UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA Facoltà di Economia “R.M. Goodwin” Scuola di Dottorato in Diritto e Economia TESI DI DOTTORATO in DIRITTO DELLA BANCA E DEL MERCATO FINANZIARIO (XIX CICLO) Acquisizione di partecipazioni e disciplina delle offerte pubbliche di acquisto nelle società bancarie TUTOR Chiar.mo Prof. FRANCO BELLI CANDIDATO LUIGI SCIPIONE Anno Accademico 2006-2007 INDICE SOMMARIO Introduzione……………………………………………………………………………………………...p. 4 Capitolo I LA DISCIPLINA DELLE PARTECIPAZIONI AL CAPITALE DELLE BANCHE 1. L’evoluzione della disciplina degli assetti proprietari delle banche. Dalla Legge del 1936 all’attuazione della seconda Direttiva bancaria…………………………………………………………7 2. La disciplina delle partecipazioni bancarie nel Testo Unico……………………………………………12 3. L’autorizzazione all’acquisizione di partecipazioni qualificate.…………………………………………14 3.1. La nozione di “partecipazione rilevante”. …………………………………………………………….15 3.1.1. (Segue): L’autorizzazione alla variazione successiva della partecipazione autorizzata……………….17 3.2. L’ambito soggettivo di applicazione della disciplina. …………………………………………………..19 4. Il regime preventivo dell’autorizzazione nelle Istruzioni di vigilanza. Procedure e termini……………..20 4.1. (Segue): Il tema dell’informativa preventiva in caso di acquisto del controllo…………………………...22 5. Le finalità sottese alla potestà discrezionale della Banca d’Italia: il principio della “sana e prudente gestione”……………………………………………………………………………………26 5.1. (Segue): I requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale: un corollario della sana e prudente gestione………………………………………………………………………………………………..28 5.2. (Segue): Le specifiche dichiarazioni di impegno volte a tutelare la sana e prudente gestione della banca o della società capogruppo………………………………………………………………..31 6. Il potere della Banca d’Italia di sospendere o revocare l’autorizzazione………………………………..34 7. Gli elementi identificativi della nozione di partecipazione indiretta……………………………………36 8. La nozione di controllo ex art. 23 del T.u.b……………………………………………………………38 9. La disciplina delle partecipazioni di imprese non finanziarie (rapporto banca-industria)……………….39 9.1. (Segue): Rapporti di controllo e accordi di voto…………………………………………………………43 10. L’acquisto di partecipazioni di controllo nelle banche da parte di imprese di assicurazione. Problematiche di natura prudenziale…………………………………………………………………...45 10.1. (Segue): I nuovi assetti dei rapporti tra banche ed imprese di assicurazione…………………....48 11. Il regime sanzionatorio………………………………………………………………………………...50 12. Le partecipazioni detenibili dalle banche: cenni………………………………………………………..51 Capitolo II GLI ASSETTI PROPRIETARI DELLE BANCHE TRA ORDINAMENTO ITALIANO E DISCIPLINA COMUNITARIA. PROFILI GENERALI E ASPETTI COMPARATISTICI 1. 2. 3. 4. 5. 6. Premessa………………………………………………………………………………………………54 Disciplina comunitaria e ordinamento nazionale a confronto. Le regole procedurali e i criteri per la valutazione prudenziale…………………………………………………………………………55 La questione della “disapplicazione” di norme nazionali contrastanti con la disciplina comunitaria nell’ambito di una procedura di acquisizione di partecipazioni bancarie…………………..59 La disciplina dei controlli sugli assetti proprietari nei principali Paesi europei. Un’analisi comparata……………………………………………………………………………………………..51 Le nuove norme sulle fusioni bancarie transfrontaliere………………………………………………...63 La disciplina delle partecipazioni dei soggetti esteri……………………………………………………68 -1- Capitolo III LE OFFERTE PUBBLICHE DI ACQUISTO TRA DISCIPLINA GENERALE SOCIETARIA E DISCIPLINA SPECIALE BANCARIA 1. 2. 3. Premessa………………………………………………………………………………………………71 Le offerte pubbliche di acquisto. Nozione e tipologie…………………………………………………72 L’opera di razionalizzazione e di semplificazione dell’impianto della disciplina sulle Opa nel T.u.f. Definizione del campo di indagine.…………………………………………………………73 4. Gli obblighi informativi connessi allo svolgimento di un’offerta pubblica di acquisto………………….76 4.1. La nuova disciplina del procedimento di offerta………………………………………………………79 5. Lo svolgimento dell’offerta: irrevocabilità dell’offerta e parità di trattamento…………………………..81 6. Il comunicato della società emittente…………………………………………………………………...82 7. Il divieto di contrastare l’offerta………………………………………………………………………..83 7.1. (Segue): La decorrenza della passivity rule e gli interessi protetti…………………………………………..87 8. Il procedimento per il lancio di un’Opa bancaria. Il problema del rapporto tra normativa sulle società quotate (le regole generali sull’Opa) e normativa speciale sulle imprese bancarie………….89 8.1. (Segue): In particolare: il rapporto tra obbligo di “informativa preventiva” e obbligo di tempestiva comunicazione alla Consob e al mercato nel sistema previgente…………………………....90 8.2. (Segue): Il perfezionamento del negozio di acquisto delle partecipazioni bancarie in caso di Opa…………………………………………………………………………………………………92 8.3. (Segue): Il conflitto fra le disposizioni della Consob e le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia……...93 9. Coordinamento e cooperazione tra supervisori in funzione del corretto funzionamento del mercato………………………………………………………………………………………………..97 Capitolo IV LE PRINCIPALI IPOTESI DI OPA NEL SETTORE BANCARIO 1. 2. 2.1. 3. 3.1. 3.2. 4. 4.1. 5. 5.1. 6. 6.1. 6.2. Premessa………………………………………………………………………………………….98 L’ambito di applicazione della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto obbligatorie.………....99 L’offerta pubblica di acquisto totalitaria…………………………………………………………101 La supposta incompatibilità tra tutela della “sana e prudente gestione” e Opa “ostili”…...………102 (Segue): Un giudizio sull’Opa “ostile” con particolare riguardo al sistema bancario……………….104 Tutela degli azionisti e profili di responsabilità degli amministratori nel comunicato della società emittente………………………………………………………………………………...107 La disciplina delle offerte “concorrenti” e delle offerte “in aumento”…………………………....110 (Segue): Opa bancarie concorrenti “travestite” da obbligatorie…………………………………....112 Introduzione alla nozione di “acquisto di concerto”……………………………………………..113 (Segue): Gli acquisti di concerto e l’obbligo di comunicazione degli accordi di voto nel settore bancario…………………………………………………………………………………116 L’Opa e il nodo della “contendibilità” delle banche popolari……………………………………119 (Segue): Adeguamenti della governance delle popolari: autoregolamentazione statutaria dei singoli intermediari o intervento diretto del legislatore?..................................................................121 (Segue): L’inapplicabilità della break-through rule al modello delle banche cooperative quotate………........................................................................................................................123 -2- Capitolo V LA DISCIPLINA ANTITRUST IN MATERIA DI CONCENTRAZIONI BANCARIE 1. 2. 3. Introduzione. Vigilanza sulle acquisizioni bancarie e controllo delle concentrazioni………………….125 Vigilanza sulle acquisizioni bancarie e controllo delle concentrazioni………………………………....126 L’assetto normativo previgente: l’attribuzione delle competenze in materia antitrust alla Banca d’Italia e le diverse linee interpretative……………………………………………………..127 3.1. Riflessioni sull’esperienza comparatistica……………………………………………………………..129 4. L’estensione della competenza sulla concorrenza delle banche al Garante nella legge n. 262/2005. Il passaggio ad un modello di vigilanza per finalità…………………………………………………...132 4.1. (Segue): L’iter condiviso tra le due Authorities. I profili procedurali e applicativi legati alla previsione di un “unico atto”………………………………………………………………………...134 4.2. (Segue): L’intervento correttivo del d.lgs. n. 303 del 2006……………………………………………....136 4.3. L’esatta divisione di competenze tra le due Autorità di controllo in relazione alle fattispecie oggetto di valutazione: le altre ipotesi dell’art. 19 del T.u.b………………………………………….138 4.3.1. (Segue): L’analisi dei meccanismi concertativi negli organismi societari delle banche…………………140 5. La commistione di obiettivi nell’applicazione della normativa antitrust………………………................142 5.1. Autorizzazione di operazioni di concentrazione per esigenze di stabilità e failing company doctrine……...144 5.2. Ulteriori aspetti critici e interventi ipotizzabili a confronto………………………………….................147 6. Opa e operazioni di concentrazione. I legami fra disciplina della concorrenza e disciplina del mercato mobiliare...........................................................................................................................................149 7. Le concentrazioni bancarie nel diritto comunitario antitrust. Profili introduttivi………………………151 7.1. Il caso particolare di svolgimento di un’offerta pubblica di acquisto………………………………….153 7.2. Deroghe alla competenza esclusiva della Commissione Europea a favore dell’Autorità di vigilanza nazionale…………………………………………………………………………………...155 7.3. Gli ostacoli regolamentari al cross border banking in Europa……………………………………………159 Osservazioni conclusive………………………………………………………………………………...163 Riferimenti bibliografici………………………………………………………………………………...169 -3- Introduzione “La complessa disciplina concernente l’acquisto di partecipazioni rilevanti nel capitale delle banche può essere compiutamente percepita solo ove si ponga mente ai rilevanti mutamenti, indotti da fonti di matrice comunitaria, che hanno riguardato gli intermediari bancari (la natura dei quali è ormai del tutto svincolata da vetusti schemi pubblicistici). Essa si esplica, in connessione con il passaggio da un oligopolio amministrato a un mercato regolato, anche in relazione al paradigma della supervisione sulla stabilità, che nel passato avveniva attraverso controlli per lo più di stampo amministrativo-contabile (gli “istituti” e le “aziende” di credito erano soggetti incaricati dello svolgimento di un pubblico servizio, astretti entro rigidi limiti operativi), ma che oggi, con l’accento posto sulla gestione, non può prescindere dalle caratteristiche di imprenditorialità delle aziende bancarie, essendosi il suo baricentro venuto a spostare su una nuova concezione della vigilanza prudenziale”. Questo brano della sentenza del Tar del Lazio del luglio 20051, emessa in occasione della recente vicenda dell’offerta pubblica di acquisto della Banca Popolare Italiana su Antonveneta, esprime in maniera significativa le problematiche che nel contesto normativo degli anni Duemila sono sorte in relazione al trasferimento del controllo su imprese bancarie, soprattutto in ipotesi di Opa. Come è noto, l’acquisizione di partecipazioni rilevanti (e quindi, a fortiori, di controllo) nelle imprese del settore finanziario è soggetta a regimi speciali. Nelle società di diritto bancario, in considerazione della peculiarità dell’attività svolta, la disciplina del trasferimento di partecipazioni rilevanti è sottoposta a pubblici controlli per il rispetto della “sana e prudente gestione” dei soggetti vigilati. Pertanto, colui che intende acquisire il controllo o comunque partecipazioni al capitale di banche, in misura superiore a determinate percentuali, deve adempiere puntuali obblighi informativi e ottenere le necessarie autorizzazioni. Nel caso di banche non quotate l’acquisizione può essere realizzata mediante trattative private fra due o più soggetti. Il provvedimento di autorizzazione della Banca d’Italia deve intervenire prima del perfezionamento dell’operazione. Diversamente, quando l’acquisizione della partecipazione di controllo riguarda società bancarie quotate, alle disposizioni legislative e regolamentari, previste dal Testo unico bancario e dalle Istruzioni di vigilanza, si affiancano le regole generali in materia di offerte pubbliche di acquisto e di scambio previste dal Testo unico della finanza. L’istituto delle offerte pubbliche di acquisto riveste nel settore bancario una funzione peculiare e in parte diversa da quella assunta per le altre società di diritto comune. Sicchè, mentre di norma la disciplina dell’Opa è preordinata alla tutela del mercato e delle minoranze, quella inerente alle banche, pur nel rispetto della disciplina del T.u.f., è “influenzata” dal rispetto dei limiti alle partecipazioni posti, come si è detto poc’anzi, dal legislatore (art. 19 del T.u.b.) e dalla Banca d’Italia per la tutela della stabilità. Vi è poi un ulteriore, eventuale effetto da ricollegare al trasferimento del controllo e che si ritiene opportuno prendere in considerazione nel presente lavoro. Le Opa possono infatti dar luogo ad operazioni di concentrazione2 e, in tal caso, necessitano anch’esse di un’autorizzazione che ne valuti l’impatto dal punto di vista della tutela del mercato e della concorrenza (art. 16 della legge n. 287/1990), valutazione che nel caso delle banche veniva V. T.A.R. Lazio sez. I, 9 agosto 2005, n. 6157, in Giurisprudenza italiana, 2005, p. 2421 ss. Come emerge dalla definizione di cui all’art. 5, comma 1, della l. n. 287/1990, le forme di concentrazione prese in considerazione dalla legge antitrust sono la fusione per incorporazione (lett. a), l’assunzione del controllo su un’altra entità economica (lett. b) e, caso meno frequente nella prassi, la costituzione di un’impresa comune (lett. c). 1 2 -4- condotta dalla Banca d'Italia anche in relazione ai poteri di Autorità di tutela della concorrenza nei mercati bancari ad essa attribuiti dalla legge n. 287/1990. Pertanto, l’organo di vigilanza doveva in primis verificare che l’operazione non contrastasse con il criterio della “sana e prudente gestione”, ex art. 19 T.u.b., per poi prendere in esame gli effetti concorrenziali. Nel caso delle Opa bancarie, dunque, “la concorrenza di competenze e di funzioni ispirate a filosofie profondamente diverse”3, pone dal punto di vista applicativo alcuni seri problemi. Da qui l’esigenza, o se vogliamo l’opportunità, per l’interprete di verificare: in primo luogo, se sia possibile trovare un punto di equilibrio tra i diversi obiettivi perseguiti dalle autorità di vigilanza, per tentare di ricondurre la tensione spesso esistente tra gli stessi a coerenza e coordinamento; in secondo luogo, in che misura la disciplina << speciale >> dettata per le società bancarie, soprattutto quotate, alteri la configurazione dell’istituto delle offerte pubbliche di acquisto data dal diritto comune, al fine di mitigarne i possibili effetti dannosi. La questione di fondo, che pare di poter cogliere ad un primo esame, investe il rapporto tra normativa sulle società quotate (le regole generali sull’Opa) e normativa speciale sulle imprese bancarie; ad esso si collega il tema della prevalenza – in caso di conflitto – dell’uno o dell’altro sistema di norme, in ragione del fatto che le disposizioni in materia bancaria hanno l’obiettivo di tutelare interessi (innanzitutto quello dei depositanti) che non necessariamente coincidono con quelli degli azionisti proprietari. Non essendo, ovviamente, questa la sede per una analisi complessiva dei problemi sollevati, si possono soltanto indicare, in uno sforzo di sintesi, alcuni filoni sui quali sviluppare l’indagine e le conseguenti proposte di modifica dell'impianto normativo. Seguendo questa impostazione, nel primo capitolo si è ritenuto opportuno illustrare l’impianto normativo, di rango primario e secondario, che disciplina il trasferimento di partecipazioni rilevanti al capitale delle banche. La prima parte è dedicata all’evoluzione storica della normativa, funzionale alla comprensione del contesto attuale. Successivamente, costituisce oggetto di indagine l’articolata normativa emanata dal CICR e dalla Banca d’Italia in tema di autorizzazione per l’acquiszione di partecipazioni rilevanti nelle banche. Sono, quindi, esaminati i requisiti che i potenziali acquirenti devono possedere, secondo le attuali disposizioni amministrative, al fine di assicurare la “sana e prudente gestione” della banca. Chiudono il capitolo l’esame della nozione di controllo rilevante ai fini della disciplina bancaria e un rapido richiamo alla disciplina che regola il rapporto banca – industria, con particolare riferimento allo studio delle acquisizioni del controllo di banche da parte di imprese di assicurazione. Nel secondo si analizzano le norme comunitarie in materia di assetti proprietari delle banche, referente primario per la disciplina nazionale del settore creditizio, in modo da collocare la disciplina bancaria nell’ambito del più generale e complesso disegno di armonizzazione del settore creditizio perseguito dalla Commissione europea. Segue l’analisi in chiave comparatistica della disciplina delle partecipazioni al capitale delle banche vigente nei principali ordinamenti europei e un richiamo alle nuove norme sulle fusioni bancarie transfrontaliere. I capitoli terzo e quarto, che costituiscono la parte centrale del lavoro, sono invece dedicati allo studio della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto nel settore bancario. Lo studio delle Opa bancarie risulta emblematico della complessità della vigilanza nel caso di operazioni di acquisto del controllo che coinvolgono diverse normative di settore e diverse Autorità di controllo. Nella prima parte, l’indagine verte principalmente sugli adempimenti precedenti il lancio dell’offerta pubblica, là dove, con particolare riferimento ai problemi di coordinamento con la 3 Così A. ANTONUCCI, Diritto delle banche, 3 ed., Milano, 2006, p. 177. -5- disciplina di settore prevista per l’acquisto del controllo negli istituti di credito, emergono alcuni interrogativi e taluni punti di debolezza dell’attuale impianto normativo. Nello specifico, si intende accertare in quale misura l'attuale ripartizione delle competenze di vigilanza tra più soggetti e i numerosi adempimenti procedurali esistenti possano incidere negativamente sul corretto funzionamento dei meccanismi di mercato, determinando oneri amministrativi eccessivi e rallentando, sino talvolta a “deviare”, i processi decisionali degli operatori. Nel quarto capitolo, un rapido richiamo alla disciplina delle Opa obbligatorie si rende necessario al fine di analizzare alcune specifiche problematiche emerse nei recenti casi di Opa bancaria, con particolare riferimento: a) al fenomeno delle Opa ostili; b) alle incogruenze sorte in materia di offerte c.d. “incrociate” (offerte in aumento, Opa concorrenti e modificazioni delle offerte); c) ai problemi sperimentali emersi con riguardo all’accertamento di un “patto occulto” e al successivo obbligo di lanciare un’Opa obbligatoria, con conseguente sovrapposizione di competenze tra i due regulators (Consob e Banca d’Italia); d) all’assenza di contendibilità per le banche popolari, da imputare alle peculiarità proprie della struttura coopertiva. L’analisi della disciplina delle Opa bancarie implica la necessità di individuare il corpus di regole e, in parte, le “modalità applicative” delle norme antitrust generali concernenti specificamente le aggregazioni nel settore bancario, che costituiscono pertanto oggetto di indagine nel quinto ed ultimo capitolo. Come si è accennato, il regime creato dalla legge n. 287 del 1990 era connotato da un sistema di applicazione della disciplina della concorrenza agli intermediari finanziari diverso e originale rispetto ad altri ordinamenti europei. Sino all’emanazione della nuova legge per la tutela del risparmio (l. n. 262/2005), la Banca d’Italia svolgeva un compito che riguardava anche la tutela della concorrenza, assumendo una speciale potestà nel settore bancario in materia di controllo sui processi di concentrazione, che si affiancava in maniera determinante a quella svolta dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato4. Il diritto antitrust presentava, dunque, numerosi profili problematici in termini di definizione dell’ambito applicativo, di operazioni soggettivamente miste, di definizione delle sfere di competenza, nonché diverse altre questioni. L’analisi delle nuove disposizioni, operando un continuo raffronto, evidenzia i principali punti di contatto-frizione tra l’ordinamento comunitario e quello interno che, fatte salve talune differenziazioni formali, si ispira ampiamente al primo. Si pone, per ultima, la questione sempre più emergente della vigilanza su mercati i cui assetti e strutture superano l’ambito nazionale, con il coinvolgimento di Autorità e normative di diversi Paesi della Comunità europea. Di grande interesse è la disamina compiuta da M. POLO, Concorrenza e Opa nell’industria bancaria, in Mercato concorrenza regole, 1999, 2, p. 245 ss. La complessità della materia è dovuta anche al sovrapporsi alle leggi italiane, ai regolamenti e alle autorizzazioni delle varie Autorità (Banca d’Italia, Consob, Isvap, Antitrust) della disciplina di rango comunitario. Basti pensare che, nell’ipotesi di operazioni cross-border, occorre considerare le implicazioni derivanti dall’iter della Commissione europea incaricata, per il profilo sovranazionale, di valutare i profili concorrenziali delle concentrazioni tra imprese. Sull’argomento, per un primo commento, cfr. D. LUCARINI ORTOLANI, Le offerte pubbliche di acquisto e scambio tra disciplina generale societaria e disciplina speciale bancaria, in Banca, impr. soc., 2001, 2, p. 283 ss.; G. ROTONDO, L’applicazione della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto al settore bancario, in G. FALCONE, G. ROTONDO e L. SCIPIONE (a cura di), Le offerte pubbliche di acquisto, Milano, 2001, p. 209 ss. 4 -6- Capitolo I LA DISCIPLINA DELLE PARTECIPAZIONI E DEL CONTROLLO NELLE BANCHE SOMMARIO: 1. L’evoluzione della disciplina degli assetti proprietari delle banche. Dalla Legge del 1936 all’attuazione della seconda Direttiva bancaria. - 2. La disciplina delle partecipazioni bancarie nel Testo Unico. - 3. L’autorizzazione all’acquisizione di partecipazioni qualificate. - 3.1. La nozione di “partecipazione rilevante”. - 3.1.1. (Segue): L’autorizzazione alla variazione successiva della partecipazione autorizzata. - 3.2. L’ambito soggettivo di applicazione della disciplina. - 4. Il regime preventivo dell’autorizzazione nelle Istruzioni di vigilanza. Procedure e termini. - 4.1. (Segue): Il tema dell’informativa preventiva in caso di acquisto del controllo. - 5. Le finalità sottese alla potestà discrezionale della Banca d’Italia: il principio della “sana e prudente gestione”. - 5.1. (Segue): I requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale: un corollario della sana e prudente gestione. - 5.2. (Segue): Le specifiche dichiarazioni di impegno volte a tutelare la sana e prudente gestione della banca o della società capogruppo. - 6. Il potere della Banca d’Italia di sospendere o revocare l’autorizzazione. - 7. Gli elementi identificativi della nozione di partecipazione indiretta. - 8. La nozione di controllo ex art. 23 del T.u.b. - 9. La disciplina delle partecipazioni di imprese non finanziarie (rapporto banca-industria). - 9.1. (Segue): Rapporti di controllo e accordi di voto. - 10. L’acquisto di partecipazioni di controllo nelle banche da parte di imprese di assicurazione. Problematiche di natura prudenziale. - 10.1. (Segue): I nuovi assetti dei rapporti tra banche ed imprese di assicurazione. - 11. Il regime sanzionatorio. - 12. Le partecipazioni detenibili dalle banche: cenni. 1. L’evoluzione della disciplina degli assetti proprietari delle banche. Dalla Legge del 1936 all’attuazione della seconda Direttiva bancaria. La legge bancaria del 1936-38 ha indubbiamente costituito il cuore della disciplina del sistema bancario per più di cinquant’anni, prevedendo un articolato apparato di controllo sia sulle banche, sia sul mercato creditizio nel suo complesso5. Il legislatore del 1936, che pure interveniva in tutte le fasi salienti della vita delle aziende di credito, sembrava essersi disinteressato del tema degli assetti proprietari delle banche; l’unica eccezione poteva infatti cogliersi nella previsione di nominatività obbligatoria per le partecipazioni azionarie in società bancarie, di cui agli artt. 26 e 39, forse in considerazione della prevalente natura pubblica degli enti creditizi. Per altro verso, la legge bancaria del ’36, nell’applicazione data dalle Autorità di vigilanza, sanciva il principio della separatezza tra banca e industria, nella consapevolezza che promiscue commistioni tra questi due comparti potessero riportare alla luce i fenomeni che avevano caratterizzato i dissesti finanziari di alcune grandi banche italiane, a seguito della crisi economica degli anni 1930-346. Dall’esame delle norme traspariva come la principale preoccupazione del legislatore fosse, in realtà, quella di “neutralizzare la possibile influenza delle preesistenti partecipazioni di capitale straniero nelle banche di interesse nazionale”7. L’art. 26 della legge bancaria poneva come condizione per la conservazione dei possessi azionari in tali banche da parte di cittadini Per tutti v. F. CARBONETTI, I cinquant’anni della legge bancaria, in Riv. soc., 1986, p. 849 ss. Così F. BELLI, Note a margine della nuova normativa sul rapporto banca-indistria, in Dir. banc. fin., 1988, I, p. 486; sul punto v. pure F. CAPRIGLIONE, Costituzione di banche e rapporto banca-industria, in Banca, borsa tit. cred., 1988, I, p. 703 s.; A. ROSSI, Rapporti fra industria e banca (aspetti giuridici), s.l., 1989. 7 Così G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, 1995, 3, I, p. 288. 5 6 -7- ed enti stranieri l’espressa rinuncia al diritto di voto in assemblea8. Per contro, non erano previsti in capo all’Autorità di vigilanza specifici poteri di controllo sulla qualità dei partecipanti al capitale delle banche, sia in sede di costituzione, sia e soprattutto in sede di trasferimento delle relative partecipazioni9. A partire dalla prima metà degli anni ’80, il quadro istituzionale subì alcune sostanziali modificazioni che, coprendo un arco molto vasto, andavano dalla disciplina del mercato bancario a quella della struttura e dell’attività dei soggetti che sul mercato operavano10. La disciplina sulle partecipazioni al capitale delle banche trova un suo antecedente nell’obiettivo della trasparenza degli assetti proprietari delle stesse. Il primo provvedimento in materia è rappresentato dalla legge 4 giugno del 1985, n. 281 con la quale venivano dettate specifiche disposizioni per l’identificazione dei soci. La nuova disciplina sostanzialmente ricalcava quella prevista per le partecipazioni in società quotate in borsa (legge n. 216/1974). In particolare, l’art. 9 introduceva l’obbligo di dare comunicazione scritta delle partecipazioni superiori al 2% (nonché anche delle successive variazioni in aumento o in diminuzione) del capitale sia alla banca partecipata e sia alla Banca d’Italia. Nel contempo l’art. 10 attribuiva all’Autorità di vigilanza specifici poteri informativi per accertare l’effettiva titolarità delle partecipazioni bancarie. La predisposizione di questo sistema di pubblicità consentiva, infatti, la conoscibilità dei singoli soggetti che, tramite partecipazione azionaria, in vario modo e nei limiti richiamati, controllavano un ente creditizio. L’omessa comunicazione era sanzionata con la sospensione del diritto di voto11. In particolare, i poteri discrezionali della Banca d’Italia in sede di autorizzazione alla costituzione degli enti creditizi conobbero una forte compressione per effetto della nuova disciplina dell’accesso al settore creditizio introdotta dal d.p.r. n. 350/1985 (di attuazione della prima direttiva di coordinamento in materia bancaria n. 77/780/CEE12). Tra le condizioni per l’autorizzazione alla costituzione la legge richiedeva il possesso di specifici requisiti di onorabilità anche per i partecipanti al capitale che fossero “in grado di influire sull’attività dell’ente [art. 1, lett. c)]13. A ciò si aggiunse la pressoché contestuale rimozione della sospensiva di carattere generale per la costituzione di nuove banche14; infine emersero istanze di una Va detto, però, che il d.p.r. 30 dicembre 1965, n. 1655, aveva escluso l’applicabilità di tale previsione normativa ai cittadini ed agli enti di Stati membri della Cee. 9 L’assenza di norme espresse al riguardo induceva parte della dottrina, ancora in tempi recenti, a dubitare che un principio di separatezza sotto tale profilo potesse desumersi dal sistema della legge bancaria e comunque ad interrogarsi su quale fosse il fondamento normativo dello stesso. Sul punto, in particolare, cfr. M. PORZIO, I rapporti banca-imprese nella normativa vigente, in A. BROZZETTI e V. SANTORO (a cura di), Le direttive comunitarie in materia bancaria e l’ordinamento italiano, Milano, 1990, p. 149 ss.; D. LUCARINI ORTOLANI, Banche e partecipazioni, Milano, 1994, p. 151 ss. 10 In proposito v. quanto detto nella Relazione della Banca d’Italia per il 1986. Considerazioni finali, Roma, 1986, p. 31 s. 11 Sul punto v. R. COSTI, L’identificazione dei soci delle società bancarie, in Banca, impr. soc., 1986, p. 221 ss.; P. FERRO LUZZI e G. CASTALDI, Art. 9, commi 1 e 2, legge 281/1985: Prime riflessioni esegetiche, in Banca, borsa tit. cred., 1986, I, p. 425 ss. 12 Al riguardo cfr. M. PORZIO, La legislazione italiana di attuazione della direttiva CEE 77/780. Prime riflessioni, in Mezzogiorno Europa, 1985, 3, p. 383 ss.; E. MACCARONE, Prime considerazioni sulla legge di attuazione della direttiva n. 780 del 12 dicembre 1977, in Banca, borsa e tit. cred., 1986, I, p. 171; R. COSTI, L’ordinamento bancario italiano e le direttive comunitarie, in Banca, impr. soc., 1986, p. 3 ss.; L. DESIDERIO, Le norme di recepimento della direttiva comunitaria n. 77/780 in materia creditizia, in Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza legale della Banca d’Italia, Roma, 1986, p. 42 ss. 13 Requisiti che, come rileva G.F. CAMPOBASSO, op. cit., p. 287, “sono fissati ex lege dall’art. 5, con norma che solleva subito problemi di coordinamento con il successivo art. 7, che inibisce l’esercizio del diritto di voto ai soci privi di alcuni di tali requisiti”. 14 Le autorizzazioni alla costituzione di imprese bancarie e all’esercizio della relativa attività, la c.d. “valutazione economica del bisogno economico del mercato”, vennero unificate (con intuibile semplificazione delle procedure prima previste) e il provvedimento venne subordinato solo alla mera dimostrazione, da parte delle 8 -8- nuova riallocazione delle risorse che il sistema finanziario non riusciva più a gestire in maniera ottimale, individuandosi il principale ostacolo nel modello della banca pubblica15. In questo scenario, sia la legge 4 giugno 1985, n. 281, che la legge 17 aprile 1986, n. 114 (di poco successiva al d.p.r. 350/1985) fornirono alle autorità di vigilanza, e in particolare alla Banca d’Italia, nuovi strumenti informativi per un efficace controllo sia sulle partecipazioni delle banche sia sulle partecipazioni in banche. Di tal che, anche gli interventi normativi che seguirono riproposero (soprattutto con l’adozione della forma societaria e la privatizzazione parziale delle banche) il quesito dell’intreccio tra banca e industria16. Nello specifico, occorreva impedire che l’apporto di capitale di rischio da parte di soggetti con interessi imprenditoriali in settori industriali potesse pregiudicare l’autonomia decisionale e la stabilità della gestione delle banche nell’attività di erogazione del credito17. Le linee di intervento così delineate furono riprese e portate a compimento a livello legislativo, dopo un lungo e travagliato iter parlamentare, con la disciplina inserita nel Titolo V della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (c.d. legge antitrust). Al di là della indiscutibile portata innovativa, la legge 287/1990 presentava notevoli divergenze rispetto alla disciplina comunitaria, tanto che risultò inevitabile, in sede di recepimento della direttiva n. 89/646/CEE, coordinare compiutamente la disciplina nazionale con i principi comunitari18. Per quanto direttamente interessa ai fini del presente lavoro, si ricorda che gli artt. 27-29 della l. n. 287/1990 tratteggiavano un sistema di controlli sulle partecipazioni al capitale bancario complesso e per taluni aspetti macchinoso, non privo di numerose ambiguità interpretative, nel quale si intrecciavano, sovrapponendosi, obblighi di diversa natura (poiché già previsti da altre disposizioni di legge) in capo agli azionisti delle banche19. imprese istanti, di avere i prescritti requisiti di capitale e di forma giuridica nonché di essere amministrate e dirette da esponenti “onorabili” e professionalmente qualificati. 15 In dottrina cfr. S. AMOROSINO, (a cura di), La ristrutturazione delle banche pubbliche – l’attuazione della L. 218 del 1990, Milano, 1991; M. PORZIO, Appunti sulla “Legge Amato”, in Riv. soc., 1991, p. 804 ss.; AA.VV., La ristrutturazione della banca pubblica e la disciplina del gruppo creditizio. Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza legale della Banca d’Italia, Roma, 1992; M. RISPOLI FARINA, (a cura di), Dall’ente pubblico creditizio alla società per azioni. commentario alla L. 218/90, Napoli, 1993; C.L. UBERTAZZI, Nuovi spunti sulle autorizzazioni alle concentrazioni bancarie, in Dir. finanz., 1993, I, p. 527 ss. 16 Così G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 287. Con l’adozione della forma societaria e la privatizzazione parziale delle banche, si rese possibile da parte delle industrie l’accesso al capitale delle banche, riproponendo, così, il vecchio problema del rapporto tra banca e industria. In merito v. R. PEPE, Riflessioni e confronti in tema di separatezza tra banca e industria, in Banca d’Italia: Temi di discussione del servizio studi, n. 76, 1986; T. DI BIASE e A. MAGLIOCCO, Commento sub art. 19, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Padova, 1994, p. 120. 17 Cfr. A. MARZANO, Partecipazioni di imprese non finanziarie al capitale bancario, in Banche e banchieri, 1988, p. 109 ss.; P. DACREMA, Evoluzione e prospettive nella teoria e prassi del rapporto banca-industria, in Banche e banchieri, 1990, p. 185 ss. L’assunzione di partecipazioni di controllo da parte di imprese non finanziarie era scelta non generalmente condivisa da economisti e giuristi. Si osservava, d’altro canto, che gli orientamenti che si andavano delineando in sede comunitaria (con la proposta di seconda Direttiva bancaria), pur introducendo un controllo sulla “qualità” degli azionisti, non prevedevano alcuna discriminazione fondata sulla natura (industriale o finanziaria) dell’attività svolta dai partecipanti al capitale delle banche. 18 In merito v. F. BELLI, Note a margine della nuova normativa sul rapporto banca-industria, in Dir. banc. fin., 1988, I, p. 486 ss. Ciò spiega perché l’intervento di maggior rilievo nella materia in questione sia da individuare nel d.lgs. n. 481 del 1992, con il quale si è data attuazione alla disciplina comunitaria, mentre nel Testo Unico del 1993 le modifiche apportate sono state per lo più dirette al riassetto normativo della materia sotto il profilo sistematico. 19 In particolare, il Titolo V prendeva in considerazione: a) la previsione di un obbligo di comunicazione alla Banca d’Italia dell’acquisizione di partecipazioni superiori all’1% (ma non superiori al 5%) del capitale della banca, che si affiancava agli adempimenti informativi già previsti dall’art. 9 della l. n. 281/1985, dando luogo ad una duplicazione di dubbia utilità; -9- Sotto il profilo formale, l’impianto normativo della legge non si presentava immune da difetti redazionali che, ovviamente, finivano per riflettersi sul piano operativo. Basti pensare che nell’articolato non veniva esplicitato il termine per l’adempimento degli obblighi autorizzativi in capo ai partecipanti, circostanza dalla quale derivava la difficoltà pratica da parte del giudice penale di applicare, in assenza di dies a quo, la sanzione prevista per l’omessa richiesta di autorizzazione20. Sul piano sostanziale, la complessità della disciplina poteva trovare una giustificazione nella mancanza o, comunque, nell’inadeguatezza delle norme di diritto comune in tema di gruppi societari, di patti di sindacato, di controllo tra persone fisiche e società. Il legislatore, nell’introdurre norme specifiche per la ricostruzione dei rapporti tra i soggetti “a monte” della banca, aveva attribuito rilevanza a legami e situazioni del tutto sconosciuti al diritto comune. Quanto detto sin’ora spiega coma la legge n. 287/1990 avesse alimentato, già dal suo nascere, un ampio dibattito dottrinale che, al di là dell’indiscutibile portata delle norme sul piano dei principi, aveva posto in luce un’esigenza di razionalizzazione del sistema dei controlli introdotto dalla legge stessa, e di adeguamento della disciplina ai principi adottati a livello sovranazionale21. L’intervento di maggior rilievo venne compiuto con il d.lgs. 14 dicembre 1992, n. 481 che, nel dare attuazione alla disciplina comunitaria (direttiva 89/646/CEE del 15 dicembre 1989), lasciava inalterati i principi ispiratori di fondo del sistema precedentemente delineato. Le modifiche apportate erano per lo più dirette ad un riassetto normativo della materia sotto il profilo sistematico, in particolare con riguardo alle disciplina dettata dal Titolo V della legge n. 287/199022. Nello specifico, avendone presunto la compatibilità con la direttiva, il d.lgs. 481/1992 aveva, da un lato, mantenuto sia le norme della legge 287/1990 concernenti la rilevanza delle partecipazioni ai fini autorizzativi, sia quelle dirette a garantire la separatezza tra banca e industria (si confermava la scelta di fondo del tetto del 15% per le partecipazioni dei soci non finanziari); dall’altro, aveva provveduto a trasformare in preventivo l’obbligo di comunicazione delle partecipazioni, a modificare la nozione di controllo societario rilevante ai fini della b) la necessità dell’autorizzazione della Banca d’Italia per l’assunzione di partecipazioni (dirette o indirette) pari ad almeno il 5% del capitale o che comunque attribuissero il controllo dell’ente creditizio (art. 27, comma 1), nonché delle successive variazioni, in aumento e in diminuzione, superiori al 2% (art. 27, comma 4); c) il principio della separatezza tra banca e industria, vietando ai soggetti non appartenenti al settore bancario e finanziario di assumere partecipazioni (dirette o indirette) superiori al 15% o comunque tali da comportare il controllo dell’ente creditizio (art. 27, comma 6); d) l’introduzione di una nozione anomala di “controllo congiunto o per patto da sindacato” (art. 27, comma 2), in base alla quale venivano considerati “controllanti”, attraverso una vera e propria fictio iuris, tutti gli aderenti ad un patto di sindacato, anche se titolari di singole quote partecipative irrilevanti, quando la partecipazione complessiva del patto fosse superiore al 25% del capitale della società. L’effetto di questa previsione era, dunque, quello di impedire l’assunzione di partecipazioni anche ininfluenti da parte di imprese industriali; e) un articolato sistema sanzionatorio, per più versi poco chiaro, che prevedeva, accanto a sanzioni penali, la sospensione del diritto di voto per le partecipazioni non comunicate o non autorizzate e l’obbligo di alienazione per le partecipazioni possedute in violazione del divieto di cui all’art. 29. 20 In senso conforme v. T. DI BIASE e A. MAGLIOCCO, op. cit., p. 121 s.; P. FERRO LUZZI, op. ult. cit., p. 425 ss. Analoga esperienza normativa viene svolta dalla legge 281/1990 e dalla normativa di attuazione contenuta nel d.lgs. n. 356/1990 in materia di gruppi bancari. 21 V. art. 25 della legge comunitaria per il 1991. 22 Come rileva G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 290. Sulla stessa lunghezza d’onda v. R. ALESSI e G. OLIVIERI, La disciplina della concorrenza e del mercato (Commento alla legge 10 ottobre 1990, n. 287 ed al regolamento n. 4064/89 del 21 dicembre 1989), Torino, 1991, p. 140 ss.; A. PATRONI GRIFFI, A. ANTONUCCI e C. MOTTI, Norme in materia di partecipazioni al capitale degli enti creditizi, in A. FRIGNANI, L. PARDOLESI, A. PATRONI GRIFFI e C.L. UBERTAZZI (a cura di), Diritto antitrust italiano, Bologna, 1993, II, p. 1175 ss. - 10 - disciplina delle partecipazioni allineandola con quella comunitaria23, ad attribuire alla Banca d’Italia il compito di valutare discrezionalmente la qualità degli azionisti avendo riguardo non solo al principio della separatezza, ma anche al più ampio criterio della “sana e prudente gestione”24. Proprio la corretta realizzazione dell’obiettivo generale della “sana e prudente gestione” della banca, aveva comportato, di per sé, un’accentuata delegificazione dei criteri di intervento. Tale soluzione, nonostante i ben noti dubbi di legittimità pur avanzati in dottrina, trovava un suo puntuale antecedente nella legge bancaria del 193625. L’ampio ricorso alla normativa secondaria di attuazione si rinveniva, peraltro, non solo in relazione agli aspetti procedurali per la richiesta dell’autorizzazione, ma anche in merito a “profili sostanziali della complessiva disciplina delle partecipazioni prima fissati per legge (requisiti di onorabilità e soglie partecipative rilevanti)” 26. Cfr. A. PATRONI GRIFFI, Le modificazioni al regime delle autorizzazioni alla costituzione e all’assunzione di partecipazioni, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Il recepimento della seconda direttiva CEE in materia bancaria, Bari, 1993, p. 32 ss. Va sottolineato, in proposito, che, nell’opera di armonizzazione della normativa nazionale a quella comunitaria, il legislatore delegato si è avvalso della possibilità riconosciuta ai singoli Stati membri (IX° considerando della II direttiva CEE) di adottare su tale materia una disciplina più severa. Per un’analisi comparativa tra l’originario impianto della legge antitrust e le modifiche apportate al d.lgs n. 481/1992, cfr. A. PATRONI GRIFFI, Norme in materia di partecipazioni al capitale degli enti creditizi in Diritto antitrust italiano, cit., p. 1194 ss. e p. 1375 ss. Soprattutto si nota la scomparsa della discussa fattispecie del c.d. “controllo congiunto” o “da sindacato”, regolato nell’originario testo dell’art. 27 della l. 287/1990. In senso conforme v. pure P. ABBADESSA, La legge, in A. SPENA e G. GIMIGLIANO (a cura di), Le fonti del diritto bancario, Milano, 2003, p. 36. 24 L’assenza di coordinamento della disciplina delle partecipazioni al capitale con quello della costituzione dell’ente creditizio, nella legge antitrust, aveva sollevato “problemi di coesistenza e di compatibilità con la non coincidente delibera del CICR del 1987, che delineava una regolamentazione degli assetti proprietari con esclusivo riferimento alla fase costitutiva”. Per fugare qualsiasi dubbio si era espressamente chiarito che l’autorizzazione alla costituzione valesse anche come autorizzazione preventiva alla sottoscrizione della relativa partecipazione qualificata [art. 9, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 481/1992, ed ora art. 14, comma 1, lett. d), T.u.b.]; in tal senso v. G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 290 s. Di diverso avviso altra autorevole dottrina (A. PATRONI GRIFFI, A. ANTONUCCI e C. MOTTI, Norme in materia di partecipazioni al capitale degli enti creditizi, in Diritto antitrust italiano, cit., p. 1185 ss.) che riteneva necessario, ai fini dell’autorizzazione alla costituzione, presentare l’atto costitutivo e non un semplice “progetto” dello stesso. 25 Cfr. F. CASTIELLO, Riforma e controriforma della legge bancaria, in Bancaria, 12, 1992, p. 57 ss.; contra, invece, P.G. MARCHETTI, Osservazioni sull’attuazione della Seconda direttiva Cee in materia bancaria, in Riv. soc., 1993, p. 263 ss. Secondo G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 291, “Si tratta comunque di una tecnica che ha contribuito non poco ad un’autorevole semplificazione e ad una migliore comprensione del contenuto precettivo delle norme, rendendone nel contempo possibile un più duttile adeguamento nel tempo”. Per utili riferimenti bibliografici si rinvia a G. CASTALDI, Il Testo Unico bancario, tra innovazione e continuità, Torino, 1995, p. 31 ss.; V. SANTORO, I rapporti di partecipazione tra banca e industria, in A. BROZZETTI e V. SANTORO (a cura di), Le direttive comunitarie in materia bancaria e l’ordinamento bancario, Milano, 1990, p. 154 ss. Come noto, la legge n. 287/1990 sulla tutela della concorrenza e del mercato, vide la luce dopo un lungo e travagliato iter parlamentare, in parte dovuto proprio alla questione dei rapporti tra banca e industria. In merito cfr. F. BELLI, Note a margine della nuova normativa sul rapporto banca-industria, in Dir. banc. fin., 1988, I, p. 486; F. CAPRIGLIONE, Costituzione di banche e rapporto banca-industria, in Banca, borsa, tit. cred., 1988, I, p. 722; G.F. CAMPOBASSO, op. cit., p. 289; G. CASTALDI, op. cit., p. 32 ss.; in senso conforme v. pure T. DI BIASE e A. MAGLIOCCO, op. cit., p. 121; P. FERRO LUZZI, op. cit., p. 425 ss. 26 Al riguardo G. MINERVINI, Il vino vecchio negli otri nuovi, in M. RISPOLI FARINA (a cura di), La nuova legge bancaria, Napoli, 1995, p. 10 ss., precisa che: “con la nuova normativa, secondo molti studiosi, vi è stata una delegificazione ed una remissione della disciplina a fonti secondarie addirittura maggiore di quella che caratterizzava la c.d. elasticità della legge bancaria”. In proposito v. anche le opinioni di C.L. APPIO, Il procedimento di autorizzazione alla partecipazione al capitale delle banche fra legge e normazione secondaria, in Giur. comm., 1995, I, p. 785; A. GUACCERO, Le partecipazioni del socio industriale nella società per azioni bancaria, Milano, 1997, p. 254. Nel senso della legittimità di tale opera di delegificazione cfr. P. BARILE, in La nuova legge bancaria, a cura di P. FERRO LUZZI e G. CASTALDI, I, Milano, 1996, p. 20 s.; T. DI BIASE e A. MIGLIOCCO, op. cit., p. 123 s. È di parere opposto G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni delle banche e dei gruppi bancari, in Banca, borsa e tit. cred., 1995, III, p. 283 s., il quale sostiene che “l’opzione di totale delegificazione della disciplina dei rapporti partecipativi è venuta 23 - 11 - 2. La disciplina delle partecipazioni bancarie nel Testo Unico. La disciplina degli assetti proprietari delle banche trova sistemazione unitaria nel Capo III del Titolo II (artt. 19-24) e nell’art. 25 (requisiti di onorabilità) del Testo unico bancario, “con disposizioni che si caratterizzano per un encomiabile sforzo di ulteriore semplificazione stilistica e per l’adozione di soluzioni tecniche che hanno consentito una migliore articolazione ed un ulteriore ridimensionamento del testo legislativo”27. Il legislatore eleva, inoltre, il criterio della “sana e prudente gestione” a “norma-chiave”28 dell’intero ordinamento bancario, con una capacità pervasiva che va ben oltre i limiti in cui lo stesso criterio era (ed è) astretto nell’ambito della seconda direttiva bancaria29. meno, a partire dal 1990, per quanto riguarda la partecipazione al capitale delle banche, i cui principi sono oggi fissati dagli artt. 19-25 del T.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia (…), sia pure con ampio rinvio alla normativa secondaria di attuazione”. 27 Così G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., pp. 291 e 295. Il legislatore del 1993 conclude, infatti, un processo di riforma della legislazione bancaria, iniziato alla fine degli anni Settanta e caratterizzato da un’esigenza di fondo: la necessità di modificare la struttura giuridica delle banche pubbliche e incentivare l’adozione della forma societaria di s.p.a., al fine di promuovere nel sistema creditizio e finanziario la logica del mercato e della concorrenza. Più in generale cfr. G. GUARINO, L’armonizzazione della legislazione bancaria: la revisione dell’ordinamento bancario del 1936, in V. MEZZACAPO (a cura di), Studi sulla nuova legge bancaria, Roma, 1994, p. 18 ss.; V. NASTASI, Banca universale e gruppo polifunzionale: una scelta strategica per l’impresa, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Il recepimento della seconda direttiva CEE in materia bancaria, Bari, 1993, p. 90 ss. 28 L’espressione è di G. MINERVINI, op. ult. cit., p. 11. Condividono tale opinione V. BUONOCORE, Riflessioni in margine al nuovo testo unico in materia bancaria e creditizia, in Banca impr. soc., 1994, p. 173 s. Ciascuna delle tematiche ora evocate sconta, a meri fini illustrativi, approfondimenti intuitivamente incompatibili con caratteristiche, finalità, dimensioni di questo scritto. In tale consapevolezza non può peraltro qui omettersi di considerare che istituti, strumenti, regole del controllo prudenziale si basano sulla formula della “sana e prudente gestione”, che rappresenta il parametro cui viene riferita l’azione della vigilanza. Ed è parametro talora controverso, come unanimemente sostengono in dottrina A. ANTONUCCI, Diritto delle banche, 2 ed., Milano, 2000, p. 56; F. CAPRIGLIONE, L’ordinamento bancario verso la neutralità, Padova, 1994, p. 141; ID., Dal decreto 481/1992 al testo unico in materia bancaria e creditizia, in Giur. comm., 1993, I, p. 837; A. PATRONI GRIFFI, Le modificazioni al regime delle autorizzazioni alla costituzione e all’assunzione di partecipazioni, cit., p. 170; ID., La legge bancaria nel passaggio dal vecchio al nuovo testo: prime riflessioni sistematiche, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Il recepimento della seconda direttiva CEE in materia bancaria, Bari, 1993, p. 39 ss.; G. GUARINO, op. ult. cit., p. 23; F. BELLI e V. SANTORO, Commento alla legge 10 ottobre 1990, n. 287 e al d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74, in A. AFFERNI (a cura di), Concorrenza e mercato, Padova, 1994, p. 635 ss.; G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit., p. 300; P.G. MARCHETTI, Osservazioni sull’attuazione della seconda direttiva CEE in materia bancaria, cit., p. 284. Si tratta di una formula elastica, che necessariamente coinvolge una discrezionalità tecnico-professionale nel momento di essere attuata. La discrezionalità tecnica è, pertanto, una facoltà di valutazione ineliminabile nei giudizi dell’Autorità di controllo. D’altronde, la Banca d’Italia ne ha fatto uso prevalentemente con riferimento alla qualità degli azionisti ed all’affidabilità della situazione finanziaria, che costituiscono paradigmi di riferimento dell’espressione nell’ambito della seconda direttiva bancaria (cfr. artt. 5 e 11 direttiva n. 89/646/CEE). 29 Da ciò deriva che il compito dell’autorità è il perseguimento delle finalità generali attraverso il rispetto della sana e prudente gestione dei soggetto vigilati. Nel senso indicato, la formula “sana e prudente gestione” costituisce il punto di saldatura tra obiettivi di sistema, azione di vigilanza e condotta delle imprese. L’Autorità non persegue la realizzazione autonoma di ogni obiettivo, ma opera nella ricerca dell’ottimale combinazione delle finalità; in tal senso cfr. G. NAPOLETANO e M. SEPE, La sana e prudente gestione, in AA.VV., Le finalità della vigilanza nel nuovo ordinamento del credito: profili economici e giuridici, Roma, Banca d’Italia (dattiloscritto), 1994, p. 4. Considerando che “sana” è una gestione caratterizzata da efficienza funzionale e neutralità allocativa, e che “prudente” si definisce una gestione razionalmente avversa al rischio, si è concluso che “tra sana e prudente gestione e la stabilità del sistema finanziario sembra correre un rapporto di causa-effetto: operatori sani e prudenti dovrebbero in generale essere meno esposti a crisi, quindi un sistema composto di operatori stabili dovrebbe a sua volta presentare caratteristiche di solidità”; così M. TRAPANESE e A. ERIA, Relazione fra gli obiettivi, in AA.VV., Le finalità della vigilanza nel nuovo ordinamento del credito, cit., pp. 1 e 5. Dunque, sembra che non si possa dubitare che il rapporto che si presenta tra queste finalità sia quello di mezzo-obiettivo, posto che le norme della sana e prudente - 12 - Sotto un profilo sistematico la complessa normativa può essere scomposta e quindi riaggregata in sottogruppi di regole abbastanza omogenee. Nel primo insieme si possono distinguere le norme che regolano l’autorizzazione necessaria per l’assunzione di partecipazioni superiori ad una predeterminata soglia (art. 19) da quelle che impongono ai soci delle società bancarie obblighi di comunicazione e informazione nei confronti della Banca d’Italia (artt. 20 e 21). Le prime rilevano anche in sede di autorizzazione all’accesso, pur trattandosi di regole che concernono l’acquisizione della partecipazione durante societate; le seconde attengono alla “vigilanza informativa”, in termini di trasparenza degli assetti proprietari e delle effettive posizioni di potere dei principali azionisti, fondata sull’obbligo di comunicazione delle partecipazioni rilevanti e degli accordi che regolano l’esercizio del diritto di voto30. Le norme richiamate presentano, comunque, diversi momenti in comune, soprattutto per quanto concerne le cosiddette partecipazioni indirette (art. 22), la definizione della nozione di controllo (art. 23) e le sanzioni poste a tutela sia dell’obbligo di comunicazione che degli interessi protetti attraverso l’autorizzazione (art. 24). Oltre alle norme del Titolo II, Capo III, e all’art. 25, che disciplina i requisiti di onorabilità dei partecipanti, del T.u.b., la materia è inoltre regolata dagli artt. 51 e 66, concernenti la vigilanza informativa sulle banche e sui soggetti inclusi nell’ambito della vigilanza consolidata, e dall’art. 63. Tale ultima disposizione estende alle partecipazioni al capitale delle società finanziarie a capo di un gruppo bancario l’intera disciplina del Titolo II, Capo III. La ratio di tale previsione non può che rinvenirsi nella sostanziale assimilazione della società finanziaria capogruppo ad una banca. In particolare, ai sensi del comma 2 dell’art. 63 T.u.b.31, la Banca d’Italia dispone, nei confronti delle altre società finanziarie e delle società strumentali che compongono un gruppo bancario (ex art. 60), nonché dei partecipanti al loro capitale, dei poteri informativi sugli assetti proprietari previsti dall’art. 21 T.u.b.32. La tutela del valore della sana e prudente gestione in relazione agli assetti proprietari delle banche e delle società finanziarie capogruppo è altresì affidata a meccanismi sanzionatori (artt. 139 e 140 del T.u.b.)33. Un’ampia delegificazione caratterizza, come più volte detto, il T.u.b., ragion per cui la disciplina anche in questa materia deve essere completata con l’intervento della Banca d’Italia, la quale determina con proprio regolamento: a) la partecipazione qualificata e le soglie gestione cercano la realizzazione della stabilità, intesa come finalità sistemica, procurando e promovendo la solidità dei singoli operatori, componenti del sistema. 30 Nel Testo Unico trova separata sistemazione anche la specifica e più scarna normativa in tema di partecipazione al capitale degli intermediari finanziari non bancari (Titolo V); normativa che, al pari di quella prevista per gli intermediari operanti nel settore mobiliare (società di gestione di fondi comuni di investimento, Sim, Sicav) si articola ed esaurisce nella previsione di requisiti di onorabilità per i partecipanti (art. 108) e di obblighi di comunicazione delle partecipazioni qualificate (art. 110), la cui assunzione, a differenza delle partecipazioni in banche, resta peraltro non soggetta ad ulteriori controlli e limitazioni. 31 Si tenga presente, infatti, che l’art. 63, comma 2, T.u.b. sostanzialmente riproduce l’art. 41 del d.lgs. n. 356/1990, in tema di trasparenza degli assetti proprietari dei gruppi bancari. 32 In proposito cfr. C. MOTTI, Commento sub artt. 20-21 T.u.b., in F. BELLI, G. CONTENTO, A. PATRONI GRIFFI, M. PORZIO e V. SANTORO (a cura di), Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Commentario, Bologna, 2003, p. 308. 33 Il quadro normativo è stato poi completato dalla Delibera del CICR del 19 aprile 1993 (pubblicata in G.U. Serie generale - n. 117 del 21 maggio 1993) e dal Regolamento del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica del 18 marzo 1998, n. 144, recante norme per l’individuazione dei requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale sociale delle banche e fissazione della soglia rilevante (pubblicato in G.U. - Serie generale - n. 109 del 13 maggio 1998). Per un primo commento alla disciplina in esame cfr. ASSONIME, Commento alla delibera del CICR del 19 aprile 1993 e alle Istruzioni della Banca d’Italia del 16 agosto 1993, in Riv. soc., 1993, p. 3 ss.; P. ANELLO e S. RIZZINI BISINELLI, Nuove norme di Bankitalia per l’autorizzazioe all’attività bancaria, in Le società, n. 4/1994, p. 278 ss. - 13 - partecipative; b) i soggetti tenuti a effettuare le comunicazioni quando il diritto di voto spetta o è attribuito a un sogetto diverso dal socio, ovvero quando esistono accordi concernenti l’esercizio del diritto di voto; c) le procedure e i termini per l’effettuazione delle suddette comunicazioni. 3. L’autorizzazione all’acquisizione di partecipazioni qualificate. Premesso che la disciplina sulle autorizzazioni è rivolta indistintamente a tutti i soggetti che intendano acquisire interessenze nel capitale bancario, il primo comma dell’art. 19 T.u.b. esordisce affermando che “la Banca d’Italia autorizza preventivamente l’acquisizione a qualsiasi titolo di azioni o quote di banche da chiunque effettuata quando comporta, tenuto conto delle azioni o quote già possedute, una partecipazione superiore al 5% del capitale della banca rappresentato da azioni o quote con diritto di voto”34. Viene poi sottoposta ad autorizzazione anche l’acquisizione del controllo di una società che detiene una partecipazione superiore al 5% del capitale di una banca (art. 19, comma 3). Si tratta di una disposizione che mira a risolvere alla radice eventuali manovre elusive dei limiti posti dalla legge35. Infine, per effetto della nuova disposizione di cui al comma 8-bis dell’art. 19, l’autorizzazione della Banca d’Italia si rende necessaria anche qualora l’acquisizione del controllo derivi, direttamente o indirettamente, da un contratto con la banca o da una clausola del suo statuto36. Ai sensi del quinto comma dell’art. 19 T.u.b. la Banca d’Italia “rilascia l’autorizzazione quando ricorrano condizioni atte a garantire una gestione sana e prudente della banca; l’autorizzazione può essere sospesa o revocata”. Il pregiudizio della gestione sana e prudente è altresì elevato a criterio selettivo in relazione alla fattispecie di cui al successivo settimo comma. Nel Testo unico bancario, modalità, termini e procedure per il rilascio dell’autorizzazione, come per la sospensione37 e la revoca, sono completamente delegificati38. Si segnala che nella versione precedente del T.u.b., il primo comma dell’art. 19 terminava con le parole: “e indipendentemente da tale limite, quando la partecipazione comporta il controllo della banca stessa”. 35 Cfr. G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 299. Le finalità perseguite sono ritenute dal legislatore talmente importanti da incidere sulle vicende traslative della proprietà di società non bancarie, in relazione alla sola circostanza che queste detengono partecipazioni bancarie, indipendentemente, quindi, dal peso relativo delle stesse sulla complessiva attività delle società. 36 Comma inserito dall’art. 39 del d.lgs. n. 310 del 2004. 37 Il termine è interrotto nel caso in cui la documentazione prodotta risulta incompleta o insufficiente. Il termine è sospeso qualora si rendano necessari ulteriori elementi informativi ovvero nell’ipotesi in cui la Banca d’Italia richieda informazioni e/o documentazione ad autorità pubbliche nazionali ed estere. Nel caso, infatti, in cui il soggetto che intende acquisire il controllo sia una banca comunitaria, l’impresa madre di una banca comunitaria, ovvero la persona fisica o giuridica che controlla una banca comunitaria, la valutazione dell’operazione deve essere oggetto di una consultazione preventiva con le autorità competenti dello Stato in cui ha sede la banca acquirente (artt. 7 e 11, §. 2, della dir. 89/646/CEE). In questo caso il termine è sospeso in attesa del parere dell’autorità estera. In proposito cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per le banche, cit., Tit. II, cap. 1, sez. II, §. 4, commi 4 e 8. 38 A tal proposito v. L. LACAITA, Assetto istituzionale e disciplina della vigilanza, in M. RISPOLI e G. ROTONDO (a cura di), Il mercato finanziario, Milano, 2005, p. 48; G. MINERVINI, La vigilanza bancaria: un bilancio, in M RISPOLI FARINA (a cura di), La vigilanza sul mercato finanziario, Milano, 2005, p. 17. Vero è che l’art. 19, comma 9, T.u.b. specifica che: “La Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, emana disposizioni attuative del presente articolo”. In proposito, è il caso di sottolineare come il T.u.b., pur non contenendo una puntuale ed esplicita norma di attribuzione della vigilanza bancaria alla Banca d’Italia, nel dettare la concreta disciplina dell’attività di vigilanza affida in modo univoco la titolarità del relativo potere in via esclusiva alla Banca d’Italia, alla quale si riserva in materia anche il potere di proposta nei confronti del CICR. Non solo, ma il T.u.b. priva, in linea di principio, il CICR del potere di concreta direttiva sull’attività di vigilanza 34 - 14 - In entrambi i casi, la garanzia di una gestione sana e prudente della banca costituisce il solo canone di comportamento cui deve conformarsi il controllo dell’autorità di vigilanza. Attualmente, presupposti e condizioni atti a garantire una gestione sana e prudente della banca trovano infatti specificazione nei paragrafi 5 (rilascio dell’autorizzazione) e 6 (sospensione e revoca) della delibera del CICR n. 1057 del 2005 e nelle relative Istruzioni della Banca d’Italia, con indicazioni in verità alquanto elastiche, ma che nel complesso risultano coerenti rispetto al criterio base legislativo di derivazione comunitaria39. Il CICR, dal canto suo, nella precednte deliberazione del 19 aprile 1993, anziché delimitare la potestà discrezionale della Banca Centrale, aveva riservato a quest’ultima un ampio potere regolamentare, ricorrendo all’uso di una terminologia alquanto “ambigua”. E ciò presumibilmente anche con l’intento di lasciare alla Banca d’Italia maggiori spazi, entro cui poter esplicare liberamente l’attività di controllo sugli assetti proprietari delle banche. 3.1. La nozione di “partecipazione rilevante”. Come si è appena descritto, qualsiasi intervento, partecipativo o contrattuale, che possa comportare il controllo di una banca – o di una società capogruppo di un gruppo bancario – deve essere autorizzato quando derivi dal superamento di una determinata soglia di rilevanza. L’art. 19, comma 1, (novellato dal d.lgs. n. 37 del 2004) si limita a fissare la soglia minima rilevante, ossia una partecipazione superiore al 5 per cento del capitale della banca rappresentato da azioni o quote con diritto di voto. La determinazione delle altre soglie autorizzative e delle modalità di calcolo delle stesse è invece demandata alla Banca d’Italia, previo intervento del CICR. Il comma 2, lett. h-quinquies), dell’art. 1 del T.u.b. definisce rilevanti le partecipazioni che comportano il controllo dell'intermediario e le partecipazioni individuate dalla Banca d'Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, con riguardo alle diverse fattispecie disciplinate, “tenendo conto dei diritti di voto e degli altri diritti che consentono di influire sulla società”. Si ricorda, a tal proposito, che la nuova versione dell’art. 1, comma 2, lett. h-quater), del T.u.b. definisce le partecipazioni come le azioni, le quote e gli altri strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi o comunque i diritti previsti dall'art. 2351, ultimo comma, del codice civile. della Banca d’Italia, sottolineando l’esclusiva titolarità in capo a quest’ultima del relativo potere, naturalmente nei limiti delle regole fissate dalla legge e dal CICR medesimo. Sul punto cfr. P. DE VECCHIS, Commento all’art. 4, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Padova, 2001, p. 22 ss. In effetti, a differenza di quanto facevano l’art. 12 della legge bancaria del 1936 e l’art. 2 del d.l.c.p.s. 17 luglio 1947, n. 69, il T.u.b. non riconosce più al CICR un potere generale di direttiva nei confronti della Banca d’Italia. Anche facendo riferimento alla nozione di << alta vigilanza >>, tale potere non può desumersi neppure indirettamente; del resto l’<< alta vigilanza >> va intesa solo come un’espressione riassuntiva dei poteri tipici e nominati attribuiti dal T.u.b. al Comitato, tra i quali spicca la cogestione dei poteri di vigilanza c.d. regolamentare indicati all’art. 53 del T.u.b. Vero è, peraltro, che “nel settore bancario, poi, se si esamina la prassi pluridecennale degli equilibri tra apparati di vertice nell’ordinamento creditizio, emerge che i poteri del CICR sono stati esercitati, non tanto allo scopo di impartire indirizzi alla Banca d’Italia per allineare l’attività di quest’ultima alla politica generale del Governo, quanto piuttosto allo scopo di dare, per così dire, copertura politica e istituzionale ai poteri della Banca d’Italia”; così M. CLARICH, L’attività normativa della P.A. I poteri normativi della Banca d’Italia, in A. SPENA e G. GIMIGLIANO (a cura di), Le fonti del diritto bancario, Milano, 2003, p 55. 39 Cfr. C. BRESCIA MORRA e U. MORERA, L’impresa bancaria. L’organizzazione e il contratto, Napoli, 2006, p. 191. Merita comunque di essere segnalato che non vi è più alcun cenno nella normativa primaria all’indipendenza della banca come valore a sé da tutelare e che significativamente scompare anche ogni riferimento ai c.d. “protocolli di autonomia gestionale”, espressamente previsti dal testo originario dell’art. 28, comma 4, della l. n. 287/1990. - 15 - A ciò si aggiunga che, nell’individuare le fattispecie di controllo rilevanti ai fini dell’applicazione di questa disciplina, occorre far riferimento all’art. 23 T.u.b., il quale – in virtù del rinvio all’art. 2359 c.c., confermato dal citato d.lgs. n. 37/2004 – “include tanto il controllo che discende dalla partecipazione (c.d. controllo interno), quanto il controllo che discende da vincoli contrattuali (c.d. controllo esterno)”40. Nel riformulare le linee guida in materia di disciplina secondaria del possesso di partecipazioni rilevanti e dell’acquisizione del controllo nelle banche, è infine intervenuta la delibera del CICR del 19 luglio 2005, n. 105741, che delinea come ambito di riferimento le azioni e gli altri strumenti finanziari, di cui all'art. 1, comma 2, lett. h-quater), del T.u.b., “emessi dalle banche in conformità delle previsioni statutarie, nonché ai contratti e alle clausole statutarie di cui all'art. 19, comma 8-bis, del T.u.b., fermi restando i poteri attribuiti alla Banca d'Italia dagli artt. 14 e 56 del T.u.b.” (Capo I, art. 1). Vengono dunque specificate due fattispecie di “partecipazioni rilevanti”42. Nel caso delle azioni, ai sensi dell’art. 3, si considerano tali: a) il possesso a qualsiasi titolo di azioni, anche prive del diritto di voto, per un ammontare non inferiore al 10 per cento del capitale sociale; b) ovvero il possesso di una partecipazione superiore al 5 per cento di azioni “che danno diritto di voto, anche condizionato, su uno o più argomenti attinenti alle seguenti materie: modifiche dello statuto; approvazione di bilanci; nomina, revoca o responsabilità di componenti degli organi amministrativi, di controllo, del revisore o della società di revisione; eventuali autorizzazioni richieste dallo statuto per atti degli amministratori; distribuzione di utili”. Nel secondo caso, il possesso di strumenti finanziari emessi da una banca configura una partecipazione rilevante quando ne deriva “il potere di nominare componenti degli organi aziendali della banca ovvero di condizionare scelte organizzative o gestionali di carattere strategico”; si attribuisce quindi alla Banca d'Italia il compito di indicare i criteri per individuare le suddette fattispecie (art. 5, comma 1) 43. Spetta sempre alla Banca d’Italia, nelle ipotesi in cui i poteri di cui al comma 1 siano attribuiti collettivamente ai possessori di strumenti finanziari dello stesso tipo, il compito di individuare “la percentuale rilevante ai fini dell'art. 19, comma 1, del T.u.b. e le relative modalità di calcolo, tenendo conto del contenuto dei diritti attribuiti” (comma 2), nonché di specificare i casi in cui, ai sensi dell'art. 19, comma 2, del T.u.b., “la variazione della partecipazione di cui al comma 2 deve essere autorizzata” (comma 3). La Banca d’Italia viene inoltre incaricata di individuare ulteriori fattispecie di partecipazione rilevante, “in via generale o in relazione alla particolare struttura finanziaria della banca” (art. 6, comma 1). 40 In tal senso v. A. ANTONUCCI, Diritto delle banche, 3 ed., Milano, 2006, p. 171; V. SANTORO, Il coordinamento del testo unico bancario con la riforma delle società. Due profili problematici: gli assetti proprietari e l’indipendenza degli esponenti aziendali, in Dir. banca merc. finanz., 2005, I, p. 3 ss. 41 Cfr. CICR, Deliberazione 19 luglio 2005, n. 1057, contenente la “Disciplina delle partecipazioni e del controllo in banche e in altri intermediari nonchè dei finanziamenti bancari a parti correlate”, pubblicata in G.U. n. 188 del 13 agosto 2005. Il CICR ha affrontato la materia in oggetto anche in ragione delle modifiche apportate ai Testi Unici bancario e della finanza dai provvedimenti di coordinamento adottati nell’ambito della riforma del diritto societario. 