BENEVENTO "XXIX Convegno Chitarristico" 15 ottobre 2016 Teatro De Simone di Edoardo Farina Crediti fotografici: “Chitarra in Italia” Il “Convegno Chitarristico”, tenutosi a Benevento sabato 15 ottobre 2016, ha raggiunto la ventinovesima edizione: un evento che costituisce motivo di prestigio per la chitarra classica e il suo splendido repertorio, il cui interesse è cresciuto enormemente negli ultimi decenni con insospettata rapidità, organizzato dal Comitato Scientifico del progetto Chitarra in Italia, ponendosi un incontro di studio e approfondimento di consolidato valore. Dopo la presenza a Modena per alcuni anni presso le sale del palazzo Coccapani - D’Aragona di Corso Vittorio Emanuele II, nella stessa che aveva accolto nel 1933 la prima assoluta, a partire dal 2013 l’iniziativa ha avuto di nuovo un carattere itinerante in linea con la tradizione avviata dal M° Romolo Ferrari (1894-1959) fautore della rinascita chitarristica italiana, ripresa ufficiale avvenuta nel 2009 dall’ultimo appuntamento risalente addirittura al 1962. Facendo seguito alle edizioni di Sanremo, Brescia e Roma, la nuova è approdata nella città campana grazie alla collaborazione del M° Piero Viti e del Conservatorio Statale di Musica ‘Nicola Sala’, importante Ente che ha offerto il proprio patrocinio, tenutosi anche quest’anno in una cornice di particolare pregio, il Teatro De Simone. Il programma come di consueto ha previsto interventi musicali affiancati a relazioni su temi di ricerca a cura di maestri e studiosi di chiara fama, nell’obiettivo di approfondire la storia chitarristica nel suo svolgimento storico dal Rinascimento ad oggi. L’appuntamento decreta l’indiscutibile successo raggiunto nel promuovere cultura musicale di elevata rinomanza, premiata dalla felice risposta del pubblico nei passati svolgimenti e dal rinnovato interessamento verso un preciso intento di diffondere una particolare forma di espressione artistica ponendosi come incontro di studio e approfondimento di consolidato valore, volto alla conoscenza del repertorio e della storia dello strumento più poliedrico del mondo. Pregio fondamentale del Convegno fin dal primo incontro, così come l’intelligente impostazione che lo ha sempre contraddistinto, è stato da un lato l’alta professionalità dei solisti invitati, chitarristi di comprovata fama mondiale con proposte di programmi altamente appetibili per una presenza eterogenea, dall’altro e nello stesso tempo, lo spazio alle interessanti conferenze storico didattiche, rivolte non necessariamente solo agli “addetti ai lavori”, coinvolgendo per la prima volta anche il sud Italia vivaio negli ultimi anni di una grandissima rinascita della “seicorde”. Questo significativo traguardo è stato possibile già a suo tempo grazie all’impegno congiunto di alcune persone, in primo luogo ancora Romolo Ferrari che per primo si è adoperato a suo tempo presso il Ministero, impegnandosi per anni e contribuendo in modo decisivo all’avvio di un cammino rivelatosi lungo e faticoso verso il riconoscimento ufficiale dell’insegnamento della chitarra negli istituti statali. Sotto la direzione artistica di Simona Boni, dopo il saluto del Direttore del Conservatorio, Giuseppe Ilario e il docente di chitarra classica Piero Viti, l’incontro si è rivelato ancora una volta un’occasione per approfondire la conoscenza con concertisti, liutai e studiosi, riconfermando la tradizione riportata in auge come qualificato evento capace di coinvolgere numerosi collaboratori e una platea sempre più partecipe e propositiva, attraverso il supporto del comitato scientifico, costituito da Giuliano Balestra, Giovanni Indulti, Vincenzo Pocci, Enrico Tagliavini e la stessa Boni, progettando la giornata affiancando interventi musicali a relazioni su diversi temi di ricerca, in seguito riportati, e contribuendo così, anche grazie al grande pregio artistico e culturale del contesto, a rendere davvero speciale questa nuova versione. “Al di là dell’evento, che sancisce un nuovo capitolo della storia della chitarra in Italia, - spiega Simona Boni - le ragioni che rendono davvero forte il nesso tra il nostro strumento e la città di