Corso di laurea magistrale in Scienze pedagogiche (LM-85 v.o.) Corso di Sociologia generale (10 CFU) (Prof. Sebastiano Porcu) MATERIALE DIDATTICO - prima parte - anno accademico 2014/2015 - 1 INDICE • Parte prima • 1.1. Premessa • 1.2. Due questioni fondamentali dell’analisi sociologica 2 Il materiale didattico presentato nella pagine che seguono presenta una premessa alcuni concetti di base della sociologia ed espone, sinteticamente, alcuni dei principali temi/nodi teorici che la sociologia ha affrontato nel corso dello sviluppo delle sue analisi e che costituiscono alcuni dei principali aspetti della differenziazione dei principali paradigmi sociologici. 3 PARTE PRIMA 1.1. Premessa Al di là delle differenze di oggetto e di ordine epistemologico, c’è un dato comune tra la sociologia ed altre discipline che, tra Ottocento e primi decenni del XX secolo, hanno radicalmente trasformato le conoscenze della vita nelle sue varie dimensioni e manifestazioni (dall’ambiente naturale alla materia organica e non, dai fatti biologici ai fatti sociali ed alla dimensione psichica): come la microbiologia ha messo in luce tipologie e ruoli dei microrganismi, come la fisica ha progressivamente ampliato la conoscenza delle particelle elementari della materia, come la ricerca freudiana ha messo in luce l’esistenza dell’inconscio, così la sociologia - nello “scoprire” (grazie a Comte tra gli anni ’20 e ’30 dell’Ottocento) la società come livello di realtà “oggettiva”, “altra” in quanto diversa da un mero insieme di individui perché dotata di caratteristiche e dinamiche specifiche – contribuì a documentare come “le cose non sono quello che appaiono” neanche a livello di realtà sociale (P.L. Berger, Invito alla sociologia, Marsilio, Padova, 1967). 4 Al di là del ruolo di “padre fondatore” che la sociologia riconosce a Comte (1798-1857), nello sviluppo disciplinare della sociologia e nella definizione di assunti e metodi della ricerca sociologica un ruolo fondamentale è stato svolto da E- Durkheim (18581917), cui si devono, tra l’altro: la prima esplicita definizione della società come “realtà oggettiva”, non riconducibile a sommatoria di individui; l’individuazione dell’oggetto della sociologia nello studio dei “fatti sociali” (“maniere d’agire, di pensare e di sentire che presentano questa rimarchevole proprietà: esse esistono al di fuori delle coscienze individuali” e “dotati di una potenza imperativa e coercitiva in virtù della quale s’impongono a lui, lo voglia o non lo voglia”) (E. Durkheim, Breviario di sociologia, Newton Compton, Roma, 1971). 5 A Durkheim, peraltro, non a caso considerato dai più “precursore” del funzionalismo in sociologia, si deve la prima, pur parziale, messa a punto di quell’orientamento teorico-metodologico il funzionalismo, appunto - che, grazie allo sviluppo che ha poi trovato grazie all’opera di T. Parsons (19021979), ha costituito il “paradigma” (modello di riferimento teorico-metodologico diffuso e condiviso entro una determinata disciplina. Si presenta come un sistema coerente e complessivo d’integrazione fra oggetti, assunti e metodi conoscitivi) largamente più diffuso in sociologia sino alla seconda metà del Novecento ed alla ripresa di vigore od alla sviluppo di altri orientamenti (in senso generale microsociologici, critici soprattutto rispetto al determinismo macrosociologico del funzionalismo). 6 Le stesse definizioni, ancora generali (che, qui sono anticipate e che, nelle pagine successive, saranno meglio specificate ed articolate), dei principali oggetti della sociologia e, dunque, del glossario della sociologia (oltre a società: sistemi culturali e sistemi sociali; azione sociale, relazione sociale e struttura sociale; soggetto ed attore sociale; valori e norme sociali) sono largamente debitrici nei confronti delle stesse concettualizzazioni di Durkheim e - come nei casi di M. Weber (1864-1920) e di T. Parsons – degli sviluppi della teoria sociologica che la ricerca di Durkheim ha successivamente consentito. 7 Cultura Sistema di: valori condivisi in un dato gruppo sociale; norme codificate/attese; beni materiali (dimensione materiale della cultura). Sistema coerente delle credenze, delle rappresentazioni, dei valori, delle norme e delle istituzioni che, all’interno del sistema sociale, grazie anche alle norme sociali collegate ai valori, producono consenso, controllando “le spinte disordinate dell’agire individuale”. 