42 Sugli effetti che le novità introdotte con la riforma del diritto societario possono avere sugli assetti proprietari delle banche cfr. M. SEPE, Nuovo diritto societario e partecipazioni al capitale delle banche, in Nuovo diritto societario ed intermediazione bancaria e finanziaria, cit., p. 81 ss. 43 Cfr. C. BRESCIA MORRA, L’impresa bancaria, cit., p. 200 s., che ritiene di non poter condividere pienamente la scelta operata dal CICR di “estendere il campo di applicazione di queste norme a titoli innovativi (gli strumenti finanziari, ndr) che non partecipano al capitale e non attribuiscono diritti di voto o diritti di intervento nell’organizzazione societaria”. - 16 - Resta valido, ai sensi dell’art. 22 del T.u.b., il principio secondo cui l’ammontare complessivo della partecipazione debba essere individuato tenendo conto sia delle partecipazioni dirette che di quelle indirette, cioè comunque possedute per il tramite di società controllate, di società fiduciarie o per interposta persona (sul punto v. infra §. 7). 3.1.1. (Segue): L’autorizzazione alla variazione successiva della partecipazione autorizzata. Accanto all’acquisizione di partecipazioni, deve essere autorizzata anche la variazione successiva della partecipazione autorizzata (art. 19, comma 2). Il comma secondo dell’art. 19 T.u.b. sottopone ad autorizzazione preventiva soltanto le variazioni della partecipazione in aumento44, attribuendo alla Banca d’Italia il potere di stabilire i “limiti percentuali” 45; fermo restando l’obbligo di autorizzazione preventiva per quelle variazioni che, indipendentemente da tali limiti, “comportano il controllo della banca stessa”. Il comma successivo contempla l’ipotesi di “acquisizione del controllo di una società che detiene le partecipazioni di cui al comma precedente” 46. In passato era la stessa legge ad indicare le soglie autorizzative, dato che l’art. 27, comma 4, l. 287/1990 richiedeva espressamente l’autorizzazione in ipotesi di aumento o di diminuzione della partecipazione “superiore al due per cento del capitale dell’ente creditizio”. In seguito, per effetto delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 481/1992, l’autorizzazione veniva richiesta solo in ipotesi di “aumento della partecipazione in misura superiore alla percentuale del capitale dell’ente creditizio stabilita in via generale dal CICR” (art. 27, comma 3, “novellato”). Infine, con l’art. 19, comma 2, T.u.b. la materia viene fatta rientrare nella competenza esclusiva della Banca d’Italia, previo intervento del CICR. Il “passaggio” dal 44 Cfr. L.C. UBERTAZZI, Nuovi spunti sulle autorizzazioni alle concentrazioni bancarie, in Dir. finanz., 1993, I, p. 527 ss. Scompare definitivamente l’autorizzazione in ipotesi di decremento della partecipazione o di “passaggio di mano” del controllo, rispettivamente previste nel testo originario dell’art. 27, commi 4 e 5, legge 287/1990; in questo secondo caso resta valido, ovviamente per colui che acquisisce il controllo, l’obbligo di richiedere l’autorizzazione a seconda dei casi, in virtù dell’art. 19, comma 1 o comma 3, T.u.b. Parimenti, scompare definitivamente l’obbligo per i soggetti autorizzati di comunicare la perdita di “alcuna delle condizioni che hanno resa necessaria l’autorizzazione”, secondo la formulazione del testo originario dell’art. 27, comma 5, l. 287/1990. In dottrina su questi aspetti v. pure C. MOTTI, Norme in materia di partecipazioni al capitale degli enti creditizi, in Diritto antitrust italiano, cit., p. 1274 ss. e p. 1394 s.; nonché M.S. SPOLIDORO, Il concetto di controllo nel codice civile e nella legge antitrust, in Riv. soc., 1995, p. 72 ss. Secondo G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit., p. 292, nonostante qualche perplessità emersa in dottrina, può ritenersi che “i ritocchi apportati al contenuto precettivo delle norme coordinate restano nei limiti dello spazio di manovra consentito ad un testo unico di coordinamento, l’espressa affermazione del carattere preventivo dell’autorizzazione all’acquisto di partecipazioni qualificate (art. 19, commi 1 e 2), nonché la ripetuta puntualizzazione che, ai fini del computo delle diverse percentuali rilevanti a tal fine, si tiene conto del capitale della banca “rappresentato da azioni o quote con diritto di voto” (artt. 19, commi 1, 3, 6, e 24, comma 3, T.u.b.)”. 45 Cfr. F.M. FRASCA, Il rapporto banca impresa e la nuova normative sulle partecipazioni, in Bancaria, n. 5, 1994, p. 10 ss. Per quanto concerne le azioni di cui si deve tener conto nel computo delle percentuali rilevanti e le relative modalità di calcolo, si applicano le disposizioni di cui alla Sez. IV, par. 1, cap. I, Titolo II delle Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia del 1999. 46 Cfr. A. ANTONUCCI, op. ult. cit., p. 174 s. Sul punto cfr. pure A. PATRONI GRIFFI, Commento sub art. 19, in F. BELLI, G. CONTENTO, A. PATRONI GRIFFI, M. PORZIO, V. SANTORO (a cura di), Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, cit., p. 298, che, dopo aver escluso in partenza le ipotesi definite “improbabili”, suggerisce di poter, al limite, considerare “soltanto l’ipotesi (egualmente marginale e… non chiarissima) di “controllo (…) in capo al soggetto che, in base ad accordi con altri soci, ha diritto di nominare o di revocare la maggioranza degli amministratori” prevista dall’art. 23, comma 2, n. 1, prima parte, T.u.b. In effetti, secondo l’Autore, il controllo risulta collegato alla “partecipazione”, donde non sembrerebbe esservi spazio per l’applicazione della fattispecie di cui all’art. 2359, comma 1, n. 3, c.c. Tuttavia, proprio la circostanza che vengano prese in considerazioni partecipazioni inferiori al 5% del capitale della banca, rende difficile per gli interpreti operare un coordinamento della norma in questione con quanto prevede l’art. 23 T.u.b. - 17 - diverso tenore dell’art. 27, comma 3, “novellato” della legge 287/1990, a quello che risulta sia pure dal combinato disposto dell’art. 19, comma 2 e comma 9, T.u.b. non può, infatti, essere sottovalutato47. L’effetto che ne consegue è che la dismissione di partecipazioni anche consistenti sia sottratta al vaglio dell’Autorità di vigilanza quando non ricorrono in testa all’acquirente i presupposti per l’autorizzazione48. Anche in tal caso, la dettagliata disciplina comunitaria in materia ha trovato di recente riscontro nella citata delibera del CICR n. 1057/2005 (che era già intervenuto con la delibera del 19 aprile 1993), ove, da un lato, vengono fissate una serie di soglie di attenzione che richiedono un nuovo vaglio autorizzativo, e dell’altro si rimette alla Banca d’Italia la competenza a fissarne di ulteriori49. Al riguardo, l’art. 4 dispone che le variazioni delle suddette partecipazioni “devono essere autorizzate quando comportano, da sole o unitamente a variazioni precedenti, un aumento delle partecipazioni tali da portare al superamento delle soglie del 15, 20, 33 e 50 per cento, fermo restando che la Banca d'Italia, ai sensi dell'art. 19, comma 2, del T.u.b., non può stabilire soglie ulteriori”. La soglia del 10 per cento, già prevista in precedenza, non è scomparsa, ma resta ancora oggi rilevante considerato che essa rappresenta la soglia minima iniziale in caso di possesso di azioni anche prive del diritto di voto. Non guasta ricordare, infatti, che sia il primo che il terzo comma dell’art. 19 T.u.b. fanno riferimento ad una “partecipazione superiore al 5% del capitale di una banca rappresentato da azioni o quote con diritto di voto”. Al contrario, tale regola non vale per individuare le ipotesi che (indipendentemente dalle soglie percentuali) “comportano il controllo della banca stessa”. A tanto induce la nozione di controllo descritta dall’art. 23 T.u.b.; così come analoga soluzione si impone, mutatis mutandis, in riferimento alla fattispecie di cui all’art. 19, comma 6, ult. parte, T.u.b.50 47 In merito v. D. LUCARINI ORTOLANI, op. ult. cit., p. 153; R. COSTI, op. ult. cit., p. 252. È da notare, inoltre, che mentre l’art. 27, comma 3, “novellato” della l. 287/1990 delimitava il potere discrezionale del CICR imponendo l’obbligo di stabilire “in via generale” le soglie autorizzative in aumento, questo obbligo e quindi questo argine più non compare in riferimento al potere ora attribuito alla Banca d’Italia (art. 19, comma 2, T.u.b.). A prima vista sembrerebbe trattarsi di un’omissione non casuale (e si cfr., ad esempio, l’art. 53 T.u.b.). Se così fosse, il potere discrezionale della Banca d’Italia sarebbe destinato a dilatarsi ulteriormente. Specie, poi, se si condivide l’interpretazione offerta dalla Relazione al T.u.b., secondo cui: “Rispetto all’art. 27, comma 3, della legge 287/1990, viene esplicitata (dal secondo comma dell’art. 19 in commento) la possibilità di sottoporre ad autorizzazione, non solo gli incrementi superiori a determinate percentuali, ma anche le variazioni in aumento di qualsiasi misura che comportino il superamento di determinate percentuali fisse del capitale”. 48 Risolvendo, così, parecchi dei dubbi interpretativi che aveva sollevato il dettato delle norme contenute nel Titilo V della legge 287/1990; in proposito v. M. MONTEFIORI, L’acquisizione di partecipazioni negli enti creditizi, in Banca impr. soc., 1993, p. 145. 49 Cfr. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di vigilanza del 20 agosto 1993 (Titolo II – Capitolo I rubricato “Partecipazione al capitale delle banche e delle società finanziarie capogruppo), diramate in applicazione della disciplina impartita dal CICR con deliberazione del 19 aprile 1993. Nel medesimo senso, ovviamente, si esprimono le Istruzioni della Banca d’Italia del 15 ottobre 1999, secondo cui sono tenuti a richiedere la preventiva autorizzazione i soggetti che intendono acquisire, a qualsiasi titolo, azioni che, tenuto conto di quelle già possedute, danno luogo: a) a una partecipazione superiore al 5% del capitale della banca e al superamento delle soglie appena indicate; b) al controllo della banca stessa, indipendentemente dall’entità della partecipazione. 50 Così A. PATRONI GRIFFI, op. ult. cit., p. 299; C. LAMANDA, Disciplina delle autorizzazioni all’attività bancaria e delle partecipazioni al capitale delle banche, in M. RISPOLI FARINA (a cura di), La nuova legge bancaria. Prime riflessioni sul testo unico in materia bancaria e creditizia, Napoli, 1995, p. 64 ss. - 18 - 3.2. L’ambito soggettivo di applicazione della disciplina. Per quanto riguarda l’individuazione dei soggetti tenuti a richiedere l’autorizzazione, il T.u.b. (art. 19, comma 4) riserva la competenza alla Banca d’Italia, ancora una volta in implicita deroga rispetto al regime previgente51. La titolarità del diritto di voto rappresenta l’elemento determinante per l’individuazione dei soggetti tenuti a richiedere l’autorizzazione, in caso di scissione fra proprietà delle azioni ed esercizio del diritto di voto (art. 19, comma 4)52. Le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia dell’ottobre 1999 impongono l’obbligo di richiedere l’autorizzazione sia al “soggetto titolare delle azioni”, sia a “quello cui spetta il diritto di voto sulle azioni medesime”; sia al “soggetto posto al vertice della catena partecipativa” (a condizione che le stesse siano sottoscritte da chi intende acquisire o cedere direttamente le azioni), sia ancora a “quello che detiene direttamente le azioni del capitale della banca” (punto 1, laddove si prevede anche l’esonero dall’autorizzazione per il Ministro dell’Economia e delle Finanze e per gli enti pubblici quando l’acquisizione sia da realizzare in forza di specifiche disposizioni di legge)53. Il punto è ora regolato dalla delibera CICR n. 1057 del 2005 (art. 10), che risolve la questione tenendo conto della spettanza del diritto di voto, ma obbliga comunque alla richiesta di autorizzazione – accanto al titolare dei diritti e di chi lo controlla – il proprietario, “presumibilmente in ragione della precarietà delle situazioni che possono temporaneamente consentire l’esercizio del diritto a soggetto diverso dallo stesso proprietario”54. Ne consegue che il campo di applicazione della disciplina sia da ritenersi esteso ben oltre l’ipotesi di acquisizione a titolo di proprietà, fino ad imporre obblighi autorizzativi anche ai detentori di azioni o quote possedute a titolo di pegno o usufrutto55. L’acquisizione “rilevante” in relazione alla quale devono computarsi le azioni o quote possedute, può essere realizzata “a qualsiasi titolo” e, quindi per mezzo di qualsiasi atto di trasferimento di azioni (anche, ad esempio, tramite una fusione societaria per incorporazione)56. È di tutta evidenza la portata omnicomprensiva rintracciabile nella formula usata dal legislatore, riferendosi la medesima ad un’ampia varietà di fattispecie che possono essere in essa ricompresse, “in ragione sia delle caratteristiche della vicenda traslativa (acquisizione a titolo oneroso o gratuito), sia del tipo di rapporto instaurato con il bene, che può derivare da proprietà, nonché (…) da pegno, usufrutto o da riporto…”57. 51 A. PATRONI GRIFFI, op. ult. cit., p. 300; ID, Partecipazioni al capitale delle banche, in Il Testo Unico Bancario:esperienze e prospettive, Roma, 1996, p. 124. In senso contrario v. E. GALANTI, La nuova disciplina degli assetti proprietari degli enti creditizi, in Banca, borsa tit. cred., 1993, I, p. 516. Si tenga conto che in base alla Deliberazione del CICR del 19 aprile 1993, §. 3, si prevedeva che “Nei casi di scissione tra proprietà delle azioni e esercizio del diritto di voto, il soggetto cui si intende attribuire o cui spetterà il diritto di voto è tenuto a richiedere l’autorizzazione”. 52 Ai sensi dell’art. 2 della citata delibera n. 1057/2005 sono considerate con diritto di voto “tutte le azioni che attribuiscono il diritto di voto, anche se limitato a particolari argomenti o subordinato al verificarsi di condizioni. Ai medesimi fini non rileva che il diritto di voto sia limitato a una misura massima o ne siano previsti scaglionamenti”. 53 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per le banche, cit., Tit. II, cap. 1,sez. IV, §§. 1 e 2. 54 Così A. ANTONUCCI, op. ult. cit., p. 174. 55 Cfr. A. DI BIASE e T. MAGLIOCCO, Commento sub art. 19, cit., p. 125. Nell’ipotesi di contratto di riporto, la richiesta va avanzata sia dal riportato che dal riportatore, in considerazione del fatto che, sebbene il voto spetti – salvo patto contrario – al riportatore (art. 1550, comma 2, c.c.) quale “proprietario” dei titoli trasferiti, questi è obbligato a trasferire al riportato il tantundem alla scadenza del termine stabilito nel contratto (art. 1548 c.c.). 56 In tal senso v. A. ANTONUCCI, op. ult. cit., p. 173. 57 Così ancora A. ANTONUCCI, op. ult. cit., p. 172. - 19 - Premettendo che l’acquisizione può essere compiuta da “chiunque” e quindi da persone fisiche, giuridiche, italiane, comunitarie o extracomunitarie, purché in condizioni di reciprocità tra Stati, una particolare procedura autorizzativa per le ipotesi di acquisizione di partecipazioni in banche è prevista quando vi prendono parte soggetti extracomunitari (art. 19, comma 8, T.u.b.), appartenenti a Stati che non assicurano condizioni di reciprocità. Si dispone, infatti, che, in tali casi, la Banca d’Italia comunica la domanda di autorizzazione al Ministro dell’Economia e delle Finanze, su proposta del quale, il Presidente del Consiglio dei Ministri può vietare l’autorizzazione”, risultando prevalente in tali decisioni l’aspetto politico (sul punto v. infra cap. II, §. 6). Si segnala, peraltro, che la Banca d‘Italia non può rilasciare detta autorizzazione per l’acquisizione del controllo derivante da un contratto con la banca o da una clausola del suo statuto, qualora il richiedente sia un soggetto che svolge in misura rilevante attività d’impresa in settori non bancari né finanziari. 4. Il regime preventivo dell’autorizzazione nelle Istruzioni di vigilanza. Procedura e termini. Come già anticipato, ai sensi del terzo comma dell’art. 19, l’autorizzazione all'acquisto di partecipazioni deve essere richiesta alla Banca d'Italia prima del perfezionamento dell'operazione. L’autorizzazione opera come una condicio iuris di efficacia dell’acquisto, con la conseguenza che il trasferimento delle partecipazioni rilevanti senza autorizzazione non potrebbe essere trascritto nel registro dei soci dell’impresa bancaria oggetto di acquisizione58. Inoltre, per le operazioni che comportano impegni irrevocabili all’acquisto, come nel caso di acquisizioni che obblighino l’acquirente a lanciare un’offerta pubblica di acquisto ovvero in caso di partecipazioni ad aste, l’autorizzazione deve essere richiesta e ottenuta prima di procedere agli atti che comportano l’impegno ad acquistare59. Il procedimento autorizzativo è, tuttavia, anch’esso disciplinato da disposizioni amministrative delle quali occorre rendere conto60. Le finalità dei controlli sugli assetti proprietari delle banche devono pertanto essere integrate con quelle emerse dai più recenti interventi sulle Istruzioni di vigilanza – le cui linee direttrici sono state comunicate dalla Banca d’Italia al CICR nella riunione del 6 settembre 1999 – effettuati in occasione del coordinamento con le regole del mercato in materia di Opa61. In particolare, le Istruzioni giungevano ad articolare la procedura autorizzativa in due fasi. In primo luogo, prevedevano, nei casi di acquisizione di partecipazioni rilevanti che comportassero il controllo della banca o della capogruppo, l'obbligo di rendere un'informativa preventiva alla Banca d'Italia, almeno sette giorni prima della convocazione degli organi aziendali 62. All’inoltro dell’informativa preventiva seguiva, entro trenta giorni, la richiesta di Cfr. A. ANTONUCCI, op. ult. cit., p. 177. Cfr. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, tit. II, cap. 1, sez. II, §. 4.1. 60 Come sostiene B. MANZONE, Partecipazione al capitale delle banche, in P. FERRO LUZZI e L. CASTALDI (a cura di), La nuova legge bancaria, 1996, I, p. 351, si deve escludere che il rilascio dell’autorizzazione riguardi un’ipotesi di silenzio-assenso; “anzitutto, perché si tratta di una categoria chiusa e, poi, per il fatto che le Istruzioni fissano il termine nei confronti della Banca d’Italia senza imputare alcun tipo di effetto giuridico al ritardo nel rilascio del provvedimento”. Il regime preventivo ha indotto, pertanto, la Banca d’Italia a suggerire ai soggetti interessati di comunicare, anticipatamente rispetto alla conclusione dell’operazione, l’inizio di trattative per l’acquisto di partecipazioni al capitale delle banche. 61 Così M.A. STEFANELLI, Le istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, Padova, 2002, p. 160 s. 62 Così BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia, cit., tit. II, cap. 1, §. 3.1., commi 3 e 4 (ora abrogato). L’obbligo di informazione preventiva doveva rendersi in forma scritta, ma poteva essere assolto 58 59 - 20 - autorizzazione all’acquisto di partecipazioni che doveva essere rivolta alla Banca d’Italia prima del perfezionamento dell’operazione come richiede l’art. 19 T.u.b. 63. La comunicazione preventiva doveva forinire una sintetica indicazione degli elementi essenziali dell’operazione (tempi, modalità, fonti di finanziamento, obiettivi e riflessi su patrimonio, costi e assetti proprietari) “al fine di rendere possibile una prima verifica dell’esistenza di eventuali elementi ostativi alla realizzazione delle operazioni stesse” 64. L'esperienza applicativa, tuttavia, ha imposto l'esigenza di rivedere la disciplina di cui si discute in un'ottica di semplificazione degli adempimenti a carico dei soggetti interessati e al fine di assicurare un maggior grado di “liberalizzazione” del mercato del controllo societario. Di tal che, “in attesa di una più ampia revisione delle disposizioni in materia di partecipazioni al capitale delle banche al fine di dare attuazione a recenti interventi legislativi e regolamentari”65, con una nota del 28 agosto 2006, il Governatore della Banca d’Italia ha ritenuto opportuno disporre “l'abrogazione del Titolo II, capitolo 1, sezione II, §. 3.1 delle Istruzioni di vigilanza per le banche”66. Da tale soppressione (in vigore dal 16 settembre 2006) consegue l’eliminazione dell’obbligo di comunicare all’Autorità di Vigilanza il progetto di acquisizione di una partecipazione prima che esso sia sottoposto per l’approvazione agli organi aziendali competenti. Unico adempimento previsto è che, una volta decisa da parte degli organi competenti l’acquisizione del controllo su una banca o su una società finanziaria capogruppo, la relativa delibera sia tempestivamente trasmessa alla Banca d’Italia per l’autorizzazione. Quanto invece al contenuto dell’istruttoria per l’acquisizione di partecipazioni al capitale delle banche (Titolo II, cap. I), le Istruzioni specificano, con particolare riferimento al “principio della sana e prudente gestione” (§. 5.2), le finalità e l’oggetto dell’indagine (“tutelare l’impresa bancaria […] da possibili condotte dannose dei soggetti partecipanti al capitale”), ammettendo che la Banca d’Italia possa “richiedere ai partecipanti specifiche dichiarazioni di impegno volte a tutelare la sana e prudente gestione della banca o della società capogruppo”. Gli istanti sono tenuti, per parte loro, a comunicare informazioni relative, tra l’altro, a) alla “situazione economico-patrimoniale della società che intende acquisire la partecipazione (…)”; b) alle relazioni di affari, nonché gli altri collegamenti con il soggetto partecipato, con i suoi soci, ovvero con altri intermediari creditizi e finanziari (in particolare, i rapporti di anche mediante un colloquio con rappresentanti della Banca d’Italia, ferma restando l’esigenza di riferimenti scritti. 63 Si tratta del 2° aggiornamento del 15 ottobre 1999 (in. G.U. - Serie generale - n. 254 del 28 ottobre 1999) alla circolare n. 229 del 21 aprile 1999, intitolato “Partecipazione al capitale delle banche e delle società finanziarie capogruppo”. 64 Secondo B. MANZONE, Partecipazione al capitale delle banche, in La nuova legge bancaria, cit., p. 357, “pur nel silenzio della normativa regolamentare, si riteneva che tale previsione potesse essere applicabile anche al caso, già citato, di acquisizione del controllo di una società che a sua volta controllasse una banca o che partecipasse al capitale di quest’ultima, seppur indirettamente. Siffatta soluzione trovava adeguata giustificazione nel fatto che pure le suddette acquisizioni vanno soggette a rilascio di autorizzazione (ex art. 19, comma 3, T.u.b.); in ragione di ciò sembrava corretto informare la Banca d’Italia di tali trattative, anche se non ancora formalizzate in un atto negoziale ad efficacia traslativa”. 65 Nella normativa secondaria, la Banca d’Italia “suggeriva”, dunque, ai soggetti interessati di comunicare, anticipatamente rispetto alla richiesta ufficiale di autorizzazione, l’inizio di trattative per l’acquisizione di partecipazioni al capitale di banche. Esercitando il mero controllo di stabilità, infatti, l’Istituto di vigilanza poteva fermare sul nascere, a suo insindacabile giudizio, ogni movimento “significativo” di partecipazioni nell’assetto proprietario delle banche. In quest’ottica, le Istruzioni di vigilanza sottolineavano l’utilità della comunicazione preventiva soprattutto nel caso in cui la partecipazione consentiva al soggetto acquirente esercente attività non finanziaria di superare la soglia del 15% o di acquisire il controllo di una banca. 66 Sul punto v. BANCA d’ITALIA, Comunicato del Governatore di Banca d’Italia del 28 agosto 2006 in tema di informativa preventiva nell'ambito dei progetti di acquisizione, in G.U. n. 215 del 15 settembre 2006. - 21 - indebitamento); c) nonché alle “fonti di finanziamento che il soggetto intende attivare per la realizzazione dell’operazione di acquisizione della partecipazione”. Con le modifiche apportate alle Istruzioni di vigilanza in occasione del coordinamento con la disciplina dell’Opa (su cui si tornerà in seguito), l’esame della Banca d’Italia viene spostato sugli “effetti del cambiamento di proprietà sulla gestione della banca”67. Più precisamente, nel caso di operazioni volte ad acquisire il controllo della banca o della capogruppo, la verifica dell’Autorità di vigilanza ai fini della sana e prudente gestione si estende al progetto imprenditoriale68. Di quest’ultimo vengono forniti gli elementi minimi essenziali relativi alla gestione della banca o del gruppo risultante dall’operazione69. Ove l’acquirente sia una banca si valuta pure l’impatto dell’operazione sulla situazione tecnico-organizzativa della stessa oltre che del nuovo soggetto risultante dall’aggregazione70. La Banca d’Italia dispone di un termine di sessanta giorni (che si riduce a trenta in caso di Opa) dal ricevimento della domanda, salvo richieste di chiarimenti che interrompono i termini, per decidere se rilasciare o negare l’autorizzazione. Quest’ultima viene negata nel caso i gerenti del soggetto acquirente non soddisfino i requisiti di onorabilità o sia minacciata la sana e prudente gestione della banca71. 4.1. (Segue): Il tema dell’informativa preventiva in caso di acquisto del controllo. La ricerca lungo le linee tratteggiate richiede di approfondire la natura di uno strumento, cui si è già fatto cenno, e che, fino a poco tempo fa, si inseriva prepotentemente nel processo di autorizzazione di cui all’art. 19 del T.u.b.: l’obbligo di informativa preventiva72. 67 Così C. BRESCIA MORRA, op. ult. cit., p. 204, che alla nota n. 474 sottolinea come “l’esame del progetto imprenditoriale nel contesto delle disposizioni sui partecipanti al capitale presenta delle peculiarità; ciò che viene in rilievo, ai fini di vigilanza, è l’operazione di concentrazione fra imprese, piuttosto che la qualità dei partecipanti al capitale. Non a caso, disposizioni analoghe sono presenti nella disciplina bancaria in tema di partecipazioni delle banche (normativa che trova applicazione naturalmente nel caso in cui l’acquirente il controllo di una banca sia un’altra banca) e in quella relativa alle operazioni di fusione”; sul punto cfr. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per le banche, cit., Tit. IV, cap. 9, sez. I, §. 1 e sez. II, §. 4). 68 Cfr. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza, cit., Tit. II, cap. I, §. 5.2.1. 69 Cfr. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza, cit., Titolo II, cap. I, §. 5.2.2. 70 In particolare, quanto alla disciplina delle partecipazioni detenibili dalle banche, le Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia, cit., Titolo IV, cap. 9, sez. III, chiariscono che la domanda di autorizzazione deve essere corredata, tra l’altro, “di ogni notizia utile a inquadrare l’operazione nell’ambito dei piani strategici e, ove trattasi di acquisizione di una partecipazione in una banca, di espansione territoriale”. Anche in questo caso le banche richiedenti sono tenute a rendere “informazioni concernenti l’impatto dell’operazione sulla situazione finanziaria attuale e prospettica del partecipante, sul margine disponibile per gli investimenti in partecipazioni e in immobili, sull’adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento al coefficiente di solvibilità”, mentre alla Banca d’Italia spetta valutare “se la situazione tecnica e organizzativa delle banche richiedenti (sia) tale da sostenere un’ulteriore articolazione e se quest’ultima [sia] compatibile con le esigenze della vigilanza su base consolidata”. 71 In proposito v. A. FAZIO, Aggiornamento del’informativa sul mutamento degli assetti di controllo di alcuni gruppi bancari italiani. Relazione del Governatore della Banca d'Italia al C.I.C.R., Roma, 26 agosto 2005. 72 In questo caso bisogna precisare che la domanda di autorizzazione all’acquisto del controllo veniva “prospettata informalmente” alla Banca d’Italia ed analizzata – quanto meno nelle linee generali – nel corso dell’incontro tra esponenti del soggetto acquirente e funzionari dell’Autorità di vigilanza; in questa occasione venivano indicati gli elementi meritevoli di approfondimento. Come ricorda lo stesso G. MINERVINI, La Banca d’Italia, oggi, in Banca, borsa e tit. cred., 6, 2006, p. 622, “si noti che le Istruzioni di Vigilanza prevedono un passaggio degli interessati in Banca d’Italia agli albori dell’operazione, <<contestualmente all’avvio di contatti con la controparte >>, per sentire se vi sono << eventuali elementi ostativi >>. Sicchè, ID, Prospettive future della Banca d’Italia, in Atti del Convegno “La Banca d’Italia. Ieri, oggi e domani”, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Napoli, 19 dicembre 2005, “se ostacoli vi sono, con il sistema della moral suasion si presume che al consiglio di amministrazione il progetto di acquisizione non verrà nemmeno presentato, perché tanto ciò sarebbe inutile!”. Sul tema cfr. anche D. MASCIANDARO, Il sistema cresce con un gioco a carte scoperte, in Il Sole 24 - 22 - Come è noto, attraverso le Istruzioni di vigilanza del 1999 la Banca d’Italia aveva arricchito il proprio armamentario di un dispositivo interlocutorio, imbevuto di moral suasion, l’obbligo di informativa preventiva, finalizzato ad una regolarizzazione « quasi-spontanea »73, poiché camuffato sotto le false spoglie della semplicità della procedura, che richiedeva solo un generico rispetto del principio del contraddittorio, ma che costituiva a tutti gli effetti il crocevia obbligato di una fitta rete di adempimenti posti in capo all’aspirante acquirente del controllo di una banca74. La dottrina si è a lungo divisa sulla legittimità della regola dell’informativa preventiva, vista dai più come escamotage di cui la Banca d’Italia si è servita per guidare o affondare sul nascere progetti di acquisizione del controllo delle banche, prima ancora che il mercato potesse valutare l’operazione75. Si potrebbe persino riproporre al riguardo la delicata distinzione tra fase preprocedimentale – nell’ambito della quale l’Autorità di vigilanza procede ad accertamenti istruttori e valutazioni preliminari – e apertura formale del procedimento, momento a partire dal quale operano le garanzie che involgono un rapporto giuridico essenzialmente bilaterale tra l’amministrazione che esercita un potere e il privato posto in una posizione di soggezione. Ebbene, la fase preprocedimentale dell’informativa preventiva costituiva una sorta di zona grigia, non coperta cioè dalla legge n. 241/1990, e che solo in una prospettiva de jure condendo poteva ricondursi a una maggiore formalizzazione e trasparenza76. Lungi dal costituire espressione di agilità, l’informalità che contraddistingueva tale fase del procedimento autorizzatorio si contrapponeva ai principi di trasparenza e di accountibility Ore, 30 marzo 2005, p. 2.; D. MASCIANDARO e G. TABELLONI, Ora il Parlamento superi in fretta la storica anomalia, in Il Sole 24 Ore, 1° giugno 2005, p. 1; M. ONADO, La vigilanza bancaria nella dimensione europea, in RISPOLI FARINA (a cura di), La vigilanza sul mercato finanziario. Seminari di Diritto bancario e dei Mercati Finanziari, Milano, 2005, p. 9 s.; e ancora G. MINERVINI, La vigilanza bancaria: un bilancio, in La vigilanza sul mercato finanziario, cit., p. 16 ss. 73 Riguardo alla lunga tradizione che accompagna le manifestazioni informali del potere normativo nel settore bancario cfr. P. VITALE, Pubblico e privato nell’ordinamento bancario, Milano, 1977, p. 127; F. BELLI, “Controllo-governo” del credito: indagine sull’evoluzione dell’ordinamento, in P. VITALE (a cura di), L’ordinamento del credito fra due crisi (1929-1973); M. CLARICH, Le grandi banche nei paesi maggiormente sviluppati, Bologna, 1985, p 44-45, che illustra l’esperienza inglese come paradigma di ordinamento del credito basato sulla moral suasion. Tra l'altro, va sottolineato che vi sono casi rilevanti in cui le Autorità non si limitano a svolgere un'attività di controllo del rispetto della legge, ma, utilizzando lo strumento della segnalazione, al di là del caso specifico, forniscono “l'interpretazione” delle disposizioni della legge stessa e si spingono fino a introdurre principi e direttive di carattere generale. In questo modo l'Autorità finisce per dettare nuove regole, espandendo di fatto il suo potere di regolazione secondaria. 74 Cfr. BANCA d’ITALIA, Relazione del Governatore per il 2006. Considerazioni finali, Roma, 31 maggio 2007, p. 16. Nel descrivere i benefici derivati dall’eliminazione dell’obbligo di comunicazione preventiva nel luglio 2005, parla di “pietra angolare” di una “costruzione balena” S. BRAGANTINI, I governatori e i governanti, in Corriere Economia, suppl. a Il Corriere della Sera, 28 maggio 2007, p. 1. 75 La mancanza o l’incertezza delle regole lascia spazio per un uso discriminatorio e parziale del potere autorizzatorio, specie quando, come è accaduto di recente, siano compresenti sul mercato più progetti di acquisizione nei confronti della stessa banca. Sul principio di legalità, nell’esperienza italiana, cfr. S. COGNETTI, Profili sostanziali della legalità amministrativa – Indeterminatezza delle norme e limiti della discrezionalità, Milano, 1993, p. 31 s.; N. BASSI, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001, p. 105 ss.; M. NIGRO, Profili pubblicistici del credito, Milano, 1969, p. 87. 76 In chiave apertamente critica cfr. G. VISENTINI, Economia mista ed economia di mercato: il caso italiano, in Bollettino semestrale Ceradi, 2001, 4, p. 66; l’Autore sottolinea l’incompatibilità tra atti di moral suasion ed economia di mercato affermando che: “la persuasione morale, il dialogo informale, la concertazione riservata” costituiscono “manifestazione tipica, e quindi sintomatica, dell’economia mista” e “strumento fondamentale del suo operare, fenomeno intrinseco al suo modo di essere”. - 23 - delle decisioni delle Autorità indipendenti, caratterizzandosi viceversa per una perniciosa opacità, data l’assenza di un’apposita motivazione77. Considerazioni, queste ultime, che hanno spinto la migliore dottrina a reputare le decisioni assunte dalla Banca d’Italia, in questa fase della procedura di autorizzazione, fisiologicamente affette da una carenza di certezza del diritto78. Le valutazioni discordanti circa la loro compatibilità con un sistema di capitalismo maturo ruotano, principalmente, intorno alla considerazione che la stabilità delle decisioni dell’Autorità di vigilanza è un valore, una precondizione dell’effettività della sua azione. È cioè un valore sommo che deriva dall’agire in una cornice normativa nota, certa e condivisa, e che consente alle Autorità creditizie di perseguire con la dovuta autorevolezza gli obiettivi della vigilanza, tra i quali, non a caso, quello della stabilità del sistema finanziario79. Sul piano dell’effettività, come la prassi dimostra, il giudizio rilasciato dalla Banca d’Italia condizionava i comportamenti e incideva nella sfera giuridica dei soggetti che ne erano 77 Nella legge sul risparmio (legge n. 262/2005), con intento didascalico, trattandosi della mera riaffermazione di una disposizione di legge già esistente, il legislatore ricorda alla Banca d’Italia (al punto di considerare separatamente la sua posizione all’art. 19, comma 5) che la motivazione è un elemento essenziale del provvedimento amministrativo. L’impianto generale della recente legge sul risparmio teso a sottolineare l’essenzialità degli obblighi procedimentali e delle garanzie processuali, sottolinea la riaffermata indipendenza della Banca d’Italia, semplicemente scongiurando i rischi della sua autoreferenzialità. L’art. 23 della citata legge, innovando rispetto alla legge n. 241/1990, prevede infatti che gli atti regolamentari o di contenuto generale delle autorità che vigilano sui mercati finanziari debbano essere motivati. Per un utile approfondimento si rinvia a M.S. GIANNINI, Motivazione dell’atto amministrativo, in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, p. 262 ss.; M.C. ALEMANNO, La problematica della motivazione degli atti amministrativi prima e dopo l’entrata in vigore della legge n. 241 del 7.8.90, in Dir. reg., 1992, p. 559 ss.; T. AUTIERI, M. DE PAOLIS, R.E. MARCHESE, V. MASCELLO, G. SCHETTINO e G. TERRADOS MOLLEDO, La motivazione del provvedimento amministrativo, 2002, Padova; F. BASSI, Brevi note sull’eccesso di potere per difetto di motivazione, in Scritti per Mario Nigro, III, Milano, 1991, p. 68; G. BERGONZINI, Difetto di motivazione del provvedimento amministrativo ed eccesso di potere (a dieci anni dalla legge n. 241 del 1990), in Dir. proc. amm., 2000, p. 181 ss.; I.M. MARINO, Giudice amministrativo, motivazione degli atti e “potere” dell’amministrazione, in Foro amm., 2003, p. 338. Del resto, la suddetta precisazione non meraviglia, costituendo già un portato del sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica esercitata da tali amministrazioni nel governare i settori di loro competenza. A ciò si aggiunga che, in ogni caso, l’attività di regolazione deve rispettare il canone comunitario della proporzionalità (inteso come principio che impone il perseguimento dell’interesse pubblico con il minimo sacrificio per gli interessi privati regolati, potere adeguato al raggiungimento del fine, e, quindi, espressione del generale principio di sussidiarietà orizzontale). Occorre ricordare, tra l’altro, che già nel 2003, con la legge n. 229, tutte le Autorità indipendenti sono state assoggettate all’obbligo della c.d. “analisi di impatto della regolazione” (A.I.R.), che è diversa dalla motivazione in senso giuridico, in quanto rappresenta l’obbligo di cercare di valutare ex ante i costi e i benefici della regolazione (i c.d. compleients coasts, cioè i costi di adeguamento per le imprese e i soggetti vigilati, nell’idea della proporzionalità della misura regolamentare rispetto agli obiettivi). In dottrina cfr. G. BRUZZONE, La regolazione intrusiva oggi, in Merc. conc. reg., 2002, p. 467 ss.; A. SANDULLI, La proporzionalità dell’azione amministrativa, Padova, 1998, p. 322. In giurisprudenza cfr. Cons. St., sez. VI, 20 giugno 2002, n. 3368 ove sono richiamati numerosi altri precedenti giurisprudenziali. 78 In tal senso v. L. SPAVENTA, Preliminare l’informazione del mercato, in Il Sole 24 Ore, 28 aprile 2000, che asserisce: “La valutazione preventiva non è formalizzata, non è soggetta a gravame (non può essere impugnata – ndr), dipende dalla persuasione morale, dal dovere implicito degli amministratori nei confronti della Banca centrale”. L’uso improprio di tale potere rischia di pregiudicare, in concreto, certezza del diritto e parità di trattamento. Il ricorso alla moral suasion consente, infatti, alla Banca d’Italia di assumere un ruolo sempre maggiore nella formazione della “regola del caso”, potendo essa decidere discrezionalmente sul peso da attribuire nella fattispecie concreta ai vari elementi oggetto di ponderazione, senza peraltro assumere verso il “richiedente” rischi di impugnabilità della decisione. 79 Cfr. G. MINERVINI, La Banca d’Italia, oggi, cit., p. 622, E del resto, se interpretata secondo l’accezione ivi segnalata, il momento “informale, di moral suasion” dell’informativa preventiva costituiva a tutti gli effetti per la Banca d’Italia una mera “scorciatoia” con cui scoraggiare o respingere informalmente e “da subito” un progetto di acquisizione, ovvero con cui indicare allo scalatore le modalità attraverso cui procedere, ovvero ancora un mezzo per gestire i conflitti di interesse che nel processo di riallocazione dividono amministratori, azionisti e soggetti che aspirano all’acquisizione del controllo. Le interferenze sui possibili acquirenti sono in siffatte ipotesi affidate a segnali “sporchi”. - 24 - destinatari80. Non solo: questo modus operandi accentuava, soprattutto in presenza di progetti di acquisizione concorrenti, i problemi di disparità di trattamento strettamente connessi al sacrificio della certezza del diritto. Procedure oscure e assenza di garanzie possono, infatti, costituire una miscela esplosiva tale da rendere le valutazioni poste in essere dalla Banca d’Italia vulnerabili alle strumentalizzazioni operate da quelle controparti che, in siffatte vicende, vantano maggiore forza contrattuale di altre81. L’indipendenza delle autorità di vigilanza va, infatti, garantita non solo verso il potere politico, ma anche nei confronti delle imprese vigilate, al fine di evitare il rischio della “cattura” del regolatore da parte del soggetto regolato82. Pertanto, sembra di poter condividere solo parzialmente la posizione di coloro i quali, pur rilevando che vi dovesse essere una relazione chiara tra la previsione di tale obbligo e le finalità istituzionali che l’ordinamento assegna alla Banca d’Italia83, hanno sostenuto che l’Autorità di vigilanza potesse, già in questa fase preliminare, attivare, se contraddetta, i suoi poteri interdettivi o sanzionatori84. Sul punto cfr., tra gli altri, F. GUARRACINO, Competenze e struttura della Banca d’Italia, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), La nuova legge sul risparmio. Profili societari, assetti istituzionali e tutela degli investitori, Padova, 2006, p. 169 s. D’altro canto, gli effetti riconducili a tale tipologia di atti vanno assunti in correlazione direttamente proporzionale all’immagine di autorevolezza della Banca d’Italia come percepita dagli operatori, nonché all’idoneità di tali deliberazioni ad assurgere a precedenti con una capacità persuasiva che esplica i propri effetti ben al di là del caso singolo (si veda, ad esempio, la manifesta avversione nei confronti delle Opa ostili, che per lunghi anni ha di fatto scoraggiato tentativi di acquisizione nel settore bancario, poiché “non concordati” con il management della società bersaglio e con la stessa Banca d’Italia). 81 Cfr. M. SCUDIERO, La Costituzione. Tendenze recenti, in Le fonti del diritto bancario, cit., p. 9; G. VISENTINI, La legalità nell’organizzazione dell’economia, Milano, 1995, p. 84, ove l’Autore denuncia come il destinatario del “suggerimento” potrebbe “servirsi dello stesso strumento invertendone la direzione, confidando su situazioni di fatto informali”, come le sue dimensioni, l’accordo con altri soggetti vigilati, nonché, “la naturale vicinanza a sensibilità politiche”. 82 V. anche il commento di E. SCALFARI, Gli intrighi di Fazio nella guerra dell’Opa, in La Repubblica, 31 luglio 2005, pp. 1 e 20, in cui si legge: “Assistiamo a delle offerte non pubbliche, bensì private, di acquisto”. 83 Come si è già in parte rilevato, nell’ambito dell’alternativa tra legislazione primaria e secondaria è venuta ad assumere una funzione preminente l’attività esercitata dalle autorità amministrative indipendenti. Sul tema cfr. B. MATTARELLA, Il potere normativo della Banca d’Italia, in U. DE SIERVO (a cura di), Osservatorio sulle fonti, Torino, 1996, p. 235 ss.; M. CLARICH, L’attività normativa della P.A. I poteri normativi della Banca d’Italia, in A. SPENA e G. GIMIGLIANO (a cura di), Le fonti del diritto bancario, Milano, 2003, p. 70 s.; E. GALANTI, Norme delle autorità indipendenti e regolamento del mercato: alcune riflessioni, in Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale della Banca d’Italia, n. 41, Roma, 1996, p. 18. 84 Si sostiene che, in assenza di un vero e proprio impegno di conformazione alle indicazioni o ammonimenti, l’obbligo di un’informativa preventiva potrebbe ritenersi legittimo solo se il richiedente – come in un arbitrato preventivo – s’impegnasse ad uniformarsi al responso della Banca d’Italia. Secondo M. CLARICH, Il sistema delle competenze delle autorità di vigilanza, intervento al Convegno “Nuove prospettive della tutela del risparmio”, presso il Conservatorio di San Pietro a Majella, Napoli, 27-28 maggio 2005, disponibile sul sito www.associazionegfcampobasso.it., la vexata quaestio consiste proprio nell’ammissibilità del sindacato giurisdizionale sugli atti di moral suasion della Banca d’Italia. Se non sono mancate aperture dottrinarie a favore di un controllo giurisprudenziale su determinati tipi di atti, nel caso in cui questi siano potenzialmente lesivi di situazioni giuridiche soggettive, la dottrina ha storicamente ritenuto incompatibile un simile sindacato in assenza di atti puntuali che ne costituiscano espressione. In tal senso cfr. F. ANNUNZIATA, Interpretare o legiferare? Le comunicazioni persuasive delle Autorità di controllo sui mercati finanziari, in Riv. soc., 1995, p. 902 ss.; G.D. MOSCO, L’attività collaborativa delle Autorità indipendenti, incontro presso l’Università LUISS, Roma, 14 gennaio 2003. Nella stessa direzione si muoveva un recente disegno di legge, l’atto della Camera 4639/2004, che – coerentemente con un approccio fondato su un’accountibility diffusa e su un sindacato blando da parte dei giudici – negava a priori il controllo giurisprudenziale sugli atti di soft law delle Autorità di vigilanza. 80 - 25 - 5. Le finalità sottese alla potestà discrezionale della Banca d’Italia: il principio della “sana e prudente gestione”. La reale innovazione della disciplina degli assetti proprietari delle banche rispetto alla normativa del 1990 è costituita dal disposto del comma 5 dell’art. 19 che, nel ricalcare il comma 1 dell’art. 28 della legge 287/1990, così come modificato dall’art. 17 del d.lgs. 481 del 199285, subordina il rilascio dell’autorizzazione al “ricorrere delle condizioni che garantiscono una gestione sana e prudente della banca” 86. La valutazione rimessa dalla legge alla Banca d’Italia in merito alla compatibilità dell’operazione da autorizzare con la sana e prudente gestione del soggetto vigilato è riconducibile alla categoria delle valutazioni tecniche complesse, ossia a quel particolare tipo di giudizi implicanti “l’apprezzamento di una serie di elementi di fatto – definiti nella loro consistenza storica o naturalistica – in relazione fra di loro ed alla stregua di regole che (…) non hanno il carattere di regole scientifiche, esatte e non opinabili, ma sono il frutto di scienze inesatte ed opinabili, di carattere prevalentemente economico”87. 85 Cfr. C. MOTTI, Il procedimento di autorizzazione, cit., p. 1291 s. A ciò si aggiunga che, diversamente dalla fattispecie di controllo ex art. 28, quello predisposto dal legislatore comunitario ha per oggetto l’essere e non il comportamento dei soggetti interessati ad acquisire una partecipazione qualificata nell’ente creditizio. Infatti, come già ricordato, tanto nell’art. 5 quanto nell’art. 11 della seconda direttiva, si fa riferimento alla qualità dei soggetti. Dalla normativa di cui all’art. 28 della legge n. 287/1990, vecchia formulazione, si evinceva invece l’intento di assicurare da parte della Banca d’Italia non tanto – o meglio non solo – un controllo ex ante e, dunque, sulle qualità soggettive dei partecipanti al capitale degli enti creditizi, quanto piuttosto una vigilanza sui comportamenti dei soggetti, predisponendo così un controllo che si proiettava nel futuro, laddove – sempre al quarto comma dell’art. 28 – si statuiva l’obbligo in capo ai partecipanti al capitale degli enti creditizi, di cui all’art. 27, di sottoscrivere il c.d. protocollo di autonomia. Così A. ANTONUCCI, La disciplina dei conflitti di interesse fra proprietà ed ente creditizio. Il protocollo di autonomia, in Diritto antitrust, cit., p. 1337 s. In merito cfr. pure M. PORZIO, La disciplina giuridica dell’esercizio del credito, Napoli, 1991, p. 211, che, prima ancora che intervenissero le recenti modifiche di cui al T.u.b. e al d.lgs. n. 481 del 1992, con riguardo agli scopi sottesi alla disciplina autorizzatoria, aveva sostenuto che “il complicato testo dell’art. 28” traduceva “nel nostro ordinamento il principio più semplicemente espresso nella direttiva n. 89/646/CEE”. A parere di tale dottrina, vi sarebbe stata una “sostanziale” coincidenza fra le finalità poste alla base del potere di controllo conferito alla Banca d’Italia dagli artt. 27 ss. della legge antitrust, e quelle di cui alla normativa comunitaria. 86 Come, però, evidenziato da F. BELLI, Note a margine…, cit., p. 478, la seconda direttiva in fase di elaborazione faceva riferimento esclusivamente ad una “gestione indipendente”, e solo nella stesura definitiva è stato introdotto il riferimento alla gestione “sana” e “prudente”. Stando così le cose e se è vero – come sembra – che l’iter di formazione di una disposizione legislativa ha rilievo anche per cogliere la reale portata che il legislatore ha inteso attribuire alle espressioni adoperate, la soluzione in proposito potrebbe essere duplice: il legislatore comunitario potrebbe aver inteso sostituire il criterio della gestione “indipendente” con quello della gestione “sana e prudente”; o viceversa potrebbe aver voluto ricomprendere implicitamente il primo nel secondo. In tal caso l’indipendenza fungerebbe da “preludio” necessario al fine di salvaguardare la prudenza e l’integrità patrimoniale dell’ente creditizio. Nella Relazione ministeriale che accompagna il decreto di attuazione della seconda direttiva bancaria non pare, inoltre, potersi intravdere nella nuova formulazione delle finalità sottese alla procedura in esame l’intento di ampliarne la portata. Sembra, al contrario, che i criteri adottati nel decreto e ripresi integralmente nel Testo Unico siano “più rigorosi” – sotto il profilo della vigilanza prudenziale – e probabilmente “dai confini più labili”, stante la terminologia adoperata (gestione “sana” e “prudente”) che, viceversa, ben si attaglia al contesto legislativo comunitario, vista l’eterogeneità di ordinamenti ai quali la direttiva è indirizzata. 87 Al riguardo, poiché vengono in rilievo provvedimenti discrezionali di un soggetto riconducibile alla categoria delle autorità indipendenti, sembra congruo il richiamo alla recente giurisprudenza della VI Sezione del Consiglio di Stato, per quanto applicabile, in riferimento agli atti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. In merito v. Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199, 1° ottobre 2002, n. 5156, nonché 2 marzo 2004, n. 926; sulla discrezionalità tecnica v. anche Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601. Su questi aspetti cfr., inoltre, A. CHIZZINI, Il potere istruttorio del giudice amministrativo nel quadro delle recenti riforme delineate dal d.lgs. 80/1988 e dalla l. 205/2000, in Dir. proc. amm., 2001, p. 899. Questa giurisdizione, per la struttura del processo e del ragionamento, giudica la decisione amministrativa unilaterale quando è già esecutiva, valutandone la legittimità limitatamente ai profili di eccesso di potere. In poche decisioni emerge una tendenza del giudice a non considerare la specificità del sindacato nei confronti degli atti delle Autorità, andando ben al di là di verifiche di legittimità, - 26 - Il principio della “sana e prudente gestione” reca, dunque, in sé un grado di elasticità e di indeterminatezza che sembra lasciare inevitabilmente all’Autorità di vigilanza “una notevole latitudine di apprezzamento”. La recente sentenza del Tar Lazio n. 6157 del 2005 riconosce alla formula della “sana e prudente gestione” la natura di clausola generale, come la correttezza e la buona fede, frutto dell’evidente intento del legislatore di non vincolare l’attività di settore alla verifica della “bontà” dei comportamenti degli intermediari alla stregua di rigidi e predeterminati schematismi. In questo modo la discrezionalità delle decisioni è stata ritenuta inappellabile88. A circoscrivere in qualche modo l’ampio spazio di discrezionalità racchiusa nella genericità dell’espressione adoperata dalla legge (“condizioni atte a garantire una gestione sana e prudente”) è intervenuta dapprima la delibera del CICR del 19 aprile 1993 (in concomitanza con l’emanazione del Testo Unico bancario), e da ultimo la recente delibera del CICR n. 1057/2005. Ai sensi dell’art. 11, si prevede che la Banca d’Italia, nel rilasciare l’autorizzazione per l’acquisto di partecipazioni, debba attenersi a criteri e condizioni volte a tenere conto “della qualità dei soggetti richiedenti, avendo anche riguardo alla trasparenza degli assetti proprietari e di governo di tali soggetti e dell’eventuale gruppo di appartenenza, all’affidabilità e alla solidità della loro situazione finanziaria, alla correttezza dei comportamenti nelle relazioni d’affari” (comma 1). Peraltro, come si specifica nel terzo comma dell’art. 11, “ai fini dell'autorizzazione, la Banca d'Italia prende in considerazione – anche per individuare i soggetti tenuti a richiedere l'autorizzazione medesima – (requisiti di onorabilità) – gli eventuali legami di qualsiasi natura, inclusi quelli familiari e associativi, tra il richiedente e altri soggetti, anche non soci, e valuta ogni altro elemento idoneo a incidere sulla sana e prudente gestione della banca nonchè sull'esercizio di un'efficace azione di vigilanza”. Le Istruzioni di Vigilanza specificano, in relazione al “principio della sana e prudente gestione” (§. 5.2), quali sono le finalità e l’oggetto dell’indagine che la Banca d’Italia è chiamata a compiere (“tutelare l’impresa bancaria (…) da possibili condotte dannose dei soggetti partecipanti al capitale”), ammettendo che l’Autorità di vigilanza possa “richiedere ai partecipanti specifiche dichiarazioni di impegno volte a tutelare la sana e prudente gestione della banca o della società capogruppo”89. L’acquirente è tenuto, da parte sua, a comunicare le fino a sovrapporre, a quelli delle Autorità, propri criteri di regolamentazione delle disciplina di settore. In tal senso cfr. TAR Lazio, sez. I, sent. n. 1157 del 21 luglio 1993; TAR Lazio, sez. I, sent. n. 1474 del 1° agosto 1995; Cons. di Stato, sez. VI, n. 1792 del 30 dicembre 1996; Pret. di Roma, sent. del 28 novembre 1996; TAR Piemonte, sez. II, sent. n. 64 del 2 marzo 1987 e Cons. di Stato, sez. VI, sent. n. 280 del 25 marzo 1989. In altre ipotesi, diversamente, i giudici si limitano a verifiche di legittimità degli atti sottoposti al loro esame ed applicano modalità di verifica della legittimità e tecniche di tutela proprie del processo amministrativo; in tal senso cfr. TAR Lazio, sez. I, sent. n. 652 del 5 maggio 1994; TAR Lazio, sez. I, sent. n. 251 del 21 febbraio 1994; TAR Lazio, sez. I, sent. n. 1115 del 13 luglio 1993; TAR Calabria, sent. n. 241 del 7 ottobre 1996; Cons. di Stato, sez. VI, sent. n. 985 del 5 dicembre 1992; sez. VI, sent. n. 420 del 15 giugno 1987; e più di recente Cons. di Stato, sez. VI, sent. n. 1348 del 15 marzo 2000. 88 Nello specifico, ciò implica che l’esame in ordine alla legittimità delle gravate autorizzazioni all’acquisto di partecipazioni nel capitale delle banche debba essere circoscritto alla (in)sussistenza di condizioni atte a garantire la sana e prudente gestione del soggetto vigilato. Sul tema dell’opinabilità degli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione e per la loro inattendibilità per l’insufficienza del criterio o per vizio del procedimento applicativo cfr., in dottrina, le diverse posizioni di D. PRETIS, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova, 1995; P. ZARA, Autorità indipendenti e discrezionalità, Padova, 2001; N. PALANTONIO, Il sindacato di legittimità sul provvedimento amministrativo, Padova, 2000; sull’esperienza comparata in tema di discrezionalità cfr. V. PARISIO (a cura di), Potere discrezionale e controllo giudiziario, Milano, 1998. Sul versante giurisprudenziale v., in particolare, Cons. St, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601, in Dir proc. amm., 2000, p. 182 ss., con note di B. DELSIGNORE e P. LAZZARA; per un orientamento più recente si rinvia a Cons. St., sez. V, sent. n. 1247 del 5 marzo 2001, in Urbanistica e appalti, 2001, p. 866 ss. 89 D’altro canto, se è certo che la sottoscrizione dei protocolli di autonomia non costituisce più condizione ex lege per il rilascio dell’autorizzazione, ciò non esclude che l’assunzione di tali impegni possa essere richiesta dalla - 27 - informazioni riguardanti, tra l’altro, la “situazione economico-patrimoniale della società che intende acquisire la partecipazione (…)” nonché le “fonti di finanziamento che il soggetto intende attivare per la realizzazione dell’operazione di acquisizione della partecipazione” (§. 5.2.1) 90. Invero, i criteri di “correttezza nelle relazioni di affari” e di “affidabilità finanziaria” indicati nelle Istruzioni di vigilanza appaiono di difficile interpretazione. Si tratta di qualità personali che indicano, in maniera generica, l’interesse a evitare che acquisiscano una posizione di potere rispetto alla gestione della banca soggetti che, in funzione di interessi esterni o di caratteristiche personali, possano influire sulla gestione della società bancaria in contrasto con l’interesse di quest’ultima91. Risulta, tuttavia, difficile giudicare a priori i possibili riflessi sulla gestione bancaria derivanti dalle qualità personali dei soggetti che acquisiscono la partecipazione. Più chiara è, per contro, l’indicazione che riguarda la trasparenza degli assetti proprietari e di governo92 della banca, conseguenti all’inserimento della stessa nella proprietà di un nuovo soggetto93. La presenza di lunghe catene partecipative, a monte del soggetto che richiede l’autorizzazione, può infatti rappresentare un indice certo della mancanza del requisito richiesto dalla legge94. 5.1. (Segue): I requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale: un corollario della sana e prudente gestione. Dopo le precedenti osservazioni, sufficientemente rapida quanto utile può risultare un’analisi dell’art. 25 del T.u.b. in merito ai requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale delle banche95. Del resto, a completare la disciplina volta ad assicurare l’autonomia e l’indipendenza degli organi societari dall’influenza dei soci, soprattutto di comando, oltre naturalmente a garantire la Banca d’Italia in sede di rilascio dell’autorizzazione. Ed infatti la normativa secondaria prescrive la sottoscrizione di tali protocolli da parte di chi intenda acquisire partecipazioni superiori al 15% o comunque di controllo e prevede che la Banca d’Italia può estendere l’obbligo anche a chi intenda acquisire partecipazioni inferiori; sul punto v. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di vigilanza, cit., Tit. II, cap. I, §. 5.2. 90 In proposito cfr. A. BERTONI e M. BINI, Le nuove istruzioni di vigilanza in tema di fusioni bancarie e il ruolo del progetto industriale, in Riv. milanese di economia, n. 58, aprile-giugno, 1996, p. 121 ss. 91 Su questi aspetti cfr. C. BRESCIA MORRA, Società per azioni bancarie: prrietà e gestione, cit., p. 38 ss. 92 A tal fine, il T.u.b. richiede che i soggetti che possono influire sulla gestione delle banche, in virtù del possesso di quote significative del capitale sociale, debbano possedere requisiti di onorabilità (v. artt. 25 e 63 del T.u.b.). Le fattispecie rilevanti sono stabilite dal regolamento del Ministro del tesoro del 18 marzo 1998, n. 144. Per un commento della disciplina in esame cfr. C. BRESCIA MORRA, Commento sub art. 25, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al T.U. bancario, cit., I, p. 202 ss. 93 Sul punto cfr. F. BOCCIARELLI, Fazio vuol vedere chiaro sulle Ops, e R. SABBATINI, Le tre regole di Via Nazionale per le concentrazioni, in Il Sole 24 Ore, 25 marzo 1999, p. 30; C. RABITTI BEDOGNI, Manuale di diritto dei mercati finanziari, Milano, 2004, p. 289. 94 In tal senso v. C. BRESCIA MORRA, L’impresa bancaria, cit., p. 206. Sul punto M. DRAGHI, Considerazioni finali. Assemblea Ordinaria dei Partecipanti, Roma, 31 maggio 2007, p. 17, sottolinea come sia “essenziale che gli assetti di governo, l’articolazione societaria, le strutture organizzative che i nuovi gruppi adottano, assicurino la sana e prudente gestione”. Il Governatore rileva, inoltre, che “le banche che risultano da processi di aggregazione si sono date in molti casi nuove forme di governance societaria, adottando il sistema duale; utilizzano la holding operativa come strumento di coordinamento dei nuovi gruppi. Il modello duale è efficace se attuato assicurando una chiara ripartizione della responsabilità tra gli organi societari. Sovrapposizioni di competenze ostacolano l’efficienza del processo decisionale, sono viste dagli azionisti come fonte di distruzione di valore; la chiarezza delle linee di responsabilità è anche presidio di stabilità”. 95 Per una completa disamina della disposizione in esame cfr. V. DONATIVI e M. RESTINO, Commento sub art. 25 T.u.b., in F. BELLI, G. CONTENTO, A. PATRONI GRIFFI, M. PORZIO e V. SANTORO (a cura di), Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Commentario, Bologna, 2003, p. 347. - 28 - tutela degli interessi dei depositanti, si pone la verifica da parte della Banca d’Italia, tanto in sede di autorizzazione alla costituzione di una nuova banca quanto in sede di vaglio della richiesta di autorizzazione all’acquisto di interessenze nel capitale creditizio, della sussistenza in capo ai partecipanti al capitale di ulteriori parametri di natura qualitativa, sintetizzati, per l’appunto, nel concetto di “onorabilità”, la cui specificazione è offerta dalla normativa secondaria96. La novità di fondo risiede nell’ampia delegificazione introdotta dal legislatore del 1993 per consentire un migliore adeguamento dell’ordinamento nazionale ai criteri previsti dalla seconda Direttiva CEE (artt. 5 e 11) 97, che riconosce alle autorità competenti ampi poteri di controllo sulla “qualità” degli azionisti per la realizzazione dell’obiettivo della gestione sana e prudente della banca98, considerata l’indubbia influenza esercitatile sulla conduzione dell’impresa da parte dei soci forniti di apprezzabili margini di partecipazione99. Il Capo IV del T.u.b., relativo ai requisiti di onorabilità e professionalità, si compone di tre norme: gli artt. 25 e 26, da un lato, concernenti i requisiti dei titolari di partecipazioni e degli esponenti aziendali, e l’art. 27, dall’altro, che si occupa delle incompatibilità. Con soluzione identica a quella recepita per i requisiti di onorabilità e di professionalità degli esponenti aziendali (art. 26 T.u.b.), l’art. 25 del Testo Unico sposta infatti dal piano legislativo a quello della normativa secondaria (regolamento del Ministro del Tesoro, sentita la Banca d’Italia) la determinazione dei requisiti di onorabilità dei soci e delle quote di partecipazione (dirette e 96 Cfr. A. COLAVOLPE, Partecipanti al capitale delle banche: nuove disposizioni Ministro del tesoro e Bankitalia, in Le società, 9, 1998, p. 1077 ss.; T. LUISE, Il possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità da parte dei soci e degli esponenti bancari e la tutela del risparmio: evoluzione giurisprudenziale, in Riv. dir. comm., 1996, p. 785 ss. Invero, quest’ultima disposizione esplicitamente richiede il rispetto di siffatto requisito “anche” durante l’intera vita dell’intermediario bancario. L’organo di vigilanza, inoltre, nell’ottica più ampia della necessità di tutela della reputazione e della “immagine” della banca dai pericoli derivanti dalla perdita di fiducia, richiede la sottoscrizione da parte dei soci del noto “protocollo di autonomia gestionale”. La sottoscrizione di tale protocollo, prima richiesta espressamente dalla legge (art. 28, comma 4, legge n. 287/1990) e regolamentato in via ministeriale (decreto del Ministro del Tesoro 5 giugno 1991), oggi non è più prevista dall’art. 20 del Testo unico. Tuttavia, nelle Istruzioni di vigilanza del 16 agosto 1993, in materia di “Partecipazioni al capitale delle banche”, e del 31 gennaio 1994, in tema “Autorizzazione all’attività bancaria”, la Banca d’Italia ha recuperato l’obbligo di sottoscrizione del suddetto protocollo. Il quadro normativo, come già ricordato, è stato poi completato dal Regolamento del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica del 18 marzo 1998, n. 144, cit., recante norme per l’individuazione dei requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale sociale delle banche e fissazione della soglia rilevante. 97 Cfr. M.A. FRENI, Requisiti di onorabilità dei partecipanti, in P. FERRO LUZZI e G. CASTALDI (a cura di), La nuova legge bancaria, Milano, 1996, p. 381 ss. L’art. 25 T.u.b. riproduce l’art. 11 d.lgs. n. 481/1992 che, a sua volta. abrogava, con decorrenza dall’entrata in vigore della relativa normativa regolamentare, le corrispondenti disposizioni del d.p.r. n. 350/1985. 98 Sul punto cfr. G. MOLLE, La banca nell’ordinamento giuridico italiano, 2 ed., a cura di F. MAIMERI, Milano, 1987, p. 382; M. PERASSI, Commento sub art. 7 d.p.r. 350/85, in F. CAPRIGLIONE e V. MEZZACAPO (a cura di), Codice commentato della banca, t. II, Milano, 1990, p. 1485. Una rilevanza, seppure indiretta, al profilo della qualità dei soci della banca viene pur sempre riconosciuta dall’art. 7 della seconda direttiva CEE laddove, nell’ambito della disciplina dei rapporti di reciproca collaborazione tra le autorità preposte all’esercizio delle funzioni di vigilanza nei singoli Stati membri, è imposto, ad ogni singola autorità competente, “al fine di agevolare l’esame delle condizioni per la relativa autorizzazione”, l’obbligo di fornire informazioni anche in merito alla “proprietà di tali enti creditizi”. Rilievo centrale è invece attribuito alla composizione della compagine della società bancaria dalla direttiva n. 89/646/CEE, ove, all’art. 5, §. 2 (poi art. 7 dir. n. 2000/12/CE, e attualmente art. 12, §. 2, dir. n. 2006/48/CE), è stabilito che “le autorità competenti rifiutano l’autorizzazione se, per tener conto della necessità di garantire una gestione sana e prudente dell’ente creditizio, esse non sono soddisfatte della qualità” degli azionisti o dei soci che detengono una “partecipazione qualificata”. 99 Cfr. R. COSTI, op. ult. cit., p. 249; T. DI BIASE e A. MAGLIOCCO, Commento sub art. 25, in Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, cit., p. 154; M. PERASSI, op. ult. cit., p. 1485. - 29 - indirette) a partire dalle quali viene richiesto il possesso degli stessi, sia in sede di costituzione della banca, sia successivamente100. Invero, l’esigenza che colui che sia titolare di partecipazioni rilevanti nella banca possegga specifici requisiti soggettivi aveva trovato per la prima volta riconoscimento in Italia nel d.p.r. 350/1985, decreto con il quale si dava attuazione alla direttiva 77/780/CE (prima direttiva di coordinamento bancario). La normativa comunitaria, però, si limitava a richiedere la sussistenza dei requisiti di onorabilità (nonché di esperienza adeguata) solo per i soggetti “che determin(assero) effettivamente l’orientamento dell’attività dell’ente creditizio”. Diversamente, la soluzione adottata dal legislatore italiano, risultava ben più rigorosa (v., infra, cap. 2, §. 2)101. Si tratta, invero, di tematiche legate al c.d. “aspetto qualitativo” del capitale, fattispecie che nel settore bancario assume un rilievo particolare in ragione del carattere fiduciario su cui riposa l’attività creditizia delle banche e degli altri intermediari finanziari, nonché della rilevanza che tale aspetto acquista come garanzia per un’efficiente allocazione delle risorse nel sistema economico. Non sfugge, peraltro, che, durante societate, nessun ostacolo è posto dalla legislazione primaria e secondaria affinché un soggetto privo dei requisiti di onorabilità acquisti una partecipazione, anche rilevante, al capitale di una società bancaria, e compaia quindi nella compagine sociale della stessa. Il legislatore secondario, infatti, recependo l’orientamento comunitario si preoccupa, al fine di salvaguardare il rispetto del principio della sana e prudente gestione, esclusivamente di inibire il potere del soggetto non onorabile di “influenzare” o di “determinare effettivamente l’orientamento” dell’attività della banca102. È infatti proprio nella normativa regolamentare relativa ai requisiti di onorabilità che l’assioma della “sana e prudente gestione della banca” viene finalmente approfondito nel suo significato, collegandolo, quindi, non solo all’aspetto organizzativo, ma soprattutto alla “qualità” degli azionisti come vuole il legislatore europeo103. In sintonia con analoghe previsioni normative, il T.u.b. riconosce anche alla Banca d’Italia il potere di impugnare, entro centottanta giorni, le delibere assembleari assunte con il Cfr. M.P. DE TROIA, Autorizzazioni all’esercizio dell’attività bancaria: requisiti di onorabilità, qualità degli azionisti, sana e prudente gestione, in Banca, borsa e tit. cred., 1996, I, p. 233 ss.; G. VESPERINI, Requisiti di onorabilità e partecipazione azionaria in una società creditizia: osservazioni in merito all’art. 7 d.p.r. 27 luglio 1985, in Banca borsa tit. cred., 1986, I, p. 389 ss. F. DI SABATO, Sui requisiti soggettivi degli esponenti bancari: profili di diritto societario, in Banca borsa tit. cred., 1988, I, p. 56 ss. 101 Sul punto cfr. L. DESIDERIO, Le norme di recepimento della Direttiva comunitaria 77/780 in materia creditizia, in BANCA d’ITALIA, Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale, n. 6, Roma, 1986, p. 43. In aggiunta a tale motivazione, è ragionevole ritenere che avesse trovato riconoscimento anche un’esigenza più ampia di preventiva “moralizzazione” dell’attività bancaria di modo che la stessa non potesse “farsi strumento di iniziative economiche collegate a soggetti di dubbia correttezza, sospettabili come tali di turbare la linearità d’immagine e di funzioni dell’ente partecipato”, così ancora L. DESIDERIO, Ibidem, ma anche M. PERASSI, op. ult. cit., p. 1486 s.; A. MUSSO, La rilevanza esterna del socio nelle società di capitali, Milano, 1966, p. 65. 