1 Sintesi delle relazioni tenute al Congresso Il Congresso, dedicato a

Sintesi delle relazioni tenute al Congresso
Il Congresso, dedicato a “La domanda civile di Filosofia. Modi, tipi e generi del
filosofare per la società del XXI secolo”, è stato inaugurato nell’Aula Magna
dell’università di Catania, dinanzi a un folto pubblico che non ha trovato tutto
posto a sedere. Il Congresso si apre con i saluti e i ringraziamenti del presidente della sezione di Catania, prof. Francesco Coniglione, alla Sfi nazionale
per aver voluto che il Congresso si svolgesse a Catania, sede che non aveva
mai ospitato l’evento. L’argomento del Congresso, ha spiegato il prof. Coniglione, riflette l’attuale interesse da parte della nostra società verso nuovi
modi di fare filosofia che escono dai confini tradizionali (scuole e università)
e che il Congresso vuole cogliere, cercando di metterlo in relazione con le
pratiche tradizionali, condotte nelle sedi istituzionali, in modo da evidenziare
come la riflessione svolta dai “professionisti” della filosofia non sia disinteressata verso quelle forme di ‘pratiche filosofiche’, che negli ultimi anni si sono poste all’attenzione del grande pubblico. Successivamente il prof. Coniglione ha riportato i saluti di chi non ha potuto partecipare alla giornata di
apertura dei lavori: il Sindaco di Catania, Enzo Bianco, il Direttore del Dipartimento di Scienze della Formazione che ha ospitato l’evento, il prof. Dario
Palermo, e il Direttore generale del Miur per gli Ordinamenti scolastici e per
l’Autonomia scolastica, prof.ssa Carmela Palumbo. Ha quindi portato i suoi
saluti personalmente il rettore dell’università di Catania prof. Giacomo Pignataro.
Prende poi la parola il presidente della Sfi, Stefano Poggi che, prima di affrontare la tematica del Congresso, ha ricordato con commozione il professore Elio Matassi morto improvvisamente il 17 ottobre scorso, il quale avrebbe
dovuto presentare al Congresso una relazione dal titolo La filosofia e le culture popolari. Il prof. Poggi rammenta il suo modo di fare gioviale e disponibile
– la sua biblioteca era sempre aperta a tutti –, nonché le discussioni sempre
arricchite dalla sua ironia. Matassi, studioso della filosofia tedesca, negli ultimi anni della sua esistenza aveva orientato le sue riflessioni filosofiche sulla
musica, pubblicando studi come L’idea di musica assoluta e Filosofia
dell’ascolto. Il ricordo si conclude con l’annuncio di una giornata di studio in
sua memoria. Il prof. Poggi è poi entrato nel merito del Congresso, affermando che ormai si è consapevoli del vivo interesse della nostra società per la filosofia, e la Società Filosofica, con le sue due anime – scolastica ed universitaria – può dare un contributo affinché la filosofia non si disperda in facili discorsi. La diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione può, infatti, comportare – continua Poggi – un rischio per la filosofia, poiché se da una parte ne
permettono la diffusione, d’altra parte rischiano di farne perdere la profondità, formulando una filosofia che assomiglia ad una «scatola vuota». La filosofia deve, quindi, porgersi sempre come colei che ha una conoscenza della cultura del passato, ma anche della cultura presente. Insomma, bisogna sviluppare la capacità critica, della quale ci parla Kant nel suo opuscolo
sull’Illuminismo, per evitare di avere persone – conclude il prof. Poggi – che
assomiglino a «variopinti pappagalli».
