Storia di Napoli
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Questa voce riguarda la storia della città di Napoli,
dagli anni della sua fondazione sino ai giorni nostri.
Indice
1 Le origini
1.1 L'epoca preistorica
1.2 La Napoli greca
1.2.1 L'impianto urbanistico greco
1.2.2 La religione
1.2.3 L'organizzazione sociale e politica
1.3 La Napoli romana
1.3.1 Il cristianesimo
1.3.2 L'impianto urbanistico romano
2 Medioevo
2.1 Ducato napoletano
2.1.1 La guerra greco-gotica
2.1.2 L'ordinamento giuridico
2.1.3 Il periodo vescovile
2.1.4 Ducato bizantino
2.1.5 Ducato autonomo napoletano
2.2 Periodo normanno
2.2.1 Le vicende storiche
2.2.2 Il nuovo sistema istituzionale e sociale
2.3 Periodo svevo
2.3.1 Federico II
2.3.2 Gli ultimi anni svevi: rivolte e assedi
2.4 Gli Angioini
2.4.1 Napoli capitale
2.4.2 Il decadimento del Regno
2.4.3 Eventi celebri
2.5 Gli Aragonesi
3 Età moderna
3.1 Il Viceregno spagnolo
3.2 Il Viceregno austriaco
3.3 Il Regno borbonico di Napoli
3.4 La repubblica partenopea
4 Età contemporanea
4.1 Il Regno francese di Bonaparte e Murat
4.2 Il ritorno dei Borbone
4.3 Napoli dopo l'Unità
4.3.1 Dal 1860 alla seconda guerra mondiale
5 Dal secondo dopoguerra ad oggi
6 Bibliografia
7 Note
8 Voci correlate
Le origini
L'epoca preistorica
Storia di Napoli
Paese
Regione
Provincia
Popolo
fondatore
Anno
fondazione
Italia
Campania
Napoli
Teleboi, Rodii e/o
Cumani
seconda metà VIII
secolo a.C. / fine VI inizi V secolo a.C.
Anno
indipendenza
Anno 1860
annessione
Stato Regno d'Italia
annessione
Se a Capri o a Sorrento scavi archeologici hanno permesso di riportare alla luce importanti reperti
risalenti al periodo preistorico, e nella non lontana Cuma vi erano insediamenti di Osci sia nell'età
del bronzo (2300-900 a.C.) che nell'età del ferro (900-730 a.C.), nel sottosuolo napoletano invece si
sono reperite soltanto scarse tracce e frammenti ceramici che risalgono a quel periodo. Ciò
nondimeno nei millenni precedenti l'arrivo dei Greci la zona non è stata sempre spopolata.
Recentemente, in occasione della costruzione della stazione Toledo della Linea 1 (Metropolitana di
Napoli), in via A. Diaz si sono rinvenuti paleosuoli con tracce incrociate di arature associati a
frammenti ceramici riferibili al neolitico finale (IV millennio a.C.), mentre negli anni '50 a Materdei
sono state ritrovate alcune tombe di epoca eneolitica, (fine III millennio a.C.) riferibili alla cultura
del Gaudo.
La Napoli greca
La circostanza che i Greci chiamassero la zona campana οπιχία e οπιχοί i suoi abitanti, termini
derivanti da οπη, grotta, e οιχειν, abitare, è poco rilevante, dal momento che essa sembra fare
riferimento alla diffusa abitudine delle popolazioni locali più primitive di abitare in grotte. Virgilio
(Eneide, L. VII) riferisce il mito dei Teleboi, una popolazione della Tessaglia, che secondo lui si
sarebbero stanziati dapprima a Capri e poi nella costa napoletana; in realtà di greco a Capri non c'è
pressoché nulla, mentre le colonie greche sono per lo più Calcidesi ed Euboiche e non certo Tessale.
Di sicuro è che l'antica Napoli conobbe due fondazioni:
intorno alla metà del VII secolo a.C. un primo stanziamento
Isolotto di Megaride, luogo
(secondo alcuni), dei primi
sulla collina di Pizzofalcone[1] ed annesso Isolotto di
insediamenti greci
Megaride ad opera di Cumani, in origine forse con funzione
prettamente strategica finalizzata al dominio del golfo,
insediamento rapidamente sviluppatosi in un centro abitato
chiamato Partenope[2] (dal nome della Sirena il cui corpo fu
ritrovato sulla costa napoletana), essendo situato in una
posizione più favorevole rispetto alla città madre di Cuma; e
Isolotto di Megaride, luogo
poi, a seguito alla distruzione della città a metà del VI secolo
(secondo alcuni), dei primi
a.C. da parte di Cuma, una seconda fondazione della "città
insediamenti greci
nuova" (la Nea-polis per l'appunto) nella zona bassa, ad opera
degli stessi Cumani in concorso con coloni Rodii avvenuta alla
[3]
fine del VI - inizi V secolo a.C.. Al vecchio insediamento di Partenope venne così dato il nome di
Palaeapolis ("città vecchia").
Monete rinvenute nella necropoli sottostante la zona dell'attuale Porta Capuana - raffiguranti la
sirena Partenope in stile siracusano - confermano tanto l'esistenza della città di Neapolis già nel 470
a.C., quanto il fatto che alla fondazione della nuova città avrebbero partecipato oltre ai Cumani,
anche Phitecusani - ossia coloni siracusani provenienti dall'isola di Ischia e forse anche da Ateniesi,
secondo quanto attestano sia Strabone che il ritrovamento, in scavi archeologici, di monete attiche,
raffiguranti Athena.
L'influenza ateniese, che tuttavia cominciò a venir meno già a partire dal 420 a.C., rese il porto della
città uno dei più importanti del Mediterraneo, producendo uno sviluppo urbanistico che rimase
immutato sino alla metà del I secolo a. C..
L'impianto urbanistico greco
Mura in tufo, risalenti al V secolo a.C., che delimitassero la città, furono già erette dai greci e
vennero rinforzate nel secolo successivo. È possibile ricostruire il nucleo della Napoli greca,
racchiusa da una cinta muraria che si estendeva da nord lungo l'attuale via Foria e piazza Cavour,
piegando ad est lungo l'attuale via San Giovanni a Carbonara fino al mare; ad ovest, seguivano
l'andamento di piazza Calenda, della collina di Monterone e dell'attuale via Mezzocannone.
Allo stabilirsi in città di numerosi coloni greci, la popolazione crebbe sino a trentamila abitanti e
oltre all'acropoli sorse ben presto l'agorà, la piazza principale, centro del governo e della vita
pubblica cittadina, che si apriva dove oggi è piazza San Gaetano, secondo quanto è stato rilevato
dagli scavi sottostanti la chiesa di San Lorenzo Maggiore. Qui sorgeva anche l'archeion,
l'equivalente della basilica romana, ove si esercitava la magistratura e si custodivano i documenti e
il tesoro dello Stato.
L'impianto urbanistico sembra essere stato costituito secondo lo schema detto ippodameo da
Ippodamo di Mileto, un famoso architetto cui si attribuiscono i progetti urbanistici delle città di
Atene, di Rodi e di Thurii: una città quadrata con un lato di circa 2.500 piedi (circa 700 metri),
strutturata su tre strade principali, larghe circa sei metri, indirizzate da est a ovest e parallele fra di
loro, dette plateai, corrispondenti ai decumani romani - individuabili nelle odierne via Anticaglia,
via Tribunali e via San Biagio dei Librai - intersecate ortogonalmente da diciotto stenopoi, strade
indirizzate da nord a sud, larghe circa tre metri, che corrispondono ai cardi romani. Le strade erano
lastricate in pietra vesuviana e nei quadrivi erano scavati pozzi d'acqua a uso delle necessità
pubbliche.
I sepolcri sorgevano fuori le mura: sono stati individuati sulla collina di Santa Teresa, a Castel
Capuano, ai Santi Apostoli, a San Giovanni a Carbonara, fra Castel Nuovo e via Verdi, sotto via
Medina. I vasi portati alla luce durante gli scavi sono di fattura cumana e testimoniano l'assenza, a
Napoli, di una scuola artistica originale.