102 Nell’ordinamento nazionale, il riferimento alla “qualità” dei soci di cui al testo comunitario – sia in sede costitutiva che in fase funzionale dell’impresa creditizia – acquista un duplice significato: a) di ordine quantitativo, connesso cioè all’entità della partecipazione detenuta e, quindi, all’influenza esercitata in virtù del possesso di quest’ultima; b) di natura qualitativa, avendo riguardo alle caratteristiche soggettive dell’azionista, sia in relazione al settore di appartenenza – industriale o finanziaria – sia sotto il profilo della sua “onorabilità”. I requisiti, oggettivi e soggettivi, che definiscono la “qualità” del socio (disciplinati da fonti normative diverse) sono finalizzati alla creazione dei presupposti, al momento della nascita (v. art. 14, comma 2, T.u.b.) e di conservare, durante l’intero arco di esistenza di una banca, di una gestione sana e prudente, tutelando in questo modo “l’impresa bancaria da possibili condotte dannose dei soggetti partecipanti al capitale”. 103 A tal fine, infatti, le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, cit., Tit. II, cap. I, §. 1.1., prevedono che “chiunque partecipa in una banca in misura superiore al cinque per cento del capitale rappresentato da azioni con diritto di voto non può esercitare il diritto di voto inerente alle azioni o quote eccedenti” qualora non sia in possesso dei requisiti di onorabilità prescritti dal decreto medesimo. 100 - 30 - voto determinante dei soci non in possesso dei requisiti di onorabilità richiesti. Rispetto al sistema previgente, inoltre, l’impugnativa delle suddette delibere (o del “diverso atto”) non è più obbligatoria per amministratori e sindaci, “anche se tale obbligo, quanto meno ai fini di esonero dalla responsabilità, probabilmente discende ancor oggi dai principi generali in tema di impugnazione delle delibere assembleari”104. Va sottolineato, infine, che l’opera di omogeneizzazione della disciplina non è circoscritta all’ambito di applicazione del T.u.b., ma abbraccia tutti i settori del mercato finanziario, tanto che si può parlare di un’unica disciplina per tutti gli intermediari finanziari105. Uniformità di contenuti, quindi, che si accompagna necessariamente ad una omogeneità delle finalità che la legge intende perseguire: ossia la sana e prudente gestione. 5.2. (Segue): Le specifiche dichiarazioni di impegno volte a tutelare la sana e prudente gestione della banca o della società capogruppo. Il processo valutativo posto in essere dalla Banca d’Italia, nell’apprezzamento della compatibilità delle operazioni assentite in rapporto alla garanzia della stabilità del richiedente (sub specie di “sana e prudente gestione”), consente pertanto di cogliere ulteriori interessanti spunti di riflessione utili alla nostra discussione. Nei provvedimenti autorizzativi della Banca d’Italia sono contenute disposizioni prescrittive volte ad assicurare il coordinamento tra la realizzazione degli investimenti partecipativi e le risorse patrimoniali che si renderanno a mano a mano disponibili. In relazione al “principio della sana e prudente gestione”, come si è visto poc’anzi, le Istruzioni di Vigilanza ammettono, infatti, che l’Autorità di vigilanza possa “richiedere ai partecipanti specifiche dichiarazioni di impegno volte a tutelare la sana e prudente gestione della banca o della società capogruppo” 106. Ciò implica che, in seguito all’avvenuto rilascio dell’autorizzazione, La Banca d’Italia sia tenuta a verificare, in chiave prospettica, che il rafforzamento patrimoniale progettato dalla banca richiedente sia congruo in relazione all’entità dell’acquisizione ipotizzata107. Per giunta, occorre tener presente che il progetto industriale, che deve essere presentato dall’acquirente e che costituisce parte fondante del giudizio promosso dalla Banca d’Italia108, rappresenta esso stesso, in realtà, un mero strumento programmatico, nel quale sono contenute delle previsioni di larga massima, valutabili concretamente solo a posteriori, in base, cioè, ai risultati effettivamente perseguiti109. Così G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit., p. 294. La conclusione indicata nel testo è valida anche per le imprese di assicurazione per le quali il Ministro dell’industria, commercio e artigianato ha emanato, sulla base della delega ad esso fornita dall’art. 11, comma 5, legge 9 gennaio 1991, n. 20, il d.m. 24 aprile 1997, n. 186 (pubblicato in G.U. del 28 giugno 1997, n. 149), concernente la determinazione dei requisiti di onorabilità e professionalità ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa, nonché la determinazione dei criteri per la concessione, sospensione e revoca delle autorizzazioni all’assunzione di una partecipazione qualificata o di controllo in imprese assicurative. 106 Sempre con la sent. n. 6157/2005, il TAR Lazio ha anche esplicitamente stabilito che le indicazioni di vigilanza impartite in sede di rilascio dell’autorizzazione non sono condizioni apposte all’efficacia dell’atto; esse costituiscono elementi accessori di carattere precettivo. Pertanto, “i fatti sopravvenuti non incidono sugli effetti del provvedimento abilitante, né sulla legittimità dello stesso, ma rilevano su un piano diverso, ai fini del potere di controllo”. 107 Cfr. V. MALAGUTI e M. ONADO, Andava a piedi da Lodi a Lugano. Storia della scalata alla Banca Antoveneta, in Merc. conc. reg., 2005, 2, p. 331 ss. 108 In proposito v. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza, cit., Tit. II, cap. I, sez. II, art. 5.2.2.,“Acquisizione del controllo. Il piano industriale”. 109 In merito cfr. TAR Lazio, sez. I, sent. n. 6157/2005, cit., che, con l’indicazione dei criteri costantemente seguiti dall’Istituto di vigilanza, ne rende pienamente conto. In particolare, si comprende 104 105 - 31 - Nonostante i forti contrasti emersi in dottrina, si sostiene che le Istruzioni di vigilanza ammettano questo modus procedendi allorquando richiedono la comunicazione delle “fonti di finanziamento che il soggetto intende attivare per la realizzazione dell’operazione di acquisizione della partecipazione”110, ovvero delle “informazioni concernenti l’impatto dell’operazione sulla situazione finanziaria attuale e prospettica del partecipante”111. Un ulteriore argomento a sostegno dell’operato dell’Autorià di vigilanza può essere individuato con riferimento alla disciplina delle partecipazioni detenibili dalle banche, là dove, secondo quanto indicato nelle Istruzioni di vigilanza, alla Banca d’Italia spetta valutare “se la situazione tecnica e organizzativa delle banche richiedenti (sia) tale da sostenere un’ulteriore articolazione e se quest’ultima (sia) compatibile con le esigenze della vigilanza su base consolidata”112. Inoltre, è opportuno considerare che l’impatto sui coefficienti si realizza non già al momento del rilascio del titolo, ma “al momento dell’effettuazione dell’acquisto”113. In evidente applicazione di tale canone, si ritiene che l’interesse pubblico (il giudizio di “sostenibilità”, in un’ottica di sana e prudente gestione) affidato alla cura della Banca d’Italia possa essere congruamente perseguito attraverso l’apposizione agli atti autorizzatori di clausole (sulle quali ci si soffermerà oltre) intese ad istituire uno stretto collegamento tra patrimonializzazione ed acquisti114. agevolmente quale sia l’esatta portata della formula usata dalla Banca d’Italia nel concedere l’autorizzazione, con cui l’Autorità invita le parti a completare il piano industriale con i “conseguenti progetti operativi e attuati nei tempi pianificati”, aspetti questi che attengono, appunto, alla fase esecutiva del piano stesso. 110 Cfr. BANCA d’ITALIA, Istruzioni Vigilanza, cit., Tit. IV, cap. 9, sez. III, §. 5.2.1. 111 Cfr. BANCA d’ITALIA, Istruzioni Vigilanza, cit., Tit. IV, cap. 9, sez. III, §. 4. Va, a tal riguardo, debitamente rimarcato – come sostenuto dal TAR Lazio, sent. n. 6157/2005, cit., – il presupposto che “l’acquirente proceda nella realizzazione dell’operazione graduando gli impatti patrimoniali in relazione ai margini disponibili al momento dell’autorizzazione e a quelli via via generati dal perfezionamento delle operazioni pianificate, secondo gli impegni assunti dal richiedente nei confronti della Banca d’Italia”. La Banca d’Italia non ha pertanto motivi di chiedere alla banca acquirente che il rafforzamento patrimoniale sia già attuato al momento del rilascio dell’autorizzazione, perché “l’impatto sui coefficienti si realizza non già al momento del rilascio del titolo, ma al momento dell’effettuazione dell’acquisto”. In questo modo si rende possibile effettuare un’acquisizione bancaria anche per operatori “che si attivino per il recepimento delle necessarie fonti patrimoniali, come sovente accade nelle realtà imprenditoriali”. Se poi in futuro questo non accadrà, la violazione del nesso tra rafforzamento patrimoniale e atti di acquisto costituirà presupposto per “l’eventuale esplicazione della potestà sanzionatoria” dell’Autorità di vigilanza. 112 Così BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza per le banche, cit., Titolo IV, cap. 9, sez. III. Sul versante della disciplina delle partecipazioni detenibili dalle banche, le Istruzioni di Vigilanza chiariscono che la domanda di autorizzazione deve essere corredata, tra l’altro, “di ogni notizia utile a inquadrare l’operazione nell’ambito dei piani strategici e, ove trattasi di acquisizione di una partecipazione in una banca, di espansione territoriale”. Anche in questo caso la banca acquirente è tenuta a rendere “informazioni concernenti l’impatto dell’operazione sulla situazione finanziaria attuale e prospettica del partecipante, sul margine disponibile per gli investimenti in partecipazioni e in immobili, sull’adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento al coefficiente di solvibilità” (. In questo modo si rende possibile effettuare un’acquisizione bancaria anche per operatori “che si attivino per il recepimento delle necessarie fonti patrimoniali, come sovente accade nelle realtà imprenditoriali”. 113 Con riferimento all’accusa di “sforamento dei coefficienti patrimoniali” stabiliti dalla normativa in tema di requisiti patrimoniali delle banche, cfr. TAR Lazio, sent. n. 6157/2005, cit. 114 Tali conclusioni hanno reso opportuno procedere all’individuazione della esatta natura di questi “elementi accessori”. Al riguardo il TAR Lazio, sent. n. 6157/2005, cit., ha escluso che essi possano essere considerati “meri inviti alla osservanza di norme già presenti nel sistema (…), in quanto con essi l’amministrazione ha proceduto a specificare, per il caso concreto, il precetto generale della sana e prudente gestione”. Né tanto meno ai Giudici è parsa congrua “una lettura in termini di << condizioni >> (si tratterebbe in particolare, secondo una condivisibile qualificazione dottrinaria, di ipotesi di << condizione potestativa a genesi privatistica >>, nelle quali cioè l’avvenimento incerto dipende da un atto, fatto o comportamento dello stesso destinatario della determinazione della p.a.)”. Pertanto, il Tribunale, ponendo “in disparte l’osservazione che l’avveramento (o il mancato avveramento, a seconda che si tratti di condizioni sospensive o risolutive) dell’evento - 32 - Sarà poi compito della Banca d’Italia, sempre in un’ottica di estrema prudenza, vigilare affinché venga rispettata la successione degli interventi di rafforzamento patrimoniale a fronte di precisi e impegnativi obblighi assunti dallo scalatore, nel presupposto che l’onere possa essere scaglionato nel tempo. A tal fine la Banca d’Italia è chiamata ad elaborare un giudizio di tipo “prognostico”, ad alto tasso di discrezionalità tecnica, nel quale si concretano in definitiva le sue funzioni istituzionali115. Se dunque la tesi contraria, secondo cui “al momento del rilascio dell’autorizzazione” la banca richiedente deve essere dotata di tutte le risorse patrimoniali utili per portare a compimento l’operazione progettata, non sembra trovare opportuno accoglimento nel sindacato dei giudici116, occorre spostare l’attenzione sugli effetti riconducibili ad un disallineamento temporaneo rispetto ai coefficienti minimi117. In tal caso, la valutazione riguarda – si badi bene – sia il mancato rispetto delle “condizioni” apposte dall’Autorità di vigilanza agli atti censurati, sia l’accertamento di eventi che avrebbero dovuto portare alla pronuncia di una “revoca”. In ultima analisi sia comunque consentito auspicare a breve termine il passaggio ad una visione più ancorata al presente, e dunque in un certo senso più restrittiva, rispetto ad una valutazione dinamica dei requisiti patrimoniali, valutazione che in passato consentì altre acquisizioni da parte di cacciatori più piccoli della preda. 6. Il potere della Banca d’Italia di sospendere o revocare l’autorizzazione. Il quinto comma dell’art. 19 del T.u.b. riconosce alla Banca d’Italia il potere di sospendere o revocare l’autorizzazione. Anche in tali fattispecie, il criterio cui la Banca d’Italia dovrà attenersi è costituito, ancora una volta, dalla valutazione della ricorrenza di condizioni atte a garantire una sana e prudente gestione della banca, peraltro nel rispetto dei principi di diritto amministrativo che presiedono all’emanazione di provvedimenti di secondo grado. La revoca deve implicare, però, una nuova valutazione circa l’opportunità del permanere degli effetti della precedente deliberazione, alla luce di una modificazione oggettiva della situazione di fatto esistente al momento dell'emanazione dell’atto. in esse dedotto può al più rilevare sul piano, del tutto diverso, degli effetti dell’atto permissivo, incidendo (sia pure retroattivamente) solo sui connessi effetti abilitanti, con eventuali conseguenze (che qui non mette conto evidenziare) sugli atti compiuti dal soggetto autorizzato (nella specie, sugli acquisti di titoli Antonveneta)”, ha ritenuto “che la tesi della condizione è smentita, oltre che dal tenore e dal contenuto dei provvedimenti (nei quali il dato lessicale non depone in tal senso; l’amministrazione ha poi inserito esplicite riserve di valutazione degli sviluppi dell’operazione e raccomandazioni relative alla tempestiva realizzazione delle iniziative pianificate), anche dal quadro normativo, idoneo a convincere della correttezza di una definizione di tali elementi accessori in termini di autorizzazioni con prescrizioni (definite da alcuni conformative o modali)”. Piuttosto – ha concluso il TAR Lazio – “degli eventi successivi al rilascio delle autorizzazioni non pare dunque ammissibile la ricostruzione in termini di fattispecie invalidanti, potendo essi rilevare quali presupposti per l’esercizio degli immanenti poteri di riesame e sanzionatori” della Banca d’Italia. 115 Così Tar Lazio n. 6157 del 2005, cit. In altre parole, si sostiene che l’Autorità di vigilanza sia tenuta a verificare non tanto la consistenza attuale dei mezzi patrimoniali del richiedente in relazione all’intera acquisizione programmata, quanto piuttosto l’adeguatezza e la concreta realizzabilità del progetto di rafforzamento patrimoniale presentato dall’acquirente. 116 Per tutti v. G. MINERVINI, op. ult. cit., p. 10 (datt.). 117 Disallineamento – a dire della dottrina prevalente – inaccettabile, allorquando dipenda da decisioni volontarie degli operatori, giusta la norma delle Istruzioni di vigilanza preclusiva dell’acquisto di partecipazioni finanziarie “qualora la loro eventuale deduzione dal patrimonio di vigilanza faccia venir meno il rispetto del requisito di adeguatezza patrimoniale complessivo”, e tenuto conto del tenore delle autorizzazioni. Si sostiene, in particolare, che i temporanei disallineamenti dai ratios contemplati dall’art. 47, comma 3, dir. 2000/12/CE, cit., possano dipendere solo da ipotesi imprevedibili o eccezionali. - 33 - In particolare, è appena il caso di ricordare che la revoca interviene sul provvedimento già emanato caducandolo con efficacia ex nunc, per il venir meno di un presupposto legale ovvero per il mutamento della situazione sostanziale, che ne determina l’inopportunità sopravvenuta118. Oltre ad un laconico riconoscimento del potere di sospensione e revoca del provvedimento autorizzatorio, null’altro viene detto in proposito dalla legge; né tanto meno sembra che a tale silenzio possano sopperire le “disposizioni attuative” di competenza del CICR119. Il problema dei mezzi a disposizione delle autorità nazionali, allorché la qualità degli azionisti, e di conseguenza la sana e prudente gestione dell’intermediario, si deteriori in un momento successivo, si rivela assai complesso anche in sede comunitaria. Tema, questo, affrontato dall’art. 11, §. 5, dir. n. 89/646/CEE (ora art. 21, §. 2, dir. n. 2006/48/CE), il quale dispone che qualora l’influenza esercitata dai soggetti partecipanti al capitale dell’ente creditizio risulti di ostacolo alla sana e prudente gestione dello stesso, le autorità degli Stati membri possono adottare misure idonee per porre termine a tale situazione. Fra tali misure la direttiva annovera: ingiunzioni, sanzioni nei confronti dei dirigenti, sospensione dei diritti di voto relativi alle azioni o quote detenute. Le medesime misure devono essere adottate nei confronti delle persone fisiche o giuridiche che non abbiano ottemperato agli obblighi di informazione preventiva. La citata delibera CICR n. 1057/2005, in particolare, fissa i criteri e le condizioni per il rilascio e la revoca delle autorizzazioni della Banca d’Italia e sancisce, in primo luogo, che l’autorizzazione a salire nel capitale di un’azienda di credito viene revocata “qualora vengano meno o si modifichino i presupposti e le condizioni atti a garantire una gestione sana e prudente della banca”. Ma tra i motivi di revoca dell’autorizzazione rientrano anche i comportamenti elusivi della normativa, le violazioni degli impegni assunti con l’Autorità di vigilanza e la trasmissione di dati non corrispondenti al vero. La sospensione dell’autorizzazione, aggiunge la nuova normativa, può essere disposta dalla Banca d’Italia “quando venga accertata l’insussistenza temporanea di uno o più dei requisiti e delle condizioni necessari per l’autorizzazione”120, il cui “ripristino sia assicurato in tempi brevi dal soggetto interessato”121. La revoca ha carattere recettizio e, nella misura in cui entra in gioco la valutazione di nuove circostanze di fatto, è, al pari dell’autorizzazione da revocare, atto discrezionale. Sul punto, le Istruzioni di vigilanza precisano che: “in conformità dei criteri fissati dal CICR (…), la Banca d’Italia può in ogni momento sospendere o revocare con provvedimento motivato In tal senso v. M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, III ed., Milano, 1993 p. 599 ss.; ma, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, si registrano divergenze non trascurabili nella sistemazione degli atti di ritiro, riesame o revisione in generale, e della revoca in particolare. 119 In tal senso cfr. E. GALANTI, op. cit., p. 518. 120 Le precedenti direttive del CICR sono contenute nella delibera del 19 aprile 1993, cit., in cui sono stati stabiliti i criteri che presiedono ai controlli sugli assetti proprietari a fini di sana e prudente gestione. L’art. 6, comma 2, elencava fra i motivi di revoca dell’autorizzazione “la violazione degli impegni eventualmente assunti dal partecipante nei confronti della Banca d’Italia ai fini del rilascio dell’autorizzazione”. In sostanza, i profili innovativi rispetto alla disciplina originaria si esauriscono nella più ampia discrezionalità tecnica riconosciuta all’autorità amministrativa nel valutare se richiedere o meno la sottoscrizione di tali protocolli e nel determinare il contenuto dei relativi impegni. 121 V. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per le banche, cit., Tit. II, cap. I, p. 11. Ad esempio, un temporaneo disallineamento dei coefficienti patrimoniali, peraltro successivamente riassorbito, non ha rilevanza sugli effetti del provvedimento autorizzativo già rilasciato dall’Autorità di Vigilanza, come anche confermato dalla recente sentenza del TAR del Lazio del luglio 2005, n. 6157, ma rileva unicamente sotto il profilo sanzionatorio. La normativa comunitaria e le Istruzioni di Vigilanza non escludono che si possano determinare scostamenti rispetto ai requisiti regolamentari, ma richiedono che siano adottate sollecitamente misure appropriate per ripristinare il rispetto del coefficiente patrimoniale. 118 - 34 - l’autorizzazione all’assunzione della partecipazione qualora vengano meno i presupposti e le condizioni in base ai quali l’autorizzazione medesima è stata rilasciata”122. Per quanto concerne, invece, il richiamo all’istituto della illegittimità sopravvenuta, questo è configurabile solamente in ipotesi marginali, comunque non ricorrenti nella specie (se ne parla, infatti, anche se con forti dubbi dogmatici, nel caso di jus superveniens ad efficacia retroattiva o di pronunce di illegittimità costituzionale di norme attributive di potere) 123. Degli eventi successivi al rilascio dell’autorizzazione non pare dunque ammissibile la ricostruzione in termini di fattispecie invalidanti, potendo essi rilevare quali presupposti per l’esercizio degli immanenti poteri di riesame e sanzionatori della Banca d’Italia124. Con riferimento alla motivazione dell’atto di revoca, occorre tenere in debita considerazione che il provvedimento in questione va ad incidere negativamente su situazioni giuridiche legittimate da un precedente provvedimento, e rispetto alle quali sussiste un affidamento del beneficiario al mantenimento dello status quo ante 125. È opportuno sottolineare, però, che la sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale costituisce la premessa necessaria affinché l’Autorità di vigilanza proceda alla revoca. Pertanto, è da escludere che non si possa dare luogo all’atto di ritiro dell’autorizzazione quando il decorso del tempo ha cristallizzato e consolidato l’interesse privato individuale, sino a renderlo prevalente su quello pubblico sottostante al provvedimento di revoca. Nel caso della sospensione, questa non comporta caducazione del precedente provvedimento, ma la sua temporanea inefficacia. Come è stato osservato in dottrina, con riferimento alla corrispondente previsione contenuta nella legge n. 287/1990, è evidente come sia stata riconosciuta la valenza di estendere, anziché circoscrivere, il potere di sospensione, “in modo che possa essere preordinato anche ad un risultato diverso dalla salvaguardia in via cautelare degli interessi tutelati, affinché questi non vengano pregiudicati nelle more della revoca”126. Il fatto che l’ordinamento conferisca all’Autorità di vigilanza appropriati strumenti di repressione di condotte atte a pregiudicare il mantenimento delle condizioni di sana e prudente gestione dei soggetti vigilati permette dunque di interpretare le clausole in disamina alla stregua di indicazioni precettive, il cui mancato rispetto rileva ai fini dell’esercizio del potere di controllo e sanzionatorio da parte della Banca d’Italia127. Così BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza, cit., Tit. II, cap. I, p. 11. Come ha di recente dichiarato il TAR del Lazio, sent. n. 6157/2005, in tema di revoca dell’autorizzazione ex art. 19 T.u.b., “Tali conclusioni non mutano neanche all’esito dell’individuazione della esatta natura di questi elementi accessori”. 124 Soprattutto in merito all’obbligo di fornire informazioni veritiere, si rileva che l’osservanza di tale precetto è assistita da sanzioni penali, come quelle previste dagli artt. 139, comma 2, T.u.b. e 2638 c.c., nonché amministrative, in relazione sia allo status degli esponenti aziendali sia alla stessa possibilità della banca di esercitare la propria attività. Inoltre, le innovazioni semplificative introdotte nel sistema delle autorizzazioni hanno contribuito a risolvere in larga parte i problemi interpretativi in tema di sospensione del voto sollevati dalla previgente normativa. In dottrina v. M. MONTEFIORI, La sospensione del voto e l’obbligo di alienazione nella disciplina delle partecipazioni negli enti creditizi, in Giur. comm., 1992, I, p. 1097 ss. 125 Tra le ipotesi di scuola, l’esistenza di un patto parasociale occulto intercorso tra la banca acquirente ed altri soggetti, potrebbe essere valutato dalla Banca d’Italia anche in termini di revoca ai sensi della citata delibera CICR del 1993. Il patto occulto costituisce, inoltre, violazione degli artt. 122 del T.u.f., e 20, comma 2, del T.u.b. sulla comunicazione degli accordi alle Autorità di vigilanza, con conseguente insussistenza o venir meno in capo all’acquirente del requisito della “correttezza dei comportamenti nelle relazioni d’affari” di cui sempre alla citata delibera CICR del 1993 (per maggiori dettagli v. infra cap. IV, §. 5.1.). 126 Così C. MOTTI, Norme in materia di partecipazioni al capitale degli enti creditizi, in Diritto antitrust italiano, cit., p. 1329. 127 Va parimenti ricordato che l’art. 53, comma 3, lett. d), T.u.b., consente espressamente alla Banca d’Italia di “adottare, ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici nei confronti di singole banche per le materie indicate nel comma 1”, tra le quali sono incluse l’“adeguatezza patrimoniale” e, come si è detto, le “partecipazioni detenibili”. Il TAR del Lazio (sent. n. 6157/2005) ha anche esplicitamente stabilito che le indicazioni di vigilanza 122 123 - 35 - 7. Gli elementi identificativi della nozione di partecipazione indiretta. In materia di partecipazioni al capitale delle banche, assumono rilevanza anche le partecipazioni acquisite o comunque possedute per il tramite di società controllate, società fiduciarie o per interposta persona (art. 22), ossia le c.d. “partecipazioni indirette”128. La norma ha una valenza integrativa in quanto funzionale a consentire la precisa determinazione, unitamente alle partecipazioni dirette e alle altre disposizioni cui fanno riferimento le norme del Capo III (in particolare gli artt. 19, 20 e 23), della percentuale rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina sugli assetti proprietari delle banche. In questo senso, l’art. 22 si configura come norma di chiusura il cui scopo è quello di ricomprendere tutte le possibili fattispecie non direttamente regolate dalle altre disposizioni, così da estendere la prevista disciplina informativa ed autorizzativa a tutte le vicende acquisitive di partecipazioni al capitale di una banca129. La norma in questione va coordinata, altresì, con l’art. 21 affinché la Banca d’Italia sia in grado di ottenere informazioni tanto dalle società fiduciarie (in merito alle generalità dei fiducianti), quanto nei confronti degli enti e delle società titolari di partecipazioni al capitale delle banche, potendo richiedere agli amministratori di queste ultime l’indicazione dei soggetti controllanti130. Con l’art. 22 si è, dunque, raggiunto un apprezzabile risultato di economizzazione normativa, essendovi alla base della collocazione sistematica “autonoma” della disposizione sulle partecipazioni indirette, una chiara esigenza di “semplificazione del dettato normativo”131. Posto che la fattispecie “partecipazione indiretta” esaurisce tutte le situazioni nelle quali è possibile esplicare indirettamente una influenza significativa su di un altro soggetto giuridico (nella fattispecie una banca), appare opportuno definire con maggiore precisione i contorni delle sue componenti, ossia le nozioni di società controllata, di società fiduciaria e di interposta persona. Quanto alla nozione di società controllata, qui ci si limita a ribadire la mutevolezza settoriale della nozione di controllo che, anche quando non si differenzi sostanzialmente dalla impartite in sede di rilascio dell’autorizzazione non sono condizioni apposte all’efficacia dell’atto; esse costituiscono elementi accessori di carattere precettivo. Pertanto i fatti sopravvenuti non incidono sugli effetti del provvedimento abilitante, né sulla legittimità dello stesso, ma rilevano su un piano diverso, ai fini del potere di controllo e sanzionatorio da parte della Banca d'Italia, in merito al rispetto delle indicazioni prescrittive della Vigilanza. 128 Cfr. CICR, Delibera n. 1057 del 2005. Sulla disciplina previgente cfr. CICR, Delibera del 19 aprile 1993, cit., e le relative Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia. La normativa secondaria ha correttamente puntualizzato che si tiene conto delle azioni in proprietà e di quelle oggetto di contratto di riporto, anche se il soggetto sia privo del diritto di voto, nonché delle azioni per le quali si ha la titolarità del diritto di voto (ad esempio, azioni possedute a titolo di pegno o di usufrutto, se il diritto di voto spetta all’usufruttuario o al creditore pignoratizio), rapportate a tutte le azioni o quote rappresentanti il capitale, comprese le azioni privilegiate ma non quelle di risparmio. 129 V. F. CHIAPPETTA, Commento sub art. 22, in Commentario al Testo Unico, cit., p. 136 ss. 130 Va ricordato che l’art. 22 del T.u.b. costituisce anch’esso, ovviamente solo nella parte concernente le partecipazioni indirette), l’art. 9 della legge n. 281/1985; sul punto v. ancora F. CHIAPPETTA, op. cit., p. 139; B. MANZONE, op. cit., p. 367. 131 Cfr. A. PATRONI GRIFFI, Rel., cit., p. 8. Nella Relazione al T.u.b. si legge che la disposizione in esame risponde a esigenze di semplificazione del dettato normativo, evitando le numerose ripetizioni presenti nella normativa previgente: si pensi alla legge n. 281/1985 (artt. 9 e 10 concernenti “la identificazione dei soci delle s.p.a. esercenti il credito”) e alla legge n. 287/1990. - 36 - nozione generale di cui all’art. 2359 c.c., ne specifica il contenuto o l’ampiezza, come avviene per il caso del comparto creditizio132. Ciò implica che, nell’analisi della disciplina delle partecipazioni indirette al capitale delle banche, occorra tenere conto della nozione di controllo delineata dalla legislazione di settore (nel caso di specie l’art. 23 T.u.b.), non essendo sufficiente fare riferimento alla corrispondente normativa di diritto comune133. Non sembra potersi dubitare, poi, che il soggetto che si pone quale “controllante” della partecipazione indiretta possa essere tanto una persona fisica quanto una persona giuridica. Si ricorda che negli artt. 19 e 20 T.u.b., per indicare i soggetti tenuti agli obblighi ivi previsti, è utilizzata una espressione volutamente generica – “chiunque” – idonea a ricomprendere una vasta tipologia soggettiva. In particolare, per quanto riguarda le società fiduciarie, l’inclusione di tale categoria di società tra le fattispecie prese in considerazione dalla norma appare agevolmente intuibile. Le fiduciarie, infatti, sono soggetti istituzionalmente chiamati alla intestazione per conto altrui di quote o azioni di società. e il c.d. pactum fiduciae, con il conseguente obbligo per la fiduciaria di attenersi alle istruzioni del fiduciante, importa che il vero dominus della vicenda sia il fiduciante stesso, al quale vanno sostanzialmente imputati gli effetti dell’attività svolta dalla fiduciaria con riferimento alla partecipazione detenuta. Infine, la gamma delle partecipazioni indirette è completata dall’aggiunta dei fenomeni di interposizione personale (che si aggiunge a quella fiduciaria), da individuare in termini ampi al fine di evitare manovre elusive del dettato normativo134. La fattispecie in esame, dunque, si deve ritenere comprensiva di ogni ipotesi in cui si verifichi una scissione tra il soggetto formalmente titolare della partecipazione e chi, all’opposto, ne ha la titolarità sostanziale, con la conseguente potestà di gestione, a conferma della tendenza a privilegiare la realtà sostanziale dei fenomeni partecipativi in luogo dell’aspetto formale. 8. La nozione di controllo ex art. 23 del T.u.b. A completamento della disciplina in materia di partecipazioni al capitale delle banche, non può trascurarsi l’esame concernente l’individuazione del concetto di controllo valido in tale ambito (Titolo II, Capo III). La nozione fornita dell’art. 23, comma 1, T.u.b, applicabile anche a soggetti diversi dalle società, non presenta caratteri peculiari sensibilmente diversi da quelli elaborati da dottrina e giurisprudenza per la corrispondente figura contemplata dal codice civile, le cui articolazioni sono integralmente richiamate con il rinvio sia al primo che al secondo comma dell’art. 2359 c.c. Inoltre, in seguito alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 37 del 2004, il controllo si desume anche “in presenza di contratti o di clausole statutarie che abbiano per oggetto il potere di esercitare l’attività di direzione e coordinamento”135. 132 Tant’è che si parla di controllo come di figura “a geometria variabile”; per più ampi dettagli cfr. A. FERRARI, La nozione di controllo nel diritto delle società, in Impresa, 1993, p. 1889 ss. 133 Cfr. F. CHIAPPETTA, Commento sub art. 22, in G. ALPA e F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, Padova, 1998, II, p. 138. La norma del T.u.b. risulta modellata sulla previgente disposizione dettata in tema di gruppo bancario dall’art. 26 del d.lgs. n. 354/1990, che conteneva una serie articolata di presunzioni di controllo. 134 Cfr. P. FERRO LUZZI, Art. 9, commi 1° e 2°, l. 281/1985: prime considerazioni esegetiche, in Banca, borsa e tit. cred., 1986, I, p. 430. Il concetto di interposizione deve comprendere non solo la interposizione “reale”, ma anche i casi di interposizione “fittizia” e “fiduciaria”. 135 Cfr. art. 40 del d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310. Si ricorda, a tal proposito, che la versione dell’art. 19, comma 1, T.u.b. antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 37/2004 disponeva che il superamento di una data soglia percentuale (5% del capitale della banca tenuto conto anche delle azioni o quote già possedute) ovvero - 37 - Tratto qualificante della fattispecie risulta essere l’esistenza di una situazione di “influenza dominante”, in cui viene a trovarsi il controllante nei confronti della/e partecipata/e per il fatto di poterne indirizzare in qualche modo l’operare. In relazione alle singole situazioni considerate dalla legge come sintomatiche “della posizione di influenza dominante (detenzione di partecipazioni, vincoli contrattuali e simili), si pone il problema relativo alle modalità o agli strumenti con cui si esercita tale influenza (ad es. voto, adesione a sindacati, finanziamenti), al fine, anche e soprattutto, di imputare al controllante le conseguenze della sua ingerenza”136. A tal proposito, il Testo unico specifica le seguenti quattro ipotesi che identificano presunzioni semplici della ricorrenza del controllo nella forma di influenza dominante137: a) l’esistenza di “un soggetto che, in base ad accordi con altri soci, ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza degli amministratori o dei membri del consiglio di sorveglianza ovvero dispone da solo della maggioranza dei voti ai fini delle deliberazioni relative alle materie di cui agli articoli 2364 e 2364-bis del codice civile” (art. 23, comma 2, n. 1, T.u.b.)138; l’acquisizione di una partecipazione che comportasse il controllo di una banca fosse necessaria la previa autorizzazione della Banca d’Italia. Il riferimento al controllo della banca aveva infatti lo scopo di individuare il presupposto al verificarsi del quale era subordinata l’applicazione della disciplina sull’assunzione delle partecipazioni rilevanti. 136 Cfr. A. SERRA, Commento sub art. 23, in Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, cit., p. 142. Secondo G.F. CAPRIGLIONE, L’ordinamento bancario verso la neutralità, Padova, 1994, p. 304, “il legislatore recepiva le presunzioni relative di influenza dominante già previste dall’art. 26 del d.lgs. n. 356/1990 per i gruppi creditizi: possesso di una partecipazione idonea a consentire la nomina o la revoca della maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione; sussistenza di rapporti, anche tra soci, di carattere finanziario ed organizzativo idonei a conseguire uno dei quattro effetti specificati per legge (trasmissione degli utili o delle perdite; coordinamento della gestione per il perseguimento di scopi comuni anche ad altre imprese; attribuzione ai soci di poteri maggiori di quelli consentiti dalla partecipazione posseduta; attribuzione a soggetti esterni di poteri nella scelta degli amministratori e dei dirigenti); assoggettamento a direzione comune (art. 23, comma 2, nn. 2, 3, 4)”. Riguardo, invece, all’ulteriore presunzione di influenza dominante prevista dal testo originario dell’art. 27, comma 2, della l. n. 287/1990, al fine di prevenire situazioni di controllo tramite accordi di voto, si riteneva che un sindacato di voto attribuisse il controllo della società quando nello stesso confluivano determinate percentuali di capitale (10% o 25%, a seconda che la società fosse o meno quotata in borsa) e nel contempo si qualificavano come controllanti tutti i soci partecipanti ad un sindacato di controllo così identificato. Come osserva, in merito, G.F. CAMPOBASSO; Ibidem, “L’introduzione di questa anomala figura di controllo congiunto da sindacato finiva con l’avere vistose ripercussioni, in chiave restrittiva, sul rapporto banca-industria. Di fatto, si abbassava al 10% la quota massima detenibile complessivamente da una coalizione di soci non finanziari in una società bancaria quotata, salvo la prova che altri possedesse una quota maggiore. Inoltre e soprattutto, sia pure con alcune mitigazioni introdotte dallo stesso legislatore, la presenza di un sindacato di controllo poteva rendere non autorizzabili anche partecipazioni minime di tali soci, per la presunzione della qualità di controllanti in testa a tutti i soci coalizzati. In pratica, per il gioco congiunto delle due presunzioni, in una società bancaria quotata poteva verificarsi che una partecipazione di poco superiore al 2% rischiasse di diventare “non detenibile” da parte di un socio non finanziario”. In tal senso v. pure P.G. MARCHETTI, Osservazioni sull’attuazione della Seconda direttiva Cee in materia bancaria, in Riv. soc., 1993, p. 269 ss.; ID, Banche, intermediari finanziari e partecipazioni, in AA.VV., Diritto della banca e del mercato finanziario, Bologna, 2000, p. 160. 137 Va da sé, pertanto, che “la presenza di tali presunzioni, in quanto tali, è considerata un indice presuntivo della sussistenza del controllo, potendo gli interessati sempre fornirne prova contraria”, così espressamente A. SERRA, op. ult. cit., p. 189 s. Per una valutazione dei principali elementi di distinzione riscontrabili tra la nozione di controllo del codice civile (art. 2359) e quella proposta dal Testo unico bancario, come delineata dall’art. 23 vigente, cfr. C. BRESCIA MORRA, I controlli sull’impresa bancaria, in L’impresa bancaria, cit., p. 211 ss. 138 Questa prima ipotesi è stata aggiornata in virtù dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 37 del 6 febbraio 2004, per consentire l’adeguamento delle disposizioni del Testo unico bancario alle novità introdotte dalla riforma del diritto societario. Accanto alla nozione civilistica è stato inserito un ulteriore periodo dal comma 1 dell’art. 40 del d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310, che prevede il controllo anche in presenza di contratti o clausole statutarie che abbiano per oggetto o per effetto il potere di esercitare l’attività di direzione e controllo. Come sostiene C. BRESCIA MORRA, I controlli sull’impresa bancaria, in L’impresa bancaria, cit., p. 213 s., “questo richiamo consente di ampliare l’ambito di applicazione dell’autorizzazione preventiva dell’art. 19, fino ad ora, di fatto, limitata all’acquisto di - 38 - b) il possesso di partecipazioni idonee a consentire la nomina o la revoca della maggioranza degli amministratori o dei membri del consiglio di sorveglianza (art. 23, comma 2, n. 2, T.u.b.); c) la sussistenza di rapporti, anche tra soci, di carattere finanziario e organizzativo idonei a conseguire determinati effetti (art. 23, comma 2, n. 3, T.u.b.); d) l’assoggettamento a direzione comune, in base alla composizione degli organi amministrativi o per altri concordanti elementi (art. 23, comma 2, n. 4, T.u.b.). 9. La disciplina delle partecipazioni di imprese non finanziarie (rapporto banca-industria). La disciplina delle partecipazioni nelle banche detenute da imprese non bancarie e non finanziarie costituisce un aspetto tanto delicato quanto controverso della regolamentazione degli assetti proprietari delle banche. Il Testo Unico ribadisce (al pari di quanto prevedeva il d.lgs. n. 481/1992) il divieto per tali soggetti di acquisire una partecipazione (diretta o indiretta) superiore al 15% del capitale con diritto di voto o comunque tale da comportare il controllo della banca (art. 19, comma 6, T.u.b.). Già alla fine degli anni ’70 la separazione banca/industria – i cui principi per le note ragioni hanno storicamente informato la legge bancaria del 1936 – era apparsa come un vincolo troppo stretto all’operatività del sistema bancario139. Spesso questo si era trovato ingessato da forti esposizioni nei confronti delle attività imprenditoriali per finanziamenti con scarsa possibilità di pronto rientro e, per altro verso, dalla contestuale impossibilità di incidere sulle determinazioni dei debitori140. Il primo intervento normativo fu, pertanto, di tipo amministrativo, sostanziandosi in una delibera del CICR del 1987 che, in pratica, dando per scontata – erroneamente – l’esistenza nel nostro ordinamento giuridico del principio di separatezza tra i due settori, impartiva alla Banca d’Italia la direttiva di evitare l’acquisizione da parte di gruppi industriali di posizioni dominanti nel capitale bancario141. partecipazioni al capitale della banca (l’acquisto del controllo mediante contratti che comportano una dipendenza economica è un evento raro), a una situazione nuova: la stipula del contratto di dominio o l’inserimento nello statuto della banca della clausola con cui una banca si sottopone al controllo da parte di altro soggetto”. Si ricorda, poi, che in virtù di quanto indicato dall’art. 19, comma 8-bis, T.u.b., “…le autorizzazioni previste dal presente articolo e il divieto previsto dal comma 6 si applicano anche all’acquisizione, in via diretta o indiretta, del controllo derivante da un contratto con la banca o da una clausola del suo statuto”. Rispetto al sistema previgente al T.u.b., viene meno, però, la fattispecie di controllo da sindacato che si presumeva al raggiungimento delle rigide soglie del 25% o del 10%; inoltre, non è più requisito sufficiente la partecipazione ad un sindacato di controllo affinché un soggetto possa essere considerato ipso iure controllante di una società bancaria. 139 Cfr. M. RISPOLI FARINA, Il controllo sull’attività creditizia. Dalla tutela del risparmio al dirigismo economico, in M. PORZIO (a cura di), La legge bancaria, Bologna, 1981, p. 126. La legge del 1936, non impedendo formalmente alle banche di assumere interessenze nelle imprese, stabiliva nell’acquisizione di partecipazioni “la preventiva autorizzazione” dell’organo di vigilanza. Si arrivò, negli anni, alla conclusione che esistesse nel nostro ordinamento un principio di separatezza tra banca e industria, senza individuarlo in una concreta norma primaria. Come suggerisce A. ARRIGONI, Un confronto tra la nuova e la vecchia normativa sul rapporto banca-impresa, in Banche e banchieri, 1998, 1, p. 24, le prove di quanto poc’anzi affermato sono almeno due “(lontane nel tempo e diverse nel riferimento normativo): 1) la delibera del CICR del 20 marzo 1987; 2) la Relazione al Testo unico in commento all’art. 19”. In assenza di un principio generale, non era la Legge del ’36 a evitare o a disciplinare il rapporto bancaimpresa, piuttosto le autorità creditizie attraverso la regolamentazione amministrativa. In altre parole, l’obiettivo della separatezza veniva perseguito tramite una forte pubblicizzazione del sistema bancario. 140 Cfr. M. PESARESI, Aspetti economici e normativi dell’attività degli enti creditizi rilevanti per la riallocazione della proprietà, in Temi di discussione della Banca d’Italia, Roma, 1993, p. 20. 141 In tal senso v. G. FORESTIERI e M. ONADO, Governo societario e imprese bancarie, in Banca, impr. soc., 1988, 1, p. 31. - 39 - Ben presto, però, la soluzione amministrativa si rivelò inadeguata a far fronte ai problemi riguardanti i rischi successivi alla costituzione, quali le scalate alle banche, nonché l’eventuale presenza di patti parasociali142. Del resto, proprio con l’adozione della seconda direttiva in materia bancaria, e prima ancora con la riapertura dell’accesso all’attività bancaria, si era ripresentato il problema se il rispetto del principio di separatezza potesse annoverarsi tra le condizioni di applicazione generale, che l’art. 1 del d.p.r. n. 350/1985 (attuativo della prima direttiva bancaria 77/780/CE, art. 11, par. 1) imponeva di osservare in sede di costituzione di nuovi enti creditizi143, e, in tal caso, se per assicurare la cogenza del principio di separazione fosse necessaria una specifica disposizione di legge oppure fosse sufficiente un atto amministrativo generale144. Secondo i fautori della separatezza, le scelte operate in sede europea avrebbero consentito di risolvere il problema radicando l’esigenza di tenere distinti i due settori sulla base di fondamenti normativi meno precari di quelli proposti dalla previgente regolamentazione amministrativa145. Le linee di intervento così delineate furono riprese e portate a compimento a livello legislativo, dopo un lungo e travagliato iter parlamentare, con la disciplina inserita nel Titolo V della legge 10 ottobre 1990, n. 287, che, peraltro, consentiva di risolvere i dubbi di legittimità sollevati dall’intervento concepito, sino ad allora, in via prettamente amministrativa146. Con l’introduzione di un corpo di norme (artt. 27-30), sostanzialmente estraneo alla legge antitrust, venne “ribadita ed anzi resa più rigida la scelta politica della separazione fra banche e industria (per quanto attiene la partecipazione di questa al capitale delle banche)”, attribuendo alla Banca d’Italia il potere di autorizzare le suddette partecipazioni tenendo conto dei limiti stabiliti dalla legge147. Venne, inoltre, riformulata la disciplina del conflitto di interessi (art. 30). In particolare, la legge 10 ottobre 1990, n. 287 stabilì che enti diversi da quelli creditizi o finanziari non potessero acquistare azioni oltre il 15% del capitale delle banche. Quanto all’altro pericolo, quello della partecipazione delle banche al capitale delle industrie, e quindi la possibilità di avere banche miste, la stessa legge precisò che tale partecipazione era subordinata ad autorizzazione dell’Autorità creditizia. La disciplina venne ripresa, seppur con modifiche di un certo rilievo, dal d.lgs. n. 481/1992, successivamente trasfuso nel Testo unico bancario. In particolare, nell’ordinamento Cfr. G. CASTALDI, Il Testo Unico bancario, tra innovazione e continuità, Torino, 1995, p. 31 ss. In senso affermativo v. ancora F. BELLI, Note a margine della nuova normativa sul rapporto banca-industria, cit., p. 486. 144 Cfr. F. CAPRIGLIONE, Costituzione di banche e rapporto banca-industria, in Banca, borsa, tit. cred., 1988, I, p. 722. 145 Cfr. S. PADOVANI, La disciplina delle partecipazioni delle banche nelle imprese nella seconda direttiva di coordinamento in materia bancaria alla luce dell’esperienza tedesca, in F. BELLI (a cura di), La disciplina amministrativa del credito e della finanza nel passaggio dalla legislazione del 1936-1938 al testo unico del 1993, Siena, 1995, p. 122 ss. Vale la pena segnalare che l’ordinamento comunitario impone agli Stati membri di vietare alle banche la detenzione di partecipazioni industriali oltre le soglie indicate. In particolare, l’art. 120 della direttiva n. 2006/48/CE afferma al paragrafo 1 che “agli enti creditizi è fatto divieto di detenere una partecipazione qualificata il cui importo superi il 15% dei fondi propri in un’impresa che non sia né un ente creditizio né un ente finanziario”, mentre al paragrafo successivo precisa che “l’importo totale delle partecipazioni qualificate in imprese diverse dagli enti creditizi e dagli enti finanziari (…) non può essere superiore al 60% dei fondi propri dell’ente creditizio”. Si ricorda che gli artt. 120 e 121 sostituiscono il testo dell’art. 51 della dir. n. 2000/12/CE; a sua volta l’art. 51 sostituiva il testo dell’art. 12 della direttiva n. 89/646/CEE. 146 Per tutti cfr. V. SANTORO, I rapporti di partecipazione tra banca e industria, in A. BROZZETTI e V. SANTORO (a cura di), Le direttive comunitarie in materia bancaria e l’ordinamento bancario, Milano, 1990, p. 154 ss. Come noto, la legge n. 287/1990 sulla tutela della concorrenza e del mercato, vide la luce dopo un lungo e travagliato iter parlamentare, in parte dovuto proprio alla questione dei rapporti tra banca e industria. Al riguardo v. pure T. DI BIASE e A. MAGLIOCCO, op. cit., p. 121 ss. 147 In tal senso v. G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 289; G. CASTALDI, Il Testo Unico bancario, tra innovazione e continuità, Torino, 1995, p. 32 ss. 142 143 - 40 - attuale, i soggetti non finanziari: (i) non possono partecipare al capitale delle banche per una percentuale superiore al 15% del capitale delle banche ai sensi dell’art. 19, comma 6; (ii) inoltre, non possono comunque essere titolari di una partecipazione di controllo, allorché essa si attesti ad una percentuale inferiore al 15% del capitale (il che, come è facilmente intuibile, può realisticamente verificarsi, sotto il profilo del controllo di fatto, in società con azionariato diffuso e assai frazionato ovvero grazie alla posizione di dominio di un sindacato di voto che, a sua volta, raggruppi un numero di azioni sufficienti ad esercitare un’influenza dominante sull’assemblea); (iii) infine, in forza del comma 7 dell’art. 19, non possono partecipare ad accordi parasociali che, pur non attribuendo loro il controllo, determinano una rilevante concentrazione di potere per la nomina o la revoca della maggioranza degli amministratori o dei membri del consiglio di sorveglianza che, naturalmente, assuma carattere di stabilità148. Tale ultimo, peculiare divieto si pone come norma di chiusura rispetto a fattispecie che potrebbero non ricadere nella nozione di controllo, offrendo all’organo di vigilanza una grossa leva di dosaggio sulla presenza industriale negli assetti proprietari delle banche149. Invero, la scelta di consentire al capitale industriale di detenere solo partecipazioni di minoranza nelle banche, non trova alcuna corrispondenza normativa nella direttiva comunitaria, che non prevede discriminazioni basate sulla natura dell’attività imprenditoriale dei partecipanti150; essa si limita a richiedere l’intervento inibitorio delle autorità nazionali solo quando le qualità dei soci non siano tali da garantire la sana e prudente gestione dell’ente creditizio151. In proposito v. G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit., p. 305. Cfr. M. CASADEI, La separatezza tra banca e industria: evoluzione della disciplina, in Bancaria, 1998, III, p. 60 ss. Sotto un altro profilo si osserva come l’aumentato peso degli azionisti non finanziari alimenti incroci proprietari fra singole banche e singole imprese industriali, moltiplichi le presenze di una ristretta oligarchia nei consigli di amministrazione e accentui le operazioni bancarie verso “parti correlate”. Per il sistema bancario italiano l’effetto è il diffondersi di situazioni con potenziale conflitto di interesse e il consolidarsi di condizionamenti distorsivi nelle scelte di governance e di mercato. 150 Cfr. M. PERASSI, Il rapporto banca-impresa nel Testo Unico. L’intervento dell’organo di vigilanza, in Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, n. 38, Roma, 1995, p. 22 ss. Delle imprese non finanziarie (rectius industriali) non si ha alcuna definizione (o rinvio ad altre fonti comunitarie). La relativa nozione viene individuata in via residuale dall’art. 12 della dir. n. 89/646/CEE, §. 1, che, nel dettare la disciplina delle partecipazioni detenibili dalle banche nelle imprese finanziarie, fa riferimento ad imprese diverse da quelle bancarie, finanziarie e strumentali. In merito alla distinzione appena delineata va evidenziato come l’art. 11 della direttiva, che attiene alle partecipazioni al capitale delle banche, non la richiami, rimettendo, in sostanza, alle autorità nazionali la definizione del grado di significatività delle partecipazioni industriali; viene così privilegiato quello che potrebbe definirsi un profilo “quantitativo” nell’articolare la disciplina delle partecipazioni nelle banche nel senso che il superamento delle soglie percentuali attiva i controlli prudenziali previsti dalle norme. Secondo G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit., p. 304, “i dubbi di violazione degli artt. 3 e 41 Cost., per disparità di trattamento tra capitale pubblico e privato, inizialmente affiorati, erano sostanzialmente caduti con la soppressione nel 1992 della clausola della legge Amato [art. 2, comma 1, lett. d)] volta a garantire la permanenza del controllo pubblico sulle società risultanti dalla ristrutturazione degli enti pubblici creditizi”. 151 Cfr. M. PELLEGRINI, Rapporto banca-industria e orientamento comunitario, in Diritto e economia, 1990, n. 2-3, p. 184 ss. Sul punto v. la disciplina di cui agli artt. 19 e 20 della direttiva n. 2006/48/CE, che hanno sostituito l’art. 16 della dir. n. 2000/12/CE, che a sua volta riproduceva l’art. 11 della dir. n. 89/646/CEE. Come accennato, la direttiva si limita a fissare delle soglie partecipative del capitale sociale dell’ente creditizio al superamento delle quali il socio della banca (indipendentemente dalla natura industriale o meno dell’attività svolta) ha un dovere di preventiva segnalazione a favore delle autorità di vigilanza. Le partecipazioni fra banche e imprese non finanziarie sono quelle più severamente regolamentate e su di esse, in linea generale, il processo di liberalizzazione ha inciso in minor misura. Il legislatore nazionale, pur avvicinando la disciplina del rapporto – in ambo le direzioni – tra banca e industria all’orientamento comunitario, segue un approccio economico di tipo tradizionale, che insiste sull’opportunità di mantenere separato il momento dell’industria dal momento della finanza, quale presupposto per il raggiungimento di entrambi gli obiettivi, della stabilità, ecomica e finanziaria, del sistema e dell’efficienza, statica e dinamica, nell’allocazione delle risorse. 148 149 - 41 - Ciononostante – come si osserverà anche in altra parte del presente lavoro – l’opzione italiana, per quanto più rigorosa, non può ritenersi in contrasto con la disciplina comunitaria, dato che il nono considerando della seconda Direttiva consente espressamente agli Stati membri di emanare disposizioni più severe di quelle fissate dagli artt. 5 e 11152. Al di là dei dubbi di legittimità comunitaria o costituzionale, la dottrina ammonisce come la soluzione accolta dal legislatore italiano solleva, tuttavia, “un problema di opportunità, dato che la concorrenza tra gli ordinamenti nazionali153, innescata dal principio del mutuo riconoscimento, finisce inevitabilmente con lo stimolare la fuga dal sistema normativo più rigoroso154 e l’insediamento di nuove iniziative bancarie in Paesi che frappongono minori ostacoli alle partecipazioni di capitale industriale”155. 152 Così G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit., p. 300. Del resto, la nuova disciplina dell’assunzione di partecipazioni da parte di soggetti che non siano a loro volta enti creditizi o finanziari, secondo la prima Relazione che accompagnava lo schema del d.lgs. 481/1992, lasciava “impregiudicato il principio di separatezza tra banca e industria introdotto dal nostro ordinamento con la legge 287/1990”. In proposito v. pure A. ANTONUCCI, (a cura di), Dall’attuazione della II direttiva CEE in materia bancaria al Testo unico, Bari, 1993, p. 187 ss. Le numerose modifiche apportate al testo originario dell’art. 27, comma 6, della legge antitrust, hanno contribuito non poco ad attenuare l’effettiva portata del divieto Invero, l’intero Titolo V della legge 287/1990 deve ritenersi orientato non solo a prevenire una commistione tra imprese commerciali e industriali da un lato e imprese bancarie dall’altro, ovvero ad evitare il controllo delle prime sulle seconde, ma anche a vigilare sulle partecipazioni (ritenute) rilevanti, sulla via che conduce (o che può condurre) al controllo della banca. Uno sbocco, quest’ultimo, oggettivamente denso di rischi, specie in vista dello scopo ultimo (ad ambedue le precedenti finalità sotteso), come ritiene A. PATRONI GRIFFI, Commento sub art. 19, cit., p. 302, di “assicurare l’indipendenza dell’ente creditizio e la tutela degli interessi dei depositanti”. Sulla stessa lunghezza d’onda si ponevano i criteri introdotti dal d.m. Tesoro del 5 giugno 1991, poi recepiti a livello legislativo, in base ai quali si precisava che il divieto: a) riguardava solo i soggetti che erano qualificabili come imprenditori; b) era limitato a chi esercitava, anche attraverso società controllate, attività di impresa in settori non bancari e non finanziari “in misura rilevante”, secondo i parametri indicati dalla normativa secondaria (oltre il 15% del totale delle attività), che, tra l’altro, aveva ribadito l’assimilazione dell’attività assicurativa a quella finanziaria. Una significativa riduzione della portata del divieto si era registrata soprattutto con la radicale revisione della nozione di società controllata rilevante ai fini della partecipazione al capitale delle banche, operata dal d.lgs. n. 481/1992 e sostanzialmente recepita dall’art. 23 T.u.b. 153 E ciò perché tale divieto si applica attualmente ai soggetti che svolgono in misura rilevante attività di impresa in settori non bancari né finanziari. L’originario art. 27, comma 6, legge 287/1990, per contro includeva nel divieto tutti i soggetti “diversi dagli enti creditizi e dagli enti o società finanziari”. In merito cfr. C.L. APPIO, Il procedimento di autorizzazione alla partecipazione al capitale delle banche fra legge e normazione secondaria, in Giur. comm., 1995, I, p. 797, secondo il quale, nel delineare la cerchia di coloro nei confronti dei quali tale divieto è comminato, si è passati da un’impostazione di tipo soggettivo ad una di tipo oggettivo; e A. GUACCERO, op. cit., p. 273, che pone in risalto come il nuovo impianto normativo non si riferisca più a normative soggettive individuate in via residuale rispetto alle imprese bancarie e finanziarie, ma alla realtà dell’attività d’impresa esercitata. 154 Rispetto alle previsioni che figuravano nel testo originario dell’art. 27, comma 6, legge 287/1990, scompare ogni riferimento ai soggetti controllanti (che pertanto, oggi potrebbero svolgere – anche in misura rilevante – attività d’impresa in settori non bancari né finanziari), nonché il riferimento alle altre società o enti di natura finanziaria da questi controllati. In proposito v. CICR, Delibera del 19 aprile 1993, punto 4, e BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza per le banche, cit., Tit. II, cap. I, sez. II, art. 5. In dottrina cfr. A GUACCERO, op. cit., p. 275 ss.; G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni delle banche e dei gruppi bancari, cit., p. 303; D. LUCARINI ORTOLANI, Banche e partecipazioni, Milano, 1994, p. 156; M. MONTEFIORI, L’acquisizione di partecipazioni negli enti creditizi, in Banca, impr. soc., 1993, p. 156 ss. 155 I sistemi di vigilanza e regolazione dei mercati finanziari adottati negli ordinamenti dei Paesi industrializzati, pur essendo caratterizzati da notevoli differenze determinate dalle peculiarità dell'assetto istituzionale e economico di ciascuno Stato, presentano significativi aspetti comuni, sia sotto il profilo teleologico, in quanto intesi essenzialmente al conseguimento di alcuni obiettivi fondamentali, che sotto il profilo organizzativo-istituzionale, in quanto riconducibili a modelli generali. Nondimeno, però, soltanto in un numero ristretto di economie industriali non è posto alcun limite legale alle partecipazioni delle banche nelle imprese non finanziarie. Ma anche in questo caso esse sono spesso scoraggiate da provvedimenti amministrativi e da requisiti prudenziali penalizzanti. All’estremo opposto vi sono quei paesi, di cui la Germania è l’esempio più noto, la cui normativa consente, in linea di principio, la proprietà al cento per cento. La somma della partecipazione in un’impresa di assicurazione e dell’esposizione creditizia verso la stessa non può superare il cinquanta per cento del - 42 - 9.1. (Segue): Rapporti di controllo e accordi di voto. L’elenco degli indici presuntivi dell’esistenza di situazioni di controllo di cui al n. 3, oltre che al n. 4, del secondo comma dell’art. 23, pone maggiori problemi di individuazione concreta, poiché, a differenza delle prime due ipotesi, le posizioni dominanti considerate non traggono origine dall’effettivo possesso azionario, bensì da rapporti “di carattere finanziario e organizzativo idonei a conseguire” determinati effetti, e – come specificato dalla Banca d’Italia – nell’ambito di tali intese non rientrano i patti di sindacato156. A ciò si aggiunga che la parziale soppressione della figura del controllo congiunto da patto di sindacato (in base al quale vengono considerati controllanti tutti gli aderenti ad un patto) ha indubbiamente comportato un “ammorbidimento” del principio di separatezza157. Difatti, anche se titolari di singole quote partecipative irrilevanti, come si è visto, i soci non finanziari possono sfruttare in pieno il limite del 15%, salvo che una percentuale inferiore non sia di per sé sufficiente a dar luogo ad una situazione di controllo azionario di fatto. Invero, la norma in questione non disconosce il pericolo che accordi parasociali possano aggirare l’obbligo di separatezza, ma lo affronta in modo diverso. In termini più chiari, si vuole impedire “che partecipazioni non finanziarie anche modeste divengano, di riflesso, patrimonio della banca. La somma di tali partecipazioni più le azioni di altre banche non può eccedere il suddetto patrimonio. Scelta, inoltre, che non trova riscontro negli ordinamenti degli altri Paesi della Cee, sia prima sia dopo l’attuazione della seconda direttiva bancaria. In particolare, un tetto massimo alle partecipazioni di imprese industriali non si riscontra in Belgio (gli artt. 24 e 25 della l. 93-921 del 22 marzo 1993 consentono alla Commission Bancarie di opporsi, entro tre mesi dalla comunicazione, all’acquisizione di una partecipazione superiore al 5% del capitale con voto, se ritiene che i partecipanti non abbiano le qualità per garantire una gestione sana e prudente); in Francia (l’art. 33 della l. n. 84-46 del 24 gennaio 1984, come modificato dalla l. n. 92-665 del 16 luglio 1992, mantiene ferma la scelta di rimettere la disciplina degli assetti proprietari delle banche alla normativa secondaria, che subordina all’autorizzazione preventiva del Comité des établissements de crédit l’assunzione o la cessione di partecipazioni che comportano, anche congiuntamente, l’acquisto o la perdita del controllo, ovvero del 10, 20 o 33% dei diritti di voto); in Germania (il §. 2b del testo coordinato della Kreditwesengesetz prevede la possibilità del Bundesaufsichtsamt di opporsi, entro tre mesi dalla comunicazione, all’acquisto di una partecipazione superiore al 10% o al suo incremento quando i partecipanti “nicht zuverlassig sind”, ovvero inibire l’esercizio del diritto di voto ove ritenga che gli stessi perseguano interessi contrastanti con la gestione sana e prudente della banca); in Gran Bretagna (la sect. 21 ss. del Banking Act del 1987, non modificata in seguito all’attuazione della seconda direttiva CEE, riconosce alla Banca d’Inghilterra il potere di opporsi, entro tre mesi dalla comunicazione preventiva, all’acquisizione di una partecipazione superiore al 15%, o all’incremento della stessa oltre le soglie del 50% e del 75%); ed in Spagna (l’art. 48 della legge bancaria del 1946, non modificata in sede di attuazione della seconda direttiva CEE, richiede la preventiva autorizzazione della Banca di Spagna per l’acquisizione di una partecipazione superiore al 15%). 156 Al riguardo v. BANCA d’ITALIA, Circolare del 13 gennaio 1992, in G.U. del 6 febbraio 1992. A causa della rete di interdipendenze che lega gruppi di individui e di capitali appartenenti a una data coalizione, ogni individuo si trova a disporre, nei confronti degli altri membri del patto, di un qualche potere contrattuale: il potere associato alla minaccia di non prendere parte al processo decisionale. 157 Cfr. C. BRESCIA MORRA, I controlli sull’impresa bancaria, in L’impresa bancaria, cit., pp. 214 e 220. Per cogliere il segnale di un “ammorbidimento” del c.d. principio di separatezza – è anche di aiuto la parziale soppressione della figura del controllo congiunto da patto di sindacato (e conseguente presunzione di controllo in capo a ciascuno dei partecipanti al patto medesimo); nonché delle soglie quantitative del 25% o del 10% destinate a porre una presunzione di controllo; previsioni ambo regolate dai commi 2 e 6 dell’originario art. 27 della legge 287/1990. Con il T.u.b. può essere ritenuto controllante solo il socio in grado di imporre la sua volontà all’intero patto di sindacato. Per maggiori chiarimenti si rinvia a A. PATRONI GRIFFI, in Diritto antitrust italiano, cit., p. 1223 ss. e 1243 ss.; G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 290; F. BELLI, Direttive Cee e riforma del credito, Milano, 1993, p. 32 s.; P.G. MARCHETTI, Osservazioni sull’attuazione della Seconda direttiva Cee in materia bancaria, cit., p. 270. - 43 - partecipazioni di controllo e quindi non autorizzabili, se apportate ad un sindacato di controllo”158. Resta allora da definire se la concentrazione di potere indichi diritti ulteriori rispetto a quelli normalmente spettanti ai soci in relazione alla quota partecipativa posseduta e in che modo tale situazione possa essere considerata stabile. Inevitabilmente, l’indeterminatezza della fattispecie comporta l’attribuzione di un rilevante potere discrezionale alla Banca d’Italia nel valutare le situazioni concrete. Tuttavia, sembra possibile affermare che il settimo comma dell’art. 19 consideri specifiche ipotesi, che degradano a livelli più bassi, rispetto a quelle regolate dall’art. 23 T.u.b. (in particolare del secondo comma), per il semplice fatto che non si richiede l’esistenza di un diritto di nomina o di revoca, e meno che mai la maggioranza dei voti esercitabili per le materie di cui agli artt. 2364 e 2364-bis c.c. Ci si accontenta, invece, di prevedere una rilevante concentrazione di potere per la nomina o la revoca degli amministratori o dei membri del consiglio di sorveglianza della banca. La norma in questione sembra, di conseguenza, destinata a trovare applicazione principalmente in due ipotesi: a) qualora un solo soggetto disponga della “rilevante concentrazione di potere” in questione, pur essendovi la prova che egli non è in posizione di controllo ex art. 23, comma 2, T.u.b.; b) qualora tale “rilevante concentrazione di potere” sia riferibile non al singolo, ma ad un gruppo di soggetti fra quelli indicati nell’art. 19, comma 6, T.u.b., i quali, soppressa la figura del controllo congiunto, non possono più essere considerati anche individualmente come “controllanti”159. Al tempo stesso, però, resta difficile “sostenere” che, in simili ipotesi, le singole partecipazioni rimangano comunque sottratte all’autorizzazione della Banca d’Italia perché inferiori al 5%. Nel caso contemplato dall’art. 19, il legislatore effettua una valutazione di pericolosità della situazione ex ante. Il limite del 15% al possesso di partecipazioni al capitale delle banche da parte di soci non finanziari costituisce una fattispecie di conflitto di interesse presunto, che non ammette prova contraria. Diversamente, nel caso in cui più soggetti “industriali” controllino una banca attraverso un patto di sindacato, l’ordinamento rimette alla valutazione discrezionale dell’Autorità di vigilanza il giudizio sulla contrarietà di tale assetto (rectius, concentrazione) di potere al criterio della sana e prudente gestione. Sembra possibile affermare, pertanto, che, se da un lato il settimo comma rafforza il principio di separatezza fra banca ed industria, dall’altro lo rende più duttile, anche perché, come sottolineato in dottrina, “si salda col potere della Banca d’Italia d’indagare sull’effettiva portata di tutti gli accordi di voto conclusi (che le devono essere tempestivamente comunicati ex art. 20, comma 2, T.u.b.) e di comminare la meno drastica sanzione della sospensione del P.G. MARCHETTI, Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale, in Riv. soc., 1992, p. 7 ss.; M. LAMANDINI, Appunti in tema di nozione di controllo congiunto, in Giur. comm., 1993, I, p. 229 ss.; M. S. SPOLIDORO, Il concetto di controllo nel codice civile e nella legge antitrust, in Riv. soc., 1995, p. 487 ss.; V. CARRIELLO, Controllo congiunto e accordi parasociali, Milano, 1997, p. 197 ss.; V. DONATIVI, Impresa e gruppo nella legge antitrust, Milano, 1996, p. 170 ss. “Situazione questa – come osserva G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 291 – che si può tipicamente verificare in una banca popolare per il limite dello 0,50% del capitale posto ai possessi azionari di ciascun socio. Sui dubbi di altro tipo che tale soluzione ha innescato, si può ipotizzare un sindacato di voto fra dieci soci industriali di una banca con azionariato diffuso, ciascuno dei quali possiede il 2% del capitale; sindacato che è verosimilmente in grado di nominare la maggioranza degli amministratori per effetto della polverizzazione dell’azionariato”. Del resto, comune a questo e ad altri modelli è il fatto che la detenzione di diritti di proprietà, mentre assicura un diritto patrimoniale – diritto a un dato flusso di rendimenti – non è più sufficiente, al limite necessaria, per esercitare i diritti residuali di controllo; e che per esercitare il controllo, oltre ai diritti di proprietà, al limite al posto di essi, si richiede il ricorso a strumenti extra-proprietari (relazioni di fiducia, norme statutarie per limitare o potenziare i diritti di voto, accordi di sindacato). 