UNIVERSITA’ DEGLI STUDI
DI NAPOLI FEDERICO II
POLO DELLE SCIENZE E DELLE
TECNOLOGIE PER LA VITA
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
DIPARTIMENTO DI ENDOCRINOLOGIA
ED ONCOLOGIA MOLECOLARE E CLINICA
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
Presidenti Prof. Gaetano Lombardi, Prof. Lucio Zarrilli
Responsabile scientifico Prof.ssa Annamaria Colao
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
PROGRAMMA & ABSTRACTS
PRESENTAZIONE
Cari colleghi e amici,
ho il piacere di darvi il benvenuto al Forum “Aggiornamenti in tema di terapia delle
malattie endocrine”, e ringrazio tutti coloro che hanno entusiasticamente aderito a tale
iniziativa.
L’ evento, articolato in un programma che tocca tutte le patologie endocrine principali,
ha lo scopo di rivedere i percorsi diagnostici terapeutici per consentire una omogeneità
di comportamenti tra tutti gli attori del percorso salute in regione Campania (MG,
specialisti ambulatoriali, specialisti ospedalieri e universitari) ma anche di porsi come
momento di incontro che permetta scambi di opinioni personali.
In occasione del Forum verra’ inoltre lanciato il progetto Ca.R.E. (Campania Rete
Endocrinologia), sito web telematico, che si prefigge un triplice scopo: offrire a tutti i
colleghi che operano sul territorio campano uno strumento che permetta in tempo reale
di consultare una delle strutture di II e III livello operanti nel territorio campano per
programmare eventuali indagini diagnostiche o terapie mediche o chirurgiche; costituire
registri di patologie rare e di sorveglianza di farmaci speciali; consentire un rapido
arruolamento di pazienti in trials di terapie innovative.
Spero che la nostra categoria possa trarre giovamento da tali iniziative e, per fare il
punto sui risultati delle attivita’ che verranno svolte nell’anno, vi do appuntamento per
la prossima edizione del Forum il 26 e 27 marzo 2010 !
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
Annamaria Colao
3
PROGRAMMA SCIENTIFICO
PROGRAMMA SCIENTIFICO
VENERDÌ 20 MARZO
8.00 - 10.00
8.00 - 10.00
Riunione Commissione SIE Campania
Registrazione dei partecipanti
10.00 -10.30
Saluto delle Autorità
10.30 - 12.15
SIMPOSIO 1 - LE TIREOPATIE
Moderatori: E. Consiglio, G. Fenzi
10.30 - 10.45
11.30 - 12.15
Gli ipotiroidismi
B. Biondi
Gli ipertiroidismi
P. Macchia
Il carcinoma differenziato
M. Vitale
Il follow-up del carcinoma tiroideo
D. Salvatore
Discussione
12.15 - 13.00
CASI CLINICI 1 (SESSIONI PARALLELE)
10.45 - 11.00
11.00 - 11.15
11.15 - 11.30
AULA MAGNA
Le ipercalcemie
Moderatori: F. Carpenito, S. Settembrini
Relatore: A. Ciccarelli
Critici:
G. Amabile, V. Bassi, M. Dorato, M. Guarino
AULA A
Il carcinoma surrenalico
Moderatori: A. Coppola, L. De Franciscis
Relatore: R. Rossi
Critici:
M. Coscione, M. Gigante, D. Lionello
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
AULA MAGNA
5
PROGRAMMA SCIENTIFICO
VENERDÌ 20 MARZO
AULA B
Il carcinoma midollare della tiroide
Moderatori: F. Di Rella, G. Lupoli
Relatore: G. Vitale
Critici:
R. Fittipaldi, G. Pisano, R. Ponticelli,
E.Rossi
AULA C
Le obesità ipotalamiche
Moderatori: G. D’Avanzo, S. Di Maio
Relatore: A. Rossi
Critici:
A. Leo, A. Pagano, L. Quagliozzi, C. Rinaldi
13.00 - 15.00
Lunch
AULA MAGNA
15.00 - 16.45
SIMPOSIO 2 - I PROBLEMI APERTI IN ANDROLOGIA
Moderatori: M. Agrusta, A. Bellastella
15.00 - 15.15
16.00 - 16.45
La disfunzione erettile
S. Zarrilli
Ipogonadismo maschile
A.A. Sinisi
I transessualismi
M. De Rosa
L’infertilità maschile
R. Pivonello
Discussione
16.45 - 17.30
CASI CLINICI 2 (SESSIONI PARALLELE)
15.15 - 15.30
15.30 - 15.45
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
15.45 - 16.00
6
AULA MAGNA
Le tiroiditi
Moderatori: A. Di Sarno, P. Giordano
Relatore: F. Fonderico
Critici:
B. Amalfi, M. Aversano, G. B. Ghidella,
P. Giordano, S. Pagliara, F. Parlato,
M. Tenuta, G. Torino
PROGRAMMA SCIENTIFICO
VENERDÌ 20 MARZO
AULA A
Il deficit di GH in età di transizione
Moderatori: L. Perrone, M. Salerno
Relatore: P. Marzullo
Critici:
G. De Filippo, S. Gioia, M. Iodice,
D. Montedoro
AULA B
La gestione della terapia con ipoglicemizzanti orali
Moderatori: G. Brighina, O. Vaccaro
Relatore: M. Masulli
Critici:
E. Angrisani, A. Cocca, E. Iervolino,
L. Landolfi, A. Luciano, P. Lanzetta
17.30 - 19.15
SIMPOSIO 3 - L’OSTEOPOROSI
Moderatori: D. Caggiano, A. Colao
17.30 - 17.45
Epidemiologia
L. Vuolo
La terapia con farmaci antiriassorbitivi
V. Nuzzo
La terapia con farmaci anabolici
C. Di Somma
Antiestrogeni ed osteoporosi
E. Rossi
Discussione
17.45 - 18.00
18.00 - 18.15
18.15 - 18.30
18.30 - 19.15
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
AULA C
La resistenza agli ormoni tiroidei
Moderatori: S. Longobardi, M. Rotondi
Relatore: M. Ferrara
Critici:
V. Cannavale, G. Lupoli, L. Pagano,
M. Pulcrano
AULA MAGNA
7
PROGRAMMA SCIENTIFICO
SABATO 21 MARZO
AULA MAGNA
9.00 - 11.00
TAVOLA ROTONDA 1 - SINDROME METABOLICA ED
ENDOCRINOPATIE
Moderatori: D. Giugliano, R. Volpe
9.00 - 9.15
La classificazione
K. Esposito
L’insulino – resistenza
B. Capaldo
L’obesita’: nuovi approcci farmacologici
S. Savastano
L’ipercorticosurrenalismo
M. Filippella
La PCOS
F. Orio jr.
Discussione
9.15 - 9.30
9.30 - 9.45
9.45 - 10.00
10.00 - 10.15
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
10.15 - 11.00
11.00 - 11.45
LETTURA - IL DIABETE MELLITO
Moderatore: G. Lombardi
Relatore: G. Riccardi
11.45 - 13.30
TAVOLA ROTONDA 2 - I TUMORI IPOFISARI
Moderatori: D. Ferone, F. Orio
11.45 - 12.00
Dati dall’agenzia regionale sanità
T. Spinosa
Il prolattinoma
D. Pasquali
L’acromegalia
R. Auriemma
La sindrome di Cushing
M.C. De Martino
Gli adenomi ipofisari non funzionanti
S. Iorio
Le ipofisiti
A. De Bellis
Discussione
12.00 - 12.15
12.15 - 12.30
12.30 - 12.45
12.45 - 13.00
13.00 - 13.15
8
13.15 -13.30
PROGRAMMA SCIENTIFICO
SABATO 21 MARZO
15.00 -15.45
CASI CLINICI 3 (SESSIONI PARALLELE)
AULA MAGNA
La terapia insulinica nel paziente acuto
Moderatori: P. Contaldi, F. Prisco
Relatore: M. Parillo
Critici:
A. Basso, G. Campanile, V. Castellano,
S. De Riu, N. Milano, C. Scurini
AULA A
I tumori neuroendocrini
Moderatori: P. Sabatino, I. Ventre
Relatore: A. Faggiano
Critici:
M. Klain, C. Luongo, P. Tommaselli
AULA C
Le osteoporosi secondarie
Moderatori: B. Merola, V. Novizio
Relatore: F. Rota
Critici:
E. Cascone, C. Cozzi, D. De Brasi,
C. Fariello, A. Panico
AULA MAGNA
15.45 -17.45
TAVOLA ROTONDA - UTILITÀ DI UNA RETE
TELEMATICA PER GLI ENDOCRINOLOGI DELLA
REGIONE CAMPANIA
Moderatore: A. Colao
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
AULA B
Le dislipidemie
Moderatori: A. Rivellese, F. Scavuzzo
Relatore: E. Lapice
Critici:
M. Biondi, G. Cerbone, M. Riccio
9
PROGRAMMA SCIENTIFICO
SABATO 21 MARZO
Epidemiologia
D. Caggiano
Percorsi diagnostico-terapeutici
R. Volpe
Registri di patologie rare
A.A. Sinisi
Il progetto Ca.R.E.
A. Colao
Discussione e conclusione dei lavori
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
Distribuzione materiale didattico per la verifica
dell’apprendimento
10
ABSTRACTS
ABSTRACTS
LETTURA
IL DIABETE MELLITO
Gabriele Riccardi
Dipartimento di diabetologia e malattie del metabolismo – Università degli Studi di Napoli
Federico II
Abstract non pervenuto
ABSTRACTS / simposi
SIMPOSIO 1 - Le tireopatie
L’IPOTIROIDISMO
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
Bernadette Biondi
Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università
degli Studi di Napoli Federico II
12
L’ipotiroidismo è una condizione clinica che si sviluppa per un’insufficiente azione degli
ormoni tiroide sui tessuti dell’organismo. La tiroidite cronica autoimmune di Hashimoto,
la terapia con iodio radioattivo per un pregresso ipertiroidismo, la chirurgia tiroidea o
la terapia radiante esterna del collo, rappresentano le cause più frequenti di ipotiroidismo
primitivo dell’adulto. Più raro è l’ipotiroidismo centrale in cui il difetto è localizzato a
livello ipotalamico o ipofisario con seguente ridotta stimolazione della tiroide,
L’ipotiroidismo subclinico è una patologia caratterizzata da livelli sierici del TSH superiori
ai limiti della norma , in presenza di ormoni tiroidei nel range della normalità. Questa
condizione clinica è prevalente nel 4-10% nella popolazione generale e nel 7-26%
nella popolazione anziana
L’ipotiroidismo subclinico , un tempo considerato una condizione di ipotiroidismo
compensato, attualmente viene considerato una patologia tiroidea con possibili conseguenze
sulla qualità di vita e sulle aspettative di vita, qualora non tempestivamente terapeutizzato
mediante dosi sostitutive di L-tiroxina. Il rischio cardiovascolare è particolarmente elevato
nei pazienti con ipotiroidismo subclinico per la possibilità di alterazione nei parametri
cardiovascolari e per l’aumentato rischio di aterosclerosi. Tra i fattori di rischio per
aterosclerosi un ruolo importante sembra essere svolto dall’ipertensione, dalla disfunzione
endoteliale, dalla dislipidemia, dalla alterazione dei parametri di coagulazione. La terapia
con tiroxina riesce a prevenire o a correggere l’aumetato rischio cardiovascolare associato
a tale patologia, nonché a migliorare la qualità di vita , i disturbi psichici, cognitivi e
muscolari. Il trattamento dell’ipotiroidismo subclinico è imperativo in gravidanza per i
gravi effetti collaterali che può indurre nel nascituro.
ABSTRACTS / simposi
SIMPOSIO 1 - Le tireopatie
GLI IPERTIROIDISMI
Il termine ipertiroidismo si riferisce a tutte le situazioni cliniche associate ad un maggiore
funzionamento della ghiandola tiroidea con iperproduzione degli ormoni tiroidei.
Clinicamente si caratterizza per la presenza di un’iperattività a carico dei vari organi ed
apparati, mentre dal punto di vista laboratoristico gli ipertiroidismi si presentano con
elevati valori di FT3 e/o FT4 circolanti associati ad una riduzione delle concentrazioni di
TSH nelle forme primitive, o a valori di TSH nella norma o aumentati nelle forme secondarie
o terziarie.
Dal punto di vista terapeutico è assolutamente necessario distinguere tra le forme di
ipertiroidismo propriamente dette, in cui la patologia è legata ad una reale iperproduzione
degli ormoni tiroidei, dalle forme di tireotossicosi, in cui, nonostante il quadro
clinico/laboratoristico sia sovrapponibile, il meccanismo patogenetico è associato ad un
aumento degli ormoni tiroidei non dovuto ad una neosintesi degli stessi. La diagnosi
differenziale tra le due forme si basa sulla scintigrafia tiroidea che presenta una captazione
elevata nelle prime forme ed una captazione ridotta nelle tireotossicosi.
Nelle tireotossicosi il trattamento di scelta è legato alla rimozione della causa, ove possibile,
eventualmente associata ad una terapia di tipo sintomatico, come l’uso di farmaci betabloccanti, con il fine di limitare gli effetti periferici, soprattutto cardiaci, causati dall’aumento
degli ormoni tiroidei circolanti.
Nel caso degli ipertiroidismi propriamente detti si può ricorrere, in associazione alla terapia
sintomatica, anche ad un trattamento eziologico con farmaci o procedure terapeutiche
atte a limitare la produzione di ormoni tiroidei.
I farmaci di scelta da utilizzare sono rappresentati dai farmaci antitiroidei, in particolare
il propiltiouracile ed il metimazolo.
Stoicamente, in Italia, era non possibile ottenere il propiltiouracile, che doveva essere
acquistato dalle farmacie internazionali, mentre da circa due anni, è possibile utilizzare
anche il propiltiouracile effettuando una specifica richiesta presso le farmacie ospedaliere.
La terapia con farmaci antitiroidei va praticata per almeno due anni a dosi scalari nei
pazienti affetti da ipertiroidismo da morbo di Basedow, e dopo tale periodo è possibile
provare a sospendere il farmaco, in quanto in circa il 15% dei casi si ottiene una remissione
completa della malattia. Nel caso degli ipertiroidismi da gozzo nodulare (uni- o multinodulare) tossico i farmaci antitiroidei vanno somministrati al fine di riportare la funzione
tiroidea nella norma, ma la loro sospensione si associa ad una ripresa della sintomatologia
e dell’ipertiroidismo, Sarà quindi necessario, in questi casi, ricorrere ad un trattamento
definitivo quale la terapia con 131I o il trattamento chirurgico.