8 Valori Insieme ordinato e coerente di sistemi simbolici (linguaggio, credenze religiose, forme artistiche, ecc.). “Sono criteri simbolici di valutazione dell’azione sociale e in quanto tali influenzano il comportamento, le modalità e le finalità dell’azione sociale stessa” (V. Cesareo, 2000). 9 Norme sociali Prescrizioni di comportamenti cui attenersi in una determinata situazione (norme prescrittive) o divieti di determinate azioni (norme proscrittive), anche a costo di eventuali costi o sacrifici per l’attore (V. Cesareo, 2000). Si articolano in più tipologie (norme d’uso e di costume; norme morali; norme giuridiche; ecc.). Hanno lo scopo di regolare i comportamenti in vista dell’attuazione dei valori di riferimento (previsti dalla cultura) di una società/di un sistema sociale. 10 Subcultura Modello culturale specifico di un gruppo sociale. Differenzia il gruppo, in modo significativo, dagli altri gruppi all’interno di una determinata società sotto il profilo di valori, credenze, stili di vita e modelli normativi. Le subculture possono avere carattere deviante/conflittuale rispetto alla cultura prevalente all’interno della società (in tal caso sono spesso definite «controculture»). L’appartenenza ad una subcultura espone un attore sociale a «imperativi contraddittori» (attese sociali di comportamento contraddittorie che provengono dai modelli normativi differenziati della cultura e della subcultura) e a un inevitabile esito di «devianza». 11 Devianza La devianza può essere definita come «non conformità a una norma o complesso di norme accettate da un numero significativo di individui all'interno di una collettività». Tutte le norme sociali sono accompagnate da sanzioni che promuovono il conformismo e proteggono dal non conformismo. Una sanzione è qualsiasi reazione al comportamento di un individuo o di un gruppo volta ad assicurare l'osservanza di una data norma. «Devianza» e «criminalità» non sono sinonimi, anche se in molti casi possono coincidere. Rispetto a quello di criminalità, riferito specificamente a un comportamento che viola la legge, il concetto di «devianza» è assai più ampio. Molte forme di devianza non sono sanzionate dalla legge. (A. Giddens, 2014). 12 Devianza e innovazione Riprendendo il concetto di anomia dalla sociologia di Durkheim (indebolimento della coesione sociale e degli orientamenti normativi di una società: a) nelle fasi di disorganizzazione sociale che accompagnano il mutamento sociale; b) nella società moderna dove prevale l’individualismo a seguito del passaggio dalla «solidarietà meccanica» alla «solidarietà organica», basata sulla sempre maggiore differenziazione funzionale dei ruoli sociali), Robert Merton ha interpretato la criminalità e la devianza «come risultati della tensione causata dall’insufficienza dei mezzi legittimi per raggiungere obiettivi socialmente approvati» (J.C.Alexander, K.Thompson, 2010). Merton ha classificato, tra le «cinque principali risposte a tale tensione», e come forma particolare di devianza, la «innovazione», che consiste in un comportamento che combina l’accettazione degli scopi culturali della società e l’uso di mezzi trasgressivi per conseguirli. I fenomeni di innovazione svolgono un ruolo fondamentale nell’evoluzione culturale e sociale. 13 Azione sociale Ogni tipo di agire dotato di senso in quanto tiene conto dell’agire altrui. Il senso (F. Crespi, 1985) “può essere inteso come ogni significato (rappresentazione, valore, norma, sentimento, ecc.) elaborato dal soggetto cosciente, che orienta l’agire di quest’ultimo”. 14 Azione sociale: i «tipi ideali» di Max Weber «Rispetto all'agire sociale,Max Weber distingue quattro tipi ideali fondamentali di determinazione dell'agire: a) in modo razionale rispetto allo scopo (Zweckrational), quando l'agire è determinato prevalentemente da aspettative nei confronti di oggetti del mondo esterno o di altri uomini, in relazione a scopi perseguiti razionalmente, secondo il modello mezzi-fini (ad esempio l'agire economico o tecnico); b) in modo razionale rispetto al valore (Wertrational), quando l'agire è determinato prevalentemente da credenze consapevoli nell'incondizionato valore in sé di un determinato comportamento in quanto tale, prescindendo dalle sue conseguenze (ad esempio, il comportamento di un martire della fede); c) affettivo (Affektuell), quando l'agire è determinato prevalentemente da affetti, emozioni, stati attuali del sentire (ad esempio, il comportamento di un innamorato); d) tradizionale (Traditional), quando 1'agire è determinato , prevalentemente da abitudini acquisite (ad esempio, le regole della «buona educazione»). E’ importante sottolineare subito il significato che assume, nella definizione dei quattro tipi ideali, il riconoscimento della presenza di una dimensione di razionalità non solo nell'agire strumentale, che si orienta in vista del raggiungimento di uno scopo concreto, ma anche nell'agire che si determina in base a valori etici, estetici, politici o religiosi». (F. Crespi, 1985). 