159 Per maggiori chiarimenti cfr. A. PATRONI GRIFFI, Commento sub art. 19, cit., p. 306 s. ove l’Autore, tra l’altro, ritiene che “relativamente a quest’ultima situazione, sembra si registri in effetti una ulteriore limitata << sopravvivenza >> (non di una forma di influenza dominante << congiunta >>, ma) di una sorta di influenza rilevante collettiva”. In senso conforme v. pure G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 305 s. 158 - 44 - voto quando l’accordo, pur senza sfociare in una concentrazione rilevante e durevole di potere comporti “una concertazione del voto”, tale da pregiudicare la gestione sana e prudente della banca”160. 10. L’acquisto di partecipazioni di controllo nelle banche da parte di imprese di assicurazione. Problematiche di natura prudenziale. A completare il discorso, sul versante del confine fra banche e assicurazioni le principali questioni riguardano i rapporti di partecipazione reciproca. Tali rapporti erano rimasti sottratti ad ogni disciplina legislativa fino alla fine degli anni Ottanta ed erano rimessi, perciò, all’autonomia privata e al potere di controllo delle autorità amministrative. Il sistema assicurativo rappresenta (al pari di quanto previsto per le banche) un c.d. “ordinamento sezionale”, e cioè un ordinamento regolato da norme di carattere speciale che si aggiungono e talvolta sovrappongono a quelle di diritto comune che regolano l’attività delle imprese commerciali In materia di acquisto di partecipazioni di controllo in banche da parte di imprese di assicurazione o viceversa, si è autorevolmente osservato come ci si trovi in presenza di due corpi normativi che disciplinano in parallelo, ma in modo autonomo, una medesima fattispecie. Ciascuno dei due ordinamenti infatti prevede una apposita procedura di autorizzazione da parte delle rispettive autorità di vigilanza: la sovrapposizione di controlli qui produce un meccanismo di doppia autorizzazione di certo problematico e difficile da giustificare sul piano giuridico. Due spinose questioni meritano di essere brevemente considerate: la prima verte sulla legittimità generale, dal punto di vista del diritto civile, dell’acquisto da parte di un’assicurazione di una banca; la seconda sulla necessità o meno di modificare l’oggetto sociale a seguito di tale acquisizione. Le leggi 10 ottobre 1990, n. 287 e 9 gennaio 1991, n. 20, che disciplinavano l’assunzione di partecipazioni qualificate o di controllo da parte di imprese di assicurazione in altre società, così come l’assunzione di quote azionarie in imprese assicurative, hanno permesso di fissare i limiti dei rapporti di partecipazione fra banche ed assicurazioni161. La nuova disciplina delle “partecipazioni delle imprese di assicurazione e di riassicurazione” (in vigore dal 1° gennaio 160 La nuova disciplina configura una sorta di inversione dell’onere della prova, nel senso che dovrà essere la Banca d’Italia ad accertare – onde poter negare o revocare l’autorizzazione – che per effetto di accordi “in qualsiasi forma conclusi” abbia a verificarsi durevolmente una rilevante concentrazione di potere in capo ai soggetti indicati nel sesto comma (con esclusione, pertanto, dei soggetti che ivi non sono indicati, in primis le rispettive società controllanti), per la nomina o la revoca della maggioranza degli amministratori dell’ente creditizio; e sempre che – beninteso – ciò possa pregiudicare la “sana e prudente gestione” della banca stessa. Così A. PATRONI GRIFFI, in Diritto antitrust italiano, cit., p. 1392; A. GUACCERO, op. cit., p. 270; B. MANZONE, op. cit., p. 360. Il riferimento agli accordi “in qualsiasi forma conclusi” (dunque, anche verbali: il che consente di ammettere la prova per presunzioni) non prevede espressamente che essi debbano avere ad oggetto l’esercizio del diritto di voto (a differenza di quanto richiede il successivo art. 20, comma 2, T.u.b.). 161 Nel sistema previgente, la legge n. 20/1991 prendeva in considerazione tutte le possibili situazioni derivanti dall’acquisizione di partecipazioni e a ciascuna di esse faceva corrispondere degli obblighi specifici per i partecipanti e determinati poteri delle Autorità di vigilanza del settore. Il provvedimento in esame aveva in seguito subito due modifiche: la prima era intervenuta con il d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 90 riguardante l’ “attuazione della direttiva n. 88/627/CEE, relativa alle informazioni da pubblicare al momento dell’acquisto e della cessione di una partecipazione importante in una società quotata in borsa”, mentre la seconda si doveva all’art. 114 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 174. Entrambe le modifiche “si erano rese necessarie dato il cambiamento del concetto di partecipazione preso a riferimento”; in tal senso v. C.G. CORVESE, L’attività assicurativa e le “altre attività finanziarie”, in M. RISPOLI FARINA (a cura di), Studi sugli intermediari finanziari non bancari, Napoli, 1997, p. 311 s. - 45 - 2006) è attualmente contenuta nel Capo III del Titolo VII del d.lgs. n. 209/2005162 (nuovo “Codice delle assicurazioni private”). In via speculare, come si è visto, l’art. 19 T.u.b. e le relative Istruzioni di vigilanza consentono alle compagnie di acquisire il controllo di enti creditizi, dal momento che le stesse, nonostante qualche iniziale difficoltà interpretativa, possono essere ricompresse a pieno titolo fra gli “enti finanziari”163. In passato, nel caso di acquisizione di partecipazioni da parte di imprese assicurative in società di altri settori, l’Isvap aveva il potere di intervenire soltanto ex post sulla validità dell’operazione, eventualmente ordinando la dismissione o la riduzione dell’interessenza nella società acquistata, laddove ritenesse messa a repentaglio la stabilità della compagnia164. Nell’ipotesi inversa, cioè di acquisto di partecipazioni “nelle imprese di assicurazione”, l’Isvap era chiamata ad esprimersi preventivamente sui profili di stabilità dell’operazione165. Nell’attuale sistema, l’art. 79 d.lgs. n. 209/2005 stabilisce al primo comma la possibilità per le imprese di assicurazione di assumere con il patrimonio libero “partecipazioni, anche di controllo, in altre società ancorché esercitino attività diverse da quelle consentite alle stesse imprese”, prevedendo al comma successivo che “quando la partecipazione in una società controllata, ha carattere di strumentalità o di connessione con l’attività assicurativa o riassicurativa, l’Isvap può chiedere che ciò risulti da un programma di attività”. Infine, il terzo comma specifica che “se la partecipazione comporta il controllo di una società che esercita attività diverse da quelle consentite alle imprese di assicurazione e di riassicurazione, l’operazione è soggetta all'autorizzazione preventiva dell’Isvap”. In materia di “partecipazioni nelle imprese di assicurazione e di riassicurazione” trovano inoltre applicazione le disposizioni di cui all’art. 68, commi 5, 7 e 8, In particolare, il quinto 162 163. Si tratta del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, pubblicato nella G.U. del 13 ottobre 2005, n. 239 - S.O. n. La delibera CICR del luglio 2005 ripropone il discutibile concetto di “assimilazione” dell’attività assicurativa alle attività finanziarie (art. 8, comma 6), già presente nelle Istruzioni di vigilanza assunte a seguito della delibera CICR del 1987. nelle Istruzioni di vigilanza le partecipazioni in prese assicurative sono soggette alla medesima disciplina prevista per le partecipazioni bancarie e finanziarie; in particolare è richiesta la preventiva autorizzazione della Banca d’Italia quando l’ammontare della partecipazione superi il 10, 20 per cento del capitale della società partecipata o ne comporti il controllo o qualora essa ecceda il 10 per cento del patrimonio di vigilanza della banca partecipante. In ogni caso le partecipazioni in imprese di assicurazione possono essere acquisite fino a un limite pari al 40 per cento del patrimonio di vigilanza, tale limite è elevato al 60 per cento per le banche appartenenti a un gruppo. Le assicurazioni, tuttavia, non rientrano nel perimetro del gruppo creditizio e non possono avere la qualifica di capogruppo, in quanto tale facoltà è riservata a banche e società finanziarie pure. Per un’analisi più completa della vecchia disciplina v. C.G. CORVESE, La disciplina giuridica dei rapporti partecipativi tra banche ed imprese assicurative, Siena, 1994, p. 75 ss. Va ricordato che alla fine degli anni Novanta la Banca d’Italia aveva bloccato la conquista di BNL e Banco di Napoli ad opera dell’Ina. Si sosteneva che un più stretto rapporto azionario tra assicurazioni e banche non potesse metter capo a un centro di potere unico. A distanza di soli due anni il Governatore aveva autorizzato, se non addirittura incoraggiato, la scalata delle banche alle Assicurazioni Generali. Fazio spiegava la svolta con la constatazione di un fatto noto: “Le assicurazioni hanno orizzonti di investimento di lungo periodo”. 164 In merito v. art. 6 della legge 20/1991. Considerati i tempi dell’iter dell’autorità bancaria (30 giorni), che deve autorizzare preventivamente le scalate, e il tempo di cui necessita l’Authority del settore assicurativo per dare la sua valutazione (parere) sui profili di stabilità dell’integrazione prospettata, l’attivazione di un protocollo di cooperazione tra regulators consentiva di correggere nei fatti una sorta di asimmetria normativa. Per ciò che riguardava i poteri dell’Isvap, si ricorda che essi avevano ad oggetto tutti i tipi di partecipazione. Più precisamente, per le interessenze che comportavano il controllo, nel caso in cui l’attività della partecipata non fosse connessa a quella assicurativa, l’Istituto di vigilanza ordinava che la partecipazione venisse ridotta entro i limiti consentiti (art. 6, comma 1); analoga soluzione poteva essere adottata nel caso in cui, pur esistendo la connessione, vi fosse “grave pericolo per la stabilità della compagnia di assicurazione” (art. 6, comma 3). In entrambi i casi qualora l’ordine non venisse eseguito, l’Isvap poteva proporre la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa (art. 6, comma 2). 165 In proposito cfr. artt. 9-14 della legge 20/1991. 163 - 46 - comma dell’art. 68 prevede che l'Isvap “rilascia l'autorizzazione quando ricorrono condizioni atte a garantire una gestione sana e prudente dell'impresa di assicurazione o di riassicurazione, avuto riguardo ai possibili effetti dell'operazione sulla stabilità, sull'efficienza e sulla protezione degli assicurati dall'impresa interessata”. L'Isvap è chiamata a pronunciarsi entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione. Qualora l’Autorità non provveda entro tale termine “l'autorizzazione si intende concessa” per l’operare del meccanismo del silenzio-assenso. In virtù del settimo comma del citato art. 68, l'Isvap ha il potere di sospendere o revocare l'autorizzazione, tenuto conto delle partecipazioni acquisite o rafforzate per effetto di accordi di voto di cui all'art. 70 o di altri eventi successivi all'autorizzazione, che si ritengano tali da pregiudicare la sana e prudente gestione dell'impresa di assicurazione166. Volendo anticipare un argomento che costituirà oggetto di trattazione nei prossimi capitoli, sia consentito, infine, fare un accenno alle ulteriori implicazioni che scaturiscono in tema di offerta pubblica di acquisto, quando ad essere coinvolte nel processo di aggregazione sono sia una banca che un’impresa di assicurazione quotate. Inevitabilmente, l’iter procedurale che ne scaturisce è caratterizzato da un elevato grado di complessità, dato che ciascuno dei due ordinamenti – come si è descritto – prevede il rilascio di un’apposita autorizzazione da parte delle rispettive autorità di vigilanza. Per essere più espliciti, nel caso di Opa, oltre allle autorizzazioni sia dell’Isvap che della Banca d’Italia, occorre ottenere il via libera da parte della Consob nonché, quando richiesto dalle dimensioni dell’operazione, anche il giudizio favorevole dell’Autorità garante del mercato. Un meccanismo, dunque, di doppia (se non triplice ovvero quadrupla) autorizzazione, che pone di per sé taluni problemi di ordine giuridico opportunamente evidenziati dalla dottrina ma che, tuttavia, si risolve in uno di quelli che sono stati definiti “pinnacoli procedurali” e che sono obiettivamente difficili da giustificare. 10.1. (Segue): I nuovi assetti dei rapporti tra banche ed imprese di assicurazione. Se dunque l’acquisto di partecipazioni di controllo nelle banche da parte di imprese di assicurazione costituisce un primo, interessante esempio di sovrapposizione di controlli da parte di più autorità di vigilanza, per quanto riguarda, invece, il profilo civilistico (dunque le norme speciali di settore) viene ribadito il principio della prevalenza e dell’esclusività dell’attività assicurativa per una compagnia di assicurazione, in particolare per l’attività nel ramo danni e vita. Con l’acquisto di una banca, infatti, si corre il rischio che l’attività creditizia possa diventare prevalente. In tal caso, la dottrina pone un problema di legittimità dell’operazione in merito alla necessità o meno di un cambiamento di statuto da parte di un’impresa di assicurazione, il cui oggetto sociale preveda soltanto l’attività assicurativa e non quella bancaria. Come è noto, l’ordinamento sancisce un’equiparazione tra attività assicurativa e attività finanziaria, e dunque bancaria. Per cui – è la conclusione che viene lasciata al lettore – un’acquisizione nel settore bancario, in linea di principio, non dovrebbe stravolgere l’oggetto sociale della compagnia167. La stessa conclusione, invero, non era affatto preclusa dalla disciplina previgente dettata dall’art. 4 della legge 20/1991, a mente della quale le assicurazioni potevano assumere il controllo soltanto di società esercitanti “attività connesse” con quella assicurativa essendo, 166 I successivi artt. 80 e 81 del d.lgs. n. 209/2005 si occupano di disciplinare gli obblighi di comunicazione e i poteri dell’Isvap, chiamata a svolgere anche compiti di supervisione prudenziale per garantire la sana e prudente gestione delle assicurazioni, attraverso la verifica costante dei margini di solvibilità e delle riserve tecniche in rapporto all’insieme delle attività svolte dalle compagnie. 167 Cfr. A. DESIATA, Assicurazioni, il ritorno al ministero è superato, in Il Sole 24 Ore, 1° febbraio 2002, p. 7. - 47 - peraltro, rimesso all’Isvap il giudizio sull’esistenza o meno del rapporto di connessione168. Il divieto si spiega perché il legislatore aveva voluto che il patrimonio delle imprese di assicurazione non rischiasse di essere pregiudicato da attività di partecipate estranee all’attività tipica dell’assicuratore. Se infatti, come si è detto poc’anzi, l’attività bancaria viene ormai considerata dalle normative di settore, tanto della Banca d’Italia quanto dell’Isvap, come “connessa” a quella assicurativa, ciò non esclude che le “dimensioni” in gioco possano essere tali da mutare il profilo qualitativo di una simile connessione, rendendo di fatto prevalente l’attività bancaria. La chiave del problema starebbe in una virtuale impossibilità da parte delle compagnie assicurative di “trasformarsi” in un’entità differente. Lo vieta il codice civile, che all’art. 2361 prescrive che l’assunzione di partecipazioni in altre imprese non è consentita “se per la misura e per l’oggetto della partecipazione si modifica l’oggetto sociale” determinato dall’atto costitutivo. Per non incorrere nei rigori della norma la compagnia dovrebbe cambiare le proprie regole interne e, pertanto, consentire ai soci dissenzienti, come prescrive la legge, di esercitare il diritto di recesso (cioè di richiedere ai sensi dell’art. 2437, lett. a), cod. civ. il rimborso dei propri titoli), rendendo però in tal guisa l’acquisizione più costosa. Inoltre, la dottrina ritiene che, a causa della sua natura di raccoglitrice e di investitrice di risparmio pubblico, la compagnia dovrebbe dare conto del mutamento dell’oggetto sociale, oltre che ai soci, anche ai clienti. Del resto, essendo nelle imprese assicurative l’oggetto sociale fissato dalla legge, appare difficile sostenere che lo possa radicalmente cambiare l’assemblea. Se pertanto l’aspetto dimensionale influisce in misura tale da modificare l’attività originale, allora l’operazione andrebbe vietata, nel senso che l’Isvap dovrebbe escludere il cambio di statuto in quanto inapplicabile169. 168 Nel vecchio regime normativo, infatti, la disciplina particolare riguardante le partecipazioni di controllo era contenuta nell’art. 4 della legge 20/1991, che prevedeva che le compagnie di assicurazione potessero assumere partecipazioni solo in altre imprese di assicurazione ovvero in imprese, come quelle bancarie, svolgenti attività connesse all’attività assicurativa, per le affinità di carattere organizzativo e finanziario e per le sinergie che possono determinarsi, soprattutto nella creazione, gestione e distribuzione di prodotti finanziari. Tale principio è stato riaffermato nella circolare dell’Isvap n. 150 del 21 febbraio 1991 – successivamente ripreso e ampliato dalla circolare n. 250 del 20 giugno 1995 che estende il divieto anche alle partecipazioni assunte indirettamente. In proposito v. anche la recente delibera del CICR del 19 luglio 2005, n. 1057; aspetto questo, peraltro, oggi disciplinato, ai fini della vigilanza sulla solidità finanziaria dei gruppi di “imprese regolamentate” (come quelle assicurative e bancarie), dal d.lgs. 30 maggio 2005, n. 142 sui “conglomerati finanziari”. 169 È dunque la dimensione dell’impresa bancaria che conta, non la sua natura. C’è un precedente: nel febbraio 1986 l’Ina acquistò una partecipazione di controllo dalla Banca di Marino. Nell’occasione l’Isvap concesse il suo benestare e motivò tale decisione sostenendo che “questo istituto non aveva a ragione richiamato l’art. 2361 c.c., giacché è evidente che la partecipazione in questione, per la sua misura in relazione al patrimonio, non modificasse sostanzialmente l’oggetto sociale”. Mentre non vi è alcun dubbio, affermava ancora l’Isvap, che il controllo della banca “può dar luogo ad operazioni strumentali dell’attività assicurativa”. Sulla vicenda e sul parere dell’Autorità di vigilanza delle assicurazione v. G. GUARINO, Banca di Marino, art. 4, n. 2, l. 22 ottobre 1986, n. 742. Legittimità dell’acquisto, in Giur. comm., 1987, I, p. 827 ss. e i pareri di N. IRTI, P. SCHLESINGER, B. LIBONATI, P.G. JAEGER, Ibidem, p. 833 ss. Sul punto v. anche G. CASTELLANO, Indicazioni per una regolazione dei rapporti tra banche, compagnie di assicurazione ed imprese industriali in Italia, in Giur. comm., 1987, I, p. 809 ss.; G. FANELLI, Sulla legittimità dell’acquisto da parte di imprese di assicurazione della partecipazione di imprese con diverso oggetto sociale, in Giur. comm., 1987, I, p. 817 ss. Nello specifico, dunque, il problema non riguarda l’acquisto da parte di un’assicurazione di un istituto di credito; anche perché dal 1991 l’attività bancaria è espressamente compresa nelle “attività connesse” all’oggetto sociale; in tal senso v. C.G. CORVESE, L’attività assicurativa e le “altre attività finanziarie”, cit., p. 311 s.; G. FANELLI, op. cit., p. 821. Il problema è la dimensione, sia dal punto di vista della capitalizzazione sia da quello della raccolta del risparmio: se difatti il rapporto tra queste due grandezze dovesse risultare nettamente a sfavore della compagnia assicurativa si configurerebbe nella sostanza – come sostenuto in più occasioni dall’Isvap – un cambiamento dell’oggetto sociale, difficilmente sanabile. - 48 - Sulla base di un orientamento di segno opposto, vi è chi afferma che, in presenza di una “stretta” connessione170, la preponderanza dell’attività della banca da acquisire rispetto a quella svolta dalla compagnia assicurativa non possa essere utilizzata come argomento per dichiarare un presunto snaturamento dell’oggetto sociale Questa conclusione, pur meritando di essere nuovamente vagliata alla stregua dei più recenti orientamenti teorici che ripropongono la centralità del tema dell’ “inviolabilità” dell’oggetto sociale delle imprese assicurative, sembra comunque attagliarsi perfettamente al problema che qui è esaminato. Non si tralascia di rilevare, inoltre, che l’attività bancaria e quella assicurativa costituiscono ormai momenti quasi inscindibili di quei conglomerati finanziari la cui esistenza è esplicitamente disciplinata nell’ordinamento comunitario recepito recentemente anche in Italia. Difatti, nonostante l’ostacolo legato alle dimensioni, il problema potrebbe trovare adeguata soluzione tramite il ricorso alla normativa sui “conglomerati finanziari”, che consente, a determinate condizioni, di ricalibrare i coefficienti patrimoniali e i parametri di solvibilità su base aggregata171. Si tenga presente che le linee di fondo del tradizionale regime di rapporti fra i due sistemi di controllo prudenziale (quello della Banca d’Italia sul settore creditizio e quello dell’Isvap sul settore assicurativo), sono state fino ad oggi nitide e incardinate su due regole fondamentali: la rigida ripartizione dei rispettivi ambiti nonché l’esclusività, ciascuno nel 170 Come sostiene un’autorevole dottrina, la percorribilità dell’operazione dal punto di vista del diritto societario esula dalle competenze dell’Isvap. Si veda in proposito il parere pro veritate espresso sull’operazione Unipol-BNL da R. COSTI, secondo cui l’assunzione di una partecipazione di controllo in una società bancaria che svolge attività connessa “rientra nell’oggetto tipico della società di assicurazione e quindi non può incorrere nel divieto dell’art. 2361 c.c.”. L’integrazione non avviene infatti “al di fuori dell’oggetto sociale ma nell’ambito dello stesso”. Inoltre, nel caso di specie – è detto nello studio consegnato alle Authoriries coinvolte nella vicenda – la disciplina di settore e lo statuto dell’Unipol ricomprendono nell’ambito dell’oggetto sociale “anche l’assunzione di partecipazioni di controllo in società bancarie la cui attività sia connessa con quella assicurativa”. E una volta stabilita la “omogeneità tra l’oggetto sociale di Unipol e quello della BNL”, ne segue che la “dimensione dell’operazione non rileva”. Nella stessa direzione muovono le argomentazioni addotte da G. ROSSI, Se compra Bnl cambi lo statuto, in Il Corriere della Sera, 12 agosto 2005, p. 5, che ritiene sufficiente, per ovviare all’ostacolo, cambiare o modificare l’oggetto sociale in ottemperanza al divieto posto dall’art. 2361 c.c. Sulla stessa linea v. pure F. BONELLI, Unipol dovrebbe mutare l’oggetto sociale dello statuto, in Plus, suppl. a Il Sole 24 Ore, 3 settembre 2005, p. 9, il quale però ritiene che se non venisse applicato l’art. 2361 c.c., e se non venisse quindi cambiato l’oggetto sociale, non sarebbe da escludere l’intervento del Tribunale civile – a fronte di un’eventuale azione di responsabilità nei confronti dell’organo amministrativo – volto ad imporre una modifica dello statuto sociale. Si ricorda, inoltre, che ai sensi dell’art. 2409 c.c. l’azione di responsabilità può essere avviata soltanto dalla maggioranza degli azionisti, cioè dagli stessi che hanno dato fiducia agli amministratori, oppure da una minoranza che rappresenti il 5 per cento del capitale. Di diverso avviso L. FARENGA, Lo statuto non è un problema, in Il Sole 24 Ore, 17 settembre 2005, p. 30, il quale ritiene che qualora l’acquisto del controllo di una banca da parte di un’impresa di assicurazione, “per la misura e per l’oggetto della partecipazione, determinasse una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale” della compagnia, comunque “non si porrebbe un problema di modifica dell’oggetto sociale e di conseguente recesso, perché l’operazione dovrebbe essere vietata dall’Isvap”; e – prosegue lo studioso – “come si è visto, l’Isvap può vietare l’acquisizione del controllo solo se ciò può determinare un rischio per la stabilità finanziaria dell’impresa di assicurazione, e cioè se sono ipotizzabili criticità o tensioni di carattere finanziario”. Tuttavia, vale le pena sottolineare come uno scoglio del genere, nel recente passato, avrebbe frenato diversi ambiziosi progetti di bancassurance, come ad esempio quello fra la Comit e le Generali, subito abbandonato per il “no” secco pronunciato dal Governatore della Banca d’Italia. 171 Il d.lgs. 30/05/2005, n. 142 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale - S.O. n. 130 del 25/06/2005), in attuazione della delega conferita dalla legge 31 ottobre 2003, n. 306, recepisce la direttiva n. 2002/87/CE relativa alla vigilanza supplementare sui conglomerati finanziari. In data 16 novembre 2005 è stato raggiunto «un primo accordo» tra Banca d'Italia e Isvap per il “coordinamento in materia di conglomerati finanziari, relativo ai settori bancario e assicurativo”. Con l'intesa in questione, che dà attuazione al d.lgs. n. 142/2005, le due Autorità “hanno definito le modalità con le quali individuare i conglomerati finanziari da assoggettare a vigilanza supplementare, le autorità chiamate a svolgere il ruolo di coordinamento dell'attività di vigilanza supplementare sui conglomerati, i criteri e i metodi per le misurazioni di adeguatezza patrimoniale a livello di conglomerato”. Sui fenomeni di concentrazione e conglomerazione si rinvia al più recente lavoro di A. BROZZETTI, I conglomerati finanziari, Siena, 2006, p. 124 ss. - 49 - proprio settore di competenza, di tali sistemi; con la conseguente affermazione della reciproca autonomia172. 11. Il regime sanzionatorio. L’autorizzazione all’acquisizione della partecipazione indebitamente ottenuta per una erronea rappresentazione della realtà non determina l’invalidità della stessa. La mancata concessione, come la successiva sospensione o revoca, dell’autorizzazione comportano infatti la sospensione del diritto di voto e degli altri diritti che consentono di influire sulla società. La sospensione opera anche nel caso in cui non siano stati adempiuti gli obblighi di comunicazione di cui all’art. 20 del T.u.b. (art. 24, comma 1, T.u.b.). In caso di inosservanza del divieto, la legge prevede l’impugnabilità, secondo le prescrizioni del codice civile, delle deliberazioni o del diverso atto “adottati con il voto o contributo determinante delle partecipazioni previste nel comma 1” (art. 24, comma 2, T.u.b.)173. Le partecipazioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto sono, tuttavia, computate ai fini della regolare costituzione dell’assemblea. Merita infine di essere segnalato che nel caso di impugnativa da parte della Banca d’Italia l’attuale normativa (a differenza del testo originario dell’art. 29, comma 1, della legge antitrust) prevede l’allungamento a centottanta giorni del relativo termine. Si tenga presente che, in caso di acquisizione di una partecipazione, a dispetto dell’opposizione dell’autorità competente, il legislatore comunitario esorta gli Stati membri a prevedere, indipendentemente da altre sanzioni eventualmente adottate, la sospensione dei diritti di voto, nonché la nullità o la possibilità di annullamento dei voti già espressi. Anche se la direttiva non è esplicita su questo punto, non vi è dubbio che in fattispecie simili, specie in caso di conflitto tra autorità e azionisti, sia sempre possibile la revoca dell’autorizzazione, in base ai principi generali (art. 8 della prima direttiva CEE)174. Va parimenti ricordato che l’art. 53, comma 3, lett. d), T.u.b., consente espressamente alla Banca d’Italia di “adottare per le materie indicate nel comma 1, ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici nei confronti di singole banche, riguardanti anche la restrizione delle attività o della struttura territoriale, nonché il divieto di effettuare determinate operazioni e di distribuire utili o altri elementi del patrimonio”175. In dottrina vi è anche chi dubita che la mancata autorizzazione comporti la sospensione del voto solo e per tutte le azioni eccedenti le percentuali corrispondenti alle diverse soglie Al riguardo v. M. CLARICH, Il problema del coordinamento tra autorità di vigilanza, in F. CESARINI e R. VARALDO (a cura di), Banche e assicurazioni. Rapporti e prospettive di sviluppo in Italia, 1992, p. 41 ss. Anche la normativa prudenziale di derivazione comunitaria, vista nell’ottica dei conglomerati finanziari, risulta carente. Eppure non sono mancate direttive, pur introdotte in tempi recenti, atte a rafforzare la vigilanza su imprese “finanziarie” appartenenti ad un gruppo e che hanno senza dubbio dotato le Autorità degli Stati membri di strumenti di controllo più efficaci: si pensi alla direttiva n. 98/78/CE in materia di vigilanza supplementare sulle imprese di assicurazione appartenenti ad un gruppo, alla direttiva n. 2000/12/CE relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi nonché alla, più datata, direttiva n. 93/6/CEE sull’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento; ma il dato comune a tutte le direttive menzionate è che anch’esse continuano ad avere una portata circoscritta ai soli gruppi di istituti finanziari “omogenei”, mentre i gruppi eterogenei, costituiti da imprese appartenenti a settori diversi, ne vengono coperti solo in parte. 173 Cfr. G. SANTONI, Commento all’art. 24 T.u.b., in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Padova, 1994, p. 344 ss. Ipotesi, tra l’altro, di recente ribadite dall’art. 12 della nuova delibera CICR n. 1057/2005. 174 In tal senso v. G. GODANO, op. cit., p. 86. 175 La lettera d) del primo comma dell’art. 53 T.u.b. è stata di recente modificata per effetto dell’attuazione della dir. n. 2006/48/CE. Al riguardo v. art. 1 (Modifiche al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia per l’attuazone della direttiva 2006/48/CE), comma 3, d.l. 27 dicembre 2006, n. 297. 172 - 50 - autorizzative. Ad esempio, l’omessa richiesta di autorizzazione al supermento della soglia iniziale del 5% non impedisce l’esercizio del voto fino alla concorrenza del 5% del capitale della banca partecipata176. Il terzo e ultimo comma dell’art. 24 prevede che le partecipazioni di cui all’art. 19, nonché quelle possedute in violazione dell’art. 19, comma 6, “devono essere alienate entro i termini stabiliti dalla Banca d’Italia”, qualora non siano state ottenute o siano state revocate le autorizzazioni richieste dalla legge. In particolare, per le partecipazioni possedute in violazione del citato comma 6, si stabilisce che “in caso di inosservanza dell’obbligo di alienazione, il tribunale, su richiesta della Banca d’Italia, ordina la vendita delle partecipazioni stesse”177. Sanzioni penali, più attenuate di quelle previste in passato, sono infine stabilite per l’omissione e la falsità di contenuto della domanda di autorizzazione, nonché per la violazione del conseguente divieto di voto (art. 139, comma 1, T.u.b.). 12. Le partecipazioni detenibili dalle banche: cenni. La disciplina fin qui esposta va poi coordinata con quella dettata dallo stesso Testo Unico per l’acquisto di partecipazioni da parte delle banche che, proprio perché ispirata da diversa finalità, è destinata a trovare applicazione concorrente178. È il caso di chiarire che, con riferimento al tema trattato nel presente lavoro, vertendosi in tema di acquisto di partecipazioni bancarie ad opera di banche, si applica sia la disciplina riconducibile all’art. 19 T.u.b. sia quella costituente sviluppo del successivo art. 53 (rubricato “vigilanza regolamentare”), che conferisce all’Organo di vigilanza il potere di emanare “disposizioni di carattere generale” aventi a oggetto, tra l’altro, “c) le partecipazioni detenibili”. Rompendo l’originaria simmetria con la disciplina delle partecipazioni nelle banche, il legislatore del Testo unico ha ribadito la scelta compiuta nel 1936 di rimettere integralmente al più flessibile strumento della normativa secondaria di attuazione la regolamentazione delle partecipazioni detenibili da parte delle banche. Il quadro legislativo di riferimento è, ciononostante, rimasto sostanzialmente immutato. La relativa disciplina legislativa è infatti oggi tutta racchiusa negli artt. 53 e 67 del T.u.b., che riproducono, senza sostanziali modificazioni, rispettivamente l’art. 22, comma 1, lett. c) del d.lgs. 14 dicembre 1992, n. 481, con cui è stata data attuazione alla seconda direttiva Cee in materia bancaria, gli artt. 30, comma 1 e 2, del d.lgs. 20 novembre 1990, n. 356, in tema di ristrutturazione e disciplina degli enti creditizi, e 4 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 528, con cui è 176 Cfr. G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit., p. 288, che ritiene “l’acquisto non autorizzato del controllo di una società che abbia partecipazioni qualificate in una banca (art. 19, comma 3, T.u.b.) comporti la sospensione del voto per la partecipazione di controllo acquisita nella società socia della banca e non già per la preesistente partecipazione diretta nella banca”, come invece sostenuto da A. ANTONUCCI, op. ult. cit., p. 185 ss. “In tal senso, – prosegue l’Autore – fra l’altro, depone la lettera dell’art. 24, comma 1, T.u.b., nonché, su un piano più generale, la riferibilità al soggetto che è al vertice della catena delle partecipazione possedute per il tramite di società controllate (art. 22 T.u.b.)”. 177 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per le banche, cit., Tit. II, cap. 1, sez. V, §. 1. 178 Per la disciplina delle partecipazioni delle banche nel sistema previgente all’emanazione del Testo Unico bancario v., tra gli altri, A. ANTONUCCI, Le partecipazioni degli enti creditizi, in Banca, impr. soc., 1992, p. 233 ss.; R. COSTI, Le partecipazioni delle aziende di credito, in Giur. comm., 1982, I, p. 123 ss.; E. LOFFREDO, Le partecipazioni societarie delle banche: profili sistematici, in Riv. dir. civ., 1992, II, p. 63 ss. Per un’analisi dei primi commenti della dottrina sulla disciplina attuale si rinvia a P. ANELLO e S. RIZZINI BISINELLI, Partecipazioni delle banche e dei gruppi bancari in imprese industriali, in Società, 1994, p. 19 ss.; R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 1994, p. 530 ss.; D. LUCARINI ORTOLANI, Banche e partecipazioni, cit., p. 157 s. - 51 - stata data attuazione alla direttiva CEE 92/30, relativa alla vigilanza consolidata su base creditizia179. Queste disposizioni, nel delineare i poteri di vigilanza regolamentare della Banca d’Italia nei confronti della singola banca e dei gruppi bancari, riconoscono alla stessa il potere di emanare, in conformità delle deliberazioni del CICR, disposizioni di carattere generale aventi ad oggetto, tra l’altro, le partecipazioni detenibili da parte delle singole banche [art. 53, comma 1, lett. c), T.u.b.], nonché quelle detenibili da parte del gruppo bancario complessivamente considerato [art. 67, comma 1, lett. c), T.u.b.]. Nel contempo si stabilisce che tali disposizioni possano prevedere che determinate operazioni siano sottoposte ad autorizzazione della Banca d’Italia (artt. 53, comma 2, e 67, comma 2, T.u.b.)180. Le banche possono dunque assumere partecipazioni anche di controllo in altre banche, in società finanziarie e strumentali ed in imprese di assicurazione181. È necessaria però la preventiva autorizzazione della Banca d’Italia quando l’ammontare della partecipazione oltrepassi determinate soglie di rilevanza, tendenzialmente uniformi per tutte le banche182. Gli investimenti in partecipazioni non finanziarie non possono superare, di regola, il quindici per cento del capitale della società partecipata, per evitare significativi coinvolgimenti delle banche nella gestione delle imprese partecipate (c.d. limite “di separatezza bancaindustria”). Nel contempo l’assunzione di partecipazioni non finanziarie, pur non richiedendo l’autorizzazione preventiva della Banca d’Italia, è anche assoggettata a limiti riferiti al patrimonio di vigilanza, individuale e consolidato, della banca partecipante (cc.dd. limiti “complessivo” e “di concentrazione”) diversamente articolati in relazione alla dimensione ed alla specializzazione operativa della partecipante183. Sono questi, in estrema sintesi, i principi cardine su cui si fonda l’attuale disciplina delle partecipazioni detenibili dalle banche. Disciplina tutta racchiusa nella normativa regolamentare emanata dalle autorità di vigilanza (d.m. Tesoro 22 giugno 1993, n. 24263 ed Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia del 23 giugno 1993 e successive modificazioni, integrate, per le banche di credito cooperativo, dalle Istruzioni di vigilanza del 15 giugno 1994)184, in 179 Per un utile raffronto con la normativa regolamentare previgente all’entrata in vigore del Testo Unico bancario, che consenta di cogliere i profili di continuità e di novità dell’attuale disciplina, v. Delibere CICR, 28 gennaio 1981, 27 ottobre 1983; 19 settembre 1986; 6 febbraio 1987; e d.m. Tesoro 16 ottobre 1991. 180 Cfr. C. BRESCIA MORRA, I controlli sull’impresa bancaria, in L’impresa bancaria, cit., p. 279; D. LUCARINI ORTOLANI, op. ult. cit., p. 157 s. 181 Cfr. V. TROIANO, Partecipazioni qualificate al di fuori del campo finanziario, in Dir. banc. comun., 1999, p. 305 ss. I limiti alle partecipazioni delle banche rispondono in linea generale a quelli fissati, ai fini di tutela della solvibilità dell’intermediario, dalla normativa europa. Sul punto v. art. 51 direttiva n. 2000/12/CE. 182 Per tutti v. G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni delle banche e dei gruppi bancari, cit., p. 281 ss. 183 In dottrina cfr. P. ANELLO e S. RIZZINI BISINELLI, Partecipazione delle banche e dei gruppi bancari in imprese industriali, in Le società, 1994, p. 20 ss. Le Istruzioni di vigilanza per le banche, Tit. IV, cap. 9, sez. I, prevedono che la Banca d’Italia “mira a verificare la capacità dell’impresa bancaria di investire in nuovi comparti e di valutare l’impatto dell’operazione sulla situazione tecnica e organizzativa nonché la compatibilità dell’articolazione in gruppo con le esigenze della vigilanza su base consolidata”. La valutazione, pertanto, “si estende al complesso aziendale che risulta dall’operazione anagalmente a quanto avviene in caso di fusioni fra banche”, così C. BRESCIA MORRA, I controlli sull’impresa bancaria, in L’impresa bancaria, cit., p. 279, che prosegue rilevando che, come previsto in materia di assetti proprietari, “con il testo unico bancario, il legislatore italiano ha confermato espressamente il principio della << separatezza >> a monte delle banche (art. 19, comma 6, T.u.b.). Il principio di separatezza è stato, nella stessa logica, affermato dalle attuali Istruzioni di vigilanza anche per le partecipazioni << a valle >>. Nell’attuale contesto normativo, esso si inquadra nei controlli che mirano alla sana e prudente gestione della banca”. 184 L’art. 47 dir. n. 2000/12/CE stabilisce al riguardo che “gli enti creditizi devono mantenere costantemente a un livello pari almeno all’8%, il valore del coefficiente (…)” (comma 1), prevedendo, in aggiunta, che se esso scenda “al di sotto dell’8%”, le autorità competenti provvedano “affinché gli enti creditizi interessati adottino al più presto misure appropriate” per riportarlo al valore minimo stabilito (comma 3). Le Istruzioni di vigilanza, emanate sulla base dell’art. 53, lett. a), T.u.b., attuano tali disposizioni (Tit. IV, Cap. 2) e prevedono, per - 52 - sostituzione di quella previgente emanata a norma degli artt. 33 e 35, comma 2, della legge bancaria del 1936 (art. 6 d.m. Tesoro, cit.). quel che qui interessa, che il gruppo bancario sia “tenuto a rispettare un requisito minimo di patrimonio consolidato pari all’8 per cento del complesso delle attività ponderate” in relazione allo stesso tipo di rischio creditizio (c.d. coefficiente consolidato). - 53 - Capitolo II GLI ASSETTI PROPRIETARI DELLE BANCHE TRA ORDINAMENTO ITALIANO E DISCIPLINA COMUNITARIA. PROFILI GENERALI E ASPETTI COMPARATISTICI SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Disciplina comunitaria e ordinamento nazionale a confronto. Le regole procedurali e i criteri per la valutazione prudenziale. - 3. La questione della “disapplicazione” di norme nazionali contrastanti con la disciplina comunitaria nell’ambito di una procedura di acquisizione di partecipazioni bancarie. - 4. La disciplina dei controlli sugli assetti proprietari nei principali Paesi europei. Un’analisi comparata. - 5. Le nuove norme sulle fusioni bancarie transfrontaliere. - 6. La disciplina delle partecipazioni dei soggetti esteri. 1. Premessa. Il tema delle partecipazioni bancarie è stato affrontato per la prima volta in ambito comunitario dalla direttiva n. 89/646/CEE (seconda direttiva di coordinamento bancario) del 15 dicembre 1989, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio. La direttiva recava una disciplina sia degli assetti proprietari delle banche, che delle partecipazioni da queste detenibili. Tuttavia, comportando una armonizzazione minimale, non presentava affatto connotati di esaustività. Peraltro, come è noto, nel settore bancario l’intervento delle autorità di vigilanza nazionali si esplica, più o meno liberamente, all’interno di quel reticolato di norme di natura prudenziale dettate a livello europeo che creano le condizioni di carattere generale, in linea di principio idonee a garantire la sana e prudente gestione dell’organismo creditizio185. Il criterio-obiettivo della “sana e prudente gestione”, data la sua genericità, ha giustificato e legittimato valutazioni amministrative, più o meno discrezionali, da parte delle singole autorità creditizie186. In Italia, in particolare, il canone della “sana e prudente gestione” ha consentito di connotare l’attività di controllo della Banca d’Italia in termini di valutazione del “processo” che porta il richiedente ad acquisire la partecipazione nella banca187. È dagli inizi degli anni ’80 che sul piano amministrativo l’azione delle Autorità di vigilanza ha registrato molte modifiche sia negli obiettivi che negli strumenti; accanto all’obiettivo di stabilità ha acquistato notevole importanza l’efficienza del sistema creditizio anch’esso perseguito attraverso un graduale aumento del grado di concorrenza del mercato. Vedi in proposito A.M. TARANTOLA RONCHI, G. PARENTE e G. ROSSI, La vigilanza sulle banche e sui gruppi bancari, Bologna, 1996, p. 43 ss.; DE POLIS, La vigilanza prudenziale nel sistema di corporate governance, in Banche e banchieri, 1997, n. 1, p. 22. 186 Cfr. A. PATRONI GRIFFI, La partecipazione al capitale ed il controllo degli Enti Creditizi, in Atti del Convegno sul Testo Unico delle leggi in materia bancaria, Milano, ottobre 1993, datt., p. 16. La natura preventiva dell’intervento autorizzativo è indice di una scelta per taluni versi funzionale alla complessità dei compiti di valutazione attribuiti dall’ordinamento alla Banca d’Italia sulla qualità degli azionisti, così come si ritiene che un’adeguata tempestività di intervento sia richiesta dalla ampia portata dei compiti medesimi. Si è auspicato, in merito, che non venga privilegiato, come accaduto in passato, il silenzio-rifiuto, poiché si finirebbe per vanificare l’intento degli estensori del T.u.b. di conformarsi alle disposizioni comunitarie, in riferimento, per altro, ad operazioni (come acquisizioni di azioni o quote di banche già esistenti) che ben poco tollerano i lunghi iter burocratici; sintomatico al riguardo è l’art. 4, comma 3, T.u.b., che richiama la legge 8 agosto 1990, n. 241, in materia di procedimento amministrativo, e, quindi, anche la regola dettata dall’art. 20, comma 1, T.u.b. 187 Come più volte sottolineato nel corso del presente lavoro, la Banca d’Italia è chiamata ad esaminare tematiche quali la stabilità del sistema bancario nazionale e il rispetto di criteri prudenziali condivisi a livello 185 - 54 - In ambito europeo, le opportunità per eventuali modifiche legislative si sono, quindi, focalizzate sulla rimozione del fattore identificato nell’ampia discrezionalità concessa alle autorità nazionali in materia di autorizzazioni all’acquisto di partecipazioni qualificate in enti creditizi188. Pertanto, le riflessioni che seguono possono, per grandi linee, essere ricondotte a due distinti ambiti. Il primo riguarda l’eccesso di discrezionalità della normativa in materia di partecipazioni di controllo al capitale delle banche, già ravvisato nella disciplina comunitaria, ma peculiare nel recepimento italiano189. Il secondo concerne le nuove norme di valutazione dei progetti di fusione e acquisizione transfrontalieri nel settore bancario, assicurativo e mobiliare. 2. Disciplina comunitaria e ordinamento nazionale a confronto. Le regole procedurali e i criteri per la valutazione prudenziale. Nell’ordinamento italiano, il sistema dei controlli sulla proprietà delle banche è stato modificato in profondità dal diritto comunitario, in occasione del recepimento della seconda internazionale. Ne consegue, tuttavia, che anche le suddette ragioni prudenziali possano essere scandagliate nel merito dalla Commissione europea, per accertare se tale interesse legittimo sia stato invocato correttamente dall’Autorità nazionale. La legittimità di tale potere è stata poi ribadita da una recente pronunzia della Corte di Giustizia europea del giugno 2004 (C-42/01). Vi sono, infatti, norme consolidate fissate dalla Corte di Giustizia in materia di disposizioni legislative di disciplina delle procedure di autorizzazione. Elemento cardine di queste norme è il principio secondo cui gli investitori devono poter disporre di chiare indicazioni sulle specifiche condizioni oggettive alle quali l’autorizzazione preventiva in merito all’acquisizione di partecipazioni in banche italiane verrà accordata o rifiutata. Il quadro normativo che disciplina attualmente in Italia le decisioni delle autorità di vigilanza non risulta essere conforme a dette norme, in quanto la sua struttura può consentire l’esercizio di una vigilanza prudenziale non trasparente nelle procedure e potenzialmente fonte di non certezza del diritto. Anzi, il quadro normativo vigente non prevede con esattezza tutti i criteri cui occorre far riferimento nella valutazione dell’ammissibilità sotto il profilo prudenziale, in particolare per quanto riguarda la nozione di “controllo”. Una tale carenza – si osserva – potrebbe condurre, ad esempio, a situazioni nelle quali le autorità di vigilanza potrebbero rifiutare l’autorizzazione per ragioni poco trasparenti, quali “la stabilità del governo societario”. 188 Cfr. le riflessioni A. CATRICALÀ, In Europa è forte il rischio di protezionismo, in Il Sole 24 Ore, 1° dicembre 2005, p. 33. In particolare, proprio la discrezionalità della normativa italiana è stata giudicata come una delle principali lacune del sistema, causa di usi distorti, o comunque difensivi da parte delle nostre autorità creditizie. Sul complesso rapporto tra la disciplina del controllo delle concentrazioni e le politiche di promozione dei campioni nazionali si veda F. GHEZZI, La disciplina delle concentrazioni e la promozione dei campioni nazionali tra diritto comunitario e normative nazionali antitrust, in Riv. soc., 2003, II, p. 1098 ss. Di fatto, gli obblighi che ciascuno Stato membro ha nei confronti della Comunità e degli altri Paesi membri non sono condizionati al principio della reciprocità. In tal modo, la reciprocità viene “travestita” da principio di prudenzialità. L’introduzione di griglie consente, infatti, alle autorità nazionali di non aprire ipso facto il sistema bancario. Come sottolinea G. TESAURO (Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato), Indagine conoscitiva dinanzi alle Commissioni riunite VI Camera e X Senato, Camera dei Deputati, seduta del 29 gennaio 2004, p. 17, si può “discutere se sia un bene o un male, essendovi assimetrie e non reciprocità che fanno << male >>, ma sta di fatto che il sistema comunitario non dovrebbe conoscere questo principio come vincolo al comportamento degli Stati membri”. 189 Ove dunque l’esigenza sopra rappresentata non possa essere assicurata a mezzo di « paletti » fissati direttamente dalla legge (vedasi l’articolo 19 in tema di partecipazioni nelle banche), si sostiene che il legislatore abbia voluto comunque individuare i confini dell’azione di vigilanza, circoscrivendola alla predisposizione di un complesso di regole e comportamenti di natura prudenziale entro i quali le banche esercitano liberamente la propria attività di impresa. Altri, al contrario, ritengono che detto criterio provochi, grazie alla sua elasticità, una dilatazione a dismisura del potere discrezionale delle autorità competenti, facendo ricomparire uno spazio di manovra che, in chiave comunitaria, avrebbe dovuto venir meno; dal punto di vista strettamente giuridico si afferma, infatti, che il principio della sana e prudente gestione può difficilmente essere, di per se’ stesso, limitativo della discrezionalità, in quanto privo di quelle regole oggettive che avrebbero costretto le autorità di vigilanza nei più stretti confini della discrezionalità tecnica. - 55 - direttiva di coordinamento in materia bancaria, con il d.lgs. n. 481 del 1992 (art. 16 che ha modificato l’art. 27, legge n. 287 del 1990)190, e per effetto della trasformazione delle banche italiane da istituti di diritto pubblico in società per azioni191. Come si è visto, la disciplina comunitaria impone alle autorità di vigilanza un controllo sugli azionisti che detengono una partecipazione qualificata “per tenere conto della necessità di garantire una gestione sana e prudente dell’ente creditizio” (artt. 5 e 11 della dir. n. 89/646/CEE, rispettivamente in tema di autorizzazione all’accesso all’attività bancaria e di controlli degli assetti proprietari delle banche già operanti)192. L’art. 11 introduce per i partecipanti al capitale specifici obblighi di informazione preventiva alle autorità di vigilanza; il medesimo articolo determina i presupposti quantitativi che fanno scattare tali obblighi (assumono rilevanza le operazioni di acquisto di partecipazioni superiori al 10, 20, 33, 50 per cento del capitale o, comunque, comportanti il controllo). In questa prospettiva, dunque, la verifica di particolari requisiti soggettivi non già si impone in capo a tutti i partecipanti al capitale della banca, ma solo a coloro che a ragione del possesso di una “partecipazione rilevante” siano in grado di esercitare una “influenza” che “possa essere di ostacolo ad una gestione prudente e sana dell’ente”193. L’autorità competente dispone di un termine massimo di tre mesi per opporsi alla realizzazione del progetto. In sede di recepimento, il legislatore delegato si è avvalso della possibilità riconosciuta ai singoli Stati membri (IX° considerando della dir. n. 89/646/CEE) di adottare su tale materia una disciplina più severa. Aspetto rilevante di questa normativa è, infatti, l’affermazione nel Testo unico bancario (art. 19, commi 1 e 2, T.u.b.)194 del carattere preventivo dell’intervento autorizzativo della Banca d’Italia. Si tratta, con tutta evidenza, di un procedimento più gravoso di quello della informazione preventiva prevista dalla direttiva, in quanto esso deve comunque concludersi con un provvedimento espresso195. Ai fini del recepimento di tale direttiva, la legge delega per l’attuazione della seconda direttiva (l. 19 febbraio 1992, n. 142) affidava al legislatore il compito di coordinare la nuova disciplina con quella risultante dal Tit. V della l. n. 287 del 1990. 191 In senso conforme v. M. TONVERONACHI, Regolamentazione, vigilanza e assetti proprietari nel controllo societario delle banche, in Banca, impr. soc., 1, 1998, p. 63 ss.; E. GALANTI, La nuova disciplina degli assetti proprietari degli enti creditizi, in Banca, borsa e tit. cred., 1993, I, p. 514 ss. 192 Cfr. art. 4, §. 10, dir. n. 2006/48/CE che riproduce letteralmente la stessa nozione contenuta nelle direttive precedenti in materia. L’art. 1, n. 10, dir. n. 89/646/CE definiva, infatti, qualificata “una partecipazione in un’impresa, diretta o indiretta, non inferiore al 10% del capitale sociale o dei diritti di voto oppure che comporta la possibilità di esercitare un’influenza notevole sulla gestione dell’impresa in cui è detenuta una partecipazione”. Veniva, tuttavia, operata dallo stesso art. 1 una specificazione che lascia intravedere una potenziale differenziazione di contenuto della nozione in discorso, rispetto alla valenza che la stessa assume nell’ambito dell’art. 12. La direttiva indicava, infatti, una definizione di diritti di voto da prendere in considerazione proprio ai fini dell’applicazione della nozione di “partecipazione qualificata” in riferimento alla disciplina dei requisiti soggettivi dei partecipanti al capitale delle banche ai fini del rilascio dell’autorizzazione (art. 5) e alla disciplina degli assetti proprietari degli enti creditizi (art. 11). L’art. 11 faceva riferimento al concetto di “partecipazione qualificata” anche per quanto riguardava le partecipazioni assumibili da parte della banca. 193 V. art. 11, §. 5, dir. n. 89/646/CE, in seguito art. 16, §. 5, dir. n. 2000/12/CE, e ora art. 21, §. 2, comma 1, dir. n. 2006/48/CE. 194 L’art. 19 T.u.b. non distingue tra partecipazioni acquisite in fase di costituzione della banca ovvero successivamente. È da ritenere, pertanto, che la disciplina valga in ogni caso, salvo il coordinamento con la disposizione che impone la sussistenza dei requisiti di onorabilità (previsti dall’art. 25 del T.u.b.) per i partecipanti al capitale delle banche, nonché delle condizioni per il rilascio dell’autorizzazione ex art. 19, ai fini dell’autorizzazione all’attività bancaria [art. 14, comma 1, lett. d) T.u.b.]. 195 Si tratta di una scelta funzionale sia alla complessità dei compiti di valutazione attribuiti alla Banca d’Italia sulla qualità degli azionisti, che alla tempestività di intervento richiesta dalla ampia portata dei compiti medesimi. Basti pensare che, nel vigore della legge n. 287/1990, parte della dottrina riteneva che l’autorizzazione rilasciata successivamente all’esecuzione dell’operazione si configurasse quale provvedimento di natura “accessoria”, ciò anche in relazione all’ampiezza degli spazi discrezionali attribuiti alla Banca d’Italia. Questa tesi 190 - 56 - Il T.u.b. separa poi in due parti distinte il criterio dettato dalla direttiva. La valutazione della qualità delle persone è agevolmente ancorabile a requisiti, quali quelli di onorabilità e di correttezza negli affari, che, pur dotati di elasticità, sono riconoscibili secondo indicatori oggettivi (specie di comportamenti o eventi ostativi): per tali ragioni la sana e prudente gestione si configura, in sede europea, come criterio di valutazione del socio, non dell’impresa. Il legislatore italiano tratta invece come requisiti distinti e separati la qualità delle persone e il criterio di sana e prudente gestione, con l’effetto di ampliare di molto la discrezionalità dell’autorità di vigilanza, sin quasi a renderne indeterminati i confini196. Se infatti la sana e prudente gestione diviene un criterio generale per il rilascio dell’autorizzazione e non più il fine in base a cui valutare la qualità delle persone, la vigilanza si esercita su di un elemento non previsto dalle norme comunitarie e che, come tale, diventa fortemente discrezionale197. In sede legislativa, sarebbe stato forse saggio attribuire un significato alla nozione di “sana e prudente gestione”, per lo meno al fine di delimitare lo spazio effettivo nell’ambito del non viene condivisa da B. MANZONE, op. cit., p. 344, a detta del quale essa non tiene in debita considerazione il fatto che l’atto amministrativo aveva lo scopo di rimuovere la condizione alla quale era subordinata l’efficacia dell’acquisto della partecipazione e l’esercizio del diritto di voto ad essa collegato, e, quindi, “ben poteva essere successivo all’acquisto, sia in considerazine del presupposto che la distinzione tra provvedimento di autorizzazione e atto di concessione non si fonda sulla latitudine (maggiore o minore) dei poteri discrezionali attribiti dalla legge all’autorità amministrativa che emette il provvedimento, bensì sugli effetti che si producono nella sfera giuridica dei destinatari dell’atto”. 196 Come osserva correttamente A. PATRONI GRIFFI, Commento sub art. 19, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Commentario, cit., p. 301, si assiste “ad un continuo spostamento di registro retorico in riferimento ad una clausola che dilata a dismisura il potere discrezionale delle autorità competenti, se si tiene conto della elasticità di un parametro, dai mille possibili volti. Il tutto, si ribadisce, in aspro contrasto con le idee del legislatore comunitario, che vede codesto criterio soltanto come griglia idonea a selezionare la “qualità degli azionisti o soci dell’ente”. In proposito cfr. artt. 5, §. 2, e 11, §§. 1 e 5, dir. n. 89/646/CEE, laddove il secondo è stato dapprima riportato nell’art. 16, §§. 1 e 5, dir. n. 2000/12/CE, e attualmente refuso nell’art. 19, §. 1, dir. n. 2006/48/CE. 197 In tal senso cfr. C. LAMANDA, Disciplina delle autorizzazioni all’attività bancaria e delle partecipazioni al capitale delle banche, cit., p. 68 s. Non può qui omettersi che istituti, strumenti, regole del controllo prudenziale si basano sulla formula della “sana e prudente gestione”, che rappresenta il parametro cui viene riferita l’azione della vigilanza. Ed è parametro talora controverso. Nel Testo unico, questa formula della salvaguardia della sana e prudente gestione è stata, in realtà, generalizzata. Non solo facendone nell’art. 5 uno dei cinque obiettivi dell’azione di vigilanza della Banca centrale, ma anche ripetendo questa formula in tutta una serie di norme fondamentali con cui si è istituita una molteplicità di autorizzazioni. Autorizzazioni tutte volte a salvaguardare la sana e prudente gestione della banca e, quindi, ancora una volta viatico attraverso cui riconoscere, in merito, largo potere discrezionale alla Banca d’Italia. “Si è detto che, nel T.u.b., i redattori si sono entusiasmati per l’espressione e quindi l’hanno adoperata dappertutto”, ancorché “in via d’esegesi della formula, s’è tentato di individuare possibili cofini all’espansione del criterio, ma senza solidi risultati”, così A. ANTONUCCI, Diritto delle banche, cit., p. 56. In particolare, secondo F. CAPRIGLIONE, L’ordinamento bancario verso la neutralità, Padova, 1994, p. 141, attribuire alla sana e prudente gestione natura di “nuova clausola generale che il legislatore del Testo unico ha posto a presidio delle modalità di svolgimento dell’azione amministrativa” significa adoperare una categoria civilistica (quella delle clausole generali) in un contesto di diritto pubblico in cui non v’è, a ragione, traccia di principi della specie, essendo l’elasticità valutativa naturalmente e fisiologicamente sottesa alla stessa nozione di discrezionalità amministrativa. A dispetto delle apparenze, è per lo meno opinabile ritenere, come sottolinea G. MINERVINI, Il vino vecchio negli otri nuovi, cit., p. 11, che ciò implica un “accrescimento a dismisura della discrezionalità dell’autorità creditizia nello svolgimento della sua attività concreta”. Ciò è infatti irreversibilmente escluso dall’evoluzione del sistema bancario e finanziario e dagli stessi impegni assunti in sede comunitaria. D’altronde, la Banca d’Italia, pur dotata di tali attribuzioni, ne ha fatto uso prevalentemente con riferimento alla qualità degli azionisti e alla affidabilità della situazione finanziaria, che costituiscono paradigmi di riferimento dell’espressione nell’ambito della seconda direttiva bancaria (cfr. artt. 5 e 11 dir. n. 89/646/CE). Per concludere, nel senso indicato da V. DESARIO, Solidarietà ed etica nella finanza: rapporto tra sistema finanziario e Terzo settore, in Banca d’Italia, Documenti, Roma, n. 558/1997, p. 9, la formula “sana e prudente gestione” costituisce il punto di saldatura tra obiettivi di sistema, azione di vigilanza e condotta delle imprese; sintetizza i valori della stabilità, dell’efficienza, dell’integrità e del corretto funzionamento del sistema finanziario - 57 - quale gli intermediari bancari possono liberamente operare le proprie scelte imprenditoriali sulla base di concreti e opportuni calcoli di convenienza198. Del resto, la delibera CICR n. 1057 del 2005, in materia di acquisizione di partecipazioni, sembra più “preoccupata” del T.u.b. di allineare le proprie scelte alla direttiva comunitaria. Ciò si evince laddove, nella determinazione dei criteri e delle condizioni per il rilascio delle autorizzazioni, si accentua l’attenzione sulla qualità dei soggetti, così da rendere la previsione in esame, in qualche misura, più vicina al dettato degli artt. 7 e 16 della direttiva n. 2000/12/CE199. Su questo fronte la riduzione della discrezionalità della Banca d’Italia sulle operazioni di acquisizione e di fusione appare, giocoforza, l’unica strada percorribile al fine di conseguire un allineamento meno difficile e criticabile con le scelte della direttiva200. L’interpretazione offerta dal TAR del Lazio nella sentenza n. 6157 del luglio 2005, secondo cui l’eccesso di discrezionalità rispetto al controllo di mera legalità parrebbe essere voluto dalle direttive – sia consentito osservare – giuridicamente non pare essere fondata201. È chiaro, invece, che quella formula della discrezionalità può consentire di coprire anche un disegno di politica industriale, oltre che di politica bancaria. Ma certamente tale obiettivo non è presente nelle direttive e, in realtà, non lo si rinviene neppure in un’interpretazione appena ragionevole della legge202. Altrimenti detto, in materia creditizia e finanziaria i regolamenti e le direttive (particolarmente numerose) pongono, forse più che in altri settori, il problema del loro modo di operare nel nostro ordinamento nazionale. Se infatti si parte dal punto di vista della prevalenza del diritto comunitario rispetto a quello interno, ne consegue che anche il diritto nazionale deve essere conformato a quello europeo; e che, quindi, in sede applicativa, bisognerebbe respingere a priori qualsiasi interpretazione dell’art. 19 del T.u.b. difforme dalla lettera e dallo spirito delle disposizioni comunitarie. Fermo restando che, almeno per l’aspetto più propriamente funzionale della <<vigilanza prudenziale>>, così come delineato dalla direttiva 2000/12/CE, il compito dell’autorità di vigilanza competente è quello di “garantire la concorrenzialità delle imprese bancarie compatibilmente con la stabilità del sistema”. Da qui l’interrogativo se questa regolamentazione possa essere messa in discussione ricorrendo ai tribunali amministrativi e alla Corte di Giustizia Europea. Per un approfondimento cfr. F. BELLI e V. SANTORO, Il titolo V della legge antitrust, cit., p. 293. Seppur fugacemente, si ritiene utile ricordare che l’art. 189 del Trattato istitutivo della CEE (ora art. 249 del Trattato dell’Unione Europea), dopo aver precisato che il Consiglio e la Commissione adottano regolamenti e direttive, prendono decisioni e formulano raccomandazioni e pareri, per l’assolvimento dei loro obblighi, definisce il regime di efficacia e di vincolatività di tali atti. 200 Questo non significa, tuttavia, che non siano fondate le critiche secondo cui il Testo unico bancario, anche in materia di fusioni, agli artt. 56 e 57, e di modifiche statutarie, è probabilmente al di là o meglio non è coerente e non rispetta le indicazioni degli artt. 9 e 16 della direttiva 2000/12/CE, la quale attribuisce alle autorità di vigilanza un potere di reazione per quanto concerne le acquisizioni di partecipazioni. 201 Cfr. TAR Lazio, sez. I, sent. n. 6157/2005, cit. 202 Altro aspetto di non poco conto è che il TAR del Lazio nella citata sent. n. 6157/2005, probabilmente sulla base di un’interpretazione errata della norma, ha ritenuto che, nel caso di acquisto del controllo di una banca, il problema sia quello di valutare se all’esito dell’operazione venga garantita la sana e prudente gestione del richiedente. In tante pagine della sentenza si dice “del vigilato”, e poiché i vigilati sono tanto il richiedente quanto la società bersaglio, non si capisce perché. D’altra parte, è palese che la legge si riferisce al fatto che sia garantita la sana e prudente gestione della società bersaglio dopo che le azioni siano state acquistate dal richiedente. In tal senso v. G. MINERVINI, Prospettive future della Banca d’Italia, in Atti del Convegno “La Banca d’Italia. Ieri, oggi e domani”, cit., p. 10, il quale non manca di rilevare come in seguito alle recenti vicende “suona in maniera singolare il fatto che quando si tratta di valutare le qualità del richiedente ci si riferisca alla banca e non alla qualità dei suoi amministratori. Certo, questo è stato un infortunio alla luce di quello che si è scoperto in seguito”. 198 199 - 58 - 3. La questione della “disapplicazione” di norme nazionali contrastanti con la disciplina comunitaria nell’ambito di una procedura di acquisizione di partecipazioni bancarie. La Corte di Giustizia europea, in una sentenza del 2003 sul caso c.d. CIF (Consorzio Italiano Fiammiferi vs Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato)203, ha affermato che anche gli organi interni dello Stato, a cominciare dall’AGCM – e, quindi, potremmo legittimamente sostenere, anche il TAR Lazio nel caso delle acquisizioni bancarie – debbono far prevalere il diritto comunitario sul diritto interno204. La peculiarità ed il profilo maggiormente innovativo del caso di specie consistevano nel fatto che tale valutazione veniva svolta direttamente da un’autorità di concorrenza all’esito di un proprio procedimento istruttorio. Una valutazione che era stata considerata dalla stessa Autorità Garante della concorrenza coerente con quella giurisprudenza della Corte di Giustizia, che (secondo la nota giurisprudenza Fratelli Costanzo) aveva espressamente riconosciuto non solo ai giudici, ma anche a tutti gli organi dello Stato, incluse le pubbliche amministrazioni, l’obbligo di disapplicare una norma nazionale contrastante con il diritto comunitario205. Su scala 203 Cfr. CGCE, sent. 9 settembre 2003, C-198/01, Consorzio Industrie Fiammiferi c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in Raccolta, 2003, p. 4542, e in Giur. comm., 2004, II, p. 5 s., con nota di C. RIZZA, L’obbligo delle autorità nazionali della concorrenza di disapplicare le norme interne contrarie al Trattato e i conseguenti limiti alla proponibilità della State action defense, in Giur. comm., 2004, II, p. 6 ss., originata da un rinvio pregiudiziale del TAR del Lazio su un ricorso presentato dal Consorzio Industrie Fiammiferi avverso una decisione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La sentenza è stata immediatamente oggetto di riflessione. Tra i primi contributi di segnalano i seguenti: E. FOX, State Action: What if Parker v. Brown were Italian?, paper presentato alla 38 conferenza annuale su International Antitrust Law & Policy, Fordham, ottobre 2003; R. WAINWRIGHT e A. BOUQUET, State intervention and action in EC Competition Law, Fordham, Ottobre 2003; M. MONTI, Comments and Concluding remarks at the conference on professional regulation, Brussels, 28 ottobre 2003; G. TESAURO, Riforma della regolazione e concorrenza: esiste un consenso politico?, Giornata italiana della concorrenza, Roma, 9 dicembre 2003; S. CASSESE, Il diritto comunitario della concorrenza prevale sul diritto amministrativo nazionale, in Giornale Dir. Amm., 11/2003, p. 1132; M. LIBERTINI, La Disapplicazione delle norme contrastanti con il principio comunitario di tutela della concorrenza, in Giornale di Dir. Amm., 11/2003, p. 1135; B. NASCIMBENE e S. BASTIANON, La Corte di Giustizia e i poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza, in Corriere giuridico, 11/2003, p. 1421; M. CASTELLANETA, Ridefiniti anche i poteri sanzionatori del Garante: dalla Corte di giustizia un monito per il futuro, in Guida al Diritto, 36/2003, p. 107; G. NAPOLETANO, Il Diritto della concorrenza svela le ambiguità della regolamentazione amministrativa, in Giornale di Dir. Amm., 11/2003, p. 1138; C. RIZZA, The duty of national competition authorities to disapply anti-competitive domestic legislation and the resulting limitations on the availability of the State action defense, in European Competition Law Review, 2/2004, p. 126; M. ANTONUCCI, I poteri aggiunti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in Il Consiglio di Stato, 9/2003, p. 1577. 204 Su tali presupposti, in più occasioni l’AGCM ha accertato l'illegittimità dei regimi normativi nazionali con il combinato disposto degli artt. 3, n. 1, lett. g), 10 e 81, §. 1, del Trattato CE, in virtù del quale, secondo un consolidato orientamento della Corte di Giustizia, gli Stati membri della Comunità non possono – in forza del principio di leale collaborazione - adottare o mantenere in vigore misure, anche di natura legislativa o regolamentare, che possano rendere praticamente inefficaci le regole di concorrenza del Trattato applicabili alle imprese. Tra le altre, si vedano le seguenti sentenze della Corte di Giustizia: sentenza 16 novembre 1977, causa 13/77, Inno/Atab, in Racc., p. 2115, punto 31; 30 aprile 1986, cause riunite 209-213/84, Asjes, in Racc., p. 1425; 21 settembre 1988, causa 267/86, Van Eycke, in Racc., p. 4769, punto 16; 17 novembre 1993, causa C-185/91, Reiff, in Racc., I, p. 5801, punto 14; 17 novembre 1993, causa C-2792, Meng, in Racc., I, p. 5791; 9 giugno 1994, causa C153/93, Delta, in Racc., I, p. 2517, punto 14; 5 ottobre 1995, causa C-96/94, Centro Servizi Spediporto, in Racc., I, p. 2883, punto 20; 18 giugno 1998, causa C-35/96, Commissione c. Italia, in Racc., I, p. 3851, punto 53-54. Da ultimo, si vedano le sentenze della Corte 19 febbraio 2002, C-35/99, Arduino, in Racc., I, p. 1529, punti 34-35, nonché ora la sentenza 9 settembre 2003, C-198/01, Consorzio Industrie Fiammiferi, cit., punti 45-46. 