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
Paolo Emidio Macchia
Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi
di Napoli Federico II
13
ABSTRACTS / simposi
SIMPOSIO 1 - Le tireopatie
IL CARCINOMA DIFFERENZIATO
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
Mario Vitale
Dipartimento Assistenziale di “Endocrinologia ed Oncologia Clinica” - Università degli
Studi di Napoli Federico II
14
Il carcinoma differenziato della tiroide (CDT) è la più frequente neoplasia delle ghiandole
endocrine ed ha un’incidenza annuale pari a 3,4/100.000 donne e 1,2/100.000 uomini.
La sua incidenza in Italia è maggiore rispetto alla media mondiale, attestandosi sui valori
di 15,5 e 5,2/100.000 donne e uomini rispettivamente. Da rilevare anche che negli ultimi
anni l’incidenza del CTD è andata progressivamente aumentando, raddoppiando nell’ultimo
ventennio. Questo aumento riguarda soprattutto i carcinomi più piccoli, cioè quelli di
diametro inferiore a 1 cm (micro carcinomi), suggerendo che questo aumento sia la
conseguenza di una più diffusa applicazione delle metodiche ecografiche. Nonostante
la relativamente alta diffusione del CDT, la sua mortalità è estremamente bassa attestandosi
intorno allo 0,6/100.000 individui all’anno. Questa bassissima mortalità è il risultato di
due fattori: la bassa aggressività di questa neoplasia e la nostra capacità di eseguire una
diagnosi, una terapia e un follow-up efficaci.
La classificazione istopatologia del CDT di origine epiteliale comprende il carcinoma
papillifero e il più raro carcinoma follicolare, mentre il carcinoma midollare deriva dalle
cellule parafollicolari. Il CDT si presenta come un nodulo, spesso senza alcuna sintomatologia,
qualche volta con sintomi legati alla compressione del collo o dei nervi laringei ricorrenti.
Più spesso, per CDT di piccole dimensioni, è l’ecografia del collo o dei vasi sopra aortici
che ne rivela la presenza. L’ecografia fornisce utili informazioni sulle dimensioni, sulla
natura cistica o solida e sul grado di vascolarizzazione dei noduli tiroidei, ma non consente
di eseguire una diagnosi sulla loro natura, sufficientemente sicura da determinare il
successivo approccio terapeutico. Pertanto, per i noduli di dimensioni ≥ 1 cm, è necessario
eseguire l’agoaspirato con ago sottile (FNAB) e analizzare il materiale al microscopio.
L’esame citologico può fornire diverse risposte: nodulo benigno, nodulo maligno, neoplasia
follicolare, nodulo sospetto di carcinoma papillare o materiale inadeguato. Purtroppo,
solo il 80-85% dei FNAB forniscono una delle prime due risposte, mentre nel 15-20%
dei casi il risultato rimane incerto. L’accuratezza del FNAB è fortemente dipendente
dall’esperienza dell’anatomopatologo, ma circa il 50% delle diagnosi incerte risultano
essere dei carcinomi. Per tale motivo, nel caso di un FNAB ripetutamente non diagnostico
si rende necessaria una tiroidectomia a scopo diagnostico. La ricerca di marcatori tumorali
quali galectina-3 o oncogeni quali RET/PTC e BRAFV600E, possono contribuire alla scelta
terapeutica e soprattutto al tipo di intervento chirurgico da eseguire. Infatti in caso di
carcinoma è opportuna una tiroidectomia totale con svuotamento del compartimento
linfonodale centrale, mentre per la tiroidectomia diagnostica in un gozzo mono-nodulare
è sufficiente la lobectomia con istmectomia. In caso di esami molecolari positivi, si potrà
ABSTRACTS / simposi
procedere direttamente con la chirurgia più radicale.
Dopo la tiroidectomia, è opportuno eseguire un trattamento con 131-Iodio (terapia radio
metabolica). Questo trattamento elimina i piccoli residui di tessuto tiroideo eventualmente
rimasti e consente un più agevole follow-up della malattia. Infatti il follow-up del CDT
è basato sulla ricerca di tireoglobulina (TG) nel sangue, che deve essere assente dopo
terapia radio metabolica e che se presente è indice della ripresentazione della malattia.
Dopo la dose di 131-Iodio è possibile anche eseguire una scintigrafia totale corporea.
Questa può evidenziare la presenza di eventuali metastasi tumorali. Dopo il trattamento
radiometabolico, il paziente inizia il trattamento sostitutivo con ormone tiroideo per via
orale (levotiroxina, L-T4) che verrà assunta per tutta la vita. Benché le cellule del CDT
siano parzialmente sdifferenziate, la loro proliferazione è ancora dipendente dal TSH e
per tale motivo l’inibizione di questo ormone riduce il tasso di recidive e aumenta la
sopravvivenza del paziente. L’adeguatezza della terapia deve essere monitorata
periodicamente mediante dosaggio del TSH e degli ormoni tiroidei liberi.
Il follow-up del CDT ha lo scopo di valutare la corretta inibizione della secrezione del TSH
e evidenziare in modo precoce la persistenza o la recidiva della malattia. Le recidive di
malattia sono più frequenti nei primi anni, tuttavia possono presentarsi anche molti anni
dopo il trattamento primario e per tale motivo il follow-up deve essere proseguito per
tutta la vita del paziente. Il follow-up del CDT prevede periodicamente la valutazione del
TSH, l’esame clinico, l’ecografia del collo e il dosaggio della TG. Una metodica diagnostica
più recente è la PET-TC. Il suo costo e la sua efficacia ne limitano per il momento
l’applicazione in quei casi nei quali la TG è presente nel siero ma non è possibile
visualizzarne la sede di provenienza.
La palpazione della loggia tiroidea e del collo e l’ecografia vengono eseguite per la ricerca
di linfoadenopatie cervicali. In particola risulta utile l’ecografia che, valutando i caratteri
di ecogenicità, il rapporto tra i diametri, la vascolarizzazione e le variazioni di dimensioni
nel tempo, aiuta il medico a identificare precocemente linfonodi metastatizzati. Quando
i caratteri clinici-ecografici del linfonodo orientano verso la metastatizzazione ma la TG
sierica è negativa, è possibile eseguire il dosaggio della TG nell’agoaspirato linfonodale
ottenuto con ago sottile e sotto attenta guida ecografica. Tale dosaggio, della proteina
o del mRNA, è particolarmente efficace nell’identificare la presenza di cellule tumorali e
non viene significativamente influenzato dalla eventuale presenza nel siero di anticorpi
anti TG. Il dosaggio della TG sierica è uno degli indicatori più efficaci nel follow-up del
CDT. Il dosaggio della TG nel siero è abitualmente eseguito con metodi radioimmunologici
o di immunochemiluminescenza che consentono il dosaggio fino ad una concentrazione
di 1 ng/mL. Questo dosaggio però risente della eventuale presenza di anticorpi anti TG
nel siero, pertanto è sempre necessario dosare ed escludere la presenza di questi ultimi.
La massima efficacia del dosaggio della TG sierica si ottiene stimolando con TSH le
eventuali cellule tumorali presenti. La stimolazione si ottiene con due procedure. La prima
consiste nell’interruzione della terapia soppressiva del TSH per un tempo sufficiente a che
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
SIMPOSIO 1 - Le tireopatie
15
ABSTRACTS / simposi
SIMPOSIO 1 - Le tireopatie
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
questo raggiunga una concentrazione superiore a 50 mUI/mL. Questa pratica è semplice
ed economica ma presenta l’inconveniente non trascurabile di indurre temporaneo
ipotiroidismo con ripercussioni negative sullo stato di benessere del paziente, sulla sua
qualità di vita e sulle attività lavorative. Alla sospensione della terapia con L-T4 si è
aggiunta la possibilità di stimolare la produzione di TG mediante la somministrazione di
TSH umano ricombinante. Senza la necessità di interruzione della terapia con L-T4, questo
ormone viene somministrato in due giorni consecutivi in modo da stimolare la produzione
di TG che viene quindi dosata. Al dosaggio della TG, stimolata mediante sospensione
della L-T4 o con TSH ricombinante, si può aggiungere la scintigrafia totale corporea con
131-Iodio. Questo esame può essere utile per visualizzare delle aree di accumulo anomalo,
ma è meno sensibile del dosaggio della Tg. Solo l’80% dei pazienti con livelli sierici di
TG superiori a 40 ng/mL dopo sospensione della terapia soppressiva del TSH presentano
lesioni cervicali o extra-cervicali evidenziabili mediante scintigrafia totale corporea. Per
tale motivo la scintigrafia totale corporea non è più consigliata nel protocollo standard
del follow-up del CDT se non in casi selezionati e quando, accertata la presenza di TG
si voglia visualizzare la sede di recidiva della malattia e verificarne la captazione per un
più mirato trattamento chirurgico.
16
ABSTRACTS / simposi
SIMPOSIO 1 - Le tireopatie
LA TERAPIA DEI CARCINOMI TIROIDEI
Domenico Salvatore
Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica -Università degli Studi
di Napoli Federico II
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
La patologia nodulare tiroidea rappresenta una delle malattie endocrine di più frequente
riscontro, soprattutto nei paesi in cui la profilassi con iodio non viene attuata. Nonostante
questa elevata incidenza, solo una piccola percentuale di noduli tiroidei è rappresentata
da tumori maligni. Tra questi gli istotipi ben differenziati sono i più frequenti ed hanno
una lenta evoluzione. Inoltre la trasformazione maligna di un nodulo benigno è un evento
eccezionale.
La terapia chirurgica rappresenta il trattamento iniziale di tutti i carcinomi tiroidei, seguita
dall’ablazione del residuo tiroideo con 131I. Anche se i carcinomi differenziati della tiroide
hanno una crescita molto lenta e sono solitamente curabili, recidivano nel 20-40% dei
casi e si sdifferenziano nel 5% dei casi. La chemioterapia e la radioterapia convenzionale
ha uno scarso effetto sui tumori tiroidei avanzati, pertanto tali tumori costituiscono un
dilemma terapeutico ed un’area di ricerca molto critica. La Targeted therapy (terapia
bersaglio), una nuova generazione di trattamenti antitumorali, ha come scopo quello di
interferire con una specifica molecola bersaglio, solitamente una proteina che si ritiene
svolgere un ruolo critico nella crescita o nella progressione tumorale. Attualmente si
stanno testando nuovi farmaci in studi in vitro ed in vivo ed alcuni di loro sono già utilizzati
in diversi trials clinici, come per esempio piccole molecole che inibisco le tirosino chinasi.
17
ABSTRACTS / simposi
SIMPOSIO 2 - I problemi aperti in andrologia
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
TRATTAMENTO MEDICO DELLA DISFUNZIONE ERETTILE
Stefano Zarrilli
Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi
di Napoli Federico II
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L’erezione è un evento neuro-vascolare modulato da fattori psicologici e ormonali.
L’iniziazione neuronale conseguente ad uno stimolo sessuale determina il rilascio di
neurotrasmettitori dal nervo cavernoso e di fattori endoteliali dalle arterie cavernose con
il conseguente rilassamento della muscolatura liscia arteriosa del tessuto erettile e
l’aumento del flusso ematico penieno. La coincidente occlusione del deflusso venoso
blocca il sangue all’interno dei corpi cavernosi, aumentando la pressione sanguigna
peniena, portando quindi all’erezione. L’attività è sostenuta da molecole vasodilatatrici
quali il biossido e l’ossido nitrico (NO2/NO) che, attivando la guanilato ciclasi, portano
alla formazione di cGMP responsabile del rilassamento muscolare; tale processo è
mantenuto in adeguato equilibrio da un secondo enzima, la fosfodiesterasi-5, che trasforma
il cGMP in GMP disattivando il processo di vasodilatazione con conseguente detumescenza
peniena. La capacità di mantenere l’erezione per un tempo prolungato, che travalica
quello necessario a garantire l’accoppiamento e la riproduzione, è una caratteristica
dell’essere umano. La “Disfunzione Erettile” (DE) è stata definita come “persistente o
ricorrente incapacità di ottenere o mantenere un’erezione peniena adeguata per il
completamento dell’attività sessuale”. Questa definizione ha sostituito il termine generico
ed ormai desueto di “impotenza”, che si accompagnava a valenze psicologiche
estremamente negative.
I disturbi erettili sono molto diffusi: secondo alcune stime sono 152 milioni gli uomini
che ne sono colpiti nel mondo. Solo una ristretta parte di pazienti affronta in maniera
adeguata il problema, rivolgendosi ad uno specialista. Eseguendo, infatti, accurate indagini
al manifestarsi del sintomo della DE, possono esserne diagnosticate le cause ed è possibile
procedere ad un trattamento mirato di questo disturbo.
Una DE può riconoscere una etiologia organica (vascolare, malattie sistemiche, diabete,
cardiopatie, ipertensione, neurogena, ormonale, anatomica, strutturale o iatrogena),
psicogena o, più frequentemente, mista, in cui su un impianto di base organico si instaura
una problematica di carattere psicogeno. Le strategie terapeutiche prevedono trattamenti
psico-sociali, medici e chirurgici. Obiettivo del trattamento è il ripristino di una soddisfacente
vita sessuale. Dato l’impatto emotivo di tale disturbo, il counseling psicoterapico è sempre
consigliabile in questo tipo di pazienti. Il trattamento della DE organica deve essere mirato
alla risoluzione del disturbo che ha generato tale sintomo. Pertanto, è essenziale che si
proceda al trattamento della patologia di base responsabile di questo sintomo. Numerosi
sono, poi, i trattamenti orientati al recupero di una piena e soddisfacente erezione.
Negli anni 80 del secolo scorso la terapia iniettiva intracavernosa (FIC) ha consentito di
ottenere le prime erezioni farmaco-mediate. La terapia FIC consiste nell’iniezione nel
ABSTRACTS / simposi
corpo cavernoso di farmaci vasoattivi quali Papaverina e Fentolamina.
Successivamente si è aggiunto il trattamento con Prostaglandina E1 (PGE1) che può
essere iniettivo (FIC) o intrauretrale con il deposito di prostaglandina in gel (alprostadil),
mediante un applicatore direttamente nell’uretra.
