responsabilità della cultura cattolica La nozione di bene comune è soltanto in apparenza appartenente alla sfera dell’avere, e soltanto in forza di linguaggio figurato sembra alludere a qualcosa di simile a un possesso. In realtà, essa attiene alla sfera dell’essere, e si riferisce piuttosto a una qualità cui si adatta una valutazione axiologica. Soltanto ciò che ha una pienezza di significato è un “bene”, ed è significativo che esso sia di comune partecipazione. Ciò che ha un significato debole o non ne ha affatto non merita neppure d’essere considerato in termini di axiologia. Perciò, quando parliamo di musica come bene comune sottintendiamo sempre che si assuma come oggetto la musica forte, non la musica debole: e do per scontato che oramai sia nota questa terminologia, che ho proposto alcuni anni fa in luogo dei termini impropri se non addirittura errati come “musica classica”, “musica leggera”, “musica colta”, “musica d’arte”, “musica di consumo”, eccetera, e delle quanto mai improprie se non errate contrapposizioni che ne derivano. La nozione di musica come bene comune dev’essere libera da qualsiasi sottinteso ideologico, dal momento che ogni ideologia si ritaglia il suo spazio nella sfera dell’avere, ed è assolutamente estranea alla sfera dell’essere. Se le ideologie riconoscessero la propria collocazione nella sfera dell’avere, sarebbero tollerabili in quanto nemici leali, che si presentino con le proprie autentiche generalità. Le ideologie, invece, sono tali per definizione proprio poiché si presentano come verità pertinenti la sfera dell’essere. Le ideologie sono fondate, per definizione, sulla menzogna. Fra le ideologie, le più spudoratamente fondate sulla menzogna sono le religioni caratterizzate da un Libro e da una presunta “rivelazione” elargita da un presunto “Dio”. Una religione “rivelata” è una menzogna perfetta. Infatti, essa diffonde con spirito di conquista (e di rapina) la “parola di Dio”, e per far ciò spinge l’atto del mentire a un grado supremo di virtuosismo, riconoscendo apertamente che lo spazio di diffusione della “parola di Dio” è la sfera dell’avere: Non altro se non la sfera dell’avere è il promesso Aldilà, il premio concesso da Dio alla fede e alle opere poste al servizio di Dio (ossia, di una Chiesa e particolarmente di una gerarchia o consorteria ecclesiastica e sacerdotale costituita in gruppo di potere e di dominio sui deboli e sugli illusi). Ma, con somma astuzia, quella stessa religione decreta che la sfera dell’avere così intesa è una sfera trascendente, ontologicamente superiore, e perciò coincide con la sfera dell’essere. Il cristianesimo, e particolarmente il cristianesimo di confessione cattolica, subordina a tale obiettivo trascendente (mascheramento di obiettivi tangibilmente terreni) qualsiasi linguaggio, con un occhio di riguardo per i linguaggi delle diverse arti: fra esse, la musica ha la posizione di rilievo che conosciamo. Nella tradizione cattolica, la musica, apparentemente fiorita con il conforto e la benedizione della Chiesa, in realtà è stata ripetutamente umiliata e ridotta a strumento della liturgia, del proselitismo e della laudatio Dei. La concezione della musica come “instrumentum imperii” è divenuta accentuatamente cinica e impudente negli ultimi cento anni, e più che mai negli ultimi decenni, da quando la Chiesa cattolica, desiderosa di vendicarsi di un Occidente secolarizzato e delle sue laiche e “pagane” concezioni estetiche, ha dato un calcio alla cultura occidentale, investendo i propri sforzi di proselitismo, o almeno di sopravvivenza là dove una conquista (a causa dell’aggressiva invadenza dell’Islam) è impossibile, nelle culture asiatiche, africane, sudamericane. Così la Chiesa cattolica ha gettato la maschera, e anche nei confronti della musica forte, verso la quale inclinano paradossalmente, in grande numero, le migliori intelligenze musicali del mondo non occidentale, essa ha smesso di fingere simpatia e rispetto. Rimane così un’attenzione residuale, che si traduce in archiviazione, ostentatamente connotata da giudizi riduttivi, sprezzanti e meramente strumentali nei confronti della musica forte d’Occidente. La strumentalità si unisce a una dichiarata volontà di appropriazione: come a dire, “la musica serve soltanto