205 Vale la pena sottolineare che questa possibilità di disapplicare la norma nazionale contrastante, quale corollario sia del potere normativamente riconosciuto all’Autorità amministrativa nazionale di dare attuazione in via decentrata agli artt. 81.1 e 82 del Trattato CE, sia del primato e dell’efficacia diretta di tali norme, era già stata prospettata in precedenza dalla stessa AGCM, Relazione Annuale dell’Attività svolta al 30 aprile 1998, p. 10. In dottrina, questa prospettiva è stata enunciata da A. TIZZANO, L’applicazione decentrata degli artt. 85 e 86 CE in Italia, in Foro It., 1997, 1, IV, c. 33, punto 11.; R. ALESSI e G. OLIVIERI, La disciplina della concorrenza e del mercato (Commento alla legge 10 ottobre 1990, n. 287 ed al regolamento n. 4064/89 del 21 dicembre 1989), Torino, 1991, p. 23 ss. - 59 - più ampia, dunque, l’affermazione di un siffatto principio comporta l’obbligo di adottare tutti i provvedimenti necessari per agevolare la piena efficacia del diritto comunitario206. Il dibattito aperto dal caso CIF, in realtà, non ha per oggetto la sola valutazione, in chiave giuridico tecnica, degli elementi della sentenza maggiormente rilevanti (al fine di stimare la sua futura incisività secondo la logica dello stare decisis), ma pone un ulteriore interrogativo. La domanda vera che serpeggia tra i commentatori è infatti un’altra: in sostanza, ci si chiede se, piuttosto che evocare la “disapplicazione” della norma nazionale a causa del contrasto con una disposizione comunitaria connotata da primato o prevalenza, sia invece più corretto parlare di “non-applicabilità” di tale disposizione normativa207. La dottrina non si limita ad attribuire al giudice la possibilità di disapplicare od annullare il regolamento illegittimo208, ma gli devolve il potere di considerarlo tamquam non esset in relazione perfino all’opportunità del suo contenuto209. Peraltro, incidentalmente, si osserva che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, un siffatto contrasto può essere rilevato anche in presenza di disposizioni nazionali, siano esse legislative, regolamentari o amministrative, in sé neutre, ma che siano state interpretate dai giudici nazionali (o da una parte prevalente di essi) o, prim’ancora, dalle Cfr. punti 49-50 della sentenza CIF. Tra disapplicazione, con effetti erga omnes e dichiarazione di incostituzionalità la differenza è minima, come ha chiarito la Corte di Giustizia nella sentenza citata, una volta intervenuta una pronuncia di disapplicazione dell’Autorità di vigilanza ed esaurita la fase eventuale del controllo giurisdizionale su tale pronuncia. È appena il caso di richiamare anche quanto sostenuto da M. SCUDIERO, La Costituzione. Tendenze recenti, in A. SPENA e G. GIMIGLIANO (a cura di), Le fonti del diritto bancario, Milano, 2003, p. 4, il quale, con riferimento ai rapporti tra normativa interna e regolamenti comunitari, dopo aver ricordato “che i regolamenti comunitari sono caratterizzati dalla immediata efficacia nell’ordinamento di ciascuno degli Stati membri” descrive come si sia pervenuti, attraverso una serie di decisioni della Corte Costituzionale, a partire dagli inizi degli anni ’70, all’esplicito riconoscimento, nel quadro di una impostazione in termini di separazione tra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale, della disapplicazione a carattere diffuso (in qualche decisione più opportunamente definita non applicazione) del diritto nazionale come mezzo di risoluzione delle antinomie con il diritto comunitario (Corte Cost., sent. 8 giugno 1984, n. 170; sent. 11 luglio 1989, n. 89); con la conseguenza che, come il giudice, così la Pubblica Amministrazione debbono entrambi, in caso di antinomia, disapplicare il diritto nazionale e “applicare, invece, il diritto comunitario (orientamento corrispondente alla decisione della Corte di Giustizia delle Comunità europee 9 marzo 1978, n. 106/77)”. L’Autore specifica, tra l’altro, che tuttavia “non mancano di riaffiorare, in alcune pronunce della Corte Costituzionale, categorie diverse quale quella della << norma interposta >>, cioè della configurazione dei rapporti tra fonti dell’ordinamento comunitario e fonti dell’ordinamento nazionale secondo uno schema a tre livelli in cui il regolamento comunitario si interpone tra la Costituzione e il diritto interno, integrando il parametro di legittimità costituzionale (Corte Cost., sent. 10 novembre 1994, n. 384)”. 208 Secondo A. MACCHIATI, Poca deferenza e molta discrezione (ma dei giudici), in Merc. conc. reg., 2001, p. 363, se è presente una disciplina dettagliata di fonte primaria – law – l’Autorità non può intervenire, dovendo essere il giudice ad interpretare le regole; laddove, invece, la legge lascia uno spazio di intervento “politico”, è l’Autorità indipendente a poter intervenire. Tesi criticata da F. DENOZZA, Discrezione e deferenza: il controllo giudiziario sugli atti delle autorità indipendenti “regolatrici”, Merc. conc. reg., 2000, p. 484, secondo cui, se non esistono norme complete, l’Autorità indipendente può anche emanare regole esecutive e il giudice può intervenire altresì su clausole generali. 209 Ciò senza contare, inoltre, che nelle ipotesi in cui si pone un problema di contrasto tra le norme nazionali ed il combinato disposto degli artt. 3, n. 1, lett. g), 10, 81-82 del Trattato CE, può essere necessario accertare approfonditamente la situazione di fatto, vale a dire esaminare come si connoti in concreto l’iter formativo delle decisioni destinate ad incidere sulla concorrenza, accertamento al quale possono essere funzionali i penetranti poteri istruttori attivabili d’ufficio, di cui le stesse autorità di vigilanza sono normalmente dotate. L’esigenza di accertare il contesto fattuale ai fini di valutare la compatibilità o meno di una normativa nazionale con gli artt. 3, n. 1, lett g), 10, 81-82 CE, è stata ben espressa dalla Corte di Giustizia nella sentenza 1 ottobre 1998, causa C-38/97, Librandi, nella quale i giudici di Lussemburgo chiamati a decidere un rinvio ex art. 177 vecchio Trattato CE (ora 234 Trattato CE) hanno fornito una soluzione in punto di diritto precisando però che spettava “…al giudice nazionale controllare, nell’ambito della sua competenza, che nella pratica, (…) siano determinate nel rispetto dei criteri d’interesse pubblico definiti dalla legge e che i pubblici poteri non rinuncino alle proprie prerogative a vantaggio di operatori economici privati” (punto 36). 206 207 - 60 - autorità di vigilanza competenti in maniera tale da renderle incompatibili con il diritto comunitario210. La conseguenza di tale assunto, allora, sarebbe quella di considerare legittimo un sindacato ben più pervasivo dell’eccesso di potere ed idoneo ad incidere fin nel merito, tale cioè da derubricare i regolamenti della Banca d’Italia ad un ruolo addirittura minore rispetto a quello attribuito, da taluni autori, finanche ai suoi atti di moral suasion211. Sotto una diversa lente, e con maggiore enfasi, si potrebbe sin’anche affermare che allorquando le Istruzioni della Banca d’Italia, anche surrettiziamente, travalichino il limite della riserva di legge, dovrebbero essere considerate illegittime e in quanto tali inefficaci nei rapporti tra privati (oltre che nei confronti della stessa Autorità di vigilanza). La sicura rilevanza pubblicistica delle Istruzioni di vigilanza (che non autorizza l’interprete ad affermare la diretta incidenza di tale disciplina sul rapporto privato)212, non permette in linea di principio di escludere il potere del giudice amministrativo di operare una ricostruzione delle regole del rapporto << autorità – soggetto acquirente le partecipazioni >> in ossequio al dato legislativo, ma in contrasto con le previsioni dettate dalla Banca d’Italia. Insomma, si potrebbe concludere riconoscendo al giudice amministrativo la “prerogativa istituzionale” di ritenere illegittima una disposizione regolamentare rispetto ad una ricostruzione ermeneutica del dato legislativo. 4. La disciplina dei controlli sugli assetti proprietari nei principali Paesi europei. Un’analisi comparata. Nel capitolo precedente si è cercato di mettere in luce come la disciplina dell’acquisto di partecipazioni bancarie contenuta nel Testo unico e nelle Istruzioni di vigilanza sia ispirata a principi chiaramente individuati e realizzi tra di essi un bilanciamento nuovo e più orientato al mercato rispetto al passato. Non tutte le scelte operate dal legislatore del Testo Unico del 1993 sono parse però coerenti col quadro generale di riferimento, anche se nell’insieme è emerso un adeguamento alle omologhe legislazioni vigenti dei principali Paesi europei più intenso di quello realizzato in passato. 210 In proposito, si veda da ultimo C.G.C.E., sent. del 9 dicembre 2003, Commissione c. Italia, causa C129/00, in Racc., 2000, p. 2441, punti 29 ss.; in merito cfr. S. CASSESE, Il diritto comunitario della concorrenza prevale sul diritto amministrativo nazionale, in Giornale Dir. Amm., 11/2003, p. 1136 ss. 211 In una prospettiva più ampia, peraltro, il principio sancito in sede giurisdizionale dalla Corte di Giustizia europea dovrebbe consentire alla Commissione Europea di venire tempestivamente a conoscenza delle valutazioni svolte dall’autorità di vigilanza nazionale, nonché, in casi eccezionali e previa consultazione, di intervenire ed avocare a sé il caso (ex art. 11, §. 6, reg. 1/2003), laddove si ritenga che l’interpretazione/trasposizione delle norme comunitarie accolta in sede nazionale sia, nel caso di specie, palesemente contrastante con i principi del diritto comunitario. 212 Al riguardo cfr. S. NICCOLAI, op. cit., p. 262 ss. Si tratta, indubbiamente, di disposizioni costitutive di diritto, che vanno ad integrare l’ordinamento giuridico generale, a condizionare l’autonomia negoziale, ad incidere sui rapporti interprivati, a costituire un parametro generale ed astratto della validità degli atti e dei comportamenti realizzati dagli operatori del settore bancario. Prescindendo dal problema della collocazione nella sistematica delle fonti e dall’esito della risoluzione di eventuali antinomie, insomma, l’efficacia esterna delle norme prodotte dalla Banca d’Italia nell’esercizio della sua potestà regolamentare non differisce, in quanto ad effetti prodotti sull’agire dei privati, dalle norme che derivano dall’ermeneusi di una legge o di un regolamento governativo. Tali regole sono, pertanto, parte integrante dell’ordinamento generale: salva l’eventuale illegittimità della disposizione che le prevede o la loro natura indipendente, nulla osta a che simili norme possano costituire fonte di invalidità o di inefficacia di un negozio giuridico, ovvero fattispecie astratta con cui confrontare un comportamento colpevole o doloso ad esse contrario e in relazione alla quale stabilire la responsabilità del suo autore. Considerazione che sembrerebbe addirittura pleonastica, ma che è invece opportuno chiarire in limine, onde evidenziare l’artificiosità di quelle posizione dottrinarie che – forse condizionate dalla antica disputa circa la caratterizzazione del comparto bancario come ordinamento sezionale autonomo – tenderebbero sin’anche a negare efficacia esterna alle norme dell’Autorità. - 61 - Lo spunto viene dalla considerazione che oggi, anche nei Paesi che per tradizione culturale hanno da sempre consentito la commistione fra banche e industria, esistono penetranti controlli sugli assetti proprietari delle banche e sulla disciplina del conflitto di interessi nell’esercizio dell’attività bancaria, in gran parte frutto dell’attuazione delle direttive comunitarie. Una breve analisi comparata dei principali ordinamenti europei sul recepimento dei precetti comunitari in materia di assetti proprietari e di tutela dell’integrità della gestione bancaria a fronte di indebite ingerenze delle autorità di vigilanza, può consentire di verificare fino a che punto nell’ordinamento italiano si realizzi un effetto di reverse discrimination, riconducibile ad “ogni regola prudenziale più severa di quella sancita dalle direttive europee con l’armonizzazione minima”213. Il confronto, in particolare, viene condotto tra la normativa italiana e quelle di Gran Bretagna, Francia e Germania, alla luce della disciplina europea sui controlli degli assetti proprietari delle banche214. ordinamento Nella normativa europea, infatti, il principio di “sana e prudente gestione” è richiamato dai citati artt. 5 e 11 della direttiva 89/646, ed è correlato essenzialmente – come si è visto – alla “qualità” soggettiva degli azionisti e dei soci delle banche, piuttosto che all’esigenza di un adeguato assetto strutturale e organizzativo215. Il problema principale posto dalle norme richiamate è il seguente: i criteri di valutazione dei requisiti della “qualità degli azionisti” e i criteri di valutazione della gestione “sana e prudente” dell’ente creditizio non risultano armonizzati, nel senso che è rimesso ad ogni singolo Stato il compito di specificare la portata di tali concetti, così come di adottare comportamenti difformi in caso di violazione dei principi in questione. Nel Regno Unito la normativa prevede una ricca identificazione del concetto di “sana e prudente gestione”. In particolare, “i regolamenti inglesi dell’FSA (Financial Services Authority) (art. 186 del Financial Services and Markets Act del 2000 e disposizioni applicative Chapter 11 – controller and close link; Sup. 11.7.5 e Fit. 1.3., 2.1., 2.2. e 2.3.)”216 precisano che l’autorizzazione all’acquisto di partecipazioni rilevanti possa essere rilasciata quando sussistono le seguenti condizioni: a) i potenziali acquirenti rispondono ai requisiti di fit and proper test; b) l’operazione non contrasti con l’interesse dei consumatori. A sua volta il criterio del fit and proper test prevede che l’acquirente deve soddisfare diversi requisiti: “(1) honestly; integrity and reputation; (2) competence and capability; and (3) financial soundness”. Come precisato in dottrina, “questi requisiti arrivano ad individuare come possibili motivi del diniego anche semplici richieste di dismissioni per cattiva gestione da una società o trust, sul piano della onestà, integrità e reputazione e il mancato pagamento di debiti in un tempo ragionevole per quanto riguarda la solidità finanziaria”217. In Francia la legge non prevede nessuna specificazione del concetto di “sana e prudente gestione”218. Mentre, secondo l’ordinamento vigente in Germania l’autorizzazione all’acquisto di partecipazioni rilevanti può essere negata sia con riguardo alla mancanza di “affidabilità” del nuovo azionista (“not trustuorthy”), e sia, più in generale, con riferimento alla incapacità di 213 Così C. BRESCIA MORRA, Troppe regole in Italia sui rapporti tra industria e banca? Un’analisi comparata, in Analisi giuridica dell’economia, 1, 2006, p. 92. 214 La stessa normativa europea, inoltre, nella disciplina dei grandi rischi, prevede limiti prudenziali più stringenti nel caso di finanziamenti a soggetti collegati (art. 49, §. 2, dir. 2000/12/CE, già contenuto nella direttiva sui grandi fidi 92/121/CEE). 215 Così G. GODANO, op. cit., p. 84. 216 Così C. BRESCIA MORRA, op. cit., p. 93. 217 V. ancora C. BRESCIA MORRA, Ibidem. 218 Al più, come suggerisce C. BRESCIA MORRA, Ibidem, “qualche vago indizio indiretto si può ricavare dalla circostanza che i soggetti tenuti a chiedere l’autorizzazione debbano inviare notizie dettagliate sulla loro situazione finanziaria”. In proposito cfr. CRBF (Comité de la réglementation bancarie et financière), reg. n. 96-16 del 20 dicembre 1996. - 62 - assicurare la sana e prudente gestione. In particolare, si segnala la possibilità per l’Autorità di vigilanza di non rilasciare la suddetta autorizzazione quando vi è il fondato motivo di temere che i fondi utilizzati per finanziare l’acquisto della partecipazione siano di illecita provenienza. Ancora, fra i presupposti che possono far incorrere nel rifiuto di autorizzazione, vi è il caso in cui, per effetto dell’operazione di acquisizione, la banca venga “inserita in un gruppo la cui struttura, non trasparente, impedisce l’esercizio effettivo dell’attività di vigilanza sui soggetti in esso ricompresi”219. Limitandoci in questa sede ad evidenziare le linee di tendenza presenti nei singoli ordinamenti nazionali che si sono brevemente documentate, si deve però ricordare che lo scenario internazionale, pur così diversificato ad inizio secolo, si caratterizza attualmente per la condivisione di policies di segno comune220. E talvolta si tratta di un eccesso di normativa che non si sottrae alle motivate obiezioni di quanti disapprovano il ricorso a indirizzi di vigilanza ancora visibilmente caratterizzati da una intenzione dirigista, ma pur sempre discipline che si muovono nel segno delle già segnalate garanzie di stabilità, di integrità e di concorrenza competitiva del settore bancario221. Pur tuttavia, si tratta di un nuovo diritto europeo dei mercati finanziari che delinea un consistente ordinamento sovranazionale del settore comunque sensibile alla pressante domanda di miglior regolazione dei mercati bancari e di maggior tutela degli investitori. 5. Le nuove norme sulle fusioni bancarie transfrontaliere. Come sopra illustrato, l’attuale quadro giuridico non fissa criteri dettagliati per la valutazione prudenziale dei progetti di acquisizione o di incremento di partecipazioni né una Cfr. Gesetz uber das Kredituesen del 1998, parte 1, §. 2b. Assai indicativo, nell’analisi condotta, è il tema della pubblica vigilanza. Se infatti è vero che in questa materia ogni contesto nazionale ha caratteri distintivi che rilevano più di qualsiasi astratta comparazione di modelli, anche per quanto concerne la migliore organizzazione delle funzioni di pubblica vigilanza, sicuramente meritano attenta analisi (e offrono ampia materia a utili approfondimenti) le motivazioni altrove assunte come criteri di preferenza per il modello del “regolatore unico” significativamente condiviso dall’inglese FSA (Financial Servives Authority) e dal BAFIN (Bundensanstalt fur Finanzdienstleistungsaufsicht) dell’ordinamento tedesco, ma anche da altri ordinamenti e di recente dalla CBFA che dal gennaio 2004 è l’Autorité de controlle unique du secteur financière belge, così come le motivazioni e il diverso orientamento della loi n° 2003-706 de sécurité dell’agosto 2003 e della legge istitutiva della CNMV (Comisiòn Nacional del Mercato de Valores), che in diritto francese e nell’ordinamento spagnolo hanno stabilito discipline di vigilanza più in linea con il modello di ripartizione delle competenze di pubblica vigilanza che nel caso italiano si è solo parzialmente ridisegnato con le norme della legge sul risparmio 262/2005. 221 Cfr. COMMISIONE EUROPEA, Call for technical advice from CEBS, No. 1, Bruxelles, 18 gennaio 2005, in http://ec.europa.eu/internal_market/bank, con cui la Commissione nel gennaio del 2005 ha ufficialmente richiesto al CEBS una consulenza tecnica in merito a quattro possibili opzioni di modifica dell’art. 16 dir. n. 2000/12/CE, con l'obiettivo di: (i) restringere la discrezionalità delle autorità nazionali nel valutare l'idoneità del potenziale acquirente; (ii) introdurre termini perentori entro i quali le autorità nazionali debbono pronunciarsi; (iii) introdurre forme di controllo sull'operato delle autorità nazionali di vigilanza da parte della Commissione Europea. Sull'opportunità di presentare proposte di modifica delle norme in materia di acquisizione di partecipazioni rilevanti e/o di controllo di banche, imprese di investimento e assicurazioni cfr. L. CARDIA, Il consolidamento dell'industria dei servizi finanziari in Europa, Audizione del Presidente della Consob presso il Comitato per gli Affari Economici e Monetari (ECON) del Parlamento Europeo, Bruxelles, 31 gennaio 2006, disponibile sul sito www.consob.it. Secondo il Presidente della Consob, “La proposta presenta elementi apprezzabili, tra i quali: 1) le norme di trasparenza per il procedimento autorizzatorio; 2) i criteri per la valutazione del potenziale acquirente; 3) la certezza dei tempi di conclusione dei procedimenti. Vi è però anche un rilevante elemento di criticità nelle previsioni – ancora allo stadio di proposta informale dei servizi – che consentirebbero alla Commissione Europea di accedere alle informazioni relative ai singoli dossier, sin dalla fase di svolgimento dell'operazione, al fine di verificare il rispetto delle disposizioni europee da parte degli Stati membri. Occorre, tuttavia, riflettere sulla richiesta di attribuzione di nuovi poteri che potrebbero configgere con il sistema di responsabilità attribuito alle autorità di vigilanza nazionali”. 219 220 - 63 - procedura per la loro applicazione. L’attività di vigilanza ha per sua natura un carattere di discrezionalità cui, in linea di principio, non si può rinunciare, dovendo i controllori considerare una pluralità di situazioni non sempre riconducibili a canoni troppo rigidi, come testimoniano le recenti vicende sul controllo degli assetti proprietari delle banche italiane222. Tuttavia, la “necessità” di una disciplina incardinata sulla discrezionalità ha prodotto negli ordinamenti nazionali mancanza di certezza giuridica, chiarezza e prevedibilità, in particolare per quanto concerne il processo di valutazione posto in essere dalle Autorità di vigilanza competenti e, ovviamente, il suo risultato223. L’integrazione dei mercati e l’affermarsi di strutture di gruppo transnazionali a livello europeo richiedono, per contro, l’introduzione di regole procedurali e di criteri di valutazione armonizzati in tutta la Comunità224. La dottrina ha individuato due possibili aree di intervento per limitare le inefficienze di natura regolamentare legate all’esercizio della vigilanza bancaria: la possibilità di un Il rimedio potrebbe ravvisarsi nella possibilità di centralizzare la competenza sulla vigilanza bancaria in un’istituzione europea. Come suggerisce A. BOMPANI, La Riforma della Banca d’Italia e i Condizionamenti dell’Ordinamento Comunitario, Relazione presentata al “Convegno Nazionale di Economia dei mercati e degli intermediari finanziari”, Università di Parma, 4 novembre 2005, p. 5 (datt.), “il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione della BCE, nonché previo parere conforme del Parlamento europeo, può affidare alla BCE compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese di assicurazione”. L’Autore propone in merito due interessanti osservazioni. In primo luogo, rileva che “proprio per operazioni cross-border che riguardano almeno due Stati dell’Unione, le competenze di vigilanza possono essere attribuite alla BCE. Per il che anche le due recenti vicende che hanno interessato e stanno riguardando Banca Nazionale del Lavoro e Banca AntonVeneta ricadrebbero nell’orbita della BCE”. In secondo luogo, l’Autore prende atto, tuttavia, “che le imprese di assicurazione resterebbero comunque al di fuori delle competenze della BCE e della stessa vigilanza prudenziale, quasi che non fossero da considerarsi intermediari finanziari. E ciò in stridente contrasto con le prese di posizione e le delibere assunte in sede comunitaria con la direttiva 2002/87/CE relativa alla vigilanza supplementare sugli enti creditizi, sulle imprese di assicurazione e sulle imprese di investimento appartenenti a un conglomerato finanziario. E sarà opportuno ricordare che, a norma della lett. n) dell’art. 1 del d.lgs. 30 maggio 2005, n. 142 di attuazione della predetta direttiva il «settore finanziario» ricomprende, oltre alle banche e alle imprese di investimento, anche le imprese di assicurazione, di riassicurazione e di partecipazione assicurativa”. 223 Già nel 1999 il BAC (Banking Advisor Committee), Papers Meeting XV/1079/99 e XV/1080/99, Bruxelles, 24 novembre 2004, successivamente all’implementazione della direttiva di Consolidamento bancaria 2000/12/CE, aveva sottolineato come alcune lacune nella direttiva avessero permesso agli Stati Membri di adottarne in sede di recepimento differenti interpretazioni, causando disomogeneità talvolta sensibili tra le pratiche di vigilanza. Una prima tesi riconduce, sostanzialmente, alla responsabilità delle autorità di vigilanza e alle lacune della normativa vigente lo stadio arretrato del processo di consolidamento bancario europeo e lo scarso peso di operazioni crossborder. Gli ostacoli posti dalla vigilanza assumerebbero la forma di comportamenti discriminatori verso l’entrata di capitali esteri in partecipazioni di controllo. Comportamenti, cioè, atti a favorire la protezione di “campioni nazionali” o a creare la percezione che tali operazioni non siano gradite, così da scoraggiarne anche l’iniziativa. La normativa vigente consentirebbe quest’uso eccessivamente discrezionale dei poteri di vigilanza. Altri ostacoli deriverebbero inoltre da esigenze di sorvegliare anche i cosiddetti rischi cross-border, ossia quelli che migrano all’estero e che devono rientrare nella vigilanza consolidata. Nello specifico, tale necessità si sostanzia in un colloquiare continuo tra istituzioni e più autorità di vigilanza, che spesso hanno sistemi e pratiche di vigilanza molte diverse. Tali differenze comporterebbero un “add cost” per gli acquirenti cross border banking, sortendo l’effetto di ridurre l’attrattività di tali progetti. 224 Il sistema di vigilanza prudenziale esistente attualmente nell’Unione europea si basa sul principio della responsabilità delle autorità competenti dello Stato membro di origine e su un implicito obbligo di stretta collaborazione tra queste e le autorità dello Stato membro ospitante nella vigilanza delle attività degli enti operanti in Stati membri diversi da quello in cui hanno l’amministrazione centrale. Se l’acquisto di partecipazioni avviene ad opera di una banca autorizzata in un altro Stato membro dell’Unione europea o da una controllante (sia persona fisica che giuridica) di questa e se, in virtù di tale interessenza, l’ente creditizio partecipato diventi una filiazione o passi sotto il suo controllo, la valutazione dell’acquisto deve formare oggetto di consultazione preliminare delle autorità dell’altro Stato membro (art. 11, §. 2, direttiva n. 89/646/CEE). Tuttavia, come osserva G. GODANO, La legislazione comunitaria in materia bancaria, Bologna, 1996, p. 87, “l’obbligo di consultare le autorità della case madre non significa che queste ultime abbiano diritto di veto nei confronti delle autorità del Paese ospitante, che possono comunque rilasciare l’autorizzazione nonostante rilievi negativi…”. 222 - 64 - miglioramento della normativa vigente e il rafforzamento della cooperazione tra le stesse autorità di controllo225. Il Parlamento Europeo ha di recente approvato la modifica di cinque direttive per armonizzare a livello europeo le norme di valutazione dei progetti di fusione e acquisizione transfrontalieri nel settore bancario, assicurativo e mobiliare226. Lo scopo della proposta, che in 225 Tra i vari report vale la pena ricordare quello redatto dal Comitato di Lamfalussy del febbraio del 2001 (LAMFALUSSY GROUP, Final Report of Committee of Wise Men on the regulation of European Securities markets, 2001). Le numerose proposte erano confluite nel citato Financial Services Action Plan 1999-2005. Esso prevedeva 41 misure d’azione (tra direttive e comunicazioni) volte a completare il quadro normativo per l’integrazione dei mercati finanziari. Nell’ampia letteratura economica sul tema si segnalano i contributi di M.C. BUCH e G.L. DE LONG, Cross-Border Bank Mergers: What Lures the Rare Animal?, in Journal of Banking and Finance, 2004, p. 76; A. BERGER e D.C. SMITH, Global Integration in the Banking Industry, in Federal Reserve Bulletin, 2003, p. 122. 226 Cfr. CEBS, Technical advice to the European Commission on a review of Article 16 of Directive 2000/12/EC, Londra, 31 maggio 2005, in http://www.c-ebs.org/pdfs/cebs0576.pdf. La prima opzione suggerita dalla Commissione europea riguarda la possibilità di rendere espliciti i criteri che dovrebbero essere applicati nella valutazione degli stakeholders qualificati. Nel suo parere tecnico, il CEBS si è soffermato sull’ambiguità del termine “suitability”, tradotto nella versione italiana con il termine “qualità”, delle persone fisiche e giuridiche intenzionate ad acquistare o modificare la propria partecipazione rilevante. Sul punto, il CEBS suggerisce pertanto una procedura a due fasi. La prima fase consiste nell’analisi generale della “qualità” degli azionisti in base al “fitness” e alla “properness”di uno specifico azionista. La successiva fase consiste nella adeguatezza di questi come controller dell’istituzione target, ossia in una indagine in termini relativi allo specifico progetto di acquisizione. Più nello specifico, i criteri minimi che secondo il CEBS devono essere soddisfatti sono: 1) un’appropriata forza finanziaria in relazione alle caratteristiche della target e alla complessità del suo business; 2) un piano strategico per la società target; 3) la presenza di proposte e soluzioni di corporate governance; 4) se dopo l’operazione la gestione della target è affidata a nuovi manager, questi devono rispettare i criteri dell’art. 6: compresi i requisiti di onorabilità e professionalità; 5) l’assoluta trasparenza della struttura di gruppo, tale da consentire un’adeguata vigilanza consolidata; 6) soluzioni adeguate e appropriate per possibili problemi di conflitti di interesse. Vi è poi un insieme di criteri minimi negativi da rispettare, come ad esempio l’assenza di carichi giudiziari. È evidente che la lista fornita abbia un valore puramente indicativo e non esaustivo. L’opinione del Comitato è, infatti, che la valutazione debba avere dei margini di discrezionalità e flessibilità, per consentire un giudizio caso per caso, sempre nell’interesse generale di preservare la stabilità del mondo bancario e le esigenze di vigilanza prudenziale. Essa ammette, infatti, anche dei requisiti addizionali, soprattutto relativi al concetto di adeguata forza finanziaria. Ad esempio, la capacità di contribuire con “fresh money” alle attività della target o la fissazione di un termine minimo di impegno a non smobilizzare la partecipazione. La seconda opzione riguarda la possibilità per le autorità competenti di tutti gli Stati Membri di “accettare” le valutazioni già effettuate da altri Stati sulla “qualità” degli azionisti qualificati. Si tratta di estendere il principio del mutuo riconoscimento, gia abbondantemente collaudato nel sistema comunitario. Esso eliminerebbe la necessità di una valutazione supplementare, al limite senza nemmeno la necessità della comunicazione preventiva. Il parere del CEBS al riguardo è peculiare. Esso accoglie con favore la possibilità del mutuo riconoscimento per i giudizi di “notsuitability”, ma non per i pareri positivi, laddove è evidente che se una banca o un azionista qualificato è già stato precedentemente autorizzato in un Paese europeo, deve necessariamente aver superato i test di “qualità” descritti sopra, oltre a doverli rispettare su base continuativa. Tuttavia la questione si complica per le difficoltà di raggiungere una piena armonizzazione di queste valutazioni, come ad esempio sulla nozione di carichi giudiziari. Il CEBS conviene però che tale informazione sia un punto di partenza molto importante per le valutazioni successive, ma il comma 2 dell’art. 16 già prevede che essa sia presente nella consultazione preliminare tra autorità di vigilanza. Sempre con riferimento all’opzione in esame, le cose si complicano ancora di più quando si passa ad esaminare il gradino successivo della procedura. Essa, come abbiamo visto, analizza l’adeguatezza dell’azionista rispetto allo specifico progetto sotto esame, alla complessità e specificità della società da acquistare e ai possibili conflitti d’interesse. È evidente che il ruolo del mutuo riconoscimento non possa trovare applicazione in questo caso. La terza opzione concerne la possibilità di rivedere le soglie dei diritti di voto o del capitale (20%, 30% e 50%) previste dal comma 1 dell’art. 16, al cui raggiungimento si riconduce l’obbligo di comunicazione preventiva alle autorità di vigilanza competenti. Il parere richiesto dalla Commissione Europea riguarda la possibilità di eliminare la comunicazione preventiva nel caso in cui l’acquisto di una partecipazione non miri al controllo della banca, e di richiederla, invece, solo nei casi in cui questa intenzione sia palese. Inoltre, si fa notare come il termine richiesto, di ulteriori tre mesi, per riesaminare la qualità di un azionista qualificato già ritenuto “idoneo”, sia forse eccessivo. Il giudizio espresso del CEBS riguardo a questa opzione è stato sfavorevole. È risultato, infatti, evidente che tutti gli Stati membri, recependo la direttiva, hanno stabilito soglie talvolta più basse talvolta più alte. Un intervento di modifica su tali soglie non avrebbe quindi alcun effetto. Il CEBS, del resto, è convinto che le differenze tra le soglie stabilite dai vari Paesi non vadano appianate, poiché espressione di esigenze prudenziali specifiche di ogni Stato. - 65 - realtà riguarda tutti gli intermediari e non solo quelli bancari, è rimuovere gli ostacoli dovuti a prassi di vigilanza diverse, introducendo procedure e criteri più chiari e migliorandone la coerenza e la trasparenza227. In primo luogo, in forza del compromesso tra Parlamento e Consiglio, si prevede che qualsiasi “candidato acquirente” che abbia deciso “di acquisire, direttamente o indirettamente, una partecipazione qualificata in un’impresa o di aumentare ulteriormente, direttamente o indirettamente, detta partecipazione in modo tale che la quota dei diritti di voto o del capitale da esso detenuta raggiunga o superi il 20%, 30% o 50%, o che l’impresa divenga una sua impresa figlia”, notifichi per iscritto alle autorità competenti per la vigilanza l’ammontare della partecipazione prevista e le informazioni rilevanti. Lo stesso principio vale in caso di vendita o riduzione della partecipazione qualificata. In secondo luogo, al fine di garantire la gestione sana e prudente dell’impresa cui si riferisce il progetto di acquisizione, e tenendo conto della probabile influenza del candidato acquirente sulla stessa nel valutare la notifica, le autorità competenti dovranno esaminare l’idoneità del potenziale acquirente e la solidità finanziaria del progetto di acquisizione sulla base di cinque criteri: - la reputazione del candidato acquirente; - la reputazione e l’esperienza di tutte le persone che saranno chiamate a dirigire l’attività dell’impresa bancaria; - la solidità finanziaria del candidato acquirente, in particolare in considerazione del tipo di attività esercitata e prevista nell’impresa alla quale si riferisce il progetto di acquisizione; - la capacità dell’impresa di adempiere e continuare ad adempiere i requisiti prudenziali a norma della presente direttiva e, se del caso, di altre direttive, in particolare, il fatto che il gruppo di cui farà parte disponga o meno di una struttura che permetta di esercitare una vigilanza efficace, di scambiare effettivamente informazioni tra le autorità competenti e di deminare la ripartizione delle responsabilità tra le stesse; Infine, l’ultima opzione si riferisce alla trasparenza delle valutazioni effettuate dalle autorità di vigilanza. Se una autorità di vigilanza decide di non consentire l’acquisto di una partecipazione qualificata, la pubblicazione della decisione di rifiuto e una dettagliata lista delle motivazioni sottostanti la decisione, consentirebbero di combattere un uso potenzialmente distorto dei poteri di vigilanza. Anche su questa opzione il parere espresso dal CEBS è stato negativo. Se anche una maggiore trasparenza è certamente desiderabile, bisogna in ogni caso tener conto dell’effetto sugli interessi delle parti coinvolte, ad esempio sulla reputazione dell’acquirente. Le norme vigenti del resto – osserva il Comitato – già prevedono, in caso di giudizi negativi ai sensi dell’art. 10 direttiva n. 2000/12/CE, una risposta diretta all’acquirente con tutte le spiegazioni necessarie. Esso potrebbe essere esteso anche ai casi contemplati dall’art. 16. Per un miglioramento della trasparenza, invece, il Comitato afferma che esso dovrebbe riguardare in primis l’intera procedura di autorizzazione e valutazione. Il CEBS propone, infine, una pubblicazione delle autorità di vigilanza che esponga la metodologia utilizzata nella valutazione della qualità degli azionisti qualificati e una presentazione, su base annuale, di tutti i casi in cui è stato espresso parere negativo, limitando i pregiudizi per gli acquirenti. 227 Cfr. W. KLINZ, Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 92/49/CEE e le direttive 2002/83/CE, 2005/68/CE e 2006/48/CE per quanto riguarda le regole procedurali e i criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario. La Proposta originaria era stata presentata nel settembre 2006 alla Commissione europea, anche per correggere una situazione di fatto che consentiva vicende come quelle di cui è stata protagonista la Banca d’Italia all’epoca delle offerte di Abn Amro e Bbva rispettivamente su Antonveneta e Bnl, e quella simile in Polonia per il caso Unicredit-Hvb. In merito cfr. F. VELLA, Nuovo statuto, nuova vigilanza, in ww.lavoce.info, 27 novembre 2006, che, nel commentare la citata Proposta, sottolinea come, “alla luce della irresistibile tentazione da parte delle Autorità di alcuni Stati membri di interpretare i controlli di sana e prudente gestione come un comodo strumento per selezionare gli operatori in base, non alle loro capacità industriali, ma al colore della bandiera (preferibilmente nazionale), la Commissione europea si proponeva di rendere “più oggettive le valutazioni di vigilanza sulle acquisizioni di partecipazioni nelle banche”. Le nuove regole intendono “sancire il definitivo tramonto della tanto amata sana e prudente gestione, ma inevitabilmente continuano a lasciare alle Autorità di vigilanza uno spazio di discrezionalità”. - 66 - - l’esistenza di motivi ragionevoli per prospettare che, in relazione al progetto di acquisizione, sia in corso o abbia avuto luogo un’operazione o un tentativo di riciclaggio di proventi di attività illecite o di finanziamento del terrorismo o che il progetto di acquisizione potrebbe aumentare il rischio di simili atti228. Ad una prima, seppur sommaria, valutazione, non può sfuggire come il testo della proposta, pur introducendo un elenco chiuso di criteri per valutare l’acquirente, contribuendo così all’armonizzazione del trattamento delle domande di concentrazione e di acquisizione, in realtà faccia “riferimento a requisiti come quello della << reputazione del candidato acquirente >> o della sua << solidità finanziaria >> che a ben vedere non si distanziano poi troppo, forse ne sono una integrazione e specificazione, dalla tanto vituperata sana e prudente gestione”229. Le autorità competenti potranno, dunque, opporsi al progetto di acquisizione solo se sussistono ragionevoli motivi per farlo in base ai citati criteri o se le informazioni fornite dal candidato acquirente sono incomplete230. Sempre nell’ottica tesa ad eliminare, in sede di recepimento, la concessione di margini di discrezionalità e di flessibilità alle autorità competenti, la proposta prevede che gli Stati membri debbano astenersi dall’imporre condizioni preliminari per quanto riguarda il livello della partecipazione da acquisire231; essi, inoltre, non potranno consentire alle rispettive autorità competenti di esaminare l’acquisizione sotto il profilo delle necessità economiche del mercato232. A tal proposito, occorrerà pubblicare l’elenco delle informazioni, necessarie per compiere la valutazione, che dovranno essere fornite alle autorità competenti all’atto della notifica. Le informazioni richieste, peraltro, dovranno essere proporzionate e adeguate alla 228 Si tratta del nuovo art. 19-bis, §. 1, della dir. n. 2006/48/CE introdotto dall’art. 5, §. 3, della Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2006/166/(COD). 229 Così F. VELLA, Le Autorità di vigilanza: non è solo questione di architetture, relazione al Convegno “Imprese e investitori. Crescita, tutele, interessi”, Roma 29 gennaio 2007, disponibile sul sito www.associazionepreite.it, p. 8. In sostanza, – prosegue l’Autore – “la sensazione che si ricava è che ci sia uno << zoccolo duro >> di discrezionalità nell’operato della vigilanza al quale non si può rinunciare, e al quale è forse sbagliato rinunciare. A me sembra che, se questo tratto appena descritto rappresenta una caratteristiche ineliminabile del modello di vigilanza, ci si debba muovere nella stessa prospettiva delineata da un documento del 2004 dell’ECOFIN dove, proprio con riferimento alla regolamentazione degli assetti proprietari delle banche, si richiamava la necessità di criteri più oggettivi, ma nel contempo si sottolineava l’opportunità di un sistema che potremmo definire dei “contrappesi”, con particolare riferimento a: 1) una più forte esplicitazione ex ante e ex post delle motivazioni adottate (la public disclosure); 2) la puntuale e trasparente procedimentalizzazione delle fasi decisorie ed esecutive; 3) adeguati meccanismi di “revisione” delle decisioni adottate”. 230 Cfr. nuovo art. 19-bis, comma 2, dir. 2006/48/CE. Se al termine della loro valutazione decidono di opporsi al progetto di acquisizione, le autorità competenti saranno tenute a informare per iscritto il candidato acquirente entro due giorni lavorativi e dovranno indicare le ragioni della loro decisione. Fatta salva la legislazione nazionale, inoltre, un’adeguata motivazione della decisione potrà essere resa pubblica su richiesta del candidato acquirente. Ma – viene precisato – ciò non impedisce ad uno Stato membro di consentire all’autorità competente, anche in assenza di siffatta richiesta, di rendere pubblica tale motivazione. Se, invece, entro il termine per la valutazione, le autorità competenti non manifestano la loro opposizione per iscritto, il progetto di acquisizione è da considerarsi approvato. 231 Con “partecipazione qualificata”, le cinque direttive intendono il fatto di detenere in un’impresa direttamente o indirettamente almeno il 10% del capitale o dei diritti di voto o qualsiasi altra possibilità di esercitare una notevole influenza sulla gestione dell’impresa in cui la partecipazione è detenuta. La direttiva non impedisce agli Stati membri di esigere che le autorità competenti siano informate dell’acquisizione di partecipazioni al di sotto delle soglie fissate, nella misura in cui, a tal fine, uno Stato membro non impone più di una soglia supplementare al di sotto del 10%, né impedisce alle autorità competenti di fornire un orientamento generale per quanto riguarda il momento in cui tali partecipazioni sarebbero ritenute tali da dar luogo ad una influenza significativa. 232 Così nuovo art. 19-bis, comma 3, della dir. n. 2006/48/CE. - 67 - natura del candidato acquirente e del progetto di acquisizione e non potranno essere richieste “informazioni che non sono pertinenti per una valutazione prudenziale”233. Nella direttiva viene anche precisato che qualora all’autorità competente vengano notificati due o più progetti di acquisizione o di incremento di partecipazioni qualificate nella stessa impresa bancaria, “tale autorità tratta i candidati in modo non discriminatorio”234. Infine, la direttiva riduce il periodo di valutazione da tre mesi a sessanta giorni, e permette alle autorità di vigilanza di sospendere l’operazione una sola volta, a condizioni ben precise235. 6. La disciplina delle partecipazioni dei soggetti esteri. Descritta la disciplina degli assetti proprietari delle banche in ambito comunitario, pare opportuno, per fini di completezza del quadro di riferimento, porre la dovuta attenzione anche al caso prticolare in cui ad acquisire una partecipazione rilevante nelle banche siano soggetti appartenenti a Stati extracomunitari. In tale ipotesi, l’art. 19, comma 8, T.u.b. rimette al potere politico la possibilità di vietare l‘accesso di soggetti extracomunitari al capitale delle banche nazionali e, nella versione attuale, si limita ad esplicitare come possibile ragione del divieto le condizioni di reciprocità. V. nuovo art. 19-bis, comma 4, della dir. n. 2006/48/CE. Cfr. art. 19-bis, comma 5, della dir. n. 2006/48/CE introdotto dall’art. 5, §. 3, della Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2006/166/(COD). Inoltre, ritenendo opportuno che la Commissione sia in grado di controllare l’applicazine delle disposizioni relative alla valutazione prudenziale delle acquisizioni, il compromesso prevede che gli Stati membri cooperino con essa fornendo, al termine della procedura di valutazione, informazioni inerenti alle valutazioni prudenziali effettuate dalle autorità nazionali competenti, qualora tali informazioni siano richieste al solo scopo di determinare se gli Stati membri hanno violato i loro obblighi ai sensi della presente direttiva. Per un precedente significativo cfr. A. OLIVIERI, Abn si appella a Banca d’Italia, in Il sole 24 ore, 14 maggio 2005, p. 3. Il TAR Lazio sent. n. 6157/2005, cit., ha riconosciuto la piena legittimità degli atti con cui la Banca d'Italia aveva autorizzato la BPL (ora BPI) a raggiungere il possesso del 29,9 per cento del capitale di Antonveneta. I giudici hanno preliminarmente escluso un trattamento di favore concesso a BPL con l'adozione di provvedimenti autorizzativi in tempi più ristretti di quelli impiegati per ABN, in quanto in ogni caso le due istanze delineavano situazioni distinte (quella di BPL orientata all'acquisizione di partecipazioni di minoranza, sia pure qualificata; quella di ABN finalizzata al controllo), che meritavano processi valutativi distinti. Per ulteriori elementi chiarificatori v. A. FAZIO, Aggiornamento dell’informativa sul mutamento degli assetti di controllo di alcuni gruppi bancari italiani, Relazione del Governatore della Banca d’Italia nella Riunione del CICR del 26 agosto 2005, in Il Sole 24 Ore, 27 agosto 2005, p. 5 s. La descrizione di tali operazioni ha, in particolare, permesso di evidenziare i diversi momenti dell’attivazione dei poteri autorizzativi e di controllo dell’Autorità di vigilanza. 235 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Draft Commission Consolidated Jurisdictional Notice under Council Regulation (EC) No. 139/2004 on the control of concentrations between undertakings (the "Merger Regulation"), del 28 settembre 2006. Se, infatti, la Commissione proponeva di concedere 30 giorni lavorativi alle autorità di vigilanza per decidere in merito a un’offerta di acquisizione transfrontaliera [v. art. 5, §. 2, lett. a), della Proposta di direttiva 2006/166/(COD)], Parlamento e Consiglio hanno fissato un termine di 60 giorni lavorativi. Questa data di scadenza, inoltre, dovrà essere comunicata al candidato acquirente. Viene anche precisato che, durante il termine per la valutazione ma non oltre il cinquantesimo giorno, le autorità competenti possono richiedere ulteriori informazioni necessarie per completare la propria valutazione. A ciò si aggiunge che, per il periodo compreso tra la data di richiesta di informazioni e il ricevimento della risposta, il decorso del termine viene sospeso. Questa sospensione, come indicato nel nuovo §. 4 inserito nell’art. 12 della dir. n. 2006/48/CE, non potrà però superare 20 giorni lavorativi. Mentre eventuali ulteriori richieste di completamento o chiarimento delle informazioni presentate “sono a discrezione” delle autorità, “ma non possono dare luogo ad una sospensione del decorso del termine”. Le autorità competenti, peraltro, possono prorogare la sospensione fino a un massimo di 30 giorni lavorativi qualora il candidato acquirente risieda fuori dalla Comunità o sia soggetto a una regolamentazione non comunitaria, oppure se si tratta di una persona fisica o giuridica non sottoposta alla vigilanza prevista dalle direttive comunitarie. 233 234 - 68 - Il trasferimento di funzioni alla Banca d’Italia, attuato dalla legge n. 262/2005 con riferimento all’autorizzazione allo stabilimento in Italia della prima succursale di banca extracomunitaria, non tocca anche la componente politica. I soggetti appartenenti a Stati extracomunitari devono dunque rivolgere domanda di autorizzazione ex art. 19, commi 1 e 3, alla Banca d’Italia che la comunica al Ministro dell’economia, qualora il soggetto provenga da uno Stato che non assicura condizioni di reciprocità. Su proposta del Ministro, il Presidente del Consiglio dei ministri può vietare l’autorizzazione. La norma sostituisce una precedente disposizione della legge n. 287/1990 (art. 27, ult. comma) che, in palese contraddizione con la normativa europea tesa alla creazione di un mercato unico, trovava applicazione, senza alcuna distinzione, tra soggetti appartenenti a Stati membri dell’Unione e quelli non aderenti alla stessa. Si prevedeva, in particolare, che il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del Tesoro, previa comunicazione della Banca d’Italia, potesse “vietare l’autorizzazione nel caso di operazioni di acquisizione di partecipazioni da parte di enti o imprese di Stati che non tutelano l’indipendenza degli enti creditizi con norme di effetto equivalente (…) o applicano disposizioni discriminatorie o impongono clausole aventi effetti analoghi nei confronti di acquisizioni da parte di imprese o enti italiani”236. Si trattava di una norma di chiusura, di non facile interpretazione, che ricalcava la previsione già contenuta nell’art. 25, comma 2, della legge 287/1990 sui poteri del Governo in materia di operazioni di concentrazione. Entrambe le disposizioni erano dirette a svolgere una funzione di “presidio dell’economia nazionale”. Il giudizio di incompatibilità, già sostenibile in sede interpretativa, risultava rafforzato dalla circostanza che il controllo degli assetti proprietari costituiva una materia oggetto di armonizzazione minimale da parte della seconda direttiva Cee237. Ne conseguiva, già allora, che in ogni Stato della Comunità dovesse ritenersi comunque garantita “l’indipendenza degli enti creditizi con norme di effetto equivalente”. Per i soggetti appartenenti a Stati membri dell’Unione la disciplina comunitaria (artt. 7 e 11 dir. n. 89/646/CEE, poi sostituiti dagli artt. 12 e 16 dir. 2000/12/CE) si lmita a prevedere che la valutazione dell’acquisto formi oggetto di una consultazione preventiva con le autorità competenti dello Stato dove ha sede la banca acquirente. Peraltro, l’intervento di modifica compiuto con il d.lgs. n. 481 del 1992, di attuazione della seconda direttiva Cee, non si era limitato a circoscrivere l’applicazione della previsione in esame ai soggetti appartenenti a Stati extracomunitari, ma aveva anche riguardato i presupposti oggettivi della fattispecie. Venivano così eliminate le precedenti “causali” previste dalla disposizione originaria, soprattutto quella che richiedeva l’esistenza di norme equivalenti a quelle nazionali a tutela dell’indipendenza delle banche. Il giudizio di equivalenza poteva avere infatti una giustificazione logica limitatamente al caso di operazioni di acquisto di partecipazioni da parte di banche extracomunitarie in banche nazionali. In tutti gli altri casi, quando cioè il soggetto interessato all’operazione risultava essere un’impresa bancaria comunitaria, sfuggiva la ragione per la quale si richiedesse una disciplina equivalente nel Paese d’origine238. Cfr. T. DI BIASE e A. MAGLIOCCO, op. cit., p. 127 ss. In tal senso v. V. MUNARI, La legge 10 ottobre 1990 n. 287 ed i suoi rapporti col diritto comunitario. Primi appunti, in Dir. fall., 1991, I, p. 173 ss. 238 Del resto, come si avrà modo di precisare in altra parte del presente lavoro, sia consentito rilevare come, al di fuori delle iniziative internazionali volte a creare l’Unione europea anche sotto il profilo normativo del 236 237 - 69 - L’esegesi dell’attuale disciplina porta a ritenere che, nel sottrarre il provvedimento alla competenza della Banca d’Italia, la norma qui considerata sostituisca i criteri autorizzativi previsti in generale. Del resto, il contenuto del provvedimento del governo – che è solo quello di divieto politico dell’operazione – non si incentra sul criterio della “sana e prudente gestione”, ma verte esclusivamente sulla verifica dell’esistenza di condizioni di reciprocità nell’ordinamento del Paese di provenienza dell’acquirente. Non sembra invece potersi attribuire lo stesso carattere alle valutazioni preliminari affidate alla Banca d’Italia, alla quale la legge riconosce il potere di attivare un particolare procedimento. L’esame della Banca d’Italia sulla “reciprocità” non può essere che di carattere “tecnico”, basato cioè sull’analisi del trattamento che viene riservato agli operatori nazionali nel Paese extracomunitario239. Infine, occorre considerare cosa potrebbe accadere nel caso in cui il Presidente del consiglio ritenesse che non si debba vietare l’operazione. Appare discutibile, infatti, sostenere se egli possa in tal caso concedere direttamente l’autorizzazione o se debba invece darne comunicazione alla Banca d’Italia, consentendole in tal modo di procedere nel suo normale iter autorizzativo. La dottrina sembra propendere per quest’ultima soluzione, dato che sottrarre al sindacato di conformità alla sana e prudente gestione anche l’acquisizione di partecipazioni qualificate determinerebbe in tale ipotesi un’ingiustificata disparità di trattamento240. mercato bancario, non può pensarsi che il legislatore di un singolo Paese possa darsi carico dell’esigenza di tutelare l’indipendenza delle banche vigilate dalle Autorità di altri Stati membri. 239 Così C. BRESCIA MORRA, L’impresa bancaria, cit., p. 211. 240 In tal senso v. A. ANTONUCCI, Diritto delle banche, 3° ed., cit., p. 182. - 70 - Capitolo III LE OFFERTE PUBBLICHE DI ACQUISTO TRA DISCIPLINA GENERALE SOCIETARIA E DISCIPLINA SPECIALE BANCARIA SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Le offerte pubbliche di acquisto. Nozione e tipologie. - 3. L’opera di razionalizzazione e di semplificazione dell’impianto della disciplina sulle Opa nel T.u.f. Definizione del campo di indagine. - 4. Gli obblighi informativi connessi allo svolgimento di un’offerta pubblica di acquisto. 4.1. La nuova disciplina del procedimento di offerta. - 5. Lo svolgimento dell’offerta: irrevocabilità dell’offerta e parità di trattamento. - 5. Il comunicato della società emittente. - 7. Il divieto di contrastare l’offerta. - 7.1. (Segue): La decorrenza della passivity rule e gli interessi protetti. - 8. Il procedimento per il lancio di un’Opa bancaria. Il problema del rapporto tra normativa sulle società quotate (le regole generali sull’Opa) e normativa speciale sulle imprese bancarie. - 8.1. (Segue): In particolare: il rapporto tra obbligo di “informativa preventiva” e obbligo di tempestiva comunicazione alla Consob e al mercato nel sistema previgente. - 8.2. (Segue): Il perfezionamento del negozio di acquisto delle partecipazioni bancarie in caso di Opa. - 8.3. (Segue): Il conflitto fra le disposizioni della Consob e le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia. - 9. Coordinamento e cooperazione tra supervisori in funzione del corretto funzionamento del mercato. 1. Premessa. Nel presente capitolo si cerca di operare una rilettura della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto in chiave di strumento atto a garantire l’efficiente allocazione della proprietà delle società bancarie quotate, in quanto in grado di favorire, da un lato, un consapevole ed autonomo processo di formazione della volontà da parte dell’azionista nella scelta di vendere e, dall’altro, il rispetto della regola di correttezza e trasparenza in capo ai soggetti interessati all’operazione. La connotazione delle operazioni oggetto di esame è comunque data dalla loro intrinseca rilevanza nelle vicende legate al mutamento del controllo societario241. Un’ulteriore prospettiva di analisi delle regole vigenti viene inoltre condotta, quando necessario, attraverso la comparazione di queste con i principi fondamentali indicati nella recente direttiva comunitaria in materia di Opa242. Nella fattispecie delle Opa bancarie, l’esistenza di diverse specifiche discipline interessate dall’operazione implica che l’intero procedimento di offerta debba essere coordinato con le procedure peculiari previste dalle singole normative di settore. Si tratta indubbiamente di un eccesso di regole che non si sottrae alle motivate obiezioni di quanti disapprovano il ricorso a policies ancora fortemente caratterizzate da una intenzione dirigista. L’assenza di garanzie atte a “livellare il terreno di gioco” si ricollega al noto problema del contemperamento tra il principio della efficienza dei mercati (nella specie, del mercato dei diritti di proprietà) e la tutela della Cfr. A. FAZIO, Considerazioni finali del Governatore, Assemblea generale dei partecipanti, Roma 31 maggio 2005, in Riv. bancaria, n. 2-3, 2005, p. 32 s. 242 Per un approfondito commento delle disposizioni contenute nella dir. 2004/25/CE (in G.U.U.E. L 142 del 30 aprile 2004, p. 12) in materia di offerte pubbliche di acquisto sia consentito rinviare a L. SCIPIONE, La direttiva europea in materia di OPA: profili generali e aspetti comparatistici, in Riv. dir. impr., I, 2005, p. 163 ss.; ID, La nuova disciplina dell’Opa europea: un’ipotesi di regolamentazione minimale, in Riv. dir. banca e merc. finanz., 2005, I, 2, p. 22 ss. Sottesa a tutte le questioni finora considerate è infatti quella delle norme legislative e dei regolamenti con cui lo Stato e le Autorità di vigilanza che ne hanno facoltà regolano i comportamenti delle imprese, finanziarie e non. È questa la leva primaria con cui possono essere ridotti – o, al contrario, accresciuti – gli ostacoli del mercato della riallocazione proprietaria delle imprese. 241 - 71 - stabilità dell’intermediario bancario. Questi due obiettivi, infatti, seppur non ritenuti in linea di principio contrastanti, possono divenire conflittuali nel breve termine. Si manifesta, per tali ragioni, l’esigenza di sottoporre ad analisi l’intreccio che si realizza fra diritto del mercato societario e disciplina speciale delle banche, al fine di valutare se la ripartizione dei compiti fra le due aree, l’una estesa (anche se in forme diverse) a tutte le imprese quotate, l’altra limitata al settore regolato delle imprese bancarie, sia equilibrata, e se le profonde innovazioni introdotte negli ultimi anni nel diritto del mercato finanziario, che hanno formalmente allineato l’Italia ai Paesi dove il mercato svolge un ruolo di massimo rilievo, siano effettivamente adeguate alla particolare struttura proprietaria delle banche nostrane. Naturalmente, nell’analisi che sarà condotta, verranno approfondite con maggiore dettaglio le questioni più specificamente e direttamente concernenti la fase di avvio della disciplina delle offerte pubbliche d’acquisto, mentre le altre problematiche saranno esaminate, nei limiti dell’incidenza che sono suscettibili di avere in operazioni del genere, nel capitolo successivo, essendo una loro trattazione di carattere generale improponibile in questa sede. 2. Le offerte pubbliche di acquisto. Nozione e tipologie. L’offerta pubblica di acquisto, come è noto, è un istituto giuridico che ha la funzione di temperare alcuni effetti economici che si avverano in conseguenza del trasferimento del controllo delle società quotate. In tal senso, l’Opa è una forma di “democrazia economica” che ha tra i suoi grandi meriti quello di far partecipare i soci di minoranza al vantaggio economico del passaggio di controllo delle società243. Non solo, la previsione da parte dell’ordinamento giuridico di tale istituto persegue come obiettivo principale anche l’efficienza economico-allocativa del capitale di rischio244: aumentando la contendibilità delle aziende si impedisce che i gruppi di controllo restino inerti e sclerotizzati. Tra i due obiettivi esiste un trade-off piuttosto marcato245. 243 Cfr. M. MARTINI, F. BLANQUET, J.R. MACEY, M.J. VANEL, N. HINTON, E. WYMEERSCH e S. PREDA, Seminario internazionale in materia di OPA, in Quaderni di finanza CONSOB, n. 32, Marzo 1999, p. 3 ss.; C. BRESCIA MORRA e C. SALLEO, Trasferimento del controllo societario e Opa obbligatoria: profili di efficienza ed equità, in Banca impresa società, 2002, 3, p. 462 ss.; B. QUATRARO e L. PICONE, Manuale teorico-pratico delle offerte pubbliche d’acquisto e di scambio, Milano, 2004, p. 18 ss. In dottrina si è posto un problema di aggiustamenti della normativa che, tenuto conto dell’impatto che le norme stesse hanno mostrato di poter produrre sul sistema che sono chiamate a disciplinare, ne correggano i difetti per meglio tutelare gli interessi a presidio dei quali sono state dettate, e per migliorare i loro effetti sul sistema generale. 244 Per riferimenti più ampi sul punto, nella letteratura economica, si rinvia a F. PANUNZI e M. POLO, Corporate governance e mercato dei capitali. Un’analisi economica della regolamentazione dei takeover, in G. AIROLDI e G. FORESTIERI (a cura di), Corporate Governnce. Analisi e prospettive del caso italiano, Milano, 1998, p. 52 ss.; M. MARTINI, The new italian law on takeover bids, in Consob, Quaderni di Finanza, Seminario internazionale in tema di Opa, n. 32, marzo 1999, p. 7 ss.; G. SICILIANO, La regolamentazione dei trasferimenti del controllo e delle acquisizioni delle società quotate, in Consob, Quaderni di Finanza, n. 24, gennaio 1998, p. 7 ss.; C. VAN DEE ELST, The financial market, ownership structures and controls: towards an international harmonization, in Atti di Convegno, Università degli Studi di Siena, Facoltà di Economia “R.M. Goodwin”, 30 e 31 marzo 2000; nonché P. DE GIOIA CARABELLESE, Le offerte pubbliche di acquisto obbligatorie di strumenti finanziari, in M. PASSALACQUA (a cura di), Interessi pubblici e integrazione di imprese, Università degli Studi di Pisa, Collana “Jura Oeconomia”, Pisa, 2005. 245 Nella maggior parte dei paesi industrializzati la discplina del procedimento di Opa è tesa a garantire trasparenza, serietà e correttezza dell’operazione. Nella fase iniziale di elaborazione di una prima disciplina dell’offerta pubblica di acquisto, la preoccupazione primaria del legislatore italiano fu soprattutto quella di accertare se la tecnica dell’Opa, così come risultava congegnata nel nostro mercato, potesse considerarsi idonea a stabilire corretti e soddisfacenti rapporti tra imprese e pubblico dei risparmiatori: quei rapporti sulla cui stabilità e solidità doveva fondarsi qualsiasi tentativo di migliorare l’efficienza del mercato azionario; in merito cfr. F. CESARINI, Le offerte pubbliche di azioni nell’esperienza italiana (1961-marzo 1973), in Riv. soc., 1973, p. 165. Nei principali ordinamenti stranieri, peraltro, sono riscontrabili posizioni sostanzialmente diverse con riguardo ai - 72 - L’offerta pubblica di acquisto è, in senso stretto, una particolare tecnica negoziale di acquisizione di strumenti finanziari sul mercato dei capitali, che si perfeziona attraverso un complesso iter procedimentale, suddiviso in una serie di fasi necessarie la cui successione consente di pervenire alla stipula di un valido contratto di compravendita. L’iter inizia con la proposta contrattuale rivolta ad incertam personam dall’offerente, raccolta in un documento, reso pubblico, contenente gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione la proposta è diretta; prosegue con le adesioni degli oblati, i quali accettano incondizionatamente la proposta contrattuale; e termina, in caso di successo, con il passaggio di proprietà degli strumenti finanziari oggetto dell’offerta ed il pagamento del corrispettivo. La caratteristica principale dell’Opa rispetto agli altri strumenti che permettono il ricambio del controllo di una società (fusione o trattativa privata con l’azionista di maggioranza) sta nel fatto che la medesima può essere promossa anche contro la volontà del gruppo di comando della società target. Quando ciò avviene, l’operazione prende il nome di offerta ostile o aggressiva (hostile takeover); quando, al contrario, il lancio dell’offerta è preceduto (o seguito) dall’approvazione del management della società bersaglio, si parla di offerta amichevole (friendly takeover). L’offerta pubblica, infatti, si è largamente diffusa anche nella sua versione “negoziata”, come operazione concordata tra il gruppo offerente e il gruppo di controllo della società. 3. L’opera di razionalizzazione e di semplificazione dell’impianto della disciplina sulle Opa nel T.u.f. Definizione del campo di indagine. Le nuove regole relative alle offerte pubbliche di acquisto, introdotte con l’emanazione del Testo unico della finanza, costituiscono, indubbiamente, una disciplina che innova in maniera radicale il sistema normativo previgente246, sia per il profilo sistematico che per quello dei contenuti precettivi. diritti degli azionisti di minoranza in caso di offerte pubbliche di acquisto che comportino l’acquisizione del controllo di una società. Secondo un primo approccio (c.d. Market Rule) l’ordinamento non interviene nelle scelte del mercato (Stati Uniti), mentre secondo altri filoni di studio (Equal Opportunity Rule) la regolamentazione dell’Opa deve essere volta a perseguire il principio di pari opportunità economiche fra azionista di maggioranza ed azionisti di minoranza, disponendo l’obbligo – a carico di chi acquisisca il controllo di una società (o superi una determinata soglia quantitativa di partecipazione al capitale della società con diritto di voto) – di lanciare un’offerta pubblica di acquisto nei confronti di tutti i portatori dei titoli della società (Inghilterra, Francia e Italia) ad un prezzo che include in tutto o in parte il “premio di controllo” (ossia il prezzo pagato al precedente controllante, normalmente più alto di quello di mercato delle azioni). In particolare, in base all’esperienza francese si possono distinguere tre finalità. L’Opa può consentire un investimento minoritario di portafoglio (offre de placement ) senza, in tal modo, turbare il mercato. L’Opa serve, talvolta, a rafforzare il controllo (offre de retrait, de nettoyags, de fermeteur du capital ), sia per mettersi al riparo da attacchi altrui, sia per inserire definitivamente la società nel gruppo, eliminando le pretese dei minoritari. Infine, l’Opa, nelle società quotate, rappresenta lo strumento più imparziale per acquistare il controllo, onde è soprattutto questo profilo che ispira ormai la regolamentazione dei paesi più progrediti; sul punto crf. R. WEIGMANN, Offerte pubbliche di acquisto (OPA), in Enc. Giur., XXI, Roma, 1990, p. 1. “Se effettivamente offerta di acquisto ed offerta di scambio siano suscettibili di una disciplina omogenea dovrà essere argomento di attenta meditazione (l’esperienza francese – come già si è notato – sembrerebbe deporre per una regolamentazione ampiamente differenziata)”, così P.G. MARCHETTI, L’offerta pubblica di acquisto in Italia, in Riv. soc., 1971, p. 1164. 