Benevento sono molteplici e si combinano in modo inscindibile con l’impegno di concertisti, compositori e didatti attivi nel contesto meridionale che nel tempo passato e presente hanno dato il loro contributo all’arte chitarristica. Per questo motivo nel programma del Convegno, in linea con lo spirito che muove questo progetto, abbiamo voluto ancora una volta dare spazio ad alcune fra le tante personalità legate biograficamente alla Scuola Napoletana, affiancandole ad altre testimonianze artistiche provenienti da tutta l’Italia, in modo da raggiungere sempre una dimensione ricca ed articolata”. Ad apertura lavori, il primo intervento tradizionalmente in ordine cronologico e dedicato quindi al repertorio antico della chitarra, è stato tenuto da Marcello Vitale con il tema “I labirinti della chitarra. Idee per un approccio creativo alle chitarre antiche”. Come sostiene, nell’interpretazione di ogni esecutore, se veramente un artista e non solo sotto l’aspetto tecnico e meramente virtuosistico, c’è qualcosa di alchemico. Egli diviene effettivamente “un ponte” che unisce l’autore dell’opera con i suoi fruitori e anche se questi non sono esperti saranno gratificati pienamente dall’ascolto. Questo è il compito supremo da parte dei grandi interpreti, ridare voce ad un foglio pieno di simboli da decodificare in modo il più possibile autentico e fedele, ma soprattutto vivo e attuale. La musica composta nel Barocco, non sarà mai quella di allora, proprio perché diversi sono i contesti differenti tra loro. Attualizzare, tuttavia, non vuol dire riproporre Gaspar Sanz con la chitarra elettrica, anche se non lo si esclude a priori: è un processo più complesso che deve contestualizzare nuovamente brani destinati ad altri spazi, altri usi e finalità, altre motivazioni e altri ascoltatori ove la chiave di lettura storica può risultare riduttiva se non inserita in una tradizione viva e continuativa. Seguendo questa ottica, l’attenzione va all’universo popolare e alla musica ad esso legata e ‘sopravvissuta’, dovendo integrare difatti le fonti scritte con quelle connesse alla tradizione orale. Dallo studio degli strumenti ‘etnici’, delle loro caratteristiche costruttive, del loro impiego sociale e delle tecniche esecutive, affiorano sentieri che ci conducono direttamente, anche se in maniera piuttosto articolata, allo spirito e alla prassi di una determinata epoca storica, quindi più che una mappa, un labirinto concettuale. Non esiste una sola rilettura autentica del testo, ma possono essere molteplici e tutte valide e veritiere a condizione che a farlo sia un musicista competente e intellettualmente corretto. La successiva presenza di Damiano Rosa in “Johann Kaspar Mertz, un chitarrista romantico nella Vienna di metà Ottocento” ha preso in esame il periodo storico appartenuto a Mertz caratterizzato da un lato dal tranquillo estetica borghese stile Biedermeier, dall’altro dalle violente rivolte che infiammarono Vienna e il resto d’Europa nel 1848. Un quadro articolato della situazione della chitarra in Europa nel periodo in cui egli visse è delineato dal chitarrista, scrittore e lessicografo Nikolaj Petrovic Makarov (1810-1890) che ci rivela attraverso le sue memorie una fervente attività di chitarristi, editori e liutai anche se, per sua stessa ammissione, molto spesso la qualità e l’originalità delle opere era scarsa in quanto per lo più destinata ad una fruizione dilettantistica. Makarov incontrò Mertz a Vienna nel 1851 rimanendo molto colpito sia dalle sue qualità di esecutore ma soprattutto da quelle di compositore. Rosa ha illustrato quindi alcuni lavori di Mertz, le trascrizioni ed opere originali nonché la sua sintetica quanto interessante Schule für die Guitare in una prospettiva didattica utile ad avvicinare i giovani studenti alla tecnica e alla prassi esecutiva del repertorio romantico eseguito su strumenti originali ove nella presente occasione è stata impiegata una chitarra Vincenzo Chalet costruita a Roma nel 1851 e più in generale ad un periodo storico denso di connessioni con vari ambiti non solo musicali. Paolo Lambiase – Piero Viti con il tema “L’integrale delle opere per