Apre quindi la sessione mattutina della prima giornata il prof. Maurizio Ferraris dell’Università di Torino con una relazione dal titolo “Filosofia globaliz1
zata”. Raccontando un proprio aneddoto personale - il dipinto del Seneca suicida che aveva di fronte durante la sua seduta di laurea all’Università di Torino - Maurizio Ferraris ironizza sulla prospettiva lavorativa annunciata dalla
tela alla fine degli ’70. La filosofia stava morendo o era già morta? Negli anni
’80 molti scritti hanno diffuso l’idea di una filosofia come un sapere ormai finito, nella convinzione che la filosofia non avesse più nulla di positivo da dire
– di fatto, percorrendo i filosofi che hanno contribuito al diffondersi della
convinzione che la filosofia non avesse più nulla di positivo da dire – sulle
orme di pensatori e correnti come Nietszche, Heidegger, Rorty, la Scuola di
Francoforte, Husserl, Vattimo, Rovatti. Sicché l’unico ruolo che sembrava avesse da svolgere la filosofia sembrava fosse quello, nel migliore dei casi, di
costituire una sorta di etnologia dell’etnia occidentale, o una critica dei saperi. Il prof. Ferraris si chiede se forse non sia stato esagerato il compito assegnato in passato alla filosofia, ossia quello iperbolico di cambiare il mondo,
sicché nella misura in cui questo obiettivo è stato mancato, s’è diagnosticata
la morte della filosofia. Ovviamente, un ruolo importante nel declino della filosofia nella seconda metà del secolo scorso l’ha assolto la scienza, in particolare la fisica, la quale ha iniziato ad imporsi come unico sapere, con la conseguenza per la filosofia di dover scegliere fra due opzioni: appiattarsi sulla
scienza o porsi in una posizione critica di essa. Ferraris si domanda se oggi la
scienza se sia così presente nella nostra esistenza quotidiana; scorrendo i titoli dei giornali, si scopre che non vi è una scienza per tutto, bensì noi ci «arrangiamo in molte nostre esperienze». Nel momento in cui viviamo – conclude il suo intervento il prof. Ferraris – in cui tutto è globalizzato, la filosofia
dovrebbe divenire globalizzata; è nella sua essenza, nella sua natura porsi
domande a carattere universale; importante è tenere conto dei limiti, dei pericoli che vi possono essere nella sua globalizzazione.
Nella successiva relazione di Giulio Giorello – dal titolo “La filosofia tra le
pieghe della scienza. Una globalizzazione riuscita” – si mette in evidenza come la scienza abbia offerto innumerevoli spunti di riflessione alla filosofia. Si
pensi alla fisica del ‘900. In essa numerose scuole di pensiero – il neoempirismo, il pragmatismo americano, la fenomenologia di Husserl e il neocriticismo, per citarne solo alcune – hanno tratto più che semplici spunti, mutuandone invece metodi ed euristiche generali o in certi casi (es. il neoempirismo
con la logica formale) facendone proprie le metodologie d’analisi. Giorello ci
ricorda l’espressione coniata dal suo maestro Ludovico Geymonat, il quale riteneva che i filosofi fossero coloro i quali ricercavano il proprio oggetto di
studi, la filosofia, “tra le pieghe della scienza”. Questa ricerca, oggigiorno, dà
vita a innumerevoli specializzazioni filosofiche che ripercorrono il proliferare
di quelle tecnoscientifiche. Di là dai possibili contributi che, di converso, la filosofia della scienza possa dare o possa aver dato allo sviluppo di queste
nuove specializzazioni scientifiche, Giorello ci invita ad abbandonare per un
istante le pieghe della scienza e guardare questa da una prospettiva più ampia. Prendendo spunto dall’opera di Edoardo Boncinelli, la scienza, infatti,
sembra essere oggi l’unica forma di “globalizzazione riuscita”. Essa è il connubio tra contemplazione/teoresi e applicazione/ricerca di procedure empiriche, ed è questa duplice natura che la distingue dal mito, dalla superstizione
e dalla stessa filosofia tradizionale. In particolare, la scienza è un sapere pubblico e controllabile dove tutti, almeno in linea di principio, sono uguali e tutti
possono esprimersi liberamente e per questo incarna gli ideali delle società
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democratiche. Con buona pace di Croce, quindi, il fallibilismo della scienza
non implica la necessità di ricercare altrove il vero sapere, ma è piuttosto indice della sua natura democratica e, per dirla con Popper, “aperta”.
