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BENEVENTO
"XXIX Convegno Chitarristico"
15 ottobre 2016
Teatro De Simone
di
Edoardo Farina
Crediti fotografici: “Chitarra in Italia”
Il “Convegno Chitarristico”, tenutosi a Benevento sabato 15 ottobre
2016, ha raggiunto la ventinovesima edizione: un evento che
costituisce motivo di prestigio per la chitarra classica e il suo splendido
repertorio, il cui interesse è cresciuto enormemente negli ultimi
decenni con insospettata rapidità, organizzato dal Comitato Scientifico
del progetto Chitarra in Italia, ponendosi un incontro di studio e
approfondimento di consolidato valore.
Dopo la presenza a Modena per alcuni anni presso le sale del palazzo
Coccapani - D’Aragona di Corso Vittorio Emanuele II, nella stessa che
aveva accolto nel 1933 la prima assoluta, a partire dal 2013 l’iniziativa
ha avuto di nuovo un carattere itinerante in linea con la tradizione
avviata dal M° Romolo Ferrari (1894-1959) fautore della rinascita
chitarristica italiana, ripresa ufficiale avvenuta nel 2009 dall’ultimo
appuntamento risalente addirittura al 1962.
Facendo seguito alle edizioni di Sanremo, Brescia e Roma, la nuova è
approdata nella città campana grazie alla collaborazione del M° Piero
Viti e del Conservatorio Statale di Musica ‘Nicola Sala’, importante Ente
che ha offerto il proprio patrocinio, tenutosi anche quest’anno in una
cornice di particolare pregio, il Teatro De Simone.
Il programma come di consueto ha previsto interventi musicali
affiancati a relazioni su temi di ricerca a cura di maestri e studiosi di
chiara fama, nell’obiettivo di approfondire la storia chitarristica nel suo
svolgimento storico dal Rinascimento ad oggi.
L’appuntamento decreta l’indiscutibile successo raggiunto nel
promuovere cultura musicale di elevata rinomanza, premiata dalla
felice risposta del pubblico nei passati svolgimenti e dal rinnovato
interessamento verso un preciso intento di diffondere una particolare
forma di espressione artistica ponendosi come incontro di studio e
approfondimento di consolidato valore, volto alla conoscenza del
repertorio e della storia dello strumento più poliedrico del mondo.
Pregio fondamentale del Convegno fin dal primo incontro, così come
l’intelligente impostazione che lo ha sempre contraddistinto, è stato da
un lato l’alta professionalità dei solisti invitati, chitarristi di comprovata
fama mondiale con proposte di programmi altamente appetibili per una
presenza eterogenea, dall’altro e nello stesso tempo, lo spazio alle
interessanti conferenze storico didattiche, rivolte non necessariamente
solo agli “addetti ai lavori”, coinvolgendo per la prima volta anche il
sud Italia vivaio negli ultimi anni di una grandissima rinascita della
“seicorde”.
Questo significativo traguardo è stato possibile già a suo tempo grazie
all’impegno congiunto di alcune persone, in primo luogo ancora
Romolo Ferrari che per primo si è adoperato a suo tempo presso il
Ministero, impegnandosi per anni e contribuendo in modo decisivo
all’avvio di un cammino rivelatosi lungo e faticoso verso il
riconoscimento ufficiale dell’insegnamento della chitarra negli istituti
statali.
Sotto la direzione artistica di Simona Boni, dopo il saluto del
Direttore del Conservatorio, Giuseppe Ilario e il docente di chitarra
classica Piero Viti, l’incontro si è rivelato ancora una volta un’occasione
per approfondire la conoscenza con concertisti, liutai e studiosi,
riconfermando la tradizione riportata in auge come qualificato evento
capace di coinvolgere numerosi collaboratori e una platea sempre più
partecipe e propositiva, attraverso il supporto del comitato scientifico,
costituito da Giuliano Balestra, Giovanni Indulti, Vincenzo Pocci, Enrico
Tagliavini e la stessa Boni, progettando la giornata affiancando
interventi musicali a relazioni su diversi temi di ricerca, in seguito
riportati, e contribuendo così, anche grazie al grande pregio artistico e
culturale del contesto, a rendere davvero speciale questa nuova
versione.