Anche l'ippodromo e lo stadio dovevano situarsi in un'area fuori della cinta muraria: il primo fra
San Giovanni a Mare e l'Egiziaca a Forcella, il secondo tra piazza Nicola Amore e Sant'Agostino
alla Zecca, mentre è ancora oggetto di dibattito l'esatta collocazione del porto cittadino.
La religione
I culti religiosi in epoca greca si basarono su quelli
importati dai fondatori e, certamente uno dei più antichi
tra essi fu il culto della sirena Partenope, già noto in
Grecia orientale prima della fondazione della città.
Secondo l'antico mito il corpo della sirena fu sepolto a
Megaride, ma i racconti leggendari tramandati
successivamente collocano il sepolcro di Partenope
all'interno delle mura di Neapolis, in particolare,
secondo alcuni, sotto il luogo dove sorge la chiesa di
San Giovanni Maggiore, secondo altri, all'ingresso del
Tempio dei Dioscuri risalente al I secolo d.C..
Colonna corinzia, San Paolo
Maggiore
E proprio i Dioscuri furono divinità molto venerate, così
come si è evinto dalle antiche monete del periodo greco ritrovate dagli archeologi; posto nell'area
dove sorgeva l'agorà, dell'antichissimo tempio dedicato a queste divinità restano ancora visibili le
colonne del pronao, integrate nella facciata della chiesa di San Paolo Maggiore in piazza San
Gaetano.
Il culto di Apollo fu importato da Cuma, forse contestualmente alla fondazione della città, e
l'originario tempio dedicato al dio si trovava probabilmente nella zona dove ora sorge il Duomo e
più precisamente dove è attualmente la piazzetta Riario Sforza.
Studi basati su prove archeologiche hanno mostrato, con una buona dose di certezza, che erano
sviluppati in epoca greca anche altri culti, come quello di Zeus, Eracle, Cerere Attica e Mitra, per
citare quelli principali.
L'organizzazione sociale e politica
La fratria era un insieme di famiglie che si riconosceva in un capostipite comune. Mutuata dalla
Grecia, era un'associazione religiosa e politica: dotata di potere giurisdizionale e amministrativo,
aveva anche il diritto e il dovere di perseguire un delitto di sangue commesso contro un suo
membro, possedeva santuari e feste comuni. Il capo, il fretrarco, era coadiuvato da tre fratrori e si
riuniva nel fretrion. Si ha memoria del nome di almeno dieci fratrie napoletane: Aristei, Artemisi,
Ermei, Eubei, Eumelidi, Eunostidi, Theodati, Kretondi, Kumei e Panclidi.
Vi è chi ha voluto vedere nella fratria la remota origine di analoghe associazioni che tanta
importanza ebbero nella vita pubblica cittadina a partire dall'epoca medievale, i Sedili.
Il sistema di governo di Neapolis fu presumibilmente di tipo oligarchico con i demarchi e gli
arconti a fungere da magistrati, e un consiglio eletto secondo il censo dei cittadini.
La Napoli romana
Verso il 400 a.C. le mura di Napoli resistettero all'assedio dei Sanniti, che avevano conquistato le
terre cumane, da Capo Miseno a Cuma, compreso il porto di Dicearchia (Pozzuoli) e spingendosi
nell'entroterra sino a Nola ed Ercolano.
A quei tempi, la città era già un importante centro commerciale e agricolo, anche grazie al fatto che
i Sanniti non tentarono la conquista armata della città, ma preferirono intessere con i napoletani
rapporti di tipo commerciale.
Intanto, la nuova potenza emergente di Roma, intuendo le potenzialità di Neapolis e del suo porto,
manifestò le sue mire espansionistiche per sottrarre la città all'influenza greca e cumana e nel 326
a.C. il console romano Quinto Publilio Filone entrò in città facendone una colonia romana.
Tuttavia Roma lasciò alla città ampie autonomie e permise che i suoi costumi, la sua lingua e le sue
tradizioni di origine greca sopravvivessero, preferendo piuttosto stringere una sorta di patto di
solidarietà e creando così quello che fu chiamato foedus Neapolitanum, con particolare attenzione
agli aspetti commerciali e di difesa per quanto riguardava la flotta.
Dal 199 a.C., anno dell'istituzione di una dogana, le importazioni della città iniziarono a diminuire a
vantaggio in particolare della vicina concorrente Pozzuoli e in seguito, nonostante i tentativi di
Annibale di sobillare i suoi abitanti contro Roma, Neapolis fu promossa a municipio romano,
perdendo parte delle sue autonomie, sebbene restassero ancora in vigore le fratrìe e le figure di
arconti di tradizione greca.
Nel 82 a.C., nella lotta fra Mario e Silla, trovandosi a parteggiare per il primo, la città dovette subire
le devastazioni e le stragi compiute dal secondo, animato dal desiderio di vendetta per l'affronto
subito; ciò privò oltretutto Neapolis della sua flotta e dell'isola d'Ischia e ne compromise il
commercio a tutto vantaggio di Pozzuoli, dando l'avvio ad un periodo di decadenza.
A Neapolis si formò la congiura per uccidere Cesare (sembra che Cassio partì proprio da uno dei
lidi della città per andare a compiere il celebre omicidio), proprio nel periodo in cui Miseno
surclassava la città per importanza commerciale del suo porto e l'aristocrazia romana veniva ormai
in città quasi solo per organizzare manifestazioni culturali e spettacoli.
Con la successiva trasformazione da municipio romano a
colonia, in città andò affermandosi sempre più la lingua
latina e si ebbe una graduale ripresa dal periodo di
decadenza (narrato anche da Petronio nel suo Satyricon),
con un conseguente aumento della popolazione e un
incremento dei commerci dovuto alla presenza alessandrina
dall'Oriente nel I secolo.
Il cristianesimo
La religione emergente, il cristianesimo fece presa e si
radicò subito dopo la metà del I secolo, in quanto era già in
atto un processo di progressiva assimilazione della colonia
ebraica presente in città, come testimonia San Paolo nelle
sue Lettere e alcuni rinvenimenti archeologici nelle
Catacombe di San Gennaro e il Calendarium della Chiesa
di San Giovanni Maggiore.
San Gennaro, patrono di Napoli
Il primo vescovo napoletano fu Aspreno, forse ordinato
dallo stesso San Pietro (che una leggenda vuole presente a Napoli a dire messa nella Basilica di San
Pietro ad Aram); Aspreno, poi canonizzato, resse la comunità cristiana napoletana per 33 anni e
morì nel 69; l'assenza di martiri fra i cristiani di Napoli spinse alla scelta, come santo patrono della
città, di San Gennaro, vescovo di Benevento, decapitato nella vicina Pozzuoli nel 305.
Per approfondire, vedi la voce San Gennaro.
Per approfondire, vedi la voce Sant'Aspreno.
L'arrivo a Neapolis dei testi di grandi apologisti latini come Tertulliano, l'azione organizzatrice di
papa Vittore I prima e quella più strettamente caritativa di papa Callisto I da un lato e il nuovo corso
impresso alla politica romana dalla dinastia dei Severi, diedero impulsi benefici alla comunità
cristiana ed alla città più in generale.
In seguito al periodo di anarchia militare iniziato nel 235 sotto Diocleziano, persecuzioni anticristiane avvennero anche a Neapolis, almeno sino al 311, anno in cui un editto imperiale concedeva
ai cristiani libertà di riunione e di professione della loro fede.
Numerose sono le leggende legate alla figura di Costantino e molte di esse riguardano la
costruzione di chiese, come quella di San Giovanni Maggiore e quella di San Gregorio Armeno,
solo per citare le più note, ma gli influssi positivi della politica di questo imperatore furono di
durata breve in quanto ebbero avvio, dal 410 in avanti numerose invasioni barbariche. La città fu
attaccata, ma non espugnata grazie anche alle sue fortificazioni, dai vandali.