alla fede, alla religione e alla liturgia, e perciò appartiene soltanto alla cultura cristiana, cattolica, confessionale”. L’appropriazione si traduce in un’arrogante delegittimazione della musica come bene comune, e ciò è parallelo alla dichiarazione ideologica di un noto “movimento ecclesiale”, secondo cui anche la morale esiste soltanto se è “morale cattolica”, sicché soltanto un cattolico credente può avere una propria vita morale. In maniera analoga, soltanto chi sia cattolico credente può intendere l’essenza della musica, o tradurre, per esempio, i testi delle Cantate sacre di Johann Sebastian Bach. (Ma Bach non era luterano?...) Alla luce di queste considerazioni, l’intervento di Quirino Principe esamina alcune dichiarazioni di importanti ecclesiastici nostri contemporanei, i quali svolgono funzioni primarie in ambito culturale musicologico, all’interno di fondamentali strutture pastorali e didattiche della cattolicità. Giuseppe Grilli-Luisa A. Messina Fajardo La musica classica nel Progetto Abreu, tra formazione ed esecuzione Il Maestro Abreu, già da qualche decennio, ha ideato una straordinaria utopia musicale di massa. Nata in Venezuela nei quartieri del disagio urbano, o nei piccoli centri rurali, l’esperienza è consistita nel coinvolgimento di massa di bambini e giovani di ogni condizione sociale per indirizzarli a una formazione musicale che, pur con adattamenti, si propone l’obiettivo del raggiungimento di una competenza strumentale e culturale completa ed adeguata. Da questo tessuto scaturiscono le orchestre che a diversi livelli, fino a quello dell’Orchestra nazionale si propongono l’esecuzione di un repertorio sinfonico di qualità. Ma in ogni stadio del progetto non si abbandona mai lo spirito Abreu: fare della musica il linguaggio del riscatto sociale e personale, il linguaggio della solidarietà e del dialogo. Luca Aversano L’idea di musica classica tra scuola e mercato L’intervento ripercorre in primo luogo la storia del termine “classico” in àmbito musicale, dalle origini fino alla diffusione della moderna espressione “musica classica”. A partire dai tre elementi fondamentali che caratterizzano il concetto di “classico”, vale a dire l’eccellenza qualitativa, l’esemplarità pedagogica, la durevolezza nel tempo, verranno quindi analizzate le relazioni dell’idea di musica classica con il mondo della scuola e con il settore del mercato editoriale-discografico. Carla Guetti Musica, formazione e bene comune La riflessione di John Dewey sull’arte in generale e sulla musica, sviluppata soprattutto nel testo Art as experience del 1934, si rivela oggi a distanza di tempo ancora un valido supporto per riaffermare il ruolo e l’importanza dell’esperienza, come fattore imprescindibile di interazione tra l’essere vivente e l’ambiente. Anche in considerazione dei recenti sviluppi degli studi cognitivi e delle neuroscienze che mettono in stretta relazione mente e corpo, intelletto e sensi, ragione e sentimento, la filosofia del pensatore statunitense acquista una luce particolare nel superare la dicotomia tra logos e physis e nell’affermare che l’arte non è un’attività avulsa dalla concreta e comune esperienza, ma è un attivo apprezzamento di quegli aspetti qualitativi e formali che appartengono a ogni situazione reale. In particolare la musica e il suono a causa dei nessi tra l’udito e tutte le parti dell’organismo hanno più riflessi e risonanze di qualsiasi altro senso. Ecco perché, secondo Dewey, fin da Platone la filosofia si è occupata della rilevanza dell’educazione musicale anche come costruzione di un ethos. Massimo Donà La musica e il bene che “non è”. Armonia e metamorfosi Se è vero che Aristotele, nel quarto libro della “Metafisica”, liquida assai sbrigativamente colui il quale, pur presentandosi come negatore del ‘principio’, non appare disposto a riconoscere nel proprio ‘negare’ un atto in qualche modo ‘significante’, è anche vero – e questa è la nostra proposta ermeneutica – che proprio e solo in tale ‘figura’ sarebbe potuta venire alla luce la potenza infinita di una voce che, con il suo non ammettere di significare ‘qualcosa di diverso da quanto verrebbe affermato dal sostenitore del principium firmissimum’, dà prova di essere ben più potente di qualsiasi altra possibile