Nei casi di ipogonadismo o in soggetti con livelli eccessivamente bassi di testosterone
(T) è indicata la terapia sostitutiva con androgeni (ART). La formulazione più comunemente
impiegata è quella a rilascio controllato di T (enantato, propionato, fenilpropionato,
isocaproato). Utili sono anche la terapia orale con T (undecanoato), i gel transdermici, i
cerotti e, più recentemente, le compresse gengivali per assorbimento attraverso la mucosa
buccale. D’acquisizione relativamente recente sono farmaci come l’apomorfina sublinguale
farmaco attivo a livello centrale che mima la risposta del cervello agli stimoli sessuali, e
la yohimbina, un alfa-bloccante che esercita il proprio effetto direttamente sui tessuti
penieni. Tra i “trattamenti locali” va ricordato il Vacuum Constriction Device (VCD) che
consiste in un tubo di materiale plastico che aspira l’aria attorno al pene creando un
vuoto che determina afflusso di sangue nei corpi cavernosi.
Il “gold-standard” nel trattamento della DE è rappresentato dagli inibitori della fosfodiesterasi
5 (PDE5-I). Sono, infatti, la prima classe di farmaci sicuri ed efficaci per la terapia orale
della DE. Capostitipite di queste molecole è il sildenafil (1998) seguito da tadalafil e
vardenafil (2003). Studi clinici controllati hanno dimostrato che i PDE5-I sono efficaci e
ben tollerati. Tale osservazione è suffragata dall’esperienza della pratica clinica. Benché
l’azione clinica possa manifestarsi fin dalla prima assunzione è importante educare il
paziente sulla necessità di uno stimolo sessuale e sull’utilizzo di un dosaggio adeguato.
I risultati migliorano con le successive assunzioni. La somministrazione concomitante di
questi farmaci con i nitrati è assolutamente controindicata. Infatti, entrambi agiscono
sulla via NO/cGMP esiste quindi il rischio di una severa ipotensione. Rappresentano
controindicazioni all’uso di questi farmaci: malattie sistemiche gravi, attività sessuale
sconsigliata, retinite pigmentosa, ulcera peptica, disturbi coagulativi, anemia falciforme,
uso di alfa-bloccanti (ipertensione e IPB). Gli effetti collaterali possono essere: cefalea,
dispepsia, arrossamento al volto, congestione nasale, alterazioni della visione, mialgia,
dolore al dorso.
Attualmente, allo studio ci sono nuove vie di somministrazione degli agenti vasoattivi che
prevedono oltre alle vie transuretrale ed orale anche quella nasale. Sono, inoltre, oggetto
di sperimentazione donatori dell’NO e di neuropeptidi accessori (cGRP e VIP) e farmaci
inibenti il sistema simpatico (alfa-bloccanti e inibitori del recettore dell’endotelina-1). È
possibile anche tentare una correzione dei processi degenerativi del tessuto cavernoso
mediante infusione di PGE1 o neurotropine. Anche il trattamento tradizionale con i PDE5I è stato rivisitato, per cui l’obiettivo dei nuovi trattamenti è ottenere non tanto una protesi
farmacologia, quanto una riabilitazione del meccanismo erettile.
Un discorso a parte merita la terapia genica dei corpi cavernosi che prevede, fra l’altro:
l’intervento su regioni geniche codificanti per le Inducible Nitric Oxide Synthase (iNOS);
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
SIMPOSIO 2 - I problemi aperti in andrologia
19
ABSTRACTS / simposi
SIMPOSIO 2 - I problemi aperti in andrologia
la somministrazione intracavernosa di Fattore di Crescita Endoteliale Vascolare (VEGF);
il trapianto di cellule endoteliali di microvasi autologhi (MVEC). Questi trattamenti mirano
alla realizzazione di un sistema sicuro, efficace e specifico per modificare la pressione
intracavernosa “on demand”, eliminando la necessità di altre forme di terapia senza
alterare le restanti funzioni peniene o la fisiologia degli altri organi e possono, a ragione,
essere considerati la reale ultima frontiera terapeutica.
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
IPOGONADISMO MASCHILE
Antonio A. Sinisi
Cattedra di Endocrinologia - Seconda Università di Napoli
20
L’ipogonadismo maschile è una condizione patologica in cui una mancanza di produzione
d’ormoni maschili e di testosterone in particolare, per disordini primitivamente testicolari
(ipogonadismi primitivi o ipergonadotropi) o secondari a mancanza secretoria di varia
natura dell’asse ipotalamo-ipofisi per il settore gonadotropo (ipogonadismi secondari o
ipogonadotropi) induce alterazioni fenotipiche caratteristiche la cui gravità e complessità
dipendono dalle cause e dall’età d’esordio della patologia. Gli ipogonadismi secondari
sono caratterizzati da deficit della funzione testicolare (leydigiana o tubulare o di entrambe)
per alterazione o deficit della secrezione delle gonadotropine a causa di difetti congeniti
o acquisiti, su base organica o funzionale, dell’ipotalamo o/e dell’ipofisi. Un ipogonadismo
secondario può presentarsi come isolato (HHI) o associato ad altri difetti ipofisari. L’HHI
comprende un gruppo di condizioni eterogenee per gli aspetti eziologici, genetici e clinici
ed e’ la forma piu’ frequente di ipogonadismo secondario, con una prevalenza di 1 a
10.000, ed . isolato e’ la conseguenza di un’alterazione della secrezione delle gonadotropine
per mancanza dello stimolo del GnRH o per alterazione della produzione ipofisaria di LH
o FSH. L’HHI puo’ essere apparentemente senza causa (idiopatico) o associato a difetti
sensoriali come nella Sindrome di Kallmann (SK) o ad altri difetti del sistema nervoso
come nelle forme sindromiche. Nel 30% dei casi sono state documentate alterazioni
genetiche (geni KAL1, FGFR1, FGF8, PROK2, PROKR2, GnRHR, GPR54, NELF, LHbeta,
DAX1, LEP, LEPR). Deficit multipli posono essere secondari a danni organici (tumori
ipotalamo ipofisari, traumi etc) o congeniti da alterazione di geni (HESX-1, Prop1) che
controllano l’organogenesi dell’ipofisi o la differenziazione delle cellule ipofsarie . Gli
ipogonadismi primari sono un gruppo eterogeneo di condizioni dovute ad alterazioni
primitive testicolari da cause congenite o acquisite, caratterizzate dal deficit androgenico
con riduzione della secrezione o dell’ azione del testosterone, dal deficit della funzione
tubulare, con alterazione della spermatogenesi, o da entrambi. Gli ipogonadismi primari
sono anche definiti ipergonadotropi, in quanto si ha di solito un’iperincrezione secondaria
delle gonadotropine per riduzione del meccanismo di feedback negativo.La forma più
frequente (1:500 nati maschi) è la sindrome di Klinefelter (SKl) che è dovuta ad aberrazione
ABSTRACTS / simposi
SIMPOSIO 2 - I problemi aperti in andrologia
cromosomica. Altre forme possono essere su base cromosomica (XX-male, XYYmale,
disgenesie gonadiche miste, alterazioni etc,), genica (S.Noonan, S.Steinert, deficit
steroidogenesi congeniti etc.) o acquisita (criptorchidismo, anorchia etc). La fisiopatologia
e le manifestazioni cliniche varieranno a seconda del grado di interessamento del testicolo,
dell’ eziologia e dell’ eta’ di insorgenza del difetto.
La terapia medica del transessualismo ha come fine quello di trasformare il corpo del
soggetto da trattare in maniera adatta alla sua psiche. E’ probabilmente, quindi, l’unica
terapia che mira non ad una “restitutio ad integrum” di alterazioni patologiche ma a
modificare l’omeostasi fisiologica del soggetto. Di ciò si deve tenere conto, sia da un
punto di vista clinico, nell’ottica di non indurre effetti collaterali, sia da un punto di vista
medico-legale, poiché induce modificazioni del fenotipo anche se non definitive.
Fondamentale in questi trattamenti è il “real life test”, durante il quale la terapia comincia
a indurre quelle modificazioni del fenotipo, che servono a far sperimentare al soggetto
il suo nuovo aspetto fisico.
Nella ns. esperienza migliori risultati si ottengono, nella trasformazione M/F¸ con i preparati
estrogenici. A questi ultimi, e per abbassarne i dosaggi, conviene aggiungere il ciproterone
acetato che blocca i recettori per gli androgeni. Infatti, alti dosaggi di estrogeni possono
indurre un danno epatico e complicanze trombo-emboliche, per cui, prima e durante tale
terapia, è sempre indispensabile monitorare gli indici della funzionalità epatica e della
coagulabilità plasmatica. Spesso accade che, durante la terapia estrogenica, si innalzino
i livelli plasmatici di HPRL. In questo caso, pur non essendo necessario sospendere la
terapia al di sotto di certi livelli circolanti di tale ormone, è utile una valutazione più
approfondita con prelievi seriati ed uno studio morfo-funzionale dell’ipofisi.
Nella trasformazione F/M, sicuramente più rara e con risultati finali meno soddisfacenti,
qualunque preparato a base di testosterone è utile. Nella ns. esperienza preferiamo usare
i preparati ad effetto ritardo poiché permettono un minor numero di somministrazioni e
quindi una migliore “compliance” del soggetto da trattare.
E’, comunque, necessario nella terapia medica del transessualismo adeguare la terapia
ad ogni singolo soggetto effettuando frequenti controlli clinici tenendo conto del suo
benessere fisico e psichico.
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
I TRANSESSUALISMI
Michele De Rosa
Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi
di Napoli Federico II
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SIMPOSIO 2 - I problemi aperti in andrologia
L’INFERTILITÀ MASCHILE
Rosario Pivonello
Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Universita’ degli Studi
di Napoli Federico II
Definizione
L’infertilità è l’impossibilità per una coppia di concepire un bambino dopo un anno di
regolari rapporti sessuali non protetti e di frequenze adeguata. Circa il 30% dei casi di
infertilità di coppia sono determinati da cause legate al partner maschile. Considerando
i meccanismi alla base della fertilità maschile, una condizione di infertilità si concretizza
in problematiche che alterano la normale produzione, maturazione, vitalità e liberazione
degli spermatozoi. Numerosi fattori possono contribuire ad uno stato di infertilità. I
principali possono essere suddivisi nei seguenti gruppi: 1)fattori che agiscono in una fase
“pre-testicolare”, che alterano la quantità e/o la qualità delle cellule germinali: In questo
gruppo rientranole patologie endocrine; 2)fattori che agiscono in una fase “testicolare”,
che alterano il processo di produzione dello sperma. A questo gruppo appartengono le
patologie genetiche e direttamente testicolari; 3)fattori che agiscono in una fase “posttesticolare”, durante il processo di fuoriuscita degli spermatozoi;Tra questi sono comprese
le problematiche legate all’eiaculazione e alla fecondazione.
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
Cause
Tra le più comune cause di infertilità maschile, presenti anche in conbinazione tra loro,
sono incluse: le alterazioni a carico del liquido seminale: oligospermia, astenospermia,
teratospermia, il varicocele, le prostatiti, l’eiaculazione retrograda con minore volume
dell’eiaculato, l’ostruzione dei canali dell’apparato riproduttivo, le patologie endocrine:
iperprolattinemia, ipogonadismo, ipopituitarismo, le malattie sessualmente trasmesse, le
infiammazioni genitali (ad es. epididimite, orchite partitica), i traumi scrotali e torsione
testicolari, il criptorchidismo, la neuropatia diabetica, l’obesità estrema, i disordini
immunitari, le epatopatie, le nefropatie e l’anemia falciforme .
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Diagnosi
La diagnosi di infertilità si basa in primis sulla anamnesi riguardo eventuali difficoltà nel
concepimento insorte nel passato e su eventuali episodi di lesione ai testicoli.
questo si accompagna un esame fisico dell’apparato genitale, dello scroto e dell’area
peritesticolare, attraverso il quale si possono identificare eventuali problematiche a carico
dei testicoli, dello scroto, degli epididimi e del primo tratto dei deferenti, del pene, della
prostata e vescicole seminali. Seguirà una serie di indagini laboratoristico-strumentali,
che possiamo considerare di I livello: 1)analisi del liquido seminale (spermiogramma); 2)
esami microbiologici (spermiocoltura, ricerca di chlamydiae trachomatis e mycoplasma
urealiticum); 3)profilo ormonale (in particolare gonadotropine, testosterone, prolattina,
ABSTRACTS / simposi
SIMPOSIO 2 - I problemi aperti in andrologia
TSH ed eventuali altri ritenuti necessari); 3) un’ecografia scrotale con color doppler dei
funicoli spermatici per valutare la presenza di varicocele o di altre alterazioni testicolari.
Successivamente potranno essere presi in considerazione ulteriori test del liquido seminale
(es. ricerca di anticorpi antispermatozoo ), un approfondimento della situazione ormonale
tramite eventuali tests da stimolo, un’ecografia prostato-vescicolare, una serie di analisi
di tipo genetico (es. cariotipo, ricerca di microdelezioni del cromosoma Y e mutazione del
gene CFTR o altre se indicato). Se necessario, si potrà accedere ad una diagnostica ancora
più invasiva come il citoaspirato o la biopsia testicolare.
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
Terapia
L’obiettivo del trattamento è quello di raggiungere le condizioni migliori possibili per
quello che riguarda la spermatogenesi e la qualità del seme. Se dagli esami, ad esempio,
sono emerse infezioni genitali, occorrerà trattarle con adeguata terapia antibiotica e
antinfiammatoria. Escluse o trattate queste, un approccio terapeutico importante è
costituito dalla terapia ormonale, in particolare tramite l’uso di gonodotropine (in particolare
FSH). La terapia ormonale può essere utilizzata sia in modo razionale (in caso cioè di
documentata carenza ormonale), sia in modo empirico, quando, pur senza un’evidenza
di deficit secretorio di gonadotropine, si sfrutta di fatto un effetto stimolatorio sulla
spermatogenesi. Quest’ultima situazione è di gran lunga la più frequente in clinica e trova
indicazione in caso di ridotta spermatogenesi (cioè la situazione definita con il termine
di oligospermia). Numerosi studi documentano l’efficacia di tale trattamento; tuttavia
rimangono al presente mal definiti i criteri di predittività di risposta a tale terapia. Un
altro presidio terapeutico che si è rivelato efficace in studi clinici controllati per il trattamento
dell’infertilità maschile è costituito dagli antiossidanti mentre l’intervento chirurgico è
spesso risolutivo in caso di varicocele. L’eventuale approccio alla tecniche di procreazione
medicalmente assistita, dal punto di vista andrologico, va preso in considerazione
principalmente quando, pur in presenza di una migliorata la qualità del seme la coppia
non raggiunge comunque l’obbiettivo della gravidanza in un arco di tempo ragionevole.