246 Da anni, negli ordinamenti finanziari più evoluti, il fenomeno dell’Opa aveva assunto un’enorme rilevanza. Basti pensare che le offerte pubbliche a fine di controllo (take-over bid) erano state impiegate nel Regno Unito e negli Stati Uniti già negli anni Quaranta, quale tecnica per ottenere il controllo senza dover seguire il tradizionale procedimento di fusione. Al contrario, vigeva in Italia un diffuso scetticismo circa la possibilità che l’Opa potesse radicarsi anche nel nostro Paese quale normale e frequente tecnica di concentrazione. Per un’analisi comparativa sulla disciplina legale, professionale e sulla prassi delle offerte pubbliche all’epoca vigente negli Stati membri della Comunità Europea cfr. A. FERRARA, Disciplina e prassi operative nelle offerte pubbliche di acquisto; alcune - 73 - Le decisioni fondamentali sulla società oggetto di Opa vengono lasciate nelle mani degli azionisti, la cui tutela è rafforzata dalla previsione di specifiche condizioni di obbligatorietà dell’Opa e da stringenti vincoli di trasparenza e di frequenza delle comunicazioni sociali, che danno al mercato e agli operatori maggiore copia di informazioni per una corretta valutazione economica dei termini di ciascuna operazione. La disciplina delle Opa delineata dal Testo unico della finanza, che ha recepito i principi ispiratori della tredicesima direttiva comunitaria sulla legislazione societaria e dei più evoluti ordinamenti esistenti in Europa247, può, infatti, considerarsi innovativa sotto molteplici aspetti; esperienze estere a confronto con il caso italiano, L’intermediazione finanziaria in evoluzione, Milano, 1987, p. 426 ss.; R.R. PENNINGTON, Relazione sulle offerte pubbliche di acquisto di titoli a fini di controllo e sulle altre offerte pubbliche, in Riv. soc., 1975, p. 730 ss. In particolare, l’esperienza straniera di quegli ultimi anni aveva posto in luce quali erano le profonde ripercussioni economiche e finanziarie che l’offerta pubblica era in grado di generare, gli abusi che ad essa si accompagnavano in assenza di un’adeguata regolamentazione del fenomeno, ma anche e soprattutto la sua peculiare duttilità come tecnica di concentrazione e i notevoli vantaggi che ne potevano derivare a favore del pubblico dei risparmiatori; in tal senso cfr. F. CESARINI, Le offerte pubbliche di azioni nell’esperienza italiana (1961marzo 1973), in Riv. soc., 1973, p. 165 ss.; A. JANNUZZI, Offerte al pubblico di acquisto o vendita di azioni, in La riforma delle società per azioni e della borsa valori, Milano, 1976, p. 115 ss.; M. SCHLESINGER, La riforma Draghi: Le novità per le società quotate, in Il Corr. Giur., n. 4/1998, p. 449 ss. In Italia, al l’aspetto patologico tendeva a prevalere quale carattere tipico dell’offerta pubblica d’acquisto. Il fenomeno dell’Opa in veste “aggressiva” si manifestò per la prima volta nel 1971, quando un gruppo internazionale tentò l’acquisto della finanziaria Bastogi. Tale operazione si configurò come una scalata di posizioni di potere e come manovra di borsa per la tutela di interessi di parte e per l’accaparramento di nuovi privilegi. Per un primo commento v. P.G. MARCHETTI, L’offerta pubblica di acquisto in Italia, cit., p. 1155 ss.; CATTANEO e CORALLINI, Le Opa e l’affare Bastogi, Perugia, 1972. Inoltre, per un’analisi delle problematiche emerse nel corso della c.d. “guerra del vetro” per il controllo della Saint Gobain v. G. MINERVINI, Un Take Over Bid clamoroso alle porte di casa nostra (l’affare Saint Gobain), in Riv. dir. civ., 1969, II, p. 545 ss. Negli ambienti interessati, la preoccupazione dominante risultava essere quella di prevenire gli abusi ed i pericoli che erano insiti nella tecnica del takeover. Questo approccio non consentiva però di prendere nella dovuta considerazione (valorizzare) anche e soprattutto i benefici che da essa potevano derivare. Ciò rendeva comunque necessario incanalare la tecnica dell’Opa nell’alveo di una disciplina specifica in grado di regolarne gli innumerevoli aspetti problematici. Per un’analisi, seppure in estrema sintesi, dei lineamenti caratterizzanti la previgente disciplina, con riguardo soprattutto ai principali nodi ermeneutica posti dalla stessa, sia permesso rimandare a L. SCIPIONE, L’evoluzione della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto, in G. FALCONE, G. ROTONDO e L. SCIPIONE (a cura di), Le offerte pubbliche di acquisto, Milano, 2001, p. 7 ss. In merito cfr. pure A. MIGNOLI, Riflessioni critiche sull’esperienza dell’Opa: idee, problemi, proposte, in Riv. soc., 1986, p. 1 ss.; R. WEIGMANN, Offerte pubbliche di acquisto (OPA), cit., p. 2. Sul tema si veda, inoltre, F. CESARINI, op. cit., p. 145 ss.; A. ASTOLFI, Offerta pubblica di acquisto, in CARNEVALI (a cura di), Diz. Dir. Priv., Irti, II, Diritto Commerciale e Industriale, Milano, 1981, p. 646 ss. 247 Le norme che regolano l’offerta pubblica d’acquisto in Italia sono assolutamente simili a quanto prevedono le legislazioni britannica e francese: seguono la stessa logica, hanno le stesse caratteristiche e regole quasi uguali. Il Regno Unito vanta senza dubbio la disciplina più accurata e moderna delle offerte pubbliche di acquisto nel panorama europeo. Le Opa in Gran Bretagna, infatti, hanno visto emergere un’autoregolamentazione di categoria che fa perno su un codice etico, di cui l’autodisciplina professionale e il tipico fair play britannico sono i tratti distintivi (sui takeover bids in Gran Bretagna e sulle connesse problematiche di carattere giuridico ed economico si segnalano in particolare le seguenti opere: AA.VV., The City Take-over Code, a cura di JOHNSTON, Oxford, 1980; M.A. WEINBERG e M.V. BLANK, Take-overs and Mergers, London, 1979; R.W. MOON, Business Mergers and Take-overs Bids, London, 1976, AA.VV., Reading on Mergers and Takeovers, a cura di SAMUELS, London, 1972; A. SINGH, Take-overs: their relevance to the Stock Market and the Theory of the Firm, Cambridge, 1971). Come si vede, infatti, la formazione di un codice creato dai privati per la tutela delle proprie esigenze di classe attribuisce primaria rilevanza alla posizione della massa degli investitori che costituiscono l’asse portante del sistema in cui tale classe opera. Si cerca, quindi, di alimentare la fiducia del risparmiatore nella borsa, ponendo quale fondamento generale dei rapporti che si realizzano con l’intervento degli operatori professionali il principio della parità di trattamento. Al riguardo cfr. E. LAPLANTE e P. ROUAST BERTIER, The exclusion of minority shareholders, in A legal guide to France, Suppl. Int. Fin. L. Rev., 1995, p. 30 ss.; G.K. MORSE, The City Code on Takeovers and Mergers – Self Regulation or Self Protection?, in J. Bus. L., 1991, p. 509; F. HEATON, The Panel on Takeovers and Mergers, in AA.VV., A Practitioner’s Guide to the City Code on Takeovers and Mergers, London, 1994, p. 13 ss; ed ancora LORD ALEXANDER of WEEDON, Takeovers: The Regulatory Scene, in J. Bus. L., 1990, p. 211. - 74 - essa è ispirata a principi chiaramente individuati e realizza tra di essi un bilanciamento nuovo e più orientato al mercato248. Quale conseguenza di questo mutato approccio, sotto il profilo dei “presupposti” dell’offerta, la normativa vigente, facendo tesoro della sofferta evoluzione precedente, si è consolidata, o meglio polarizzata, attorno ai due istituti dell’offerta volontaria, di carattere preventivo, e di quella obbligatoria, di carattere successivo, di cui si tratterà in maniera più diffusa nel capitolo seguente249. Il legislatore opportunamente distingue, nell’ambito della disciplina generale sull’appello al pubblico risparmio (Titolo II della parte IV), quella sulla offerta al pubblico di sottoscrizione e vendita250, contenuta nel capo I, da quella sulle offerte pubbliche di acquisto o di scambio, contenuta nel capo II (artt. 102-112). Secondo una tecnica legislativa che è stata definita a “doppio binario”, quest’ultimo capo è poi suddiviso in due sezioni, la prima dedicata alle “disposizioni generali” (artt. 102-104), la seconda alle “offerte pubbliche di acquisto obbligatorie” (artt. 105-112)251. Le disposizioni generali, che concernono non solo l’informazione, ma anche le caratteristiche dell’offerta, il procedimento e le regole di comportamento che devono essere osservate dai vari soggetti interessati, sono applicabili a tutte le Opa aventi come oggetto prodotti finanziari diffusi tra il pubblico252. Per contro, le disposizioni in tema di offerte pubbliche di acquisto obbligatorie (in cui, peraltro, sono enunciate le nuove tipologie di Opa: totalitaria, preventiva, residuale) si applicano limitatamente alle acquisizioni di azioni ordinarie quotate in mercati regolamentati italiani. 248 Cfr. C. DE GENNARO e R. RICCI, Studio dei casi più significativi di applicazione della legge sulle offerte pubbliche di acquisto (L.149/92) dalla sua entrata in vigore ad oggi, Roma, 1996. L’attenzione degli studiosi si sofferma principalmente sulla ricaduta della disciplina dell’Opa riguardo a tre tematiche, relative agli accordi parasociali, alla circolazione all’interno del gruppo, ai rapporti di controllo ed ai patti di sindacato, che sono tutte significative con riferimento al problema dell’efficiente allocazione della proprietà. In Italia, la disciplina delle offerte pubbliche di acquisto è stata introdotta dalla legge n. 216/74 (artt. 18 e ss.), successivamente integrata dagli artt. 9-37 della legge n. 149/92 che regolava specificamente le offerte pubbliche di acquisto o scambio aventi ad oggetto titoli (azioni, obbligazioni, ecc.) con diritto di voto e quotati in borsa o negoziati al mercato ristretto. Diversamente le Opa relative a titoli non quotati venivano assoggettate unicamente alla disciplina generale sulla sollecitazione al pubblico risparmio di cui alla legge n. 216/74. Il quadro normativo preesistente veniva poi complicato dall’affermazione, in linea di principio, di un rapporto di specialità fra regolamentazione delle offerte pubbliche di acquisto e scambio e quella di carattere generale sulla sollecitazione. In altre parole, dal combinato disposto di tali norme si ricavava lo “statuto generale delle offerte pubbliche”. In dottrina cfr. M. CALLEGARI, Commento sub art. 102, in La legge Draghi e le società quotate in borsa, diretto da G. COTTINO, Torino, 1999, p. 3; in merito cfr. anche M. DRAGHI, Audizione parlamentare 10 dicembre 1997, davanti alla Commissione Finanze e Tesoro della Camera dei Deputati, in Riv. soc., 1998 , p. 190. Sui problemi di coordinamento della precedente disciplina cfr. E. RIGHINI, Commento sub art. 9, in R. COSTI (a cura di), Disciplina delle offerte pubbliche di vendita, sottoscrizione, acquisto e scambio di titoli. Nuove leggi civili e commentate, 1997, p. 93 ss. 249 Il Testo Unico dei mercati finanziari ha riaffermato l’obiettivo della contendibilità del controllo proprietario sotto i vincoli della tutela degli azionisti di minoranza e di un livello adeguato di stabilità dei mercati, eliminando, inoltre, alcuni punti poco chiari della vecchia normativa. Al riguardo, si segnala, in particolare, lo studio di G. ROMAGNOLI, Tutela dell’investitore e dell’azionista tra spinte propulsive e resistenze: il caso della disciplina delle Opa obbligatorie, in Nuova giur. civ. comm., 2002, II, p. 504 ss. 250 L’intero Capo I (artt. 93-bis – 101) del T.u.f., prima intitolato “sollecitazione all’investimento”, è stato di recente sostituito dall’art. 3 del d.lgs. n. 51 del 28 marzo 2007 (riguardante l’attuazione della direttiva n. 2003/71/CE relativa al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari, che modifica la direttiva n. 2001/34/CE), pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 23 aprile 2007. 251 Sul punto cfr. M. DRAGHI, Audizione parlamentare 10 dicembre 1997, cit., p. 199; P. ANELLO e S. RIZZINI BISINELLI, D.Lgs. 58/1998. Sollecitazione all’investimento e offerta pubblica di acquisto, in Le società, 1998, p. 542 ss.; R. D’AMBROSIO, Commento sub artt. 102-112, in C. RABITTI BEDOGNI (a cura di), Il Testo unico dell’intermediazione finanziaria, Commentario al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Milano, 1998, p. 583 ss.; S. PROVIDENTI, Appello al pubblico risparmio, in L. LACAITA e V. NAPOLEONI (a cura di), Il Testo unico dei mercati finanziari, Milano, 1998, p. 33. 252 Per un commento critico cfr. F. CARBONETTI, La nuova disciplina delle offerte pubbliche di acquisto, in Riv. soc., 1998, p. 1352 ss. - 75 - Quanto all’iter procedurale, questo ricalca la disciplina previgente, articolandosi in obblighi informativi a carico dell’offerente e poteri dell’organo di vigilanza di chiedere notizie integrative ed autorizzare, se del caso, l’Opa. Per quanto concerne, invece, la regolamentazione degli aspetti sostanziali dell’operazione, il Testo Unico prevede l’irrevocabilità dell’offerta, garantisce la parità di trattamento di tutti gli azionisti e tutela adeguatamente la posizione degli aderenti nei casi di offerte pubbliche concorrenti. Per altro, il legislatore ha introdotto un’ampia delegificazione nella parte relativa al procedimento di offerta, limitando il proprio intervento all’enunciazione di norme di principio e al riequilibrio, rispetto alla disciplina previgente, delle posizioni dei soggetti coinvolti (offerente, emittente ed eventuali offerenti successivi)253. In materia di Opa obbligatoria, invece, la legge si limita ad indicare i casi in cui l’obbligo di Opa ricorre, sebbene ne individui in modo circostanziato i presupposti applicativi e gli effetti. La Consob, dal canto suo, dispone di un potere generale di adottare disposizioni attuative di quelle primarie (art. 112 T.u.f.)254, e interviene nella disciplina di alcuni aspetti già puntualizzati nei tratti essenziali dalle norme di rango primario255. È poi chiamata ad esercitare i poteri attribuitile dal legislatore, avendo riguardo alla tutela degli investitori nonché all’efficienza e alla trasparenza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali (art. 91 T.u.f.)256. 4. Gli obblighi informativi connessi allo svolgimento di un’offerta pubblica di acquisto. La questione più delicata e complessa legata alle Opa bancarie è certamente quella concernente la procedura informativa necessaria per il lancio di un’offerta pubblica d’acquisto 253 La Consob ha provveduto all’incarico attribuitole dal legislatore, normando in particolare la disciplina delle Opa con il regolamento adottato con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999. La “delegificazione” rappresenta, sotto questo profilo, un passo avanti rispetto al sistema della legge n. 149 del 1992, cristallizzato per buona parte in disposizioni di rango primario quindi più difficilmente adeguabili alle esigenze applicative. Ne risulta, pertanto, oltremodo ampliata la potestà normativa della Consob, in conformità con gli orientamenti stranieri considerati “finanziariamente più evoluti”; così R. LENER, La nuova disciplina delle offerte pubbliche di acquisto e scambio, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 243. 254 Sul ruolo del giudice amministrativo nella regolazione del mercato finanziario e sul suo sindacato in merito all’operato delle Autorità di vigilanza cfr., in particolare, G. PRESTI e M. RESCIGNO, La decorrenza della passivity rule tra delegificazione e sindacato giurisdizionale, in Banca borsa tit. cred., 2000, II, p. 133 ss.; M. RESCIGNO, La Consob: un legislatore-giudice dimezzato?, in Stato e mercato, 2001, p. 107 ss.; F. DENOZZA, Discrezione e deferenza: il controllo giudiziario sugli atti delle autorità indipendenti “regolatrici”, in Mercato concorrenza regole, 2000, p. 486 ss.; M. CLARICH, Il controllo del giudice sull’atto dell’Authority non si deve considerare un’interferenza indebita, in Guida al diritto, 1999, n. 44, p. 103 ss. 255 Sul punto v. R. WEIGMANN, La nuova disciplina delle Opa, in AA.VV., La riforma delle società quotate, Atti del Convegno di Santa Margherita Ligure 13-14 giugno 1998, Milano, 1998, p. 197; in senso conforme cfr. anche R. D’AMBROSIO, op. cit., p. 594. 256 Cfr. per tutti F. CAPRIGLIONE, Commento sub art. 91 T.u.f., in G. ALPA e F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, cit., p. 839 ss., per il quale: “L’emanazione del t.u. della finanza segna una tappa fondamentale nel processo evolutivo della Consob: definisce con chiarezza la sfera dei relativi poteri e fornisce elementi inequivoci per la ricostruzione della sua posizione istituzionale. A tale ente viene attribuito, infatti, un ruolo di primario rilievo nel quadro autoritativo del vertice deputato al controllo dell’ordinamento finanziario e degli emittenti. Una migliore specificazione delle finalità pubblicistiche a base della sua azione e, conseguentemente, una più decisa caratterizzazione funzionale dell’attività da essa svolta individuano la premessa logico-sistematica per la configurabilità di un << cambiamento >>, che incide sulla sfera complessiva dei rapporti che ad essa fanno capo e che appare destinato ad avere ripercussioni anche sulla sua organizzazione”. - 76 - e il connesso problema della decorrenza della passivity rule, come testimoniano l’ampio dibattito dottrinario e le pronunce giurisprudenziali in proposito. Sul versante della disciplina di mercato, le regole procedurali, di trasparenza e di correttezza da rispettare nel caso di lancio di un’offerta pubblica d’acquisto si desumono dal combinato disposto della legge Draghi, agli artt. 102 e 103 del T.u.f., e del Regolamento Emittenti emanato dalla Consob. I primi due commi dell’art. 102 disciplinano gli obblighi cui sono tenuti gli offerenti sotto il profilo dell’informativa da fornire sia al mercato in generale, sia specificamente alla Consob. Il primo comma prevede che chiunque effettui un’offerta pubblica di acquisto o di scambio è tenuto a darne preventiva comunicazione alla Consob ed a pubblicare apposito documento informativo, contenente le informazioni necessarie per consentire ai destinatari di pervenire ad un fondato giudizio sull’offerta (art. 102, comma 1, T.u.f.). In questa ipotesi non è prevista alcuna autorizzazione, ma solo un “nulla-osta” alla pubblicazione del documento d’offerta (art. 102, comma 2, T.u.f.). Nell’ambito di un’offerta pubblica di acquisto la comunicazione, contenente i tratti essenziali dell’operazione, che l’offerente effettua contestualmente alla Consob, al mercato e all’emittente, riveste un ruolo di assoluta centralità. A detta comunicazione si accompagnano il documento d’offerta (il c.d. “prospetto informativo”) e la scheda di adesione, redatti secondo le prescrizioni dettate dalla Commissione di vigilanza257. Seppur da taluni definito lacunoso, il procedimento delineato dalla legge è lineare: la prima fase – quella che va dalla comunicazione alla Consob della bozza di documento sino alla pubblicazione del medesimo – si svolge all’oscuro della società emittente e del mercato, ne è a conoscenza solo l’autorità di vigilanza. La seconda fase è quella vera e propria di svolgimento dell’offerta, che “pende” dalla pubblicazione del documento, momento che determina l’insorgere di una serie di obblighi di comportamento a carico della società emittente (art. 103 T.u.f.) e di tutti i soggetti interessati all’offerta, compreso il divieto per il management di porre in essere misure anti-scalata ai sensi dell’art. 104 T.u.f.258 Nessuna rilevanza attribuisce il legislatore all’intenzione di lanciare un’offerta pubblica, intenzione che è stata invece presa in considerazione dal regolamento in materia di emittenti emanato dalla Consob sulla base del potere conferitole dall’art. 103, comma 4, T.u.f.259 Nella prima redazione, la Commissione aveva privilegiato una interpretazione del Testo unico funzionale alla repressione dei fenomeni di insider trading, e aveva pertanto stabilito l’obbligo di immediata comunicazione (“senza indugio”) degli elementi essenziali dell’offerta, a far data almeno dalla decisione degli amministratori della società offerente e prima della presentazione del documento di offerta, con la conseguente decorrenza della passivity rule da quel momento260. Cfr. G.G. SALVATI, Le modifiche al regolamento Consob sulla disciplina degli emittenti tra istanze emerse nella prassi applicativa e la direttiva dell'UE sull'OPA, in Archivio ceradi, Roma, 2000, p. 20. 258 Affinché sia garantita la trasparenza dell'intero svolgimento dell'Opa nell'ambito dell'Unione Europea, la direttiva n. 2004/25/CE introduce diverse disposizioni, fra cui l'obbligo di rendere immediatamente pubblica la decisione di promuovere un'offerta e di informare l'autorità di vigilanza, al fine di limitare la possibilità di abuso di informazioni privilegiate (art. 6, §. 1, e XII° considerando della direttiva). Inoltre, affinché i possessori dei titoli siano adeguatamente informati sul contenuto dell'offerta, il secondo comma dell'art. 6 della direttiva prevede l'obbligo della redazione e della pubblicazione di un tempestivo documento d'offerta contenente le informazioni necessarie per permettere una decisione consapevole al riguardo. 259 Valuta negativamente la comunicazione della semplice intenzione, oltre che alla Consob, anche al mercato e all’emittente R. COSTI, Il mercato mobiliare, Torino, 2000, p. 73. 260 Cfr. F. VELLA, La nuova passivity rule nella disciplina delle offerte pubbliche di acquisto: alla ricerca di un difficile equilibrio, in Banca impr. soc., 2000, p. 159; G. ROMAGNOLI, Le norme su Opa e Ops nel regolamento Consob sugli emittenti, in Le società, 1998, p. 1254 ss. La precedente versione dell’art. 37, comma 1, di cui si discute, precisava che la comunicazione doveva essere effettuata “senza indugio”, fuori dall’orario di negoziazione, contestualmente al mercato, all’emittente e alla Consob. Il secondo comma stabiliva, poi, che “la comunicazione (...) è completa e prende data, ai fini dell’art. 102, comma 2, del Testo Unico, dalla ricezione del documento di offerta e della scheda 257 - 77 - Va inoltre rilevato che la comunicazione doveva ritenersi completa e prendeva data ai fini della decorrenza del termine di 15 giorni stabilito dall’art. 102, comma 2, T.u.f., solo con la ricezione da parte della Consob del documento d’offerta, della scheda di adesione e della documentazione concernente la garanzia e l’avvenuto rilascio delle necessarie autorizzazioni. Il secondo comma dell’art. 37 del reg. emittenti, ipotizzando il caso di comunicazione incompleta (per difetto di allegazione del documento di offerta, delle scheda di adesione, della documentazione concernente le garanzie o le autorizzazioni), procrastinava il termine entro cui la Consob poteva chiedere all’offernte eventuali integrazioni delle informazioni fornite261. A ciò si aggiunga che la suddetta interpretazione era alla base anche dell’art. 35 del regolamento, rilevantissimo in quanto forniva, al punto c), la definizione di “periodo d’offerta”. Questo veniva fatto decorrere dalla data della “prima comunicazione” al mercato, sottolineando, così, ancora una volta, la possibile antecedenza di detta comunicazione rispetto al deposito del documento d’offerta. Il regolamento n. 11971/99 ricorre espressamente a tale definizione negli artt. 41, comma 1, e 42, comma 2, al fine di specificare l’ambito temporale entro il quale i soggetti interessati devono rispettare gli speciali obblighi di trasparenza e correttezza posti a loro carico262. di adesione (...) nonché dalla documentazione concernente la garanzia e l’avvenuto rilascio delle necessarie autorizzazioni....”. 261 Cfr. CONSOB, Note tecniche in materia di disciplina delle offerte pubbliche di acquisto e di scambio, p. 5. Per un confronto rispetto alla precedente impostazione adottata con il Regolamento di attuazione di cui alla Delibera Consob 3 giugno 1992, n. 6237, cfr. G. COTTINO, Offerte pubbliche di acquisto o di scambio, in Quaderni di Giur. it., 1999, p. 8 ss., nota 31. L’orientamento espresso dalla Commissione di vigilanza, in via regolamentare e interpretativa, aveva dunque dato origine ad una prassi invero diversa dall’interpretazione logica della norma, e che si scindeva in due adempimenti distinti anche dal punto di vista temporale. Il primo coincideva con l’invio della “prima comunicazione” che l’offerente doveva effettuare non appena assunta la decisione di lanciare l’offerta. Una volta adempiuto questo obbligo e sempre che la comunicazione presentasse il contenuto minimo determinato dalla Consob, scattavano le regole di trasparenza e correttezza. Il secondo, invece, corrispondeva al deposito del documento d’offerta, della scheda di adesione, della documentazione concernente la garanzia e l’avvenuto rilascio delle necessarie autorizzazioni. L’autorità di vigilanza qualificava il documento d’offerta come un elemento accessorio di carattere formale, la cui mancanza non era di per sé ostativa alla produzione degli effetti della comunicazione d’offerta, anche se questa deve essere poi completata da detti elementi. Pertanto, il procedimento di offerta si doveva ritenere giuridicamente aperto con la prima comunicazione e non già con la seconda. In merito cfr. CONSOB, Comunicazione n. DIS/99013832 del 27 febbraio 1999; ID, Comunicazione n. DIS/99071599 del 2 ottobre 1999. Sul punto v. pure il commento di R. RICCI, Perché sia Opa non basta un comunicato, in Il Sole 24 Ore, 25 febbraio 1999, p. 2. In senso molto critico sulla decisione della Consob, v. V. SALAFIA, op. ult.cit., p. 393 ss.; L.G. PICONE, op. cit., p. 138 s. Reputano, invece, che sulla base del regolamento Consob la passivity rule debba scattare fin dal momento della prima comunicazione: M. CALLEGARI, Commento sub art. 104, in G. COTTINO (diretto da), La legge Draghi e le società quotate in borsa, Torino, 1999, p. 31; E. DESANA, Commento sub art. 103, in G. COTTINO (diretto da), cit., p. 31; P.A. SPITALERI, La disciplina delle offerte pubbliche, in A. PATRONI GRIFFI, A. SANDULLI e V. SANTORO (a cura di), Intermediari finanziari mercati e società quotate, Torino, 1999, p. 647, nota 9. Secondo R. SABBATINI, Consob fa tesoro dell’Opa Telecom, in Il Sole 24 Ore, 24 marzo 1999, p. 4, “la nuova procedura ha sostanzialmente rafforzato l’importanza e le implicazioni del momento iniziale dell’iter di un’offerta pubblica, quello nel quale uno scalatore manifesta le sue intenzioni (…). La Consob ha voluto anticipare, nei suoi regolamenti e con la gestione della vicenda Telecom, l’avvio della fase “pubblica” di una scalata al fine di contenere le possibili violazioni della disciplina sull’insider trading”. 262 V. ancora CONSOB, Comunicato stampa del 2 ottobre 1999. Anche nella vicenda relativa all’Opa InaGenerali, la Consob, ribadendo quanto già aveva avuto modo di stabilire in relazione all’Opa Telecom, sottolineava l’idoneità della comunicazione di cui all’art. 37, comma 1, reg. ad avviare il “periodo d’offerta” e a produrre gli effetti previsti dalla normativa in materia di Opa tra cui l’applicazione della passivity rule, qualora la comunicazione fosse in grado di esprimere – come la Consob aveva ritenuto nella fattispecie – una “ferma intenzione di promuovere l’offerta” e contenesse “gli elementi essenziali di essa”. D’altronde, aggiungeva la Consob, “il rinvio ad un momento successivo dell’inizio di efficacia dell’obbligo di astensione vanificherebbe di fatto la portata di tale obbligo e non assicurerebbe il contemperamento, voluto dalla legge, tra interesse alla contendibilità ed esigenze della società che è oggetto dell’offerta”. Alle scelte normative della Commissione non sembrava estranea, in particolare, la volontà di attuare, in una prospettiva de iure condendo, taluni principi della Proposta di XIII direttiva comunitaria in materia di offerte pubbliche di acquisizione, come lasciano intuire G. - 78 - 4.1. (Segue): La nuova disciplina del procedimento di offerta. La prassi applicativa del regolamento e le incertezze ora richiamate hanno costituito pertanto il motore delle modifiche introdotte con la delibera Consob n. 12745/2000, che recepisce le indicazioni della giurisprudenza amministrativa. La novità saliente che la rinnovata formulazione del dato normativo introduce è infatti rappresentata dal venir meno della procedura informativa bifasica: nella versione attuale, l’art. 37, prevedendo che alla comunicazione siano allegati documento d’offerta e scheda di adesione, impone chiaramente la contestualità dei tre atti. Gli unici elementi che possono essere rinviati ad un secondo momento sono le autorizzazioni necessarie all’acquisto delle partecipazioni e l’emissione di strumenti finanziari da offrire in corrispettivo (nel caso di Ops), purché la comunicazione indichi che è stata presentata la richiesta dei “nulla osta” alle autorità competenti e che è stata deliberata la convocazione dell’assemblea chiamata a decidere in merito all’emissione degli strumenti finanziari da offrire in cambio: si tratta di aspetti la cui definizione, in genere lunga e complessa, dilaterebbe ingiustificatamente i tempi dell’informativa. Sul momento in cui va effettuata la comunicazione non sembrano esservi dubbi, in quanto l’art. 102 T.u.f. fa riferimento ad una decisione concreta del consiglio di amministrazione; sarà interesse dell’offerente far coincidere tale delibera con la predisposizione del documento d’offerta263. E’ stato eliminato, inoltre, il riferimento al periodo d’offerta, censurato dal Consiglio di Stato, sostituito nel nuovo testo dall’espressione “periodo intercorrente fra la data della PRESTI e M. RESCIGNO, op. cit., p. 142 s. Sempre secondo la Consob “ogni eventuale rinvio, implicando il mutamento delle condizioni enunciate nel comunicato che apre il periodo d’offerta che fa sorgere l’obbligo di astensione per la società emittente, segnerebbe un inammissibile momento di discontinuità rispetto a quanto in detto comunicato enunciato e sposterebbe ingiustificatamente i termini di riferimento dell’indicato obbligo di astensione”. 263 Alcune perplessità erano state sollevate anche con riguardo al momento in cui sorgesse l’obbligo di effettuare tale comunicazione, dato che nulla dice(va) in merito il Testo Unico, né tanto meno era di aiuto il regolamento Consob. In effetti, la decisione di promuovere un’offerta pubblica di acquisto richiede del tempo, necessario affinché l’offerente possa svolgere tutta una serie di attività preparatorie al lancio della medesima. Si è ritenuto, pertanto, che l’offerente sia obbligato a promuovere l’offerta soltanto nel momento in cui l’organo di amministrazione abbia concretamente assunto la formale e definitiva deliberazione di voler procedere all’offerta, e non prima, durante il corso dell’attività preparatoria. Ad ulteriore conferma di tale interpretazione, la stessa Consob, Note tecniche in materia di disciplina delle offerte pubbliche di acquisto e di scambio, p. 4, aveva affermato che l’obbligo di immediata comunicazione sorgesse “immediatamente dopo la delibera del consiglio di amministrazione, nel caso di offerente persona giuridica, e, nel caso di persona fisica, quando fosse decisa la promozione di un’Opa”. Cfr. sul punto L.G. PICONE, op. cit., p. 25 ss.; contra V. SALAFIA, op. ult. cit., p. 498. Più precisamente, il momento opportuno affinché la comunicazione avvenga “senza indugio” è stato individuato dalla maggior parte della dottrina nelle ore immediatamente successive alla deliberazione del consiglio di amministrazione. Sul punto v. ASSONIME, Circolare n. 13/1999, in Riv. soc., 1999, p. 36; C. MOSCA, Commento sub art. 104, in La disciplina delle società quotate nel Testo Unico della Finanza, cit., p. 203. In effetti, come sostiene L. SPAVENTA, La ristrutturazione del sistema bancario italiano, Audizione del Presidente della Consob dinnanzi alle Commissioni riunite VI del Senato della Repubblica (Finanze e Tesoro) e VI della Camera dei Deputati (Finanze) del 27 aprile 1999, disponibile sul sito www.consob.it, “il presupposto dell’adempimento dell’obbligo non è l’esistenza di un semplice progetto in corso di definizione ma di un’iniziativa già uscita dalla fase preparatoria, definita nei suoi elementi essenziali e deliberata dall’organo competente ad assumerla. In sostanza, la pubblicità obbligatoria dell’intenzione di lanciare un’Opa interviene nel momento in cui l’operazione progettata entra nella fase della realizzazione e iniziano ad essere assunte dalle varie parti interessate (offerenti, consulenti, garanti, soggetti chiamati a costituire consorzi per l’offerta) impegni vincolanti e ad essere poste in essere attività concrete che richiedono il coinvolgimento di un vasto numero di soggetti”. - 79 - comunicazione prevista dall’articolo 102, comma 1, del Testo Unico e la data indicata per il pagamento del corrispettivo” 264. Continua ad essere previsto, nel quinto comma dell’art. 37, l’obbligo di estendere “senza indugio” la comunicazione alla società target ed al mercato, disposizione che non appare in linea con la riservatezza che si è visto essere connaturata alla prima fase dell’informativa265. Tuttavia, il contenuto è ora meglio precisato, nel senso che oltre agli “elementi essenziali”, il comunicato deve indicare “le finalità dell’operazione, le garanzie che vi accedono e le modalità di finanziamento previste, le eventuali condizioni dell’offerta, le partecipazioni detenute o acquistabili dall’offerente o da soggetti che agiscono di concerto con lui e i nominativi degli eventuali consulenti”266. Nel caso in cui l’emittente sia una società quotata si applica l’art. 66, comma 3, T.u.f., relativo agli obblighi di comunicazione sui fatti price sensitive. Se prima della modifica regolamentare non era chiaro il momento preciso in cui dovesse avvenie la prima comunicazione, cioè quale fosse il significato dell’espressione “senza indugio”, ora è evidente che, con l’abrogazione del primo comma del “vecchio” art. 37 reg. emittenti, non essendo più prevista la comunicazione dell’intenzione di procedere all’offerta267 da inviarsi al mercato prima del deposito presso la Consob del documento d’offerta, l’obbligo non può sorgere in presenza di un mero progetto, ma solo dopo che la la decisione di procedere a una definita operazione sia stata assunta dall’organo di amministrazione dell’offerente. Peraltro, il ricorrere di tali presupposti consente di individuare nella presentazione dei documenti alla Consob il momento da cui inizia a decorrere la passivity rule di cui all’art. 104 T.u.f. Sia consentito rilevare come una soluzione del genere, seppur suggerita dal Consiglio di Stato, non appaia conforme a quanto sostenuto dalla dottrina maggioritaria, la quale, partendo dal presupposto della riservatezza della prima fase, continua ad individuare nella pubblicazione del documento d’offerta il momento di decorrenza degli obblighi di passività. 5. Lo svolgimento dell’offerta: irrevocabilità dell’offerta e parità di trattamento. L’art. 103 T.u.f. esordisce in modo rigido ed imperioso: “L’offerta è irrevocabile. Ogni clausola contraria è nulla”. Il Testo unico enuncia così il principio della irrevocabilità Secondo C. MOSCA, Commento sub art. 102, in P.G. MARCHETTI e L.A. BIANCHI (a cura di), La disciplina delle società quotate nel Testo Unico della Finanza, Commentario, Milano, 1999, p. 215, nell’art. 102, comma 3, T.u.f, ai fini della decorrenza del potere della Consob di sospendere o dichiarare decaduta un’offerta pubblica, tale “pendenza” durerebbe dal momento della pubblicazione del documento di offerta fino a quello in cui il risultato dell’operazione è reso noto al mercato ai sensi dell’art. 41, comma 3, reg. Ancora, per C. MOSCA, Commento sub art. 104, in La disciplina delle società quotate nel Testo Unico della Finanza, cit., p. 295, nell’art. 104, comma 2, T.u.f., non va sottovalutato che al fine dell’emanazione delle regole speciali, da stabilire in apposito decreto ministeriale (cfr. art. 2, d.m. 5 novembre 1998, n. 437), in materia di termini e modalità di convocazione delle assemblee da tenersi in pendenza d’offerta, questo spazio temporale coinciderebbe, invece, con la “durata dell’offerta” come definita nell’art. 35, comma 1, lett. b), reg. emittenti. 265 In tal senso v. N. SQUILLACE, Il procedimento delle offerte pubbliche di acquisto, in La nuova disciplina delle Opa nel Testo Unico della Finanza, Il Sole 24 Ore, Roma, 2000, p. 21. 266 Per un commento al nuovo regolamento v. G. PRESTI, OPA: nuove regole in attesa di una riforma legislativa?, in Le società, 2000, p. 655 ss.; L.G. PICONE, Le modifiche al regolamento Consob n. 11791/99 in tema di Opa, Ibidem, p. 1010 ss.; nonché ASSONIME, Circolare n. 71 del 2000, in Riv. soc., 2000, p. 1200, secondo la quale “nell’adozione delle nuove disposizioni regolamentari non si è in definitiva tenuto conto della specialità della disciplina dell’Opa rispetto a quella generale sui fatti price sensitive, né l’obbligo di comunicazione al mercato è stato ancorato – con una formulazione testuale univoca – alla decisione del consiglio di amministrazione dell’offerente (sia questo quotato o non quotato) con la quale l’operazione sia stata compiutamente definita”. 267 Cfr. P. MONTALENTI, OPA: la nuova disciplina, in Banca, borsa e tit. cred., I, 1999, p. 163, che assegna al termine “intenzione” il significato di “decisione”. 264 - 80 - dell’offerta, il quale era già presente nella precedente disciplina268, così come lo è in tutte le attuali legislazioni straniere in materia269, tanto che esso è stato definito “requisito essenziale ed indefettibile”. Le ragioni che giustificano una così ampia diffusione della regola vanno rinvenute nell’esigenza di impedire manovre speculative270 a danno dei risparmiatori e del corretto funzionamento dei mercati finanziari. Il principio dell’irrevocabilità si applica a partire dal momento in cui l’offerta non sia più sottoposta al vaglio della Commissione, la quale può, a seguito della verifica, richiedere modifiche ed integrazioni, nonostante che il pubblico sia già informato degli elementi essenziali dell’offerta medesima. Non sembra, infatti, ragionevole che l’offerente debba ritenersi obbligato al lancio dell’Opa, qualunque siano le modifiche richieste dalla Consob. Nel contempo, è condivisibile l’opinione secondo cui, qualora la Commissione, in seguito alla comunicazione e al conseguente deposito del documento d’offerta, non richieda alcuna modifica di quanto depositato, l’offerta è irrevocabile sin dal momento della prima comunicazione. Strettamente collegato al suddetto principio, vi sono le offerte condizionate, la cui disciplina è stata demandata dal legislatore alla Commissione. Quest’ultima ha in merito ritenuto “di consentire in via generale la possibilità di apporre condizioni all’efficacia dell’offerta”, purché queste non siano meramente potestative, ossia che non dipendano dalla mera volontà dell’offerente (art. 40, comma 1, reg. n. 11971/99). È necessario precisare che l’apposizione di condizioni è possibile solo nel caso di offerte pubbliche di acquisto volontarie e non di offerte pubbliche di acquisto obbligatorie che, come tali, hanno natura di contratti imposti e, pertanto, non sono suscettibili di limitazioni derivanti dall’autonomia privata. La Consob ha individuato alcune fattispecie esemplificative in cui l’efficacia dell’offerta può essere validamente subordinata al verificarsi di particolari condizioni, in quanto il loro avverarsi è indipendente dalla volontà del soggetto offerente: ad esempio è possibile condizionare l’Opa, in caso di società con limiti statutari al possesso, alla soppressione di tali limiti; o, nel caso oggetto dell’Opa siano banche popolari costituite in forma di società cooperativa a responsabilità limitata, condizionare l’Opa alla trasformazione in “società per azioni”; ovvero ancora, nell’ipotesi di operazioni soggette a comunicazione ad Autorità di controllo del settore, lanciare una Opa condizionata al rilascio dell’autorizzazione. L’art. 103, sempre al medesimo comma, enuncia l’ulteriore principio che caratterizza la disciplina dell’Opa: “l’offerta è rivolta a parità di condizioni a tutti i titolari dei prodotti finanziari che ne formano oggetto”. La parità di trattamento (c.d. “equal opportunity rule”) implica non solo l’obbligo di trattare in modo uguale situazioni uguali, ma anche di trattare in modo diverso situazioni diverse. Le condizioni saranno differenziate nel caso in cui l’offerta sia rivolta a categorie di prodotti finanziari eterogenee tra loro: ad esempio, se si lancia un’Opa su tutte le azioni di una società, si potrà applicare un prezzo diverso per le azioni di risparmio e per quelle ordinarie, considerando che sono diverse le caratteristiche di questi titoli e i rispettivi prezzi di quotazione. 268 V. art. 17 legge n. 149/1992. Tale principio era presente anche nel Codice di autoregolamentazione. del 1971 (art. 8). 269 Nel City Code inglese tale requisito era contenuto nella rule 2.7, mentre nella disciplina francese esso era riportato negli artt. 5.1.4 del Règlement. 270 M. LAMANDINI, I principi del Tuf nelle offerte pubbliche di acquisto e di scambio (art. 103), in G.F. Campobasso (diretto da), Testo unico della finanza , Torino, 2002, p. 878 ss. - 81 - Questo principio si applica a tutte le offerte pubbliche di acquisto, indipendentemente dal fatto che i titoli siano quotati o meno; viceversa, nella precedente disciplina lo stesso criterio riguardava solo quelle offerte con oggetto titoli quotati. Da tale principio discendono alcune regole basilari, quali, la best price rule e la pro-rata rule: Secondo la prima regola, qualora il bidder, in pendenza dell’offerta, acquisti gli strumenti finanziari ad un prezzo più alto di quello fissato per l’offerta oggetto della stessa, egli dovrà corrispondere, a tutti coloro che hanno accettato l’offerta, la differenza. La pro-rata rule, invece, impone all’offerente, nel caso vi siano adesioni maggiori al quantitativo richiesto, di acquistare la stessa proporzione di titoli da ciascun azionista che abbia aderito all’offerta. Ad essa si riconosce il pregio di eliminare gli effetti distorsivi del fenomeno, particolarmente noto alla letteratura economica, della c.d. pressure to tender (“pressione a vendere”). 6. Il comunicato della società emittente. Il terzo comma dell’art. 103 T.u.f. dispone che l’emittente i cui titoli sono oggetto di Opa è tenuto a diffondere un comunicato contenente ogni dato utile per l’apprezzamento dell’offerta nonché la propria valutazione sull’offerta medesima271. In tal modo, quella che nella previgente disciplina era configurata come una mera facoltà, viene trasformata nel Testo Unico della finanza in un vero e proprio obbligo, che consente di garantire agli azionisti della società bersaglio tutta l’informazione necessaria ai fini della decisione da assumere in merito all’offerta272. Si ristabilisce così una parità tra offerente ed emittente sotto il profilo degli obblighi di informazione gravanti su questi ultimi nei confronti degli azionisti273. Inoltre, la 271 La previsione che gli amministratori di una società oggetto di Opa siano tenuti a fornire una valutazione in merito alla congruità dell’offerta è di derivazione anglosassone. Il City Code on Takeovers and Mergers precisava (Principio n. 4) che ai soci dovesse essere fornita ogni informazione necessaria per assumere una decisione ragionata e che (Principio n. 9), nell’esprimere il proprio parere, gli amministratori fossero tenuti a prescindere dai propri interessi personali, di famiglia o di gruppo, dovendo perseguire esclusivamente l’interesse degli azionisti complessivamente considerati. 272 Infatti, mentre l’art. 27, comma 3, della legge n. 149 del 1992 si limitava a prevedere la facoltà per la società bersaglio di diffondere un comunicato contenente ogni dato utile per l’apprezzamento dell’offerta e la propria valutazione al riguardo, con l’entrata in vigore del T.u.f., tale adempimento costituisce un obbligo per il consiglio di amministrazione della società bersaglio. L’ostacolo principale al riconoscimento di un dovere per il consiglio di amministrazione della società target di diffondere il comunicato sull’offerta si attribuiva principalmente alla sua natura esegetica: esso scaturiva, infatti, dal riferimento espresso dell’art. 27, comma 3, legge 149/1992 e dall’art. 12 del reg. Opa ad una facoltà, piuttosto che ad un obbligo, di pubblicare il medesimo; così D. REGOLI, Offerte pubbliche di acquisto e comunicato agli azionisti, Torino, 1996, p. 68, il quale conclude osservando che “le due citate norme sembrano, cioè, rimettere agli amministratori la libera scelta sul punto se procedere o meno a tale pubblicazione”. Parimenti, nel disegno della direttiva in materia di Opa, questo documento, cioè il comunicatoparere che gli amministratori devono predisporre e trasmettere agli azionisti, costituisce un mezzo necessario per assicurare agli oblati un’informazione più completa di quella contenuta nel documento predisposto dal solo offerente; ed è proprio la presenza di un obbligo per l’offerente di fornire tutte le informazioni necessarie per valutare l’offerta accanto ad un obbligo di comunicato-parere per gli amministratori della società bersaglio ad illuminare il senso e la ratio della disciplina che il legislatore comunitario intende far recepire con finalità di armonizzazione (v. anche art. 9, §. 5, direttiva 2004/25/CE). 273 Per un precedente di tutto rilievo v. CONSOB, Comunicazione n. SOC/RM/93008903 del 27 ottobre 1993, in merito all’offerta pubblica di acquisto promossa dalla Banca Popolare di Verona sulle azioni del Banco di S. Gimignano e S. Prospero. Nel caso de quo, l’Autorità di vigilanza, attraverso il ricorso alla moral suasion, richiedeva alla società emittente, ai sensi dell’art. 3, lett. b) e c), della legge 216/1974, la trasmissione di alcuni dati e la successiva pubblicazione di un vero e proprio comunicato agli azionisti contenente una valutazione ufficiale dell’offerta da parte del suo consiglio di amministrazione. Questa operazione, infatti, non rientrava nell’ambito di applicazione della legge n. 149/1992, non essendo le azioni della banca oggetto della scalata né quotate in borsa né al mercato ristretto. Il testo del comunicato si legge in Il Sole 24 Ore del 16 novembre 1993, p. 30 e in Riv. Soc., - 82 - norma esclude qualsiasi intervento autorizzativo, o anche solo valutativo, sul comunicato da parte della Consob274. Il T.u.f., tuttavia, non fornisce indicazioni puntuali in ordine al contenuto del comunicato, ma rimette alla Consob il potere di dettare disposizioni in merito. Pertanto, il regolamento emittenti prevede che il comunicato della società bersaglio deve: a) contenere “ogni dato utile per l’apprezzamento dell’offerta e una valutazione motivata degli amministratori sull’offerta stessa, con l’indicazione dell’eventuale adozione a maggioranza e del numero o del nome dei dissenzienti”; b) portare a conoscenza “l’eventuale decisione di convocare assemblee ai sensi dell’art. 104 del T.u.f.” volte ad approvare manovre difensive con cui contrastare l’offerta; c) aggiornare le informazioni a disposizione del pubblico “sul possesso diretto o indiretto di azioni della società da parte dell’emittente o degli amministratori ovvero del consiglio di sorveglianza, anche in società controllate o controllanti, nonché sui patti parasociali di cui all’art. 122 del T.u.f. aventi ad oggetto azioni dell’emittente”; d) rendere note informazioni aggiornate su compensi percepiti ovvero deliberati a favore dei componenti degli organi di amministrazione e controllo e dai direttori generali dell’emittente; e) informare sui “fatti di rilievo non indicati nell’ultimo bilancio o nell’ultima situazione infrannuale pubblicata”; d) riportare informazioni sull’andamento recente e sulle prospettive dell’emittente, se non già illustrate nel documento d’offerta (art. 39, comma 1, reg. Consob). Inoltre, il comunicato della società bersaglio deve essere trasmesso alla Consob almeno due giorni prima della data prevista per la diffusione e, quindi, reso noto al mercato entro il primo giorno di durata dell’offerta, integrato con le eventuali richieste della Consob (art. 39, comma 3, reg. Consob)275. In sintesi, il documento di offerta e il parere degli amministratori della società bersaglio costituiscono entrambi, nell’ottica del legislatore, un presupposto essenziale per l’attuazione del principio della piena e corretta informazione dei destinatari dell’offerta pubblica di acquisto. Non a caso gli ordinamenti che prevedono l’obbligo del comunicato stabiliscono altresì un divieto per l’organo di amministrazione di diffondere, dopo l’annuncio dell’offerta, dichiarazioni o informazioni tali da pregiudicare la parità di trattamento tra gli azionisti. Attraverso la combinazione di questi due precetti si determina così una canalizzazione dell’informazione e del parere degli amministratori sull’offerta in un comunicato ufficiale, il cui contenuto è sottoposto al controllo dell’Autorità di vigilanza, e la cui divulgazione assicura un’informazione complessiva, contemporanea e non discriminatoria a favore di tutti gli azionisti indistintamente. 7. Il divieto di contrastare l’offerta. La differenza, solo accennata e che verrà ripresa nel capitolo successivo, tra Opa amichevoli ed Opa ostili ci porta a riflettere sulle strategie di difesa di un’azienda target di 1995, p. 716 ss. Per ulteriori approfondimenti sulla vicenda v. in dottrina E. BERLANDA, La disciplina delle offerte pubbliche di acquisto, in Riv. soc., 1995, p. 833 s. 274 Sul punto cfr. P. ANELLO e S. RIZZINI BISINELLI, op. cit., p. 546, i quali evidenziano il collegamento tra la disposizione in esame ed il successivo art. 104 T.u.f., osservando come la valutazione degli amministratori della società emittente possa costituire, nel caso di offerte ostili, la prima delle misure difensive. In tal senso cfr., anche, A. DE BLASIO, La legge italiana sull’Opa e le normative europee ed USA, Milano, 1994, p. 169. 275 La previsione di una procedura di c.d. “silenzio-assenso” consentirebbe, nelle intenzioni della Consob, di contemperare l’esigenza di una libera valutazione dell’offerta da parte della società bersaglio con quella di conservare in capo alla Commissione la possibilità di intervenire nei casi in cui il comunicato presenti profili oscuri connessi alla particolare natura dell’operazione; in senso conforme cfr. F. CHIAPPETTA, Commento sub art. 103, cit., p. 962. - 83 - un’Opa non concordata, e sulla restrizione delle azioni da essa adottabili, per effetto della cosiddetta passivity rule. Il pilastro fondamentale attorno al quale è destinato a reggersi tutto il discorso della disciplina dell’Opa è, infatti, costituito dalla regola che obbliga gli amministratori della società bersaglio ad un comportamento passivo durante lo svolgimento dell’offerta, indicando i limiti e le modalità attraverso i quali la società stessa può reagire276. In particolare, il primo comma dell’art. 104 del T.u.f., stabilendo il principio generale che le società oggetto di Opa “si astengono dal compiere atti o operazioni che possono contrastare il conseguimento degli obiettivi dell’offerta”, fa salva la possibilità di compiere tali atti o operazioni allorché sussista una specifica autorizzazione dell’assemblea ordinaria o di quella straordinaria, per le delibere di competenza, assunte con il voto favorevole di tanti soci che rappresentano almeno il trenta per cento del capitale277. A differenza delle altre disposizioni generali, l’art. 104 si applica soltanto alle società italiane quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell’Unione Europea278, le cui azioni siano oggetto di Opa. Nessun divieto, di contro, viene posto dal legislatore per le c.d. “tecniche di difesa preventive”279. Si tratta di tecniche poste in essere da società quotate in tempi “non sospetti”, precedenti il lancio di un’Opa, e quindi adottate non in contrasto con una specifica offerta280, Agli amministratori della società bersaglio, infatti, viene precluso, in pendenza dell’offerta, di mettere in atto i mezzi di difesa più efficaci ad allontanare eventuali offerenti sgraditi allo stesso consiglio d’amministrazione. La ragione di tale divieto risiede nel conflitto d’interessi fra amministratori e azionisti della società bersaglio che emerge dopo il lancio dell’offerta: i primi non possono che opporsi ad una operazione finanziaria il cui buon esito coinciderà quasi sicuramente nel loro licenziamento; i secondi sono, invece, fortemente allettati dalla possibilità di poter alienare i propri titoli ad un prezzo nettamente superiore a quello di mercato così da realizzare consistenti guadagni in conto capitale. In tal senso v. F. CHIAPPETTA, Commento sub art. 104, in Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, cit., II, p. 968 ss.; M. LISANTI, op. cit., p. 465; L. ENRIQUES, In tema di difesa contro le opa ostili: verso assetti proprietari più contendibili o più piramidali?, in Giur. comm., 2003, I, p. 110 ss. Tuttavia, tale limitazione pare eccessiva tutte le volte in cui un’operazione gestionale, di per sé non specificamente finalizzata a contrastare l’offerta pubblica di acquisto, potrebbe, di fatto, avere conseguenze contrastanti con gli obiettivi dell’offerta, e pertanto essere vietata. Così L.G. PICONE, op. cit., p. 128. più in generale, riguardo al rilevante potere di cui dispongono gli amministratori nel determinare i processi di riallocazione del controllo, in presenza di tentativi di acquisizione ostile della società, cfr. R. CAPRIO, Le strutture proprietarie delle società quotate, l’efficienza della gestione societaria e il diritto, in Riv. soc., 1998, p. 569 ss. 277 L’art. 104 del T.u.f. enuncia un principio di portata più ampia, rinunciando a tipizzare le operazioni vietate, le quali vengono identificate con il ricorso ad una clausola generale. Sul punto v. R. LENER, op. cit., p. 253. Cade così l’indiscriminato divieto, contenuto nell’art. 16, comma 2, della legge n. 149 del 1992, di modificare l’atto costitutivo e lo statuto della società investita dall’Opa in pendenza dell'offerta. La legge n. 149 del 1992 appariva, infatti, troppo sbilanciata a favore dell’offerente. Diversamente, obiettivo della disposizione in esame è proprio quello di tentare di riequilibrare ulteriormente la posizione dell’offerente e quella dell’emittente in costanza di Opa. 278 Si rileva, a tal riguardo, uno scollamento rispetto alla relativa norma sanzionatoria, di cui all’art. 192, comma 3, del T.u.f., applicabile ai soli amministratori di società con azioni quotate in mercati regolamentati italiani. Secondo R. D’AMBROSIO, op. cit., p. 599, tale scelta trova giustificazione nell’impossibilità di incidere sul regime delle società non quotate, in considerazione dei limiti della delega. Al contrario, la collocazione della norma, tra quelle di applicazione generale, invece che tra quelle sull’Opa obbligatoria, potrebbe risiedere nella volontà di esaltarne il carattere “procedurale” e non “sostanziale”. 279 Con un intervento integrativo, il legislatore ha consentito alla società bersaglio di emettere azioni con diritto di voto subordinato all’effettuazione di un’offerta solo se, per il verificarsi della suddetta condizione, sia necessaria un’autorizzazione ai sensi del comma precedente” (art. 104, comma 1-bis, T.u.f.). 280 Cfr. R. SKOG, op. cit., p. 1145, ove puntualmente l’Autore chiarisce che: “Defensive measures against takeovers can be divided into two categories: post-bod measures, which are taken to complicate or preclude the implementation of a takeover bid that has already been presented, and pre-bid measures, which are taken in advances to prevent or complicate future takeover bids”. Per un’utile disamina riguardante la distinzione tra voting caps e dual class stock nel contesto di un takeover, si vedano R.J. GILSON, The political ecology of takeovers, in K. HOPT & E. WYMEERSCH, European Takeovers – Law and Practice, London, 1992; H. DE ANGELO e L. DE ANGELO, Managerial ownership of voting 276 - 84 - ma al fine di rendere più difficile, per qualsiasi potenziale scalatore, raggiungere il controllo della società281. Con la passivity rule il legislatore del 1998 ha allineato l’ordinamento italiano sia alle legislazioni degli altri paesi europei282 sia a quanto prevedeva la proposta di direttiva CE in materia di Opa. Attualmente, la direttiva n. 2004/25/CE impone agli Stati membri di adottare norme volte ad assicurare che “dopo aver ricevuto la comunicazione dell’offerta e fino a che il risultato dell’offerta non sia stato reso pubblico, l’organo di amministrazione o di direzione della società destinataria si astenga dal compiere qualsiasi atto che possa pregiudicare l’esito dell’offerta e, in particolare, dal procedere ad emissione di azioni che possano avere l’effetto di impedire durevolmente agli offerenti di acquisire il controllo della società destinataria, salvo che non sia stato previamente autorizzato a tal fine dall’assemblea generale degli azionisti”283. Oltre confine, il mondo anglosassone presenta due casi polari. Negli Stati Uniti, pur con alcune differenziazioni tra Stati, la società bersaglio può sempre e comunque compiere atti e operazioni volti a contrastare l’offerta. All’altro estremo, il City Code inglese privilegia l’informazione al mercato e la contendibilità: all’obbligo di immediata comunicazione dell’intenzione di offerta l’ordinamento inglese collega l’affievolimento dei poteri di difesa della società bersaglio. Occorre evidenziare che la competenza dell’assemblea in questo campo si applica sia alle materie che già ex lege sono riservate all’organo assembleare, sia alle materie per le quali è ordinariamente competente l’organo amministrativo. Tali ultimi atti potrebbero essere rights, in Journal of Financial Economics, 1985, 14, p. 33; D. FISCHEL, Organized exchanges and the regulation of dual class common stock, in J. COFFEE, L. LOWENSTEIN e S. ROSE-ACKERMAN, Knights, Raiders and Targets, 1988, p. 509 ss. Le tecniche di difesa preventiva, in effetti, presentano una particolare pericolosità per il fatto di essere adottate in un momento in cui non è pendente un’offerta e, dunque, quando i soci esterni potrebbero non percepire “l’effetto anti-takeover” della decisione che si accingono ad assumere. Sull’introduzione nello statuto di clausole che hanno l’effetto di ridurre “l’appetibilità” della società per eventuali scalatori cfr. R.J. GILSON, The Case Against Shark Repellents Amendments: Structural Limitations on the Enabling Concept, in 34 Stan. L. Rev., 1982, p. 775 ss.; ID., A Structural Approach to Corporations: The Case Against Defensive Tactics in Tender Offers, in 33 Stan. L. Rev., 1981, p. 843 ss. 281 Si è in presenza solitamente di atti che incidono sull’assetto dell’azionariato, come l’acquisto di azioni proprie, la concessione di titoli ai dipendenti, l’incremento di partecipazioni incrociate. Eppure, come sostenuto da parte di un’autorevole dottrina, anche in questi casi si potrebbe paventare la necessità di una nuova deliberazione assembleare, sempre ai sensi dell’art. 104 del T.u.f., dato che, nell’assumere la precedente deliberazione, i soci non avevano conoscenza dell’offerta e pertanto non si erano posti il problema del contrasto dell’operazione stessa con il conseguimento degli obiettivi dell’offerente; così L.G. PICONE, op. cit., p. 136. In merito cfr. pure R. WEIGMANN, Le offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 599 ss.; A. MIGNOLI, Regolamentazione delle offerte pubbliche di acquisto e difesa delle società dalle scalate, cit., p. 96 ss. P. CÂMARA, Defensive measures adopted by the board: Current European Trends, in Company Law Reform in OECD Countries. A Comparative Outlook of Current Trends, Stockholm, Sweden, 7-8 December 2000. 282 Per un’analisi delle esperienze internazionali in tema di operazioni antiscalata cfr., tra gli altri, E. DESANA, in La legge Draghi e le società quotate in borsa, a cura di G. COTTINO, op. ult. cit., p. 24 ss.; A. TRON, La legge n. 149/1992 e le strategie “antiscalata”: un’analisi comparata della regolamentazione attuale, in C. RABITTI BEDOGNI (a cura di), Il diritto del mercato mobiliare, Milano, 1997, p. 247 ss.; R. WEIGMANN, Le offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 567 ss. 283 V. art. 9 della direttiva 2004/25/CE in materia di Opa. Tuttavia, mentre la normativa comunitaria pone espressamente a carico dell’organo di amministrazione o di direzione della società bersaglio l’obbligo di astenersi dal compimento di atti che possano pregiudicare l’esito dell’offerta, nel Testo Unico lo stesso obbligo grava sulla società le cui azioni sono oggetto dell’offerta. Individuando come destinatari del divieto direttamente quest’ultima e non gli amministratori della società bersaglio, non si è, dunque, corretto l’errore del passato; in tal senso cfr. M. LISANTI, op. cit., p. 466. Sul problema della competenza degli organi sociali in relazione alle scelte di comportamento dell’emittente, in caso di Opa ostile, cfr. A. MANZINI, Le tattiche difensive e la passivity rule,in Le offerte pubbliche di acquisto, in La nuova disciplina delle OPA nel Testo Unico della Finanza, Il Sole 24 Ore, Roma, 2000, p. 50 ss.; C. MOSCA, Commento sub art. 104, in La disciplina delle società quotate nel testo unico della finanza. D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, cit., p. 276 ss., in cui l’Autore contrappone il modello che attribuisce tale ruolo agli amministratori con il modello che restituisce centralità decisionale all’assemblea. - 85 - realizzati direttamente dagli amministratori, o perché naturalmente riconducibili all’attività di gestione propria dell’organo esecutivo o perché esiste già una delega dell’assemblea conferita prima dell’inizio dell’offerta284. Il principio che impone il passaggio in assemblea ex art. 104 svolge, perciò, la funzione di rimettere agli azionisti la decisione sulla creazione o meno di ostacoli al cammino dell’offerente verso l’effettivo raggiungimento dell’obiettivo perseguito con l’offerta. Solo dopo aver ottenuto il consenso dell’assemblea, gli amministratori potranno compiere atti od operazioni in grado di contrastare gli obiettivi dell’offerta285. In altri termini, in presenza di un’operazione che è essenzialmente rivolta agli azionisti, l’assemblea riacquista un potere di gestione, potendo solo essa decidere su atti ostili ad un’Opa286. Inoltre, come si è detto, la disposizione in commento sottopone la delibera assembleare di autorizzazione ad uno specifico quorum deliberativo287, là dove stabilisce che le assemblee, ordinarie o straordinarie a seconda delle delibere di competenza, “deliberano, anche in seconda o terza convocazione, con il voto favorevole di tanti soci che rappresentano almeno il trenta per cento del capitale”288. 284 Cfr. A. TUCCI, Managerial passivity e autorizzazione assembleare nella disciplina dell’Opa: riflessioni comparatistiche, in Dir. banc., 1999, p. 497 ss., G. MINERVINI, Opa, quorum e maggioranze per approvare le “azioni di contrasto, in Scritti in memoria di Pietro De Vecchis, Roma, 1999, II, p. 617 ss. Il tema relativo agli strumenti a disposizione della società obiettivo di un’offerta pubblica di acquisto, per difendersi dal tentativo di conquista, è stato molto dibattuto in questi anni, sia all’interno dei confini nazionali sia nell’ambito della Comunità europea. Definiti gli aspetti regolamentari, può essere interessante soffermarsi brevemente su alcuni elementi più tecnici della materia. Fondamentalmente, la società oggetto di offerta può difendersi da una scalata in tre modi: a) chiamare in soccorso una terza società, definita “cavaliere bianco” (White Knight), al fine di produrre un’offerta concorrente; b) aumentare il costo dell’operazione che deve essere sostenuto dall’offerente, mediante opportune operazioni, come ad esempio convertire azioni con voto limitato in azioni con diritto di voto pieno (azioni di risparmio in azioni ordinarie), aumentare il capitale sociale, acquistare azioni proprie per sostenere la quotazione, effettuare operazioni di concambio a condizioni convenienti; c) dismettere alcune attività, così da svalutare la società e ridurre l’interesse dell’offerente. 285 Cfr., in merito, L.G. PICONE, op. cit., p. 126 ss.; L. ROVELLI, L’art. 104 T.U.F., la passivity rule e l’adozione di tecniche antiscalata. La responsabilità degli organi amministrativi, in Convegno organizzato da ITA S.r.l., opa, ops e patti parasociali, Milano, 24 febbraio 1999. Inoltre, v. L. ENRIQUES, Quale disciplina per le acquisizioni ostili? Alcuni modelli teorici e la soluzione italiana, in Mercato, concorrenza regole, n. 2, 1999, p. 182 ss., in cui l’Autore ipotizza gli effetti possibili di una regolamentazione minimale in caso di acquisizioni ostili, che permetterebbe di riconoscere agli amministratori poteri sufficienti per mettere in atto misure preventive difensive o in corso di Opa, prevedendo nel contempo un controllo pubblico, caso per caso, sul concreto esercizio di tale discrezionalità. 286 In Germania la legge sull’Opa (legge 30 novembre 2001, Gesetz zur Regelung von offentlichen Angeboten zurn Erwerb von Wertpaperen und von Unternehmensubemahmen) prevede che l’assemblea generale possa autorizzare la direzione ad erigere misure difensive [v. § 33 Wertpapiererwerbs – und Ubernahmegesetz (WpUG)]. Tuttavia, se la decisione dell’assemblea è presa in via preventiva, cioè in assenza di un’Opa, essa è sottoposta ad alcune condizioni, quali: validità della decisione non oltre diciotto mesi, maggioranza di almeno tre quarti dei voti, descrizione precisa delle misure da prendere e quindi divieto di autorizzazione in bianco, accordo dell’organo di vigilanza. La soluzione adottata in Germania è stata, peraltro, ben descritta da R. SKOG, The European’s proposed takeover directive, the “breakthrough” rule and the Swedish system of dual class common stock, in Riv. Soc., 2003, II, p. 1145, È inoltre evidente – come rileva G. DI MARCO, La nuova disciplina tedesca sulle Opa. Introduzione dello “squeeze out”, in Le Società, 2002, II, p. 259, – “che questo << limitato >> obbligo di neutralità previsto dalla legge tedesca contrasti con l’obbligo più ampio di neutralità quale sussiste in Italia e in molti Stati membri e quale proposto dalla Direttiva comunitaria”. 287 In tal senso v. F. CHIAPPETTA, Commento sub art. 104, cit., p. 967, il quale osserva come di “autorizzazione possa parlarsi solo relativamente ad attività attribuite – per legge, statuto ovvero per precedente deliberazione assembleare – all’organo di amministrazione. Nel caso di attività di competenza assembleare, per contro, la << autorizzazione >> in oggetto coinciderebbe con la deliberazione che decide l’operazione”. 288 Cfr. P. MONTALENTI, Opa: la nuova disciplina, cit., p. 159, il quale evidenzia come “laddove la quota di controllo sia inferiore al 30%, la regola tutela gli interessi dei minoritari, operando in funzione di diritto di blocco della minoranza, che può impedire il ricorso agli strumenti difensivi. Laddove, invece, la quota di controllo sia superiore al 30%, è evidente che l’approvazione assembleare opera a tutela dell’incumbent shareholder. E poiché in Italia la quota media del controllo è, di regola, superiore al 30%, la norma si rivela, in definitiva, di ostacolo al ricambio del potere societario”. - 86 - È evidente il carattere di specialità che presenta la scelta del legislatore289. L’art. 104, infatti, deroga sia alla disciplina dettata dagli artt. 2368 e 2369 del cod. civ. per l’assemblea ordinaria, sia a quella che era prevista dallo stesso art. 126 del T.u.f. (ora modificato) per l’assemblea straordinaria290. 7.1. (Segue): La decorrenza della passivity rule e gli interessi protetti. Come già accennato, il Testo Unico non ha colmato una lacuna già presente nel precedente ordinamento, relativa all’inizio e alla durata del divieto. Anche in tale circostanza, come più volte ribadito, il regolatore si trova nella necessità di dover contemperare due interessi, entrambi meritevoli di tutela: quello dell’offerente alla piena libertà di azione, e quello della società oggetto dell’offerta ostile a non essere costretta entro i confini della regola di passività per un periodo troppo lungo, o addirittura indefinito. Stando ad una interpretazione logica del comma 1 dell’art. 104, l’inizio del divieto dovrebbe coincidere con la pubblicazione del prospetto, mentre il termine finale sembrerebbe essere il giorno di chiusura dell’offerta. Tale soluzione non appare pienamente esaustiva, lasciando comunque margini di manovra agli amministratori della società bersaglio come nell’ipotesi in cui questi, essendo già a conoscenza del contenuto del prospetto d’offerta precedentemente alla sua pubblicazione, agiscano prima del sorgere del divieto291. 289 Si ricorda, infatti, che ai sensi del vecchio testo dell’art. 126, comma 4, del T.u.f., (che nella versione attuale, in seguito cioè alle modifiche intervenute per effetto dell’art. 9 del d.lgs. n. 37/2004, rinvia a sua volta alla disciplina di cui agli artt. 2368 e 2369 c.c) l’assemblea straordinaria deliberava in prima, seconda e terza convocazione con il voto favorevole di tanti soci che rappresentassero i 2/3 del capitale presente in assemblea, salvo che l’atto costitutivo prevedesse una maggioranza più elevata. Sul punto cfr. P. MONTALENTI, op. ult. cit., p. 159, per il quale: “L’art. 104, comma 1, T.u.f., dettando una regola precisa ed autonoma, riferita anche alla terza convocazione – e quindi anche all’assemblea straordinaria – , esclude che possa applicarsi cumulativamente, per così dire, anche la norma generale di cui all’art. 126, comma 4, T.u.f.”. In senso conforme v. P.G. MARCHETTI, D.Lgs. n. 58/1998. L’incidenza sulla disciplina delle assemblee: primi commenti, in Le società, 1998, p. 560; F. CHIAPPETTA, op. cit., p. 969. Contra R. WEIGMANN, La nuova disciplina delle Opa, cit., p. 201, per il quale: “la maggioranza anche nel caso dell’art. 104, ossia per le deliberazioni assunte in tema di Opa, deve comunque essere almeno pari ai due terzi del capitale rappresentato in assemblea, salvo che l’atto costitutivo non richieda una percentuale più elevata”. Secondo R. RORDORF, I poteri degli azionisti di minoranza nel testo unico sui mercati finanziari, in Scritti in onore di Vincenzo Salafia, Milano, 1998, p. 155, richiedere l’approvazione dei 2/3 degli azionisti presenti, non essendo sufficiente, in caso contrario, il voto favorevole dei soci che detengono il 30% del capitale, è da ritenersi “più coerente con le finalità complessive del testo unico e con i criteri ispiratori della delega”. 290 Sui quorum speciali in materia di Opa cfr. R. D’AMBROSIO, op. cit., p. 599. In particolare è stato affrontato in dottrina il problema se il quorum fissato dal citato art. 104, comma 1, del T.u.f. costituisca una soglia minima che non esclude maggioranze più elevate stabilite da altre norme di legge o di statuto ovvero se detto quorum sia un quorum “speciale” che si applica anche là dove siano previste maggioranze diverse per determinate categorie di operazioni. Quest’ultima tesi, che è accolta da ASSONIME, op. ult. cit., p. 51, fa leva sulla natura di disposizione speciale dell’art. 104 rispetto alle norme del codice civile e dello stesso art. 126 del T.u.f., nonché sulla circostanza che la delicatezza della materia richiede un quorum deliberativo suscettibile di garantire l’assunzione in tempi rapidi da parte dei soci di una decisione. E pensare che le due Commissioni del Senato avevano congiuntamente proposto di elevare il quorum deliberativo dell’art. 104, comma 1, alla maggioranza di cui all’art. 2368, comma 2, cod. civ. ferme restando le maggioranze previste in tema di modifiche statutarie. Tuttavia, tale emendamento all’epoca non venne recepito. 