due chitarre di J.K. Mertz: una nuova versione discografica dopo 25 anni dalla prima incisione” ha ricordando l’aneddotica frase celebre di Fryderyk Chopin “Niente è più bello di una chitarra, eccetto due” da lui pronunciata pare dopo avere ascoltato il più importante duo chitarristico di allora, formato da Dionisio Aguado e Fernando Sor. Basando l’intervento prevalentemente sulla ricerca editoriale delle opere del chitarrista slovacco, nel corso degli anni successivi ai nuovi ritrovamenti, è stato possibile ampliare il catalogo dei lavori per due chitarre. Alcuni di questi sono stati inclusi nelle registrazioni di duo operanti sulla scena internazionale, anche se tutte le recenti monografie riguardanti l’autore risultano a vario titolo curiosamente mancanti della lista completa dei brani originali. In quest’anno, 2016, nel quale ricorrono insieme i 35 anni della fondazione del duo chitarristico formatosi nel lontano 1981 e i 25 anni dall’uscita del loro primo compact disc, hanno quindi intrapreso un nuovo progetto discografico, in collaborazione con l’etichetta “dotGuitar” guidata da Lucio Matarazzo, che ha previsto, per l’appunto, la riedizione dell’integrale delle opere per due chitarre di Johann Kaspar Mertz completa di tutti i 17 lavori sin qui riscoperti, illustrando i brani di più recente revisione, eseguendone dal vivo alcuni e occasione per sottolineare e porre ancora una volta l’accento su uno tra i repertori più validi e affascinanti di pagine originali dell’Ottocento destinate al duo chitarristico. A seguire, Flavio Nati con la figura di “Giulio Regondi: da ‘enfant prodige’ a virtuoso polistrumentista”. Insieme a Johann Kaspar Mertz e Napoléon Coste, Giulio Regondi (Ginevra 1822 o Genova? - Londra 1872) rientra in quella triade di chitarristi-compositori che seppero dare un proprio originale contributo al repertorio concertistico del nostro strumento, offrendo un’interpretazione del tutto personale dello spirito romantico, seppure in un clima di profonda crisi per le sei corde. Spesso descritto come personalità di animo mite e sensibile, Giulio Regondi ebbe un’infanzia tutt’altro che facile: i suoi primi ricordi erano infatti legati all’intransigenza del padre, forse adottivo, Giuseppe Regondi, sedicente insegnante di musica. Questi infatti, intuendo le possibilità del figlio, lo costringeva a studiare svariate ore al giorno chiuso a chiave nella loro casa di Lione, situazione che però il piccolo Giulio pare accettasse di buon grado. Già all’età di sette anni, spiega Nati, egli si ritrovò così ad esibire il proprio talento di enfant prodige, divenendo ben presto un virtuoso di caratura internazionale tanto da conquistarsi l’ammirazione di Fernando Sor e Matteo Carcassi, i quali dedicarono al giovane alcune delle loro opere. La sua notorietà tuttavia accrebbe ancora di più dopo aver preso ‘confidenza’ con la concertina, simile ad una fisarmonica ma di forma esagonale, ideato dal fisico ed inventore britannico Charles Wheatstone. Sarà proprio questo strumento ad incoronare Regondi come un virtuoso senza pari offrendogli l’opportunità di esibirsi trionfalmente in numerose tournée in Inghilterra, suo paese d’adozione, e in tutta Europa, duettando con celebri artisti quali: Clara Schumann, Ignaz Moscheles, Maria Malibran, Franz Xaver Wolfgang Mozart. A conclusione, Nati ha analizzato dal punto di vista stilistico e tecnicostrumentale il repertorio per chitarra, avvalendosi anche di alcune recenti aggiunte al suo catalogo: i 10 Studi e la Fantasia su un tema dai Montecchi e Capuleti di Bellini, nonché le uniche opere didatticoteoriche, entrambe pensate per la concertina: il New Method e i Rudimenti del Concertista, da cui è possibile attingere informazioni preziose che attengono al suono, l’ornamentazione, l’articolazione, la dinamica e l’esecuzione di musica polifonica. Antonio Rugolo, supportato dalla partecipazione di Marco Caiazza e Angelo Gillo, ha inteso riscoprire la figura di “Guido Santorsola: storia di un didatta amante delle seicorde”. Nella poliedrica attività artistica del maestro italo-brasilianouruguayano Guido Santorsola (Canosa di Puglia 1904 - Montevideo 1994, violinista, violista, direttore d’orchestra, compositore, docente di armonia contrappunto e composizione), la didattica ha sempre ricoperto un ruolo di fondamentale importanza. Il suo primo incontro con la scrittura per chitarra risale al 1942 quando un alunno, fortemente convinto delle potenzialità del suo maestro, lo convince a scrivere un concerto per chitarra ed orchestra da camera in soli dodici giorni per partecipare ad un concorso di composizione indetto dal S.O.D.R.E. (l’ente radiofonico nazionale uruguayano). Santorsola vince il primo premio e da questo momento la chitarra diviene strumento prediletto per esprimere la sua estetica sia nei brani da concerto che in poche ma rilevanti opere didattiche come le tre raccolte di Estudios e le due Suite all’Antica per una e due chitarre. Fortemente convinto della valenza formativa della musica da camera per il percorso di crescita musicale e artistica dei discenti, scrive anche due Concertini per tre chitarre e per tre chitarre e piano, recentemente ripubblicati a cura dello scrivente dalle edizioni Bèrben di Ancona, prima disponibili solo in manoscritto. Rara interpretazione da parte del trio chitarristico di un autore ingiustamente dimenticato nel corso degli ultimi decenni, è stato proposto l’ascolto del Preludio della Suite all’Antica per chitarra sola scritto su richiesta di Isais Savio che colpito dalla bellezza del concerto vincitore del concorso sopra citato, chiese al collega di comporre per i suoi allievi un’opera in stile classico che non fosse però troppo difficile. Accanto ad alcune pagine dell’altra Suite all’Antica per due chitarre, grazie alla collaborazione di Marco Caiazza e Angelo Gillo, abbiamo ascoltato l’intero Concertino n. 1 scritto in stile neoclassico nel 1978, periodo dichiaratamente dodecafonico, riservando spesso ritorni alla scrittura tonale mai abbandonata del tutto, lasciando solo alle pagine da concerto di ampio respiro l’utilizzo della sua originale composizione seriale. Al termine della mattinata i maestri si sono riuniti per la fotografia d’insieme compresi tutti i partecipanti a ricordo della giornata, procedendo con il consueto momento conviviale svoltosi nelle sale dell’adiacente Conservatorio; tra varie degustazioni e conversazioni tra gli intervenuti, si è ripreso con la seconda parte con l’intervento di Stefano Aruta “Teresa de Rogatis: una musicista ed un pensiero tra le pieghe dell’oblio”, senza ombra di dubbio una musicista alla quale la storiografia chitarristica non ha dedicato tutta l’attenzione che la sua caratura artistica ed umana meritano; nata a Napoli nel 1893 e ivi scomparsa nel 1979, singolare e rara avis, per il suo tempo, poliedrica e coltissima, fu allieva per il pianoforte di Florestano Rossomandi e per la composizione di Camillo de Nardis presso il Conservatorio “San Pietro a Majella”, mentre per la chitarra il suo unico maestro fu il padre, Tommaso de Rogatis, eccellente chitarrista che pare sia stato allievo a sua volta di un allievo di Carulli. In questo breve incontro, Aruta non si è voluto tanto soffermare su un agiografico elenco di successi raccolti, quanto farsi latore del suo pensiero musicale e non, del quale è stato testimone diretto considerando affetto che Teresa de Rogatis gli ha sempre personalmente profuso a piene mani nei suoi confronti, sentendo di dovere a Teresa questa testimonianza affinché tutto non si perda definitivamente negli anni a venire. Antonio Grande in “La musica per chitarra a Napoli dal secondo Novecento ai giorni nostri”, fatta eccezione per i lavori di Raffaele Calace e Teresa De Rogatis, un primo nucleo di composizioni per chitarra si delinea a Napoli nel secondo dopoguerra: con diversa incisività e pretesa esse manifestano un’istanza di novità, forse qualcosa di stravagante e marginale, ma nuovo. Non bisogna dimenticare lungo tutto espressione Scuola di S. infatti il peso preponderante che ha avuto il pianismo l’arco del Novecento napoletano, musica neobarocca, della tradizione e del ‘mestiere’ caratteristici della antica Pietro a Majella. Nessuno di questi lavori può definirsi epocale, ma testimonianza di