Dei pericoli della globalizzazione ha parlato nella sua relazione dal titolo “La
filosofia in un mondo globalizzato”, il prof. Gereon Wolters dell’Università di
Costanza. Nella globalizzazione la nuova economia mondiale da una parte ha
permesso l’affermarsi di diritti universali, in particolare l’universalità del rispetto morale, dall’altro ha permesso la nascita di un altro di tipo di schiavitù,
conseguenza del decentramento produttivo verso i paesi più poveri, privi di
qualsiasi controllo strutturale e sanitario. Tuttavia un aspetto negativo della
globalizzazione, su cui si è voluto soffermare il prof. Wolters, riguarda
l’utilizzo della lingua inglese come lingua universale: la sua ampia diffusione
ha comportato, di fatto, delle disparità fra coloro che sono nativi inglesi NES
(Native English Speakers) e quindi facilitati nelle comunicazioni, e il resto del
mondo NoNES (Non-native Native English Speakers) che è costretto, se vuole
aspirare ad avere un impatto internazionale, a scrivere e parlare questa lingua. Pubblicare in inglese per i NoNES comporta un impegno di tempo, di energia e soprattutto di costi. La storia della filosofia, in particolare, se vuole
elevarsi su un piano globale deve “passare al filtro” dell’inglese, con la conseguenza di uno snaturamento concettuale. Ad essere più dannoso per la filosofia, afferma Wolters, è però l’autocompiacimento del mondo filosofico anglofono, che di regola trascura importanti studi storici e idee sistematiche non
provenienti da esso. La filosofia con la sue domande universali e la sua anima
storica non può capitolare davanti al campanilismo anglofono e forse, in questo caso, è opportuno ripensare la filosofia su un piano nazionale e non solo
globale. Anche perché di globale avrebbe solo la lingua e non il contenuto.
La serata inaugurale si conclude con le comunicazioni di Emidio Spinelli (Università La Sapienza), “Ecologia, filosofia, paura: per una rilettura dello ‘Jonas minore’”; Matteo Negro (Università di Catania), “Filosofia, conoscenza e
bene comune”; Patrizia Cipolletta (Uniroma Tre), “Etica e consulenza filosofica”; Stefania Mazzone (Università di Catania), “Filosofia civile e immaginazione letteraria”.
In seguito i proff. Maurizio Ferraris, Giulio Giorello, Gereon Wolters, con la
partecipazione anche di Francesco Coniglione e Stefano Poggi, hanno partecipato a una conversazione diretta dalla giornalista Rosa Maria di Natale e
organizzata da Zammù.tv per conto della rete tv dell’ateneo di Catania (vedi il
link su questo sito).
La sessione della mattinata del 1° novembre, dedicata a Filosofia e società della conoscenza, è stata inaugurata dalla relazione di Mario De Caro (Università di Roma Tre) con una relazione dal titolo “Filosofia e scienza: quale relazione?”. Il relatore esordisce osservando come Cartesio abbia inaugurato lo
studio scientifico della mente; e il libero arbitrio, per lui, era una proprietà
della mente, intesa come entità immateriale. Kant collocava il libero arbitrio
nel mondo dei noumeni, che è inaccessibile alla ricerca scientifica, generando
così una “antinomia” tra l’idea di libertà e le leggi di natura. Progressivamente, però, con la scienza moderna, la mente viene vincolata alla materia. In
questo modo il libero arbitrio diventa una facoltà problematica sicché ancora
oggi, ricorda De Caro nel suo intervento, discutiamo come collocarlo nel
mondo fisico, rendendolo soggetto all’ineluttabilità delle leggi naturali e ri3