291 In merito v. Relazione Consob per il 1999, cit., p. 36, e il commento di R. SABBATINI, Sull’Opa il regolamento può essere rivisto, in Il Sole 24 Ore, 13 aprile 1999, p. 29; C. CLERICETTI,“No ad un piano per le banche”, in La Repubblica, Affari & Finanza, 20 settembre 1999, p. 7. Secondo M. LISANTI, op. cit., p. 467, l’inizio dell’operare di tale divieto si sarebbe dovuto individuare o nel momento in cui scatta l’obbligo di Opa, con riferimento al caso di Opa successiva, o nel momento in cui il consiglio d’amministrazione della società bersaglio ha ragione di credere che un’offerta stia per essere lanciata sui titoli della stessa società, in quest’ultimo caso con riferimento all’ipotesi di Opa volontaria. - 87 - Tuttavia, ad un esame più attento del quadro normativo, non sfugge come per gli offerenti quotati (o con titoli diffusi in misura rilevante presso il pubblico dei risparmiatori) operino comunque gli obblighi d’informazione di cui all’art. 114 T.u.f.292. In termini più espliciti, ciò significa che l’offerente potrebbe essere costretto a svelare le sue intenzioni senza per questo ottenere l’effetto di sottoporre il management della società bersaglio alla passivity rule. In tal guisa, se da un lato sarebbe soddisfatto l’interesse alla trasparenza, dall’altro inevitabilmente verrebbe meno la simmetria di posizioni – che pure nell’ottica del TAR del Lazio era parsa essenziale – tra offerente ed emittente. La società target, infatti, avrebbe comunque a disposizione un certo periodo di tempo per approntare manovre difensive svincolate dalle regole di competenza in cui si sostanzia la passivity rule. Basti osservare che nella versione iniziale del regolamento Consob, la scelta di configurare la prima comunicazione come l’avvio formale della procedura di offerta pubblica, con il conseguente blocco di ogni iniziativa contraria da parte degli amministratori della società bersaglio, consentiva, in effetti, allo scalatore di presentarsi in posizione di netto vantaggio, posto che impegni irrevocabili riconducibili alla prima comunicazione venivano assunti solo in seguito, con la pubblicazione del prospetto293. Senza considerare, per altro verso, che la soluzione adottata in via regolamentare non assicurava affatto, per tutta una serie di motivi, che l’offerente potesse realmente operare in segreto fino a quando non scattasse la passivity rule per l’emittente (si pensi solo a rumours, eventuali richieste di autorizzazioni e/o convocazione d’assemblea in caso di offerta pubblica di scambio, intervallo comunque intercorrente tra deposito presso la Consob del documento d’offerta del quale l’emittente va informato e momento in cui con la pubblicazione del documento d’offerta scatta la regola di passività)294. Al di là delle varie soluzioni proponibili, forse è il caso di rilevare che l’elemento essenziale da tener presente è un altro. Si tralascia spesso di considerare che la passivity rule non è posta direttamente a tutela dell’interesse dell’offerente a immobilizzare il bersaglio, bensì per risolvere, tramite uno spostamento della competenza a decidere, il possibile (probabile) conflitto di interessi tra amministratori e soci (ovvero tra gruppo di comando e altri soci)295. L’art. 103 T.u.f., che regola le modalità di svolgimento dell'offerta, al secondo comma dispone che, fermo quanto previsto dal titolo III, capo I, agli emittenti si applicano: a) l'art. 114, commi 3 e 4, T.u.f. dalla data della pubblicazione del documento d'offerta e fino alla chiusura della stessa; b) l'art. 115 T.u.f., dalla data della comunicazione prevista dall'art. 102, comma 1, e fino a un anno dalla chiusura dell'offerta. In particolare, l’art. 114 T.u.f. impone alle società quotate di impartire “le disposizioni occorrenti affinché le società controllate forniscano tutte le notizie necessarie per adempiere gli obblighi di comunicazione previsti dalla legge”; funzionale a tale obbligo è il potere di “richiedere agli emittenti quotati, ai soggetti che li controllano e alle società dagli stessi controllate, la comunicazione di notizie e documenti, fissandone le relative modalità”, conferito alla Consob dall’art. 115 T.u.f. 293 In tal senso v. M. ZECCHINI e A. PARALUPI, La sollecitazione all’investimento. La passivity rule, in S. AMOROSINO e C. RABITTI BEDOGNI (a cura di), Manuale di diritto dei mercati finanziari, Milano, 2004, p. 267; Mentre, per un utile confronto in chiave comparatistica, si rinvia a F.M. MUCCIARELLI, I poteri degli organi di società-bersaglio nella legge tdesca sull’Opa, in Banca, borsa e tit. cred., 2002, 5, I, p. 659 ss. Al riguardo si segnalano due soluzioni interpretative: in primo luogo, si sostiene che la passivity rule, riguardando essenzialmente i poteri organici del management, non può iniziare solo dal momento della proposizione dell’Opa, ma inizia prima quando gli amministratori potevano o dovevano sapere dell’imminenza di un’Opa (nonostante il diverso enunciato contenuto nell’art. 104 T.u.f.); in secondo luogo, si ritiene che gli amministratori possano sollecitare Opa concorrenti anche senza essere autorizzati dall’assemblea, ma solo se l’offerta sollecitata non crei problemi d’azione collettiva per gli azionisti. Queste due diverse chiavi di lettura della passivity rule sono descritte da F.M. MUCCIARELLI, Società per azioni e offerte pubbliche d’acquisto, cit., cap. 4. 294 Con ciò riproducendo quello che universalmente era riconosciuto come uno dei maggiori difetti del sistema anteriore all’emanazione del T.u.f.; in merito cfr. ASSONIME, op. cit., p. 35; C. MOSCA, Commento sub art. 102, cit., p. 200 ss.; F. CHIAPPETTA, Commento sub art. 102, cit., p. 956; L.G. PICONE, op. cit., p. 20. 295 In sostanza, si tratta dei soci meri investitori e di coloro che possono estrarre benefici privati dal controllo e che, per tale ragione, potrebbero essere indotti a opporsi a un’Opa favorevole per gli azionisti in 292 - 88 - Ruotando il punto di osservazione, si potrebbe fin’anche sostenere che l’applicazione della regola di passività non richieda che siano note tutte “le informazioni necessarie per consentire ai destinatari di pervenire a un fondato giudizio sull’offerta” (in altri termini, che sia avvenuta la pubblicazione del documento d’offerta). Paradossalmente, il fatto che i soci non dispongano ancora compiutamente di tali informazioni non può, infatti, comportare un’ulteriore diminuzione della loro tutela lasciando nelle mani degli amministratori (o di una maggioranza inferiore al 30%) la possibilità “nel mentre” di avviare manovre atte a contrastare il successo dell’Opa296. 8. Il procedimento per il lancio di un’Opa bancaria. Il problema del rapporto tra normativa sulle società quotate (le regole generali sull’Opa) e normativa speciale sulle imprese bancarie. La ricostruzione del quadro normativo consente agevolmente di comprendere come, in presenza di un’Opa sul capitale di una banca quotata, il novero delle norme rilevanti si arricchisca (problematicamente, ma in via assorbente) anche delle disposizioni di cui agli artt. 37 e ss. della delibera Consob n. 11971/99, espressione della delega di cui al richiamato art. 102, comma 2, T.u.f.297. Come si è visto nei paragrafi precedenti, anche la procedura prevista dalla normativa secondaria emanata dalla Consob ha subito importanti cambiamenti, peraltro successivi alle modiche delle Istruzioni di vigilanza del 1999, per effetto di alcune pronunce della giurisprudenza amministrativa298. quanto tali. Pare evidente che, nella diagnosi del legislatore, allo scopo non è sufficiente il dovere di ogni organo sociale di conformare le sue decisioni al perseguimento dell’interesse sociale. Nel senso che il significato della necessità dell’autorizzazione assembleare consiste nel rimettere la scelta sulle manovre difensive agli stessi soggetti che sono i destinatari dell’offerta v. R. D’AMBROSIO, Commento sub artt. 102-112 T.u.f., in C. RABITTI BEDOGNI (a cura di), Il testo unico della intermediazione finanziaria. Commentario al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Milano, 1998, p. 599. 296 Peraltro, a differenza di quanto affermato nel giudizio di primo grado, nella decisione del Consiglio di Stato era stato espressamente riconosciuto il potere della Consob di imporre la c.d. “prima comunicazione”. Tale pronunciamento tuttora conserva diverse valenze: a) in primo luogo, viene giudicata legittima la previsione secondo cui la prima comunicazione può (deve) avvenire anche senza il contestuale deposito presso la Consob del documento d’offerta; b) in secondo luogo, viene riconosciuta la legittimità della norma secondo cui la prima comunicazione deve essere trasmessa non solo alla Consob, ma anche al mercato e all’emittente; c) infine, si afferma che determinati effetti (regole di correttezza e trasparenza) decorrono immediatamente dall’esecuzione della prima comunicazione. Secondo V. SALAFIA, Il procedimento per il lancio di un’Opa, in Le società, 1999, p. 396, la prima comunicazione (che l’A. ritiene non dovuta, ma possibile) non priverebbe il soggetto che l’ha effettuata del potere di revocare l’offerta (se bene intendiamo: qualora cioè l’offerente dichiari espressamente l’irrevocabilità nella prima comunicazione ex art. 37, comma 1, reg. ovvero, comunque, essa provochi l’immediata applicazione della passivity rule). In senso contrario L.G. PICONE, op. cit., pp. 21 e 68 s.; per completezza v. pure i rilievi mossi da F. CANNELLA, Commento sub art. 103, in MARCHETTI e BIANCHI (a cura di), La disciplina delle società quotate nel testo unico della finanza. Commentario al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Milano, I, 1999, p. 225; in senso dubitativo, cfr. M. CALLEGARI, Commento sub art. 102, in in G. COTTINO (diretto da), La legge Draghi e le società quotate in borsa, Torino, 1999, p. 13. 297 L’opzione in esame postula di chiarire che il Testo unico della finanza non consentirebbe di riconoscere all’offerta in violazione della procedura ex artt. 102 ss. gli effetti negoziali propri del tipo di appartenenza. Prescindendosi dal modulo espressivo della dichiarazione – non rilevando cioè che essa si palesi o meno attraverso una formale dichiarazione in incertam personam – la stessa risulterebbe equiparata al messaggio promozionale e all’invito ad offrire in una medesima qualificazione di atto idoneo a far insorgere il già descritto vincolo preliminare, ingenerando altresì la reazione sanzionatoria posta dal legislatore in caso di violazione delle norme impositive del procedimento. 298 In proposito v. modifica del regolamento emittenti adottata con delibera Consob del 6 aprile 2000, n. 12475. - 89 - I progetti di Opa sulle banche sono, pertanto, chiamati a superare una parallela valutazione in cui la Banca d’Italia considera gli aspetti di stabilità per l’attività bancaria e la Consob vigila a tutela della trasparenza e della correttezza dell’operazione299. La procedura autorizzativa per l’acquisto di partecipazioni rilevanti al capitale delle banche è stata infatti oggetto di importanti modifiche per il coordinamento con la disciplina dell’offerta pubblica di acquisto contenuta nel Testo Unico della finanza e nei provvedimenti attuativi. Le modifiche si sono rese necessarie a seguito di alcuni problemi interpretativi che hanno riguardato: 1) da un lato, tempi e modalità dell’adempimento a carico del potenziale acquirente dell’obbligo di informativa preventiva alla Banca d’Italia, previsto nelle Istruzioni di vigilanza e ora abrogato; 2) dall’altro, l’esatta determinazione del momento in cui sorge l’obbligo di chiedere l’autorizzazione ex art. 19 T.u.b. in caso di operazioni di acquisizione mediante offerta pubblica di acquisto; 3) più in generale, l’esigenza di garantire una tempestiva pubblicità del progetto di acquisizione, onde scongiurare fenomeni di insider trading e di manipolazione del mercato. 8.1. (Segue): In particolare: il rapporto tra obbligo di “informativa preventiva” e obbligo di tempestiva comunicazione alla Consob e al mercato nel sistema previgente. Nelle Istruzioni di vigilanza sulle partecipazioni al capitale delle banche, fra i modi di acquisizione è espressamente prevista anche l’offerta pubblica di acquisto e di scambio (v. infra cap. 1, §. 4.1.). Come più volte ricordato nel corso del lavoro, prima che il Governatore Draghi nel settembre del 2006 ne decretasse la soppressione, oltre alla richiesta di preventiva autorizzazione ai sensi dell’art. 19 del T.u.b., le Istruzioni prevedevano anche l’obbligo per colui che aspira ad acquisire il controllo di inviare alla Banca d’Italia l’informativa preventiva (al fine di rendere possibile una prima verifica dell’esistenza di eventuali elementi ostativi alla realizzazione delle operazioni stesse). In particolare, le Istruzioni precisavano che l’adempimento di tale obbligo dovesse precedere la delibera del consiglio di amministrazione (almeno sette giorni prima della convocazione del consiglio per l’approvazione del progetto)300. Per contro, il regolamento Emittenti obbligava chi avesse avuto intenzione di lanciare un’Opa a darne immediata (“senza indugio”) comunicazione alla Commissione di vigilanza nonchè al mercato e all’emittente301. Una pubblicità tempestiva e completa in merito alle intenzioni di offerta pubblica permette(va), 299 In proposito v. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza, cit., Sez. II, art. 5.2.2., “Acquisizione del controllo. Il piano industriale”. 300 Si ricorda che, fin dalla prima versione emanata in attuazione del d.lgs. n. 481 del 1992, le Istruzioni di vigilanza in materia di partecipazione al capitale dell’agosto 1993, affermavano l’utilità, prima della formalizzazione della domanda di autorizzazione, dell’avvio tempestivo di contatti preliminari tra gli interessati all’acquisto del controllo e la Banca d’Italia. Come osserva C. BRESCIA MORRA, L’impresa bancaria, cit, p. 208, tale previsione mirava, da un lato, a rendere “più flessibile la procedura autorizzativa” e, dall’altro, a “evitare che notizie relative ad operazioni, che potevano essere successivamente vietate dalle autorità di vigilanza, potessero comportare oscillazioni nei prezzi delle azioni della banca oggetto di acquisizione”. 301 Come, all’epoca, previsto dall’art. 5 reg. Consob n. 11520/1998, poi modificato per effetto delle citate pronunce della giurisprudenza amministrativa. Secondo L. SPAVENTA, Preliminare l’informazione del mercato, cit., “Il momento informale, di moral suasion della Banca d’Italia su ipotesi di aggregazioni bancarie, non riguarda la Consob, se non nella misura in cui ci siano dei rumors del mercato”. - 90 - infatti, di ridurre al minimo i rischi di insider trading sempre presenti in operazioni di questo genere302. Sebbene la Consob avesse stabilito che la comunicazione dell’intenzione di lanciare un’offerta pubblica di acquisto dovesse essere presentata “contestualmente” alle richieste di autorizzazione alle autorità competenti (Banca d’Italia, Isvap, Autorità garante), l’effetto pratico generato dalle regole sull’informativa preventiva era principalmente quello di consentire alla Banca d’Italia di “battere sul tempo la Consob (e, quindi, il mercato, al quale la Consob è tenuta a dare immediata notizia)”303. Questo meccanismo contribuiva, pertanto, a rendere nota l’esistenza di un progetto di acquisizione di una banca quando ancora molti contenuti della proposta non potevano essere chiariti agli investitori ed alla stessa società bersaglio304. Del resto, l’informativa preventiva, seppur riservata esclusivamente alla Banca d’Italia, era deputata a convertirsi anticipatamente, non appena resa disponibile, in informazione utilizzabile da tutto il mercato e, in questo senso, in mero supplemento di quanto il mercato avrebbe dovuto conoscere solo in seguito e con maggior grado di dettaglio, in virtù della disciplina sulle offerte pubbliche di acquisto305. Senza considerare, a tacer d’altro, come, in siffatte ipotesi, si registrasse piena libertà d’azione da parte della Vigilanza bancaria nella gestione dei tempi e delle procedure306, elementi questi che inevitabilmente concorrevano a generare fughe di notizie307. E pensare che già prima dell’emanazione di una vera e propria disciplina legislativa delle offerte pubbliche di acquisto G. CASTELLANO, Le offerte pubbliche di acquisto: i problemi non risolti dalla legge di riforma, in Giur. comm., 1975, I, p. 27, sottolineava l’importanza della “fase segreta dell’operazione”. In particolare si legge: “Molteplici ragioni consigliano che, durante la fase cosiddetta segreta dell’offerta pubblica, non vengano diffuse notizie sull’operazione progettata. Gli stessi iniziatori, se sono persone serie, hanno interesse a conservare il riserbo più rigoroso: negli affari come in guerra, il << fattore sorpresa >> può essere determinante; dal loro punto di vista è opportuno che il gruppo di comando della società presa di mira non possa predisporre difese prima ancora che l’offerta sia resa pubblica. Ma vi sono anche esigenze obiettive, di interesse pubblico, ad imporre che non circolino notizie o congetture: un mercato così delicato come quello di borsa potrebbe venirne influenzato a tutto profitto della speculazione più dannosa”. A sostegno di tale interpretazione, v. anche i rilievi formulati da G. NICCOLINI, Le offerte pubbliche di acquisto (O.P.A.), in Riv. dir. civ., 1974, p. 614. 303 Così P. ABBADESSA, op. cit., p. 40. 304 L’informazione preventiva e segreta alla Banca d’Italia di un’intenzone non formalizzata neanche da una decisione del consiglio di amministrazione della banca proponente l’acqisizione (v. art. 3.1, ora abrogato, “Progetti di acquisizione”, Sez. II, Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia, cit.) poneva l’organo di vigilanza bancaria “in una posizione privilegiata rispetto alle altre valutazioni e agli altri organismi coinvolti”; così M. POLO, Concorrenza e Opa nell’industria bancaria, in Mercato concorrenza regole, 1999, 2, p. 268. In altri termini, il diritto di rilasciare un’autorizzazione preventiva sui progetti di Opa si traduceva, a livello regolamentare, nel diritto di esprimere un “preventivo gradimento” prima ancora che il progetto fosse reso pubblico al mercato (v. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza, , cit., Tit. II, cap. I, sez. II, art. 5.2.1, “Elementi informativi”). Come risulta facile intuire, un siffatto meccanismo consentiva alla Banca d’Italia di “battere sul tempo” la Consob. Di diverso avviso, seppur in misura parziale, è l’opinione di D. LUCARINI ORTOLANI, Le offerte pubbliche di acquisto e scambio tra disciplina generale societaria e disciplina speciale bancaria, in Banca, impr. soc., 2001, 2, p. 309, secondo cui “può valutarsi positivamente la preventiva informazione della Banca d’Italia sui progetti imprenditoriali di acquisizioni bancarie, soprattutto ostili, solo se preordinata ad assicurare la << gestione sana e prudente >> delle banche coinvolte, …per la stabilità del sistema bancario, che potrebbe, in ipotesi, essere contrastata o minacciata dalla spontaneità del mercato”. 305 Cfr. A. PATRONI GRIFFI, L’autonomia statutaria degli enti creditizi tra libertà e controlli, in Rass. dir. civ., 1993, p. 387; M. LAMANDINI, Le concentrazioni bancarie. Concorrenza e stabilità nell’ordinamento bancario, Bologna, 1998, p. 102 ss.; C. BRESCIA MORRA, Società per azoni bancaria: proprietà e gestione, in Quad. giur. comm., n. 212, Milano, 2000, p. 43. 306 La questione del grado di dettaglio delle norme merita qualche ulteriore considerazione. Norme, sia nella legislazione primaria che in quella secondaria, vaghe o poco dettagliate, comportano l’uso di discrezionalità da parte delle Autorità di vigilanza nell’esercizio dei propri poteri. Il pensiero economico di tradizione liberista (F.A. HAYEK, The Constitution of Liberty, traduzione italiana La società libera, 1969, Firenze, 1960, p 76 ss.; S.J. BURTON, Beach of Contract and the Common Law Duty to Perform in Good Faith, in Harward Law Review, 1980, p. 64 ss.) è ostile alla discrezionalità amministrativa, in quanto contribuisce a rendere meno certe le regole del gioco ed 302 - 91 - A rendere ancor più confuso il quadro normativo, contribuiva il fatto che le disposizioni concernenti l’informativa preventiva non contemplavano l’emanazione di un provvedimento formale della Banca d’Italia, in merito alla proseguibilità o meno del tentativo di acquisizione del controllo, cui l’aspirante acquirente era vincolato a conformarsi. Di conseguenza, rimaneva impregiudicata sia la facoltà dell’organo di gestione della società offerente di procedere in ogni caso alla deliberazione dell’istanza di autorizzazione ai sensi dell’art. 19 del T.u.b., sia l’esito della valutazione definitiva sull’operazione che l’Autorità di vigilanza avrebbe in seguito assunto. 8.2. (Segue): Il perfezionamento del negozio di acquisto delle partecipazioni bancarie in caso di Opa. Un ulteriore problema di coordinamento delle due discipline riguarda il momento in cui deve essere rilasciato il provvedimento autorizzativo da parte della Banca d’Italia. Come già ricordato nel primo capitolo, secondo la procedura prevista nei casi di acquisizione realizzati mediante trattative fra due o più soggetti, il provvedimento di autorizzazione deve intervenire prima del perfezionamento dell’operazione (è ammissibile, peraltro, la stipula di contratti condizionati al rilascio dell’autorizzazione). Diversamente, nei casi – come quello dell’Opa – in cui il perfezionamento interviene a chiusura di una complessa procedura che coinvolge il mercato, la Banca d’Italia ha ritenuto opportuno anticipare il momento del rilascio dell’autorizzazione alla fase che precede l’assunzione da parte dell’offerente dell’impego irrevocabile308. Nelle Istruzioni si prevede, infatti, che “nel caso di offerte pubbliche di vendita e di sottoscrizione riguardanti le azioni di banche, stante il carattere irrevocabile e incondizionato delle accettazioni (…), i soggetti interessati non possono aderire all’offerta se non hanno ottenuto l’autorizzazione della Banca d’Italia. Ciò ovviamente nei soli casi in cui il quantitativo di azioni che si intende sottoscrivere comporti il superamento delle soglie autorizzative”. Le Istruzioni proseguono stabilendo che, “per l’acquisizione di partecipazioni nel capitale delle banche che comportano l’obbligo di offerta pubblica di acquisto (…), i soggetti interessati non possono promuovere l’offerta se non hanno ottenuto l’autorizzazione della Banca d’Italia”. In base a tale normativa, pertanto, la procedibilità di un’offerta pubblica viene condizionata e subordinata al rilascio dell’autorizzazione della Banca d’Italia309. aumenta il “rischio regolamentare” generato dalla possibilità che le regole o la loro interpretazione si modifichino frequentemente. 307 All’esigenza di garantire la parità di trattamento fra i possessori di titoli della società presa di mira si affianca quella di sottoporre a controlli rigorosi i cosiddetti “iniziati”: gli amministratori, i direttori generali e tutte le persone che, per ragione del loro ufficio, godono di informazioni privilegiate. Tutti costoro potrebbero giovarsi del clima creato da un’offerta pubblica per ottenere ingiustificabili “capital gains”. Gli “iniziati” della società destinataria dell’offerta infatti sono i principali destinatari delle proposte privilegiate e, inoltre, dispongono di informazioni più ampie di quelle poste a conoscenza del pubblico degli azionisti. Per quanto riguarda, invece, gli “iniziati” della società offerente, questi, si osserva, sono in condizioni ancora più favorevoli, specialmente durante la fase che precede il lancio dell’Opa. 308 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per le banche, cit., Tit. II, cap. 1, sez. II, §. 4.2. 309 Cfr. art. 37, comma 2, lett. a), reg. Consob n. 11971/99, dove si richiede all’offerente di indicare nella comunicazione da inoltrare alla Consob ai sensi dell'art. 102, comma 1, T.u.f., che siano “state contestualmente presentate alle autorità competenti le richieste di autorizzazione necessarie per l'acquisto delle partecipazioni”. Come già accennato, la normativa previgente prevedeva come possibile presupposto per l’avvio dell’istruttoria della Consob, finalizzata alla pubblicazione del documento d’offerta, la presentazione della documentazione concernente l’avvenuto rilascio delle necessarie autorizzazioni, senza specificare quali, ma che, nel caso di società bancarie erano quelle rilasciate dalla Banca d’Italia in ordine sia alle partecipazioni nelle banche e delle banche, sia alla tutela della concorrenza. - 92 - Nella versione originale, il regolamento Consob, dal canto suo, prevedeva che la comunicazione del documento di offerta alla Consob dovesse riportare anche l’avvenuto rilascio delle necessarie autorizzazioni. Ciò significava che in assenza di autorizzazione il documento di offerta pubblica non potesse essere pubblicato, perché incompleto. Il lancio dell’Opa, pertanto, non poteva aver luogo fino a che la Banca d’Italia non avesse rilasciato l’autorizzazione prescritta. Nella versione attuale, l’art. 37, comma 2, lett. a), del regolamento Consob, supera questa “indecisione”, stabilendo che è sufficiente che la comunicazione del documento d’offerta sia contestuale alla presentazione alle autorità competenti delle richieste di autorizzazione necessarie. Il primo atto di informazione previsto dalla procedura dell’Opa è rappresentato dalla “preventiva comunicazione” alla Consob con allegato il documento di offerta di cui all’art. 102 T.u.f. La comunicazione è dovuta, secondo quanto specificato dalla stessa Consob, solo a seguito della delibera dell’organo di gestione della società offerente. L’art. 40, comma 3, lett. c), tuttavia, precisa che il periodo di adesione non può avere inizio “se non è stata rilasciata l'autorizzazione prevista dalla normativa di settore per l'acquisto di partecipazioni al capitale di banche o di intermediari autorizzati alla prestazione di servizi d'investimento” 310. Il dato nuovo che sembra di poter cogliere è che, rispetto alla versione precedente, le nuove disposizioni della Consob posticipino l’avvio della procedura autorizzativa prevista dalla disciplina bancaria. Questa scelta risulta dettata dall’esigenza di ridurre il tempo intercorrente fra la delibera del consiglio di amministrazione della società offerente e la presentazione del documento d’offerta, attesa la cancellazione – a seguito delle note pronunce giurisprudenziali – dell’obbligo di preventiva comunicazione al mercato. D’altro canto, le stesse disposizioni Consob mitigano gli effetti dello spostamento in avanti della procedura bancaria. La previsione del citato art. 40, comma 3, lett. c), infatti, sembra muoversi nella stessa direzione sottesa alla disposizione presente nelle Istruzioni di vigilanza, che impone il rilascio dell’autorizzazione prima che l’offerta divenga irrevocabile: in entrambi i casi, si mira ad evitare che le scelte del mercato vengano effettuate prima della pronuncia della Banca d’Italia che potrebbe vietare l’operazione311. 8.3. (Segue): Il conflitto fra le disposizioni della Consob e le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia. Le asimmetrie informative sono quelle che, più di altre, vanno ad alterare la condizione della trasparenza. La trasparenza, sul piano degli interessi privati, è funzionale alla tutela degli investitori e dei soggetti interessati ad acquisire il controllo sulle società quotate, mentre sul piano dell’interesse generale, rappresenta un presupposto imprescindibile al perseguimento della competitività e del buon funzionamento del mercato. 310 Peraltro, al successivo comma 4 dell’art. 40, reg. Consob n. 11971/99, si stabilisce che “la notizia delle intervenute autorizzazioni previste dalle normative di settore, dell'adozione della delibera di emissione degli strumenti finanziari offerti in scambio, della sua intervenuta iscrizione nel registro delle imprese e dell'inizio del periodo di adesione è immediatamente comunicata al mercato se non già contenuta nel documento d'offerta”. 311 Sotto un profilo formale, va tenuto in debito conto che la normativa Consob non fa riferimento al momento in cui l’offerta diviene irrevocabile. Come è stato rilevato in dottrina, “anche ove si ritenga che l’irrevocabilità dell’Opa coincida con il momento della pubblicazione del documento d’offerta, è possibile che l’autorizzazione prevista dall’art. 19 in commento intervenga prima che l’Opa divenga irrevocabile, se viene rilasciata nei quindici giorni successivi alla richiesta”; così C. BRESCIA MORRA, L’impresa bancaria, cit., p. 203. Alla Consob compete infatti l’esame, da eseguirsi entro 15 giorni, dei profili di trasparenza dell’operazione e della correttezza e completezza delle informazioni contenute nel documento d’offerta prima di autorizzarne la pubblicazione (art. 102, comma 2, T.u.f.). - 93 - Recenti e documentati contributi dottrinali, pur se orientati ad ottimismo, attestano quanto sia difficile districarsi tra l’esigenza dei mercati di acquisire senza indugio informazioni relative alle suddette operazioni e il bisogno di riservatezza delle parti coinvolte nelle iniziative di subentro nel controllo312. A fronte della dettagliata disciplina in tema di offerta pubblica di acquisto, incentrata sulla comunicazione e pubblicazione del documento d’offerta, che ha natura preventiva e di cui risultano beneficiari tutti gli investitori, si giustappone la constatazione che una documentata informazione relativa alle operazioni di dismissione e acquisizione del controllo delle banche è destinata a realizzarsi sul mercato soltanto ex post313. La divulgazione di alcuni dati informativi, che avviene con l’inoltro della richiesta preventiva di autorizzazione alla Banca d’Italia, può infatti dischiudere la conoscenza di situazioni ancora incerte, laddove per esempio legate allo sviluppo di trattative che, per note ragioni, non sono necessariamente destinate a concretizzarsi in una vicenda negoziale dagli effetti definitivi ovvero che possono persino non approdare ad esiti di sorta314. Diversamente, le regole in tema di offerta pubblica di acquisto sono generalmente percorse, come quelle in tema di repressione dell’insider trading315 e di informazione permanente del mercato, dalla preoccupazione di colmare (rectius, ridurre a livelli fisiologici) l’asimmetria informativa che – è presumibile – sussista tra determinate controparti o categorie di controparti316. Al tempo stesso, un comune substrato di market egalitarianism può essere Per un’analisi cfr., ex multis, F. VELLA, Il corporate governance nelle banche tra regole di vigilanza e disciplina di mercato, in Banca, impr. e soc., 1998, p. 83 che ipotizza “in un possibile conflitto tra le competenze attribuite all’organo di vigilanza per l’autorizzazione all’acquisto di azioni delle banche e le norme in materia di Opa, una prevalenza delle seconde in quanto strumento di monitoraggio di mercato sull’efficienza aziendale, tramite il ricambio del controllo, e anche strumento di tutela dell’azionariato bancario; fermi restando naturalmente i limiti di << separatezza >>, previsti dall’art. 19 T.u.b.” 313 Del resto, come è noto, gli effetti preliminari non possono però considerarsi di origine negoziale allorquando gli stessi sorgano prima che sia addirittura iniziata la manifestazione di volontà. Un’espressa dichiarazione, assoggettata al medesimo vincolo di pubblicazione prescritta per l’avvio della procedura, potrebbe all’uopo risultare sufficiente allo scopo. Infatti, come rileva D. RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, p. 151, “la funzione mediata degli effetti preliminari consiste nell’assicurare la futura produzione degli effetti definitivi, proteggendo il completarsi della fattispecie”. 314 Meno chiara, invece, è quale sia la configurazione del contenuto e dei limiti del bisogno di protezione, riferito ai predetti azionisti, in ragione del quale il legislatore è intervenuto. In particolare, ci si può domandare se questo bisogno di protezione sia identico o omologo a quello sotteso alla generalità delle norme di tutela degli investitori nell’ambito del diritto del mercato finanziario; o se invece si è di fronte a un bisogno di protezione speciale e diverso, tale da attribuire alle norme in tema di offerta pubblica una ratio e correlativamente un contenuto e una portata del tutto peculiari nel quadro della disciplina giuridica del mercato. In merito cfr. F. GUARRACINO, Commento sub art. 114, in Commentario del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di G. ALPA e F. CAPRIGLIONE, 1998, p. 1031 ss. 315 Né, ancora, la revisione della disciplina dell’insider trading, che la recente introduzione della direttiva n. 2003/6/CE sugli abusi di mercato ha imposto, si prospetta idonea a superare tali oggettive difficoltà: la direttiva ruota intorno all’assolvimento del prescritto obbligo di tempestiva disclosure dell’informazione privilegiata, ma l’ampiezza della relativa nozione rende parimenti problematica, nei sensi suddetti, la selezione dei fatti e dei comportamenti di cui sia da prescrivere la tempestiva trasparenza e divulgazione. Si è rilevato in proposito che essa non consente di escludere che costituisca informazione privilegiata, oggetto di divulgazione, anche quella concernente progetti ancora in itinere, ovvero informazioni di provenienza esterna all’emittente che però lo riguardino direttamente; con quali conseguenze, in termini di speculazione, è lecito chiedersi. È noto infatti che la tipologia di abuso di informazioni privilegiate maggiormente frequente è proprio quella relativa al mutamento di controllo di società quotate, attuato sia attraverso offerte pubbliche di acquisto, sia attraverso la cessione di partecipazioni rilevanti. Il punto meriterebbe un valido approfondimento; si rinvia pertanto ai contributi di R. RORDORF, Importanza e limiti dell’informazione nei mercati finanziari, in Giur. Comm., 2002, I, p. 773 ss., ed ivi p. 776 ss.; F. ANNUNZIATA, Le norme del nuovo regolamento della Consob in materia di informazione societaria. Una prima lettura, in Banca borsa, 1999, I, p. 500 ss. 316 Il problema è stato anche ampiamente studiato e posto in evidenza nel dibattito giuridico. In proposito cfr. F. CESARINI, Mercato finanziario ed informazione societaria, in l’Informazione societaria, in Atti del convegno 312 - 94 - ravvisato tanto nelle regole in tema di insider trading e di informazione permanente del mercato, quanto nelle regole in tema di offerta pubblica317. Questo assunto appare ancor più scontato nel caso in cui l’offerente sia esso stesso una società quotata; in tal caso gli obblighi di trasparenza riguardano anche l’acquirente e conseguono non solo alla normativa sulle offerte pubbliche ma anche alla disciplina dell’informazione price sensitive318. Più in generale, ciò che si vuole sottolineare è che la finalità soggettiva di chi muove verso l’acquisto di partecipazioni in misura tale da incidere sugli equilibri del controllo, si configura quale informazione privilegiata oggetto di preventiva disclosure, in quanto informazione che può influire in modo sensibile sull’evoluzione e la formazione dei prezzi, e la cui divulgazione non sembra a rigore nemmeno ritardabile per la tutelata esigenza di non pregiudicare i legittimi interessi degli azionisti della società emittente319. internazionale di studi, Venezia 5-6-7 novembre 1981, Milano, 1982, p. 655; K.J. ARROW, L’informazione come industria di servizi, in TAMBURINI (a cura di), Verso l’economia dei servizi, Il settore finanziario, Bologna, 1988, p. 29 ss.; C.A. CIAMPI, Informazione, politica economica, sistema finanziario, Intervento presso l’Università Bocconi, Laboratorio per la Comunicazione Economica e Finanziaria, Milano, 26 febbraio 1990; C. BENASSI, Mercati finanziari e asimmetrie informative, Bologna, 1992; A. MACCHIATI, Decisioni finanziarie e mercati dei capitali, Bologna, 1992, p. 101 ss.; A. PREDIERI, Il nuovo assetto dei mercati finanziari ecc..., cit. 498 ss.; R. MAVIGLIA, Commento sub art. 104, in C. RABITTI BEDOGNI (a cura di), Il Testo unico della intermediazione finanziaria. Commento al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, p. 422 ss. 317 Per un commento della disciplina sul contenuto e lo svolgimento dell’offerta, contenuta nell’art. 103 T.u.f. e negli artt. 41 e 42 del reg. emittenti n. 11971/1999, cfr. F. CANNELLA, Commento sub art. 103, in P.G. MARCHETTI e L.A. BIANCHI (a cura di), La disciplina delle società quotate nel testo unico della finanza, cit., p. 218 ss.; F. CHIAPPETTA, Commento sub art. 103, in G. ALPA e F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, cit., p. 958 ss.; M. LAMANDINI, Commento sub art. 103, in Testo unico della finanza, Commentario diretto da G.F. CAMPOBASSO, cit., p. 878 ss.; G.L. PICONE, op. cit., p. 68 s. 318 Come si è già accennato, il regime della diffusione al pubblico delle informazioni privilegiate è disciplinato dall’art. 114 del T.u.f., che, nella sua nuova formulazione, richiama, per l’individuazione delle informazioni oggetto di comunicazione, quelle di cui all’art. 181 T.u.f. Il comma 1 del nuovo art. 114 T.u.f. prevede, tra l’altro, uno specifico obbligo per gli emittenti quotati ed i soggetti che li controllano di comunicare senza indugio al pubblico le informazioni privilegiate che riguardano direttamente gli stessi. La Consob, in esecuzione della delega che le era stata conferita ai sensi della precedente versione dell’art. 114 del T.u.f., ha disciplinato le modalità di diffusione di alcune informazioni tra il pubblico, distinguendo: (i) le informazioni su fatti rilevanti (artt. 66-69); (ii) le informazioni su operazioni straordinarie (artt. 70-76); (iii) l’informazione periodica (artt. 77-83) e (iv) le altre informazioni (artt. 84-89). L’individuazione delle informazioni privilegiate che riguardano direttamente la società e le sue controllate è rimessa al prudente apprezzamento dell’amministratore, con il supporto della direzione affari legali e societari. In dottrina è considerata “informazione riservata” la conoscenza di: un progetto, una proposta, un’iniziativa, una trattativa, un’intesa, un impegno, un accordo, un fatto o un evento, anche se futuro e incerto, attinenti la sfera d’attività del gruppo e delle società ad esso collegate, che non sia di dominio pubblico e che, se resa pubblica, potrebbe recare pregiudizio al gruppo o costituire “fatto rilevante” ai sensi dell’art. 114 del T.u.f. e dell’art. 66 del reg. Consob n. 11971/99 e successive modificazioni. Di tal che, un’offerta pubblica d’acquisto, ad esempio, può costituire un’informazione privilegiata anche se l’offerente non ha ancora deciso il prezzo dell’offerta. È irrilevante che il dato non si riferisca ad un unico evento, d’imminente realizzazione, ma ad un complesso e articolato progetto, di futura e incerta attuazione non essendovi nella fattispecie normativa una presunta esigenza di contiguità temporale tra lo sfruttamento borsistico e la diffusione della stessa. 319 Del problema il legislatore comunitario sembra del resto consapevole. Con il recepimento della Direttiva 2003/6/CE, il Titolo I-bis ha sostituito l’originario Capo IV (“Abuso di informazioni privilegiate e aggiotaggio su strumenti finanziari”) del d.lgs. 58/1998 per effetto di quanto previsto all’art. 9, comma 2, lett. a), legge 18 aprile 2005, n. 62. La definizione d’informazione privilegiata in sede comunitaria è prevista dall’art. 1 della direttiva n. 89/592/CEE, ed ora riprodotta nella direttiva 2003/6/CE sugli abusi di mercato; direttiva, quest’ultima che, secondo quanto si legge nel «considerando» n. 44, «rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti ...dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea», all’art. 49, sancisce a sua volta i principi della legalità e proporzionalità dei reati e delle pene. Per “informazione privilegiata” si intende, pertanto, “…qualsiasi …informazione che ha un …carattere preciso, che …non è stata resa pubblica e che concerne, - 95 - Nulla esclude di ipotizzare, infatti, che la sola notizia di eventuali operazioni di compravendita possa innescare manipolazioni di mercato se e quando, poiché protetta da quell’opacità garantita per altre finalità (id est il controllo preventivo della Banca d’Italia), fornisca indicazioni (spesso incomplete e pertanto fuorvianti) in merito all’offerta di acquisto degli strumenti finanziari oggetto dell’iniziativa320. Il paradigma della trasparenza, considerato “quale postulato di riduzione, nei limiti del possibile, di ogni forma di privilegio informativo”321 garantisce che tutti i partecipanti al mercato siano posti nella condizione di determinare correttamente il valore dei titoli quotati. Non v’è dubbio che il legislatore, nell’adottare speciali norme in tema di offerta pubblica, ha intenso tutelare in via esclusiva o principale la posizione degli azionisti della società bersaglio. Sembra lecito dunque chiedersi sino a che punto la tutela del risparmio possa giustificare una specifica peculiarità bancaria. Se infatti è opportuno tenere in debita considerazione la tutela dei depositanti, analogamente non deve risultare contratta la tutela degli altri soggetti che in altre forme affidano i loro risparmi alle imprese bancarie. Alla necessaria riservatezza delle procedure connesse alle valutazioni della vigilanza bancaria non può pertanto essere sacrificata tout court l’esigenza di assicurare la trasparenza sulla decisione di promuovere l’operazione, condizione imprescindibile per garantire il buon funzionamento del mercato. E d’altro canto, il favor che il legislatore del Testo unico della finanza ha mostrato di nutrire nei confronti degli azionisti di minoranza si giustifica in ragione di un particolare principio: il convincimento, cioè, che non v’è momento, nell’operare del mercato capitalistico, nel quale la trasparenza sia più utile e più giustificata di quello in cui si assiste al ricambio o comunque a una rilevante modifica degli assetti di controllo in una società quotata322. direttamente o indirettamente, uno o più emittenti di strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari. Un’informazione che se resa pubblica potrebbe …influire in modo sensibile sull’evoluzione e la formazione dei prezzi di un mercato regolamentato”. Potrebbe, infatti, dimostrarsi, opportuno, se non prescritto, parametrare la disciplina di tali operazioni altresì a quanto stabilito nel XVIII° considerando della Direttiva 2003/6/CE sugli abusi di mercato, ove si richiede di interpretare ed attuare la direttiva “…in modo coerente con i requisiti per un’efficace regolamentazione al fine di proteggere gli interessi dei detentori di valori mobiliari che godono di diritti di voto in una società…”, non solo laddove la società sia fatta oggetto di offerta pubblica di acquisto, ma anche “…di altri proposti cambiameni di controllo…”. 320 Illuminante la posizione espressa sull’argomento dal CESR, Advice on the Second Set of Level 2 Implementing Measures for the Market Abuse Directive (Ref CESR/03-212c) a proposito delle “Suspicious Transactions” (ivi, sub VI, §. 49-63); richiesta dalla Commissione di individuare “…the criteria for determining how and when persons professionally arranging transactions in financial instruments shall notify the competent authority of suspicious transactions…”. Vale la pena ricordare che l’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato configurano illeciti passibili di sanzione penale (artt. 184-187 del T.u.f.) e amministrativa (artt. 187-bis – 187-quater del T.u.f.) nei confronti di coloro che lo hanno commesso e possono dare luogo a situazioni che comportano la responsabilità amministrativa della società (artt. 187-quinquies del T.u.f. e 25-sexies del d.lgs. n. 231/2001). 321 Così Sul punto cfr. D. REGOLI, Offerte pubbliche di acquisto e comunicato agli azionisti, Torino, 1996, p. 200. Come è stato diffusamente evidenziato in dottrina, soltanto una capillare distribuzione delle informazioni può consentire la realizzazione di un mercato correttamente funzionante. Per questo le asimmetrie informative vanno giudicate “non tollerabili” e, per quanto possibile, devono essere ridotte. 322 Obiettivamente, la complessità di fattori da cui dipende l’analisi posta in essere dalla Banca d’Italia nel rilasciare l’autorizzazione – patrimonio di conoscenze sugli individui, “interdipendenze” fra essi e fra essi e i capitali impiegati, e la soggettività insita in talune altre valutazioni – sconsigliano perentoriamente di tentare di disegnare a tavolino i tratti di un’allocazione della proprietà che sia migliore di un’altra. - 96 - 9. Coordinamento e cooperazione tra supervisori in funzione del corretto funzionamento del mercato. Nel caso delle Opa bancarie, il buon funzionamento del mercato e il principio della parità di trattamento richiedono che le autorità adottino “provvedimenti tempestivi e il più possibile sincroni, nel rispetto dei rispettivi ambiti di competenza e delle diverse finalità”. L’impegno da parte delle Autorità preposte a “ridurre al minimo i tempi di reazione” ed un maggiore coordinamento tra le Autorità e le relative procedure di autorizzazione “consentirebbe di ridurre le fasi di incertezza e le conseguenti anomalie nelle quotazioni”. A tal proposito, si è più volte messo in luce come l’integrazione intersettoriale evidenzi con chiarezza l’esigenza di introdurre meccanismi di coordinamento tra le autorità competenti. Il principio di fondo da cui muovere è il seguente: il rapporto tra norme sul mercato finanziario e normativa del settore bancario richiede una loro applicazione coordinata, avendo presente le rispettive finalità. Sul punto la legge n. 262/2005 sul risparmio, dopo aver sottolineato che la cooperazione tra le autorità di vigilanza interessate e lo scambio di informazioni sono elementi imprescindibili di un’efficace azione di vigilanza (senza un adeguato flusso di informazioni tra le imprese del mercato finanziario e le autorità di vigilanza e tra le autorità stesse, infatti, nessuna misura di vigilanza proposta potrebbe funzionare efficacemente), riconosce l’urgenza di accrescere la collaborazione tra le autorità incaricate di vigilare su enti creditizi, imprese di assicurazione e imprese di investimento, compresa l’elaborazione di accordi ad hoc tra tali Autorità. Al tema del coordinamento e della collaborazione delle Autorità (Banca d'Italia, Consob, Isvap, Covip, Autorità garante della concorrenza e del mercato) sono dedicati gli artt. 20-22 della legge n. 262/2005, che definiscono principi e strumenti attraverso i quali realizzare questa finalità. A questo scopo si prevede che: a) restano ferme le previsioni contenute nel T.u.b. e nel T.u.f. in materia di scambi di informazione e accordi di collaborazione fra Autorità nazionali e Autorità di vigilanza CE ed extra CE; b) si prevede la possibilità di creare archivi gestiti congiuntamente o, come già previsto per i dati contenuti nella Centrale dei rischi (cfr. art. 187octies, T.u.f.), possibilità di accesso a dati contenuti in archivi gestiti da una delle Autorità. Resta confermato il vincolo contenuto nel T.u.f. del preventivo assenso dell’Autorità che per prima ha acquisito o prodotto i dati ai fini di una successiva trasmissione a soggetti diversi. Sono in corso di definizione le modalità con le quali la Consob potrà accedere in via telematica ai dati contenuti nella Centrale dei Rischi, gestita dalla Banca d'Italia; c) è prevista la collaborazione della Guardia di Finanza. Infine, tra le disposizioni attuative di questa parte della legge n. 262/2005, occorrerà definire gli accordi di collaborazione fra le Autorità. Quanto alla cooperazione e allo scambio di informazioni tra autorità è previsto che esse, fatte salve le rispettive responsabilità così come definite dalle norme settoriali, dovranno reciprocamente fornirsi tutte le informazioni essenziali e pertinenti all’esercizio dei rispettivi compiti di vigilanza323. La legge poi indica nel dettaglio quali sono gli elementi con riferimento ai quali necessariamente non può mancare la raccolta e lo scambio di informazioni. In particolare, a norma dell’art. 21, è imposto alle singole autorità l’obbligo di rimuovere ogni ostacolo di natura giuridica che nel loro ordinamento possa impedire lo scambio di informazioni, nonché di disporre che le altre autorità competenti preposte all’esercizio della vigilanza sul mercato finanziario in ciascun settore possano accedere a tutte le informazioni pertinenti per l’esercizio del controllo cui sono preposte, interpellando direttamente o indirettamente le imprese controllate. 323 Al riguardo v. nuovo testo del comma 5 dell’art. 7 del T.u.b. Cfr. anche l’art. 4, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (CONSOB); l’art. 10, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (ISVAP); l’art. 17, commi 5 e 6, d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 (COVIP). - 97 - Capitolo IV LE PRINCIPALI IPOTESI DI OPA NEL SETTORE BANCARIO SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. L’ambito di applicazione della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto obbligatorie. - 2.1. L’offerta pubblica di acquisto totalitaria. - 3. La supposta incompatibilità tra tutela della “sana e prudente gestione” e Opa “ostili”. - 3.1. (Segue): Un giudizio sull’Opa “ostile” con particolare riguardo al sistema bancario. - 3.2. Tutela degli azionisti e profili di responsabilità degli amministratori nel comunicato della società emittente. - 4. La disciplina delle offerte “concorrenti” e delle offerte “in aumento”. - 4.1. Opa bancarie concorrenti “travestite” da obbligatorie. - 5. Introduzione alla nozione di “acquisto di concerto”. 5.1. (Segue): Gli acquisti di concerto e l’obbligo di comunicazione degli accordi di voto nel settore bancario. - 6. L’Opa e il nodo della “contendibilità” delle banche popolari. - 6.1. Adeguamenti della governance delle popolari: autoregolamentazione statutaria dei singoli intermediari o intervento diretto del legislatore? - 6.2. (Segue): L’inapplicabilità della break-through rule al modello delle banche cooperative quotate. 1. Premessa. Come ricordato nell’introduzione, il trasferimento del controllo – genericamente inteso come operazione, cioè come il complesso delle sequenze procedimentali e negoziali che coprono la totalità dell’operazione – deve essere analizzato mettendo in conto un’Opa successiva, quando si configurino i presupposti che la rendano obbligatoria. La disciplina per il trasferimento del controllo delle banche rileva infatti anche in altre ipotesi di Opa quali, in special modo, quelle obbligatorie. La ratio fondante della previsione dell’Opa obbligatoria, è stata individuata da gran parte della dottrina nell’esigenza di evitare che la cessione della partecipazione di controllo di una società avvenga all’insaputa dei soci di minoranza e, conseguentemente, che l’incremento di prezzo degli strumenti finanziari costituenti la partecipazione ceduta rispetto al corrispondente valore di mercato dei medesimi (c.d. “premio di controllo”), sia acquisito soltanto dal titolare di essa e non venga distribuito tra tutti gli azionisti, violando così il principio di parità di trattamento. La seconda finalità che giustifica l’introduzione della disciplina dell’Opa obbligatoria nel nostro ordinamento si fonda sull’esigenza di consentire a tutti gli azionisti di uscire dalla compagine sociale, nel caso, quest’ultima subisca modifiche dei propri assetti proprietari. È evidente che il legislatore ha il compito di bilanciare gli interessi dicotomici della minoranza e del gruppo di controllo324. Lo studio delle problematiche prospettate dalle Opa bancarie richiede pertanto un’integrazione alla luce dei più significativi segnali emersi dall’esperienza applicativa. La descrizione della disciplina generale delle offerte pubbliche di acquisto richiamata nel capitolo precedente, non dà, in effetti, conto del più vasto ambito di applicazione della normativa. A completamento si è ritenuto opportuno, oltre ad illustrare la disciplina dell’Opa obbligatoria (di cui agli artt. 105 ss. del T.u.f.), affrontare l’esame di alcune specifiche ipotesi di Opa nel settore bancario, con particolare riferimento: La prima investe con la speranza di massimizzare il capital gain al momento dello smobilizzo che può coincidere con la cessione del controllo della società, il secondo si arrischia nell’acquisizione del controllo societario con l’obiettivo di una migliore allocazione delle risorse societarie e dunque di un aumento del valore dell’impresa. In proposito v. P. DE GIOIA CARABELLESE, Opa: inquadramento e definizioni, , in M. PASSALACQUA (a cura di), Le offerte pubbliche di acquisto obbligatorie di strumenti finanziari), Interessi pubblici e integrazione di imprese, Università degli Studi di Pisa, Collana “Jura Oeconomia”, Pisa, 2005, p. 80 ss. 324 - 98 - 1) al fenomeno delle Opa ostili; 2) alle incogruenze sorte in materia di offerte c.d. “incrociate” (offerte in aumento, Opa concorrenti e modificazioni delle offerte); 3) ai problemi sperimentali emersi con riguardo all’accertamento di un “patto occulto” e al successivo obbligo di lanciare un’Opa obbligatoria ex art. 109 T.u.f., con conseguente sovrapposizione di competenze tra i due regulators (Consob e Banca d’Italia). 4) all’assenza di contendibilità per le banche popolari, da imputare alle peculiarità proprie della struttura coopertiva. 2. L’ambito di applicazione della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto obbligatorie. Le disposizioni in tema di offerte pubbliche di acquisto obbligatorie si applicano limitatamente alle acquisizioni di “azioni ordinarie quotate in mercati regolamentati italiani con diritto di voto sugli argomenti indicati dal’art. 105”, che comportino il superamento di determinate soglie partecipative325. La definizione di partecipazione a tal fine rilevante è stata rimodellata dal d.lgs. n. 37 del 2004 per adattarla alle disposizioni del nuovo diritto societario e, per tener conto, sia della possibilità che le società abbiano adottato un modello di gestione dualistico (in cui gli amministratori sono nominati dal consiglio di sorveglianza), sia del fatto che l’autonomia statutaria può modellare il diritto di voto in modo da attribuire a certi soggetti rilevanti poteri anche nell’ipotesi in cui non concorrano alla nomina degli amministratori. Più precisamente, il nuovo art. 105 del T.u.f. stabilisce che “per partecipazione si intende una quota, detenuta anche indirettamente per il tramite di fiduciari o per interposta persona, del capitale rappresentato da azioni che attribuiscono diritto di voto nelle deliberazioni assembleari riguardanti nomina o revoca o responsabilità degli amministratori o del consiglio di sorveglianza”. Si tratta dunque di un campione più significativo di decisioni assembleari, in grado di imprimere un cambiamento rilevante all’assetto proprietario dell’impresa326. Senza voler, tuttavia, entrare nel merito del dibattito sull’individuazione degli interessi protetti dall’Opa obbligatoria, si segnalano come utili i collaudati schemi analitici elaborati da R. SKOG, Se l’opa obbligatoria sia davvero necessaria. Riflessioni critiche alla luce del sistema svedese (trad. F. ANNUNZIATA), in Riv. soc., 1995, p. 1004 e da R. WEIGMANN, Le offerte pubbliche di acquisto, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. COLOMBO e G.B. PORTALE, vol. 10, 2, Torino, 1993, p. 317 ss. In seguito all’emanazione del Testo Unico della finanza, si vedano i risultati degli studi condotti da M. PAGANO, F. PANUNZI e L. ZINGALES, Osservazioni sulla riforma della disciplina dell’Opa, degli obblighi di comunicazione del possesso azionario e dei limiti agli incroci azionari, in Riv. soc., 1998, p. 152 ss.; G. SICILIANO, La regolamentazione dei trasferimenti del controllo e delle acquisizioni di società quotate. Efficienza economica e protezione degli azionisti di minoranza, in Banca, Impr. e soc., 1997, p. 345 ss. Più di recente cfr. L. SPAVENTA, Testo predisposto per l’audizione alla VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati, e acquisito agli Atti parlamentari, nell’ambito dell’“indagine conoscitiva sull’attuazione del Testo unico della finanza”, Roma 20 marzo 2002; L. ENRIQUES, Mercato del controllo societario e tutela degli investitori, Bologna, 2002, p. 15 ss.; M. TONELLO, Offerte pubbliche di acquisto e substantial share acquisition: breve rassegna aggiornata delle norme di diritto americano, in Contr. impr., 2002, p. 208 ss. 326 La ricostruzione della disciplina dell’Opa – fino a ieri basata sulla sola categoria delle azioni ordinarie – e la ridefinizione della nozione di partecipazione rilevante – in seguito alla possibilità riconosciuta agli emittenti, per effetto degli interventi cui il legislatore ha posto mano con il d.lgs. n. 37/2004, di fare ricorso a diverse tipologie di strumenti di raccolta del capitale, forniti di diritti patrimoniali e amministrativi ampiamente diversificabili – sono affrontate da F. ANNUNZIATA, Nuovo diritto societario e modifica alla disciplina dell’Opa obbligatoria, in Le società, n. 7/2004, p. 797 ss. Cfr. in proposito anche i contributi di S. MECHELLI, L’ambito di applicazione della nuova normativa sulle Opa obbligatoria, in P. BELVEDERE e al. (a cura di), Le offerte pubbliche di acquisto, Roma, 2000, p. 77 ss. Sulle finalità delle normative in materia di Opa obbligatoria, si rinvia alla sintesi delle diverse posizioni operata da G. SICILIANO, La regolamentazione dei trasferimenti del controllo e delle acquisizioni delle società quotate, in Consob, Quaderni di Finanza, n. 24, gennaio 1998, p. 7 ss.; M. CALLEGARI, Commento sub art. 107, in Giur. it., 1998, p. 2455; M. LISANTI, L’abrogazione della l. n. 149/1992 fra il testo unico della finanza e la 325 - 99 - Il legislatore ha stabilito, altresì, che la Consob possa con regolamento includere nella definizione di partecipazione rilevante categorie di azoni che attribuiscono diritti di voto su uno o più argomenti diversi tenuto conto della natura e del tipo di influenza, anche congiunto, sulla gestione della società. La tecnica legislativa c.d. “a doppio binario” può essere valutata con favore in quanto, da un lato, soddisfa esigenze di tutela degli investitori con riferimento al trasferimento del controllo societario, dall’altro, limitando l’applicazione delle norme in tema di Opa e Ops obbligatoria alle società quotate, consente di non “appesantire” la disciplina di applicazione generale, in considerazione delle diverse realtà economiche che caratterizzano le società non quotate327. Il Testo unico della finanza prevede due fattispecie di offerte pubbliche di acquisto obbligatorie: a) l’Opa totalitaria (art. 106) e l’Opa residuale (art. 108), non potendosi ritenere tali né l’offerta pubblica di acquisto preventiva (art. 107), che configura un’ipotesi di offerta pubblica di acquisto volontaria capace di esonerare dall’offerta totalitaria, né tanto meno il diritto di acquisto disciplinato dall’art. 111 T.u.f. che prevede, anzi, un diritto del soggetto controllore di acquisire coattivamente il capitale residuo quando questo si sia ridotto al di sotto del 2 per cento (e non un obbligo a farlo). L’incentivo ad un mercato del controllo societario più vivace viene realizzato efficacemente attraverso la norma che concede la facoltà di recedere senza preavviso dal patto parasociale in caso di Opa preventiva su almeno il 60% delle azioni ordinarie; la norma che non pone limiti ai rilanci in caso di offerte concorrenti promuovendo l’ammissione di un sistema “ad asta”; la norma che regola i rapporti tra Opa e partecipazioni reciproche e quella che àncora ad un criterio più oggettivo la c.d. “Opa a cascata”. Finalizzate al conseguimento dell’obiettivo della parità di trattamento dei destinatari dell’offerta328 sono anche la regola dell’Opa di consolidamento e l’introduzione della nozione di prossima direttiva UE sulle opa, cit.., 1998, p. 455; M. CUSMAI e R. D’AMBROSIO, Riflessioni sull’istituto dell’Opa obbligatoria, in Riv. dir. comm., 1995, p. 407 ss. 327 In tal senso, assumono tradizionalmente risalto le osservazioni di G. COTTINO, Offerte pubbliche di acquisto o di scambio, in Quaderni di Giur. it., 1999, p. 4; R. WEIGMANN, La nuova disciplina delle Opa, in AA.VV., La riforma delle società quotate, Atti del Convegno di Santa Margherita Ligure 13-14 giugno 1998, Milano, 1998, p. 198; M. LISANTI, L’abrogazione della l.n. 149 /1992 fra il Testo unico della finanza e la prossima direttiva U.E. sulle Opa, cit., p. 458; contra F. CARBONETTI, La nuova disciplina delle offerte pubbliche di acquisto, in Riv. soc., 1998, p. 1353 s., in cui l’Autore ritiene ingiustificato estendere ad ogni offerta pubblica di acquisto, avente ad oggetto qualsiasi prodotto finanziario, una regola nata nell’ambito della disciplina dei mercati regolamentati e circoscritta alle sole offerte pubbliche su azioni quotate. 328 Cfr. M. DRAGHI, Commento sub art. 107, in G. ALPA e F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, II, Padova, 1998, p. 993. In giurisprudenza v., da ultimo, Trib. Milano, 8 giugno 2005, in Le società, n. 9/2005, p. 1137, con commento di P. DE GIOIA CARABELLESE, Responsabilità per violazione dell’Opa obbligatoria: epistemologia e fenomenologia di un passaggio a nord-ovest, in Le società, 9/2005, p. 1142 ss., ove si afferma che “il socio di minoranza di una società italiana, le cui azioni sono quotate in un mercato regolamentato italiano di strumenti finanziari, vanta un diritto soggettivo perfetto al lancio di un’offerta pubblica di acquisto di tipo obbligatorio”. Nella motivazione si afferma, inoltre, che “l’obbligo giuridico al lancio di un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria si configura come obbligo di rispettare il principio di eguaglianza tra tutti i soci, sancito dall’art. 92 d.lgs. n. 58/1998, e si incorpora nell’azione detenuta, inserendosi ex lege nel contratto sociale”. Sicchè, prosegue la sentenza, “la mancata osservanza, da parte dell’azionista di una società quotata, dell’obbligo di promozione di un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria, al verificarsi del presupposto di cui all’art. 106 T.u.f., è fonte di responsabilità contrattuale nei confronti del socio pretermesso”. Di natura diametralmente opposta è, invece, l’orientamento elaborato dalla Corte d’Appello di Milano, sent. del 18 gennaio 2007, in Il Sole 24 Ore, 19 gennaio 2007, p. 42. I giudici hanno stabilito che il mancato lancio di un’Opa obbligatoria non faccia scattare il diritto di risarcimento per gli azionisti di minoranza, dovendosi ritenere che le sanzioni previste dal Testo unico della finanza già garantiscano gli interessi del mercato: i voti sull’intera partecipazione vengono sterilizzati e le azioni eccedenti la soglia del 30% devono essre rivendute entro dodici mesi. Per un completamento della cornice giurisprudenziale, con riferimento al quadro normativo - 100 - acquisto di concerto in materia di Opa obbligatoria329. Tra le novità introdotte dalla nuova normativa, è altresì significativa la previsione di una delega alla Consob al fine di definire e puntualizzare la portata dei precetti contenuti nel testo di legge e la definizione di ipotesi particolari in cui la disciplina dell’Opa può subire variazioni. 2.1. L’offerta pubblica di acquisto totalitaria. Ai sensi dell’art. 106, comma 1, T.u.f., l’obbligo per il lancio di un’Opa sulla totalità delle azioni quotate in mercati regolamentati italiani con diritto di voto sugli argomenti indicati nell'art. 105 T.u.f. sorge in capo a chiunque, a seguito di acquisti a titolo oneroso, superi la soglia del 30% del capitale. Tale previsione opera infatti come rimedio ex post a favore degli azionisti di minoranza. Verificatisi i presupposti oggettivi che fanno sorgere l’obbligo di lanciare un’Opa, questa deve essere promossa, per ciascuna categoria di azioni e/o strumenti finanziari di cui al primo comma, entro trenta giorni da quello in cui è avvenuto l’ultimo acquisto con cui si è superata la soglia rilevante, al prezzo individuato in base al disposto di cui al secondo comma dell’art. 106 T.u.f.330. La disciplina di attuazione emanata dalla Consob ha, infatti, il pregio di avere introdotto margini di flessibilità soprattutto sulle offerte obbligatorie per le quali, come è stato rilevato in precedentemente delineato dalla legge n. 149/1992, cfr. le pronunce del Trib. Milano, 20 marzo 2000, in Le società, n. 11/2000, p. 1357 ss., con commento di P. DE GIOIA CARABELLESE, La responsabilità in caso di violazione dell’Opa obbligatoria; App. Milano, 27 novembre 1998, in Foro It., 1999, p. 2712 ss., con commento di M. LISANTI, Se l’Opa obbligatoria sia davvero tale; Trib. Milano, 23 giugno 1997, in Le società, 1998, p. 308. 329 Vale la pena osservare che l’art. 5 della dir. n. 2004/25/CE in materia di offerte pubbliche di acquisto pare riguardare il solo soggetto controllante e non estendersi, come prevede invece l’art. 109 T.u.f., solidalmente a tutti i soggetti che hanno agito di concerto. La disposizione italiana prevede, infatti, un obbligo solidale degli aderenti ad un patto di promuovere un’Opa totalitaria quando vengano a detenere, a seguito di acquisti effettuati anche da uno solo di essi, una partecipazione complessiva tale da consentire il controllo ovvero il superamento della soglia rilevante. Una comparazione con le esperienze degli altri ordinamenti europei risulterebbe, peraltro, oltremodo difficile, data l’impossibilità di definire un quadro chiaro di come le regole sull’acquisto di concerto siano applicate negli altri Paesi. La letteratura americana ignora il tema, essenzialmente perché la legislazione non regola le offerte pubbliche di acquisto obbligatorie. La dottrina inglese, dal suo canto, non è particolarmente significativa, atteso che il tema dell’acquisto di concerto è raramente affrontato sul piano scientifico (sull’argomento v. G. STEDMAN, Takeovers, Londra, 1999). Lo stesso vale per l’ordinamento francese (cfr., in proposito, D. BORDE e A. PONCELET, La notion d’action de concert en droit français après trois ans d’application de la loi boursière du aout 1989, in Riv. soc., 1992, p. 556 ss.; A. VIANDIER, Opa – Ope et autres offres pubbliques, Parigi, 1999). Anche la letteratura italiana non è particolarmente ricca: in particolare, si rinvia ai contributi di M. CALLEGARI, Commento sub art. 109. La nuova disciplina delle società quotate in mercati regolamentati, Offerte pubbliche di acquisto e di scambio, cit., in Giur. It., 1998, p. 2456 ss.; P. GIUDICI, L’acquisto di concerto, in Riv. soc., 2001, p. 490 ss.; R. DI SALVO e S. PROVIDENTI, Esperienze in materia di azione di concerto e opa: i casi inglese e francese, in Quaderni di finanza Consob, n. 24, 1998; P. FERRO LUZZI, Il “concerto grosso”; variazioni sul tema dell’opa, in Giur. comm., 2002, I, p. 655 ss.; L.A. BIANCHI, Commento all’art. 109, in P.G. MARCHETTI e L.A. BIANCHI (a cura di), La disciplina delle società quotate nel Testo unico della finanza. D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, I, Milano, 1999, p. 429 ss. 330 Sulla proposta di consentire alla Consob di imporre discrezionalmente l’Opa obbligatoria ogni volta che si accerti il passaggio del controllo v. il commento di R. COSTI, Queste norme sono una babele, in www.lavoce.info, del 2 maggio 2007; nonché il parere di A. MACCHIATI e M. ONADO, Se il mercato di controllo proprietario assomiglia a Chinatown, in www.lavoce.info, 7 giugno 2007; si inseriscono in questo dibattito anche le puntuali osservazioni formulate da F. CAVAZZUTTI, L’effetto soglia sull’Opa, in www.lavoce.info, 14 maggio 2007; e più di recente ID., L’Opa e i sette vizi capitali, in www.lavoce.info, 19 giugno 2007. Di diverso tenore il commento di S. BRAGANTINI, Sarebbe un errore tornare indietro, in Il Corriere della Sera, 22 maggio 2007, p. 42, il quale, tra l’altro, ricorda che “c’è un ultimo fatto che taglia la testa al toro: la soglia fissa è imposta dalla direttiva UE sull’Opa”. Invero, nella proposta originaria del Governo, in occasione della redazione del d.lgs. n. 58/1998, si faceva riferimento al potere della Consob di « muovere » la soglia rispetto al 15 per cento che il Governo individuava, a seconda che fossimo o meno in presenza di società ad alta capitalizzazione e ad azionariato diffuso, rimandando in tal modo all’autorità il potere di modifica. - 101 - dottrina, l'opzione legislativa a favore dell'Opa totalitaria, nel caso del superamento della soglia del 30 per cento di possesso azionario, rischiava di trascurare fattispecie peculiari nelle quali, pur verificandosi i presupposti di legge, potevano sussistere ragioni di opportunità che giustificavano un'esenzione dall'obbligo di effettuare l'offerta331. L’offerta deve essere promossa, attraverso l’invio della comunicazione di cui all’art. 102, comma 1, per ciascuna delle categorie di azioni che attribuiscono i predetti diritti. Inoltre, il superamento della soglia deve avvenire per effetto di “acquisti a titolo oneroso”: non rilevano, pertanto,, gli acquisti titolo gratuito332. Infine, resta da segnalare che, la disciplina dell’Opa totalitaria, che assicura a tutti gli azionisti il diritto di “uscire” dalla società a seguito del mutamento del controllo, si contraddistingue per una regola sul prezzo che, pur essendo premiante per gli investitori che aderiscono all’Opa, in attesa del recepimento della direttiva comunitaria che propone una soluzione più onerosa, non disincentiva troppo gli operatori interessati all’acquisizione del controllo.333 3. La supposta incompatibilità tra tutela della “sana e prudente gestione” e Opa “ostili”. La disciplina bancaria delle operazioni di acquisizione del controllo non distingue tra le modalità di realizzazione della stessa. Non trova espressa disciplina neppure il tema dell’offerta pubblica di acquisto c.d. ostile, ossia non concordata preventivamente con il management della società oggetto di acquisto334. Il manifestarsi di Opa ostili amplia i contrasti tra la regolamentazione promossa dalla Consob, cui spetta il compito di salvaguardare il mercato, garantire parità di trattamento ai vari soggetti coinvolti nell’operazione, tutelare i diritti dei risparmiatori, e la regolamentazione prudenziale portata avanti dalla Banca d’Italia. È in questo contesto che si manifesta con tutta evidenza la discrasia che esiste tra disciplina generale applicabile a tutte le società quotate e disciplina speciale applicabile alle banche. La possibilità di acquisire il controllo di una società in modo ostile dipende, in linea teorica, da due ordini di fattori. Da un lato, vi sono degli ostacoli, creati per tutelare gli interessi generali, che vengono talvolta usati dal governo o dalle autorità competenti per scoraggiare Cfr. R. WEIGMANN, I principi del T.u.f. nelle offerte pubbliche di acqusto e di scambio (artt. 105-106-107-108109), in G.F. CAMPOBASSO (diretto da), Testo unico della finanza , t. II, Torino, 2002, p. 904. 