UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II POLO DELLE SCIENZE E DELLE TECNOLOGIE PER LA VITA FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA DIPARTIMENTO DI ENDOCRINOLOGIA ED ONCOLOGIA MOLECOLARE E CLINICA AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE Presidenti Prof. Gaetano Lombardi, Prof. Lucio Zarrilli Responsabile scientifico Prof.ssa Annamaria Colao Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II PROGRAMMA & ABSTRACTS PRESENTAZIONE Cari colleghi e amici, ho il piacere di darvi il benvenuto al Forum “Aggiornamenti in tema di terapia delle malattie endocrine”, e ringrazio tutti coloro che hanno entusiasticamente aderito a tale iniziativa. L’ evento, articolato in un programma che tocca tutte le patologie endocrine principali, ha lo scopo di rivedere i percorsi diagnostici terapeutici per consentire una omogeneità di comportamenti tra tutti gli attori del percorso salute in regione Campania (MG, specialisti ambulatoriali, specialisti ospedalieri e universitari) ma anche di porsi come momento di incontro che permetta scambi di opinioni personali. In occasione del Forum verra’ inoltre lanciato il progetto Ca.R.E. (Campania Rete Endocrinologia), sito web telematico, che si prefigge un triplice scopo: offrire a tutti i colleghi che operano sul territorio campano uno strumento che permetta in tempo reale di consultare una delle strutture di II e III livello operanti nel territorio campano per programmare eventuali indagini diagnostiche o terapie mediche o chirurgiche; costituire registri di patologie rare e di sorveglianza di farmaci speciali; consentire un rapido arruolamento di pazienti in trials di terapie innovative. Spero che la nostra categoria possa trarre giovamento da tali iniziative e, per fare il punto sui risultati delle attivita’ che verranno svolte nell’anno, vi do appuntamento per la prossima edizione del Forum il 26 e 27 marzo 2010 ! Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II Annamaria Colao 3 PROGRAMMA SCIENTIFICO PROGRAMMA SCIENTIFICO VENERDÌ 20 MARZO 8.00 - 10.00 8.00 - 10.00 Riunione Commissione SIE Campania Registrazione dei partecipanti 10.00 -10.30 Saluto delle Autorità 10.30 - 12.15 SIMPOSIO 1 - LE TIREOPATIE Moderatori: E. Consiglio, G. Fenzi 10.30 - 10.45 11.30 - 12.15 Gli ipotiroidismi B. Biondi Gli ipertiroidismi P. Macchia Il carcinoma differenziato M. Vitale Il follow-up del carcinoma tiroideo D. Salvatore Discussione 12.15 - 13.00 CASI CLINICI 1 (SESSIONI PARALLELE) 10.45 - 11.00 11.00 - 11.15 11.15 - 11.30 AULA MAGNA Le ipercalcemie Moderatori: F. Carpenito, S. Settembrini Relatore: A. Ciccarelli Critici: G. Amabile, V. Bassi, M. Dorato, M. Guarino AULA A Il carcinoma surrenalico Moderatori: A. Coppola, L. De Franciscis Relatore: R. Rossi Critici: M. Coscione, M. Gigante, D. Lionello Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II AULA MAGNA 5 PROGRAMMA SCIENTIFICO VENERDÌ 20 MARZO AULA B Il carcinoma midollare della tiroide Moderatori: F. Di Rella, G. Lupoli Relatore: G. Vitale Critici: R. Fittipaldi, G. Pisano, R. Ponticelli, E.Rossi AULA C Le obesità ipotalamiche Moderatori: G. D’Avanzo, S. Di Maio Relatore: A. Rossi Critici: A. Leo, A. Pagano, L. Quagliozzi, C. Rinaldi 13.00 - 15.00 Lunch AULA MAGNA 15.00 - 16.45 SIMPOSIO 2 - I PROBLEMI APERTI IN ANDROLOGIA Moderatori: M. Agrusta, A. Bellastella 15.00 - 15.15 16.00 - 16.45 La disfunzione erettile S. Zarrilli Ipogonadismo maschile A.A. Sinisi I transessualismi M. De Rosa L’infertilità maschile R. Pivonello Discussione 16.45 - 17.30 CASI CLINICI 2 (SESSIONI PARALLELE) 15.15 - 15.30 15.30 - 15.45 AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE 15.45 - 16.00 6 AULA MAGNA Le tiroiditi Moderatori: A. Di Sarno, P. Giordano Relatore: F. Fonderico Critici: B. Amalfi, M. Aversano, G. B. Ghidella, P. Giordano, S. Pagliara, F. Parlato, M. Tenuta, G. Torino PROGRAMMA SCIENTIFICO VENERDÌ 20 MARZO AULA A Il deficit di GH in età di transizione Moderatori: L. Perrone, M. Salerno Relatore: P. Marzullo Critici: G. De Filippo, S. Gioia, M. Iodice, D. Montedoro AULA B La gestione della terapia con ipoglicemizzanti orali Moderatori: G. Brighina, O. Vaccaro Relatore: M. Masulli Critici: E. Angrisani, A. Cocca, E. Iervolino, L. Landolfi, A. Luciano, P. Lanzetta 17.30 - 19.15 SIMPOSIO 3 - L’OSTEOPOROSI Moderatori: D. Caggiano, A. Colao 17.30 - 17.45 Epidemiologia L. Vuolo La terapia con farmaci antiriassorbitivi V. Nuzzo La terapia con farmaci anabolici C. Di Somma Antiestrogeni ed osteoporosi E. Rossi Discussione 17.45 - 18.00 18.00 - 18.15 18.15 - 18.30 18.30 - 19.15 Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II AULA C La resistenza agli ormoni tiroidei Moderatori: S. Longobardi, M. Rotondi Relatore: M. Ferrara Critici: V. Cannavale, G. Lupoli, L. Pagano, M. Pulcrano AULA MAGNA 7 PROGRAMMA SCIENTIFICO SABATO 21 MARZO AULA MAGNA 9.00 - 11.00 TAVOLA ROTONDA 1 - SINDROME METABOLICA ED ENDOCRINOPATIE Moderatori: D. Giugliano, R. Volpe 9.00 - 9.15 La classificazione K. Esposito L’insulino – resistenza B. Capaldo L’obesita’: nuovi approcci farmacologici S. Savastano L’ipercorticosurrenalismo M. Filippella La PCOS F. Orio jr. Discussione 9.15 - 9.30 9.30 - 9.45 9.45 - 10.00 10.00 - 10.15 AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE 10.15 - 11.00 11.00 - 11.45 LETTURA - IL DIABETE MELLITO Moderatore: G. Lombardi Relatore: G. Riccardi 11.45 - 13.30 TAVOLA ROTONDA 2 - I TUMORI IPOFISARI Moderatori: D. Ferone, F. Orio 11.45 - 12.00 Dati dall’agenzia regionale sanità T. Spinosa Il prolattinoma D. Pasquali L’acromegalia R. Auriemma La sindrome di Cushing M.C. De Martino Gli adenomi ipofisari non funzionanti S. Iorio Le ipofisiti A. De Bellis Discussione 12.00 - 12.15 12.15 - 12.30 12.30 - 12.45 12.45 - 13.00 13.00 - 13.15 8 13.15 -13.30 PROGRAMMA SCIENTIFICO SABATO 21 MARZO 15.00 -15.45 CASI CLINICI 3 (SESSIONI PARALLELE) AULA MAGNA La terapia insulinica nel paziente acuto Moderatori: P. Contaldi, F. Prisco Relatore: M. Parillo Critici: A. Basso, G. Campanile, V. Castellano, S. De Riu, N. Milano, C. Scurini AULA A I tumori neuroendocrini Moderatori: P. Sabatino, I. Ventre Relatore: A. Faggiano Critici: M. Klain, C. Luongo, P. Tommaselli AULA C Le osteoporosi secondarie Moderatori: B. Merola, V. Novizio Relatore: F. Rota Critici: E. Cascone, C. Cozzi, D. De Brasi, C. Fariello, A. Panico AULA MAGNA 15.45 -17.45 TAVOLA ROTONDA - UTILITÀ DI UNA RETE TELEMATICA PER GLI ENDOCRINOLOGI DELLA REGIONE CAMPANIA Moderatore: A. Colao Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II AULA B Le dislipidemie Moderatori: A. Rivellese, F. Scavuzzo Relatore: E. Lapice Critici: M. Biondi, G. Cerbone, M. Riccio 9 PROGRAMMA SCIENTIFICO SABATO 21 MARZO Epidemiologia D. Caggiano Percorsi diagnostico-terapeutici R. Volpe Registri di patologie rare A.A. Sinisi Il progetto Ca.R.E. A. Colao Discussione e conclusione dei lavori AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE Distribuzione materiale didattico per la verifica dell’apprendimento 10 ABSTRACTS ABSTRACTS LETTURA IL DIABETE MELLITO Gabriele Riccardi Dipartimento di diabetologia e malattie del metabolismo – Università degli Studi di Napoli Federico II Abstract non pervenuto ABSTRACTS / simposi SIMPOSIO 1 - Le tireopatie L’IPOTIROIDISMO AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE Bernadette Biondi Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi di Napoli Federico II 12 L’ipotiroidismo è una condizione clinica che si sviluppa per un’insufficiente azione degli ormoni tiroide sui tessuti dell’organismo. La tiroidite cronica autoimmune di Hashimoto, la terapia con iodio radioattivo per un pregresso ipertiroidismo, la chirurgia tiroidea o la terapia radiante esterna del collo, rappresentano le cause più frequenti di ipotiroidismo primitivo dell’adulto. Più raro è l’ipotiroidismo centrale in cui il difetto è localizzato a livello ipotalamico o ipofisario con seguente ridotta stimolazione della tiroide, L’ipotiroidismo subclinico è una patologia caratterizzata da livelli sierici del TSH superiori ai limiti della norma , in presenza di ormoni tiroidei nel range della normalità. Questa condizione clinica è prevalente nel 4-10% nella popolazione generale e nel 7-26% nella popolazione anziana L’ipotiroidismo subclinico , un tempo considerato una condizione di ipotiroidismo compensato, attualmente viene considerato una patologia tiroidea con possibili conseguenze sulla qualità di vita e sulle aspettative di vita, qualora non tempestivamente terapeutizzato mediante dosi sostitutive di L-tiroxina. Il rischio cardiovascolare è particolarmente elevato nei pazienti con ipotiroidismo subclinico per la possibilità di alterazione nei parametri cardiovascolari e per l’aumentato rischio di aterosclerosi. Tra i fattori di rischio per aterosclerosi un ruolo importante sembra essere svolto dall’ipertensione, dalla disfunzione endoteliale, dalla dislipidemia, dalla alterazione dei parametri di coagulazione. La terapia con tiroxina riesce a prevenire o a correggere l’aumetato rischio cardiovascolare associato a tale patologia, nonché a migliorare la qualità di vita , i disturbi psichici, cognitivi e muscolari. Il trattamento dell’ipotiroidismo subclinico è imperativo in gravidanza per i gravi effetti collaterali che può indurre nel nascituro. ABSTRACTS / simposi SIMPOSIO 1 - Le tireopatie GLI IPERTIROIDISMI Il termine ipertiroidismo si riferisce a tutte le situazioni cliniche associate ad un maggiore funzionamento della ghiandola tiroidea con iperproduzione degli ormoni tiroidei. Clinicamente si caratterizza per la presenza di un’iperattività a carico dei vari organi ed apparati, mentre dal punto di vista laboratoristico gli ipertiroidismi si presentano con elevati valori di FT3 e/o FT4 circolanti associati ad una riduzione delle concentrazioni di TSH nelle forme primitive, o a valori di TSH nella norma o aumentati nelle forme secondarie o terziarie. Dal punto di vista terapeutico è assolutamente necessario distinguere tra le forme di ipertiroidismo propriamente dette, in cui la patologia è legata ad una reale iperproduzione degli ormoni tiroidei, dalle forme di tireotossicosi, in cui, nonostante il quadro clinico/laboratoristico sia sovrapponibile, il meccanismo patogenetico è associato ad un aumento degli ormoni tiroidei non dovuto ad una neosintesi degli stessi. La diagnosi differenziale tra le due forme si basa sulla scintigrafia tiroidea che presenta una captazione elevata nelle prime forme ed una captazione ridotta nelle tireotossicosi. Nelle tireotossicosi il trattamento di scelta è legato alla rimozione della causa, ove possibile, eventualmente associata ad una terapia di tipo sintomatico, come l’uso di farmaci betabloccanti, con il fine di limitare gli effetti periferici, soprattutto cardiaci, causati dall’aumento degli ormoni tiroidei circolanti. Nel caso degli ipertiroidismi propriamente detti si può ricorrere, in associazione alla terapia sintomatica, anche ad un trattamento eziologico con farmaci o procedure terapeutiche atte a limitare la produzione di ormoni tiroidei. I farmaci di scelta da utilizzare sono rappresentati dai farmaci antitiroidei, in particolare il propiltiouracile ed il metimazolo. Stoicamente, in Italia, era non possibile ottenere il propiltiouracile, che doveva essere acquistato dalle farmacie internazionali, mentre da circa due anni, è possibile utilizzare anche il propiltiouracile effettuando una specifica richiesta presso le farmacie ospedaliere. La terapia con farmaci antitiroidei va praticata per almeno due anni a dosi scalari nei pazienti affetti da ipertiroidismo da morbo di Basedow, e dopo tale periodo è possibile provare a sospendere il farmaco, in quanto in circa il 15% dei casi si ottiene una remissione completa della malattia. Nel caso degli ipertiroidismi da gozzo nodulare (uni- o multinodulare) tossico i farmaci antitiroidei vanno somministrati al fine di riportare la funzione tiroidea nella norma, ma la loro sospensione si associa ad una ripresa della sintomatologia e dell’ipertiroidismo, Sarà quindi necessario, in questi casi, ricorrere ad un trattamento definitivo quale la terapia con 131I o il trattamento chirurgico. Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II Paolo Emidio Macchia Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi di Napoli Federico II 13 ABSTRACTS / simposi SIMPOSIO 1 - Le tireopatie IL CARCINOMA DIFFERENZIATO AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE Mario Vitale Dipartimento Assistenziale di “Endocrinologia ed Oncologia Clinica” - Università degli Studi di Napoli Federico II 14 Il carcinoma differenziato della tiroide (CDT) è la più frequente neoplasia delle ghiandole endocrine ed ha un’incidenza annuale pari a 3,4/100.000 donne e 1,2/100.000 uomini. La sua incidenza in Italia è maggiore rispetto alla media mondiale, attestandosi sui valori di 15,5 e 5,2/100.000 donne e uomini rispettivamente. Da rilevare anche che negli ultimi anni l’incidenza del CTD è andata progressivamente aumentando, raddoppiando nell’ultimo ventennio. Questo aumento riguarda soprattutto i carcinomi più piccoli, cioè quelli di diametro inferiore a 1 cm (micro carcinomi), suggerendo che questo aumento sia la conseguenza di una più diffusa applicazione delle metodiche ecografiche. Nonostante la relativamente alta diffusione del CDT, la sua mortalità è estremamente bassa attestandosi intorno allo 0,6/100.000 individui all’anno. Questa bassissima mortalità è il risultato di due fattori: la bassa aggressività di questa neoplasia e la nostra capacità di eseguire una diagnosi, una terapia e un follow-up efficaci. La classificazione istopatologia del CDT di origine epiteliale comprende il carcinoma papillifero e il più raro carcinoma follicolare, mentre il carcinoma midollare deriva dalle cellule parafollicolari. Il CDT si presenta come un nodulo, spesso senza alcuna sintomatologia, qualche volta con sintomi legati alla compressione del collo o dei nervi laringei ricorrenti. Più spesso, per CDT di piccole dimensioni, è l’ecografia del collo o dei vasi sopra aortici che ne rivela la presenza. L’ecografia fornisce utili informazioni sulle dimensioni, sulla natura cistica o solida e sul grado di vascolarizzazione dei noduli tiroidei, ma non consente di eseguire una diagnosi sulla loro natura, sufficientemente sicura da determinare il successivo approccio terapeutico. Pertanto, per i noduli di dimensioni ≥ 1 cm, è necessario eseguire l’agoaspirato con ago sottile (FNAB) e analizzare il materiale al microscopio. L’esame citologico può fornire diverse risposte: nodulo benigno, nodulo maligno, neoplasia follicolare, nodulo sospetto di carcinoma papillare o materiale inadeguato. Purtroppo, solo il 80-85% dei FNAB forniscono una delle prime due risposte, mentre nel 15-20% dei casi il risultato rimane incerto. L’accuratezza del FNAB è fortemente dipendente dall’esperienza dell’anatomopatologo, ma circa il 50% delle diagnosi incerte risultano essere dei carcinomi. Per tale motivo, nel caso di un FNAB ripetutamente non diagnostico si rende necessaria una tiroidectomia a scopo diagnostico. La ricerca di marcatori tumorali quali galectina-3 o oncogeni quali RET/PTC e BRAFV600E, possono contribuire alla scelta terapeutica e soprattutto al tipo di intervento chirurgico da eseguire. Infatti in caso di carcinoma è opportuna una tiroidectomia totale con svuotamento del compartimento linfonodale centrale, mentre per la tiroidectomia diagnostica in un gozzo mono-nodulare è sufficiente la lobectomia con istmectomia. In caso di esami molecolari positivi, si potrà ABSTRACTS / simposi procedere direttamente con la chirurgia più radicale. Dopo la tiroidectomia, è opportuno eseguire un trattamento con 131-Iodio (terapia radio metabolica). Questo trattamento elimina i piccoli residui di tessuto tiroideo eventualmente rimasti e consente un più agevole follow-up della malattia. Infatti il follow-up del CDT è basato sulla ricerca di tireoglobulina (TG) nel sangue, che deve essere assente dopo terapia radio metabolica e che se presente è indice della ripresentazione della malattia. Dopo la dose di 131-Iodio è possibile anche eseguire una scintigrafia totale corporea. Questa può evidenziare la presenza di eventuali metastasi tumorali. Dopo il trattamento radiometabolico, il paziente inizia il trattamento sostitutivo con ormone tiroideo per via orale (levotiroxina, L-T4) che verrà assunta per tutta la vita. Benché le cellule del CDT siano parzialmente sdifferenziate, la loro proliferazione è ancora dipendente dal TSH e per tale motivo l’inibizione di questo ormone riduce il tasso di recidive e aumenta la sopravvivenza del paziente. L’adeguatezza della terapia deve essere monitorata periodicamente mediante dosaggio del TSH e degli ormoni tiroidei liberi. Il follow-up del CDT ha lo scopo di valutare la corretta inibizione della secrezione del TSH e evidenziare in modo precoce la persistenza o la recidiva della malattia. Le recidive di malattia sono più frequenti nei primi anni, tuttavia possono presentarsi anche molti anni dopo il trattamento primario e per tale motivo il follow-up deve essere proseguito per tutta la vita del paziente. Il follow-up del CDT prevede periodicamente la valutazione del TSH, l’esame clinico, l’ecografia del collo e il dosaggio della TG. Una metodica diagnostica più recente è la PET-TC. Il suo costo e la sua efficacia ne limitano per il momento l’applicazione in quei casi nei quali la TG è presente nel siero ma non è possibile visualizzarne la sede di provenienza. La palpazione della loggia tiroidea e del collo e l’ecografia vengono eseguite per la ricerca di linfoadenopatie cervicali. In particola risulta utile l’ecografia che, valutando i caratteri di ecogenicità, il rapporto tra i diametri, la vascolarizzazione e le variazioni di dimensioni nel tempo, aiuta il medico a identificare precocemente linfonodi metastatizzati. Quando i caratteri clinici-ecografici del linfonodo orientano verso la metastatizzazione ma la TG sierica è negativa, è possibile eseguire il dosaggio della TG nell’agoaspirato linfonodale ottenuto con ago sottile e sotto attenta guida ecografica. Tale dosaggio, della proteina o del mRNA, è particolarmente efficace nell’identificare la presenza di cellule tumorali e non viene significativamente influenzato dalla eventuale presenza nel siero di anticorpi anti TG. Il dosaggio della TG sierica è uno degli indicatori più efficaci nel follow-up del CDT. Il dosaggio della TG nel siero è abitualmente eseguito con metodi radioimmunologici o di immunochemiluminescenza che consentono il dosaggio fino ad una concentrazione di 1 ng/mL. Questo dosaggio però risente della eventuale presenza di anticorpi anti TG nel siero, pertanto è sempre necessario dosare ed escludere la presenza di questi ultimi. La massima efficacia del dosaggio della TG sierica si ottiene stimolando con TSH le eventuali cellule tumorali presenti. La stimolazione si ottiene con due procedure. La prima consiste nell’interruzione della terapia soppressiva del TSH per un tempo sufficiente a che Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II SIMPOSIO 1 - Le tireopatie 15 ABSTRACTS / simposi SIMPOSIO 1 - Le tireopatie AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE questo raggiunga una concentrazione superiore a 50 mUI/mL. Questa pratica è semplice ed economica ma presenta l’inconveniente non trascurabile di indurre temporaneo ipotiroidismo con ripercussioni negative sullo stato di benessere del paziente, sulla sua qualità di vita e sulle attività lavorative. Alla sospensione della terapia con L-T4 si è aggiunta la possibilità di stimolare la produzione di TG mediante la somministrazione di TSH umano ricombinante. Senza la necessità di interruzione della terapia con L-T4, questo ormone viene somministrato in due giorni consecutivi in modo da stimolare la produzione di TG che viene quindi dosata. Al dosaggio della TG, stimolata mediante sospensione della L-T4 o con TSH ricombinante, si può aggiungere la scintigrafia totale corporea con 131-Iodio. Questo esame può essere utile per visualizzare delle aree di accumulo anomalo, ma è meno sensibile del dosaggio della Tg. Solo l’80% dei pazienti con livelli sierici di TG superiori a 40 ng/mL dopo sospensione della terapia soppressiva del TSH presentano lesioni cervicali o extra-cervicali evidenziabili mediante scintigrafia totale corporea. Per tale motivo la scintigrafia totale corporea non è più consigliata nel protocollo standard del follow-up del CDT se non in casi selezionati e quando, accertata la presenza di TG si voglia visualizzare la sede di recidiva della malattia e verificarne la captazione per un più mirato trattamento chirurgico. 16 ABSTRACTS / simposi SIMPOSIO 1 - Le tireopatie LA TERAPIA DEI CARCINOMI TIROIDEI Domenico Salvatore Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica -Università degli Studi di Napoli Federico II Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II La patologia nodulare tiroidea rappresenta una delle malattie endocrine di più frequente riscontro, soprattutto nei paesi in cui la profilassi con iodio non viene attuata. Nonostante questa elevata incidenza, solo una piccola percentuale di noduli tiroidei è rappresentata da tumori maligni. Tra questi gli istotipi ben differenziati sono i più frequenti ed hanno una lenta evoluzione. Inoltre la trasformazione maligna di un nodulo benigno è un evento eccezionale. La terapia chirurgica rappresenta il trattamento iniziale di tutti i carcinomi tiroidei, seguita dall’ablazione del residuo tiroideo con 131I. Anche se i carcinomi differenziati della tiroide hanno una crescita molto lenta e sono solitamente curabili, recidivano nel 20-40% dei casi e si sdifferenziano nel 5% dei casi. La chemioterapia e la radioterapia convenzionale ha uno scarso effetto sui tumori tiroidei avanzati, pertanto tali tumori costituiscono un dilemma terapeutico ed un’area di ricerca molto critica. La Targeted therapy (terapia bersaglio), una nuova generazione di trattamenti antitumorali, ha come scopo quello di interferire con una specifica molecola bersaglio, solitamente una proteina che si ritiene svolgere un ruolo critico nella crescita o nella progressione tumorale. Attualmente si stanno testando nuovi farmaci in studi in vitro ed in vivo ed alcuni di loro sono già utilizzati in diversi trials clinici, come per esempio piccole molecole che inibisco le tirosino chinasi. 17 ABSTRACTS / simposi SIMPOSIO 2 - I problemi aperti in andrologia AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE TRATTAMENTO MEDICO DELLA DISFUNZIONE ERETTILE Stefano Zarrilli Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi di Napoli Federico II 18 L’erezione è un evento neuro-vascolare modulato da fattori psicologici e ormonali. L’iniziazione neuronale conseguente ad uno stimolo sessuale determina il rilascio di neurotrasmettitori dal nervo cavernoso e di fattori endoteliali dalle arterie cavernose con il conseguente rilassamento della muscolatura liscia arteriosa del tessuto erettile e l’aumento del flusso ematico penieno. La coincidente occlusione del deflusso venoso blocca il sangue all’interno dei corpi cavernosi, aumentando la pressione sanguigna peniena, portando quindi all’erezione. L’attività è sostenuta da molecole vasodilatatrici quali il biossido e l’ossido nitrico (NO2/NO) che, attivando la guanilato ciclasi, portano alla formazione di cGMP responsabile del rilassamento muscolare; tale processo è mantenuto in adeguato equilibrio da un secondo enzima, la fosfodiesterasi-5, che trasforma il cGMP in GMP disattivando il processo di vasodilatazione con conseguente detumescenza peniena. La capacità di mantenere l’erezione per un tempo prolungato, che travalica quello necessario a garantire l’accoppiamento e la riproduzione, è una caratteristica dell’essere umano. La “Disfunzione Erettile” (DE) è stata definita come “persistente o ricorrente incapacità di ottenere o mantenere un’erezione peniena adeguata per il completamento dell’attività sessuale”. Questa definizione ha sostituito il termine generico ed ormai desueto di “impotenza”, che si accompagnava a valenze psicologiche estremamente negative. I disturbi erettili sono molto diffusi: secondo alcune stime sono 152 milioni gli uomini che ne sono colpiti nel mondo. Solo una ristretta parte di pazienti affronta in maniera adeguata il problema, rivolgendosi ad uno specialista. Eseguendo, infatti, accurate indagini al manifestarsi del sintomo della DE, possono esserne diagnosticate le cause ed è possibile procedere ad un trattamento mirato di questo disturbo. Una DE può riconoscere una etiologia organica (vascolare, malattie sistemiche, diabete, cardiopatie, ipertensione, neurogena, ormonale, anatomica, strutturale o iatrogena), psicogena o, più frequentemente, mista, in cui su un impianto di base organico si instaura una problematica di carattere psicogeno. Le strategie terapeutiche prevedono trattamenti psico-sociali, medici e chirurgici. Obiettivo del trattamento è il ripristino di una soddisfacente vita sessuale. Dato l’impatto emotivo di tale disturbo, il counseling psicoterapico è sempre consigliabile in questo tipo di pazienti. Il trattamento della DE organica deve essere mirato alla risoluzione del disturbo che ha generato tale sintomo. Pertanto, è essenziale che si proceda al trattamento della patologia di base responsabile di questo sintomo. Numerosi sono, poi, i trattamenti orientati al recupero di una piena e soddisfacente erezione. Negli anni 80 del secolo scorso la terapia iniettiva intracavernosa (FIC) ha consentito di ottenere le prime erezioni farmaco-mediate. La terapia FIC consiste nell’iniezione nel ABSTRACTS / simposi corpo cavernoso di farmaci vasoattivi quali Papaverina e Fentolamina. Successivamente si è aggiunto il trattamento con Prostaglandina E1 (PGE1) che può essere iniettivo (FIC) o intrauretrale con il deposito di prostaglandina in gel (alprostadil), mediante un applicatore direttamente nell’uretra. Nei casi di ipogonadismo o in soggetti con livelli eccessivamente bassi di testosterone (T) è indicata la terapia sostitutiva con androgeni (ART). La formulazione più comunemente impiegata è quella a rilascio controllato di T (enantato, propionato, fenilpropionato, isocaproato). Utili sono anche la terapia orale con T (undecanoato), i gel transdermici, i cerotti e, più recentemente, le compresse gengivali per assorbimento attraverso la mucosa buccale. D’acquisizione relativamente recente sono farmaci come l’apomorfina sublinguale farmaco attivo a livello centrale che mima la risposta del cervello agli stimoli sessuali, e la yohimbina, un alfa-bloccante che esercita il proprio effetto direttamente sui tessuti penieni. Tra i “trattamenti locali” va ricordato il Vacuum Constriction Device (VCD) che consiste in un tubo di materiale plastico che aspira l’aria attorno al pene creando un vuoto che determina afflusso di sangue nei corpi cavernosi. Il “gold-standard” nel trattamento della DE è rappresentato dagli inibitori della fosfodiesterasi 5 (PDE5-I). Sono, infatti, la prima classe di farmaci sicuri ed efficaci per la terapia orale della DE. Capostitipite di queste molecole è il sildenafil (1998) seguito da tadalafil e vardenafil (2003). Studi clinici controllati hanno dimostrato che i PDE5-I sono efficaci e ben tollerati. Tale osservazione è suffragata dall’esperienza della pratica clinica. Benché l’azione clinica possa manifestarsi fin dalla prima assunzione è importante educare il paziente sulla necessità di uno stimolo sessuale e sull’utilizzo di un dosaggio adeguato. I risultati migliorano con le successive assunzioni. La somministrazione concomitante di questi farmaci con i nitrati è assolutamente controindicata. Infatti, entrambi agiscono sulla via NO/cGMP esiste quindi il rischio di una severa ipotensione. Rappresentano controindicazioni all’uso di questi farmaci: malattie sistemiche gravi, attività sessuale sconsigliata, retinite pigmentosa, ulcera peptica, disturbi coagulativi, anemia falciforme, uso di alfa-bloccanti (ipertensione e IPB). Gli effetti collaterali possono essere: cefalea, dispepsia, arrossamento al volto, congestione nasale, alterazioni della visione, mialgia, dolore al dorso. Attualmente, allo studio ci sono nuove vie di somministrazione degli agenti vasoattivi che prevedono oltre alle vie transuretrale ed orale anche quella nasale. Sono, inoltre, oggetto di sperimentazione donatori dell’NO e di neuropeptidi accessori (cGRP e VIP) e farmaci inibenti il sistema simpatico (alfa-bloccanti e inibitori del recettore dell’endotelina-1). È possibile anche tentare una correzione dei processi degenerativi del tessuto cavernoso mediante infusione di PGE1 o neurotropine. Anche il trattamento tradizionale con i PDE5I è stato rivisitato, per cui l’obiettivo dei nuovi trattamenti è ottenere non tanto una protesi farmacologia, quanto una riabilitazione del meccanismo erettile. Un discorso a parte merita la terapia genica dei corpi cavernosi che prevede, fra l’altro: l’intervento su regioni geniche codificanti per le Inducible Nitric Oxide Synthase (iNOS); Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II SIMPOSIO 2 - I problemi aperti in andrologia 19 ABSTRACTS / simposi SIMPOSIO 2 - I problemi aperti in andrologia la somministrazione intracavernosa di Fattore di Crescita Endoteliale Vascolare (VEGF); il trapianto di cellule endoteliali di microvasi autologhi (MVEC). Questi trattamenti mirano alla realizzazione di un sistema sicuro, efficace e specifico per modificare la pressione intracavernosa “on demand”, eliminando la necessità di altre forme di terapia senza alterare le restanti funzioni peniene o la fisiologia degli altri organi e possono, a ragione, essere considerati la reale ultima frontiera terapeutica. AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE IPOGONADISMO MASCHILE Antonio A. Sinisi Cattedra di Endocrinologia - Seconda Università di Napoli 20 L’ipogonadismo maschile è una condizione patologica in cui una mancanza di produzione d’ormoni maschili e di testosterone in particolare, per disordini primitivamente testicolari (ipogonadismi primitivi o ipergonadotropi) o secondari a mancanza secretoria di varia natura dell’asse ipotalamo-ipofisi per il settore gonadotropo (ipogonadismi secondari o ipogonadotropi) induce alterazioni fenotipiche caratteristiche la cui gravità e complessità dipendono dalle cause e dall’età d’esordio della patologia. Gli ipogonadismi secondari sono caratterizzati da deficit della funzione testicolare (leydigiana o tubulare o di entrambe) per alterazione o deficit della secrezione delle gonadotropine a causa di difetti congeniti o acquisiti, su base organica o funzionale, dell’ipotalamo o/e dell’ipofisi. Un ipogonadismo secondario può presentarsi come isolato (HHI) o associato ad altri difetti ipofisari. L’HHI comprende un gruppo di condizioni eterogenee per gli aspetti eziologici, genetici e clinici ed e’ la forma piu’ frequente di ipogonadismo secondario, con una prevalenza di 1 a 10.000, ed . isolato e’ la conseguenza di un’alterazione della secrezione delle gonadotropine per mancanza dello stimolo del GnRH o per alterazione della produzione ipofisaria di LH o FSH. L’HHI puo’ essere apparentemente senza causa (idiopatico) o associato a difetti sensoriali come nella Sindrome di Kallmann (SK) o ad altri difetti del sistema nervoso come nelle forme sindromiche. Nel 30% dei casi sono state documentate alterazioni genetiche (geni KAL1, FGFR1, FGF8, PROK2, PROKR2, GnRHR, GPR54, NELF, LHbeta, DAX1, LEP, LEPR). Deficit multipli posono essere secondari a danni organici (tumori ipotalamo ipofisari, traumi etc) o congeniti da alterazione di geni (HESX-1, Prop1) che controllano l’organogenesi dell’ipofisi o la differenziazione delle cellule ipofsarie . Gli ipogonadismi primari sono un gruppo eterogeneo di condizioni dovute ad alterazioni primitive testicolari da cause congenite o acquisite, caratterizzate dal deficit androgenico con riduzione della secrezione o dell’ azione del testosterone, dal deficit della funzione tubulare, con alterazione della spermatogenesi, o da entrambi. Gli ipogonadismi primari sono anche definiti ipergonadotropi, in quanto si ha di solito un’iperincrezione secondaria delle gonadotropine per riduzione del meccanismo di feedback negativo.La forma più frequente (1:500 nati maschi) è la sindrome di Klinefelter (SKl) che è dovuta ad aberrazione ABSTRACTS / simposi SIMPOSIO 2 - I problemi aperti in andrologia cromosomica. Altre forme possono essere su base cromosomica (XX-male, XYYmale, disgenesie gonadiche miste, alterazioni etc,), genica (S.Noonan, S.Steinert, deficit steroidogenesi congeniti etc.) o acquisita (criptorchidismo, anorchia etc). La fisiopatologia e le manifestazioni cliniche varieranno a seconda del grado di interessamento del testicolo, dell’ eziologia e dell’ eta’ di insorgenza del difetto. La terapia medica del transessualismo ha come fine quello di trasformare il corpo del soggetto da trattare in maniera adatta alla sua psiche. E’ probabilmente, quindi, l’unica terapia che mira non ad una “restitutio ad integrum” di alterazioni patologiche ma a modificare l’omeostasi fisiologica del soggetto. Di ciò si deve tenere conto, sia da un punto di vista clinico, nell’ottica di non indurre effetti collaterali, sia da un punto di vista medico-legale, poiché induce modificazioni del fenotipo anche se non definitive. Fondamentale in questi trattamenti è il “real life test”, durante il quale la terapia comincia a indurre quelle modificazioni del fenotipo, che servono a far sperimentare al soggetto il suo nuovo aspetto fisico. Nella ns. esperienza migliori risultati si ottengono, nella trasformazione M/F¸ con i preparati estrogenici. A questi ultimi, e per abbassarne i dosaggi, conviene aggiungere il ciproterone acetato che blocca i recettori per gli androgeni. Infatti, alti dosaggi di estrogeni possono indurre un danno epatico e complicanze trombo-emboliche, per cui, prima e durante tale terapia, è sempre indispensabile monitorare gli indici della funzionalità epatica e della coagulabilità plasmatica. Spesso accade che, durante la terapia estrogenica, si innalzino i livelli plasmatici di HPRL. In questo caso, pur non essendo necessario sospendere la terapia al di sotto di certi livelli circolanti di tale ormone, è utile una valutazione più approfondita con prelievi seriati ed uno studio morfo-funzionale dell’ipofisi. Nella trasformazione F/M, sicuramente più rara e con risultati finali meno soddisfacenti, qualunque preparato a base di testosterone è utile. Nella ns. esperienza preferiamo usare i preparati ad effetto ritardo poiché permettono un minor numero di somministrazioni e quindi una migliore “compliance” del soggetto da trattare. E’, comunque, necessario nella terapia medica del transessualismo adeguare la terapia ad ogni singolo soggetto effettuando frequenti controlli clinici tenendo conto del suo benessere fisico e psichico. Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II I TRANSESSUALISMI Michele De Rosa Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi di Napoli Federico II 21 ABSTRACTS / simposi SIMPOSIO 2 - I problemi aperti in andrologia L’INFERTILITÀ MASCHILE Rosario Pivonello Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Universita’ degli Studi di Napoli Federico II Definizione L’infertilità è l’impossibilità per una coppia di concepire un bambino dopo un anno di regolari rapporti sessuali non protetti e di frequenze adeguata. Circa il 30% dei casi di infertilità di coppia sono determinati da cause legate al partner maschile. Considerando i meccanismi alla base della fertilità maschile, una condizione di infertilità si concretizza in problematiche che alterano la normale produzione, maturazione, vitalità e liberazione degli spermatozoi. Numerosi fattori possono contribuire ad uno stato di infertilità. I principali possono essere suddivisi nei seguenti gruppi: 1)fattori che agiscono in una fase “pre-testicolare”, che alterano la quantità e/o la qualità delle cellule germinali: In questo gruppo rientranole patologie endocrine; 2)fattori che agiscono in una fase “testicolare”, che alterano il processo di produzione dello sperma. A questo gruppo appartengono le patologie genetiche e direttamente testicolari; 3)fattori che agiscono in una fase “posttesticolare”, durante il processo di fuoriuscita degli spermatozoi;Tra questi sono comprese le problematiche legate all’eiaculazione e alla fecondazione. AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE Cause Tra le più comune cause di infertilità maschile, presenti anche in conbinazione tra loro, sono incluse: le alterazioni a carico del liquido seminale: oligospermia, astenospermia, teratospermia, il varicocele, le prostatiti, l’eiaculazione retrograda con minore volume dell’eiaculato, l’ostruzione dei canali dell’apparato riproduttivo, le patologie endocrine: iperprolattinemia, ipogonadismo, ipopituitarismo, le malattie sessualmente trasmesse, le infiammazioni genitali (ad es. epididimite, orchite partitica), i traumi scrotali e torsione testicolari, il criptorchidismo, la neuropatia diabetica, l’obesità estrema, i disordini immunitari, le epatopatie, le nefropatie e l’anemia falciforme . 22 Diagnosi La diagnosi di infertilità si basa in primis sulla anamnesi riguardo eventuali difficoltà nel concepimento insorte nel passato e su eventuali episodi di lesione ai testicoli. questo si accompagna un esame fisico dell’apparato genitale, dello scroto e dell’area peritesticolare, attraverso il quale si possono identificare eventuali problematiche a carico dei testicoli, dello scroto, degli epididimi e del primo tratto dei deferenti, del pene, della prostata e vescicole seminali. Seguirà una serie di indagini laboratoristico-strumentali, che possiamo considerare di I livello: 1)analisi del liquido seminale (spermiogramma); 2) esami microbiologici (spermiocoltura, ricerca di chlamydiae trachomatis e mycoplasma urealiticum); 3)profilo ormonale (in particolare gonadotropine, testosterone, prolattina, ABSTRACTS / simposi SIMPOSIO 2 - I problemi aperti in andrologia TSH ed eventuali altri ritenuti necessari); 3) un’ecografia scrotale con color doppler dei funicoli spermatici per valutare la presenza di varicocele o di altre alterazioni testicolari. Successivamente potranno essere presi in considerazione ulteriori test del liquido seminale (es. ricerca di anticorpi antispermatozoo ), un approfondimento della situazione ormonale tramite eventuali tests da stimolo, un’ecografia prostato-vescicolare, una serie di analisi di tipo genetico (es. cariotipo, ricerca di microdelezioni del cromosoma Y e mutazione del gene CFTR o altre se indicato). Se necessario, si potrà accedere ad una diagnostica ancora più invasiva come il citoaspirato o la biopsia testicolare. Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II Terapia L’obiettivo del trattamento è quello di raggiungere le condizioni migliori possibili per quello che riguarda la spermatogenesi e la qualità del seme. Se dagli esami, ad esempio, sono emerse infezioni genitali, occorrerà trattarle con adeguata terapia antibiotica e antinfiammatoria. Escluse o trattate queste, un approccio terapeutico importante è costituito dalla terapia ormonale, in particolare tramite l’uso di gonodotropine (in particolare FSH). La terapia ormonale può essere utilizzata sia in modo razionale (in caso cioè di documentata carenza ormonale), sia in modo empirico, quando, pur senza un’evidenza di deficit secretorio di gonadotropine, si sfrutta di fatto un effetto stimolatorio sulla spermatogenesi. Quest’ultima situazione è di gran lunga la più frequente in clinica e trova indicazione in caso di ridotta spermatogenesi (cioè la situazione definita con il termine di oligospermia). Numerosi studi documentano l’efficacia di tale trattamento; tuttavia rimangono al presente mal definiti i criteri di predittività di risposta a tale terapia. Un altro presidio terapeutico che si è rivelato efficace in studi clinici controllati per il trattamento dell’infertilità maschile è costituito dagli antiossidanti mentre l’intervento chirurgico è spesso risolutivo in caso di varicocele. L’eventuale approccio alla tecniche di procreazione medicalmente assistita, dal punto di vista andrologico, va preso in considerazione principalmente quando, pur in presenza di una migliorata la qualità del seme la coppia non raggiunge comunque l’obbiettivo della gravidanza in un arco di tempo ragionevole. 