Nel 476 Romolo Augusto, l'ultimo degli imperatori romani, venne deposto ed imprigionato, per
mano di Odoacre, presso Castel dell'Ovo, a quel tempo villa romana fortificata. Molti imperatori
romani a lui precedenti - Claudio, Tiberio, Nerone - trascorsero a Napoli le loro pause dal governo
dell'Impero in eleganti ville di cui ora rimangono i resti.
Con la guerra greco-gotica e il periodo di crisi che culminò nello sbarco di Belisario in Sicilia (526535), ebbe termine la storia della Napoli romana.
L'impianto urbanistico romano
Durante l'epoca romana si ebbe un notevole mutamento sull'intero impianto urbanistico del V
secolo a.C., con la città che si espanse prettamente lungo due direttrici privilegiate, verso il porto e
fuori le mura, e con l'instaurarsi di un primitivo abbozzo di edilizia residenziale che trovò il suo
sviluppo nella zona ad ovest dell'attuale via Duomo.
Gli storici e gli archeologi concordano nel definire con quasi assoluta certezza sulla localizzazione
del Tempio dei Dioscuri, nel decumanus major, l'attuale via Tribunali, al centro di una zona molto
frequentata in quanto prossima al Foro, con le sue caratteristiche tabernae e dotata anche, sembra,
di due teatri (il teatro grande e il teatro chiuso), in cui forse si esibì lo stesso Nerone e secondo
quanto narrato da Stazio, Svetonio e Tacito.
Non mancavano, nell'antica Neapolis i Ginnasi (luoghi di insegnamento all'aperto) e gli edifici
termali, questi ultimi testimoniati dai ruderi in vico Carminiello ai Mannesi (Mannese, in
Napoletano, vuol dire idraulico/stagnino).
Dopo una regressione naturale dell'espansione urbanistica dovuta alla crisi del III secolo e al suo
decremento demografico, nuove fortificazioni sorsero nel V secolo e, per opera di Narsete, le mura
giunsero sino al porto, nel 556.
Medioevo
Ducato napoletano
Per approfondire, vedi la voce Ducato di Napoli.
La guerra greco-gotica
Nel VI secolo la città venne sottratta ai Goti dall'impero bizantino durante il tentativo di Giustiniano
I di ricreare l'Impero e la città fu sottomessa dal nuovo conquistatore, il generale Belisario (536)
che, dopo un duro assedio, saccheggiò e compì stragi per punire i napoletani dell'appoggio dato ai
barbari.
Dopo una nuova e breve parentesi gota (riconquista di Totila del 492), Napoli fu saldamente in
mano bizantina grazie all'azione militare di Narsete e diventò Ducato bizantino, a partire dal 534 e
per i successivi sei secoli.
L'ordinamento giuridico
La notevole influenza del regno di Giustiniano in ambito culturale, artistico e, ancor più, nel campo
della giurisprudenza (basti pensare al Novus Iustinianus Codex che fu la base del nuovo
ordinamento giuridico) si fece sentire anche a Napoli.
Nacque così un governo che era da un lato dotato di una struttura militare, necessaria per la difesa
del regno in un siffatto periodo di instabilità politica, e dall'altro di una struttura prettamente civile,
deputata più che altro al governo delle province conquistate; inoltre, andò aumentando l'importanza
conferita al clero, in particolar modo alla figura del vescovo con ampi poteri anche di giurisdizione
civile ereditati dalla vecchia figura del magistrato, ormai scomparsa.
Il periodo vescovile
Sotto il nome di periodo vescovile si indica generalmente l'arco di tempo che va dal 578 al 670 e
che vede l'affermarsi in città della figura del vescovo come figura di primaria importanza sia
religiosa che civile e quindi dotata di potere temporale vero e proprio.
Proprio per le prerogative conferite loro dal nuovo sistema amministrativo e giuridico, spesso vi
furono degli aspri contrasti dei vescovi con gli stessi pontefici romani, arrivando in alcuni casi
anche a difendere la città dall'ingerenza della Chiesa.
Fu questo un periodo di continue guerre con i Longobardi che dominavano gran parte dell'Italia
meridionale e che più volte assediarono la città (come nel 592 e nel 599) senza, tuttavia, riuscire ad
assoggettarla, grazie anche al costante apporto del papato, in particolare nella persona di papa
Gregorio Magno.
Ducato bizantino
Sulla scia della rivolta del 615 che a Ravenna portò all'assassinio dell'esarca, a Napoli Giovanni
Consino si pose a capo del malcontento popolare che iniziava a suscitare il dominio di Bisanzio e
che, testimoniava un sempre maggior desiderio di autonomia dei napoletani.
Fu così che, nel 661, con la nomina di Basilio fu istituita una nuova figura, quella del duca, di
nomina imperiale e a capo di un governo militare con attribuzioni del "vecchio" magistrato ormai
eliminato; è da sottolineare l'importanza del fatto che per la prima volta fu un napoletano a
governare la città con un limitato grado di autonomia.
I duchi che si susseguirono e che furono, in ordine cronologico, Teofilatto I (666-70), Cosma (67072), Andrea I (672-77), Cesario I (677-84), Stefano I (684-87), Bonello (687-96), Teodosio (696706) e Cesario II (706-11), dovettero fronteggiare con una serie di guerre i Longobardi, l'altra
potenza dell'Italia meridionale, che premevano dai vicini ducati di Capua e Benevento.
Nel 711 i napoletani, guidati dal saggio governo del duca Giovanni I e spalleggiati dall'apporto del
Papa Gregorio II, riuscirono a riconquistare la città di Cuma, caduta inaspettatamente in mano
longobarda.
La guerra iconoclasta scatenatasi nel 726 pose il nuovo duca, Teodoro I in una difficile condizione
di incertezza fra la fedeltà all'Imperatore di Bisanzio e la devozione al Papa, dalla quale il duca
seppe uscire a testa alta conservando una posizione di equidistanza che non compromise i rapporti
di Napoli né con l'Impero né con il Papato.
Durante il periodo vescovile in città sorsero numerosi monasteri, oltre a svariate chiese; i monasteri
erano per lo più cenobi di origine greca (retti da monaci basiliani) che trovavano allocazione sulle
alture dell'interno o sulle isole ma anche in città come quello che sorgeva nell'antico Oppidum
Lucullianum, sulla collina del Monte Echia o sull'isoletta di Megaride, sebbene non mancassero
conventi in città come il monastero greco di San Sebastiano.
Anche a Napoli, come a Roma, i monaci furono i principali divulgatori della cultura in una lingua
ormai diversa dal latino classico e che aveva ormai assorbito influssi greci di derivazione bizantina
ma che produsse, oltre a trascrizioni e traduzioni dei classici anche la produzione cristiana,
cosiddetta, agiografica.
Dal punto di vista artistico va ricordato che a Napoli l'influsso longobardo fu pressoché nullo, e la
tradizione artistica romana e paleocristiana si perpetuò a lungo nel tempo ma, anche dell'arte
bizantina da cui la città mutuava molti influssi, è rimasto molto poco a causa sia di eventi come
calamità o distruzioni belliche sia di una capacità di trasformazione e di adattamento operata dagli
artisti.
In quest'epoca Napoli, che era divenuta la principale città della Campania, fu rafforzata nelle sue
mura, anche per una migliore difesa dalle minacce di Goti e Longobardi, e tutta la zona portuale fu
inclusa nella cerchia delle mura che di fatto non ebbero un'ampliamento di grandissimo rilievo.
Ducato autonomo napoletano
Dopo i ducati di Giorgio e Gregorio I, divenne duca Stefano II, in un primo momento molto legato a
Bisanzio e poco al Papato ma che, successivamente, nel 763 riconobbe il pontefice Paolo I e si
ribellò apertamente all'autorità centrale, assumendo la carica vescovile e divenendo così di fatto il
primo a guidare il ducato napoletano autonomo.
Ciò venne incontro al desiderio del popolo napoletano che andò acquistando una sempre più ampia
coscienza civica e una fiducia sempre maggiore nella propria autonomia, tanto che da solo e con la
lungimiranza dei suo capi e dei suoi vescovi poté resistere ai tentativi di conquista da parte dei
Longobardi, dei Franchi e dei Saraceni.