voce significante. La sua – questo vorremmo provare a sostenere – è infatti nient’altro che la voce della musica; una voce che è massimamente potente, dunque, proprio in quanto musicale. E, in quanto tale, rigorosamente “non-significante”. Questa voce, insomma, non dice nulla (non ammette che il proprio dire sia un “dire qualcosa di positivo”); anzi, più propriamente parlando, dice solamente “il nulla”. Un nulla – il suo – che risuona imperioso in ogni dinamismo vitale; e che la physis sembra riuscire a “comporre” in ogni sua manifestazione. Che essa, cioè, riesce forse a comporre proprio a partire dall’originario naufragio cui la voce sbrigativamente accantonata da Aristotele (come non degna neppure di considerazione) sembra destinare lo stesso principio di ogni significazione e, conseguentemente, ogni discorso dal medesimo reso in qualche modo possibile. Questa, la segreta origine, forse, di ogni armonia; ossia, di ogni sorprendente consonanza. E quindi di ogni espressione non-significante – come quelle che, di fatto, in ogni determinazione o in ogni specifica individuazione, ri-cor-dano sempre e solamente la discorde-armonia disegnata da un’opposizione assoluta che verrebbe a costituire la vera e propria voce del “principio”. Se non altro là dove quest’ultimo riuscisse a far trapelare la propria natura originariamente ontologica. Tutto ciò sarebbe stato compreso alla perfezione da Goethe; che proprio negli scritti scientifici dedicati alla botanica, ossia alla metamorfosi delle piante e al concetto di Urpflanze, sembra riconoscere alla perfezione il senso originariamente ‘musicale’ di una dinamica come quella in cui, a manifestarsi, è sempre e solamente la ‘polarità assoluta’ – concepita, sempre da Goethe, come luogo di una originaria e irredimibile “impossibilità”. Insomma, solo in virtù dell’impossibile disegnato dalla “polarità assoluta” che sta alla base di ogni slancio vitale – tra quelli effettivamente riconoscibili nell’orizzonte della “natura” – ci sarebbe dato fare una reale e concreta esperienza dell’identità originaria; quella che mai nessuno potrà risolvere in una ‘legge’, in un’“idea”, o al limite in un archetipo… i quali sarebbero sempre rinvenibili secondo una loro propria determinatezza. Sì, solo in virtù di quell’impossibile ci è forse dato fare esperienza di un’armonia in cui ad esprimersi sia davvero l’unico bene comune che nessun significato potrà mai costringere e risolvere entro i propri limitati e sempre privati confini. Ludovica Malknecht “Il definitivo appagamento dell’essere”: musica e istanza in Hermann Broch Dalle elaborazioni teoriche e dall’opera letteraria di Hermann Broch emerge una concezione dell’arte strettamente connessa a questioni di ordine etico. Broch si interroga sulla legittimità della prassi artistica in rapporto alla crisi sociale e culturale che investe la propria epoca. In questo contesto la musica si configura, tra le diverse arti, come portatrice di una specifica forma di conoscenza che permette di affrontare il problema fondamentale dell’umanità – il problema della morte. Nelle Riflessioni sul problema della conoscenza in musica e nel celebre romanzo La morte di Virgilio la musica presenta una forte connotazione etica in grado di dischiudere dimensioni utopiche e redentive. Elizabeth Sombart Fenomenologia della musica e comunicazione nell’ascolto Il bene comune si identifica generalmente con il bene materiale che riteniamo appartenga a tutti noi esseri umani. Esempi comuni sono l’acqua, l’aria etc. In realtà esistono al pari dei beni comuni materiali anche i beni comuni immateriali. Questi ultimi sono indissociabili dalla natura stessa degli esseri umani. La fenomenologia dell’arte e la fenomenologia della musica ci insegnano che le opere d’arte permettono di entrare mediante il dato sensibile nel regno della intersoggettività dove tutti gli esseri umani si riconoscono. La musica come ogni altra forma d’arte è un bene comune immateriale e permette di identificare gli elementi ontologicamente fondanti dell’uomo come essere musicale. Nella musica il tempo non è più vissuto in successione ma nella simultaneità, ciò che in fenomenologia della musica chiamiamo il Tempo musicale, attraverso cui accediamo all’esperienza dell’intersoggettività.