proponendo due visioni ontologiche contrapposte: determinismo e indeterminismo. Le neuroscienze negli ultimi decenni hanno prodotto una mole immensa di ricerche empiriche sull’argomento. De Caro ne discute alcune, come
le indagini sulla responsabilità morale e il libero arbitrio, mostrando come le
neuroscienze (e quindi l’approccio naturalistico) stiano influenzando enormemente il modo di riflettere filosoficamente su questi temi secolari. Ciò significa forse che, una volta riportato il tema del libero arbitrio sul versante
materialistico, la filosofia non sia più in grado di fornire un contributo o elaborare le sue teorie senza l’ausilio delle scienze sperimentali? La risposta di
De Caro, in conclusione del suo intervento, è “no”. Il problema del libero arbitrio non può essere risolto dalle sole neuroscienze, perché l'analisi concettuale è presupposto indispensabile della loro indagine; ma è anche vero che le
neuroscienze possono comunque portare un contributo molto importante alla chiarificazione di alcuni aspetti di tale problema. Occorre anche considerare che la filosofia ricorre a nuovi strumenti per l’analisi concettuale e che il
loro uso è spesso associato a una nuova visione naturalistica della disciplina,
incarnatasi a livello istituzionale nell’epistemologia, nella filosofia della mente e della psicologia e nelle filosofie della scienza. Ciò significa che lo stesso
rapporto tra scienza e filosofia è mutato e non sembra più riproporsi in dicotomie obsolete quali la distinzione tra materia e spirito. Entrambe le discipline sono ormai equipaggiate per discutere e affrontare insieme i problemi del
nuovo secolo.
Nella relazione successiva del prof. Giuseppe Gembillo (Università di Messina), dal titolo “Complessità, scientificità, globalizzazione”, si osserva come,
parafrasando Edgar Morin, la complessità si trovi in ogni conoscenza, persino
nella scienza che ha come oggetto la conoscenza stessa, ovvero
l’epistemologia. In un certo senso, la complessità del reale cresce con la complessità dei nostri modelli interpretativi in un rapporto di causalità reciproca.
In questo senso, Gembillo ci ricorda nel suo intervento, la semplice “constatazione” della complessità del reale non è sufficiente a comprendere il mutamento epistemologico che la sottende. La “riscoperta” della complessità della
realtà sociale e naturale nell’epoca della globalizzazione richiede un approccio gnoseologico non più ispirato a una logica riduzionista e semplificante,
ma piuttosto emergentista e inclusiva. La domanda civile di filosofia, derivante dall’impossibilità della scienza di rispondere da sola, per mezzo della sola
“ragione calcolante”, ai problemi complessi della società del secolo XXI, richiama la necessità di affinare nuovi strumenti di analisi e comprensione che
siano “complementari” alle altre attività scientifiche, ovvero in grado
d’integrarsi coi risultati ottenuti da altri saperi in una dinamica complessa,
multidisciplinare e transnazionale.
In questa sessione sono stati ammessi a comunicare: Annamaria Anselmo
(Università di Messina), “Complicazione e complessità per la ‘civilizzazione’
del Metodo”; Adele Foti (Università di Messina), “Isabelle Stengers. Le politiche della ragione come politiche”; Chiara Militello (Università di Catania),
“Scienze cognitive e filosofia antica: un fertile connubio per la divulgazione e
la ricerca”; Maria Laura Giacobello (Università di Messina), “La facoltà di giudicare: una risposta alla domanda civile di filosofia”; Giovanna Costanzo (Università di Messina), “Sui ‘veri’ e ‘falsi’ bisogni: Agnes Heller e il bisogno radicale del pensare”.