Nel 832 Stefano fu assassinato da una congiura ordita da alcuni nobili napoletani sobillati da
emissari di Sicone, principe longobardo e fu eletto duca proprio uno dei suoi assassini, Bono,
destituito dopo appena sei mesi dal suo incarico.
Nel 840, con l'avvento di Sergio II sembrò terminare il lungo periodo di lotta del Ducato contro i
barbari e in difesa della romanità e fu inaugurata una politica estera più amichevole nei confronti
dei Franchi, in funzione di garantire a Napoli una sempre più salda autonomia dalle incursioni
saracene e longobarde; ciò tuttavia non impedì ai Saraceni di distruggere, nel 845 la località di
Miseno ed attaccare Roma tre anni dopo, respinti questa volta dalla flotta napoletana giunta in
soccorso del pontefice nella battaglia navale di Ostia.
Seguì un periodo in cui si tentò una sorta di alleanza con i Saraceni, osteggiata da Papa Giovanni
VIII che riuscì a far condurre il duca in catene a Roma e a farlo giustiziare; fu questo un periodo in
cui Napoli ed il Papato si ritrovarono ai ferri corti (anche sotto il ducato di Atanasio II).
I Saraceni furono sconfitti nel 915 con la Battaglia del Garigliano in cui l'esercito napoletano,
alleatosi con il Ducato di Capua, fu praticamente sotto il comando di Bisanzio, che non perse
occasione per riprendere ad esercitare la propria supremazia sul Ducato; di fatto, i duchi che si
susseguirono furono nuovamente nella sfera imperiale, almeno sino al 963.
Intanto, un nuovo spauracchio si affacciò sul Ducato, il Sacro Romano Impero che, con Ottone III
iniziò a far valere le proprie mire espansionistiche sulle terre del sud Italia e quindi su Napoli,
che,pur rimanendo invischiata nei turbolenti anni delle lotte per il possesso di quelle terre, riuscì
sostanzialmente a mantenere la sua indipendenza.
Nel 1027 il duca Sergio IV donò la contea di Aversa alla banda di mercenari normanni di Rainulfo
Drengot, che lo avevano affiancato nell'ennesima guerra contro il principato di Capua, creando così
il primo insediamento normanno nell'Italia meridionale. Dalla base di Aversa, nel volgere di un
secolo, i normanni furono in grado di sottomettere tutto il meridione d'Italia, dando vita al Regno di
Sicilia. Il ducato di Napoli fu, comunque, l'ultimo territorio a cadere in mano normanna, con la
capitolazione del duca Sergio VII nel 1137.
Periodo normanno
Le vicende storiche
Gli Altavilla
Con la discesa in Italia di Lotario III, ebbe
Quella degli Altavilla
fu la dinastia reale che
inizio una lunga guerra tra l'Impero e i
operò la riunificazione
Normanni che vide Re Ruggero I
politica dell'Italia
d'Altavilla perdere progressivamente i
meridionale,(compresa
territori dell'Italia peninsulare. Ripartito
la Sicilia). L'opera
Lotario nell'ottobre del 1137, Ruggero
iniziata dai figli di
riconquistò Salerno, Avellino, Benevento e
Tancredi (capostipite
Capua. Anche Napoli, dopo un anno di
della famiglia), Roberto
assedio, fu costretta a capitolare nel 1137 e
il Guiscardo e Ruggero I,
Il blasone della casa
fu portata a termine da
proprio in seguito alla ripartenza di
di Altavilla
Ruggero II, nel 1130. Gli
Lotario.
Altavilla regnarono
Si andava nel frattempo costituendo quel
indisturbati sui territori
Regno di Sicilia (che unificò appunto
meridionali per oltre mezzo secolo quando dovettero
Sicilia e Italia meridionale sin dal 1130,
arrendersi, nel 1194, alla potenza sveva. L'ultima
anno in cui il nuovo stato unitario fu
degli Altavilla, Costanza sposò l'imperatore
istituito dall'Antipapa Anacleto II e
germanico Enrico VI di Hohenstaufen; quest'ultimo
successivamente legittimato, nel 1139, per
ereditò con le armi il regno normanno, garantendo
ancora a lungo quella nuova continuità territoriale che
mano di Papa Innocenzo II. Tale nuovo
gli Altavilla avevano costituito a scapito
Regno fu governato dai Normanni sino al
dell'autonomia che la città di Napoli si era conquistata
1195 con capitale non a Napoli ma, per
nei secoli addietro a caro prezzo, nel periodo ducale.
volere di Ruggero II d'Altavilla, a Palermo.
Ruggero II giunse a Napoli nel 1140,
accolto con tutti gli onori (così come narrato, con dovizia di particolari, da un cronista medievale
[4]) e, dopo la nomina di un responsabile giuridico ed amministrativo (il compalazzo) accentrò in
pratica tutti i poteri nelle sue mani, mettendo definitivamente fine al periodo di autonomia della
città. Mentre la nobiltà mantenne per certi versi i propri privilegi, il clero conobbe un periodo di
decadenza, anche considerando i dissapori dei re normanni con l'autorità papale.
Nel 1154, salì sul trono di Sicilia, Guglielmo I e tutto il periodo in cui fu sul trono fu caratterizzato
da una serie di lotte interne e di difficili rapporti con gli stati esteri; inoltre, a Napoli si accese una
contesa tra le classi dei milites e quella dei nobiliores e alcune rivolte portarono anche il popolo a
scendere in piazza contro l'istituto monarchico. Guglielmo represse le rivolte nel sangue, fu molto
severo nell'amministrazione della giustizia e aumentò l'imposizione di tasse avvalendosi, per portare
a compimento il suo programma, del ministro barese Maione, poi assassinato in una congiura ordita
dal suocero Matteo Bonello.
Con l'avvento sul trono di Guglielmo II, migliorò il dialogo della monarchia normanna con il
popolo e Napoli visse un periodo di relativa tranquillità; fu nominato un governo consolare alla cui
composizione contribuirono non solo esponenti delle classi nobiliari ma anche dei mediani e del
popolo. Maggiore autonomia, specie in ambito commerciale (fu ripristinata l'antica promissio
riguardante l'esenzione dai dazi), fu conferita alla città da Tancredi di Lecce, nuovo sovrano che
regnò dal 1189 al 1194.
Ma l'estremo gesto di Tancredi che fece arrestare l'imperatrice Costanza (detenuta per un periodo
anche a Napoli) e la debole reggenza del figlio di questi, Guglielmo III, non riuscirono ad impedire
l'invasione del regno da parte degli Svevi che, con Enrico VI posero fine alla dominazione
normanna, durata poco più di mezzo secolo.
Il nuovo sistema istituzionale e sociale
Con l'avvento di Ruggero II, vennero implementate
a Napoli, nuove istituzioni fondate sulla
preminenza del potere regale che andava ad
affiancarsi ai vecchi usi fedudali e municipali[5]. Il
nuovo sovrano stabilì rapporti molto più stretti con
la nobiltà mediante la concessione di privilegi
feudali (per la prima volta, a Napoli furono istituite
le figure dei "cavalieri" feudali), assicurandosi così
un costante appoggio alla sua politica. Il
"compalazzo" (da comes palatii), di nomina regia,
aveva importanti funzioni nell'ambito della vita
cittadina che andavano dall'amministrazione delle
rendite demaniali, alla gestione della giustizia sia
civile che penale, sino al controllo della rete dei
funzionari dell'amministrazione ("conestabili").
Fu anche grazie a questo nuovo sistema
istituzionale che i re normanni riuscirono a
controllare le rivolte, che pur non mancarono a
Napoli e in altre zone campane e pugliesi del regno,
che la classe dei "mediani", costituita essenzialmente da milizie professionali, sobillò contro il
potere regio; furono proprio i nobili, fedeli al re, che si incaricarono di stroncare queste rivolte.