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ABSTRACTS / simposi
SIMPOSIO 3 - L’osteoporosi
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
OSTEOPOROSI: EPIDEMIOLOGIA
Laura Vuolo
Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica Università Federico II
di Napoli
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L'osteoporosi è una malattia generalizzata dell’osso, caratterizzata dalla riduzione
quantitativa della massa ossea e dal danno microarhitetturale del tessuto osseo, cui
conseguono l’aumento della fragilità dello scheletro ed una maggiore suscettibilità alle
fratture. L'osteoporosi deriva da uno squilibrio acquisito nel sistema di rimodellamento
osseo, normalmente disciplinato dall’azione combinata di più ormoni. Al giorno d'oggi
l'osteoporosi rappresenta una patologia di rilevanza sociale, progressiva,
potenzialmente invalidante, spesso asintomatica. Circa 200 milioni di individui nel mondo
ne soffrono, con un rapporto tra i due sessi di 3:1. In Italia, 3.5 milioni di donne ed 1
milione di uomini, di età superiore ai 50 anni, sono osteoporotici. In particolare in
Campania, su un totale di 2.976.122 donne ben 357.000 ne risultano affette (12%);
mentre su 2.814.807 uomini, 113.000 sono osteoporotici (4%). Solo una donna su due
affette da osteoporosi sa di esserlo. Stessa mancanza di consapevolezza riguarda un
uomo su cinque. Il 50% delle persone che pensano di essere ammalate di osteoporosi
non lo sono, mentre la metà di quelli realmente affetti dalla malattia non sa di esserlo.
E’ quanto emerge da uno studio pilota condotto in Italia nell’area di Firenze, svolto in
collaborazione da Istituto superiore di sanità, Istat, Ars della Toscana e Asl di Firenze. Lo
studio ha coinvolto persone di età compresa fra 35 e 74 anni appartenenti a 476 famiglie
che rientravano nel campione della indagine Istat. Le indicazioni emerse, se proiettate
alla realtà nazionale, risultano abbastanza divergenti da quelle fornite dall’ultima indagine
ISTAT secondo cui si dichiara ammalato di questa patologia solo il 4,7% della popolazione
totale e il 17,5% delle persone con oltre 65 anni di età. Un più recente studio epidemiologico
multicentrico nazionale, ESOPO, ha invece rilevato che il 23% delle donne di età superiore
ai 40 anni e il 14% degli uomini di età superiore ai di 60 anni è affetto da osteoporosi.
La conseguenza più rilevante di tale patologia è rappresentata dall’aumento dell'incidenza
delle fratture da fragilità, che si manifestano quando la perdita di massa ossea supera il
40% della massa totale; i siti più comunemente colpiti sono la colonna vertebrale nel
tratto dorso-lombare e la regione femorale, meno comunemente il radio nella porzione
distale. E’ stato calcolato che, superati i 50 anni di età, 1 donna su 2 ed 1 uomo su 8
sono destinati ad andare incontro ad almeno una frattura da fragilità ossea nel resto
della vita. Questo dato è allarmante se si considera la pesante influenza di tali fratture
sulla qualità della vita e sulla spesa sanitaria.
ABSTRACTS / simposi
SIMPOSIO 3 - L’osteoporosi
Negli ultimi anni sono stati sviluppati e commercializzati numerosi farmaci per la terapia
dell’osteoporosi. L’end point di tutte le terapie rimane la prevenzione dell’evento fratturativo.
In tal senso i bisfosfonati rimangono i farmaci con la più corposa documentazione di
efficacia.
Tali farmaci inibiscono l’attività osteoclastica, riducono il riassorbimento e il turn over
osseo con un conseguente incremento della massa ossea. I bisfosfonati, in particolare
Alendronato e Residronato sono farmaci di prima scelta nel trattamento di tutte le forme
di osteoporosi (post-menopausale, cortisonica, maschile).
L’utilizzo dei bisfosfonati negli anni ha evidenziato un elemento di criticità nella aderenza
alla terapia. Tale elemento è particolarmente evidente in soggetti anziani sottoposti a
plurime terapie con dosaggi multipli nell’ambito della stessa giornata. Infatti, è dimostrato
che Il 50% dei pazienti affetti da osteoporosi interrompe la terapia medica dopo 1224 mesi. Curtis, (J Bone Miner Res 2008) in un ampio gruppo di pazienti affetti da
osteoporosi in terapia con bisfosfonati, ha evidenziato che l’aderenza alla terapia ad una
anno era del 44%, a due anni del 39% e a tre anni solo del 35%.
Per tale motivo negli ultimi anni sono state sviluppate molecole e modalità di
somministrazioni che consentissero una assunzione diradata nel tempo. In particolare si
segnalano l’Alendronato nella somministrazione settimanale, l’Ibandronato somministrabile
una volta al mese per la via orale ed ogni tre mesi endovena, il Residrinato da assumere
due volte al mese ed infine lo Zolendronato utilizzabile in mono-somministrazione annuale.
Il meccanismo di somministrazione intermittente si è dimostrato efficace per la caratteristiche
intrinseche della biologia ossea. I farmaci con somministrazione intermittente hanno
dimostrato una certa efficacia anche dopo la sospensione indicandoci una latenza d’azione.
In conclusione, abbiamo sicuramente a disposizione potenti farmaci nel trattamento
dell’osteoporosi, ma la aderenza alla terapia rimane un fattore determinante in una
patologia che decorre spesso asintomatica nelle sue fasi iniziali. Scopo del medico, oltre
quello di individuare il farmaco più efficace secondo le linee guida internazionali, è quello
di ritagliare la terapia sul paziente.
LA TERAPIA DELL’OSTEOPOROSI CON FARMACI ANABOLICI
Carolina Di Somma
Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi
di Napoli Federico II
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
LA TERAPIA CON FARMACI ANTIRIASSORBITIVI
Vincenzo Nuzzo
Dipartimento di Medicina ed Oncologia PO San Gennaro ASL Napoli1
Il trattamento medico dell’osteoporosi ha come obiettivo primario quello di ridurre le
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ABSTRACTS / simposi
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
SIMPOSIO 3 - L’osteoporosi
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fratture da fragilità. I farmaci anti-osteoporotici, finora distinti in inibitori del riassorbimento
osseo e stimolatori della neoformazione ossea, sono stati recentemente classificati da
Riggs e Parfitt in anti-catabolici ed anabolici sulla base del loro effetto sul rimodellamento
osseo.
Fino a poco tempo fa ci si avvaleva principalmente dei farmaci anti-catabolici e solo
recentemente si sono resi disponibili farmaci ad azione anabolica o mista.
I farmaci anabolici (PTH 1-34 e PTH 1-84) determinano un bilancio positivo a livello delle
unità di rimodellamento (la quantità di osso formato è maggiore di quella riassorbita)
con conseguente aumento della resistenza dell’osso. Il trattamento con PTH dovrebbe
comunque essere limitato alle pazienti con grave osteoporosi fratturativa, sia come
trattamento iniziale che nelle pazienti che non rispondono alla terapia anti-fratturativa.
Il ranelato di stronzio, molecola di recente introduzione, esercita un duplice meccanismo
di azione sul metabolismo osseo: inibisce il riassorbimento, mediante un’inibizione della
differenziazione dei preosteoclasti in osteoclasti, e contemporaneamente promuove la
neoformazione ossea, tramite una stimolazione della differenziazione dei preosteoblasti
in osteoblasti.
Questo nuovo armamentario terapeutico offre anche l’opportunità di nuovi percorsi
terapeutici basati sull’uso combinato e/o sequenziale di farmaci anti-catabolici ed anabolici.
Questa prospettiva è di particolare rilievo nel caso dell’impiego del PTH. Dal momento
che il trattamento con PTH è limitato nel tempo, la sua cessazione comporta una tendenza
alla riduzione della massa ossea. E’ stato osservato che l’istituzione di un farmaco anticatabolico dopo il trattamento con PTH determina un significativo aumento della massa
ossea.
Un evento più frequente nella pratica clinica è l’inizio del trattamento con PTH al termine
di un periodo di trattamento con farmaci anti-catabolici, ed in particolare in quei pazienti
nei quali il trattamento con questi ultimi farmaci non ha prodotto i risultati aspettati.
Recentemente è stato osservato che il pre-trattamento con inibitori del riassorbimento
osseo non altera la risposta alla terapia con PTH, ma l’efficacia del trattamento è del
tutto sovrapponibile a quella che si osserva nei pazienti che precedentemente non hanno
assunto alcuna terapia.
ANTIESTROGENI ED OSTEOPOROSI
Emanuela Rossi
Unità Operativa S.C. di Oncologia Medica Dipartimento di Onco-Ematologia - Azienda
Ospedaliera di Rilievo Nazionale “San Giuseppe Moscati”, Avellino
Il ruolo degli estrogeni nello sviluppo e nella proliferazione del carcinoma mammario è
ormai consolidato. Strategie miranti a ridurre gli effetti degli estrogeni sui tessuti mammari
sono state per lunghi anni l’obiettivo primario della terapia endocrina. In postmenopausa
gli estrogeni vengono prodotti dai tessuti periferici per aromatizzazione degli androgeni,
ABSTRACTS / simposi
SIMPOSIO 3 - L’osteoporosi
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
prevalentemente surrenalici. L’azione estrogenica quindi può essere ridotta o soppressa
per l’inibizione della conversione degli androgeni a estrogeni. In tal senso agiscono gli
inibitori dell’aromatasi (AI) che abbassano i livelli degli estrogeni inibendo l’enzima
aromatasi, responsabile della conversione degli androgeni in estrogeni. Per oltre 30 anni
l’antiestrogeno Tamoxifene (TAM), somministrato per 5 anni, ha rappresentato il trattamento
adiuvante ormonale standard per il carcinoma mammario ormono-responsivo. La necessità
di identificare farmaci più attivi e meglio tollerati e la dimostrata superiorità degli AI nella
malattia avanzata, hanno portato a testare l’uso di questi farmaci anche negli stadi più
precoci di malattia. Sono stati condotti numerosi studi di terapia adiuvante con gli AI di
terza generazione secondo le diverse strategie : upfront (AI per 5 anni) switch (2 anni
di TAM, poi 3 anni di AI) extended (5 anni di TAM poi 5 anni di AI) e in tutti è stato
dimostrato per gli AI un miglioramento della sopravvivenza libera da malattia (DFS),
rispetto al TAM per 5 anni. Tuttavia l’utilizzo degli AI non può prescindere da una
valutazione accurata anche del profilo di tollerabilità di questi farmaci. Gli estrogeni
svolgono un ruolo importante nel mantenimento della densità minerale ossea; pertanto,
strategie terapeutiche in grado di ridurre i livelli di estrogeni possono potenzialmente
ridurre anche la densità minerale ossea. La Nostra U.O., in collaborazione con l’INT di
Napoli, sta conducendo uno studio di fase III per confrontare gli effetti ossei del TAM vs
Letrozolo, un AI di terza generazione non steroideo, come terapia adiuvante del carcinoma
mammario ormono-responsivo (Hormonal adjuvant treatment Bone Effects – HOBOE).
Lo studio è in corso e gli effetti ossei di tali farmaci vengono valutati tramite prelievi per
i marcatori di riassorbimento e formazione ossea e l’esecuzione semestrale di MOC. Dati
preliminari di confronto tra gli effetti endocrini dei farmaci in studio indicano inoltre che
gli effetti endocrini del Letrozolo e del Tam sono significativamente differenti, con maggiore
soppressione dell’estradiolo e del cortisolo e livelli più alti di FSH, LH, progesterone e
testosterone nelle pazienti trattate con Letrozolo sia in premenopausa (Rossi E et al, JCO
Genn ’08) che in postmenopausa (Rossi E et al JCO ’09, in press). Gli effetti a lungo
termine di queste diverse secrezioni ormonali ed le loro ripercussioni sul metabolismo
osseo richiedono tuttavia ulteriori studi.
27
ABSTRACTS / tavole rotonde
TAVOLA ROTONDA 1 - Sindrome metabolica ed endocrinopatie
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
SINDROME METABOLICA: LA CLASSIFICAZIONE
Katherine Esposito
Dipartimento di Geriatria e Malattie del Metabolismo - Seconda Università di Napoli
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La Sindrome Metabolica si definisce come un complesso di fattori di rischio metabolici
che riflettono l’ipernutrizione e lo stile di vita sedentario, condizioni risultanti in un
eccesso di adiposità viscerale. La necessità di definire la Sindrome metabolica deriva
dall’osservazione della frequente aggregazione di disordini metabolici. Poiché la sindrome
metabolica rappresenta un insieme di differenti condizioni e non una singola patologia,
nel corso del tempo è stata identificata mediante numerose definizioni.
Nel 1956 Vague definì «sindrome dell’obesità androide» l’associazione di obesità
addominale, diabete e gotta e dieci anni più tardi Avogaro e Crepaldi usarono il termine
di «sindrome plurimetabolica» per descrivere un evento patologico caratterizzato da
obesità, diabete, iperlipidemia e ipertensione.
Nel 1998 la commissione del WHO ha presentato i nuovi criteri classificativi e diagnostici
del diabete mellito e ha stabilito che per «sindrome metabolica» debba intendersi
l’associazione di ridotta tolleranza al glucosio o diabete tipo 2 e insulinoresistenza con
almeno altre due alterazioni tra ipertensione arteriosa, ipertrigliceridemia e/o ridotto
colesterolo HDL, obesità centrale e microalbuminuria. In seguito, il Gruppo di Studio
Europeo dell’Insulinoresistenza (EGIR) ha indicato criteri alternativi e la definizione classica
di «sindrome dell’insulinoresistenza» allo scopo di evitare sovrapposizioni con il diabete
e di semplificare le procedure diagnostiche. Nel 2001 i National Institutes of Health hanno
suggerito dei criteri diagnostici. È stato proposto che la presenza di tre o più dei seguenti
disordini nello stesso paziente sia sufficiente per identificare la sindrome:
-circonferenza vita > 102 cm nei maschi, >88 cm nelle femmine;
-glicemia a digiuno ≥ 110 mg/dl;
-pressione arteriosa ≥130/85 mmmHg;
-trigliceridi ≥ 150 mg/dl;
-HDL-colesterolo ≤ 40 mg/dl nei maschia; ≤ 50 mg/dl nelle femmine.