“Al di là dell’evento, che sancisce un nuovo capitolo della storia della
chitarra in Italia, - spiega Simona Boni - le ragioni che rendono
davvero forte il nesso tra il nostro strumento e la città di Benevento
sono molteplici e si combinano in modo inscindibile con l’impegno di
concertisti, compositori e didatti attivi nel contesto meridionale che nel
tempo passato e presente hanno dato il loro contributo all’arte
chitarristica. Per questo motivo nel programma del Convegno, in linea
con lo spirito che muove questo progetto, abbiamo voluto ancora una
volta dare spazio ad alcune fra le tante personalità legate
biograficamente alla Scuola Napoletana, affiancandole ad altre
testimonianze artistiche provenienti da tutta l’Italia, in modo da
raggiungere sempre una dimensione ricca ed articolata”.
Ad apertura lavori, il primo intervento tradizionalmente in ordine
cronologico e dedicato quindi al repertorio antico della chitarra, è stato
tenuto da Marcello Vitale con il tema “I labirinti della chitarra. Idee
per un approccio creativo alle chitarre antiche”.
Come sostiene, nell’interpretazione di ogni esecutore, se veramente un
artista e non solo sotto l’aspetto tecnico e meramente virtuosistico, c’è
qualcosa di alchemico. Egli diviene effettivamente “un ponte” che
unisce l’autore dell’opera con i suoi fruitori e anche se questi non sono
esperti saranno gratificati pienamente dall’ascolto. Questo è il compito
supremo da parte dei grandi interpreti, ridare voce ad un foglio pieno
di simboli da decodificare in modo il più possibile autentico e fedele,
ma soprattutto vivo e attuale. La musica composta nel Barocco, non
sarà mai quella di allora, proprio perché diversi sono i contesti
differenti tra loro. Attualizzare, tuttavia, non vuol dire riproporre
Gaspar Sanz con la chitarra elettrica, anche se non lo si esclude a
priori: è un processo più complesso che deve contestualizzare
nuovamente brani destinati ad altri spazi, altri usi e finalità, altre
motivazioni e altri ascoltatori ove la chiave di lettura storica può
risultare riduttiva se non inserita in una tradizione viva e continuativa.
Seguendo questa ottica, l’attenzione va all’universo popolare e alla
musica ad esso legata e ‘sopravvissuta’, dovendo integrare difatti le
fonti scritte con quelle connesse alla tradizione orale. Dallo studio degli
strumenti ‘etnici’, delle loro caratteristiche costruttive, del loro impiego
sociale e delle tecniche esecutive, affiorano sentieri che ci conducono
direttamente, anche se in maniera piuttosto articolata, allo spirito e
alla prassi di una determinata epoca storica, quindi più che una
mappa, un labirinto concettuale.
Non esiste una sola rilettura autentica del testo, ma possono essere
molteplici e tutte valide e veritiere a condizione che a farlo sia un
musicista competente e intellettualmente corretto.
La successiva presenza di Damiano Rosa in “Johann Kaspar Mertz, un
chitarrista romantico nella Vienna di metà Ottocento” ha preso in
esame il periodo storico appartenuto a Mertz caratterizzato da un lato
dal tranquillo estetica borghese stile Biedermeier, dall’altro dalle
violente rivolte che infiammarono Vienna e il resto d’Europa nel 1848.
Un quadro articolato della situazione della chitarra in Europa nel
periodo in cui egli visse è delineato dal chitarrista, scrittore e
lessicografo Nikolaj Petrovic Makarov (1810-1890) che ci rivela
attraverso le sue memorie una fervente attività di chitarristi, editori e
liutai anche se, per sua stessa ammissione, molto spesso la qualità e
l’originalità delle opere era scarsa in quanto per lo più destinata ad una
fruizione dilettantistica. Makarov incontrò Mertz a Vienna nel 1851
rimanendo molto colpito sia dalle sue qualità di esecutore ma
soprattutto da quelle di compositore.
Rosa ha illustrato quindi alcuni lavori di Mertz, le trascrizioni ed opere
originali nonché la sua sintetica quanto interessante Schule für die
Guitare in una prospettiva didattica utile ad avvicinare i giovani
studenti alla tecnica e alla prassi esecutiva del repertorio romantico
eseguito su strumenti originali ove nella presente occasione è stata
impiegata una chitarra Vincenzo Chalet costruita a Roma nel 1851 e
più in generale ad un periodo storico denso di connessioni con vari
ambiti non solo musicali.