23 ABSTRACTS / simposi SIMPOSIO 3 - L’osteoporosi AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE OSTEOPOROSI: EPIDEMIOLOGIA Laura Vuolo Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica Università Federico II di Napoli 24 L'osteoporosi è una malattia generalizzata dell’osso, caratterizzata dalla riduzione quantitativa della massa ossea e dal danno microarhitetturale del tessuto osseo, cui conseguono l’aumento della fragilità dello scheletro ed una maggiore suscettibilità alle fratture. L'osteoporosi deriva da uno squilibrio acquisito nel sistema di rimodellamento osseo, normalmente disciplinato dall’azione combinata di più ormoni. Al giorno d'oggi l'osteoporosi rappresenta una patologia di rilevanza sociale, progressiva, potenzialmente invalidante, spesso asintomatica. Circa 200 milioni di individui nel mondo ne soffrono, con un rapporto tra i due sessi di 3:1. In Italia, 3.5 milioni di donne ed 1 milione di uomini, di età superiore ai 50 anni, sono osteoporotici. In particolare in Campania, su un totale di 2.976.122 donne ben 357.000 ne risultano affette (12%); mentre su 2.814.807 uomini, 113.000 sono osteoporotici (4%). Solo una donna su due affette da osteoporosi sa di esserlo. Stessa mancanza di consapevolezza riguarda un uomo su cinque. Il 50% delle persone che pensano di essere ammalate di osteoporosi non lo sono, mentre la metà di quelli realmente affetti dalla malattia non sa di esserlo. E’ quanto emerge da uno studio pilota condotto in Italia nell’area di Firenze, svolto in collaborazione da Istituto superiore di sanità, Istat, Ars della Toscana e Asl di Firenze. Lo studio ha coinvolto persone di età compresa fra 35 e 74 anni appartenenti a 476 famiglie che rientravano nel campione della indagine Istat. Le indicazioni emerse, se proiettate alla realtà nazionale, risultano abbastanza divergenti da quelle fornite dall’ultima indagine ISTAT secondo cui si dichiara ammalato di questa patologia solo il 4,7% della popolazione totale e il 17,5% delle persone con oltre 65 anni di età. Un più recente studio epidemiologico multicentrico nazionale, ESOPO, ha invece rilevato che il 23% delle donne di età superiore ai 40 anni e il 14% degli uomini di età superiore ai di 60 anni è affetto da osteoporosi. La conseguenza più rilevante di tale patologia è rappresentata dall’aumento dell'incidenza delle fratture da fragilità, che si manifestano quando la perdita di massa ossea supera il 40% della massa totale; i siti più comunemente colpiti sono la colonna vertebrale nel tratto dorso-lombare e la regione femorale, meno comunemente il radio nella porzione distale. E’ stato calcolato che, superati i 50 anni di età, 1 donna su 2 ed 1 uomo su 8 sono destinati ad andare incontro ad almeno una frattura da fragilità ossea nel resto della vita. Questo dato è allarmante se si considera la pesante influenza di tali fratture sulla qualità della vita e sulla spesa sanitaria. ABSTRACTS / simposi SIMPOSIO 3 - L’osteoporosi Negli ultimi anni sono stati sviluppati e commercializzati numerosi farmaci per la terapia dell’osteoporosi. L’end point di tutte le terapie rimane la prevenzione dell’evento fratturativo. In tal senso i bisfosfonati rimangono i farmaci con la più corposa documentazione di efficacia. Tali farmaci inibiscono l’attività osteoclastica, riducono il riassorbimento e il turn over osseo con un conseguente incremento della massa ossea. I bisfosfonati, in particolare Alendronato e Residronato sono farmaci di prima scelta nel trattamento di tutte le forme di osteoporosi (post-menopausale, cortisonica, maschile). L’utilizzo dei bisfosfonati negli anni ha evidenziato un elemento di criticità nella aderenza alla terapia. Tale elemento è particolarmente evidente in soggetti anziani sottoposti a plurime terapie con dosaggi multipli nell’ambito della stessa giornata. Infatti, è dimostrato che Il 50% dei pazienti affetti da osteoporosi interrompe la terapia medica dopo 1224 mesi. Curtis, (J Bone Miner Res 2008) in un ampio gruppo di pazienti affetti da osteoporosi in terapia con bisfosfonati, ha evidenziato che l’aderenza alla terapia ad una anno era del 44%, a due anni del 39% e a tre anni solo del 35%. Per tale motivo negli ultimi anni sono state sviluppate molecole e modalità di somministrazioni che consentissero una assunzione diradata nel tempo. In particolare si segnalano l’Alendronato nella somministrazione settimanale, l’Ibandronato somministrabile una volta al mese per la via orale ed ogni tre mesi endovena, il Residrinato da assumere due volte al mese ed infine lo Zolendronato utilizzabile in mono-somministrazione annuale. Il meccanismo di somministrazione intermittente si è dimostrato efficace per la caratteristiche intrinseche della biologia ossea. I farmaci con somministrazione intermittente hanno dimostrato una certa efficacia anche dopo la sospensione indicandoci una latenza d’azione. In conclusione, abbiamo sicuramente a disposizione potenti farmaci nel trattamento dell’osteoporosi, ma la aderenza alla terapia rimane un fattore determinante in una patologia che decorre spesso asintomatica nelle sue fasi iniziali. Scopo del medico, oltre quello di individuare il farmaco più efficace secondo le linee guida internazionali, è quello di ritagliare la terapia sul paziente. LA TERAPIA DELL’OSTEOPOROSI CON FARMACI ANABOLICI Carolina Di Somma Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi di Napoli Federico II Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II LA TERAPIA CON FARMACI ANTIRIASSORBITIVI Vincenzo Nuzzo Dipartimento di Medicina ed Oncologia PO San Gennaro ASL Napoli1 Il trattamento medico dell’osteoporosi ha come obiettivo primario quello di ridurre le 25 ABSTRACTS / simposi AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE SIMPOSIO 3 - L’osteoporosi 26 fratture da fragilità. I farmaci anti-osteoporotici, finora distinti in inibitori del riassorbimento osseo e stimolatori della neoformazione ossea, sono stati recentemente classificati da Riggs e Parfitt in anti-catabolici ed anabolici sulla base del loro effetto sul rimodellamento osseo. Fino a poco tempo fa ci si avvaleva principalmente dei farmaci anti-catabolici e solo recentemente si sono resi disponibili farmaci ad azione anabolica o mista. I farmaci anabolici (PTH 1-34 e PTH 1-84) determinano un bilancio positivo a livello delle unità di rimodellamento (la quantità di osso formato è maggiore di quella riassorbita) con conseguente aumento della resistenza dell’osso. Il trattamento con PTH dovrebbe comunque essere limitato alle pazienti con grave osteoporosi fratturativa, sia come trattamento iniziale che nelle pazienti che non rispondono alla terapia anti-fratturativa. Il ranelato di stronzio, molecola di recente introduzione, esercita un duplice meccanismo di azione sul metabolismo osseo: inibisce il riassorbimento, mediante un’inibizione della differenziazione dei preosteoclasti in osteoclasti, e contemporaneamente promuove la neoformazione ossea, tramite una stimolazione della differenziazione dei preosteoblasti in osteoblasti. Questo nuovo armamentario terapeutico offre anche l’opportunità di nuovi percorsi terapeutici basati sull’uso combinato e/o sequenziale di farmaci anti-catabolici ed anabolici. Questa prospettiva è di particolare rilievo nel caso dell’impiego del PTH. Dal momento che il trattamento con PTH è limitato nel tempo, la sua cessazione comporta una tendenza alla riduzione della massa ossea. E’ stato osservato che l’istituzione di un farmaco anticatabolico dopo il trattamento con PTH determina un significativo aumento della massa ossea. Un evento più frequente nella pratica clinica è l’inizio del trattamento con PTH al termine di un periodo di trattamento con farmaci anti-catabolici, ed in particolare in quei pazienti nei quali il trattamento con questi ultimi farmaci non ha prodotto i risultati aspettati. Recentemente è stato osservato che il pre-trattamento con inibitori del riassorbimento osseo non altera la risposta alla terapia con PTH, ma l’efficacia del trattamento è del tutto sovrapponibile a quella che si osserva nei pazienti che precedentemente non hanno assunto alcuna terapia. ANTIESTROGENI ED OSTEOPOROSI Emanuela Rossi Unità Operativa S.C. di Oncologia Medica Dipartimento di Onco-Ematologia - Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale “San Giuseppe Moscati”, Avellino Il ruolo degli estrogeni nello sviluppo e nella proliferazione del carcinoma mammario è ormai consolidato. Strategie miranti a ridurre gli effetti degli estrogeni sui tessuti mammari sono state per lunghi anni l’obiettivo primario della terapia endocrina. In postmenopausa gli estrogeni vengono prodotti dai tessuti periferici per aromatizzazione degli androgeni, ABSTRACTS / simposi SIMPOSIO 3 - L’osteoporosi Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II prevalentemente surrenalici. L’azione estrogenica quindi può essere ridotta o soppressa per l’inibizione della conversione degli androgeni a estrogeni. In tal senso agiscono gli inibitori dell’aromatasi (AI) che abbassano i livelli degli estrogeni inibendo l’enzima aromatasi, responsabile della conversione degli androgeni in estrogeni. Per oltre 30 anni l’antiestrogeno Tamoxifene (TAM), somministrato per 5 anni, ha rappresentato il trattamento adiuvante ormonale standard per il carcinoma mammario ormono-responsivo. La necessità di identificare farmaci più attivi e meglio tollerati e la dimostrata superiorità degli AI nella malattia avanzata, hanno portato a testare l’uso di questi farmaci anche negli stadi più precoci di malattia. Sono stati condotti numerosi studi di terapia adiuvante con gli AI di terza generazione secondo le diverse strategie : upfront (AI per 5 anni) switch (2 anni di TAM, poi 3 anni di AI) extended (5 anni di TAM poi 5 anni di AI) e in tutti è stato dimostrato per gli AI un miglioramento della sopravvivenza libera da malattia (DFS), rispetto al TAM per 5 anni. Tuttavia l’utilizzo degli AI non può prescindere da una valutazione accurata anche del profilo di tollerabilità di questi farmaci. Gli estrogeni svolgono un ruolo importante nel mantenimento della densità minerale ossea; pertanto, strategie terapeutiche in grado di ridurre i livelli di estrogeni possono potenzialmente ridurre anche la densità minerale ossea. La Nostra U.O., in collaborazione con l’INT di Napoli, sta conducendo uno studio di fase III per confrontare gli effetti ossei del TAM vs Letrozolo, un AI di terza generazione non steroideo, come terapia adiuvante del carcinoma mammario ormono-responsivo (Hormonal adjuvant treatment Bone Effects – HOBOE). Lo studio è in corso e gli effetti ossei di tali farmaci vengono valutati tramite prelievi per i marcatori di riassorbimento e formazione ossea e l’esecuzione semestrale di MOC. Dati preliminari di confronto tra gli effetti endocrini dei farmaci in studio indicano inoltre che gli effetti endocrini del Letrozolo e del Tam sono significativamente differenti, con maggiore soppressione dell’estradiolo e del cortisolo e livelli più alti di FSH, LH, progesterone e testosterone nelle pazienti trattate con Letrozolo sia in premenopausa (Rossi E et al, JCO Genn ’08) che in postmenopausa (Rossi E et al JCO ’09, in press). Gli effetti a lungo termine di queste diverse secrezioni ormonali ed le loro ripercussioni sul metabolismo osseo richiedono tuttavia ulteriori studi. 27 ABSTRACTS / tavole rotonde TAVOLA ROTONDA 1 - Sindrome metabolica ed endocrinopatie AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE SINDROME METABOLICA: LA CLASSIFICAZIONE Katherine Esposito Dipartimento di Geriatria e Malattie del Metabolismo - Seconda Università di Napoli 28 La Sindrome Metabolica si definisce come un complesso di fattori di rischio metabolici che riflettono l’ipernutrizione e lo stile di vita sedentario, condizioni risultanti in un eccesso di adiposità viscerale. La necessità di definire la Sindrome metabolica deriva dall’osservazione della frequente aggregazione di disordini metabolici. Poiché la sindrome metabolica rappresenta un insieme di differenti condizioni e non una singola patologia, nel corso del tempo è stata identificata mediante numerose definizioni. Nel 1956 Vague definì «sindrome dell’obesità androide» l’associazione di obesità addominale, diabete e gotta e dieci anni più tardi Avogaro e Crepaldi usarono il termine di «sindrome plurimetabolica» per descrivere un evento patologico caratterizzato da obesità, diabete, iperlipidemia e ipertensione. Nel 1998 la commissione del WHO ha presentato i nuovi criteri classificativi e diagnostici del diabete mellito e ha stabilito che per «sindrome metabolica» debba intendersi l’associazione di ridotta tolleranza al glucosio o diabete tipo 2 e insulinoresistenza con almeno altre due alterazioni tra ipertensione arteriosa, ipertrigliceridemia e/o ridotto colesterolo HDL, obesità centrale e microalbuminuria. In seguito, il Gruppo di Studio Europeo dell’Insulinoresistenza (EGIR) ha indicato criteri alternativi e la definizione classica di «sindrome dell’insulinoresistenza» allo scopo di evitare sovrapposizioni con il diabete e di semplificare le procedure diagnostiche. Nel 2001 i National Institutes of Health hanno suggerito dei criteri diagnostici. È stato proposto che la presenza di tre o più dei seguenti disordini nello stesso paziente sia sufficiente per identificare la sindrome: -circonferenza vita > 102 cm nei maschi, >88 