Infine l’American College of Endocrinology ribadisce l’importanza di utilizzare ancora il
termine «sindrome da insulinoresistenza» che comprende le conseguenze
dell’insulinoresistenza e dell’iperinsulinemia compensatoria e che mette in risalto il
momento patogenetico che collega il cluster dei diversi disordini metabolici. Questo
modello non comprende l’obesità considerata una causa e non una conseguenza del
fenomeno.
ABSTRACTS / tavole rotonde
TAVOLA ROTONDA 1 - Sindrome metabolica ed endocrinopatie
La resistenza insulinica è una condizione caratterizzata da un ridotto effetto biologico
dell’ormone. Sin dalla sua formulazione originaria, il concetto di insulino-resistenza è
andato incontro a numerose ridefinizioni in relazione all’ampliarsi delle conoscenze sulle
molteplici azioni dell’insulina. Se originariamente l’insulino-resistenza era stata messa
in relazione alla ridotta capacità dell’ormone di promuovere il metabolismo del glucosio,
negli anni successivi, grazie all’affinamento dei metodi di valutazione, è divenuto chiaro
che l’insulino-resistenza è una condizione complessa che investe il metabolismo dei
nutrienti nel suo insieme, coinvolge diversi organi e tessuti ed ha importanti conseguenze
sia di carattere metabolico che cardiovascolare. L’insulino-resistenza, oltre a svolgere
un ruolo centrale nella patogenesi del diabete di tipo 2, è una componente importante
di una serie di altre patologie come l’obesità, l’ipertensione, le dislipidemie, alcune
endocrinopatie, quali la sindrome dell’ovaio policistico, l’ipercorticosurrenalismo, disturbi
della secrezione del GH. L’insulino-resistenza costituisce la base patogenetica comune
ad un cluster di alterazioni che tendono a presentarsi aggregate nello stesso individuo
configurando il quadro della sindrome metabolica. Tale condizione è fortemente prevalente
nella popolazione diabetica interessando i circa l’80% dei pazienti, ma ha raggiunto una
prevalenza ragguardevole anche nella popolazione generale (circa il 25%). Infatti, i
soggetti insulino-resistenti tendono ad avere una trigliceridemia più alta, livelli di HDLcolesterolo più bassi, alterazioni dell’omeostasi del glucosio, più alti valori pressori ed un
più alto rischio cardiovascolare rispetto ai soggetti con basso grado di resistenza insulinica.
La presenza di insulino-resistenza può essere rilevata attraverso tecniche specifiche, alcune
delle quali abbastanza complesse, che forniscono una valutazione quantitativa del
fenomeno. Per esigenze cliniche risultano molto utili alcuni indicatori di insulina-resistenza
di facile rilevazione, quali il peso corporeo, e particolarmente la distribuzione centrale del
grasso che può essere valutata attraverso la misura della circonferenza vita, la pressione
arteriosa, la trigliceridemia.
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
L’INSULINO – RESISTENZA
Brunella Capaldo
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale - Università degli Studi di Napoli Federico II
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ABSTRACTS / tavole rotonde
TAVOLA ROTONDA 1 - Sindrome metabolica ed endocrinopatie
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
L’OBESITÀ: NUOVI APPROCCI FARMACOLOGICI
Silvia Savastano
Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica – Università degli Studi
di Napoli Federico II
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La elevata complessità dei meccanismi neuroendocrini e metabolici di regolazione del
peso corporeo e la loro stretta interazione con fattori genetici, ambientali, nutrizionali e
psicologici rendono allo stato attuale l’approccio farmacologico dell’obesità poco
soddisfacente alla necessità di ridurre il peso corporeo ed i fattori rischio di malattia
cardiovascolare correlati all’obesità, nonché di mantenere stabilmente la riduzione del
peso.
Secondo le Linee Guida Italiane (LiGIO'99), la terapia farmacologica dell’obesità può
essere prescritta con BMI ≥30 kg/m2 oppure ≥ 27 kg/m2 con associati fattori di rischio
(per esempio diabete mellito, coronaropatia, ipertensione e apnea ostruttiva del sonno),
dopo almeno 3 mesi di dieta controllata, esercizio fisico e modificazioni del comportamento.
Il farmaco ideale per la terapia dell’obesità dovrebbe essere in grado di indurre perdita
esclusiva di grasso corporeo senza causare effetti collaterali. Studi clinici controllati con
placebo, randomizzati, che hanno valutato i 2 farmaci attualmente registrati in Italia ed
in Europa (Sibutramina e Orlistat) con indicazione al trattamento del’obesità, dopo la
recente sospensione del Rimonabant, hanno mostrato una perdita di peso media inferiore
ai 5 kg, con significativi effetti indesiderati fino al 60%. Per entrambi i farmaci, la
percentuale di aderenza ad 1 anno è stata inferiore al 10%, e la percentuale di aderenza
a 2 anni è stata del 2%. Altri farmaci che influenzano il metabolismo ed il tessuto adiposo
sono tuttavia in commercio, anche senza indicazione specifica al trattamento antiobesità,
mentre la terapia con ormone della crescita è risultata efficace in gruppi selezionati di
pazienti con obesità viscerale e sindrome metabolica, o nel periodo di follow-up postchirurgia bariatrica. Nuove molecole, come la N-oleilfosfatidil-etanolamina, sono attualmente
in uso come mediatori periferici della sazietà. Risulta quindi evidente come la cura efficace
dell’obesità nel lungo termine, piuttosto che coinvolgere una singola molecola od un
singolo circuito nervoso o via metabolica, richieda un approccio multidimensionale con
più farmaci che agiscano a diversi livelli e su diversi meccanismi, comunque variamente
combinati con terapia nutrizionale, motoria, psicologica, endoscopica, chirurgica.
ABSTRACTS / tavole rotonde
TAVOLA ROTONDA 1 - Sindrome metabolica ed endocrinopatie
L’IPERCORTICOSURRENALISMO
Mariagiovanna Filippella
Unità di Diabetologia ed Endocrinologia - Ospedale Regionale “Umberto Parini”, Aosta
I pazienti con sindrome di Cushing sviluppano un quadro di sindrome metabolica acquisita.
Circa il 95% è iperteso, l’80% presenta obesità viscerale, il 50% ha insulino-resistenza
con conseguente sviluppo di diabete mellito e/o intolleranza ai carboidrati. L’insulinoresistenza è l’elemento fisiopatologico fondamentale della sindrome metabolica indotta
dall’abnorme secrezione di cortisolo. Nei pazienti guariti dall’ipercorticosurrenalismo, le
manifestazioni della sindrome metabolica migliorano ma non si normalizzano completamente.
La stretta relazione tra glucocorticoidi e sindrome metabolica è stata dimostrata anche
dall’evidenza di ipercortisolismo subclinico in pazienti con ipertensione arteriosa ed
intolleranza al glucosio e dall’incremento dei livelli intracellulari di cortisolo nel tessuto
adiposo di soggetti obesi. L’enzima 11-beta-idrossisteroido deidrogenasi (11b-HSD),
espresso a livello di diversi tessuti come tessuto adiposo e fegato, potenzia a livello
intracellulare l’attività dei glucocorticoidi contribuendo alle caratteristiche della sindrome
metabolica. Di conseguenza gli inibitori dell’11-βHSD potrebbero essere considerati come
opzione terapeutica per ridurre i livelli intracellulari di cortisolo. Anche gli agonisti PPARγ
ed PPARα potrebbero essere utilizzati come opzione terapeutica nella sindrome metabolica
per il loro effetto nel ridurre la produzione del cortisolo intracellulare prodotto dall’11βHSD.
La PCOS è la più comune causa di infertilità femminile dovuta all’anovulatorietà, con una
prevalenza stimata del 6-10% in donne in pre-menopausa. Una consensus meeting
svoltasi nel 2003 tra la European Society for Human Reproduction and Embryology e
l’American Society for Reproductive Medicine (ESHRE/ASRM) ne riformulava la definizione
per facilitarne la diagnosi, individuando nella presenza di 2 su 3 dei seguenti criteri: 1)
oligo- e/o anovulatorietà; 2) iperandrogenismo (clinico o biochimico), e 3) evidenza
ecografica (pelvica o transvaginale) di ovaia policistiche, [con le seguenti caratteristiche
ecografiche: numero di follicoli >12 di dimensioni comprese tra 2-9 mm e/o aumentato
volume ovarico (>10 ml)] oltre all’esclusione di altre eziologie endocrine note, quali: la
Sindrome di Cushing, l’Iperplasia Surrenale Congenita Non Classica (NCAH) e
l’Iperprolattinemia.
Ancora tuttoggi l’interesse della letteratura sulla problematica della definizione/diagnostica
della PCOS non sembra affatto esser diminuita, basti pensare infatti che il 29 agosto del
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
LA PCOS
Francesco Orio jr
Dipartimento di Endocrinologia - Università “Parthenope” di Napoli
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ABSTRACTS / tavole rotonde
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
TAVOLA ROTONDA 1 - Sindrome metabolica ed endocrinopatie
32
2006 veniva pubblicato come E-Pub Advanced Pubblication su una delle più prestigiose
riviste internazionali di endocrinologia (Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism)
una Position Statement dell’Androgen Excess Society (AES) in cui si affermava che la
condizione di Iperandrogenismo doveva essere condizione necessaria ed obbligatoria,
oltre ai criteri sopra citati, affinché si parlasse di PCOS.
Da un punto di vista clinico la PCOS si presenta con irregolarità del ciclo mestruale in
particolare oligo-amenorrea, irsutismo, obesità (presente nel 40-50 % dei casi), aumento
del rapporto vita/fianchi (WHR) ed infertilità. Tra le complicanze, sicuramente il diabete
mellito tipo 2 (presente nel 9% negli USA e nel 2.5% in Italia) e la ridotta tolleranza al
glucosio (presente nel 33% negli USA e nel 16% in Italia) insieme alla vera e propria SM
(presente nel 45% di donne fino a 30 anni e nel 53% di donne oltre i 30 anni negli USA,
in Italia, invece, non si hanno dati epidemiologici certi) rivestono un ruolo preminente e
cruciale nella PCOS. Inoltre negli ultimi anni numerosi studi della letteratura hanno anche
mostrato un possibile aumento del CVR e dell’infiammazione cronica di basso grado con
aumento di numerosi indici sia vascolari che infiammatori, quali: Proteina C Reattiva, PAI1, Endotelina-1, leucociti, oltre ad un aumento dello spessore medio-intimale (IMT) ed
una precoce disfunzione endoteliale, entrambe dimostrate in giovane età ed in donne
normo-peso.
Sebbene l’IR con successiva iperinsulinemia non fosse parte della definizione, essa gioca
un ruolo centrale nella patogenesi della PCOS. L’insulina agisce sia direttamente che
indirettamente, attraverso la ghiandola ipofisaria, per stimolare la produzione androgenica
ovarica. L’associazione della PCOS con l’IR pone le donne in una condizione di aumentato
rischio di sviluppare CVD o ad un aumento del CVR più in generale.
L’IR è anche uno dei principali fattori che contribuisce allo sviluppo della SM, un insieme
di disordini metabolici che agiscono in modo sinergico per incrementare il rischio di
aterosclerosi.
Sebbene il significato clinico della SM sia stata recentemente messa in discussione da
alcuni gruppi di ricerca, evidenze da studi di popolazione prospettici mostrano che la SM
è associata ad un incremento 2 volte maggiore nel rischio relativo di malattia vascolare
aterosclerotica e ad un incremento 5 volte superiore di rischio di diabete mellito paragonato
a soggetti senza SM. Quasi tutti i disordini metabolici della sindrome sono prevalenti
nella PCOS, quali ad esempio: l’obesità, la steatosi epatica e l’IR stessa. Infatti, come già
accennato precedentemente la PCOS è stata anche associata ad un incrementato rischio
di CVD e di diabete mellito tipo 2. E’ stato anche suggerito che la PCOS potesse essere
una forma sesso-specifica della SM.
Nonostante l’apparente sovrapposizione della SM con la PCOS, pochi dati e non ben
controllati vi sono in Italia sulla reale prevalenza della SM in donne con PCOS.
ABSTRACTS / tavole rotonde
TAVOLA ROTONDA 2 - I tumori ipofisari
DATI DALL’AGENZIA REGIONALE SANITÀ
Tiziana Spinosa
Dirigente Medico della Struttura Operativa Analisi e Monitoraggio - Agenzia Regionale
Sanitaria della Campania
Abstract non pervenuto
Il prolattinoma è la forma più comune di tumore funzionante ipofisario. Il novanta per
cento sono adenomi intrasellari che raramente aumentano di dimensioni. Il resto è
costituito da macroadenomi (>10 mm) che generalmente vengono riscontarti clinicamente
a causa degli effetti locale di compressione da massa. Nelle donne la, la maggior parte
dei prolattinomi sono microadenomi (< 10 mm) e l’ipersecrezione di prolattina porta ad
amenorrea, galattorrea ed infertilità. Gli uomini affetti da prolattinoma lamentano
frequentemente mal di testa, perdita del visus o deficit neurologico ma possono anche
avere ipogonadismo ed infertilità. L’iperprolattinemia può portare a perdita ossea sia
negli uomini che nelle donne dovuto all’effetto inibitorio della prolattina sugli steroidi
sessuali. Gli obiettivi terapeutici sono normalizzare la prolattina, recuperare la fertilità,
ridurre le dimensioni del tumore e migliorare i sintomi dell’ipogonadismo. La terapia
d’elezione è costituita dall’utilizzo di dopamino agonisti. La bromocriptina normalizza i
livelli di prolattina e riduce le dimensioni del tumore nell’80-90% dei pazienti con
microadenoma e nel 70% dei soggetti con tumori più grandi. La cabergolina, agonista
selettivo dei recettori D2 dopaminergici, è più efficace e meglio tollerato della bromocriptina.
La sospensione della terapia può portare a ricorrenza della iperprolattinemia e ad
riespansione tumorale.