15 Rel-azione sociale “Un comportamento di più individui instaurato reciprocamente secondo il suo contenuto di senso e orientato in conformità” (M. Weber). “L’elemento della reciprocità mette in evidenza che la dinamica delle interrelazioni sociali è fondata su un insieme di aspettative reciproche e su possibilità calcolate soggettivamente circa le conseguenze del proprio agire” (F. Crespi, 1985). 16 Società Sistema determinato di relazioni sociali coordinato in base a norme sociali e codici di comunicazione che assicurano la prevedibilità dell’azione e la differenziazione/integrazione dei ruoli sociali (divisione sociale del lavoro) Sistema determinato di relazioni sociali, mediate simbolicamente, fra soggetti dotati di autocoscienza “Ogni società presenta quattro caratteristiche essenziali: a) possiede una cultura più o meno omogenea; b) è un insieme di rapporti sociali formali e informali; c) evidenzia al suo interno differenze socialmente rilevanti in termini di potere, reddito, prestigio; d) è direttamente o indirettamente riferibile a un contesto spazio temporale” (V. Cesareo, 2000). E’ un sistema di sistemi sociali ed il sistema sociale più ampio e più complesso. 17 Sistema sociale “Complesso di posizioni o ruoli, occupati o svolti da soggetti individuali o collettivi i quali interagiscono mediante comportamenti, azioni, attività di natura specifica (economica, politica, educativa, religiosa, sportiva, ecc.), nel quadro di norme regolative e di altri tipi di vincolo che limitano la varietà degli atti consentiti a ciascun soggetto nei confronti degli altri. La trama dei rapporti e delle relazioni relativamente stabili - indipendenti dall’identità degli individui o collettività coinvolti nel sistema sociale a un dato momento - che derivano da tali norme costituisce la struttura del sistema” (L. Coser, 1987). 18 Istituzione sociale Modello di comportamento cogente. In alcuni casi, ma non sempre (come, ad es., nell’istituzione tradizionale del “fidanzamento”), “si materializza” in un’organizzazione. 19 Ruolo sociale Insieme coerente di modelli di comportamento (socialmente attesi sulla base di norme sociali) orientati all’espletamento di una funzione. Il ruolo può essere anche definito (L. Gallino, 1993) come “l’insieme delle norme/aspettative che convergono su un attore in quanto occupa una determinata posizione in una più o meno strutturata rete di relazioni sociali, ovvero in un sistema sociale”. Dunque il ruolo è un “comportamento socialmente atteso”. Il ruolo è l’aspetto prescrittivo di una posizione sociale. Ha la funzione di regolare/rendere prevedibile – e integrabile con altri – il comportamento dell’attore. Il processo (regolato da norme sociali) di distribuzione del ruoli sociali (relativi alle diverse funzioni, non solo di tipo economico), entro una società, costituisce la divisione sociale del lavoro. 20 Status sociale Lo status è l’aspetto allocativo di una posizione sociale. Le risorse che vengono allocate (distribuite) tra i diversi status sono - in mix variabili tra le diverse società/situazioni storiche – risorse materiali (denaro ed altri beni), potere, prestigio ed altre risorse socialmente scarse. Se il ruolo è relativo agli “obblighi” di un attore, lo status è relativo ai “diritti” di un attore in relazione al ruolo che svolge. Lo squilibrio tra le diverse dimensioni/risorse assegnate ad uno status (ad es.: tra quantità di prestigio e di ricchezza; tra potere e prestigio, ecc.) è definito incongruenza di status. Può essere, ad es, il risultato di una mobilità sociale discendente che crea incoerenza tra lo status che si modifica «in peggio» e le aspettative di chi svolge il ruolo connesso allo status). 21 Posizione sociale Una posizione sociale comprende due parti: ruolo e status. Una posizione sociale è, dunque, uno status-ruolo. 22 Mediazione simbolica Le diverse forme espressive che, attraverso il linguaggio, si configurano come rappresentazioni della realtà (racconto mitologico; religione; arte; tecniche; sapere scientifico; filosofia; sistemi di diritto; regole di comportamento; ecc.) costituiscono altrettanti modi in cui il soggetto riesce a mediare simbolicamente il rapporto con se stesso, con gli altri, con le cose (F. Crespi, 1985). 