Negli ultimi anni del governo normanno (specie con Tancredi di Lecce al potere, che governò con
un "consiglio di consoli", presieduto dal compalazzo), si arrivò addirittura a ristabilire i diritti dei
cittadini su alcune terre precedentemente usurpate proprio dal potere regio nella contea di Aversa.
In tale periodo si intensificarono i contatti commerciali, specie con la città di Amalfi e alla
cittadinanza napoletana fu concessa la possibilità di battere moneta.
Dal punto di vista sociale si andarono costituendo gruppi familiari che si radicavano in particolari
aree del territorio cittadino che, sempre più influenti, condividevano interessi economici e
patrimoniali (i potentes o consortes). A queste consorterie civili si affiancarono gruppi di
ispirazione religiosa come le confraternite o le estaurite.
Altro elemento che contribuì non poco al mutamento sociale del periodo post-ducale fu
l'aggregazione dei piccoli monasteri di rito greco in strutture monastiche più grandi, che iniziarono
a seguire il rito latino. Queste comunità, spesso urbane e non solo esterne alla città muraria come un
tempo, beneficiando dei generosi lasciti patrimoniali delle classi aristocratiche napoletane,
costituirono un elemento di garanzia per la stabilità del governo della città.
Periodo svevo
Il trapasso dalla monarchia normanna a
quella sveva, sia pure facilitato dai legami
dinastici che vedevano la figlia di Ruggero
II, Costanza, sposa di Enrico VI di Svevia,
non fu indolore e condusse ad un periodo di
crisi per la città di Napoli e più in generale
La fondazione dell'Università
L'Università degli
Studi di Napoli fu
fondata da Federico II
di Svevia il 5 giugno 1224 tramite l'editto generalis
lictera. L'Università di Napoli è considerata in
per tutta l'Italia meridionale durato almeno
un ventennio.
Già nel 1191, con Tancredi ancora in carica,
la città si era opposta strenuamente alle
truppe imperiali resistendo per tre mesi ad un
duro assedio; nel 1194 però Napoli dovette
capitolare e fece atto di formale obbedienza
all'imperatore. Alla morte di Enrico (1197),
grazie anche ad un periodo di anarchia che
ne seguì, la città ebbe un periodo di relativa
autonomia, acquisendo anche una sua forza
militare che mise in atto nella distruzione di
Cuma, da dove imperversavano le truppe
imperiali, avvenuta nel 1207[6].
Federico II
assoluto la prima
Università di tipo
statale (non fondata,
cioè, da corporazioni o
associazioni di
intellettuali, ma bensì
da un sovrano). Due
furono i motivi
principali che spinsero
Stemma della
l'imperatore
"Federico II"
all'edificazione dello
studium generale
(l'Università principale
del Regno di Sicilia): in primo luogo la formazione
esclusiva del personale amministrativo e burocratico
della curia regis e quindi la preparazione dei giuristi
che avrebbero aiutato il sovrano nella definizione
dell'ordinamento statale e nell'esecuzione delle
leggi; in secondo luogo agevolare i propri sudditi
nella formazione culturale, evitando loro inutili e
costosi viaggi all'estero. La scelta della sede cadde
su Napoli per motivi non solo culturali (la città
aveva avuto una lunga tradizione in merito, specie in
epoca virgiliana) ma anche geografici ed economici
(i traffici via mare, il clima mite e la posizione
strategica all'interno del regno furono, in un certo
modo, determinanti).
L'autorità imperiale fu ristabilita, non senza
difficoltà, in seguito all'ascesa sul trono degli
Hohenstaufen di Federico II. Questi era stato
incoronato nel 1198 da Papa Innocenzo III,
ancora minorenne e preso in tutela proprio
dal Papa, alla morte della madre Costanza
avvenuta nel 1198. Nel 1208 fu dichiarato
maggiorenne, pur se quattordicenne,
ereditando di fatto il regno. L'anno seguente
ebbero inizio le rivolte a Napoli, in Sicilia ed in Calabria che il giovane sovrano riuscì
brillantemente a reprimere, mostrando anche una sempre maggiore insofferenza verso l'autorità
ecclesiastica che lo porterà, anni dopo, alla scomunica papale. Gli aristocratici napoletani,
approfittarono della situazione di semi-anarchia che si era venuta a creare negli ordinamenti civili e
ben presto si trovarono in rotta di collisione con Federico che, gravato dai problemi politici e
militari esteri, riuscì a ristabilire l'ordine nei rapporti di vassallaggio soltanto a partire dal 1231, con
la promulgazione delle Costituzioni di Melfi.
Federico II fu un sovrano molto attento alla cultura, in special modo a quella letteraria e giuridica
(tra i suoi collaboratori è possibile citare il poeta Pier delle Vigne e il giureconsulto Taddeo da
Sessa). Nel 1224 istituì a Napoli lo Studio generale, la seconda università della penisola, e la prima
statale. Nell'atto di fondazione si leggeva[7]:
« Noi esigiamo per i Nostri servigi uomini dotti, formati nel fervore dello studio di Jus e
Justitia, ai quali senza apprensione affidare l'amministrazione dello Stato »
Ampliò Castel Capuano, diede incremento ai traffici, aggregò poi al compalazzo una Curia
composta di cinque giudici e otto notai. Elementi fortemente negativi per l'autonomia cittadina
furono invece la rigida politica di imposizione fiscale, l'abolizione delle autonomie comunali e della
classe sociale dei notai (curiales) e la generalizzata ingerenza negli affari privati dei cittadini da
parte dell'amministrazione fortemente accentrata del re; elementi che contribuirono a scatenare una
sostanziale avversione verso lo stupor mundi (come lo svevo era soprannominato), fino a sfociare in
aperta insurrezione popolare, alla notizia della sua morte, avvenuta nel 1250, contro il suo
successore Corrado IV.
Gli ultimi anni svevi: rivolte e assedi
Nel 1251 Napoli si costituì a Comune libero ponendosi sotto la protezione del papa Innocenzo IV.
Nel 1253 la città, in stato di assedio, dovette arrendersi a Corrado, decimata dalla pestilenza e dalla
fame, dopo quattro mesi di resistenza. La vendetta di Corrado si attuò col diroccare parte delle
mura, trasferìre lo Studio a Salerno e imporre ulteriori onerose gabelle. Dopo la morte di Corrado
(1254) la città si pose nuovamente sotto il papa Innocenzo IV, che si stabilì a Napoli, ma vi morì
poco tempo dopo (1254). Nel conclave, tenutosi a Napoli, il 12 dicembre 1254 fu eletto papa
Alessandro IV, che si ritirò a Roma all'avvicinarsi dell'esercito di Manfredi, fratello di Corrado IV.
Sottomessa da Manfredi, dopo la sconfitta di quest'ultimo (Battaglia di Benevento, 1266), Napoli
aprì le porte al nuovo re Carlo I d'Angiò.
Per approfondire, vedi la voce Battaglia di Benevento (1266).
Gli Angioini
Per approfondire, vedi la voce Regno di Napoli.
Nel 1266 papa Clemente IV aveva assegnato il Regno di Sicilia a Carlo I d'Angiò. L'ingresso a
Napoli del nuovo sovrano (fratello di Luigi IX di Francia), avvenne in modo trionfale il 7 marzo,
dopo che il nuovo erede del regno era stato accolto da una delegazione di cavalieri napoletani alle
porte di Aversa. Il cronista fiorentino Giovanni Villani descriverà più tardi il nuovo sovrano
francese come «savio, di sano cosiglio, e prode in armi, e aspro e molto temuto e ridottato da tutti i
re del mondo, magnanimo e d'alti intendimenti»[8], a testimonianza del grande prestigio che Carlo
aveva assunto sullo scenario europeo.