L’ACROMEGALIA
Renata S. Auriemma, Rosario Pivonello, Ludovica F.S. Grasso, Gaetano Lombardi,
Annamaria Colao
Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi
di Napoli Federico II
L'acromegalia è una grave patologia sistemica che riduce l'aspettativa di vita a causa di
complicanze respiratorie, metaboliche, cardiovascolari e neoplastiche. Le opzioni terapeutiche
attualmente disponibili per l'acromegalia comprendono la chirurgia, la terapia radiante
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
IL PROLATTINOMA
Daniela Pasquali
Endocrinologia, Dipartimento medico Chirurgico “Magrassi-Lanzara” - Seconda Università
di Napoli
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ABSTRACTS / tavole rotonde
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
TAVOLA ROTONDA 2 - I tumori ipofisari
34
e la soppressione farmacologica dei livelli di GH da parte di dopamino-agonisti, analoghi
della somatostatina e più recentemente di pegvisomant, un GH antagonista.
Terapia con DA-agonisti: in circa il 50% dei pazienti acromegalici i DA-agonisti
inibiscono la secrezione di GH presumibilmente attraverso la stimolazione dei recettori
D2. I DA-agonisti sono efficaci soprattutto negli adenomi recenti GH-PRL secernenti o
che presentano immunoistochimica positiva per PRL.
Terapia con analoghi-SS: questi farmaci agiscono inibendo secrezione ormonale e
crescita cellulare del tumore GH-secernente attraverso l’attivazione dei recettori della
somatostatina, generalmente espressi dalle cellule tumorali. La maggior parte degli
analoghi della somatostatina è capace di legare con alta affinità i recettori sst2 ed sst5
della somatostatina, la cui espressione a livello delle cellule tumorali è perciò il presupposto
della loro efficacia terapeutica. I principali analoghi della somatostatina utilizzati nella
pratica clinica sono rappresentati dall’octreotide e dal lanreotide, entrambi disponibili in
commercio in formulazione long-acting. E’ stato dimostrato che la terapia con analoghi
della somatostatina porta ad un rapido miglioramento della sintomatologia clinica nei
pazienti acromegalici. Per quanto riguarda gli effetti sulla secrezione di GH e di IGF-1, è
stata osserva-to nei pazienti acromegalici trattati con analoghi-SS una soppressione dei
livelli di GH <5 µg/l nel 22-66% dei pazienti trattati e una normalizzazione dei livelli di
IGF-1 nel 40-68% dei pazienti. Gli analoghi-SS sono anche in grado di ridurre il volume
dell’adenoma ipofisario. La riduzione del tumore si associa alla soppressione dei livelli
di GH e alla normalizzazione dei livelli di IGF-1 nel 50% dei casi.
Nuovi analoghi-SS: un nuovo farmaco in sperimentazione è rappresentato dal SOM
230, un peculiare analogo della somatostatina, considerato analogo universale poiché
capace di legare con alta affinità tutti i recettori della somatostatina ad eccezione del
sst4.
Terapia con GH-antagonista: il pegvisomant rappresenta una nuova conquista nel
campo della terapia medica dell’acromegalia. Questo composto è in grado di inibire la
dimerizzazione funzionale del recettore del GH impedendo l’attivazione dei meccanismi
trasduzionali. La somministrazione di pegvisomant è in grado di normalizzare i livel-li di
IGF-1 in oltre in 95% dei pazienti con acromegalia. Inoltre, la terapia con pegvisomant
induce un significativo miglioramento del profilo metabolico, ed in particolare della
glicemia ed insulinemia, dei pazienti trattati. Tuttavia, nonostante la dimostrata efficacia
nella normalizzazione dei livelli di IGF-I nella quasi totalità dei pazienti con acromegalia,
il pegvisomant presenta una indicazione solo in un piccolo gruppo di pazienti con una
storia di insuccesso chirurgico e resistenti agli analoghi della somatostatina.
Terapia con Dopastatina: un nuovo farmaco in sperimentazione, la molecola chimerica
somatostatina-dopamina BIM-23A370, è in grado di legare contemporaneamente il
recettore per la somatostatina di tipo sst2 e quello per la dopamina di tipo D2. La
dopastatina è più efficace dell’associazione di analoghi-SS e dopamino agonisti nell’inibire
la secrezione di GH negli adenomi ipofisari GH-secernenti, rappresentando pertanto un
promettente nuovo approccio terapeutico per l’acromegalia.
ABSTRACTS / tavole rotonde
TAVOLA ROTONDA 2 - I tumori ipofisari
La sindrome di Cushing (SC) è una malattia sistemica cronica dovuta ad un ipercortisolismo
endogeno od esogeno. L’ipercortisolismo endogeno è una rara patologia endocrina che
può derivare da un’eccessiva secrezione di ACTH da parte di un adenoma ipofisario
(malattia di Cushing [MC], 80-85% dei casi), da un’eccessiva secrezione di ACTH o CRH
da parte di un tumore extra-ipofisario (SC ectopica; 5-10% dei casi) oppure da una
iperproduzione di cortisolo indipendente dall’ACTH, dovuta a patologie surrenaliche, quali
le neoplasie benigne o maligne del surrene (10-20% dei casi).
La SC è associata ad un’aumentata mortalità dovuta alle severe complicanze sistemiche
dell’ipercortisolismo, soprattutto a carico del sistema cariovasolare. Infatti, i pazienti affetti
da SC hanno un’aumentata frequenza di fattori di rischio cardiovascolari, quali obesità
viscerale, ipertensione, alterazioni del metabolismo dei carboidrati e dei lipidi ed alterazioni
della coagulazione. Altre complicanze sistemiche della SC riguardano principalmente il
sistema osteoarticolare (osteoporosi, spesso complicata da fratture; alterazioni
osteodegenerative; osteonecrosi), il sistema nervoso (alterazioni del tono dell’umore,
difficoltà cognitive e della memoria), il sistema endocrino (deficit della secrezione ipofisaria
di gonadotropine, GH e TSH), l’apparato urinario (nefrolitiasi), la cute il sottocutaneo e
gli annessi ecc. Tutte queste alterazioni determinano nei pazienti con SC un quadro
sindromico ed un aspetto caratteristico che influenza negativamente la qualità di vita.
La diagnosi, la diagnosi differenziale ed il trattamento delle SC, rappresentano ancora
oggi una sfida per l’endocrinologo clinico. Inoltre, nei pazienti affetti da SC, la diagnosi
ed il trattamento tempestivo dell’ipecortisolismo sono fondamentali per limitare le
complicanze sistemiche associate a tale condizione.
La chirurgia rappresenta la prima opzione terapeutica in tutte le forme di SC ed include
la rimozione della neoplasia ipofisaria, ectopica o surrenalica. Sfortunatamente, soprattutto
nelle forme ACTH-dipendenti la chirurgia frequentemente fallisce nell’intento curativo,
rendendo pertanto, necessarie terapie di seconda linea, quali interventi chirurgici più
estesi, la radioterapia (per la MC), la terapia medica (farmaci agenti sulla secrezione di
ACTH e/o sulla secrezione di cortisolo) o l’intervento chirurgico di surrenalectomia bilaterale.
GLI ADENOMI IPOFISARI NON FUNZIONANTI
Sergio Iorio
Servizio di Endocrinologia - Seconda Università di Napoli
Gli adenomi ipofisari rappresentano il 10-18% delle neoplasie intracraniche ed hanno
una prevalenza di 250-300 casi per milione di abitanti con una incidenza annuale di circa
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
LA SINDROME DI CUSHING
Maria Cristina De Martino
Università “Federico II” di Napoli; Univerità “Erasmus MC” di Rotterdam (Olanda)
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ABSTRACTS / tavole rotonde
TAVOLA ROTONDA 2 - I tumori ipofisari
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
25 casi per milione. Vengono classificati da un punto di vista clinico in “funzionanti”
quando danno luogo ad una sindrome da ipersecrezione di ormoni ipofisari
(GH,PRL,ACTH,TSH,FSH,LH o secrezione mista) e non “funzionanti”allorché non è presente
un’aumentata attività biologica degli ormoni anteroipofisari. Gli adenomi non funzionanti
(NFPA,nonfunctioning pituitary adenoma) rappresentano circa il 25% di tutti gli adenomi
ipofisari e quindi con una incidenza di circa 7-8 casi per milione all’anno. Gli NFPA sono
spesso macroadenomi (diametro > 1 cm) e si osservano con una maggiore prevalenza
(60%) nell’età avanzata,raramente nei bambini.Al di sotto dei 40 anni sono più frequenti
nelle femmine,al di sopra dei 40 anni nei maschi.
I pazienti con NFPA non hanno quasi mai una presentazione clinica specifica, se non nei
casi di adenomi di grandi dimensioni che si accompagnano a manifestazioni neurologiche
o oftalmologiche da compressione delle strutture circostanti; più raramente possono
essere rilevati per l’insorgenza di un ipopituitarismo; più frequentemente, invece, sono
considerati “incidentalomi”,in quanto evidenziati in corso di indagini strumentali cerebrali
(TC o RMN) eseguite per cause diverse dalla patologia ipofisaria.
Studi immunoistochimici e di secrezione in vitro hanno dimostrato spesso che solo una
piccola percentuale di NFPA presenta una completa assenza di secrezione ormonale, in
circa l’80% di essi è riscontrata l’espressione delle subunità α e/o β degli ormoni
glicoproteici (LH,FSH,TSH) o gli stessi ormoni interi o più raramente esprimono ACTH o
GH. Il macroadenoma non funzionante può associarsi a iperprolattinemia per compressione
sul peduncolo ipofisario e interruzione del trasporto della dopamina.
Il trattamento di prima scelta degli NFPA, specie nei macroadenomi, è chirurgica con un
accesso per via transfenoidale; allorché la rimozione del tumore è incompleta si deve
considerare l’opportunità di far seguire al trattamento chirurgico la terapia radiante.
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LE IPOFISITI
Annamaria De Bellis, Marina Battaglia, Elena Pane, Assunta Dello
Iacovo,Giuseppe Ruocco, Gilda Tirelli, Antonio Bellastella, Antonio Bizzarro
Cattedra di Endocrinologia e Cattedra di Immunologia e Allergologia. Dipartimento
Medico-Chirurgico di Diagnostica Clinica e Sperimentale “F. Magrassi, A. Lanzara” Seconda Università di Napoli
Nel 1957 Witebesky e Rose formularono i criteri, che sono tutt’ora validi per la definizione
delle malattie autoimmuni (1). Tali criteri sono stati revisionati successivamente da Rose
e Bona (2) e si dividono in criteri diretti, indiretti e circonstanziali. Applicando questi criteri
si è osservato nel corso degli anni che molte malattie considerate idiopatiche potevano
essere incluse nel sempre più vasto capitolo delle malattie autoimmuni.
Analogamente alle altre ghiandole endocrine l’ipofisi appare coinvolta in processi
autoimmuni che possono condurre a deficit secretivi ormonali che variano da quello
ABSTRACTS / tavole rotonde
isolato fino a quello totale (ipofisite linfocitaria) (3).
Sebbene l’ipofisite autoimmune è considerata una malattia rara la sua prevalenza in
realtà è sottostimata perché la malattia è sottodiagnosticata (4). Il motivo di misdiagnosi
è la variabilità della storia naturale della malattia, caratterizzata dalle differenti espressioni
cliniche e dalle numerose modificazioni temporali delle caratteristiche morfologiche,
cliniche, funzionali ed immunologiche. L’ipotesi autoimmunitaria nella patogenesi
dell’adenoipofisite linfocitaria oltre che dai dati istologici è sostenuta dal riscontro di
caratteristiche alterazioni morfologiche di tale regione alla risonanza magnetica nucleare
(RMN), nonché dall’associazione in più del 50% dei casi di ipofisite con altre malattie
autoimmuni organo-specifiche (tiroidite di Hashimoto, morbo di Basedow, morbo di
Addison, diabete mellito tipo I, gastrite atrofica) e dal riscontro di anticorpi anti ipofisi
nell’ambito di una sindrome poliendocrina (5). Come in tutte le patologie endocrine
autoimmuni anche nell’ipofisite linfocitaria sono riscontrabili anticorpi circolanti diretti
contro la componente intracitoplasmatica delle cellule ipofisarie (APA), ma gli antigeni
contro cui tali anticorpi reagiscono non sono ben conosciuti (6).
Gli APA non sono al momento considerati specifici e sensibili marker di malattia per sia
per varie difficoltà connesse alle metodiche ed all’interpretazione sia per l’assenza di
valutazioni longitudinali atti a in cui si possa dimostrare il comportamento di tali anticorpi
nella storia naturale dell’adenoipofisite linfocitaria.
Le metodiche utilizzate sono: immunoblotting in questo caso tali anticorpi reagiscono
contro un antigene intracitoplasmatico citosolico corrispondente all’alfa enolasi risultando
poco specifico. Al contrario con la tecnica del radiobinding assay è stato possibile identificare
anticorpi diretti verso 3 proteine specifiche dell’ipofisi di cui una corrisponde al GH.
Un’altra tecnica utilizzata è l’immunofluorescenza indiretta che inizialmente ha utilizzato
substrato di ipofisi fetale umana e successivamente ipofisi di scimmia giovane. Tali anticorpi
sono stati frequentemente riscontrati nelle ipofisiti sicure diagnosticate mediante biopsia
e nelle adenoipofisiti sospettate mediante RMN. Frequentemente sono anche presenti
in molte malattie autoimmuni endocrine in cui nella maggior parte dei casi la funzione
ipofisaria è normale in casi sporadici è presente un deficit di ACTH e di GH (prime tropine
più precocemente danneggiate dal processo autoimmune) (6).
Recentemente, la presenza degli anticorpi anti ipofisi (APA) valutati con tecnica di
immunofluorescenza indiretta è stata correlata a vari gradi di disfunzione ipofisaria; in
particolare quando gli APA sono presenti a titolo elevato sembrano essere specifici marker
di coinvolgimento autoimmune ipofisario (7,8). Inoltre alcuni autori hanno suggerito che
nella valutazione degli anticorpi anti ipofisi l’immunofluorescenza indiretta ha più bassa
sensibilità e specificità rispetto ad altri metodi (immunoblotting ed ELISA).
Infine l’ipofisite autoimmune può essere associata con altre malattie autoimmuni e/o con
altri autoanticorpi organo specifici e pertanto rientra nelle SPA tipo 1, 2, 3 e 4.
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
TAVOLA ROTONDA 2 - I tumori ipofisari
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ABSTRACTS / casi clinici
CASI CLINICI 1
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
IPERCALCEMIA IPOCALCIURICA FAMILIARE
Antonio Ciccarelli
SSD Diabetologia e Endocrinologia dell’AUSL Valle d’Aosta
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Introduzione: L’ipercalcemia ipocalciurica familare (IIF) è una rara patologia ereditaria
a trasmissione autosomica dominante dovuta ad una mutazione inattivante del calciumsensing receptor (CaSR). La ridotta attività del CaSR determina un aumentato riassorbimento
di calcio a livello delle cellule tubulari renali e un insufficiente soppressione della secrezione
e sintesi di PTH a livello delle cellule paratiroidee con conseguente incremento della
calcemia.