23 Funzionalismo “L’analisi di fenomeni culturali e sociali nei termini delle funzioni che essi svolgono in un sistema socioculturale. Nel funzionalismo la società è concepita come un insieme di parti interconnesse, nel quale nessuna parte può essere compresa se isolata dalle altre. Un qualsiasi mutamento in una delle parti è considerato causa di un certo grado di squilibrio, che produce, a sua volta, ulteriori cambiamenti in altre parti del sistema e addirittura una riorganizzazione del sistema stesso. Lo sviluppo del funzionalismo è basato sul modello del sistema organico che troviamo nelle scienze biologiche” (G.A. e A.S. Theodorson, 1969). 24 Morfostasi e morfogenesi Allo squilibrio i sistemi reagiscono attivando i propri meccanismi di omeostasi, che tendono a ripristinare lo stato iniziale del sistema. Solo i sistemi sociali hanno la capacità di attivare (nel corso del loro specifico ciclo di vita) la morfogenesi, ovvero mutamenti della struttura del sistema allo scopo di mantenere la capacità del sistema stesso di perseguire i suoi scopi. Anche i sistemi biologici hanno capacità morfogenetiche ma tali capacità possono operare solo attraverso i lunghi processi di evoluzione della specie. Ai processi morfogenetici è collegato il fenomeno della differenziazione sociale («processo attraverso cui le parti di una società o di un sistema sociale più circoscritto acquisiscono gradatamente una identità distinta in termini di funzione, attività, struttura, cultura, autorità, potere, o altre caratteristiche socialmente significative e rilevanti». N.J.Smelser, 1987). 25 Soggetto “Il soggetto cosciente è pensato in Weber (…) come centro relativamente autonomo, dotato di autoconsapevolezza e di razionalità, mosso da motivazioni e capace di scelta e decisione” (F. Crespi, 1985). E’ il “risultato” di un processo di socializzazione/educazione efficace. 26 1.2. Due questioni fondamentali dell’analisi sociologica Per entrare nella prospettiva sociologica dell’analisi dei fatti sociali, oltre il senso comune del “parlare” dei fatti sociali, occorre partire da due delle principali questioni fondamentali cui la sociologia s’è progressivamente applicata a partire dalla sua “nascita” e che costituiscono anche discriminanti della differenziazione dei paradigmi sociologici: 1. il rapporto fra dimensione biologica (naturale) e socio-culturale (artificiale) della vita; 2. il rapporto fra dimensione individuale e dimensione collettiva dell’azione sociale. 27 1. Il rapporto circolare tra biologia (natura) e cultura. Tre esempi: a) l’aumento (o la diminuzione) della durata media della vita, b) la rappresentazione sociale della malattia (mentale; epidemica; cronicodegenerativa) e della disabilità, c) il pregiudizio etnico 28 documentano come le due dimensioni di vita (biologica e socio-culturale) siano strettamente interdipendenti e si influenzino reciprocamente, contribuendo l’una al cambiamento dell’altra. 29 Tale rapporto è però cambiato, sino a divenire sempre più asimmetrico, nel corso dell’evoluzione delle società umane, che si è tradotta in una «artificializzazione» crescente delle organizzazioni e delle relazioni sociali. 30 Nel corso dell’evoluzione sociale, infatti, la crescita delle capacità di «adattamento» delle società umane all’ambiente fisiconaturale e lo sviluppo della «differenziazione sociale» hanno accresciuto progressivamente, entro un lungo percorso, l’autonomia delle società dai vincoli ambientali (in particolare climatici e di risorse) ed ampliato il ruolo della dimensione simbolico-culturale. 31 La «conquista» socio-culturale della terra, che ne è progressivamente derivata, ha portato, insieme, alla «antropizzazione» dell’ambiente naturale ed ad una crescente «autopoiesi» della società (la capacità della società di cambiare e ridefinirsi sulla base dei propri sistemi di significato, riducendo progressivamente il peso dei fattori/limiti ambientali). 32 La crescita della «metabolizzazione» dell’ambiente naturale (mediante lo sviluppo della tecnologia e della scienza applicate, in particolare, all’economia) è andata di pari passo con lo sviluppo e la differenziazione dei sistemi culturali che hanno concorso all’autonomia delle società rispetto alla varietà e variabilità dei fattori ambientali. Tale processo di «autonomizzazione» si è accelerato/approfondito, in particolare, con la transizione alla modernità. 