Prestigio che aumentò ancor più dopo la vittoria nella Battaglia di Tagliacozzo (1268), allorquando
le truppe angioine sbaragliarono l'esercito di Corradino di Svevia, ultimo discendente diretto di
Federico II e fautore del partito ghibellino mirante alla riconquista del regno. Con un processo
formale, il giovane svevo (aveva solo 16 anni), fu condannato ad essere decapitato al Campo
Moricino (l'odierna Piazza del Mercato) il 26 ottobre 1268; fu questo il primo episodio di una lunga
serie di vendette che furono consumate a Napoli contro tutti coloro che avevano appoggiato il
partito svevo di Federico II e di Manfredi.
Nel 1284, in seguito alla rivolta dei Vespri Siciliani (1282), gli Angioini persero la parte insulare a
vantaggio degli Aragonesi. I due Regni continuarono a definirsi entrambi "di Sicilia"; in particolare,
in quello continentale nacque la formula di Sicilia al di qua del Faro (Napoli) e Sicilia al di là del
Faro (per approfondire, vedi Faro di Messina). Le due parti rimasero formalmente separate,
nonostante abbiano condiviso quasi sempre lo stesso sovrano, fino al 1816 quando venne costituito
il Regno delle Due Sicilie (vedi Regno di Napoli).
Persa la Sicilia, Carlo I d'Angiò fissò la sua residenza a Napoli che divenne in tal modo la capitale
del regno; il periodo che seguì fu tumultuoso con Carlo che cercò di riconquistare l'isola perduta e
gli Aragonesi, con a capo Pietro III d'Aragona, che risalirono il continente impossessandosi prima
della Calabria e giungendo a lambire persino la capitale con il posizionamento di presidii militari a
Ischia e Capri e tentando, con l'ammiraglio Ruggero di Lauria, di sbarcare a Nisida (1284).
L'ammiraglio aragonese fece prigioniero lo stesso figlio del re; quest'ultimo dovette designare suo
erede temporaneo il nipote Carlo Martello. Alla morte del re, avvenuta nel 1285, vi fu un periodo di
interregno durato tre anni durante il quale fu il Papa, nella persona di Onorio IV, a gestire
politicamente i territori angioini, con la promulgazione delle cosiddette Costituzioni di Sicilia[9],
mentre non cessavano le incursioni aragonesi sulle coste di Sorrento, Castellammare, Positano ed
Amalfi.
Il figlio del defunto re, Carlo II d'Angiò, detto lo Zoppo, cessato nel frattempo il periodo in cui era
prigioniero degli aragonesi, fu incoronato nuovo re di Napoli nel 1289, riuscendo a garantire al
regno alcuni anni di tranquillità anche in seguito alla stipula della Pace di Caltabellotta (1302) (che
limitava il regno degli Angioini al meridione continentale d'Italia e stabiliva che Federico III
d'Aragona continuasse a regnare in Sicilia (con il titolo di Re di Trinacria e non di Sicilia).
Napoli capitale
Nel periodo dei primi re angioini la città fu abbellita ed ampliata e in essa sorsero numerose chiese
monumentali dovute alle sovvenzioni regie. Ai due castelli pre-esistenti (Capuano e dell'Ovo),
Carlo I vi aggiunse il Maschio Angioino (dove fu ospite Papa Celestino V e fu centro di un nuovo
rione popolato di palazzi prìncipeschi), e Giovanna d'Angiò, sulla collina che domina la città, un
quarto castello, castel Sant'Elmo. La città divenne cosmopolita per la presenza di Genovesi,
Fiorentini, Provenzali, i quali risiedettero in quartieri propri, con fondachi e chiese costruiti secondo
lo stile delle terre di origine.
L'aumento dei traffici marittimi portò alla costruzione del cosiddetto Porto di mezzo e di nuovi
arsenali. Anticamente il porto di Napoli corrispondeva all'attuale Porto Piccolo; in epoca
medievale, periodo in cui Napoli era rimasta nei limiti delle mura dell'imperatore romano
Valentiniano III, al porto romano se ne aggiunse un secondo (Porto Grande). Successivamente,
durante il periodo normanno e svevo, la città non subì ingrandimenti. Lo sviluppo urbano riprese
invece alla fine del XIII secolo, con gli Angioini, la città fu ampliata verso occidente e fu allargato
il Porto Grande.
Lo sviluppo di Napoli continuò con i successori di Carlo, soprattutto con Roberto d'Angiò. Roberto,
salito al trono alla morte di Carlo lo Zoppo (avvenuta nel 1309 nell'ospizio Reale di Casa Nova di
Poggioreale), regnò per trentaquattro anni (1309-1343); conosciuto come "il Saqgio", fu definito dal
Boccaccio come «il re più sapiente del mondo dopo Salomone», godette di grande prestigio,
soprattutto nei primi anni del regno; in questo periodo anche l'Università napoletana, divenne una
delle più importanti d'Europa. I gravi problemi del regno (il persistere e lo svilupparsi della
feudalità e la contesa dinastica per la Sicilia) furono causa della successiva decadenza aggravata da
un ulteriore problema che la rese più rapida: le questioni dinastiche fra i vari rami degli Angioini.
Il decadimento del Regno
Il regno di Roberto il Saggio, caratterizzato sia da alcuni infruttuosi tentativi di riconquista della
Sicilia sia, a livello politico più ampio, dalla vocazione del sovrano di mettersi a capo del partito
guelfo in Italia per fronteggiare l'imperialismo germanico[10], terminata nel 1343, anno in cui il re
morì.
Mediante testamento, Roberto aveva designato alla successione sua nipote Giovanna d'Angiò
intendendo così favorire suo marito Andrea d'Ungheria. La figura di questa regina, incoronata in
Santa Chiara il 28 agosto 1344, certamente controversa per la sua complessa personalità, fu
importante, se non altro, in quanto da considerarsi come la prima espressione di un sovrano
interamente napoletano, grazie alla naturalizzazione progressiva che la dinastia angioina aveva
compiuto nell'Italia meridionale.
Nel periodo in cui regnò Giovanna, si andarono accentuando i primi segnali di decadimento già
emersi negli ultimi anni del regno di Roberto, con un progressivo aumento di lotte tra fazioni e
complotti ed anche a causa del fallimento della politica estera angioina che non riusciva a
ricostituire l'unità statale normanno-sveva, spezzata dalla mutilazione della Sicilia.
Giovanna fu spalleggiata dalla nobiltà napoletana nell'opporsi alle rivendicazioni dinastiche di suo
marito (appartenente al ramo ungherese degli angioini e dunque discendenti di Carlo Martello
(fratello di Roberto il Saggio) e la regina fu probabilmente coinvolta anche nel suo assassinio
avvenuto il 18 settembre 1345, ad Aversa.
Ma le lotte dinastiche non cessarono con la morte di Andrea; Giovanna sposò in seconde nozze
Luigi di Taranto e, poco dopo, il cognato, (fratello del marito assassinato), Luigi d'Ungheria iniziò
l'invasione del Regno, costrinse prima la sovrana a fuggire in Provenza e successivamente egli
stesso fu costretto a ritirarsi a causa della terribile epidemia di peste nera che andava abbattendosi
sulla città (64.000 vittime).
Eventi celebri
Durante il periodo della dominazione angioina a Napoli si verificarono alcuni eventi rimasti famosi
ancor oggi: la decapitazione del giovane Corradino di Svevia nel 1268, l'assassinio di Andrea
d'Ungheria (marito di Giovanna I d'Angiò, l'entrata a Napoli di suo fratello Luigi, l'assedio della
città da parte di Carlo di Durazzo, in seguito Carlo III, la reggenza di Margherita di Durazzo, le
epidemie di peste nel 1348, 1362 e 1399, le lotte di Luigi II d'Angiò per ottenere il regno, il duro
regime di Ladislao I d'Angiò, gli assedi alla città nelle lotte per la successione di Giovanna II
d'Angiò (1414-1435) fra Renato d'Angiò e Alfonso V d'Aragona finché quest'ultimo, dopo essere
penetrato nella città attraverso un acquedotto, nel 1442 poté occupare definitivamente Napoli e
metter fine alla dinastia angioina durata quasi due secoli (1268-1442).