cm nelle femmine; -glicemia a digiuno ≥ 110 mg/dl; -pressione arteriosa ≥130/85 mmmHg; -trigliceridi ≥ 150 mg/dl; -HDL-colesterolo ≤ 40 mg/dl nei maschia; ≤ 50 mg/dl nelle femmine. Infine l’American College of Endocrinology ribadisce l’importanza di utilizzare ancora il termine «sindrome da insulinoresistenza» che comprende le conseguenze dell’insulinoresistenza e dell’iperinsulinemia compensatoria e che mette in risalto il momento patogenetico che collega il cluster dei diversi disordini metabolici. Questo modello non comprende l’obesità considerata una causa e non una conseguenza del fenomeno. ABSTRACTS / tavole rotonde TAVOLA ROTONDA 1 - Sindrome metabolica ed endocrinopatie La resistenza insulinica è una condizione caratterizzata da un ridotto effetto biologico dell’ormone. Sin dalla sua formulazione originaria, il concetto di insulino-resistenza è andato incontro a numerose ridefinizioni in relazione all’ampliarsi delle conoscenze sulle molteplici azioni dell’insulina. Se originariamente l’insulino-resistenza era stata messa in relazione alla ridotta capacità dell’ormone di promuovere il metabolismo del glucosio, negli anni successivi, grazie all’affinamento dei metodi di valutazione, è divenuto chiaro che l’insulino-resistenza è una condizione complessa che investe il metabolismo dei nutrienti nel suo insieme, coinvolge diversi organi e tessuti ed ha importanti conseguenze sia di carattere metabolico che cardiovascolare. L’insulino-resistenza, oltre a svolgere un ruolo centrale nella patogenesi del diabete di tipo 2, è una componente importante di una serie di altre patologie come l’obesità, l’ipertensione, le dislipidemie, alcune endocrinopatie, quali la sindrome dell’ovaio policistico, l’ipercorticosurrenalismo, disturbi della secrezione del GH. L’insulino-resistenza costituisce la base patogenetica comune ad un cluster di alterazioni che tendono a presentarsi aggregate nello stesso individuo configurando il quadro della sindrome metabolica. Tale condizione è fortemente prevalente nella popolazione diabetica interessando i circa l’80% dei pazienti, ma ha raggiunto una prevalenza ragguardevole anche nella popolazione generale (circa il 25%). Infatti, i soggetti insulino-resistenti tendono ad avere una trigliceridemia più alta, livelli di HDLcolesterolo più bassi, alterazioni dell’omeostasi del glucosio, più alti valori pressori ed un più alto rischio cardiovascolare rispetto ai soggetti con basso grado di resistenza insulinica. La presenza di insulino-resistenza può essere rilevata attraverso tecniche specifiche, alcune delle quali abbastanza complesse, che forniscono una valutazione quantitativa del fenomeno. Per esigenze cliniche risultano molto utili alcuni indicatori di insulina-resistenza di facile rilevazione, quali il peso corporeo, e particolarmente la distribuzione centrale del grasso che può essere valutata attraverso la misura della circonferenza vita, la pressione arteriosa, la trigliceridemia. Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II L’INSULINO – RESISTENZA Brunella Capaldo Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale - Università degli Studi di Napoli Federico II 29 ABSTRACTS / tavole rotonde TAVOLA ROTONDA 1 - Sindrome metabolica ed endocrinopatie AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE L’OBESITÀ: NUOVI APPROCCI FARMACOLOGICI Silvia Savastano Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica – Università degli Studi di Napoli Federico II 30 La elevata complessità dei meccanismi neuroendocrini e metabolici di regolazione del peso corporeo e la loro stretta interazione con fattori genetici, ambientali, nutrizionali e psicologici rendono allo stato attuale l’approccio farmacologico dell’obesità poco soddisfacente alla necessità di ridurre il peso corporeo ed i fattori rischio di malattia cardiovascolare correlati all’obesità, nonché di mantenere stabilmente la riduzione del peso. Secondo le Linee Guida Italiane (LiGIO'99), la terapia farmacologica dell’obesità può essere prescritta con BMI ≥30 kg/m2 oppure ≥ 27 kg/m2 con associati fattori di rischio (per esempio diabete mellito, coronaropatia, ipertensione e apnea ostruttiva del sonno), dopo almeno 3 mesi di dieta controllata, esercizio fisico e modificazioni del comportamento. Il farmaco ideale per la terapia dell’obesità dovrebbe essere in grado di indurre perdita esclusiva di grasso corporeo senza causare effetti collaterali. Studi clinici controllati con placebo, randomizzati, che hanno valutato i 2 farmaci attualmente registrati in Italia ed in Europa (Sibutramina e Orlistat) con indicazione al trattamento del’obesità, dopo la recente sospensione del Rimonabant, hanno mostrato una perdita di peso media inferiore ai 5 kg, con significativi effetti indesiderati fino al 60%. Per entrambi i farmaci, la percentuale di aderenza ad 1 anno è stata inferiore al 10%, e la percentuale di aderenza a 2 anni è stata del 2%. Altri farmaci che influenzano il metabolismo ed il tessuto adiposo sono tuttavia in commercio, anche senza indicazione specifica al trattamento antiobesità, mentre la terapia con ormone della crescita è risultata efficace in gruppi selezionati di pazienti con obesità viscerale e sindrome metabolica, o nel periodo di follow-up postchirurgia bariatrica. Nuove molecole, come la N-oleilfosfatidil-etanolamina, sono attualmente in uso come mediatori periferici della sazietà. Risulta quindi evidente come la cura efficace dell’obesità nel lungo termine, piuttosto che coinvolgere una singola molecola od un singolo circuito nervoso o via metabolica, richieda un approccio multidimensionale con più farmaci che agiscano a diversi livelli e su diversi meccanismi, comunque variamente combinati con terapia nutrizionale, motoria, psicologica, endoscopica, chirurgica. ABSTRACTS / tavole rotonde TAVOLA ROTONDA 1 - Sindrome metabolica ed endocrinopatie L’IPERCORTICOSURRENALISMO Mariagiovanna Filippella Unità di Diabetologia ed Endocrinologia - Ospedale Regionale “Umberto Parini”, Aosta I pazienti con sindrome di Cushing sviluppano un quadro di sindrome metabolica acquisita. Circa il 95% è iperteso, l’80% presenta obesità viscerale, il 50% ha insulino-resistenza con conseguente sviluppo di diabete mellito e/o intolleranza ai carboidrati. L’insulinoresistenza è l’elemento fisiopatologico fondamentale della sindrome metabolica indotta dall’abnorme secrezione di cortisolo. Nei pazienti guariti dall’ipercorticosurrenalismo, le manifestazioni della sindrome metabolica migliorano ma non si normalizzano completamente. La stretta relazione tra glucocorticoidi e sindrome metabolica è stata dimostrata anche dall’evidenza di ipercortisolismo subclinico in pazienti con ipertensione arteriosa ed intolleranza al glucosio e dall’incremento dei livelli intracellulari di cortisolo nel tessuto adiposo di soggetti obesi. L’enzima 11-beta-idrossisteroido deidrogenasi (11b-HSD), espresso a livello di diversi tessuti come tessuto adiposo e fegato, potenzia a livello intracellulare l’attività dei glucocorticoidi contribuendo alle caratteristiche della sindrome metabolica. Di conseguenza gli inibitori dell’11-βHSD potrebbero essere considerati come opzione terapeutica per ridurre i livelli intracellulari di cortisolo. Anche gli agonisti PPARγ ed PPARα potrebbero essere utilizzati come opzione terapeutica nella sindrome metabolica per il loro effetto nel ridurre la produzione del cortisolo intracellulare prodotto dall’11βHSD. La PCOS è la più comune causa di infertilità femminile dovuta all’anovulatorietà, con una prevalenza stimata del 6-10% in donne in pre-menopausa. Una consensus meeting svoltasi nel 2003 tra la European Society for Human Reproduction and Embryology e l’American Society for Reproductive Medicine (ESHRE/ASRM) ne riformulava la definizione per facilitarne la diagnosi, individuando nella presenza di 2 su 3 dei seguenti criteri: 1) oligo- e/o anovulatorietà; 2) iperandrogenismo (clinico o biochimico), e 3) evidenza ecografica (pelvica o transvaginale) di ovaia policistiche, [con le seguenti caratteristiche ecografiche: numero di follicoli >12 di dimensioni comprese tra 2-9 mm e/o aumentato volume ovarico (>10 ml)] oltre all’esclusione di altre eziologie endocrine note, quali: la Sindrome di Cushing, l’Iperplasia Surrenale Congenita Non Classica (NCAH) e l’Iperprolattinemia. Ancora tuttoggi l’interesse della letteratura sulla problematica della definizione/diagnostica della PCOS non sembra affatto esser diminuita, basti pensare infatti che il 29 agosto del Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II LA PCOS Francesco Orio jr Dipartimento di Endocrinologia - Università “Parthenope” di Napoli 31 ABSTRACTS / tavole rotonde AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE TAVOLA ROTONDA 1 - Sindrome metabolica ed endocrinopatie 32 2006 veniva pubblicato come E-Pub Advanced Pubblication su una delle più prestigiose riviste internazionali di endocrinologia (Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism) una Position Statement dell’Androgen Excess Society (AES) in cui si affermava che la condizione di Iperandrogenismo doveva essere condizione necessaria ed obbligatoria, oltre ai criteri sopra citati, affinché si parlasse di PCOS. Da un punto di vista clinico la PCOS si presenta con irregolarità del ciclo mestruale in particolare oligo-amenorrea, irsutismo, obesità (presente nel 40-50 % dei casi), aumento del rapporto vita/fianchi (WHR) ed infertilità. Tra le complicanze, sicuramente il diabete mellito tipo 2 (presente nel 9% negli USA e nel 2.5% in Italia) e la ridotta tolleranza al glucosio (presente nel 33% negli USA e nel 16% in Italia) insieme alla vera e propria SM (presente nel 45% di donne fino a 30 anni e nel 53% di donne oltre i 30 anni negli USA, in Italia, invece, non si hanno dati epidemiologici certi) rivestono un ruolo preminente e cruciale nella PCOS. Inoltre negli ultimi anni numerosi studi della letteratura hanno anche mostrato un possibile aumento del CVR e dell’infiammazione cronica di basso grado con aumento di numerosi indici sia vascolari che infiammatori, quali: Proteina C Reattiva, PAI1, Endotelina-1, leucociti, oltre ad un aumento dello spessore medio-intimale (IMT) ed una precoce disfunzione endoteliale, entrambe dimostrate in giovane età ed in donne normo-peso. Sebbene l’IR con successiva iperinsulinemia non fosse parte della definizione, essa gioca un ruolo centrale nella patogenesi della PCOS. L’insulina agisce sia direttamente che indirettamente, attraverso la ghiandola ipofisaria, per stimolare la produzione androgenica ovarica. L’associazione della PCOS con l’IR pone le donne in una condizione di aumentato rischio di sviluppare CVD o ad un aumento del CVR più in generale. L’IR è anche uno dei principali fattori che contribuisce allo sviluppo della SM, un insieme di disordini metabolici che agiscono in modo sinergico per incrementare il rischio di aterosclerosi. Sebbene il significato clinico della SM sia stata recentemente messa in discussione da alcuni gruppi di ricerca, evidenze da studi di popolazione prospettici mostrano che la SM è associata ad un incremento 2 volte maggiore nel rischio relativo di malattia vascolare aterosclerotica e ad un incremento 5 volte superiore di rischio di diabete mellito paragonato a soggetti senza SM. Quasi tutti i disordini metabolici della sindrome sono prevalenti nella PCOS, quali ad esempio: l’obesità, la steatosi epatica e l’IR stessa. Infatti, come già accennato precedentemente la PCOS è stata anche associata ad un incrementato rischio di CVD e di diabete mellito tipo 2. E’ stato anche suggerito che la PCOS potesse essere una forma sesso-specifica della SM. Nonostante l’apparente sovrapposizione della SM con la PCOS, pochi dati e non ben controllati vi sono in Italia sulla reale prevalenza della SM in donne con PCOS. ABSTRACTS / tavole rotonde TAVOLA ROTONDA 2 - I tumori ipofisari DATI DALL’AGENZIA REGIONALE SANITÀ Tiziana Spinosa Dirigente Medico della Struttura Operativa Analisi e Monitoraggio - Agenzia Regionale Sanitaria della Campania Abstract non pervenuto Il prolattinoma è la forma più comune di tumore funzionante ipofisario. Il novanta per cento sono adenomi intrasellari che raramente aumentano di dimensioni. Il resto è costituito da macroadenomi (>10 mm) che generalmente vengono riscontarti clinicamente a causa degli effetti locale di compressione da massa. Nelle donne la, la maggior parte dei prolattinomi sono microadenomi (< 10 mm) e l’ipersecrezione di prolattina porta ad amenorrea, galattorrea ed infertilità. Gli uomini affetti da prolattinoma lamentano frequentemente mal di testa, perdita del visus o deficit neurologico ma possono anche avere ipogonadismo ed infertilità. L’iperprolattinemia può portare a perdita ossea sia negli uomini che nelle donne dovuto all’effetto inibitorio della prolattina sugli steroidi sessuali. Gli obiettivi terapeutici sono normalizzare la prolattina, recuperare la fertilità, ridurre le dimensioni del tumore e migliorare i sintomi dell’ipogonadismo. La terapia d’elezione è costituita dall’utilizzo di dopamino agonisti. La bromocriptina normalizza i livelli di prolattina e riduce le dimensioni del tumore nell’80-90% dei pazienti con microadenoma e nel 70% dei soggetti con tumori più grandi. La cabergolina, agonista selettivo dei recettori D2 dopaminergici, è più efficace e meglio tollerato della bromocriptina. La sospensione della terapia può portare a ricorrenza della iperprolattinemia