33 Le fasi più recenti dell’evoluzione sociale, tuttavia, mostrano come l’incorporazione dell’ambiente fisico-naturale da parte delle società umane abbia prodotto e produca «effetti perversi» (come danni ambientali crescenti) che, attraverso l’interdipendenza tra sistemi sociali ed ecosistemi, costituiscono veri e propri boomerang nei confronti del processo di adattamento (economia) e di tutta l’organizzazione sociale. 34 Dalle «magnifiche sorti e progressive» si passa così ad una diffusa e crescente consapevolezza di come il processo di «metabolizzazione» sociale dell’ambiente fisico naturale abbia delle soglie oltre cui può diventare disfunzionale all’ulteriore sviluppo delle società umane. Il rapporto tra società ed ambiente fisico-naturale, quindi, è sempre più assimilato al rapporto tra società ed ambiente umano «interno»: in entrambi i casi, oltre certe soglie d’incorporazione di tali ambienti da parte della società, prevalgono gli aspetti negativi. 35 2. Il rapporto fra dimensione individuale e dimensione collettiva dell’azione sociale Anche il rapporto tra la dimensione collettiva/sistemica dell’azione sociale e la dimensione del soggetto/attore sociale è di stretta interdipendenza. Tale prospettiva sì è sviluppata, nella sociologia, contestualmente al superamento delle teorie ottocentesche ed anche del successivo strutturalfunzionalismo che consideravano il soggetto/attore sociale come mero «prodotto» ad opera della società intesa come realtà oggettiva («sui generis»), non riconducibile all’insieme degli individui presenti nel contesto storico-sociale. 36 La prospettiva dell’interdipendenza porta allo studio: 1. dei processi di «riproduzione socio-culturale» che, attraverso i processi di educazione/socializzazione, assicurano la continuità dell’organizzazione sociale «di generazione in generazione»; 2. della «società nell’uomo»: la trasmissione dei «sistemi culturali» propri della società di riferimento dentro il nuovo nato, mediante l’educazione e la socializzazione; i diversi processi e strutture sociali che hanno la funzione di «integrazione» garantendo i diversi livelli e tipi di «controllo sociale» (ovvero il rispetto delle norme sociali («aspettative sociali di comportamento») nell’ambito dei ruoli sociali e sanzionando la trasgressione («devianza) di tali norme; 37 3. dell’ «uomo nella società»: i processi che – come altra e contestuale faccia del processo di socializzazione che porta la società dentro l’uomo – determinano la costruzione dell’identità individuale. Tali processi – in particolare attraverso la «interiorizzazione» – sono diretti a consentire all’individuo che cresce: il raggiungimento dell’autodirezione e dell’autonomia in un contesto, tuttavia, socialmente normato e regolato; la capacità di «parlare e di agire» (Habermas) e di «lavorare e di amare» (Freud), ossia di agire, in relazioni sociali, sia nella dimensione tecnica e razionale, sia nella dimensione affettiva; in ultima analisi, ad attualizzare compiutamente la dimensione della «coscienza» individuale (consapevolezza di sé e capacità di negazione/distanziamento); 38 4. il processo di «mediazione simbolica» che svolge un ruolo fondamentale nello strutturare il rapporto tra dimensione individuale e dimensione sistemicosociale. La dimensione simbolica assicura la mediazione dell’esperienza immediata e diretta ed il passaggio all’esperienza riflessa e consapevole. 39 Essa (Crespi, 1985) è costituita dalle diverse forme espressive che, attraverso il linguaggio, si configurano come rappresentazioni della realtà (racconto mitologico; religione; arte; tecniche; sapere scientifico; filosofia; sistemi di diritto; regole di comportamento; ecc.) che costituiscono altrettanti modi in cui il soggetto riesce a mediare simbolicamente il rapporto con se stesso, con gli altri, con le cose. 40 La condivisione della dimensione simbolica di un gruppo/una comunità/una società, appresa ed interiorizzata nel corso del processo di socializzazione, permette la prevedibilità dell’azione sociale e, dunque, la stabilizzazione di un sistema di relazioni sociali. 41 Ciò è possibile attraverso la definizione di un ordine normativo comune agli attori sociali (norme sociali=aspettative sociali di comportamento) che consentono, sulla base dei ruoli sociali («l’insieme delle norme e delle aspettative che convergono su un individuo in quanto occupa una determinata posizione», ovvero svolge una certa funzione entro la divisione sociale del lavoro: Gallino, 1993), di «comprendere ed interpretare le azioni degli altri su una base di reciprocità» (Crespi, 1985). 