Gli Aragonesi
Sotto gli Aragonesi l'ingrandimento urbano di Napoli divenne molto maggiore, con la costruzione di
una nuova cinta muraria che aveva ventidue torri cilindriche. Si ebbe inoltre un notevole impulso
demografico tanto che la città toccò 110 mila abitanti sul finire del XV secolo, per le continue
immigrazioni, non esclusa una numerosa colonia di ebrei profughi dalla Spagna e dalla Sicilia.
Il primo dei re aragonesi, Alfonso I non seppe conquistare l'animo dei Napoletani, soprattutto per
essersi circondato troppo da Catalani e per aver governato col ricorso esclusivo a soldati mercenari.
Nelle pretese contrastanti fra Angioini e Aragonesi si innestava il conflitto interno fra la monarchia
e i baroni, manifestatasi in episodi drammatici come la Congiura dei baroni sotto il regno del
successore di Alfonso. Ciononostante Alfonso I si prodigò ad abbellire Napoli che in quel periodo
divenne una delle principali capitali dell'Italia rinascimentale. Protesse le arti e le industrie,
introducendo nel regno la lavorazione della seta. Vari anni prima dell'avvento al papato di Niccolò
V, fu uno dei sovrani più appassionati dell'antichità e favorì lo studio degli antichi autori.
Convennero alla sua Corte umanisti celebri come Lorenzo Valla (che proprio a Napoli compose lo
scritto sulla falsa Donazione di Costantino) il Panormita (che fondò una famosa accademia
umanistica guidata successivamente dall'umbro Giovanni Pontano), Francesco Filelfo, Enea Silvio
Piccolomini (l'umanista, in seguito papa Pio II). Per aiutare la salita la trono del figlio Ferdinando,
Alfonso cedette le isole di Sicilia, Sardegna e Baleari a suo fratello Giovanni II di Aragona.
Il successore Ferdinando primo (o Ferrante) (1458-1494) continuò l'opera paterna di sviluppo
edilizio e di mecenatismo. Completamente italianizzato, si deve a lui l'ampliamento della cinta
muraria ricordata poco fa. Fra i principali monumenti edificati sotto il suo regno basti ricordare
Porta Capuana, Palazzo Como, costruito fra il 1464 e il 1490), Palazzo Diomede Carafa, costruito
attorno al 1470, la facciata del Palazzo dei principi di Salerno, attualmente facciata della Chiesa del
Gesù Nuovo (1470 circa). Il favore popolare degli ultimi Aragonesi, soprattutto di Alfonso II, fu
scarso. Dopo gli effimeri regni di Ferrandino e Federico d'Aragona, la breve apparizione di Carlo
VIII e la nuova occupazione francese, nel maggio del 1503, Napoli accolse festosamente il viceré
Gonzalo Fernández de Córdoba.
Età moderna
Il Viceregno spagnolo
Per approfondire, vedi la voce Regno di Napoli#L'egemonia francese e il primo vicereame.
Il Regno di Napoli venne conquistato dagli Aragonesi nel 1442 e, in seguito, dagli spagnoli nel
1501, che lo tennero fino al 1707. Nel periodo di dominio spagnolo nacquero i quarteras, oggi
meglio conosciuti come Quartieri Spagnoli (in vernacolo 'e quartieri), e cominciò a consolidarsi il
ruolo della camorra.
Il Viceregno austriaco
Il Regno borbonico di Napoli
Nel corso della Guerra di successione spagnola, l'Austria conquistò Napoli e la tenne fino al 1734,
quando con Carlo III di Borbone - dopo la guerra di successione polacca - il regno tornò
indipendente. Sotto Carlo III Napoli rafforzò maggiormente i suoi status politici, artistici, culturali,
architettonici, ecc.. fattori che, indubbiamente, sottolinearono il suo ruolo di una tra le principali
capitali europee, e l'opera di Carlo (che nel 1759 lasciò Napoli per assumere la corona di Spagna) fu
continuata dal figlio Ferdinando IV, finché non venne rovesciato dalle correnti rivoluzionarie e
dalle truppe francesi nel 1799.
La repubblica partenopea
La Repubblica Napoletana sorta nel 1799 sul modello di quella francese ebbe vita breve ma intensa,
non incontrando però mai il favore popolare essendo i suoi esponenti intellettuali molto lontani
dalla conoscenza delle necessità reali del popolo. La Repubblica inoltre, sebbene non riconosciuta
dalla Francia, fu di fatto sottoposta a una "dittatura di guerra" francese che ne limitò di molto
l'autonomia e la costrinse a sostenere le ingenti spese causate principalmente dalle richieste
dell'esercito francese costantemente in armi sul suo territorio. A questo si aggiunse una fortissima
repressione contro gli oppositori del nuovo regime che certo non aiutò a conquistare le simpatie
popolari (alcune fonti parlano di oltre 1500 persone condannate a morte e fucilate dopo sommari
"processi politici" in tutto il Regno).
La Repubblica fu comunque spazzata via dopo pochi mesi dall'armata "sanfedista" del cardinale
laico Fabrizio Ruffo, appoggiato dalla flotta inglese e formata in gran parte dai cosiddetti
"lazzari" (i popolani napoletani filo-borbonici). La riconquista di Napoli da parte di Ferdinando fu
però segnata dalla repressione nei confronti dei maggiori esponenti della Repubblica Napoletana,
seguita da circa un centinaio di esecuzioni.
Età contemporanea
Il Regno francese di Bonaparte e Murat
Dopo pochi anni, comunque, nel 1806, Napoli fu conquistata nuovamente dai francesi (nonostante
la vittoria anglo-napoletana di Maida, in Calabria). La guerra continuò fino al 1808 quando tutta la
parte continentale del Regno fu conquistata e posta sotto il controllo di Giuseppe Bonaparte, fratello
di Napoleone.
Nel 1811 il re Gioacchino Napoleone Murat, grande urbanista, vi fece istituire la Scuola di
applicazione per il corpo degli ingegneri di ponti e strade, costituitasi come Scuola superiore
politecnica ai primi del XX secolo per poi essere aggregata all'attuale università Federico II
diventando, nel 1935, la prima facoltà di Ingegneria in Italia. Murat sopravvisse di poco a
Napoleone e fu spodestato dai Borbone; tentò con un sbarco in Calabria la riconquista armata del
regno, finendo fucilato, in rispetto di una legge emessa dallo stesso Gioacchino.
Il ritorno dei Borbone
Nel 1815 la città ritornò in mano a Ferdinando e ai Borbone, con la Restaurazione successiva alla
caduta di Napoleone Bonaparte. Il ritorno dei Borbone avvenne grazie al Trattato di Casalanza,
firmato il 20 maggio 1815 presso Capua, in casa dei Baroni Lanza. Con il Regno dei Borbone i
Primati del Regno delle Due Sicilie si moltiplicarono ed il popolo vide le sue condizioni migliorarsi
gradualmente. L'apice di questo miglioramento fu il periodo del governo dell'ultimo sovrano
'illuminato' della storia dell'umanità, Ferdinando II di Borbone, monarca che verrà in seguito
vilipeso e crocefisso dalla storiografia ufficiale italiana, che corrisponde ovviamente a quella
piemontese di stampo filo-sabaudo.
Napoli dopo l'Unità
Dal 1860 alla seconda guerra mondiale
Nel 1860 il Regno delle Due Sicilie, venne conquistato dai Garibaldini e dalle truppe del Regno di
Sardegna. Un plebiscito sancì l'unione al Regno d'Italia. In molti territori del vecchio Regno
l'opposizione al nuovo regime durò per un ventennio, con deportazioni, massacri di civili e
devastazioni. Parte della guerriglia contro le forze piemontesi si organizzò con il brigantaggio.
Perso il rango di capitale, la città rimase comunque il centro politico, economico e sociale più
importante dell'Italia meridionale. Col passare degli anni, Napoli riprese, anche se in modo
effimero, il suo ruolo di principale porto del Mediterraneo: divenne il porto dal quale partivano le
spedizioni per le colonie d'oltremare (Libia, Eritrea, Somalia, il Dodecanneso e successivamente
Etiopia) e soprattutto, diventò il porto dal quale milioni di italiani emigrarono in Argentina e negli
Stati Uniti.