Paolo Lambiase – Piero Viti con il tema “L’integrale delle opere per
due chitarre di J.K. Mertz: una nuova versione discografica dopo 25
anni dalla prima incisione” ha ricordando l’aneddotica frase celebre di
Fryderyk Chopin “Niente è più bello di una chitarra, eccetto due” da lui
pronunciata pare dopo avere ascoltato il più importante duo
chitarristico di allora, formato da Dionisio Aguado e Fernando Sor.
Basando l’intervento prevalentemente sulla ricerca editoriale delle
opere del chitarrista slovacco, nel corso degli anni successivi ai nuovi
ritrovamenti, è stato possibile ampliare il catalogo dei lavori per due
chitarre. Alcuni di questi sono stati inclusi nelle registrazioni di duo
operanti sulla scena internazionale, anche se tutte le recenti
monografie riguardanti l’autore risultano a vario titolo curiosamente
mancanti della lista completa dei brani originali.
In quest’anno, 2016, nel quale ricorrono insieme i 35 anni della
fondazione del duo chitarristico formatosi nel lontano 1981 e i 25 anni
dall’uscita del loro primo compact disc, hanno quindi intrapreso un
nuovo progetto discografico, in collaborazione con l’etichetta
“dotGuitar” guidata da Lucio Matarazzo, che ha previsto, per l’appunto,
la riedizione dell’integrale delle opere per due chitarre di Johann
Kaspar Mertz completa di tutti i 17 lavori sin qui riscoperti, illustrando i
brani di più recente revisione, eseguendone dal vivo alcuni e occasione
per sottolineare e porre ancora una volta l’accento su uno tra i
repertori più validi e affascinanti di pagine originali dell’Ottocento
destinate al duo chitarristico.
A seguire, Flavio Nati con la figura di “Giulio Regondi: da ‘enfant
prodige’ a virtuoso polistrumentista”.
Insieme a Johann Kaspar Mertz e Napoléon Coste, Giulio Regondi
(Ginevra 1822 o Genova? - Londra 1872) rientra in quella triade di
chitarristi-compositori che seppero dare un proprio originale contributo
al
repertorio
concertistico
del
nostro
strumento,
offrendo
un’interpretazione del tutto personale dello spirito romantico, seppure
in un clima di profonda crisi per le sei corde. Spesso descritto come
personalità di animo mite e sensibile, Giulio Regondi ebbe un’infanzia
tutt’altro che facile: i suoi primi ricordi erano infatti legati
all’intransigenza del padre, forse adottivo, Giuseppe Regondi,
sedicente insegnante di musica.
Questi infatti, intuendo le possibilità del figlio, lo costringeva a studiare
svariate ore al giorno chiuso a chiave nella loro casa di Lione,
situazione che però il piccolo Giulio pare accettasse di buon grado. Già
all’età di sette anni, spiega Nati, egli si ritrovò così ad esibire il proprio
talento di enfant prodige, divenendo ben presto un virtuoso di caratura
internazionale tanto da conquistarsi l’ammirazione di Fernando Sor e
Matteo Carcassi, i quali dedicarono al giovane alcune delle loro opere.
La sua notorietà tuttavia accrebbe ancora di più dopo aver preso
‘confidenza’ con la concertina, simile ad una fisarmonica ma di forma
esagonale, ideato dal fisico ed inventore britannico Charles
Wheatstone.
Sarà proprio questo strumento ad incoronare Regondi come un
virtuoso senza pari offrendogli l’opportunità di esibirsi trionfalmente in
numerose tournée in Inghilterra, suo paese d’adozione, e in tutta
Europa, duettando con celebri artisti quali: Clara Schumann, Ignaz
Moscheles, Maria Malibran, Franz Xaver Wolfgang Mozart.
A conclusione, Nati ha analizzato dal punto di vista stilistico e tecnicostrumentale il repertorio per chitarra, avvalendosi anche di alcune
recenti aggiunte al suo catalogo: i 10 Studi e la Fantasia su un tema
dai Montecchi e Capuleti di Bellini, nonché le uniche opere didatticoteoriche, entrambe pensate per la concertina: il New Method e i
Rudimenti del Concertista, da cui è possibile attingere informazioni
preziose che attengono al suono, l’ornamentazione, l’articolazione, la
dinamica e l’esecuzione di musica polifonica.
Antonio Rugolo, supportato dalla partecipazione di Marco Caiazza e
Angelo Gillo, ha inteso riscoprire la figura di “Guido Santorsola: storia
di un didatta amante delle seicorde”.