maestria e proprietà di stile; essi sono legati alla presenza accademica in città, dal 1959 al 1973, di Mario Gangi, virtuoso internazionale ed esperto di nuove musiche. Un isolato cammeo è poi costituito dal brano Azulejos del compositore e direttore d’orchestra Eleuterio Lovreglio pubblicato postumo da Max Eschig nel 1977, nella versione originale su doppio pentagramma. L’ultimo ventennio è stato poi contrassegnato da una produzione più ampia, trasversale: si va dallo sperimentalismo più ardito al recupero neo-tonale. Sul fronte cameristico si sviluppa inoltre una nuova letteratura, su sollecitazione dei Duo stabili operanti sul territorio. Fabio Fasano ha esposto “Le Sonate per chitarra di Raffaele Iervolino”, attraverso l’intervento incentrato sulla presentazione e sulla descrizione delle stesse scritte dal compositore campano (1963) e pubblicate dalle edizioni Esarmoniam. In particolare è stata eseguita integralmente la Sonata Eduardo (Sonata trascendentale op. 26, omaggio a Eduardo De Filippo, dedicata ad Angelo Gilardino) nei quattro movimenti: Disoccupazione, Canzone disperata, Scherzo, Grido al mondo, la cui prima stesura risale al 1991, è la prima di importanti proporzioni scritta dall’autore raccontando la sua storia personale sofferta ma ricca di umanità e di profonda sensibilità, descrivendo inoltre le matrici più autentiche della sua ispirazione. Lo stile è personale ed originale fondendo la lezione di compositori che appartengono alla storia della chitarra quali Margola e Gilardino con l’anima e l’essenza della musica e della cultura partenopea. Antonella Col ha parlato invece del “Metodo globale di musica bioenergetica: come diventare atleti della musica e suonare con gioia” attraverso una particolare sinergia, frutto di un percorso di studio e di ricerca che ha condotto dopo anni di esperienza in campo concertistico e didattico. Si tratta di una nuova metodologia di sostegno il cui obiettivo è il superamento dello stress e il ripristino dell’armonia psicofisico-emozionale per condurre una professione musicale in salute e protetta dall’usura psicofisica. Il Metodo utilizza una tecnica di consapevolezza ed espressione corporea ideata negli anni ‘60 dal medico americano Alexander Lowen come base per migliorare la consapevolezza del corpo e del potenziale emozionale ed energetico a disposizione di ognuno. Nel presente incontro ha quindi illustrato le quattro fasi salienti della disciplina e il suo lavoro con i musicisti nell’affrontare le problematiche più frequenti che vanno dalla correzione della postura al miglioramento della performance artistica, dall’affrontare l’ansia da concerto all’interpretazione materiale dello spartito, dall’allenamento aerobico alle tecniche di comunicazione per sapersi proporre nel mondo del lavoro, attraverso un sunto storico dei casi più significativi e una breve esperienza riportata in uditorio compatibilmente con i tempi concessi a disposizione. Mario Fragnito in “Elementi di fisica applicati alla tecnica strumentale esecutiva” ha inteso fornire il suo contributo per chiarire alcuni aspetti inerenti allo studio della chitarra. Ciò che ha descritto è il risultato dell’ormai trentennale lavoro di didatta, partendo dallo sforzo, o almeno tentare di farlo, per azzerare le informazioni attinte negli anni che non fossero supportate da regole scientifiche. Come spiega, suonare in concreto significa tradurre il pensiero partendo quindi da un’idea che necessita di un insieme di esatti spostamenti per essere rappresentata, essenza concreta per qualsiasi esecuzione ed ogni strumentista, ove creare una mappa di corrette posizioni a cui rifarsi durante l’esposizione. Tutto ciò che è fisico, l’essere umano incluso, è sottoposto e regolato dalle stesse leggi della fisica, specificamente della meccanica, della statica, della dinamica, della cinetica e della cinematica. Da questo presupposto se ne deducono tante interessanti indicazioni e relative conclusioni inerenti al posizionamento dello strumento, alla postura dello strumentista, all’ottimizzazione delle sequenze dei movimenti che egli deve compiere in modo tale da rispondere strettamente