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La sessione mattutina parallela della stessa giornata è stata dedicata a La filosofia e le nuove “forme vitali”. Presieduta da Enrico Berti, è stata aperta dalla
relazione della prof.ssa Nicla Vassallo dell’Università di Genova dal titolo
“Sui matrimoni omosessuali e altre storie”. La Vassallo esordisce chiedendosi
perché gli omosessuali o le lesbiche siano considerate persone di secondo
grado rispetto agli eterosessuali? Termini come “contro natura”, “disgusto”
sono di solito invocati per etichettare comportamenti non consueti per il genere uomo o donna. Di fatto, l’appartenenza ad un genere definisce i comportamenti, i ruoli che si debbono assolvere. Emotiva, fragile, irrazionale, passiva, materna, simile alla natura, così, per lungo tempo è stata definita la donna,
mentre l’uomo doveva, e deve ancora, rappresentare la forza, la razionalità,
l’oggettività. L’errore che si commette, secondo la Vassallo, è di identificare la
femmina con la donna e per contro il maschio con l’uomo, quando in realtà i
primi termini sono essenzialmente legati all’ambito biologico e rimandano alla riproduzione in tutte le specie animali. Il genere uomo o donna è, invece,
una costruzione sociale che ingabbia le persone. Non è infatti il sesso a caratterizzare le persone, bensì la loro storia personale, le loro conoscenze. Partendo da questi presupposti, sembra inevitabile che, considerando le persone
solamente dal punto di vista del genere di appartenenza, il matrimonio fra
omosessuali sia inaccettabile, poiché non rientra in quello che la definizione
dei generi stabilisce come matrimonio normale, naturale. Ma cosa significa
normale o naturale? Il matrimonio non è finalizzato, come si dice nella norma, alla riproduzione; molte sono le coppie eterosessuali che non hanno o
non possono avere figli, per cui questi a rigore non avrebbero potuto sposarsi. L’amore verso una persona non dipende dal genere a cui appartiene o dalla necessità di procreare, ma dalla particolarità e dall’unicità di ciascun individuo.
Sul concetto di amore è ritornata la prof.ssa Maria Bettetini, dell’IULM di Milano, che ha presentato una relazione dal titolo “Pensare l’amore. Filosofia e
passioni”. Partendo dal Simposio di Platone, la relatrice si chiede cosa sia
l’amore e fa osservare come nell’opera di Platone si possano riscontrare differenti forme dell’amore, anche se tutto sembra evaporare nella metafora.
L’amore, letto attraverso le lenti dell’arte, è un «demone buono, che colora di
euforia la vita quotidiana; meno gentile, quando sconvolge il sereno procedere dei giorni; forse malvagio, quando distrugge le sue vittime». Attraverso la
lettura di testi filosofici ma anche letterari come Omero, e dando altresì uno
sguardo al mondo dei blog e di Facebook, la Bettetini giunge alla conclusione
che è possibile trattare le passioni come amiche, affrontarle, anche perché la
passione è ciò che ci spinge fuori dal nostro mondo, è l’apertura verso l’altro.
Anche i più scettici conclude la Bettetini, dovranno ammettere che, nonostante tutto, una sola è la certezza: vogliamo essere amati e vogliamo amare e del
demone che ci assale non siamo mai sazi.
In questa sezione parallela sono stati ammessi a comunicare: Roberto Fideli
(SFI Roma), “Sociale: un termine ancora utile per la filosofia?”; Davide Miccione (SFI Catania), “Società e filosofia dopo la svolta pratica”; Cinzia Rizza
(Università di Catania), “La filosofia e la comunità terapeutica per tossicodipendenti”; Lucia Parente (Università dell’Aquila), “Il ‘terzo cammino’: i pensieri che accompagnano l’esistenza”; Filippo D’Andrea (Università della Calabria), “Pratica filosofica e significazione sapienziale dell’esistenza. Quale rapporto tra ‘consulenza filosofica’ e ‘consulenza teologico-spirituale’”.