42 N.B. Il ruolo sociale può essere anche definito come «comportamento/sistema di comportamenti» socialmente attesi da un attore che svolga una determinata funzione socialmente regolata entro una divisione sociale del lavoro. Al ruolo sociale è collegato lo status sociale che rappresenta l’insieme delle risorse (economiche, di prestigio e potere, ecc.) che vengono riconosciute all’attore sociale sulla base del ruolo/dei ruoli che esso svolge. La composizione, oltre che la quantità, di tali risorse è determinata culturalmente e storicamente ed incide sulla stratificazione sociale. Il ruolo e lo status, insieme, definiscono la posizione sociale dell’attore sociale. 43 In particolare nelle sue componenti di «immagini del mondo», soprattutto – com’è stato per la più parte del processo evolutivo delle società – di carattere religioso, la dimensione simbolica svolge anche una funzione sociale importante (per molti essenziale): Essa tende ad assicurare conferimento di senso (e così ad assicurare la «latenza», nel termine parsonsiano che verrà affrontato a suo tempo) a due esperienze che ricorrono nel ciclo di vita: la «esperienza del limite» e la «esperienza del caso». 44 L’esperienza del limite (Bagnasco, Barbagli, Cavalli, 1979): è collegata alla consapevolezza (particolarmente enfatizzata da alcune vicende biografiche) del limite della durata della vita, delle capacità individuali, delle possibilità stesse di spiegazione di eventi che evidenziano tali limiti. Nel ricorso ad una realtà trascendente (la dimensione storica ed umana) e sovrannaturale - la sfera del sacro – si trova la possibilità di affidarsi ad «ente onnisciente al quale ricondurre in modo unitario l’ordine delle cose naturali ed umane». 45 Ciò, soprattutto nell’esperienza del caso, fornisce gli strumenti simbolici che permettono quella «elaborazione del lutto» che è necessaria alla continuità dell’azione sociale intenzionale ed alla stabilità del modello culturale di riferimento dell’attore sociale e dell’ordine normativo entro cui si muove l’attore sociale stesso. 46 Anche l’ordine morale è strettamente collegato alle funzioni della dimensione simbolica: il modello culturale, in particolare se strettamente collegato ad un sistema di credenze religiose, fonda - e «giustifica», in modo più efficace se rimandandoli alla volontà di un ente sovrannaturale, al loro carattere «universale» e «naturale» e quindi astorico, cioè sottratto all’arbitrarietà e provvisorietà delle decisioni sociali – gli assunti e le basi etico-morali dell’ordine normativo (e dunque anche dell’organizzazione, delle disuguaglianze sociali, dei rapporti di potere, ecc.) di un gruppo/una comunità/una società. 47 Il ruolo che i modelli/sistemi culturali svolgono nel legittimare l’ordine sociale è al centro della teoria parsonsiana dell’azione e dei sistemi sociali: «L’esigenza funzionale centrale delle interrelazioni tra una società e un sistema culturale è la legittimazione dell’ordine normativo della società. I sistemi di legittimazione definiscono le ragioni dei diritti posseduti dai membri e delle proibizioni che incombono su di essi. Soprattutto l’uso del potere (…) richiede la legittimazione.» Il concetto di legittimazione implica «che sia in qualche modo “giusto” che le cose si facciano in conformità con l’ordine istituzionalizzato. (…) I modelli culturali di valore forniscono il legame più diretto tra i sistemi sociali e quelli culturali nel legittimare l’ordine normativo della società.» (T. Parsons, 1966). 48 Il tema della legittimazione del potere politico è stato invece introdotto, in modo compiuto, in sociologia da Max Weber. Il concetto weberiano di potere legittimo è stato efficacemente ripreso e chiarito da N. Bobbio: «Un potere può dirsi legittimo quando chi lo detiene lo esercita a giusto titolo, e lo esercita a giusto titolo in quanto è autorizzato da una norma o da un insieme di norme generali che stabiliscono chi in una determinata comunità ha il diritto di comandare e di ricevere obbedienza ai suoi comandi.» (N. Bobbio, 1987) 49 I tre tipi ideali di potere politico legittimo secondo M. Weber Tre sono i tipi puri (o ideali) di potere politico legittimo. La validità della sua legittimità può essere infatti, in primo luogo: a) di carattere tradizionale, quando poggia sulla credenza quotidiana nel carattere sacro delle tradizioni valide da sempre, e nella legittimità di coloro che sono chiamati a rivestire un'autorità (potere tradizionale); b) di carattere carismatico, quando poggia sulla dedizione straordinaria al carattere sacro o alla forza eroica o al valore esemplare di una persona e degli ordinamenti rivelati o creati da essa (potere carismatico); c) di carattere razionale, quando poggia sulla credenza nella legalità di ordinamenti statuiti e del diritto di comando di coloro che sono chiamati ad esercitare il potere (potere legale) in base ad essi. (F. Crespi, 1985). 