I pazienti affetti da IIF presentano, quindi, un’ipercalcemia (lieve-moderata) ipocalciurica,
una moderata ipermagnesiemia, livelli normali o leggermente ridotti della fosforemia e
valori sierici di PTH e 1,25-(OH)2D3 inappropiatamente normali.
Case Report: E’ giunto alla nostra osservazione un giovane maschio di 35 anni per
modici elevati livelli della calcemia totale (11.1 mg/dl – v.n. 8.1 – 10.5) e del calcio
ionizzato (1.32 mmol/l – v.n. 1.12 – 1.27) associati a normali livelli della fosforemia (2.9
mg/dl – v.n. 2.5 – 4.5).
In anamnesi e all’EO il paziente non evidenziava segni e/o sintomi imputabili a condizione
ipercalcemica.
All’anamnesi familiare il paziente riferiva analoga condizione ipercalcemica nella madre.
Gli esami di II livello effettuati evidenziavano normali livelli del PTH (35 pg/ml – v.n. 15
– 71) con livelli di calciuria notevolmente al di sotto della norma (20 mg/die v.n. 100 –
300) con un rapporto calciuria/clearance creatinina di 0.0019. I livelli sierici di 25-OHD3
e 1,25-(OH)2D3 erano di norma così come la funzionalità tiroidea, ipofisaria e surrenalica.
Nel sospetto di un’IIF il paziente veniva sottoposto a valutazione genetica con riscontro
di una mutazione eterozigote E29K (GAG→AAG, Glu→Lys, nucleotide 889 G→A, esone
4) a carico del gene del CaSR. Anche la madre e il figlio maschio presentavano la stessa
mutazione.
Conclusioni: L’IIF è una rara patologia, ma il suo riconoscimento clinico è importante
in quanto può essere confusa con una condizione di iperparatiroidismo primario. L’IFF è
una patologia benigna e necessita dei soli controlli clinico-laboratoristici periodici, mentre
l’iperparatiroidismo primario può presentare complicanze cliniche serie necessitando di
terapia medica e/o chirurgica adeguata.
ABSTRACTS / casi clinici
CASI CLINICI 1
IL CARCINOMA SURRENALICO
Riccardo Rossi
Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi
di Napoli Federico II
IL CARCINOMA MIDOLLARE DELLA TIROIDE
Giovanni Vitale
Università degli Studi di Milano, Istituto Auxologico Italiano IRCCS
Il carcinoma midollare della tiroide (CMT), neoplasia maligna delle cellule parafollicolari,
secernenti calcitonina, rappresenta il 5-10% delle neoplasie tiroidee. Il CMT ha malignità
intermedia fra il carcinoma follicolare ed il carcinoma anaplastico della tiroide, con un
caratteristico decorso lento ma progressivo. In alcuni casi è possibile una progressione
rapida della malattia che porta a morte in poche settimane dalla diagnosi.
L’approccio terapeutico iniziale al CMT è l’intervento chirurgico, che consiste nella
tiroidectomia totale associata a meticolosa dissezione dei linfonodi centrali del collo,
vanno inoltre esplorate ed eventualmente asportate le catene linfonodali laterocervicali.
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
Descriviamo il caso clinico di una paziente di anni 42 afferita presso il nostro dipartimento
di Endocrinologia per irsutismo e valori di Testosterone sierico di 3 ng/ml, DHEA-S 18
mcg/ml e Cortisolemia 173 ng/ml. Alla TC addome veniva evidenziata la presenza in
addome, a sinistra, di una formazione polilobulata, disomogenea, di 13,5 cm. Alla nostra
valutazione ormonale basale veniva riscontrato un 17 OH Progesterone di 16,8 ng/ml,
Testosterone 7 ng/ml, Cortisolemia 120 ng/ml, CLU 150 mcg/24 ore, ACTH 10 pg/ml,
DHEA-S 2700 mcg/dl, Delta4 Androstenedione 33 ng/ml. Dopo DXM 8 mg per 2 giorni
si documenta un CLU di 81 mcg/24 h, ACTH < 5 pg/ml, Cortisolemia 41 ng/ml, Testosterone
6,5 ng/ml, Delta 4 Androstenedione 26 ng/ml, DHEA-S 2303 mcg/dl, 17 OH Progesterone
15,1 ng/ml. Valori che dimostrano una secrezione prevalente di androgeni da parte della
massa. La paziente viene sottoposta a terapia chirurgica che documenta una massa
surrenalica sinistra di 21x18x9 cm con peso di 2100 g a capsula integra. L’esame istologico
dimostrava la pertinenza corticosurrenalica della voluminosa massa etichettata come
Carcinoma.
Gli esami biochimici dopo 10 giorni dall’intervento documentavano 17 OH Progesterone
di 0,4 ng/ml, Delta 4 Androstenedione 1,9 ng/ml, Testosterone < 0,2 ng/ml, DHEA-S 32
mcg/dl, ACTH < 5 pg/ml, Cortisolemia basale 102 ng/ml e dopo 60’ dal Test rapido al
Synacthen, cortisolemia di 148 ng/ml.
Benché la prognosi a lungo termine del carcinoma surrenalico, anche operato, resti
infausta, a tutt’oggi, dopo 7 anni dall’intervento non sono presenti, nella paziente, segni
suggestivi di ripresa di malattia e buona risulta la sua qualità di vita.
39
ABSTRACTS / casi clinici
CASI CLINICI 1
I risultati della terapia medica nelle forme avanzate sono deludenti. Il CMT non capta
iodio, non è quindi suscettibile a terapia radiometabolica con 131Iodio. La radioterapia
esterna è di scarso ausilio, garantendo solo un effetto palliativo in casi selezionati con
metastasi mediastiniche e ossee. Infatti il CMT è dotato di una bassa radiosensibilità
rispetto agli istotipi differenziati e anaplastici. La chemioterapia, indicata nei casi con
rapida progressione di malattia, induce solo nel 15-30% dei casi risposte obiettive sulla
massa tumorale, spesso transitorie, con peggioramento della qualità di vita, sopravvivenza
limitata e scarso effetto sulla sintomatologia neuroendocrina (diarrea, flushing, disordini
elettrolitici, sindrome di Cushing). Gli analoghi della somatostatina (octreotide e lanreotide)
sono indicati per il trattamento dei sintomi associati al CMT, scarsi sono gli effetti di questi
farmaci sulla massa tumorale.
Infine, sulla base di recenti sviluppi in ambito di patogenesi e caratterizzazione cellulare
del CMT, lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche sono auspicabili in futuro con l’uso
delle seguenti molecole:
- inibitori dell’attività di tirosina-chinasi del protoncogene Ret, gene coinvolto
nella patogenesi del CMT;
- il SOM230 (pasireotide), analogo universale della somatostatina, che ha la capacità
di legare con elevata affinità 4 dei 5 sottotipi recettoriali della somatostatina;
- le dopastatine, un altro gruppo di molecole in grado di legare specificamente i recettori
della somatostatina e della dopamina;
- l’interleuchina-2, potente agente immunomodulante.
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
LE OBESITÀ IPOTALAMICHE
Annalisa Rossi
Dipartimento di Endocrinologia e Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi
di Napoli Federico II
40
Riportiamo il caso clinico di una donna venuta alla nostra osservazione all’età di 18 anni
per obesità associata a oligomenorrea, irsutismo ed alopecia androgenica. All’esame
clinico presenta anche ipertensione arteriosa e smagliature rosse sulla pancia. Gli esami
ormonali dimostravano: CLU 202 mcg/die (vn 30-125), Cortisolemia basale ore 8: 110
ng/ml, ACTH 65 pg/ml e dopo test al DMX 2 mg il CLU arrivava a 132 mcg/die e la
Cortisolemia a 50 ng/ml, parametri di alterazione della secrezione del Cortisolo compatibili
con l’obesità della paziente, pertanto veniva consigliata rivalutazione dopo congruo
decremento ponderale.
A distanza di 2 anni la paziente torna a controllo per esodio di diabete mellito tipo 2 e
difficoltà nel calo ponderale. All’esame obiettivo erano presenti eritema al volto con facies
lunare, obesità distrettuale, prevalentemente distribuita al collo e al tronco. Alla rivalutazione
osserviamo valori basali di Cortisolemia, ore 8:00, 354 ng/ml, assenza di ritmo, CLU 700
ABSTRACTS / casi clinici
CASI CLINICI 1
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
mcg/24 ore, Androstenedione 5,3 ng/ml, DHEA-S 538 mcg/dl, ACTH 40 pg/ml, testosterone
2,4 ng/ml e non responsività della cortisolemia al test al DXM overnight e a 2 mg per 2
giorni. MOC nei limiti della norma, TAC addome lieve dismorfismo del surrene sinistro,
RMN sella turcica che evidenziava nella porzione paramediana sinistra la presenza di una
lesione ipointensa dopo iniezione endovenosa di mezzo di contrasto paramagnetico,
compatibile con microadenoma ipofisario. Il cateterismo dei seni petrosi ha mostrato un
gradiente dell’ACTH nel seno petroso di destra < sinistra e centro > periferia.
Viene quindi sottoposta a intervento neurochirurgico transrinosettale di adenomectomia
ipofisaria con evidenza immunoistochimica di microadenoma ipofisario ACTH secernente.
Durante l’anno successivo la paziente presentava una fase di quiescenza della malattia
di Cushing. Riduzione del peso corporeo, della circonferenza addominale e dell’abitus
Cushingoide. Dopo tale periodo ricompare oligomenorrea, incremento ponderale, scompenso
glicidico ed evidenza biochimica di recidiva di malattia. In assenza di patologia ipofisaria
evidente alla RMN, veniva sottoposta a surrenalectomia bilaterale.
L’anno successivo, i controlli ipofisari evidenziavano recidiva di microadenoma ipofisario
con ACTH 330 pg/ml e Cortisolemia 26 ng/ml. Ha praticato 2 sedute radiochirurgia
stereotassica con gamma knife.
Nel tempo viene osservato incremento volumetrico del residuo surrenalico destro con
discreta cortisolemia basale e ipercaptazione alla scintigrafia con Norcolesterolo monolaterale,
omolaterale alla tumefazione.
Nell’evidenza di osteoporosi (alla MOC DEXA: T-score -3,48), scompenso metabolico
(dislipidemia e scompenso glicemico), non avendo tollerato il trattamento precedente con
LISODREN è stata sottoposta ad intervento di svuotamento in loggia surrenalica destra.
41
ABSTRACTS / casi clinici
CASI CLINICI 2
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
SCOMPENSO GLICOMETABOLICO SECONDARIO A TIROIDITE SUBACUTA IN
PAZIENTE CON DIABETE MELLITO DI TIPO 2
Francesco Fonderico
Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi
di Napoli Federico II
42
Paziente di 56 anni, in soprappeso IMC, 30,7 kg/m2, diabetico da circa 8 anni, trattato
inizialmente con sulfaniluree 5 mg/die ed in buon controllo glicemico (glicemie del mattino
90-105 mg/dL).
Successivamente si verificava un deterioramento del compenso glicemico che veniva
adeguatamente controllato potenziando il dosaggio della sulfnilurea (7,5 mg/die) ed
iniziando quindi un regime dietetico ipocalorico con conseguente riduzione ponderale e
ripristino di un compenso glicemico soddisfacente.
In seguito si evidenziava una elevazione dei valori di glicemia capillare (> 250 mg/dL)
durante tutta la giornata e si registrava un ulteriore dimagramento che poteva comunque
essere ascritto a una restrizione alimentare che il paziente aveva messo in atto nel
tentativo di abbassare i valori di glicemia.
Lamentava inoltre astenia marcata, labilità emotiva, poliuria e polidipsia. La perdita di
peso complessiva nell’ultimo anno assommava a 12 kg.
A questo punto veniva notava una tumefazione al collo che si rivelava essere, all’ecografia,
un voluminoso struma multinodulare più sviluppato a destra, con ghiandola di consistenza
aumentata, indolente, ipomobile alla deglutizione. Assenza di adenopatie laterocevicali.
I valori glicemici erano stabilmente superiori a 200-250 mg/dL e l’HbA1c elevata (11,4%,
v.n. 3,8-6) mentre il paziente veniva trattato con glibenclamide e metformina (rispettivamente
15 e 1500 mg/die). Una valutazione della riserva b-cellulare effettuata mediante test al
glucagone evidenziava una residua secrezione del peptide C con scarsa risposta allo
stimolo (da 2,51 a 3,20 ng/mL).
All’ingresso gli esami ematochimici evidenziavano anemia (Hb 11,5 g/dL) modestamente
microcitica con bassi valori di sideremia e transferrinemia.
In considerazione dello struma vennero controllati gli indici di funzionalità tiroidea che
dimostrarono valori elevati di FT3 ed FT4 con TSH soppresso, normali valori di tireoglobulina
e assenza di anticorpi antitiroide e anti-recettore del TSH. Alla scintigrafia tiroidea la
captazione del Tc99 era del tutto assente. Il quadro appariva pertanto compatibile con
una tiroidite subacuta in fase di tireotossicosi. Lo scompenso diabetico, potè essere
interpretato come secondario a una tireotossicosi misconosciuta, sostenuta da una tiroidite
subacuta.
Fu deciso pertanto di passare alla terapia insulinica e terapia antinfiammatoria con acido
acetilsalicilico che consentì il ripristino di un buon compenso glicemico. Dopo la dimissione
il paziente andò incontro, nell’arco di un mese, a un progressivo miglioramento della
funzione tiroidea che ritornò infine alla completa normalizzazione
ABSTRACTS / casi clinici
CASI CLINICI 2
IL DEFICIT DI GH IN ETÀ DI TRANSIZIONE
Paolo Marzullo
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale - Università del Piemonte Orientale “A.
Avogadro”, Novara - Divisione di Medicina Generale, Ospedale S. Giuseppe, IRCSS Istituto
Auxologico Italiano, Verbania
LA GESTIONE DELLA TERAPIA CON IPOGLICEMIZZANTI ORALI
Maria Masulli
Medicina Clinica e Sperimentale: Fisiopatologia Clinica e Medicina Sperimentale -Università
degli Studi di Napoli Federico II
Verrà presentato il caso di un paziente di sesso maschile, non fumatore, in sovrappeso,
con diabete mellito tipo 2 da circa 5anni. Il paziente è affetto inoltre da ipertensione
arteriosa in buon controllo con la terapia farmacologica, nonché da iperlipidemia mista.