ai propri principi interpretativi. Questo lavoro tende a stimolare riflessioni su aspetti di primaria importanza: la progettazione e la realizzazione dell’articolazione, la produzione del suono, gli schemi motori. La conclusione della giornata è stata affidata al celebre chitarrista Bruno Battisti D’Amario, noto al grande pubblico già negli anni ’70 per la realizzazione dei primi dischi stereofonici italiani prodotti dall’etichetta “Vedette - Phase 6 Super Stereo” allora gestita dal direttore d’orchestra e violinista Armando Sciascia nel genere della musica leggera, quindi la collaborazione nelle colonne sonore dei film western di Sergio Leone attraverso i capolavori di Ennio Morricone, ove al tempo ne era tra l’altro eccellente esecutore alla chitarra elettrica. Da “Quel suono magico” ne riportiamo interamente la breve e interessante biografia da lui stesso raccontata. “Malgrado avessi un padre musicista, era il primo violino dell’orchestra “B” della Rai, mi sono avvicinato alla chitarra per merito di mio nonno materno che un giorno, alla fine della guerra, mi fece ascoltare con la sua chitarra, un delizioso strumento francese del 1836 con il re volante, un breve e semplice brano: non so quale fosse, ma ancora oggi ricordo molto intensamente quel suono interiorizzante e caldo. Fui fulminato e con l’opposizione di mio padre, che considerava la chitarra strumento relegato al dilettantismo mi dedicai completamente al suo studio. Nel 1956 mi convinsi a entrare al “Santa Cecilia” di Roma, dove tra l’altro incontrai la mia futura moglie. Il primo Corso sperimentale di ‘chitarra classica’ della durata di sette anni era cominciato… esperienza straordinaria! Mi piace ricordare i compagni di questo viaggio meraviglioso: in primis il M° Benedetto Di Ponio e a seguire i compagni di corso Oscar Ghiglia, Giuliano Balestra, Gianluigi Gelmetti, Giovanna Marini, Massimo Gasbarroni, Pasqualino Garzia, ove insieme a loro penso di essere stato tra i pionieri e promotori anche della chitarra moderna, iniziando così un percorso concertistico e didattico che dura ormai da più di cinquant’anni e che mi ha portato a esplorare direi tutti i campi della musica del Novecento contemporaneo; particolarmente interessanti i contatti con Petrassi, Maderna, Boulez, “Nuova Consonanza” e tanti altri, poi la musica d’insieme e i concerti con il quartetto d’archi “I solisti di Roma”, le prime esecuzioni di importanti compositori e innumerevoli concerti in Italia e all’estero... Ho cominciato ad insegnare nel 1969 al Conservatorio Luisa D’Annunzio di Pescara proseguendo con i Conservatori San Pietro a Maiella di Napoli, Luigi Cherubini di Firenze e quindi Santa Cecilia tenendo contestualmente molti corsi di perfezionamento insieme a musicisti di chiara fama quali Gazzelloni, Végh, Giuranna, Aldulescu, Zecchi e altri. Sono molti i chitarristi miei allievi che oggi insegnano negli istituti statali onorando la chitarra con un’attività concertistica di alto livello: e guardando a loro e alle nuovissime splendide realtà chitarristiche, penso di avere contribuito insieme agli altri colleghi della mia generazione a mantenere nell’aria la spiritualità di quel suono magico che ho incontrato dopo la guerra a casa del mio vecchio nonno”. Ottimo lavoro ancora una volta da parte di tutto il Comitato Scientifico, competente e professionale rendendo l’appuntamento estremamente completo, degno di alta considerazione storico culturale e didattico per via dei numerosi confronti tecnici artistici riguardanti il mondo della chitarra classica. Come nelle precedenti edizioni, a corredo e completamento dei contenuti proposti in questa giornata di studi musicali, sono state consegnate al pubblico le cartelline di sala con materiali di approfondimento, inoltre è stata organizzata una mostra documentaria dedicata ai più importanti maestri chitarristi a Napoli, da Ferdinando Carulli a Teresa De Rogatis, attraverso l’esposizione di diversi strumenti d’epoca. “Fortunatamente vi è chi giunge in tempo a far rivivere la pura opera d’arte, riconoscendone i pregi e dando ad essa il giusto valore che merita”. Romolo Ferrari Edoardo Farina