50 A riguardo della teoria weberiana del potere legittimo è opportuno sottolineare due aspetti: a) la distinzione tra autorità e potere. Se il potere rappresenta la «capacità di imporre comunque una volontà anche se l'altro vi resiste», il potere è legittimo quando è esercitato sulla base di un’autorità conferita a chi esercita il potere (l'autorità della tradizione, del capo carismatico, della legge). A sua volta l’autorità è conferita (ad una dinastia regnante, a un capo carismatico, ad un leader/ceto politico in una società moderna) sulla base di valori e norme che, come chiarito da Bobbio, definiscono «chi ha diritto a comandare»; 51 b) la distinzione tra legittimazione del potere e consenso: «In quanto adesione a un valore morale che si crede impersonato nel dominatore, la legittimazione ha una connotazione etica, metarazionale, pure nei casi in cui si riferisce ad una struttura razionale quale il diritto moderno. il consenso è sovente adesione a un comportamento o ad un corso di azione del soggetto dominante, cui non è estrinseco un elemento di interesse strumentale o di calcolo» (L. Gallino, 1993). 52 5. il ruolo delle «rappresentazioni sociali» (Durkheim; Thomas) nella «produzione» di realtà sociali attraverso sistemi socialmente condivisi di significato. Il “teorema di Thomas” delle rappresentazioni sociali: secondo la rielaborazione del pensiero di Thomas ad opera di Merton, se un soggetto individuale/un gruppo definisce una situazione, una circostanza come reale, i suoi comportamenti, indipendentemente dalla effettiva realtà di quella situazione, saranno conseguenti alla sua valutazione della situazione stessa e, attraverso l’interazione sociale, concorreranno alla produzione di realtà. 53 Tale «teorema» può essere applicato alla spiegazione di innumerevoli fenomeni sociali che evocano, ad es., il pregiudizio a riguardo della malattia mentale (cfr. la Storia della follia di Foucault), della disabilità fisica, del pregiudizio etnico, religioso o sessuale, ecc. e delle conseguenze che ne sono derivate sul piano delle relazioni sociali, del sistema di disuguaglianze e del riconoscimento dei diritti di cittadinanza o, peggio, di fenomeni di «pulizia etnica» o sterminio (come nel caso della Shoah) a causa delle limitazioni o della negazione dell’inclusione sociale dei soggetti o dei gruppi colpiti da tali rappresentazioni sociali. 54 Il pregiudizio scaturito da rappresentazioni sociali e gli effetti che sono derivati come negli esempi appena citati sono peraltro da leggere come fatti sociali (secondo la definizione di Durkheim: «maniere di agire, pensare e di sentire, esterne all’individuo, e che sono dotate di un potere di coercizione in virtù del quale si impongono a lui») che rispondono a precise funzioni sociali, manifeste o latenti (secondo la distinzione di Merton. In tale caso si può ricordare, ad es., la funzione di capro espiatorio (cfr. il concetto freudiano di esportazione del lutto). 55 6. il ruolo della cultura come strumento di «riduzione della complessità», ovvero di codificazione simbolica condivisa e di rappresentazione sociale della realtà nelle sue varie dimensioni. «Il concetto di riduzione di complessità svolge un ruolo centrale in tutta la teorizzazione luhmanniana e va compreso all'interno del rapporto sistema-ambientemondo. (…) 56 «Per mondo Luhmann intende la complessità indeterminabile, l'insieme delle illimitate possibilità, che come tale non può mai essere circoscritto. Il mondo comprende sia l'ambiente, ovvero l'insieme delle possibilità determinabili presenti in una situazione concreta, che il sistema, in quanto prodotto determinato, costituitosi in base alla effettiva selezione di alcune delle possibilità determinabili dell'ambiente e alla negazione di tutte le altre. Tanto l'ambiente che il sistema sono quindi già livelli progressivi di riduzione di complessità del mondo.» (Crespi, 1985) 57 «La riduzione di complessità operata dal senso è, nella sua selettività, in sé assolutamente arbitraria, in quanto