Colpita duramente anch'essa, come le altre città italiane, durante la crisi economica del primo
dopoguerra, Napoli si riprese, in parte, durante il ventennio fascista, anche se, comunque, perse il
ruolo di porto militare, dato che la flotta venne trasferita a Taranto.
L'economia cittadina crollò all'ingresso dell'Italia nella guerra. Semidistrutta dai bombardamenti
inglesi tra il 1940 ed il 1941 (che avevano in Malta una formidabile base strategica), da quelli
americani tra il 1942 ed il 1943 (alla vigilia dello sbarco di Lampedusa) ed, infine, da quelli
tedeschi tra il 1943 ed il 1945.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre da parte del Re che firmò la resa agli anglo-americani, i tedeschi
occuparono la città il 12 settembre 1943; ben presto incominciarono le rivolte degli abitanti contro
l'occupazione e il colonnello Scholl il 12 settembre 1943 fece affiggere un famoso manifesto con
cui proclamava lo stato d'assedio in citta, con l'ordine di "passare per le armi" ogni cittadino si fosse
reso responsabile di azioni ostili con rappresaglie di cento civili per ogni tedesco ucciso.
Dopo diversi scontri e rappresaglie contro la popolazione, il 24 settembre il Comando tedesco
ordinò lo sgombero di tutte le abitazioni entro 300 metri dalla linea di costa e il giorno dopo venne
proclamato il "servizio obbligatorio al lavoro nazionale" generalizzato (in pratica la deportazione
della popolazione attiva). Questo rappresentò in pratica la scintilla che fece esplodere
definitivamente la rivolta generalizzata.
Napoli fu la prima città italiana ad insorgere contro l'occupazione militare nazista: in quattro famose
giornate (dal 28 settembre al 1° ottobre 1943), la folla insorse contro i tedeschi permettendo così,
pochi giorni dopo agli anglo-americani di poter giungere in città e occuparla già libera, senza
perdite, e proseguire verso Roma. Per queste azioni e per le sofferenze patite dalla popolazione
Napoli sarà tra le città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione insignita della
Medaglia d'Oro al Valor Militare[11].
Per approfondire, vedi la voce Quattro giornate di Napoli.
Dal secondo dopoguerra ad oggi
Alla fine della guerra, quando si trattò di votare il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica,
Napoli si schierò seppur di misura in favore della prima. Fenomeno, questo, che si verificò in tutto
il Sud Italia. Tuttavia, nel capoluogo campano, l'11 giugno 1946 - pochi giorni dopo la
proclamazione della vittoria repubblicana - una spontanea protesta popolare in via Medina sfociò in
un violento scontro, dalle circostanze mai oggettivamente chiarite, che provocò diversi morti. Pochi
giorni dopo, fu Enrico De Nicola, napoletano, ad essere eletto primo presidente della Repubblica.
Nel secondo dopoguerra, Napoli ha avuto, come molte altre città italiane, un boom economico:
edilizia, sanità, istruzione, lavoro. Tutti fattori che mantennero Napoli ad essere la terza città
italiana più importante dopo Roma e Milano, ma davanti a Torino, Genova e Venezia. Il boom però
finì presto, anche a causa delle speculazioni favorite da settori dell'amministrazione pubblica
centrale (IRI e Cassa del Mezzogiorno). "Fuori" dai grandi giochi politici del Paese, a Napoli
accaddero fatti di rilievo della "strategia della tensione" e del terrorismo. Dalla nascita dei NAP alla
Colonna Senzani delle Brigate Rosse, passando attraverso l'arresto e la prigionia di centinaia di
militanti. Durante il terremoto del 1980, che distrusse quasi l'intera Irpinia, Napoli fu, seppur solo in
alcune zone, fortemente danneggiata, ma non ottenne, nonostante le denunce del sindaco di allora
Valenzi (indipendente del PCI), grosse somme di denaro per la ricostruzione. In molti casi, i lavori
di recupero durarono per un decennio, complicando il già precario assetto dell'urbanistica cittadina.
Negli anni che seguirono, diversi fatti eclatanti accaddero nel capoluogo partenopeo, come la
nascita della NCO di Raffaele Cutolo, organizzazione camorristica, ed il rapimento da parte delle
Brigate Rosse dell'Assessore Regionale Ciro Cirillo. Da una situazione economica e sociale così
difficile, fu la camorra a proliferare. Oggi, molte attività napoletane sono controllate, direttamente o
indirettamente, dalla camorra, che ha reso la città celebre per il mercato dei media contraffatti,
elettronica cheap, droghe derivanti dalla coca e dall'hashish. L'emergenza rifiuti, iniziata nel 1994 e
tuttora in corso, ha messo la città in ginocchio e dimostrato il forte legame tra politica e camorra nel
capoluogo campano, come dimostrano i processi a carico del governatore Antonio Bassolino e di
diversi esponenti di centro-destra e centro-sinistra.
Bibliografia
Pietro Summonte, Historia della città e del regno di Napoli, Napoli, 1748
Michelangelo Schipa, Storia del ducato napolitano, Napoli, 1895
Bartolommeo Capasso, Napoli greco-romana, Napoli, 1905
G. De Petra, Le origini di Napoli, Napoli, 1905
Alberto Pirro, Le origini di Napoli, Salerno, 1906
(EN) Roy M. Peterson, The cults of Campania, Roma, 1919
Emanuele Ciaceri, Storia della Magna Grecia, Milano - Roma, 1924
Ernesto Pontieri, Il Regno Normanno, Milano, 1932
Pugliese Carratelli, Sul culto delle sirene nel golfo di Napoli, in "La parola al passato",
Napoli, 1952
Mario Napoli, Napoli greco-romana, Napoli, 1959
Jean Bérard, La Magna Grecia, Torino, 1963
Gino Doria, Storia di una capitale. Napoli dalle origini al 1860., Ricciardi, Milano-Napoli,
1975
Vittorio Gleijeses, La storia di Napoli dalle origini ai nostri giorni, Napoli, 1977
Lucio Santoro, Le mura di Napoli, Roma, 1984
Note
1. ^ come è confermato dalla necropoli sottostante l'attuale via Nicotera dove si sono recuperati
vasi di importazione protocorinzi e coppe ioniche di quell'epoca.
2. ^ da Partenu-Opsis ossia "aspetto verginale".
3. ^ Una datazione eccessivamente alta ce la dà il geografo Strabone, secondo il quale alcuni
coloni provenienti da Rodi avrebbero stabilito tra il IX e l'VIII secolo a.C. un emporio
commerciale sull'isolotto di Megaride (ove attualmente sorge il Castel dell'Ovo), mentre i
Cumani verso il 680 a.C. avrebbero fondato sul colle di Pizzofalcone un primo nucleo della
Napoli storica, la colonia di Partenope, per sostenere la propria politica di espansione nel
golfo sottostante e controllarne gli accessi, incrementando le loro già fiorenti attività
commerciali.
4. ^ Falcone Beneventano, Chronicum Beneventanum [1]
(http://www.cesn.it/Cronisti/falcone_benevento.htm)
5. ^ Amedeo Feniello, Napoli normanno-sveva, Roma, 1995
6. ^ Michelangelo Schipa, Storia del ducato napolitano, Napoli, 1895
7. ^ Eberhard Horst, Federico II di Svevia, Rizzoli, Milano, 1981
8. ^ Giovanni Villani, Nova Cronica, 1526
9. ^ Constitutio super ordinatione regni Siciliae in "Bullarium Romanum", Torino, IV, 70-80
10. ^ . Va ricordato che, in Castel Nuovo, il 13 maggio 1317 fu firmata la pace tra Guelfi e
Ghibellini toscani
11. ^ la motivazione ufficiale della consegna della medaglia d'oro al Valor Militare
(http://www.quirinale.it/onorificenze/DettaglioDecorato.asp?
idprogressivo=18845&iddecorato=18392)
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