Il compenso glicemico con la sua attuale terapia farmacologica (associazione precostituita
di metformina + sulfonilurea a dosaggio submassimale) non è adeguato. Si interviene
prima di tutto sullo stile di vita in attesa della valutazione del rischio cardiovascolare
globale del paziente.
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
In molti casi di deficit di GH insorti in epoca pediatrica (CO-GHD), il trattamento sostitutivo
con hGH viene interrotto al raggiungimento del target staturale in epoca adolescenziale.
Questa procedura purtroppo non prende in giusta considerazione alcuni effetti somatici
non-staturali del GH ed espone il paziente CO-GHD ormai adulto al rischio di conseguenze
paradossalmente peggiori rispetto al GHD acquisito in epoca adulta. Viceversa, la
continuazione della terapia non solo produce benefici effetti sulla maturazione dei tessuti,
primi fra tutti muscolo e osso, ma offre vantaggi sui fattori di rischio cardiovascolare
associati al GHD dell’adulto e sulla qualità della vita. Inoltre, l'interazione del GH con gli
altri assi può influenzare la necessità di terapie sostitutive con ormoni tiroidei, corticosteroidei
e gonadici. La continuazione della terapia con hGH nell’epoca della transizione deve
essere perseguita previa un’accurata rivalutazione dello stato di secrezione del GH che
tiene conto della storia clinica del paziente, della composizione corporea, di intercorrenti
deficit ipofisari multipli, dei livelli di IGF-I e dell’imaging. La successiva risposta alla terapia
con hGH va monitorata attraverso indagini biochimiche, della composizione corporea e
della qualità di vita. Il caso clinico discute di un paziente in età di transizione affetto da
panipopituitarismo postchirurgico, nel quale la sospensione del trattamento con hGH al
raggiungimento di una completa crescita staturale conduce ad analizzare le procedure
di retesting, lo studio delle complicanze cardiometaboliche e la valutazione di variabili
confondenti quali l’obesità, con lo scopo di considerare l’appropriatezza di ricominciare
la terapia con hGH in epoca adulta.
43
ABSTRACTS / casi clinici
CASI CLINICI 2
Al successivo controllo, il compenso metabolico è rimasto sostanzialmente immodificato:
si evince però la presenza di una cardiopatia ischemica silente (pregresso IMA con una
funzione sistolica globale lievemente depressa).
Si decide pertanto di sospendere l’associazione precostituita e di istituire una terapia con
metformina a dosaggio elevato associata ad una sulfonilurea a lunga durata d’azione.
Si aggiunge inoltre una statina e un antiaggregante.
Al successivo controllo si osserva un miglioramento del compenso glicemico sebbene
questo non raggiunga livelli ottimali.
Si prospettano quindi più soluzioni terapeutiche che verranno discusse in dettaglio, in
considerazione dell’età del paziente e del suo elevato rischio cardiovascolare.
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
LA RESISTENZA AGLI ORMONI TIROIDEI
Alfonso Massimiliano Ferrara
Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi
di Napoli Federico II
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E. D., donna di 28 anni, nel 2002, in seguito a comparsa di tachicardia e sudorazione
eseguiva, su consiglio del medico curante, esami di funzionalità tiroidea che evidenziavano
TSH 7 µUI/ml (v.n. 0.4 – 4.0), FT3 4.0 pg/ml (v.n. 1.5 – 4.1), FT4 2.4 ng/dl (v.n. 0.8 –
1.8), Ab-Tg, Ab-TPO, AbTSHr negativi, captazione di 131I alla 24h al 55% (10 – 35%).
Iniziava trattamento con Metimazolo 60 mg/die notando, dopo due mesi, un aumento
di dimensioni della tiroide (2 volte il normale), cui si associava la riduzione dell’FT4 (0.5
ng/dl). Alla terapia, venivano aggiunti 20µg/die di T3, che la paziente non assumeva per
sua volontà. Nel 2004, in seguito alla comparsa di orticaria, la paziente sospendeva il
Metimazolo e veniva sottoposta ad intervento di tiroidectomia quasi totale. Non le veniva
prescritta alcuna terapia specifica nell’immediato postoperatorio. Nel 2005, la paziente
notava ricomparsa di segni di ipertiroidismo (tachicardia e perdita di peso) ed aumento
delle dimensioni del residuo tiroideo. Per tale motivo praticava nuovamente gli esami di
funzionalità tiroidea che evidenziavano FT3 3.8 pg/ml; FT4 3.2 ng/dl; TSH 5.6 µUI/ml.
Iniziava quindi terapia con propiltiouracile alla dose di 150 mg/die. Nel 2006, sotto terapia
con propiltiouracile, la paziente era asintomatica. All’ecografia tiroidea si apprezzava un
ulteriore aumento delle dimensioni della ghiandola. Al tempo, il TSH era 26 µUI/ml, l’FT3
3.9 pg/ml e l’FT4 3.0 ng/dl. Veniva sospeso il propiltiouracile a causa dell’incremento di
dimensioni della tiroide, e due mesi dopo la sospensione il TSH era 9.3 µUI/ml, l’FT3 5.3
pg/ml e l’FT4 2.8 ng/dl.
Nel 2007, la paziente veniva alla nostra attenzione. Non eseguiva alcuna terapia specifica,
ma lamentava tachicardia e sudorazione associate a lieve perdita di peso. All’esame
obiettivo la cute era calda e sudata, la frequenza cardiaca 96 bpm, non c’erano oftalmopatia,
edema pretibiale e acropachia. Gli esami di funzionalità tiroidea evidenziavano: TSH: 7.8
ABSTRACTS / casi clinici
CASI CLINICI 2
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
µUI/ml; FT3 5.9 pg/ml; FT4 2.8 ng/dl, con Ab negativi. L’ecografia mostrava un lobo destro
di 18x20 mm ed un lobo sinistro 17x19 mm senza noduli. Alla tireoscintigrafia la captazione
era diffusa e la captazione dello 131I alla 24a ora era del 38%. La RMN sellare e l’esame
del campo visivo erano nella norma.
Sulla base delle caratteristiche cliniche e degli esami strumentali e di laboratorio veniva
posta diagnosi di resistenza centrale agli ormoni tiroidei (PRTH), poi confermata dall’analisi
genetica. Sotto trattamento con TRIAC (2.1 mg/die), dopo 6 mesi, è stato osservato
riduzione delle dimensioni della tiroide (lobo destro era 15 x 15 mm e il lobo sinistro 13
x 17 mm) e i seguenti esami bioumorali TSH: 4.2 µUI/ml; FT3 3.8 pg/ml; FT4.2 ng/dl. La
paziente non lamentava né segni né sintomi di tireopatia.
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ABSTRACTS / casi clinici
CASI CLINICI 3
LA TERAPIA INSULINICA NEL PAZIENTE ACUTO
Mario Parillo
UOC Geriatria AORN S. Anna - S. Sebastiano Caserta
Verrà presentato un caso clinico di paziente che si presenta in coma con iperglicemia e
cheto acidosi.
La discussione verterà sulla diagnosi di coma, trattamento insulinico in fase acuta e
trattamento dello scompenso idrosalino.
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
I TUMORI NEUROENDOCRINI
Antongiulio Faggiano
Dipartimento di Edocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi
di Napoli Federico II
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I tumori neuroendocrini consentono un ampio ventaglio di possibilità terapeutiche che
negli ultimi anni si è ampliato notevolmente grazie ai continui avanzamenti nella
comprensione dei meccanismi biologici alla base di questi tumori. I tumori neuroendocrini
esprimono sulla membrana plasmatica una serie di molecole ad attività recettoriale; tra
quelle più conosciute, meglio caratterizzate e anche più sfruttate in campo terapeutico
vi sono i recettori della somatostatina. Si sono così sviluppati analoghi sintetici della
somatostatina, come octreotide e lanreotide, che interagendo con gli specifici recettori
di membrana hanno, come effetto finale, il controllo delle secrezioni neuroendocrine e
dei sintomi associati ai tumore neuroendocrini. Tali farmaci presentano anche effetti antiproliferativi e pro-apoptotici. Il SOM230, un nuovo analogo “universale” della somatostatina
è in corso di valutazione in trial clinici di fase II-III e promette di essere efficace nella
stabilizzazione di carcinomi neuroendocrini in progressione non responsivi ad altri
trattamenti.
Tra i farmaci più interessanti in corso di sperimentazione nei tumori neuroendocrini, c’è
da annoverare sicuramente l’everolimus o RAD001, un composto ad attività antiangiogenetica e anti-proliferativa. L’everolimus ha mostrato percentuali significative di
risposta obiettiva in studi di fase II in associazione con l’octreotide. Il bevacizumab, un
anticorpo monoclonale anti-VEGF ha mostrato, in studi di fase II, di essere superiore alla
terapia con PEG Interferon in pazienti con tumori neuroendocrini, in associazione con i
SSA a dose standard, sia in termini di risposta obiettiva sia in termini di intervallo libero
da progressione di malattia.
La chemioterapia convenzionale ha un ruolo fondamentale nelle forme scarsamente
differenziate e ad alto indice proliferativo, dove lo schema di riferimento è quello a base
di cisplatino-etoposide.
ABSTRACTS / casi clinici
CASI CLINICI 3
LE DISLIPIDEMIE
Emanuela Lapice
Abstract non pervenuto
Verrà presentato il caso clinico di un paziente di aa 68, valutato presso il ns ambulatorio
di malattie osteometaboliche per il riscontro radiologico di crolli vertebrali. L’esame
radiologico del rachide era stato eseguito, su consiglio del medico curante, per una
sintomatologia dolorosa al rachide comparsa da qualche mese in assenza di apparenti
traumi. Non era presente familiarità nota per osteoporosi, il paziente era stato fumatore,
non assumeva alcolici. In anamnesi patologica remota veniva segnalato diabete mellito
tipo 2 in terapia con metformina e rosiglitazone da circa 2 anni, ipertensione arteriosa
in terapia polifarmacologica (ACE-I, alfa litico, calcio antagonista), sindrome depressiva
non in trattamento. Veniva prescritto un esame densitometrico femorale che documentava
un’osteopenia (T-score -1.7 SD). Venivano eseguiti esami biochimici (emocromo, funzione
renale, stato vitaminico D, funzione epatica, quadro proteico, PSA, testosterone totale e
libero calcolato, fosfatasi alcalina, TSH) per individuare eventuali forme secondarie di
danno osseo. Tali esami documentavano un’ipovitaminosi D ed un ipotiroidismo “subclinico”.
Veniva eseguito un esame RMN del rachide che non documentava segni di cedimento
vertebrale “acuto”. Veniva eseguito esame morfometrico quantitativo che documentava
la presenza di 2 deformità severe e di 2 lievi. Tale caso clinico verrà discusso ponendo i
seguenti quesiti: 1) esistono in anamnesi elementi per sospettare un’osteoporosi secondaria?
2) dagli esami eseguiti sono presenti fattori che possano aver causato i crolli vertebrali;
3) l’approccio diagnostico è stato appropriato o era necessario eseguire altri esami di
approfondimento? 4) il quando densitometrico è compatibile con l’ipotesi diagnostica
di una frattura da fragilità da malattia osteoporotica? 3) Ai fini terapeutici cosa fare:
vertebroplastica? Terapia farmacologica con farmaco anti-riassoribitivo? Terapia
farmacologica con farmaco anabolico?
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
LE OSTEOPOROSI SECONDARIE
Gherardo Mazziotti1, F. Rota2
1Dipartimento di Medicina Interna, Azienda Ospedaliera “Carlo Poma”, Mantova
2Dipartimento di Edocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi
di Napoli Federico II
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INFORMAZIONI GENERALI
DATA E SEDE
Napoli, 20 e 21 marzo 2009
Centro Congressi Federico II
Via Partenope, 36
SEGRETERIA SCIENTIFICA
Prof. ssa Annamaria Colao
Dr. ssa Carolina Di Somma
Dip. di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica
Università degli Studi di Napoli Federico II
Via S. Pansini, 5 – 80131 Napoli
e-mail: [email protected][email protected]
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE
MALATTIE ENDOCRINE
Rione Sirignano, 5
80121 Napoli
Tel. 081 – 7611085 – 668774
Fax 081 – 664372
e-mail: [email protected]
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Durante il Forum la segreteria sara’ aperta nei seguenti giorni ed orari:
Venerdi’ 20 marzo: dalle ore 8.00 alle ore 19.30
Sabato 21 marzo: dalle ore 8.30 alle ore 18.00
ISCRIZIONI
La quota di iscrizione e’ di euro 250,00 IVA 20% inclusa e comprende:
Partecipazione alla sessioni scientifiche, kit congressuale, lunches e coffee breaks nei
giorni 20 e 21 marzo, attestato di partecipazione e attestato ECM
INFORMAZIONI GENERALI
CREDITI ECM
Per l’evento e’ stata inoltrata richiesta di accreditamento ECM al Ministero della Salute
per la categoria Medico Chirurgo per le seguenti discipline:
- Malattie Metaboliche e Diabetologia (evento formativo n° 886-9005888). La Commissione
Nazionale per la formazione continua ha attribuito n° 13 crediti
- Endocrinologia, Medicina Interna, Oncologia (evento formativo n° 886-9005579). In
fase di accreditamento.
LUNCHES E COFFEE BREAKS
Si terranno nei giorni 20 e 21 marzo nell’area ristoro del Centro Congressi situata al
primo piano.
Napoli, 20/21 Marzo 2009
Centro Congressi Federico II
CENTRO SLIDES
Il centro slides per la prova della propria presentazione e’ situato al primo piano a fianco
all’aula magna. I relatori dei Simposi e delle Tavole Rotonde sono pregati di consegnare
la propria presentazione su CD o pen drive almeno 30 minuti prima dell’orario previsto
per la propria relazione. Per i casi clinici non sono previsti supporti audiovisivi.
49
Gli organizzatori ringraziano per il prezioso supporto offerto
per l’organizzazione del Forum:
NOVARTIS
SISTEMA E-CARE CAMPANIA
RETE ENDOCRINOLOGICA
per la rete:
www.endocare.it
per i forum:
www.forumendocrinologiacampania.com