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La sessione pomeridiana del 1 novembre, presieduta da Clementina Cantillo,
dal titolo La scuola e il bisogno di filosofia: contenuti, metodi, nuove
competenze vede protagonisti i membri della commissione didattica della
Sfi nazionale che si confrontano in una tavola rotonda. Nel corso di essa la
prof.ssa Anna Sgherri esordisce rammentatoci che negli anni ’70 la filosofia,
oltre a risentire di una forte crisi interna, di cui ci ha ricordato Ferraris nella
sua relazione, dovette anche fronteggiare la crisi del suo insegnamento nei licei. La filosofia non era capace di cogliere le esigenze della società, di entrare
dentro le problematiche che stavano emergendo. Solo negli anni ’80, anche
grazie alla Sfi, fu rinvigorito il nesso fra la scuola, le esigenze della società e
l’accademia. A partire da quegli anni si iniziò e comprendere che bisognava
aggiornare i contenuti e i metodi di insegnamento. La domanda alla quale oggi si deve rispondere è: Quale Filosofia? Di fatto, con la nostra società sempre
più multiculturale (si pensi alla presenza di molti studenti cinesi nei licei),
conclude la prof.ssa Sgherri, è molto difficile non tener conto anche di altri
contenuti filosofici e metodologici. Entrando nel merito dell’insegnamento
della filosofia, la prof.ssa Mariangela Ariotti prosegue nel discorso già avviato dalla prof.ssa Sgherri spiegandoci quanto sia importante per gli studenti
comprendere cosa sia la filosofia e qual sia la sua funzione. C’è quindi una richiesta di intendere il suo ruolo fra i saperi. Partendo dall’analisi di testi antichi ma anche contemporanei, quale ad es. Perché la filosofia è necessaria di
Lyotard, la relatrice sottolinea come la filosofia sia un tendere, un desiderio,
così come riporta Platone nel Simposio, una mancanza incessantemente presente e che spinge sempre a filosofare. La filosofia oltre a presentare uno stile
di vita, afferma la prof.ssa Ariotti, soddisfa il bisogno di conoscenza, di cultura, elaborando quelle competenze argomentative necessarie nella società civile. La riflessione sulla condizione attuale dei giovani – privi di una gerarchia
di valori, abituati ad avere tutto, incapaci di cogliere il senso della propria esistenza, con un vuoto dentro che non riescono a colmare – conduce, sostiene
la prof.ssa Bianca Maria Ventura, a una rivalutazione della filosofia. Essa
può infatti aiutare i giovani, soprattutto nelle sue interpretazioni esistenzialiste. Provenendo dal mondo scolastico, la Ventura si pone le domande essenziali dell’insegnamento: perché; che cosa; come. Il cuore dell’esperienza filosofica in classe sono la relazione, le attività e il cambiamento. Sul concetto di
relazione la prof.ssa Ventura, riprendendo la lettera n° 67/1975 della Maria
Zambrano a Agustín Andreu dal titolo Il maestro e la guida, distingue tre modi per relazionarsi con gli studenti: il professore, la guida, il maestro.
Quest’ultimo, nella sua presenza-assenza, permette al discepolo di avviare un
cammino personale: egli è l’esempio da imitare, ma anche la guida che indirizza ognuno verso la propria vocazione. Un argomento che dovrebbe essere
affrontato in un’aula scolastica, prosegue il prof. Maurizio Villani, riguarda
la comprensione del binomio cittadinanza e costituzione. La cittadinanza
conduce necessariamente all’analisi di altri concetti quali la dignità umana,
l’identità, l’appartenenza, l’alterità e la relazione, tutti concetti che
nell’attuale situazione storica richiederebbero maggiore riflessione. Dopo aver presentato il quadro normativo in cui si richiede una formazione alla cittadinanza, Villani propone un percorso didattico per il primo anno di liceo:
storia terminologica del termine costituzione e lettura di alcuni testi platonici
ed aristotelici. Visto l’importanza della lettura dei classici nella scuola, il prof.
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Franco Paris spiega, a questo punto, quanto sia essenziale che il docente abbia le competenze per realizzare una corretta analisi del testo filosofico. Per
tale motivo, relaziona Paris, presso il Dipartimento di Filosofia di Bologna,
laurea triennale, sono stati organizzati dei seminari di studio
sull’interpretazione dei testi filosofici. Le operazioni che vengono richieste allo studente sono: conoscere il contenuto, ritrovare in esso i concetti cardine,
vederne le relazioni, comprendere gli slittamenti di significato che un concetto a volte subisce. Oltre a formare gli insegnanti, l’obiettivo di questi seminari
è creare un archivio di testi filosofici “mappati” a cui sia possibile attingere da
parte di tutti per il lavoro didattico quotidiano.