non è possibile ricondurre il senso a nessun criterio oggettivo di realtà o di verità». «Anche per Luhmann, come per Weber e Schutz, resta rilevante nella produzione del senso la dimensione intersoggettiva e sociale, in quanto il senso, come principio convenzionale di identificazione dei soggetti e dei sistemi sociali, e come garanzia di stabilizzazione dell'universo dell'esperienza vissuta e dell'azione, si costituisce sempre all'interno dei processi di interazione. Tali processi sono caratterizzati dalla doppia contingenza, un concetto già usato da Parsons». (Crespi, 1985) 58 La doppia contingenza: «Ogni esperienza vissuta e ogni agire, riferito ad altri uomini, è doppiamente contingente, per il fatto che dipende non solamente da me, ma anche dall'altro, il quale deve essere concepito da me come alter ego, cioè come altrettanto libero e mutevole quanto lo sono io» (Luhmann 1971). 59 «A differenza dei sistemi fisici o biologici, i cui confini possono essere definiti empiricamente, i sistemi sociali sono definibili solo sulla base del senso partecipato (…) Dato che le forme determinate del senso possono variare continuamente nel tempo e nello spazio, perché si dia un sistema sociale è necessario che sussistano forme codificate sufficientemente stabili del senso, tali da garantire la prevedibilità delle reciproche aspettative di comportamento, sulla base di regole condivise nel tempo (tradizione, ripetitività dell'esperienza) e nel sociale (consenso fondato sulla presenza di norme o sui comandi di un'autorità riconosciuta). Tale stabilizzazione infatti non si realizza, secondo Luhmann, nella forma di relazioni di invarianza fra determinate cause e determinati effetti, ma sulla base di aspettative socialmente condivise». (Crespi, 1985) 60 Due proprietà dei sistemi sociali I sistemi esistono solo in quanto autoreferenziali: «Un sistema può essere definito come autoreferenziale se costituisce in proprio, quali unità funzionali gli elementi di cui è composto, e se attiva in tutte le relazioni fra questi ultimi un rinvio a tale autocostituzione, che viene quindi in questo modo continuamente riprodotta». (Luhmann, 2001) Il carattere autoreferenziale dei sistemi è alla base della loro ulteriore proprietà: l’autopoiesi "Un sistema autopoietico è organizzato come una rete di processi di produzione di componenti che produce le componenti che: attraverso le loro interazioni e trasformazioni rigenerano continuamente e realizzano la rete di processi che le producono e la costituiscono come un'unità concreta nello spazio in cui esse esistono, specificando il dominio topologico della sua realizzazione in quanto tale rete«. (Maturana, Varela, 1985). 61 7.Il «relativismo culturale» e la cultura come «inganno funzionalmente necessario». Nella società moderna ed ancora di più in quella contemporanea, per effetto della crescita delle interdipendenze sistemiche a livello globale e delle relazioni interculturali, «ciò che era apparso per secoli come un ordine immutabile fondato sulla stessa natura degli uomini e sulla legge divina, viene ora visto come il prodotto storico dell’agire collettivo. Non vi è un’unica forma di società, né i valori sono dappertutto gli stessi: possono darsi anzi forme molto diverse di cultura e di società a secondo delle epoche, della collocazione geografica, delle caratteristiche climatiche e territoriali, delle forme economiche e delle vicissitudini storiche» (Crespi, 1985). 62 La consapevolezza del relativismo culturale, se da una parte alimenta lo spirito critico nei confronti dell’ordine sociale entro alcuni strati sociali, convive, tuttavia, con la persistenza diffusa, a livello generale degli attori sociali, di processi di rimozione del carattere storicamente determinato del modello culturale di riferimento della società in cui gli attori vivono. Ogni modello culturale, in altri termini, tende funzionalmente ad assolutizzarsi e a «naturalizzarsi». «La formazione di strutture richiede (…) la presenza di due condizioni essenziali: da un lato una certa misura di latenza funzionale, che impedisca una ri-problematizzazione della struttura, dall’altro lato l’approntamento di meccanismi che regolino la gestione delle inevitabili delusioni» (Luhmann, 1983). 63 8. il problema di «modelli educativi» adeguati in quanto diretti allo sviluppo di un io equilibrato tra pulsioni individuali ed aspettative normative ed alla capacità di agire nelle relazioni sociali nella prospettiva della reciprocità e dell’altro generalizzato. 64