e ad riespansione tumorale. L’ACROMEGALIA Renata S. Auriemma, Rosario Pivonello, Ludovica F.S. Grasso, Gaetano Lombardi, Annamaria Colao Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi di Napoli Federico II L'acromegalia è una grave patologia sistemica che riduce l'aspettativa di vita a causa di complicanze respiratorie, metaboliche, cardiovascolari e neoplastiche. Le opzioni terapeutiche attualmente disponibili per l'acromegalia comprendono la chirurgia, la terapia radiante Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II IL PROLATTINOMA Daniela Pasquali Endocrinologia, Dipartimento medico Chirurgico “Magrassi-Lanzara” - Seconda Università di Napoli 33 ABSTRACTS / tavole rotonde AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE TAVOLA ROTONDA 2 - I tumori ipofisari 34 e la soppressione farmacologica dei livelli di GH da parte di dopamino-agonisti, analoghi della somatostatina e più recentemente di pegvisomant, un GH antagonista. Terapia con DA-agonisti: in circa il 50% dei pazienti acromegalici i DA-agonisti inibiscono la secrezione di GH presumibilmente attraverso la stimolazione dei recettori D2. I DA-agonisti sono efficaci soprattutto negli adenomi recenti GH-PRL secernenti o che presentano immunoistochimica positiva per PRL. Terapia con analoghi-SS: questi farmaci agiscono inibendo secrezione ormonale e crescita cellulare del tumore GH-secernente attraverso l’attivazione dei recettori della somatostatina, generalmente espressi dalle cellule tumorali. La maggior parte degli analoghi della somatostatina è capace di legare con alta affinità i recettori sst2 ed sst5 della somatostatina, la cui espressione a livello delle cellule tumorali è perciò il presupposto della loro efficacia terapeutica. I principali analoghi della somatostatina utilizzati nella pratica clinica sono rappresentati dall’octreotide e dal lanreotide, entrambi disponibili in commercio in formulazione long-acting. E’ stato dimostrato che la terapia con analoghi della somatostatina porta ad un rapido miglioramento della sintomatologia clinica nei pazienti acromegalici. Per quanto riguarda gli effetti sulla secrezione di GH e di IGF-1, è stata osserva-to nei pazienti acromegalici trattati con analoghi-SS una soppressione dei livelli di GH <5 µg/l nel 22-66% dei pazienti trattati e una normalizzazione dei livelli di IGF-1 nel 40-68% dei pazienti. Gli analoghi-SS sono anche in grado di ridurre il volume dell’adenoma ipofisario. La riduzione del tumore si associa alla soppressione dei livelli di GH e alla normalizzazione dei livelli di IGF-1 nel 50% dei casi. Nuovi analoghi-SS: un nuovo farmaco in sperimentazione è rappresentato dal SOM 230, un peculiare analogo della somatostatina, considerato analogo universale poiché capace di legare con alta affinità tutti i recettori della somatostatina ad eccezione del sst4. Terapia con GH-antagonista: il pegvisomant rappresenta una nuova conquista nel campo della terapia medica dell’acromegalia. Questo composto è in grado di inibire la dimerizzazione funzionale del recettore del GH impedendo l’attivazione dei meccanismi trasduzionali. La somministrazione di pegvisomant è in grado di normalizzare i livel-li di IGF-1 in oltre in 95% dei pazienti con acromegalia. Inoltre, la terapia con pegvisomant induce un significativo miglioramento del profilo metabolico, ed in particolare della glicemia ed insulinemia, dei pazienti trattati. Tuttavia, nonostante la dimostrata efficacia nella normalizzazione dei livelli di IGF-I nella quasi totalità dei pazienti con acromegalia, il pegvisomant presenta una indicazione solo in un piccolo gruppo di pazienti con una storia di insuccesso chirurgico e resistenti agli analoghi della somatostatina. Terapia con Dopastatina: un nuovo farmaco in sperimentazione, la molecola chimerica somatostatina-dopamina BIM-23A370, è in grado di legare contemporaneamente il recettore per la somatostatina di tipo sst2 e quello per la dopamina di tipo D2. La dopastatina è più efficace dell’associazione di analoghi-SS e dopamino agonisti nell’inibire la secrezione di GH negli adenomi ipofisari GH-secernenti, rappresentando pertanto un promettente nuovo approccio terapeutico per l’acromegalia. ABSTRACTS / tavole rotonde TAVOLA ROTONDA 2 - I tumori ipofisari La sindrome di Cushing (SC) è una malattia sistemica cronica dovuta ad un ipercortisolismo endogeno od esogeno. L’ipercortisolismo endogeno è una rara patologia endocrina che può derivare da un’eccessiva secrezione di ACTH da parte di un adenoma ipofisario (malattia di Cushing [MC], 80-85% dei casi), da un’eccessiva secrezione di ACTH o CRH da parte di un tumore extra-ipofisario (SC ectopica; 5-10% dei casi) oppure da una iperproduzione di cortisolo indipendente dall’ACTH, dovuta a patologie surrenaliche, quali le neoplasie benigne o maligne del surrene (10-20% dei casi). La SC è associata ad un’aumentata mortalità dovuta alle severe complicanze sistemiche dell’ipercortisolismo, soprattutto a carico del sistema cariovasolare. Infatti, i pazienti affetti da SC hanno un’aumentata frequenza di fattori di rischio cardiovascolari, quali obesità viscerale, ipertensione, alterazioni del metabolismo dei carboidrati e dei lipidi ed alterazioni della coagulazione. Altre complicanze sistemiche della SC riguardano principalmente il sistema osteoarticolare (osteoporosi, spesso complicata da fratture; alterazioni osteodegenerative; osteonecrosi), il sistema nervoso (alterazioni del tono dell’umore, difficoltà cognitive e della memoria), il sistema endocrino (deficit della secrezione ipofisaria di gonadotropine, GH e TSH), l’apparato urinario (nefrolitiasi), la cute il sottocutaneo e gli annessi ecc. Tutte queste alterazioni determinano nei pazienti con SC un quadro sindromico ed un aspetto caratteristico che influenza negativamente la qualità di vita. La diagnosi, la diagnosi differenziale ed il trattamento delle SC, rappresentano ancora oggi una sfida per l’endocrinologo clinico. Inoltre, nei pazienti affetti da SC, la diagnosi ed il trattamento tempestivo dell’ipecortisolismo sono fondamentali per limitare le complicanze sistemiche associate a tale condizione. La chirurgia rappresenta la prima opzione terapeutica in tutte le forme di SC ed include la rimozione della neoplasia ipofisaria, ectopica o surrenalica. Sfortunatamente, soprattutto nelle forme ACTH-dipendenti la chirurgia frequentemente fallisce nell’intento curativo, rendendo pertanto, necessarie terapie di seconda linea, quali interventi chirurgici più estesi, la radioterapia (per la MC), la terapia medica (farmaci agenti sulla secrezione di ACTH e/o sulla secrezione di cortisolo) o l’intervento chirurgico di surrenalectomia bilaterale. GLI ADENOMI IPOFISARI NON FUNZIONANTI Sergio Iorio Servizio di Endocrinologia - Seconda Università di Napoli Gli adenomi ipofisari rappresentano il 10-18% delle neoplasie intracraniche ed hanno una prevalenza di 250-300 casi per milione di abitanti con una incidenza annuale di circa Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II LA SINDROME DI CUSHING Maria Cristina De Martino Università “Federico II” di Napoli; Univerità “Erasmus MC” di Rotterdam (Olanda) 35 ABSTRACTS / tavole rotonde TAVOLA ROTONDA 2 - I tumori ipofisari AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE 25 casi per milione. Vengono classificati da un punto di vista clinico in “funzionanti” quando danno luogo ad una sindrome da ipersecrezione di ormoni ipofisari (GH,PRL,ACTH,TSH,FSH,LH o secrezione mista) e non “funzionanti”allorché non è presente un’aumentata attività biologica degli ormoni anteroipofisari. Gli adenomi non funzionanti (NFPA,nonfunctioning pituitary adenoma) rappresentano circa il 25% di tutti gli adenomi ipofisari e quindi con una incidenza di circa 7-8 casi per milione all’anno. Gli NFPA sono spesso macroadenomi (diametro > 1 cm) e si osservano con una maggiore prevalenza (60%) nell’età avanzata,raramente nei bambini.Al di sotto dei 40 anni sono più frequenti nelle femmine,al di sopra dei 40 anni nei maschi. I pazienti con NFPA non hanno quasi mai una presentazione clinica specifica, se non nei casi di adenomi di grandi dimensioni che si accompagnano a manifestazioni neurologiche o oftalmologiche da compressione delle strutture circostanti; più raramente possono essere rilevati per l’insorgenza di un ipopituitarismo; più frequentemente, invece, sono considerati “incidentalomi”,in quanto evidenziati in corso di indagini strumentali cerebrali (TC o RMN) eseguite per cause diverse dalla patologia ipofisaria. Studi immunoistochimici e di secrezione in vitro hanno dimostrato spesso che solo una piccola percentuale di NFPA presenta una completa assenza di secrezione ormonale, in circa l’80% di essi è riscontrata l’espressione delle subunità α e/o β degli ormoni glicoproteici (LH,FSH,TSH) o gli stessi ormoni interi o più raramente esprimono ACTH o GH. Il macroadenoma non funzionante può associarsi a iperprolattinemia per compressione sul peduncolo ipofisario e interruzione del trasporto della dopamina. Il trattamento di prima scelta degli NFPA, specie nei macroadenomi, è chirurgica con un accesso per via transfenoidale; allorché la rimozione del tumore è incompleta si deve considerare l’opportunità di far seguire al trattamento chirurgico la terapia radiante. 36 LE IPOFISITI Annamaria De Bellis, Marina Battaglia, Elena Pane, Assunta Dello Iacovo,Giuseppe Ruocco, Gilda Tirelli, Antonio Bellastella, Antonio Bizzarro Cattedra di Endocrinologia e Cattedra di Immunologia e Allergologia. Dipartimento Medico-Chirurgico di Diagnostica Clinica e Sperimentale “F. Magrassi, A. Lanzara” Seconda Università di Napoli Nel 1957 Witebesky e Rose formularono i criteri, che sono tutt’ora validi per la definizione delle malattie autoimmuni (1). Tali criteri sono stati revisionati successivamente da Rose e Bona (2) e si dividono in criteri diretti, indiretti e circonstanziali. Applicando questi criteri si è osservato nel corso degli anni che molte malattie considerate idiopatiche potevano essere incluse nel sempre più vasto capitolo delle malattie autoimmuni. Analogamente alle altre ghiandole endocrine l’ipofisi appare coinvolta in processi autoimmuni che possono condurre a deficit secretivi ormonali che variano da quello ABSTRACTS / tavole rotonde isolato fino a quello totale (ipofisite linfocitaria) (3). Sebbene l’ipofisite autoimmune è considerata una malattia rara la sua prevalenza in realtà è sottostimata perché la malattia è sottodiagnosticata (4). Il motivo di misdiagnosi è la variabilità della storia naturale della malattia, caratterizzata dalle differenti espressioni cliniche e dalle numerose modificazioni temporali delle caratteristiche morfologiche, cliniche, funzionali ed immunologiche. L’ipotesi autoimmunitaria nella patogenesi dell’adenoipofisite linfocitaria oltre che dai dati istologici è sostenuta dal riscontro di caratteristiche alterazioni morfologiche di tale regione alla risonanza magnetica nucleare (RMN), nonché dall’associazione in più del 50% dei casi di ipofisite con altre malattie autoimmuni organo-specifiche (tiroidite di Hashimoto, morbo di Basedow, morbo di Addison, diabete mellito tipo I, gastrite atrofica) e dal riscontro di anticorpi anti ipofisi nell’ambito di una sindrome poliendocrina (5). Come in tutte le patologie endocrine autoimmuni anche nell’ipofisite linfocitaria sono riscontrabili anticorpi circolanti diretti contro la componente intracitoplasmatica delle cellule ipofisarie (APA), ma gli antigeni contro cui tali anticorpi reagiscono non sono ben conosciuti (6). Gli APA non sono al momento considerati specifici e sensibili marker di malattia per sia per varie difficoltà connesse alle metodiche ed all’interpretazione sia per l’assenza di valutazioni longitudinali atti a in cui si possa dimostrare il comportamento di tali anticorpi nella storia naturale dell’adenoipofisite linfocitaria. Le metodiche utilizzate sono: immunoblotting in questo caso tali anticorpi reagiscono contro un antigene intracitoplasmatico citosolico corrispondente all’alfa enolasi risultando poco specifico. Al contrario con la tecnica del radiobinding assay è stato possibile identificare anticorpi diretti verso 3 proteine specifiche dell’ipofisi di cui una corrisponde al GH. Un’altra tecnica utilizzata è l’immunofluorescenza indiretta che inizialmente ha utilizzato substrato di ipofisi fetale umana e successivamente ipofisi di scimmia giovane. Tali anticorpi sono stati frequentemente riscontrati nelle ipofisiti sicure diagnosticate mediante biopsia e nelle adenoipofisiti sospettate mediante RMN. Frequentemente sono anche presenti in molte malattie autoimmuni endocrine in cui nella maggior parte dei casi la funzione ipofisaria è normale in casi sporadici è presente un deficit di ACTH e di GH (prime tropine più precocemente danneggiate dal processo autoimmune) (6). Recentemente, la presenza degli anticorpi anti ipofisi (APA) valutati con tecnica di immunofluorescenza indiretta è stata correlata a vari gradi di disfunzione ipofisaria; in particolare quando gli APA sono presenti a titolo elevato sembrano essere specifici marker di coinvolgimento autoimmune ipofisario (7,8). Inoltre alcuni autori hanno suggerito che nella valutazione degli anticorpi anti ipofisi l’immunofluorescenza indiretta ha più bassa sensibilità e specificità rispetto ad altri metodi (immunoblotting ed ELISA). Infine l’ipofisite autoimmune può essere associata con altre malattie autoimmuni e/o con altri autoanticorpi organo specifici e pertanto rientra nelle SPA tipo 1, 2, 3 e 4. Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II TAVOLA ROTONDA 2 - I tumori ipofisari 37 ABSTRACTS / casi clinici CASI CLINICI 1 AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE IPERCALCEMIA IPOCALCIURICA FAMILIARE Antonio Ciccarelli SSD Diabetologia e Endocrinologia dell’AUSL Valle d’Aosta 38 Introduzione: L’ipercalcemia ipocalciurica familare (IIF) è una rara patologia ereditaria a trasmissione autosomica dominante dovuta ad una mutazione inattivante del calciumsensing receptor (CaSR). La ridotta attività del CaSR determina un aumentato riassorbimento di calcio a livello delle cellule tubulari renali e un insufficiente soppressione della secrezione e sintesi di PTH a livello delle cellule paratiroidee con conseguente incremento della calcemia. I pazienti affetti da IIF presentano, quindi, un’ipercalcemia (lieve-moderata) ipocalciurica, una moderata ipermagnesiemia, livelli normali o leggermente ridotti della fosforemia e valori sierici di PTH e 1,25-(OH)2D3 inappropiatamente normali. Case Report: E’ giunto alla nostra osservazione un giovane maschio di 35 anni per modici elevati livelli della calcemia totale (11.1 mg/dl – v.n. 8.1 – 10.5) e del calcio ionizzato (1.32 mmol/l – v.n. 1.12 – 1.27) associati a normali livelli della fosforemia (2.9 mg/dl – v.n. 2.5 – 4.5). In anamnesi e all’EO il paziente non evidenziava segni e/o sintomi imputabili a condizione ipercalcemica. All’anamnesi familiare il paziente riferiva analoga condizione ipercalcemica nella madre. Gli esami di II livello effettuati evidenziavano normali livelli del PTH (35 pg/ml – v.n. 15 – 71) con livelli di calciuria notevolmente al di sotto della norma (20 mg/die v.n. 100 – 300) con un rapporto calciuria/clearance creatinina di 0.0019. I livelli sierici di 25-OHD3 e 1,25-(OH)2D3 erano di norma così come la funzionalità tiroidea, ipofisaria e surrenalica. Nel sospetto di un’IIF il paziente veniva sottoposto a valutazione genetica con riscontro di una mutazione eterozigote E29K (GAG→AAG, Glu→Lys, nucleotide 889 G→A, esone 4) a carico del gene del CaSR. Anche la madre e il figlio maschio presentavano la stessa mutazione. Conclusioni: L’IIF è una rara patologia, ma il suo riconoscimento clinico è importante in quanto può essere confusa con una condizione di iperparatiroidismo primario. L’IFF è una patologia benigna e necessita dei soli controlli clinico-laboratoristici periodici, mentre l’iperparatiroidismo primario può presentare complicanze cliniche serie necessitando di terapia medica e/o chirurgica adeguata. ABSTRACTS / casi clinici CASI CLINICI 1 IL CARCINOMA SURRENALICO Riccardo Rossi Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi di Napoli Federico II IL CARCINOMA MIDOLLARE DELLA TIROIDE Giovanni Vitale Università degli Studi di Milano, Istituto Auxologico Italiano IRCCS Il carcinoma midollare della tiroide (CMT), neoplasia maligna delle cellule parafollicolari, secernenti calcitonina, rappresenta il 5-10% delle neoplasie tiroidee. Il CMT ha malignità intermedia fra il carcinoma follicolare ed il carcinoma anaplastico della tiroide, con un caratteristico decorso lento ma progressivo. In alcuni casi è possibile una progressione rapida della malattia che porta a morte in poche settimane dalla diagnosi. L’approccio terapeutico iniziale al CMT è l’intervento chirurgico, che consiste nella tiroidectomia totale associata a meticolosa dissezione dei linfonodi centrali del collo, vanno inoltre esplorate ed eventualmente asportate le catene linfonodali laterocervicali. Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II Descriviamo il caso clinico di una paziente di anni 42 afferita presso il nostro dipartimento di Endocrinologia per irsutismo e valori di Testosterone sierico di 3 ng/ml, DHEA-S 18 mcg/ml e Cortisolemia 173 ng/ml. Alla TC addome veniva evidenziata la presenza in addome, a sinistra, di una formazione polilobulata, disomogenea, di 13,5 cm. Alla nostra valutazione ormonale basale veniva riscontrato un 17 OH Progesterone di 16,8 ng/ml, Testosterone 7 ng/ml, Cortisolemia 120 ng/ml, CLU 150 mcg/24 ore, ACTH 10 pg/ml, DHEA-S 2700 mcg/dl, Delta4 Androstenedione 33 ng/ml. Dopo DXM 8 mg per 2 giorni si documenta un CLU di 81 mcg/24 h, ACTH < 5 pg/ml, Cortisolemia 41 ng/ml, Testosterone 6,5 ng/ml, Delta 4 Androstenedione 26 ng/ml, DHEA-S 2303 mcg/dl, 17 OH Progesterone 15,1 ng/ml. Valori che dimostrano una secrezione prevalente di androgeni da parte della massa. La paziente viene sottoposta a terapia chirurgica che documenta una massa surrenalica sinistra di 21x18x9 cm con peso di 2100 g a capsula integra. L’esame istologico dimostrava la pertinenza corticosurrenalica della voluminosa massa etichettata come Carcinoma. Gli esami biochimici dopo 10 giorni dall’intervento documentavano 17 OH Progesterone di 0,4 ng/ml, Delta 4 Androstenedione 1,9 ng/ml, Testosterone < 0,2 ng/ml, DHEA-S 32 mcg/dl, ACTH < 5 pg/ml, Cortisolemia basale 102 ng/ml e dopo 60’ dal Test rapido al Synacthen, cortisolemia di 148 ng/ml. Benché la prognosi a lungo termine del carcinoma surrenalico, anche operato, resti infausta, a tutt’oggi, dopo 7 anni dall’intervento non sono presenti, nella paziente, segni suggestivi di ripresa di malattia e buona risulta la sua qualità di vita. 39 ABSTRACTS / casi clinici CASI CLINICI 1 I risultati della terapia medica nelle forme avanzate sono deludenti. Il CMT non capta iodio, non è quindi suscettibile a terapia radiometabolica con 131Iodio. La radioterapia esterna è di scarso ausilio, garantendo solo un effetto palliativo in casi selezionati con metastasi mediastiniche e ossee. Infatti il CMT è dotato di una bassa radiosensibilità rispetto agli istotipi differenziati e anaplastici. La chemioterapia, indicata nei casi con rapida progressione di malattia, induce solo nel 15-30% dei casi risposte obiettive sulla massa tumorale, spesso transitorie, con peggioramento della qualità di vita, sopravvivenza limitata e scarso effetto sulla sintomatologia neuroendocrina (diarrea, flushing, disordini elettrolitici, sindrome di Cushing). Gli analoghi della somatostatina (octreotide e lanreotide) sono indicati per il trattamento dei sintomi associati al CMT, scarsi sono gli effetti di questi farmaci sulla massa tumorale. Infine, sulla base di recenti sviluppi in ambito di patogenesi e caratterizzazione cellulare del CMT, lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche sono auspicabili in futuro con l’uso delle seguenti molecole: - inibitori dell’attività di tirosina-chinasi del protoncogene Ret, gene coinvolto nella patogenesi del CMT; - il SOM230 (pasireotide), analogo universale della somatostatina, che ha la capacità di legare con elevata affinità 4 dei 5 sottotipi recettoriali della somatostatina; - le dopastatine, un altro gruppo di molecole in grado di legare specificamente i recettori della somatostatina e della dopamina; - l’interleuchina-2, potente agente immunomodulante. AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE LE OBESITÀ IPOTALAMICHE Annalisa Rossi Dipartimento di Endocrinologia e Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi di Napoli Federico II 40 Riportiamo il caso clinico di una donna venuta alla nostra osservazione all’età di 18 anni per obesità associata a oligomenorrea, irsutismo ed alopecia androgenica. All’esame clinico presenta anche ipertensione arteriosa e smagliature rosse sulla pancia. Gli esami ormonali dimostravano: CLU 202 mcg/die (vn 30-125), Cortisolemia basale ore 8: 110 ng/ml, ACTH 65 pg/ml e dopo test al DMX 2 mg il CLU arrivava a 132 mcg/die e la Cortisolemia a 50 ng/ml, parametri di alterazione della secrezione del Cortisolo compatibili con l’obesità della paziente, pertanto veniva consigliata rivalutazione dopo congruo decremento ponderale. A distanza di 2 anni la paziente torna a controllo per esodio di diabete mellito tipo 2 e difficoltà nel calo ponderale. All’esame obiettivo erano presenti eritema al volto con facies lunare, obesità distrettuale, prevalentemente distribuita al collo e al tronco. Alla rivalutazione osserviamo valori basali di Cortisolemia, ore 8:00, 354 ng/ml, assenza di ritmo, CLU 700 ABSTRACTS / casi clinici CASI CLINICI 1 Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II mcg/24 ore, Androstenedione 5,3 ng/ml, DHEA-S 538 mcg/dl, ACTH 40 pg/ml, testosterone 2,4 ng/ml e non responsività della cortisolemia al test al DXM overnight e a 2 mg per 2 giorni. MOC nei limiti della norma, TAC addome lieve dismorfismo del surrene sinistro, RMN sella turcica che evidenziava nella porzione paramediana sinistra la presenza di una lesione ipointensa dopo iniezione endovenosa di mezzo di contrasto paramagnetico, compatibile con microadenoma ipofisario. Il cateterismo dei seni petrosi ha mostrato un gradiente dell’ACTH nel seno petroso di destra < sinistra e centro > periferia. Viene quindi sottoposta a intervento neurochirurgico transrinosettale di adenomectomia ipofisaria con evidenza immunoistochimica di microadenoma ipofisario ACTH secernente. Durante l’anno successivo la paziente presentava una fase di quiescenza della malattia di Cushing. Riduzione del peso corporeo, della circonferenza addominale e dell’abitus Cushingoide. Dopo tale periodo ricompare oligomenorrea, incremento ponderale, scompenso glicidico ed evidenza biochimica di recidiva di malattia. In assenza di patologia ipofisaria evidente alla RMN, veniva sottoposta a surrenalectomia bilaterale. L’anno successivo, i controlli ipofisari evidenziavano recidiva di microadenoma ipofisario con ACTH 330 pg/ml e Cortisolemia 26 ng/ml. Ha praticato 2 sedute radiochirurgia stereotassica con gamma knife. Nel tempo viene osservato incremento volumetrico del residuo surrenalico destro con discreta cortisolemia basale e ipercaptazione alla scintigrafia con Norcolesterolo monolaterale, omolaterale alla tumefazione. Nell’evidenza di osteoporosi (alla MOC DEXA: T-score -3,48), scompenso metabolico (dislipidemia e scompenso glicemico), non avendo tollerato il trattamento precedente con LISODREN è stata sottoposta ad intervento di svuotamento in loggia surrenalica destra. 41 ABSTRACTS / casi clinici CASI CLINICI 2 AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE SCOMPENSO GLICOMETABOLICO SECONDARIO A TIROIDITE SUBACUTA IN PAZIENTE CON DIABETE MELLITO DI TIPO 2 Francesco Fonderico Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi di Napoli Federico II 42 Paziente di 56 anni, in soprappeso IMC, 30,7 kg/m2, diabetico da circa 8 anni, trattato inizialmente con sulfaniluree 5 mg/die ed in buon controllo glicemico (glicemie del mattino 90-105 mg/dL). Successivamente si verificava un deterioramento del compenso glicemico che veniva adeguatamente controllato potenziando il dosaggio della sulfnilurea (7,5 mg/die) ed iniziando quindi un regime dietetico ipocalorico con conseguente riduzione ponderale e ripristino di un compenso glicemico soddisfacente. In seguito si evidenziava una elevazione dei valori di glicemia capillare (> 250 mg/dL) durante tutta la giornata e si registrava un ulteriore dimagramento che poteva comunque essere ascritto a una restrizione alimentare che il paziente aveva messo in atto nel tentativo di abbassare i valori di glicemia. Lamentava inoltre astenia marcata, labilità emotiva, poliuria e polidipsia. La perdita di peso complessiva nell’ultimo anno assommava a 12 kg. A questo punto veniva notava una tumefazione al collo che si rivelava essere, all’ecografia, un voluminoso struma multinodulare più sviluppato a destra, con ghiandola di consistenza aumentata, indolente, ipomobile alla deglutizione. Assenza di adenopatie laterocevicali. I valori glicemici erano stabilmente superiori a 200-250 mg/dL e l’HbA1c elevata (11,4%, v.n. 3,8-6) mentre il paziente veniva trattato con glibenclamide e metformina (rispettivamente 15 e 1500 mg/die). Una valutazione della riserva b-cellulare effettuata mediante test al glucagone evidenziava una residua secrezione del peptide C con scarsa risposta allo stimolo (da 2,51 a 3,20 ng/mL). All’ingresso gli esami ematochimici evidenziavano anemia (Hb 11,5 g/dL) modestamente microcitica con bassi valori di sideremia e transferrinemia. In considerazione dello struma vennero controllati gli indici di funzionalità tiroidea che dimostrarono valori elevati di FT3 ed FT4 con TSH soppresso, normali valori di tireoglobulina e assenza di anticorpi antitiroide e anti-recettore del TSH. Alla scintigrafia tiroidea la captazione del Tc99 era del tutto assente. Il quadro appariva pertanto compatibile con una tiroidite subacuta in fase di tireotossicosi. Lo scompenso diabetico, potè essere interpretato come secondario a una tireotossicosi misconosciuta, sostenuta da una tiroidite subacuta. Fu deciso pertanto di passare alla terapia insulinica e terapia antinfiammatoria con acido acetilsalicilico che consentì il ripristino di un buon compenso glicemico. Dopo la dimissione il paziente andò incontro, nell’arco di un mese, a un progressivo miglioramento della funzione tiroidea che ritornò infine alla completa normalizzazione ABSTRACTS / casi clinici CASI CLINICI 2 IL DEFICIT DI GH IN ETÀ DI TRANSIZIONE Paolo Marzullo Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale - Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”, Novara - Divisione di Medicina Generale, Ospedale S. Giuseppe, IRCSS Istituto Auxologico Italiano, Verbania LA GESTIONE DELLA TERAPIA CON IPOGLICEMIZZANTI ORALI Maria Masulli Medicina Clinica e Sperimentale: Fisiopatologia Clinica e Medicina Sperimentale -Università degli Studi di Napoli Federico II Verrà presentato il caso di un paziente di sesso maschile, non fumatore, in sovrappeso, con diabete mellito tipo 2 da circa 5anni. Il paziente è affetto inoltre da ipertensione arteriosa in buon controllo con la terapia farmacologica, nonché da iperlipidemia mista. Il compenso glicemico con la sua attuale terapia farmacologica (associazione precostituita di metformina + sulfonilurea a dosaggio submassimale) non è adeguato. Si interviene prima di tutto sullo stile di vita in attesa della valutazione del rischio cardiovascolare globale del paziente. Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II In molti casi di deficit di GH insorti in epoca pediatrica (CO-GHD), il trattamento sostitutivo con hGH viene interrotto al raggiungimento del target staturale in epoca adolescenziale. Questa procedura purtroppo non prende in giusta considerazione alcuni effetti somatici non-staturali del GH ed espone il paziente CO-GHD ormai adulto al rischio di conseguenze paradossalmente peggiori rispetto al GHD acquisito in epoca adulta. Viceversa, la continuazione della terapia non solo produce benefici effetti sulla maturazione dei tessuti, primi fra tutti muscolo e osso, ma offre vantaggi sui fattori di rischio cardiovascolare associati al GHD dell’adulto e sulla qualità della vita. Inoltre, l'interazione del GH con gli altri assi può influenzare la necessità di terapie sostitutive con ormoni tiroidei, corticosteroidei e gonadici. La continuazione della terapia con hGH nell’epoca della transizione deve essere perseguita previa un’accurata rivalutazione dello stato di secrezione del GH che tiene conto della storia clinica del paziente, della composizione corporea, di intercorrenti deficit ipofisari multipli, dei livelli di IGF-I e dell’imaging. La successiva risposta alla terapia con hGH va monitorata attraverso indagini biochimiche, della composizione corporea e della qualità di vita. Il caso clinico discute di un paziente in età di transizione affetto da panipopituitarismo postchirurgico, nel quale la sospensione del trattamento con hGH al raggiungimento di una completa crescita staturale conduce ad analizzare le procedure di retesting, lo studio delle complicanze cardiometaboliche e la valutazione di variabili confondenti quali l’obesità, con lo scopo di considerare l’appropriatezza di ricominciare la terapia con hGH in epoca adulta. 43 ABSTRACTS / casi clinici CASI CLINICI 2 Al successivo controllo, il compenso metabolico è rimasto sostanzialmente immodificato: si evince però la presenza di una cardiopatia ischemica silente (pregresso IMA con una funzione sistolica globale lievemente depressa). Si decide pertanto di sospendere l’associazione precostituita e di istituire una terapia con metformina a dosaggio elevato associata ad una sulfonilurea a lunga durata d’azione. Si aggiunge inoltre una statina e un antiaggregante. Al successivo controllo si osserva un miglioramento del compenso glicemico sebbene questo non raggiunga livelli ottimali. Si prospettano quindi più soluzioni terapeutiche che verranno discusse in dettaglio, in considerazione dell’età del paziente e del suo elevato rischio cardiovascolare. AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE LA RESISTENZA AGLI ORMONI TIROIDEI Alfonso Massimiliano Ferrara Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi di Napoli Federico II 44 E. D., donna di 28 anni, nel 2002, in seguito a comparsa di tachicardia e sudorazione eseguiva, su consiglio del medico curante, esami di funzionalità tiroidea che evidenziavano TSH 7 µUI/ml (v.n. 0.4 – 4.0), FT3 4.0 pg/ml (v.n. 1.5 – 4.1), FT4 2.4 ng/dl (v.n. 0.8 – 1.8), Ab-Tg, Ab-TPO, AbTSHr negativi, captazione di 131I alla 24h al 55% (10 – 35%). Iniziava trattamento con Metimazolo 60 mg/die notando, dopo due mesi, un aumento di dimensioni della tiroide (2 volte il normale), cui si associava la riduzione dell’FT4 (0.5 ng/dl). Alla terapia, venivano aggiunti 20µg/die di T3, che la paziente non assumeva per sua volontà. Nel 2004, in seguito alla comparsa di orticaria, la paziente sospendeva il Metimazolo e veniva sottoposta ad intervento di tiroidectomia quasi totale. Non le veniva prescritta alcuna terapia specifica nell’immediato postoperatorio. Nel 2005, la paziente notava ricomparsa di segni di ipertiroidismo (tachicardia e perdita di peso) ed aumento delle dimensioni del residuo tiroideo. Per tale motivo praticava nuovamente gli esami di funzionalità tiroidea che evidenziavano FT3 3.8 pg/ml; FT4 3.2 ng/dl; TSH 5.6 µUI/ml. Iniziava quindi terapia con propiltiouracile alla dose di 150 mg/die. Nel 2006, sotto terapia con propiltiouracile, la paziente era asintomatica. All’ecografia tiroidea si apprezzava un ulteriore aumento delle dimensioni della ghiandola. Al tempo, il TSH era 26 µUI/ml, l’FT3 3.9 pg/ml e l’FT4 3.0 ng/dl. Veniva sospeso il propiltiouracile a causa dell’incremento di dimensioni della tiroide, e due mesi dopo la sospensione il TSH era 9.3 µUI/ml, l’FT3 5.3 pg/ml e l’FT4 2.8 ng/dl. Nel 2007, la paziente veniva alla nostra attenzione. Non eseguiva alcuna terapia specifica, ma lamentava tachicardia e sudorazione associate a lieve perdita di peso. All’esame obiettivo la cute era calda e sudata, la frequenza cardiaca 96 bpm, non c’erano oftalmopatia, edema pretibiale e acropachia. Gli esami di funzionalità tiroidea evidenziavano: TSH: 7.8 ABSTRACTS / casi clinici CASI CLINICI 2 Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II µUI/ml; FT3 5.9 pg/ml; FT4 2.8 ng/dl, con Ab negativi. L’ecografia mostrava un lobo destro di 18x20 mm ed un lobo sinistro 17x19 mm senza noduli. Alla tireoscintigrafia la captazione era diffusa e la captazione dello 131I alla 24a ora era del 38%. La RMN sellare e l’esame del campo visivo erano nella norma. Sulla base delle caratteristiche cliniche e degli esami strumentali e di laboratorio veniva posta diagnosi di resistenza centrale agli ormoni tiroidei (PRTH), poi confermata dall’analisi genetica. Sotto trattamento con TRIAC (2.1 mg/die), dopo 6 mesi, è stato osservato riduzione delle dimensioni della tiroide (lobo destro era 15 x 15 mm e il lobo sinistro 13 x 17 mm) e i seguenti esami bioumorali TSH: 4.2 µUI/ml; FT3 3.8 pg/ml; FT4.2 ng/dl. La paziente non lamentava né segni né sintomi di tireopatia. 45 ABSTRACTS / casi clinici CASI CLINICI 3 LA TERAPIA INSULINICA NEL PAZIENTE ACUTO Mario Parillo UOC Geriatria AORN S. Anna - S. Sebastiano Caserta Verrà presentato un caso clinico di paziente che si presenta in coma con iperglicemia e cheto acidosi. La discussione verterà sulla diagnosi di coma, trattamento insulinico in fase acuta e trattamento dello scompenso idrosalino. AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE I TUMORI NEUROENDOCRINI Antongiulio Faggiano Dipartimento di Edocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi di Napoli Federico II 46 I tumori neuroendocrini consentono un ampio ventaglio di possibilità terapeutiche che negli ultimi anni si è ampliato notevolmente grazie ai continui avanzamenti nella comprensione dei meccanismi biologici alla base di questi tumori. I tumori neuroendocrini esprimono sulla membrana plasmatica una serie di molecole ad attività recettoriale; tra quelle più conosciute, meglio caratterizzate e anche più sfruttate in campo terapeutico vi sono i recettori della somatostatina. Si sono così sviluppati analoghi sintetici della somatostatina, come octreotide e lanreotide, che interagendo con gli specifici recettori di membrana hanno, come effetto finale, il controllo delle secrezioni neuroendocrine e dei sintomi associati ai tumore neuroendocrini. Tali farmaci presentano anche effetti antiproliferativi e pro-apoptotici. Il SOM230, un nuovo analogo “universale” della somatostatina è in corso di valutazione in trial clinici di fase II-III e promette di essere efficace nella stabilizzazione di carcinomi neuroendocrini in progressione non responsivi ad altri trattamenti. Tra i farmaci più interessanti in corso di sperimentazione nei tumori neuroendocrini, c’è da annoverare sicuramente l’everolimus o RAD001, un composto ad attività antiangiogenetica e anti-proliferativa. L’everolimus ha mostrato percentuali significative di risposta obiettiva in studi di fase II in associazione con l’octreotide. Il bevacizumab, un anticorpo monoclonale anti-VEGF ha mostrato, in studi di fase II, di essere superiore alla terapia con PEG Interferon in pazienti con tumori neuroendocrini, in associazione con i SSA a dose standard, sia in termini di risposta obiettiva sia in termini di intervallo libero da progressione di malattia. La chemioterapia convenzionale ha un ruolo fondamentale nelle forme scarsamente differenziate e ad alto indice proliferativo, dove lo schema di riferimento è quello a base di cisplatino-etoposide. ABSTRACTS / casi clinici CASI CLINICI 3 LE DISLIPIDEMIE Emanuela Lapice Abstract non pervenuto Verrà presentato il caso clinico di un paziente di aa 68, valutato presso il ns ambulatorio di malattie osteometaboliche per il riscontro radiologico di crolli vertebrali. L’esame radiologico del rachide era stato eseguito, su consiglio del medico curante, per una sintomatologia dolorosa al rachide comparsa da qualche mese in assenza di apparenti traumi. Non era presente familiarità nota per osteoporosi, il paziente era stato fumatore, non assumeva alcolici. In anamnesi patologica remota veniva segnalato diabete mellito tipo 2 in terapia con metformina e rosiglitazone da circa 2 anni, ipertensione arteriosa in terapia polifarmacologica (ACE-I, alfa litico, calcio antagonista), sindrome depressiva non in trattamento. Veniva prescritto un esame densitometrico femorale che documentava un’osteopenia (T-score -1.7 SD). Venivano eseguiti esami biochimici (emocromo, funzione renale, stato vitaminico D, funzione epatica, quadro proteico, PSA, testosterone totale e libero calcolato, fosfatasi alcalina, TSH) per individuare eventuali forme secondarie di danno osseo. Tali esami documentavano un’ipovitaminosi D ed un ipotiroidismo “subclinico”. Veniva eseguito un esame RMN del rachide che non documentava segni di cedimento vertebrale “acuto”. Veniva eseguito esame morfometrico quantitativo che documentava la presenza di 2 deformità severe e di 2 lievi. Tale caso clinico verrà discusso ponendo i seguenti quesiti: 1) esistono in anamnesi elementi per sospettare un’osteoporosi secondaria? 2) dagli esami eseguiti sono presenti fattori che possano aver causato i crolli vertebrali; 3) l’approccio diagnostico è stato appropriato o era necessario eseguire altri esami di approfondimento? 4) il quando densitometrico è compatibile con l’ipotesi diagnostica di una frattura da fragilità da malattia osteoporotica? 3) Ai fini terapeutici cosa fare: vertebroplastica? Terapia farmacologica con farmaco anti-riassoribitivo? Terapia farmacologica con farmaco anabolico? Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II LE OSTEOPOROSI SECONDARIE Gherardo Mazziotti1, F. Rota2 1Dipartimento di Medicina Interna, Azienda Ospedaliera “Carlo Poma”, Mantova 2Dipartimento di Edocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica - Università degli Studi di Napoli Federico II 47 INFORMAZIONI GENERALI DATA E SEDE Napoli, 20 e 21 marzo 2009 Centro Congressi Federico II Via Partenope, 36 SEGRETERIA SCIENTIFICA Prof. ssa Annamaria Colao Dr. ssa Carolina Di Somma Dip. di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica Università degli Studi di Napoli Federico II Via S. Pansini, 5 – 80131 Napoli e-mail: [email protected] – [email protected] SEGRETERIA ORGANIZZATIVA AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TERAPIA DELLE MALATTIE ENDOCRINE Rione Sirignano, 5 80121 Napoli Tel. 081 – 7611085 – 668774 Fax 081 – 664372 e-mail: [email protected] 48 Durante il Forum la segreteria sara’ aperta nei seguenti giorni ed orari: Venerdi’ 20 marzo: dalle ore 8.00 alle ore 19.30 Sabato 21 marzo: dalle ore 8.30 alle ore 18.00 ISCRIZIONI La quota di iscrizione e’ di euro 250,00 IVA 20% inclusa e comprende: Partecipazione alla sessioni scientifiche, kit congressuale, lunches e coffee breaks nei giorni 20 e 21 marzo, attestato di partecipazione e attestato ECM INFORMAZIONI GENERALI CREDITI ECM Per l’evento e’ stata inoltrata richiesta di accreditamento ECM al Ministero della Salute per la categoria Medico Chirurgo per le seguenti discipline: - Malattie Metaboliche e Diabetologia (evento formativo n° 886-9005888). La Commissione Nazionale per la formazione continua ha attribuito n° 13 crediti - Endocrinologia, Medicina Interna, Oncologia (evento formativo n° 886-9005579). In fase di accreditamento. LUNCHES E COFFEE BREAKS Si terranno nei giorni 20 e 21 marzo nell’area ristoro del Centro Congressi situata al primo piano. Napoli, 20/21 Marzo 2009 Centro Congressi Federico II CENTRO SLIDES Il centro slides per la prova della propria presentazione e’ situato al primo piano a fianco all’aula magna. I relatori dei Simposi e delle Tavole Rotonde sono pregati di consegnare la propria presentazione su CD o pen drive almeno 30 minuti prima dell’orario previsto per la propria relazione. Per i casi clinici non sono previsti supporti audiovisivi. 49 Gli organizzatori ringraziano per il prezioso supporto offerto per l’organizzazione del Forum: NOVARTIS SISTEMA E-CARE CAMPANIA RETE ENDOCRINOLOGICA per la rete: www.endocare.it per i forum: www.forumendocrinologiacampania.com