Per le previste “Esperienze” il prof. Gaspare Polizzi ha messo, invece, in luce
la necessità di creare dei luoghi diversi in cui fare filosofia, vedendo in ciò un
modo per rinnovare l’insegnamento filosofico. Da molti anni la Sfi promuove
iniziative per sperimentare nuove forme del filosofare, abbiamo infatti, ad
esempio, Il Forum della filosofia organizzato ogni anno dal Liceo “Evangelista
Torricelli” di Faenza a cui partecipano studenti di varie scuole d’Italia. Ogni
anno viene presentato un tema specifico e gli studenti devono argomentare
sul tema, creando un dibattito aperto sulle loro relazioni. Il Campionato di filosofia è invece organizzato dalla Sfi e dal Miur. La selezione viene fatta su tre
livelli: d’istituto, regionale e nazionale. Quest’anno il tema era “Quale virtù
per la cittadinanza”. Infine, abbiamo l’Olimpiade di filosofia che ogni anno si
svolge in una nazione europea; gli studenti debbono elaborare un scritto utilizzando una delle quattro lingue a disposizione (inglese, francese, spagnolo,
tedesco). La partecipazione degli studenti a tali iniziative da una parte incoraggia i docenti ad un riflessione sulla gestione dell’attività didattica quotidiana, e dall’altro consente di valorizzare la filosofia come apertura al confronto e al dialogo e di promuovere una consapevole elaborazione ed espressione delle idee da parte dei giovani.
In questa sessione pomeridiana sono stati ammessi a comunicare: Ennio De
Bellis (Università di Lecce) “Olimpiade di filosofia. Progetto di un portale
web”; Graziella Arazzi (Liceo Vieusseux - Imperia), “Alternanza scuolalavoro: produrre filosofia nei luoghi del fare”; Luana Rizzo (SFI Lecce),
“L’insegnamento della filosofia nelle scuole”; Mirella Fortino (Università della
Calabria), “Quale didattica per rispondere alla domanda civile di filosofia?”;
Riccardo Roni (Università di Urbino), “Educarsi alla differenza: Per una filosofia progressista”.
La sessione parallela pomeridiana della stessa giornata, dedicata a La funzione civile della filosofia e presieduta dal prof. Giuseppe Cacciatore (Università
di Napoli Federico II) ha previsto innanzi tutto la relazione di Francesca
Brezzi (Università di Roma Tre) sul tema “Verso una cittadinanza compiuta:
identità europea e differenze” in cui, sullo sfondo concettuale dell’antropologia relazionale, si affronta il tema della cittadinanza europea, intrecciando
l’umanesimo europeo del pensiero di Simon Weil, Maria Zambrano e Hannah
Arendt, legato alla riflessione di Lévinas e per certi versi sottovalutato
dall’”antropologia scientista”, col tema del riconoscimento in Paul Ricoeur e
Charles Taylor. Le diverse prospettive di questi autori formano quello che potremmo chiamare, con le parole dell’autrice in apertura dell’intervento, un
«prisma concettuale, filosofia plurale, filosofia come apertura e prospettiva,
in cui il dialogo con le tradizioni altre di pensiero mostra immediatamente il
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proprio carattere plurivoco e poliedrico, che sfugge a troppo rigide sistematizzazioni e parametrizzazioni». Il prisma riflette la stessa realtà, un comune
«percorso storico, teoretico e politico che consente di […] costruire una laicità plurale, aperta, capace di offrire ad ognuno/a le condizioni oggettive per
operare scelte individuali» e un «universalismo concreto […] tale da ammettere la via ad alcuni valori universali (uguaglianza, libertà, autodeterminazione) e insieme coniughi il singolare e il particolare con l’universale, consentendo a tutti di scegliere la propria appartenenza e offra le opportunità e le
risorse concrete per costruire la propria identità».