Nella poliedrica attività artistica del maestro italo-brasilianouruguayano Guido Santorsola (Canosa di Puglia 1904 - Montevideo
1994, violinista, violista, direttore d’orchestra, compositore, docente di
armonia contrappunto e composizione), la didattica ha sempre
ricoperto un ruolo di fondamentale importanza. Il suo primo incontro
con la scrittura per chitarra risale al 1942 quando un alunno,
fortemente convinto delle potenzialità del suo maestro, lo convince a
scrivere un concerto per chitarra ed orchestra da camera in soli dodici
giorni per partecipare ad un concorso di composizione indetto dal
S.O.D.R.E. (l’ente radiofonico nazionale uruguayano).
Santorsola vince il primo premio e da questo momento la chitarra
diviene strumento prediletto per esprimere la sua estetica sia nei brani
da concerto che in poche ma rilevanti opere didattiche come le tre
raccolte di Estudios e le due Suite all’Antica per una e due chitarre.
Fortemente convinto della valenza formativa della musica da camera
per il percorso di crescita musicale e artistica dei discenti, scrive anche
due Concertini per tre chitarre e per tre chitarre e piano, recentemente
ripubblicati a cura dello scrivente dalle edizioni Bèrben di Ancona,
prima disponibili solo in manoscritto.
Rara interpretazione da parte del trio chitarristico di un autore
ingiustamente dimenticato nel corso degli ultimi decenni, è stato
proposto l’ascolto del Preludio della Suite all’Antica per chitarra sola
scritto su richiesta di Isais Savio che colpito dalla bellezza del concerto
vincitore del concorso sopra citato, chiese al collega di comporre per i
suoi allievi un’opera in stile classico che non fosse però troppo difficile.
Accanto ad alcune pagine dell’altra Suite all’Antica per due chitarre,
grazie alla collaborazione di Marco Caiazza e Angelo Gillo, abbiamo
ascoltato l’intero Concertino n. 1 scritto in stile neoclassico nel 1978,
periodo dichiaratamente dodecafonico, riservando spesso ritorni alla
scrittura tonale mai abbandonata del tutto, lasciando solo alle pagine
da concerto di ampio respiro l’utilizzo della sua originale composizione
seriale.
Al termine della mattinata i maestri si sono riuniti per la
fotografia d’insieme compresi tutti i partecipanti a ricordo della
giornata, procedendo con il consueto momento conviviale svoltosi nelle
sale dell’adiacente Conservatorio; tra varie degustazioni e
conversazioni tra gli intervenuti, si è ripreso con la seconda parte con
l’intervento di Stefano Aruta “Teresa de Rogatis: una musicista ed un
pensiero tra le pieghe dell’oblio”, senza ombra di dubbio una musicista
alla quale la storiografia chitarristica non ha dedicato tutta l’attenzione
che la sua caratura artistica ed umana meritano; nata a Napoli nel
1893 e ivi scomparsa nel 1979, singolare e rara avis, per il suo tempo,
poliedrica e coltissima, fu allieva per il pianoforte di Florestano
Rossomandi e per la composizione di Camillo de Nardis presso il
Conservatorio “San Pietro a Majella”, mentre per la chitarra il suo
unico maestro fu il padre, Tommaso de Rogatis, eccellente chitarrista
che pare sia stato allievo a sua volta di un allievo di Carulli.
In questo breve incontro, Aruta non si è voluto tanto soffermare su un
agiografico elenco di successi raccolti, quanto farsi latore del suo
pensiero musicale e non, del quale è stato testimone diretto
considerando affetto che Teresa de Rogatis gli ha sempre
personalmente profuso a piene mani nei suoi confronti, sentendo di
dovere a Teresa questa testimonianza affinché tutto non si perda
definitivamente negli anni a venire.
Antonio Grande in “La musica per chitarra a Napoli dal secondo
Novecento ai giorni nostri”, fatta eccezione per i lavori di Raffaele
Calace e Teresa De Rogatis, un primo nucleo di composizioni per
chitarra si delinea a Napoli nel secondo dopoguerra: con diversa
incisività e pretesa esse manifestano un’istanza di novità, forse
qualcosa di stravagante e marginale, ma nuovo. Non bisogna
dimenticare
lungo tutto
espressione
Scuola di S.
infatti il peso preponderante che ha avuto il pianismo
l’arco del Novecento napoletano, musica neobarocca,
della tradizione e del ‘mestiere’ caratteristici della antica
Pietro a Majella.