Ha proseguito il prof. Giancarlo Magnano San Lio con la relazione “Riflessione filosofica e diritti umani: Presupposti, problemi, prospettive”, in cui si
ripercorre lo sviluppo del concetto di diritti umani nella storia della filosofia
moderna in Germania da Kant e Humboldt sino a Dilthey. L’analisi storicofilosofica del concetto di diritti umani e il suo snodarsi in concezioni diverse
ma complementari si rivelano allo storico della filosofia, in fase d’indagine interessato a un segmento specifico del suo sviluppo, come occasione per mettere in atto una metodologia d’analisi comparativa, in grado cioè di fornirci
modelli e spunti di riflessione per comprendere e agire sulla contemporaneità. Come dimostra Magnano San Lio, la funzione civile della filosofia consiste
anche nel ripercorrere le tappe del suo sviluppo, relativizzandone i contenuti
alla ricchezza della diversità territoriale e culturale delle società umane, nel
legame inscindibile tra mondo e rappresentazione.
In questa sessione pomeridiana sono stati ammessi a comunicare: Rosella Faraone (Università di Messina), “Benedetto Croce coscienza ‘civile’ nell’Italia
degli anni Trenta”; Raffaella Santi (Università di Urbino), “Educare alla cittadinanza: la lezione del Leviatano di Hobbes”; Luca Brunelli (SFI Ancona), “Nichilismo, crisi dei valori e arte del vivere”; Santi Di Bella (Università di Messina), “Diteci cosa accade. Reportage scritti da filosofi”; Michele Della Puppa
(SFI Ancona), “Principi orientativi per una funzione civile della filosofia”; Daniele Fazio (Università di Messina), “Robert Spaemann: la riscoperta della teleologia”.
La giornata conclusiva del Congresso del 2 novembre, presieduta dal Presidente uscente della SFI prof. Stefano Poggi, ha visto il discorso di insediamento del nuovo presidente della SFI prof. Francesco Coniglione (su cui vedi la
trascrizione contenuta in questo sito) e infine la relazione conclusiva del Prof.
Giuseppe Bentivegna (Università di Catania) su “La funzione sociale della filosofia nella democrazia contemporanea”. Per comprendere quale sia «la funzione sociale della filosofia nella democrazia contemporanea», suggerisce
Bentivegna in apertura del suo intervento, è necessario delineare quali siano
i temi e i problemi del nostro tempo. Il pensiero filosofico del Novecento offre
al relatore lo spunto per ripercorrere le tappe di una progressiva «disumanizzazione dell’individuo a vantaggio di poteri dominanti e tecnocratici» contro cui esercitare la funzione critica della filosofia e raccoglierne così i benefici sociali in termini di consapevolezza etico-politica e, conseguentemente, capacità di partecipare in modo più efficace alla vita nelle società democratiche.
Dalla riflessione storicista di Dilthey e Ortega y Gasset alla critica della ragione strumentale borghese di Horkheimer e Adorno ciò che emerge con forza è
l’esigenza di prospettare un nuovo umanesimo inteso, sulla scorta di Edward
W. Said, come tratto unificante tutte le culture. Tale tratto è appunto il pen8
siero critico e quindi la filosofia, la quale condivide col nuovo umanesimo, iscrivendosi nel suo flusso, la funzione riumanizzante necessaria ad arginare
le minacce antidemocratiche del nostro tempo.
In questa sessione conclusiva sono stati ammessi a comunicare: Francesco
Maria Bianchi (Università di Messina); Gabriella Santagati (Università di Catania), “Libertà di agency e condizioni di vita capacitanti”; Antonia Esposito
(SFI Napoli), “Civis, Civilis”; Antonino Di Giovanni (SFI Catania), “Modelli di
dialogo interculturale nell’era globale”.
(A cura di Cinzia Rizza ed Enrico Viola)
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