Nessuno di questi lavori può definirsi epocale, ma testimonianza di
maestria e proprietà di stile; essi sono legati alla presenza accademica
in città, dal 1959 al 1973, di Mario Gangi, virtuoso internazionale ed
esperto di nuove musiche. Un isolato cammeo è poi costituito dal
brano Azulejos del compositore e direttore d’orchestra Eleuterio
Lovreglio pubblicato postumo da Max Eschig nel 1977, nella versione
originale su doppio pentagramma. L’ultimo ventennio è stato poi
contrassegnato da una produzione più ampia, trasversale: si va dallo
sperimentalismo più ardito al recupero neo-tonale. Sul fronte
cameristico si sviluppa inoltre una nuova letteratura, su sollecitazione
dei Duo stabili operanti sul territorio.
Fabio Fasano ha esposto “Le Sonate per chitarra di Raffaele
Iervolino”, attraverso l’intervento incentrato sulla presentazione e sulla
descrizione delle stesse scritte dal compositore campano (1963) e
pubblicate dalle edizioni Esarmoniam.
In particolare è stata eseguita integralmente la Sonata Eduardo
(Sonata trascendentale op. 26, omaggio a Eduardo De Filippo,
dedicata ad Angelo Gilardino) nei quattro movimenti: Disoccupazione,
Canzone disperata, Scherzo, Grido al mondo, la cui prima stesura
risale al 1991, è la prima di importanti proporzioni scritta dall’autore
raccontando la sua storia personale sofferta ma ricca di umanità e di
profonda sensibilità, descrivendo inoltre le matrici più autentiche della
sua ispirazione. Lo stile è personale ed originale fondendo la lezione di
compositori che appartengono alla storia della chitarra quali Margola e
Gilardino con l’anima e l’essenza della musica e della cultura
partenopea.
Antonella Col ha parlato invece del “Metodo globale di musica
bioenergetica: come diventare atleti della musica e suonare con gioia”
attraverso una particolare sinergia, frutto di un percorso di studio e di
ricerca che ha condotto dopo anni di esperienza in campo concertistico
e didattico. Si tratta di una nuova metodologia di sostegno il cui
obiettivo è il superamento dello stress e il ripristino dell’armonia psicofisico-emozionale per condurre una professione musicale in salute e
protetta dall’usura psicofisica.
Il Metodo utilizza una tecnica di consapevolezza ed espressione
corporea ideata negli anni ‘60 dal medico americano Alexander Lowen
come base per migliorare la consapevolezza del corpo e del potenziale
emozionale ed energetico a disposizione di ognuno.
Nel presente incontro ha quindi illustrato le quattro fasi salienti della
disciplina e il suo lavoro con i musicisti nell’affrontare le problematiche
più frequenti che vanno dalla correzione della postura al miglioramento
della performance artistica, dall’affrontare l’ansia da concerto
all’interpretazione materiale dello spartito, dall’allenamento aerobico
alle tecniche di comunicazione per sapersi proporre nel mondo del
lavoro, attraverso un sunto storico dei casi più significativi e una breve
esperienza riportata in uditorio compatibilmente con i tempi concessi a
disposizione.
Mario Fragnito in “Elementi di fisica applicati alla tecnica strumentale
esecutiva” ha inteso fornire il suo contributo per chiarire alcuni aspetti
inerenti allo studio della chitarra. Ciò che ha descritto è il risultato
dell’ormai trentennale lavoro di didatta, partendo dallo sforzo, o
almeno tentare di farlo, per azzerare le informazioni attinte negli anni
che non fossero supportate da regole scientifiche.
Come spiega, suonare in concreto significa tradurre il pensiero
partendo quindi da un’idea che necessita di un insieme di esatti
spostamenti per essere rappresentata, essenza concreta per qualsiasi
esecuzione ed ogni strumentista, ove creare una mappa di corrette
posizioni a cui rifarsi durante l’esposizione. Tutto ciò che è fisico,
l’essere umano incluso, è sottoposto e regolato dalle stesse leggi della
fisica, specificamente della meccanica, della statica, della dinamica,
della cinetica e della cinematica.
Da questo presupposto se ne deducono tante interessanti indicazioni e
relative conclusioni inerenti al posizionamento dello strumento, alla
postura dello strumentista, all’ottimizzazione delle sequenze dei
movimenti che egli deve compiere in modo tale da rispondere
strettamente ai propri principi interpretativi. Questo lavoro tende a
stimolare riflessioni su aspetti di primaria importanza: la progettazione
e la realizzazione dell’articolazione, la produzione del suono, gli schemi
motori.
La conclusione della giornata è stata affidata al celebre chitarrista
Bruno Battisti D’Amario, noto al grande pubblico già negli anni ’70
per la realizzazione dei primi dischi stereofonici italiani prodotti
dall’etichetta “Vedette - Phase 6 Super Stereo” allora gestita dal
direttore d’orchestra e violinista Armando Sciascia nel genere della
musica leggera, quindi la collaborazione nelle colonne sonore dei film
western di Sergio Leone attraverso i capolavori di Ennio Morricone, ove
al tempo ne era tra l’altro eccellente esecutore alla chitarra elettrica.
Da “Quel suono magico” ne riportiamo interamente la breve e
interessante biografia da lui stesso raccontata.
“Malgrado avessi un padre musicista, era il primo violino dell’orchestra
“B” della Rai, mi sono avvicinato alla chitarra per merito di mio nonno
materno che un giorno, alla fine della guerra, mi fece ascoltare con la
sua chitarra, un delizioso strumento francese del 1836 con il re
volante, un breve e semplice brano: non so quale fosse, ma ancora
oggi ricordo molto intensamente quel suono interiorizzante e caldo. Fui
fulminato e con l’opposizione di mio padre, che considerava la chitarra
strumento relegato al dilettantismo mi dedicai completamente al suo
studio. Nel 1956 mi convinsi a entrare al “Santa Cecilia” di Roma, dove
tra l’altro incontrai la mia futura moglie. Il primo Corso sperimentale di
‘chitarra classica’ della durata di sette anni era cominciato… esperienza
straordinaria! Mi piace ricordare i compagni di questo viaggio
meraviglioso: in primis il M° Benedetto Di Ponio e a seguire i compagni
di corso Oscar Ghiglia, Giuliano Balestra, Gianluigi Gelmetti, Giovanna
Marini, Massimo Gasbarroni, Pasqualino Garzia, ove insieme a loro
penso di essere stato tra i pionieri e promotori anche della chitarra
moderna, iniziando così un percorso concertistico e didattico che dura
ormai da più di cinquant’anni e che mi ha portato a esplorare direi tutti
i campi della musica del Novecento contemporaneo; particolarmente
interessanti i contatti con Petrassi, Maderna, Boulez, “Nuova
Consonanza” e tanti altri, poi la musica d’insieme e i concerti con il
quartetto d’archi “I solisti di Roma”, le prime esecuzioni di importanti
compositori e innumerevoli concerti in Italia e all’estero...
Ho cominciato ad insegnare nel 1969 al Conservatorio Luisa
D’Annunzio di Pescara proseguendo con i Conservatori San Pietro a
Maiella di Napoli, Luigi Cherubini di Firenze e quindi Santa Cecilia
tenendo contestualmente molti corsi di perfezionamento insieme a
musicisti di chiara fama quali Gazzelloni, Végh, Giuranna, Aldulescu,
Zecchi e altri. Sono molti i chitarristi miei allievi che oggi insegnano
negli istituti statali onorando la chitarra con un’attività concertistica di
alto livello: e guardando a loro e alle nuovissime splendide realtà
chitarristiche, penso di avere contribuito insieme agli altri colleghi della
mia generazione a mantenere nell’aria la spiritualità di quel suono
magico che ho incontrato dopo la guerra a casa del mio vecchio
nonno”.
Ottimo lavoro ancora una volta da parte di tutto il Comitato
Scientifico, competente e professionale rendendo l’appuntamento
estremamente completo, degno di alta considerazione storico culturale
e didattico per via dei numerosi confronti tecnici artistici riguardanti il
mondo della chitarra classica. Come nelle precedenti edizioni, a
corredo e completamento dei contenuti proposti in questa giornata di
studi musicali, sono state consegnate al pubblico le cartelline di sala
con materiali di approfondimento, inoltre è stata organizzata una
mostra documentaria dedicata ai più importanti maestri chitarristi a
Napoli, da Ferdinando Carulli a Teresa De Rogatis, attraverso
l’esposizione di diversi strumenti d’epoca.
“Fortunatamente vi è chi giunge in tempo a far rivivere la pura opera d’arte,
riconoscendone i pregi e dando ad essa il giusto valore che merita”. Romolo Ferrari
Edoardo Farina