332 Incertezze potevano sorgere con riferimento all’acquisizione di azioni a titolo di pegno o di usufrutto; soprattutto nell’ambito di un ordinamento come quello originariamente accolto dal Testo unico della finanza, che non faceva riferimento esplicito alle azioni con diritto di voto, bensì alle azioni ordinarie. La successiva modificazione della norma per effetto del d.lgs. n. 37/2004 e l’esplicita rilevanza attribuita al diritto di voto, coerentemente con l’esenzione dall’obbligo di offerta per le azioni prive di tale diritto, impongono di ritenere che, al fine di stabilire se la soglia sia stata superata, sia decisiva proprio la titolarità del diritto di voto e che, quindi, si dovrà tener conto della nuda proprietà o del diritto reale limitato a seconda dell’attribuizione del diritto di voto. Inoltre, soltanto l’effettivo esercizio del diritto di voto integra l’acquisto a titolo oneroso; ragion per cui si ritiene che neppure il diritto di acquistae le azioni (call) possa ritenersi rilevante quale presupposto dell’obbligo di lanciare l’offerta pubblica. 333 Per rendere meno gravoso l’onere dell’Opa totalitaria il Testo unico ha previsto che il prezzo offerto non può “essere inferiore alla media aritmetica fra il prezzo medio ponderato di mercato degli ultimi dodici mesi e quello più elevato pattuito nello stesso periodo dall’offerente per acquisti di azioni della medesima categoria” e “qualora non siano stati effettuati acquisti, l’offerta è promossa al prezzo medio ponderato di mercato degli ultim dodici mesi o del minor periodo disponibile”. 334 Efficace e preziosa sul tema delle Opa “ostili” è l’analisi compiuta da L. ENRIQUES, Quale disciplina per le acquisizioni ostili?, in Mercato concorrenza regole, 1999, II, p. 180. Per un esame delle ragioni teoriche ed empiriche sottese a tali fenomeni cfr. S. GROSSMAN e O.D. HART, Takeovers Bids, the Free-Rider Problem and the Theory of the Corporation, in Bell Journal of Economics, 1980, vol. 11; R. COMMENT e G.A. JARREL, Two-Tier and Negotiated Tender Offers, in Journal of Financial Economics, 1987, vol. 19. 331 - 102 - operazioni “poco gradite”. È difficile dare un giudizio sulla bontà di tali strumenti e sul peso che avranno in futuro sul mercato del controllo societario. Dall’altro lato, esiste una serie di “tattiche difensive”, previste dalla legge o dagli statuti delle società, che gli amministratori delle società target possono adottare per scoraggiare l’acquisizione ostile del controllo da parte di terzi. Su quest’ultimo punto, la parola definitiva è affidata alle scelte che vengono compiute in sede legislativa nella definizione dei diritti degli azionisti di minoranza e degli altri stakeholders nei confronti dell’impresa335. Nei casi di Opa non concordata sulle banche l’analisi va condotta in relazione ad un potenziale conflitto delle suddette operazioni con gli obiettivi di stabilità degli istituti di credito su cui si estende il controllo della Banca centrale336. La natura ostile o amichevole dell’Opa assume, infatti, rilievo proprio con riferimento alla sana e prudente gestione, che deve essere assicurata a tutela dei depositanti337. Quale concreto significato debba assegnarsi a questo richiamo in un contesto quale quello dell’Opa è un ulteriore e non facile problema. Nel ricercare una valida giustificazione, si sarebbe portati a ritenere che il pregiudizio negativo verso le scalate ostili sia consequenziale a un quadro legislativo molto sbilanciato verso la stabilità: le Opa ostili danno luogo a una battaglia dall'esito incerto, sottraggono mezzi finanziari trasferendoli dalla banca scalante agli azionisti di quella scalata, sconvolgono gli assetti organizzativi della stessa e quelli operativi dell'erogazione del credito338. In tal senso v. M. LAMANDINI, Le concentrazioni bancarie, cit., p. 110. Sulla nozione di offerte amichevoli o ostili v. R. WEIGMANN, Le offerte pubbliche di acquisto, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. COLOMBO e G.B. PORTALE, Torino, 1993, 10**, p. 319. Tra i numerosi contributi dedicati allo studio di tali tematiche si segnalano, ex multis, i lavori di L.A. BEBCHUK, Toward and understored choice and equal treatment in corporate takeover, in Harward Law Review, 1985, p. 245 s.; L. ENRIQUES, Quale disciplina per le acquisizioni ostili? Alcuni modelli teorici e la soluzione italiana, in Mercato, concorrenza regole, n. 2, 1999, p. 179. Sui problemi di regolamentazione inerenti ai trasferimenti del controllo di una società quotata concordati tra l’azionista che ne detiene stabilmente il controllo e un terzo v. ancora L.A. BEBCHUK, Efficient and Inefficient Sales of Control, in Quarterly Journal of Economics, vol. 109; FRANKS & MAYER, Hostile take-overs and the correction of managerial failure, Journal of Financial Economics 40 (1996), p. 163 ss.; nonché M. PAGANO, F. PANUNZI e L. ZINGALES, op. cit., p. 155 ss.; P. AGNELLET, Opa et stratégie santi-opa, une approche internazionale, Paris, 1989, p. 88 ss. 337 A sostegno della tesi secondo cui il problema della pressure to tender presuppone un mercato del controllo societario non pienamente efficiente cfr. B. ARRUNADA, Crìtica a la regulaciòn de Opas, in Revista de derecho Mercantil, 1992, I, p. 31 ss. Per chiarire se i processi di aggregazione accrescano o meno l’efficienza nel sistema bancario, la dottrina economica, in numerosi contributi, ha sottoposto a verifica empirica due diverse ipotesi teoriche. La prima di queste, fondata sulla minaccia credibile di takeover, sostiene che i processi di acquisizione e di fusione costituiscano la risposta del mercato a carenze gestionali di almeno una delle banche coinvolte (nel caso, la banca acquisita) con l’obiettivo di massimizzarne il valore attuale. La seconda ipotesi, più attenta ai complessi rapporti di agenzia fra proprietari e manager, sostiene invece che – specie nei mercati finanziari – i processi di acquisizione e di fusione non soddisfano tanto criteri di efficienza quanto interessi privati del management o più generali scelte di policy. 338 Così M. CLERICETTI, ,“No ad un piano per le banche”, in La Repubblica, Affari & Finanza, 20 settembre 1999, p. 7. Sul problema della stabilità in caso di Opa ostili nei confronti delle banche, cfr. M. POLO, op. cit., p. 266 ss.; P. MICHELI, Concentrazioni, salvate le banche medio – piccole, in La Repubblica, Affari & Finanza, 17 gennaio 2000, p. 9. Il tema era stato affrontato dal Governatore della Banca d’Italia in occasione della mancata autorizzazione delle offerte pubbliche di scambio, giudicate ostili, di Unicredito e di San Paolo-Imi su Comit e Banca di Roma. Sul punto v. BANCA d’ITALIA, Considerazioni finali alla 105° Assemblea dei partecipanti, Roma, maggio 1999. In particolare, nella fattispecie ivi richiamata, gli amministratori delle banche offerenti furono ritenuti “colpevoli” di aver informato l’Autorità di vigilanza dopo che i progetti erano stati formalmente approvati dal consiglio di amministrazione e resi noti al pubblico, come del resto richiesto dal combinato disposto delle norme del T.u.f. e del relativo regolamento emittenti della Consob. Per maggiori dettagli sulla vicenda cfr. R. SABBATINI, Opa, ecco le nuove regole di Fazio, in Il Sole 24 Ore, 2 settembre 1999. Così agendo, la Banca d’Italia si pose in netto contrasto con quel principio di contendibilità del controllo societario che, nella disciplina generale delle offerte pubbliche, “incoraggia” l’ammissibilità di offerte ostili, in quanto capaci di generare effetti benefici sulla concorrenza. Il precedente ora richiamato non deve, tuttavia, consentirci di tralasciare come, in una diversa 335 336 - 103 - Oltre che all’ipotesi classica di Opa “ostile” qui presa in considerazione, sia consentito segnalare come, negli ultimi anni, si sia assistito al diffondersi di un modello di offerte pubbliche di acquisto cosiddette “semi-ostili”. Si tratta cioè di Opa nate come ostili, ma che si risolvono in un accordo tra le parti, al fine di far prevalere l’interesse degli azionisti. Se questo è il senso dell’evoluzione occorsa nella fenomenologia delle offerte pubbliche di acquisto, la regolamentazione delle Opa semi-ostili, capace di renderle la norma e non l’eccezione, potrebbe pertanto essere un obiettivo delle Autorità di controllo. 3.1. (Segue): Un giudizio sull’Opa “ostile” con particolare riguardo al sistema bancario. Le disposizioni di vigilanza non affermano, in via presuntiva e generale, un giudizio negativo sull’Opa ostile, ma, come si è visto, affidano all’autorità di vigilanza un controllo del piano industriale definito nel progetto di Opa, al fine di verificare se, in concreto, l’operazione possa comportare una lesione dell’interesse alla sana e prunte gestione della banca. Più in generale, la fondatezza del “pregiudizio” verso le offerte ostili manifestato in passato dalla Banca d’Italia339 poggia sulla considerazione che l’utile e vantaggiosa complementarietà del nuovo soggetto – che non dovrebbe presentarsi come un aggressore, quanto piuttosto come un “cavaliere bianco” – non sempre si raggiunge solo affidandosi al mercato, ma, come la prassi dei “salvataggi” bancari ha confermato, puntando ad una sagace azione di consiglio, di conoscenza e di suggerimento delle autorità preposte al controllo dell’attività bancaria340. occasione, l’atteggiamento della Banca d’Italia fosse stato di tenore opposto. Il riferimento è alle Opa lanciate da Banca Intesa su Comit e dal Monte dei Paschi di Siena sulla Banca Agricola Mantovana, valutate positivamente con riguardo sia alla “sana e prudente gestione”, sia agli effetti sul mercato. In proposito v. AGCM, Bollettino n. 48, 1999, nonché il contenuto dei documenti informtivi delle due offerte riportati da B. QUATRARO e L.G. PICONE, Le offerte pubbliche di acquisto e scambio, Milano, 2000, rispettivamente alle pp. 559, 597 e 623. Ed ancora, parimenti, nessun ostacolo la vigilanza bancaria aveva posto nella vicenda dell’offerta pubblica di acquisto e scambio delle Generali sull’Ina, con riferimento alle partecipazioni bancarie (per il 51%) di quest’ultimo istituto sulla Holding Banco di Napoli. L’operazione, descritta da L. CAPRIO e L. ENRIQUES, Banconapoli, scissione con obbligo di Opa, in Il Sole 24 Ore, 22 dicembre 1999, si è conlusa con l’autorizzazione della Banca d’Italia (provvedimento 19 gennaio 2001) alla concentrazione San Paolo-IMI/Banco di Napoli, sia pure subordinata, come indicato in AGCM, Bollettino n. 3, 2001) a misure compensative, quali la cessione di alcuni sportelli nella provincia di Napoli e l’impegno di non aprire nuove dipendenze nella stessa zona per due anni. 339 In proposito v. G. TABELLINI, Comitato del credito, alcune domande, in Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2005, p. 1 e p. 7. Inoltre, sull’argomento cfr. O. CARABINI, Fazio: contano stabilità ed efficienza, in Il Sole 24 Ore, 21 marzo 1999, p. 3; R. BOCCIARELLI, Fazio: Le alleanze le guida Bankitalia, in Il Sole 24 Ore, 21 aprile 1999, p. 29, in cui sono riportati i principali punti esposti dal Governatore della Banca d’Italia, convocato da senatori e deputati per discutere del grande “risiko” all’epoca in corso nel mondo del credito. In tale occasione, il Governatore aveva ribadito la regola-cardine poi, nei fatti, seguita dall’Istituto di Vigilanza: “In caso di offerte pubbliche di acquisto la Banca centrale chiede di conoscere preventivamente, fra l’altro, se si tratta di operazione non amichevole oppure consensuale. Ove venga in quest’ultima accezione presentata, è necessario che il consenso sia manifestato informalmente e preliminarmente dalle parti in causa. Non da una sola delle parti, ma da ambedue le parti, se l’operazione è consensuale”. Il Governatore aveva poi sostenuto che: “Le operazioni ostili nel settore del credito sono un fenomeno raro e richiedono una vigilanza tutta particolare” per la necessità di tutelare i depositanti. È ovvio che questo pregiudizio ha un prezzo: le scalate amichevoli, le fusioni concordate tra azionisti (e management) delle due imprese mettono meno pressione verso l'efficienza. Siffatta impostazione ha portato ad assetti proprietari frutto di una spartizione a tavolino, piuttosto che espressione di processi di mercato, col risultato di produrre una soffocante ragnatela proprietaria che avviluppa i principali gruppi bancari. 340 Pertanto, come già rilevato, si è radicata in capo ai vertici della Banca d’Italia la presunzione che i problemi di stabilità, di mantenimento di equilibrate condizioni di concorrenza, di visione strategica a lungo termine, di intelligente previsione di scenari operativi, e via elencando, non sempre trovino soluzione nell’aggressiva iniziativa di taluni competitori, non di rado inclini a volere sacrificare gli interessi di controparti talvolta con forza contrattuale diminuita. In merito cfr. M. LISANTI, Quale tutela per gli azionisti di minoranza?, in - 104 - Tuttavia, la formulazione delle Istruzioni di vigilanza in tema di Opa – come si è visto, in verità un po' infelice – può anche legittimare una diversa interpretazione, in base alla quale la ragione sottostante dell'acquisto (ossia l'esigenza di razionalizzazione o sinergia industriale) è elemento costitutivo della fattispecie, da accertarsi caso per caso, nel suo disegno unitario, per verificare: a) se vi siano elementi tali da far ritenere che il ricorso alla figura giuridica della fusione ovvero dell’Opa amichevole (cioè concordata tra scalatori e scalati) sia una soluzione preferibile; b) che il fine prevalente dell'operazione consista, invece, nell'acquisizione di una partecipazione rilevante in una società quotata, in elusione alla disciplina dell'Opa obbligatoria341. La seconda tesi, invero, non ha mai trovato convincente verifica empirica342. La spiegazione invece potrebbe essere un’altra. Si è detto incisivamente – e non si può non concordare sull’assunto – che tale avversione era frutto di un’ambiguità di fondo insita nel concetto stesso di vigilanza bancaria. Evitare le crisi bancarie, compito dell’Istituto di Vigilanza, non significava che la Banca d’Italia potesse decidere arbitrariamente quali operazioni si possono fare e quali sono da evitare343. Lasciare Mercato concorrenza e regole, 2000, p. 152 ss. In tal senso, spicca l’autorevole quanto preoccupata presa di posizione sullo strumento delle offerte pubbliche di acquisto espressa, in epoca non sospetta, dal Governatore della Banca d’Italia Guido CARLI. Questi considerava la scalata avversaria (take-over bid) un rimedio soltanto per le deviazioni più gravi, pur riconoscendo che la sola minaccia della sua possibilità fosse in grado di migliorare la condotta dei dirigenti in carica. Tali dichiarazioni sono pubblicate in Riv. soc. del 1971, p. 1180 ss., con commento di P.G. MARCHETTI, L’offerta pubblica di acquisto in Italia, cit., p. 1166 ss. 341 Cfr. L. ENRIQUES, Il conflitto di interessi nella gestione delle banche, in F. RIOLO e D. MASCIANDARO (a cura di), Il governo delle banche in Italia, Roma, 1999, p. 335, ove, tra l’atro, si sottolinea come i controlli autorizzativi sulle partecipazioni di controllo al capitale delle banche riducano “l’efficienza del mcato del controllo societario, quanto meno allungando i tempi e dunque i rischi di tentativi di acquisizione ostile”. 342 Tale valutazione dovrebbe invece essere l’esito naturale dell’applicazione dei principi indicati dalle stesse Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, cit., 1999, Tit. II, cap. I, sez. II, art. 5.2.2. Come già discusso in altra parte del presente lavoro, infatti, nel caso di acquisizione del controllo di una banca, le verifiche della Banca d’Italia ai fini della sana e prudente gestione si estendono anche al progetto industriale. Il soggetto interessato all’acquisizione di controllo deve presentare il piano industriale relativo alla gestione della banca o del gruppo risultante dall’operazione. In particolare deve fornire informazioni circa le modalità tecniche dell’operazione di acquisizione, precise indicazioni delle ipotesi su cui si basano i programmi di espansione, sulle sinergie che si intendono attivare e sui rendimenti attesi. L’impatto sui costi e sul patrimonio (coefficiente di solvibilità) sono le variabili che assumono particolare rilevanza. Se infatti interpretata sotto una diversa luce, la disposizione riguardante l’esame del “progetto industriale” dell’integrazione tra due o più banche si tradurrebbe in un’apertura verso l’Opa “aggressiva”, che potrebbe essere giudicata meritevole di essere portata a termine, seppur bisognosa di un vaglio più accurato da parte dell’Autorità di controllo. Sennonché, l’offerta dovrebbe essere considerata “ostile”, nell’accezione negativa di cui sopra, soltanto nell’ipotesi in cui corrispondesse fondamentalmente ad un piano industriale di crescita dello scalatore, ma non anche al piano industriale della società bersaglio, tanto più se quest’ultima goda di una equilibrata situazione economica e patrimoniale. Sarà dunque compito della Banca d’Italia accertare, senza pregiudizi di fondo, se un’Opa “non concordata” con il management della banca target corrisponda o meno ad un concreto, efficace piano di sviluppo e di crescita dell’attività creditizia, evitando che amministratori della società bersaglio e Autorità di vigilanza colludano fra loro. Secondo R. LENER, Audizione presso la Camera dei Deputati, Indagine conoscitiva, XIV Legislatura – VI COMMISSIONE – Seduta del 4 dicembre 2001, p. 24, “vero, altresì, che abbiamo visto alcune operazioni di Opa meramente finanziarie (e perciò più « cattive »), ma temo che non si possa fare molto. Pensare che una autorità di vigilanza possa dire ad un’Opa « sì » e ad un’altra « no » a seconda della credibilità del progetto industriale è un po’ rischioso. Teoricamente – ma capisco che è solo teoria –, una banca che finanzia un’Opa dovrebbe credere nel progetto che c’è dietro; ma mi rendo conto che questo è un discorso molto libresco”. 343 Cfr. M. PERASSI, Il ruolo delle banche come investitori istituzionali nella struttura partecipativa della società aperta, in Giur. comm., I, 1998, p. 435 ss., ove, tra l’altro, si analizza un caso di scuola emblematico di una situazione di possibile attrito dei due testi legislativi. Si tratta nello specifico della vicenda con cui si impose a Mediobanca di lanciare un’offerta pubblica di acquisto sul capitale della Ferfin, consentendole in tal guisa di superare i limiti, di separatezza e di concentrazione, previsti per le partecipazioni acquisibili in altre imprese. In quel caso si privilegiò - 105 - senza possibilità di contro-informazione o contro-argomentazione l’offerente, significava relegare nell’area delle scelte dettate dall’intuizione, dal pregiudizio la decisione di non autorizzare l’offerta nonostante questa venisse lanciata in una situazione di trasparenza e di piena conformità alle disposizioni dettate dalla legge. Il mercato è l’unico giudice abilitato a esprimere un giudizio sulle operazioni proposte. Vietando, più o meno apertamente, le scalate ostili si finisce per ridisegnare un mercato protetto. Esattamente quello che è accaduto nei due decenni passati, con tutte le “storture” (inefficienze) nell’allocazione del credito cui si è assistito. In concreto, anzi, il plus di un takeover ostile rispetto ad un’Opa concordata risiede proprio nel fatto che, come insegna la prassi dei mercati anglosassoni, le prime sono le uniche in grado di spostare il controllo di una società344, spingendo il sistema fuori dal consociativismo degli assetti di controllo delle banche. Per questa serie di ragioni occorre definire confini più netti tra il terreno della “vigilanza prudenziale” e quello delle “regole di mercato”. Ipnotizzato da questi due poli, la cui contrapposizione dipende dal modo in cui viene visualizzata la struttura o qualità del rapporto tra Autorità di vigilanza, soggetti vigilati e investitori, il sistema sembra trascurare la soluzione mediana e realistica che pur sarebbe razionalmente possibile. Icasticamente si potrebbe, difatti, sostenere che il tema richiama di nuovo i rapporti tra disciplina del T.u.f. e disciplina del T.u.b. e i vincoli alle acquisizioni azionarie delle e sulle banche, che derivano dalla eccessiva discrezionalità della Banca d’Italia nell'utilizzo della clausola della “sana e prudente gestione” al fine di condizionare le singole operazioni. Si tratterebbe cioè, ancora una volta, di conciliare la supposta sovranità del mercato, attraverso la contendibilità delle società quotate, con “la continuità della conduzione manageriale”, auspicata dall’Istituto di vigilanza bancaria. Basti pensare che l’obbligo di “comunicazione preventiva”, di recente soppresso, imposto allo scalatore, risultava sfavorevole alle Opa ostili sotto un duplice profilo: in primo luogo, gli amministratori della società bersaglio potevano venire a conoscenza dell'offerta in anticipo rispetto alla comunicazione e porre, così, in essere le misure difensive che rientrano nei loro poteri, senza incorrere nel divito imposto dalla passivity rule ex art. 104 T.u.f.; in secondo luogo, la società offerente risultava costretta ad usare ogni possibile accorgimento per mantenere segreta l'operazione e fare ogni sforzo per redigere, ai sensi del combinato disposto dell’art. 102 T.u.f. e dell’art. 37 reg. Consob, il documento d’offerta nel tempo più breve possibile. la disciplina societaria, mentre nei casi più recenti citati si è privilegiata la disciplina bancaria, con i noti pronunciamenti negativi della Banca d’Italia in tema di offerte ostili. 344 Di grande interesse sono le considerazioni formulate da F.M. FRASCA, Le modalità di realizzazione dei processi di concentrazione in Italia: il punto di vista dell’organo di vigilanza, in A. PROFUMO, C. SALVATORI, F.M. FRASCA (a cura di), Le concentrazioni bancarie: aspetti organizzativi e di vigilanza, interventi tenuti nell’ambito del Seminario “Nuovi modelli organizzativi per le banche e per i mercati”, Perugia, 1999. Peraltro, per un precedente significativo v. M. RIGOTTI, L’Opa Credito Romagnolo, in Riv. soc., 1996, p. 158 ss.; ID., L’Opa ostile in Italia: il caso Banco S. Geminiano e S. Prospero, in Riv. soc., 1995, p. 704 ss.; C. SILVETTI, Note a margine di un recente caso di Opa ostile, in Banca borsa tit. cred., 1997, I, p. 74 ss. È noto, infatti, che le autorizzazioni prudenziali della Banca d’Italia non venivano pubblicate ed erano scarsamene motivate, con la conseguenza che ne veniva precluso un sindacato giurisdizionale. Sul piano sistematico, l’attribuzione di determinati compiti normativi alle fonti secondarie comporta, anzi, una “riregolamentazione”, che, di là dalle descritte, non composte diversità di vedute, non è escluso possa generare una regolamentazione maggiormente intrusiva. Basti pensare allo strumento della moral suasion utilizzato per proibire le Opa ostili tra banche italiane, pratica di una vigilanza che privilegia il valore delle relazioni rispetto alle forze del mercato, la discrezionalità alla trasparenza delle regole, il dirigismo alla concorrenza, e che usa il pretesto dell’italianità per proteggere interessi costituiti. Questo approccio “dittatoriale” non ha evitato in questi anni il prodursi di una lunga serie di dissesti bancari: prima della ex-Lodi, Bipop, Popolare di Novara, Banco di Napoli, Banco di Sicilia, Sicilcassa, CaRiPuglia, CaRiCal, CaRiVenezia e tante altre minori. I conseguenti salvataggi sono stati – per utilizzare un eufemismo – opachi, con la Banca d’Italia che, discrezionalmente, decideva di volta in volta a chi dovesse andare il controllo, piuttosto che tutelare interessi di creditori e azionisti con aste o competizioni aperte. - 106 - Le offerte pubbliche non concordate sulle banche ripropongono, dunque, al legislatore primario e al regolatore un difficile problema di contemperamento fra tre diversi obiettivi non complementari fra loro: (i) la tempestiva informazione al mercato, onde impedire un’asimmetria informativa a favore soltanto di taluni soggetti e per troppo tempo; (ii) la contendibilità delle società, che costituisce uno stimolo per la creazione di valore a vantaggio degli azionisti; (iii) la tutela dei legittimi interessi delle società bersaglio dell’offerta345. Sia ben chiaro: non esiste un criterio generale per definire quale degli obiettivi indicati debba essere privilegiato346. 3.2. Tutela degli azionisti e profili di responsabilità degli amministratori nel comunicato della società emittente. A voler azzardare qualche riflessione conclusiva di fronte al quadro d’insieme sopra tratteggiato in materia di Opa ostile per l’acquisto del controllo di una banca, la cautela è d’obbligo, stante la vivacità ma anche la contraddittorietà degli stimoli che tale scenario offre. Applicate alla disciplina specifica del comunicato, le considerazioni ora svolte consentono di formulare alcune precisazioni e chiarimenti, che trovano a questo punto dell’indagine la loro più corretta collocazione. Nel caso di offerte “non amichevoli”, cioè respinte dal management della società-bersaglio, il giudizio contenuto nel comunicato della società emittente ex art. 103, comma 3, del T.u.f. può risultare, nella sostanza, determinate ai fini della decisione che la Banca d’Italia deve assumere in merito all’autorizzazione dell’Opa347. La prassi recente, infatti, forse 345 In particolare, l’adeguamento delle Istruzioni di vigilanza dovrebbe vertere su tre punti cruciali: i tempi della risposta, che dovrebbero diventare certi; la vigilanza prudenziale, che andrebbe esercitata sulla base di standard predeterminati e non in modo discrezionale; la comunicazione del responso, che dovrebbe essere immediatamente resa nota al mercato. In un contesto così rinnovato anche il giudizio sui piani di scalata ostile diventerebbe fatalmente meno soggettivo. Sul terreno delle regole di mercato, per porre rimedio a questa situazione sarebbe vantaggioso, in sede di riesame del Testo unico della finanza, precisare l'ambito temporale di applicazione dell'art. 104 T.u.f. Sarebbe necessario, inoltre, prevedere un obbligo di comunicazione dell'Opa non appena i termini essenziali dell'offerta siano stati decisi dal bidder. Pertanto, oltre alla strada indicata dalle Istruzioni di vigilanza, anche l'art. 102 T.u.f. dovrebbe essere modificato, dovendosi in sostanza prevedere, già a livello legislativo, quella prima comunicazione che il regolamento Consob, poi modificato, già richiede. 346 Per una duplicità di strumenti tecnici e di prospettive, utili a portare a soluzione il problema, cfr. L.A. BEBCHUK, The Pressure to Tender: An Analysis and a Proposed Remedy, in Delaware Journal of Corporate Law, 12, 1987, p. 911 ss.; E.J.J. COFFEE e W. KLEIN, Bondholder Coercion: The Problem of Constrained Choice in Debt Tender Offers and Recapitalizations, in University of Chicago Law Review, 58, 1991, p. 1207 ss.; A. PEACOCK e G. BANNOCK, Corporate takeovers and the public interest, The David Hume Institue, Aberdeen, 1991. Cfr. C.W. CALOMIRIS e J. KARCESKI, Is the bank merger wave of the 90s efficient? Lesson from nine case studies, in Merger and productivity, Chicago, 1998; L. CAPRIO, A. FLOREANI e L. RADAELLI, I trasferimenti del controllo di società quotate in Italia, cit.; M. COMANA, Crescita esterna e performance bancarie: analisi di 34 casi recenti, AssBank, 1995; M.M. CORNETT e H. TEHRAIAN, Changes in corporate performance associated with bank acquisitions, in Journal of Financial Economics, 31, 1992, p. 211 e p. 234; W.F.M. DE BONDT e R. THALER, Does the stock market overreact?, in Journal of Finance, 11, 1985, p. 793 e p. 807; T.H. HANNAN e J.D. WOLKEN, Returns to bidders and targets in the acquisition process: evidence from the banking industry, in Journal of Financial service Research, 3, 1989, p. 5-16; A. PRESTI E G. SICILIANO, Le acquisizioni di banche quotate creano valore per gli azionisti? Un confronto internazionale tra i prezzi di borsa ed i dati fondamentali di alcune banche italiane, lavoro presentato al III Seminario Consob, novembre 1998; R.V. VANDER, The effect of mergers and acquisitions on the efficiency and profitability of EC credit institutions, in Journal of Banking and Finance, 20, 1996, pp. 1531-1558; cfr. A. MACCHIATI e G. SICILIANO, Gli effetti economici dell’offerta obbligatoria successiva, in Studi in materia di Opa, Quaderni di Finanza Consob, n. 24, 1998, p. 4 ss. 347 Come è noto, tale prospettiva risale alle tesi formulate da D. REGOLI, Doveri di assistenza degli amministratori e nuovo ruolo dei soci in pendenza di opa, in Riv. soc., 2000, p. 792 ss.; L. ENRIQUES, Il conflitto di interessi degli amministratori di società per azioni, Milano, 2000, p. 379 ss.; nonché F.M. MUCCIARELLI, Combinazioni aziendali - 107 - inconsapevolmente, aveva fornito un potere improprio al management della società bersaglio, che poteva affondare qualsiasi offerta non concordata semplicemente definendola “ostile”348. Il comunicato può infatti il più semplice strumento per contrastare l’offerta, secondo il modello delle factual defenses, ovvero di quelle iniziative dirette a discreditare l’offerta presso l’opinione pubblica, le forze sociali e, naturalmente, gli azionisti, ovvero ad annullare quel differenziale informativo di cui eventualmente disponga l’offerente per favorire una più corretta valorizzazione dei titoli349. Per la legge il comunicato è, invece, la dichiarazione conclusiva di un processo interno di verifica e di valutazione che, per il fatto di essere vincolato quanto al risultato (messa a disposizioni di ogni dato utile per l’apprezzamento dell’offerente), è indirettamente vincolato anche per ciò che attiene alla modalità per pervenirvi. In particolare, si ottiene che l’esternazione finale del giudizio in forma di parere-consiglio debba essere coerente con la necessaria attività preparatoria di verifica del documento di offerta, di controllo dell’informazione interna e di formazione da parte degli amministratori, secondo criteri di professionalità e imparzialità, della propria valutazione in ordine al contenuto dell’offerta350. Le considerazione che precedono, se da un lato confermano un orientamento generale oramai consolidato di favor del sistema verso la protezione degli interessi degli azionisti ad e passivity rule, in Banca, borsa tit. cred., 2000, I, p. 230 ss. Vedi anche A. ANTONUCCI, Diritto delle anche, 3° ed., cit., p. 194. 348 Cfr. G. TAGI, Un’opa ostile e altre novità in Italia, in Banche e banchieri, 1999. S. BRAGANTINI, La vera offerta ostile? Quella dei cavalieri bianchi, in Il Corriere della Sera, 9 aprile 2005, p. 29. Gli amministratori possono “circulate their views on the offer”… per sostenere la tesi di un offerente e delegittimare quella di un concorrente; con argomentazioni che a volte sembrano illogiche e altre volte frutto di una posizione preconcetta e strumentale. Come è noto, infatti, uno dei capitoli più delicati della disciplina delle offerte pubbliche d’acquisto è quello che concerne la posizione del management della società destinataria di un’offerta. Condizioni di legittimità delle varie “tattiche difensive”, ambito degli obblighi di informazione nei confronti dei soci, liceità della prassi dei cc.dd. golden parachutes (compensi particolari attribuiti agli amministratori che, in seguito al successo di un’Opa, debbano abbandonare la propria carica) sono alcuni dei temi sui quali si è venuta sviluppando una discussione ormai sufficientemente approfondita. Come sostiene D. REGOLI, Offerte pubbliche di acquisto e comunicato agli azionisti, cit., p. 104, “il comunicato rimane l’unico realistico mezzo di difesa contro un’offerta pubblica d’acquisto ostile, cui l’organo di amministrazione della società bersaglio può ricorrere dopo l’annuncio dell’offerta; sarà proprio attraverso le informazioni e le valutazioni ivi contenute che gli amministratori cercheranno di indurre gli oblati a respingerla”. Successivamente (p. 105, nt. 105), l’Autore rinvia alla lettura dei comunicati (che si possono leggere in Il Sole 24 Ore del 12 gennaio 1995, p. 24 e del 29 gennaio 1995, p. 7, nonché in Riv. soc., 1996, p. 160 ss.) emessi dal Gruppo Bancario Credito Romagnolo S.p.A. in occasione delle due offerte pubbliche di acquisto concorrenti presentate dal Credito Italiano e dalla CARIPLO. Dall’esame di entrambi i documenti, risultava infatti evidente la volontà del consiglio di amministrazione della società target di “raccomandare” agli azionisti l’offerta (negoziata) con il Credito Italiano, in quanto ritenuta, a giudizio degli amministratori, più vantaggiosa di quella della CARIPLO. 349 Cfr. C. SALOMAO FILHO e M. STELLA RICHTER, Note in tema di offerte pubbliche di acquisto, ruolo degli amministratori ed interesse sociale, in Riv. dir. comm., 1993, I, p. 113 ss. Il diritto di prendere decisioni che potrebbero ostacolare il buon esito dell’offerta e pertanto il cambiamento di controllo dovrebbe risiedere negli azionisti della società emittente e non nella sua dirigenza. Come si è più volte ricordato, i dirigenti potrebbero facilmente trovarsi ad agire, al riguardo, in una situazione di conflitto di interessi. In altri termini, la contestabilità del controllo richiede il conferimento di maggiori poteri agli azionisti come reazione contro eventuali forme di protezione ingiustificata dei dirigenti (“management entrenchment”). 350 Sulla portata e lo scopo dei doveri di corretta e completa informazione degli amministratori v. D. REGOLI, op. cit., p. 30. Secondo l’Autore: “Il duty of care inquiry costituisce in generale uno degli obblighi in cui si articolano i duties of care degli amministratori”. In senso conforme cfr. R. CLARK, Corporate Law, Little Brown & Company, Boston-Toronto, 1986, p. 128 s.; M.A. EISENBERG, Obblighi e responsabilità degli amministratori e dei funzionari delle società nel diritto americano, in Giur. comm, 1992, I, p. 620 s.; in particolare nel contesto di un takeover bid v. S.G. BRADBURY, Corporate Auctions and Directors’ Fiduciari Duties: A Third Generation Business Judgment Rule, in Michingan L. Rev., vol. 87, 1988, p. 286 s. e L.A. CUNNINGHAM e M. YABLON, Delaware Fiduciari Duty Law After Qvc And Technicolor: A Unified Standard (and the End of Revlon Duties?) , in Business Lawyer, vol. 49, 1994, p. 1622 s. - 108 - un’informazione completa, dall’altro mettono in rilievo il timore che un coinvolgimento troppo incisivo degli amministratori della società bersaglio nella fase di svolgimento dell’offerta possa di per sé attentare allo svolgimento corretto del processo di scelta degli oblati. Seguendo questo filone di indagine, si ricavano alcune soluzioni pratiche al problema posto. In primo luogo, ad esempio, si può ritenere che, anche in tale ipotesi, gli amministratori che violano i loro doveri siano chiamati a rispondere sia verso gli azionisti, per il danno loro arrecato individualmente (ex art. 2395 c.c.), sia verso la società (come corollario implicito della norma civilistica)351. Se non altro, essi sarebbero chiamati a rispondore verso la società qualora non tentassero di sventare un’Opa che poi si rivelerà dannosa; oppure verso gli azionisti uti singuli se impedissero loro di poter aderire all’offerta. Fermo restando che, per contestare agli amministratori il loro operato, è necessario però dimostrare l’esistenza di gravi trascuratezze o di interessi di parte, o il fatto che per scoraggiare o impedire le scalate, siano stati costruiti ostacoli di ogni genere volti ad accrescerne il costo. Tuttavia, si ritiene legittimo – come già chiarito in via interpretativa dalla stessa Consob – che gli amministratori possano sollecitare Opa concorrenti anche senza essere autorizzati dall’assemblea (art. 104 T.u.f.), ma solo se l’offerta concorrente non crei problemi d’azione collettiva, cioè se non esistano alternative praticabili per sventare l’offerta senza pregiudicare gli interessi proprietari degli azionisti352. Anche per tali ragioni, la legge richiede apertamente che il comunicato debba rendere noto se membri dell’organo amministrativo o di direzione della società bersaglio, che eventualmente detengano titoli di questa, abbiano deciso di accettare o non accettare l’offerta. Scopo di queste informazioni obbligatorie deve appunto essere quello di consentire agli oblati di riconoscere e di poter valutare il grado di obiettività del parere espresso dall’organo di amministrazione sull’offerta353. Infatti, posto che tali informazioni devono essere obbligatoriamente inserite in ragione della loro accennata funzione “rivelatrice” della obiettività del comunicato-parere (si pensi in Sul tema v. ampiamente D. REGOLI, op. ult. cit., in particolare p. 153. G. FERRARINI e M. LISANTI, La corporate governance nelle OPA ostili: a chi la difesa della società bersaglio?, in Mercato concorrenza e regole, 2000, p. 142 ss.; A. DE NICOLA, Opa e banche: in difesa dell’ostilità, in La Repubblica, Affari & Finanza, 22 novembre 1999, p. 8. Il rischio di un’interferenza o di un condizionamento del socio di controllo nella redazione del comunicato non trova un correttivo nemmeno nell’ambito della disciplina del City Code che pure, nel caso dei documenti o delle dichiarazioni diffuse da un offerente soggetto al controllo, diretto o indiretto, di altra entità, legittima il Panel a chiedere anche agli amministratori della società controllante di assumere la responsabilità per le informazioni diffuse dalla controllata nella sua posizione di offeror. In proposito cfr. i General principles 5 e 6 e le rules 19.1, 23 e 28.1 della precedente versione del City Code spesso interpretate dal Panel in termini assai rigorosi; in dottrina cfr. F.B. PALMER, Palmer’s Company Law, Sweet & Maxwell-W Green, London-Edimburgh, 1992, nn. 12.335 e 12.338 e S. KENYON SLADE e M. ANDENAS, The Proposed Thirteenth Directive on Takeovers: Unravelling the Kingdom’s Self-Regulatory Success?, in S. KENYON SLADE e M. ANDENAS (a cura di), E.C. Financial Market Regulation and Company Law, Sweet & Maxwell, London, 1993, p. 167; in merito cfr., altresì, il Panel statement 1994/4, del 3 giugno 1994 nella vicenda Enterprise Oil plc./LASMO plc. (descritto nella comunicazione su “Use of excessive statements in Take-over documents”, in Journal of Business Law, 1995, p 86 ss.), con il quale veniva addirittura ristretto l’uso di affermazioni e commenti che, pur non essendo falsi o fuorvianti, risultavano comunque eccessivi e/o tendenziosi. 353 La definizione più avanzata del contenuto e dell’ambito di applicazione del dovere di assistenza si legge nella sentenza con la quale la Corte Suprema del Delaware si è pronunciata sul caso Paramount Comunications Inc. v. QVC Network Inc. Ma già in precedenza, queste conclusioni erano state oggetto di un’importante puntualizzazione nel caso Revlon v. McAndrews & Forbes Holdings Inc. Si è così affermata una nozione particolarmente ampia del dovere di assistenza, che è effetto dell’intersecarsi di due componenti. Da un lato, si avverte l’incidenza della concezione nordamericana di fiduciary relationship tra amministratori e soci, che, in occasione del passaggio del corporate control, rende possibile ravvisare in capo agli amministratori il compito di agire come fiduciari degli azionisti per consentire agli stessi di vendere le loro azioni al miglior prezzo. Dall’altro, si coglie invece il senso di una scelta di fondo più favorevole a responsabilizzare che a proibire, da cui deriva un dovere di neutralità dal momento dell’annuncio di un’offerta pubblica di acquisto e il parallelo configurarsi del dovere di prendere posizione, perseguendo come obiettivo non l’interesse proprio ma quello degli oblati. 351 352 - 109 - particolare ad eventuali accordi conclusi dall’incumbent management con l’offerente), la loro diffusione sarà comunque dovuta in attuazione del dovere generale di disclosure di eventuali situazioni di conflitto di interessi354. Ne deriva, nei fatti, una configurazione del dovere di assistenza collocata pressoché esclusivamente sul piano della dialettica informativa. In altri termini, tale dovere consiste nell’analisi dell’offerta, nella verifica e nell’eventuale rettifica dell’informazione fornita dall’offerente, nonché nella integrazione di tale informazione tanto con ulteriori dati e notizie, anche a carattere valutativo e programmatico, quanto con il parere degli stessi amministratori sul merito dell’offerta355. 4. La disciplina delle offerte “concorrenti” e delle offerte “in aumento”. La disciplina in materia di offerte concorrenti e di offerte in aumento deve ispirarsi ai seguenti principi: a) in primo luogo, il concorso di più offerte per i titoli di una società deve essere vantaggioso per gli azionisti della società bersaglio; b) in secondo luogo, qualsiasi offerta concorrente deve essere soggetta alle stesse norme dell’offerta iniziale; c) quindi, in presenza di offerte concorrenti, l’offerente iniziale deve avere la possibilità di revocare la propria offerta; d) infine, i destinatari che hanno già accettato l’offerta iniziale devono poter beneficiare dell’offerta concorrente. L’art. 103, comma 4, lett. c), demanda alla Consob il potere di regolamentare “le offerte di aumento e quelle concorrenti, senza limitare il numero dei rilanci, effettuabili fino alla scadenza di un termine massimo”356. Questo sistema favorisce, come era nelle intenzioni del legislatore, l’instaurazione di una vera e propria asta. 354 Due punti devono, dunque, essere approfonditi: il primo riguarda il comportamento che gli amministratori devono tenere, nel loro ruolo di auctioneers, in relazione agli offerenti, e nel prendere posizione in merito al problema della liceità di comportamenti discriminatori nei confronti di competing bidders indipendenti; il secondo, invece, riguarda l’indicazione delle operazioni non discriminatorie ammesse. Quanto al primo tema la case law statunitense offre due linee interpretative che conducono a risultati antitetici. La prima, per la quale si fa riferimento a Mills Acquisition Co. v. Macmillian [No. 415 & 416 (November 2, 1988), 1 M&A Law Rep., p. 918], interpreta Revlon nel senso di richiedere the most scrupulous adherence to ordinary principles of fairness in the conduct of an auction for the sale of a corporate enterprise. La conseguenza inevitabile è la richiesta di assoluta neutralità in relazione al conflict. Diversa invece la seconda interpretazione con cui, in West Point-Pepperell, Inc. v. J.P. Stevens, Co. [542 A.2d 770 (Del. Ch. 1988)], la Corte Suprema del Delaware decise che “under Revlon, a target board may enter into agreements with a white knight that tilt the playing field if, but only if, it is in the shareholders’ interest to do so”. La decisione enuncia il principio per il quale le corti devono applicare un criterio più elastico quando l’azione del board consiste esclusivamente nel favorire uno dei contendenti, senza però impedire altre offerte. La lettura che si ritiene maggiormente rispettosa del dato positivo sembra essere la prima, formalmente aderente al principio di uguaglianza degli azionisti. D’altra parte, però, si è accennato alla rilevanza sistematica che, in tale contesto, assumono le misure “facilitative”, volte cioè ad incentivare l’intervento di white knights, e che richiederebbero un attento esame in merito alla loro liceià o meno. 355 In proposito v. la ricostruzione del problema e del suo progressivo superamento nel lavoro di D. REGOLI, op. ult. cit., p. 194 s. In particolare, l’Autore sottolinea che: “Proprio alla luce dell’esperienza del comunicato assumono notevole rilievo, ai fini dell’accertamento in ordine alla sussistenza di un vinculum iuris: la particolare qualificazione professionale del messaggio che, con la credibilità aggiuntiva derivante dal suo essere imputabile alla persona giuridica, proviene materialmente da soggetti tenuti ad agire rispettando criteri di congrua diligenza professionale; la specifica destinazione del comunicato (…) a quegli stessi soggetti cui è diretta la proposta del bidder; l’influenza che il comunicato ha sugli azionisti, portati a fare affidamento sulle informazioni e sulle valutazioni fornite da soggetti (gli amministratori), di cui è ragionevole supporre l’autorevolezza del giudizio in ordine alle materie riflesse nel comunicato; la consapevolezza da parte degli amministratori dell’affidamento risposto dagli azionisti sul contenuto del comunicato ai fini della loro decisione in merito alla proposta del bidder”. 356 Ci si limita a segnalare al riguardo che, per quanto riguarda le offerte concorrenti, il sistema predisposto a seguito delle modifiche regolamentari è volto a chiarire lo svolgimento della competizione, realizzando un’alternanza fra le proposte e spingendo gli acquirenti a fornire rapidamente al mercato informazioni sulle loro - 110 - Non vi è dubbio, infatti, che, a differenza della previgente disciplina chiaramente orientata, anche secondo l’interpretazione fornitane dalla Consob, a favorire la posizione dell’offerente originario357, la scelta operata dal legislatore è quella di parificare le posizioni dell’offerente originario e del concorrente358. L’offerta concorrente, peraltro, non è vincolata nei contenuti dall’offerta originaria: è quindi possibile fissare quantitativi, condizioni e modalità diversi359. La previsione in esame risponde all’esigenza che l’offerta concorrente assicuri un beneficio rispetto alla precedente360. Il legislatore, peraltro, sembra perseguire lo scopo di garantire una progressione dell’operazione in senso complessivo piuttosto che un guadagno individuale dei singoli oblati, avendo omesso ogni riferimento al corrispettivo unitario361. Inoltre, la diminuzione della soglia minima di aumento del corrispettivo globale e, nel contempo, l’ammissione di un’offerta concorrente che semplicemente elimini un’eventuale condizione dell’operazione pendente, rispondono alla volontà di assicurare una più “accesa” competizione nella lotta per il controllo, rivelando un atteggiamento di maggior favore per le offerte concorrenti rispetto a quanto previsto nella precedente disciplina. effettive intenzioni, limitando, se non eliminando del tutto, indecisioni e tatticismi che creano incertezza sugli esiti della fase di concorrenza, non compatibili con il regolare svolgimento del mercato. La disciplina regolamentare delle offerte in aumento e concorrenti è contenuta negli artt. 43 e 44 del regolamento Consob n. 11971/99. 357 Conformemente a quanto aveva statuito il Consiglio di Stato, sez. I, 18 gennaio 1995, pubblicato in Banca, borsa e tit. cred., 1995, I, p. 349, interpretando l’art. 23 della legge n. 149 del 1992, in occasione dell’Opa lanciata sul Credito Romagnolo. 358 Cfr. D’AMBROSIO, Commento sub artt. 102-112, in C. RABITTI BEDOGNI (a cura di), Il Testo unico dell’intermediazione finanziaria, Commentario al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Milano, 1998, p. 598. Tale norma rappresenta un’innovazione di indubbio rilievo rispetto al quadro normativo delineato dalla legge n. 149 del 1992, che si ispirava ad un Il modello c.d. “a offerte chiuse o prefissate» (sealed bid) che limita i rilanci a disposizione degli offerenti, come emergeva anche dalle comunicazioni interpretative della Consob (SOC/MI/95000675, SOC/MI/95000677, SOC/MI/95000678 del 23.1.1995, in Bollettino Consob, gennaio 1995, p. 65 ss.), emanate in seguito alla vicenda Credit-Rolo. In primo luogo, poiché essa fa ricorso alla disciplina secondaria in luogo di quella primaria che era contenuta negli artt. da 22 a 26 della cit. legge n. 149. In secondo luogo, perché si sovverte il rigido principio della sequenza procedimentale offerta originaria - offerta concorrente - aumento dell’offerta originaria. In tal seso v. pure F. CHIAPPETTA, Commento sub art. 103, cit., p. 965. 359 In assenza di un’espressa previsione, deve, tuttavia, ritenersi che, in virtù del principio di parità di trattamento, l’eventuale aumento del corrispettivo unitario, si estenda a tutti i titoli già depositati in adesione all’offerta. Questa previsione, in precedenza, era contenuta nell’art. 22, comma 5, della legge n. 149 del 1992. In tal senso, v. F. CHIAPPETTA, Ibidem. Si stabilisce, innanzitutto, che le offerte in aumento e le altre modifiche dell’offerta sono comunicate, ai sensi dell’art. 37, alla Consob, al mercato ed all’emittente, e sono pubblicate con le stesse modalità dell’offerta originaria fino a tre giorni prima della chiusura (art. 43, comma 1, reg.). I rilanci, inoltre, devono essere pubblicati almeno “dieci giorni prima della data prevista per la chiusura dell’ultima offerta” (art. 44, comma 2, reg.). 360 Come affermato dalla giustizia amministrativa e da autorevole dottrina, la legge sulle Opa ha tra i suoi principali obiettivi quello di proteggere l’interesse degli azionisti alla dimensione finanziaria del loro investimento. Tale riconoscimento è stato espressamente affermato dal Consiglio di Stato, Parere in ordine alla disciplina dell’offerta concorrente di cui agli artt. 23-26 della legge 18 febbraio 1992, n. 149, in Banca, borsa tit. cred., 1995, I, p. 354. In dottrina si segnalano i contributi di P. MONTALENTI, Il problema del “rilancio” del prezzo nell’Opa “concorrente”, p. 249 e di G.B. PORTALE e A. DOLMETTA, Il cavaliere bianco è “dimezzato”? Due questioni cruciali per l’Opa concorrente, in Banca impr. soc., 1995, p. 352. 361 Sul punto v. soprattutto R. LENER, La nuova disciplina delle offerte pubbliche di acquisto e scambio, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 251 ss. Secondo l’ASSONIME, Circolare n. 13/1999, cit., p. 49, “atteso che la disciplina dei rilanci risulta compresa nella disposizione che governa le offerte concorrenti, sembra che l’elemento caratterizzante consista nella necessaria presenza di un’offerta concorrente. In altri termini, affinché una modifica dell’offerta originaria venga qualificata come rilancio occorre che sia stata preceduta dal lancio di un’offerta concorrente. Cfr., inoltre, G. ROMAGNOLI, Le norme su Opa e Ops nel regolamento Consob sugli emittenti, in Le società, 11/1998, p. 1255. - 111 - 4.1. Opa bancarie concorrenti “travestite” da obbligatorie. Nell’ambito delle complesse procedure di autorizzazione delle Opa bancarie, due problematiche emergono con riferimento alla disciplina delle offerte concorrenti e in aumento. La prima, concernente la possibilità per lo scalatore di passare attraverso un’offerta “premeditatamente obbligatoria”, meno costosa, piuttosto che un’Opa concorrente, aggirando la legge Draghi, rende le offerte concorrenti non confrontabili e fa ripercuotere quindi sul mercato i rischi legati al processo autorizzativo. In prossimità del termine di scadenza della prima offerta, l’annuncio di una controfferta solo teorica – perché mancante dei nulla osta della vigilanza bancaria e carente nell’informativa al mercato – rischia di interferire in modo sleale con l’Opa in corso. Una situazione paradossale in cui gli azionisti sono costretti a decidere tra un’offerta reale ed una solo annunciata. Di fronte ad una pluralità di offerte concorrenti successive non vi è soltanto un problema di autorizzazione e di coordinamento delle scadenze; vi è anche da salvaguardare la posizione degli azionisti che hanno accettato la prima offerta362. Il principio di irrevocabilità dell’adesione trova, infatti, un’implicita conferma proprio nel limite disposto dal regolamento Consob: all’art. 44, comma 8, si prevede che, nel caso vi sia un’offerta concorrente, il soggetto che abbia già aderito alla prima offerta, possa revocare l’adesione e accettare l’offerta concorrente363. Il medesimo principio di revocabilità delle adesioni si applica ai rilanci364. Pertanto, l’eventualità di considerare le due offerte non concorrenti sul piano giuridico, fa sì che l’azionista che aderisca all’una non possa poi trasferire sull’altra la sua adesione. In tal caso però l’Opa non realizzerebbe l’obiettivo di garantire l’exit. Una soluzione praticabile, che consenta di correggere una simile “distorsione”, sembra potersi individuare nel potere della Consob di accordare una “sospensiva” all’offerta obbligatoria “affinché i tempi della sua raccolta si svolgano, almeno in parte, quando l’offerta volontaria” dell’altro contendente “si sia già conclusa”365. Più in generale, la sensata richiesta che i provvedimenti autorizzativi in occasione di cambiamenti di controllo siano possibilmente sincronizzati – legata ai problemi sperimentali sorti nelle Opa bancarie concorrenti – potrà anch’essa, eventualmente, trovare accoglimento solo in una nuova legge sull’Opa. La seconda problematica, strettamente correlata alla prima, riguarda invece il pericolo che la formula per determinare il prezzo dell’Opa obbligatoria successiva possa essere “piegata” alle necessità degli offerenti di minimizzare l’esborso totale. Il corrispettivo dell’Opa obbligatoria totalitaria – occorre ricordarlo – è stabilito da una formula: la media aritmetica fra il prezzo medio di mercato degli ultimi dodici mesi e quello più elevato pattuito nello stesso periodo dall’offerente per acquisti di azioni ordinarie (art. 106 T.u.f.). In siffatte ipotesi, 362 A tal riguardo cfr. CONSOB, Comunicazione n. 95000729 del 25 gennaio 1995, in Orientamenti interpretativi e criteri applicativi della legge opa, Bollettino Speciale, n. 5/1997, p. 39. 363 Peraltro, sempre con riferimento al tema della revocabilità delle adesioni, la CONSOB, Relazione per l’anno 2001, p. 17, disponibile sul sito www.consob.it, , ha specificato che “nel presupposto che spesso la notizia su quale delle offerte sia prevalsa è disponibile soltanto dopo la chiusura del periodo di adsione, è stato consentito agli azionisti che avessero aderito all’offerta risultata perdente di apportare le azioni all’offerta vincente, entro un termine breve successivo alla pubblicazione dei risultati”. 364 Un ulteriore problema riguarda la revocabilità delle adesioni all’offerta concorrente presentate dopo la pubblicazione dell’offerta in aumento da parte dell’offerente originario. In tal caso la Consob, già sotto la vigenza della precedente normativa, ha affermato che tali adesioni non sono revocabili, atteso che il principio generale è quello della irrevocabilità dell’adesione, a cui si deroga per espressa previsione legislativa, nei soli casi di offerta concorrente o di rilancio. Sul punto cfr. CONSOB, Comunicazione n. 95000729 del 25 gennaio 1995, cit., p. 39. 365 Così P. GUALTIERI in un’intervista di R. SABBATINI, Finalmente un precedente, in Il Sole 24 ore, 12 maggio 2005, p. 2; al riguardo v., pure, i commenti di L. SPAVENTA, La sconfitta di Bankitalia, in La Repubblica, 12 maggio 2005, pp. 1 e 21; LAMBERTINI, Il caso Gildemeister: nella battaglia a colpi di Opa può vincere chi offre meno, in Corr. giur., 2001, p. 662 ss.; e Trib. Milano, ord. 10 maggio 2000, in Giur. it., 2001, p. 334 ss. - 112 - sarebbe invece più corretto considerare l’Opa obbligatoria anche concorrente e dunque tale da dover essere lanciata ad un prezzo superiore rispetto all’offerta rivale già esistente. Il problema, si auspica, dovrebbe comunque essere risolto grazie al recepimento della direttiva Ue, che si riferisce al solo prezzo massimo pagato. È solo il caso di ricordare, infine, che il fenomeno delle offerte concorrenti assume una sua rilevanza esclusivamente nei casi di effettiva contendibilità del controllo, dato che esse costituiscono una sottospecie delle offerte preventive, per le quali il passaggio del controllo avviene per il tramite di una scalata e non per trattativa diretta con il management. Anzi, spesso almeno una delle offerte concorrenti “altro non rappresenta che una sorta di meccanismo di difesa dall’Opa ostile essendo riconducibile ad una società « amica » del management della società scalata (in tal caso, l’offerente viene definito, secondo la dizione anglosassone, come «cavaliere bianco» o, più propriamente, white knight)”366. 5. Introduzione alla nozione di “acquisto di concerto”. L’art. 109 del T.u.f., rubricato, appunto, con il termine “acquisto di concerto”, segue gli articoli che tipizzano le fattispecie da cui scaturisce l’obbligo di effettuazione dell’offerta pubblica d’acquisto, ampliandone notevolmente l’ambito di operatività ed evitando così che l’istituto dell’offerta pubblica obbligatoria si presti a facili elusioni. L’art. 109 individua i casi in cui gli obblighi di lanciare un’Opa totalitaria o residuale, che gli artt. 106 e 108 pongono a carico di soggetti singoli, spettano congiuntamente a più persone. Con questa disposizione viene finalmente introdotta una definizione precisa di acquisto di concerto nell’ambito della disciplina generale sulle offerte pubbliche367. Il legislatore ha formulato la disciplina in questione rinunciando all’introduzione di una categoria generale, Così C. RABITTI BEDOGNI, Opa e mercato, Roma, 1999, p. 64. Le uniche norme, difatti, che prima del T.u.f. prendevano espressamente in considerazione l’azione in concerto in relazione alle Opa, ponendo a carico dei partecipanti all’accordo la responsabilità solidale per la conseguenza della loro condotta, si trovavano nell’art. 8 del d.l. 31 maggio 1994, n. 332 nel testo coordinato con la legge di conversione 30 luglio 1994, n. 474. Secondo tale disposizione il comportamento concertato costituiva un elemento indiziario dell’esistenza di un patto di sindacato, non anche un autonomo presupposto per il sorgere di un obbligo di Opa. In tal senso v. P. DI SALVO e S. PROVIDENTI, Esperienze in materia di azione di concerto e Opa: i casi inglese e francese, in Studi in materia di Opa, cit., p. 50; R. BASSO, Commento sub art. 109, in Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, cit., II, p. 1013. Sulla difficoltà di rendere di generale applicazione tale nozione di acquisto di concerto, data la specificità della fattispecie, cfr. G. ROMAGNOLI, Le offerte pubbliche di acquisto obbligatorie, Padova, 1996, p. 249 ss.; R. COSTI, I sindacati di blocco ed il voto nella legge sull’Opa, in Banca, borsa tit. cred., 1992, I, p. 447 ss.; B. LIBONATI, La faticosa «accelerazione» delle privatizzazioni, in Giur. comm., I, 1995, p. 20 ss.; M. STELLA RICHTER Jr., “Trasferimento del controllo” e rapporti tra i soci, Milano, 1996, p. 139 ss. 366 367 - 113 - causa di eccessiva vaghezza, quale l’azione di concerto368, ed ha strutturato la norma attraverso l’elencazione di casi specifici369. Pertanto, ai sensi del primo comma dell’art. 109, sono solidalmente tenuti agli obblighi previsti dall’art. 106 e dall’art. 108: a) i soggetti aderenti ad un patto, anche nullo, previsto dall’art. 122 T.u.f.; b) un soggetto e le società da esso controllate; c) le società sottoposte a comune controllo (c.d. società sorelle); d) una società e i suoi amministratori o direttori generali, quando tali soggetti vengono a detenere, a seguito di acquisti a titolo oneroso, effettuati anche da uno solo di essi, una partecipazione complessiva superiore alle percentuali indicate negli artt. 106 e 108 del T.u.f. Il criterio adottato è un criterio soggettivo, nel senso che esso fa leva non già sui comportamenti nei confronti della società, bensì sul tipo di rapporti intercorrenti tra soggetti che detengono delle partecipazioni nella società. Inoltre, come si è detto, l’obbligo di promuovere un’offerta discende, ai sensi dell’art. 109, non dal superamento delle soglie rilevanti in sé, bensì dal fatto che ciò avvenga a seguito ad acquisti a titolo oneroso, compiuti anche da uno solo dei soggetti coinvolti nel concerto. Per contro, la semplice detenzione delle partecipazioni, in presenza di una delle situazioni di concerto elencate dalla norma, non comporta alcun obbligo di Opa. Ai sensi del secondo comma dell’art. 109, si considerano rilevanti per la definizione di concerto, con conseguente obbligo di Opa totalitaria370, non solo gli acquisti successivi al Il sistema risultante dalla norma non è molto lontano dall’action de concert della legge sulle società commerciali francese e dell’acting in concert del City Code on Takeovers and Mergers inglese, fattispecie nelle quali le presunzioni soggettive di concerto fanno seguito, senza esaurirne la portata, ad una definizione generale di tale nozione. Cfr., in proposito, P. DI SALVO e S. PROVIDENTI, Esperienze in materia di azione di concerto e Opa. I casi inglese e francese, in Studi in materia di Opa, Quaderno di finanza della Consob, n. 24/1998, p. 47 ss. La norma in questione consente di sanzionare condotte tese a realizzare forme di controllo congiunto, che possono dare origine a strutture proprietarie scarsamente contendibili e dunque pressocchè permanenti. Questo per evitare che venga violata la regola della par condicio fra gli azionisti, il principio alla base della disciplina dell’Opa nel Testo Unico della Finanza, tanto che recentissimamente la giurisprudenza ha condannato al risarcimento del danno il soggetto inadempiente all'obbligo di lanciare un'offerta pubblica totalitaria (Trib. Milano 26 maggio 2005, nel caso Fondiaria-Sai). 369 Le ipotesi di concerto sono diventate tassative, mentre la primitiva versione proponeva una clausola generale accompagnata da una casistica di ipotesi presuntive. In tal senso R. WEIGMANN, op. ult. cit., p. 205; G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, Torino, 1999, p. 250; L.G. PICONE, op. cit., p. 272; P. MONTALENTI, op. ult. cit., p. 156. 370 In realtà, per quanto sia valida e necessaria, la disciplina della fattispecie dell’acquisto di concerto è risultata di difficile applicazione pratica, poiché difficile è risultato provare giuridicamente la sussistenza del concerto. L’accertamento del concerto è fondamentalmente un processo indiziario, basato su elementi che concordemente individuano l’azione congiunta; sulla “volontà di perseguire una determinata strategia comune” quale “elemento qualificante” del concerto stesso cfr. M. CALLEGARI, Commento sub art. 109, in Corporate Governance. La nuova disciplina delle società quotate in mercati regolamentati, cit., p. 2456 s.; L.G. PICONE, Patti parasociali e opa obbligatoria, in Le società, 1999, p. 1492 ss.; P. GIUDICI, L’acquisto di concerto, in Riv. soc., 2001, p. 490 ss.; P. FERRO LUZZI, Il “concerto grosso”; variazioni sul tema dell’opa, in Giur. comm., 2002, I, p. 661 ss. Per alcuni precedenti alquanto significativi cfr. CONSOB, Comunicato stampa del 10 agosto 2001, Acquisto di azioni La Fondiaria da parte di Sai spa, in www.consob.it/xpcom_stampa; e, più di recente, CONSOB, Delibera n. 15029 del 10 maggio 2005, disponibile sul sito www.consob.it, con cui la Commissione di vigilanza ha formalizzato l’accertamento dell'avvenuta stipulazione di un patto parasociale avente per oggetto l'acquisto concertato di azioni ordinarie della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a., patto rilevante ma non comunicato né pubblicato e depositato ai sensi dell'art. 122 del T.u.f. La Consob ammette, difatti, che l’accertamento “sconta la mancata conoscenza diretta di talune circostanze e avvenimenti”, ma ritiene “legittimo, oltre che doveroso”, potersi “avvalere di ragionamenti di tipo induttivo, atti a ricavare da una o più circostanze note altre circostanze non dotate di prova diretta”. Di tale processo a carattere logico-induttivo la Consob si era già servita in passato, in circostanze analoghe, e la sua piena legittimità è stata puntualmente riconosciuta dalle istanze giurisdizionali innanzi alle quali l’attività “ricostruttiva” della Commissione è stata sottoposta a verifica. In merito v. Corte d’Appello di Milano, sez. I, decreti del 5/28 febbraio 2003 e del 21 giugno 2003; Corte d’Appello di Torino, decreti del 21/27 febbraio 2002; TAR Lazio, sentenza del 23/30 ottobre 2002; per quanto concerne, inoltre, l’orientamento espresso dalla Commissione di 368 - 114 - momento in cui il concerto è rinvenuto, ma anche gli acquisti compiuti al momento della stipulazione del patto e addirittura quelli avvenuti nei dodici mesi precedenti371. Il legislatore, infatti, non colpisce i patti fra i soci, in quanto tali, bensì l’adesione ad un patto, alla quale si accompagni l’acquisto di azioni372, tale da portare, complessivamente in capo ai soggetti aderenti al patto al superamento delle soglie rilevanti, rispettivamente, del 30% o del 90%373. L’art. 109 impone l’obbligo di Opa totalitaria solidalmente in capo a ciascun aderente al patto parasociale [comma 1, lett. a), T.u.f.]. In tal guisa, risulta del tutto superato il principio della rilevanza del solo “controllo solitario”, a nulla rilevando la posizione di preminenza, o di minoranza, di ciascun soggetto all’interno del patto374. 5.1. (Segue): Gli acquisti di concerto e l’obbligo di comunicazione degli accordi di voto nel settore bancario. Di frequente il controllo sulla società bersaglio di un’Opa assume configurazioni tipologiche complesse e meno evidenti all’esterno, alle quali aderiscono più soci con partecipazioni di per sé minoritarie ma capaci, se organizzate e coordinate attraverso un patto vigilanza v., in particolare, Consob informa, n. 40, 16 ottobre 2000; CONSOB, Deliberazione n. 13198 del 17 luglio 2001; CONSOB Comunicazione n. 1081336 del 26 ottobre 2001, e più di recente CONSOB, Delibera n. 15029 del 10 maggio 2005, disponibile sul sito www.consob.it. Più in generale, in merito alla applicabilità della disciplina dell’Opa obbligatoria con riferimento all’ingresso di nuovi soci in un patto parasociale cfr. CONSOB, Comunicazione n. DIS/99061705 del 13 agosto 1999. Sulle circostanze legate ad una possibile elusione della normativa in materia di accordi parasociali cfr. pure CONSOB, Comunicazione n. DIS/99024712 del 31 marzo 1999, in Bollettino Consob, n. 3/1999, p. 262 nonché Comunicazione n. DAL/38036 del 18 maggio 2000, in Bollettino Consob, n. 5/2000. 371 Al riguardo cfr. L.G. PICONE, Le offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 277 ss., secondo cui “si potrebbe cercare di eludere la norma effettuando acquisti di azioni prima di partecipare al patto”. E’ di parere contrario M. LISANTI, op. cit., p. 479, che parla di “un eccesso di rigidità della norma”, dato che basterà attendere poco più di un anno per la stipulazione del patto affinché la norma possa essere facilmente elusa. Pertanto, al fine di arginare eventuali comportamenti elusivi, si rendono praticabili per il legislatore due strade: o si introduce una definizione più ampia di concerto, che comprenda anche le ipotesi di pratiche concordate, oppure si provvede ad allungare il termine dei dodici mesi. 372 Cfr. A. TUCCI, Condizioni dell’Opa obbligatoria e acquisizione del controllo mediante i patti di sindacato, in Le società, 1999, p. 318 ss.; S. SIANI, L’applicabilità della disciplina dell’Opa obbligatoria con riferimento all’ingresso di nuovi soci in un patto parasociale, in Rivista on line di diritto bancario e finanziario, disponibile su www.tidona.com, 2001, p. 3 ss. Inoltre, nel silenzio della norma, si ritiene che siano rilevanti a tal fine anche gli acquisti tra i soggetti concertanti. Occorre, tuttavia, precisare che l’obbligo di Opa dovrebbe aversi quando si passa da una situazione in cui un soggetto non detiene azioni della società a quella in cui venga a detenerle a seguito della cessione da parte di un altro soggetto rientrante nel concerto (in questo senso si spiega anche il riferimento all’acquisto contestuale alla conclusione del patto). Rimarrebbero, invece, esclusi gli acquisti tra i soggetti interessati, quando al termine dell’operazione non vi sia una partecipazione complessiva superiore a quella antecedentemente detenuta dal concerto. Ciò perché è proprio il primo comma dell’art. 109 a richiedere che vi sia un nesso di consequenzialità tra gli acquisti ed il superamento delle soglie da parte di due o più soggetti. In merito v. P. MONTALENTI, op. ult. cit., p. 158. L’Autore, peraltro, non crede in una diversa soluzione secondo cui, essendo la quota del 30% una quota di controllo presuntivo, quando il controllo si trasferisce da un soggetto ad un altro, come nel caso di specie, l’Opa obbligatoria deve comunque essere lanciata. 373 Cfr., in argomento, R. BASSO, Commento sub art. 109, Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, cit., p. 1019; in senso conforme R. WEIGMANN, La nuova disciplina delle Opa, cit., p. 203; L.G. PICONE, Le offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 273. 374 Sul punto cfr. ASSONIME, in Circolare n. 13, cit., p. 27. In merito, P. MONTALENTI, op. ult. cit., p. 157, osserva come “L’opzione legislativa potrebbe essere criticata perché introduce una regola che non pare pienamente conforme ai principi generali: l’obbligazione solidale sorge infatti in capo a tutti gli aderenti, per un atto – l’acquisto da parte di un socio – del tutto indipendente dalla volontà degli altri soci e senza che possa attribuirsi rilevanza esterna ad eventuali accordi di non superamento della soglia prefissata”. - 115 - parasociale, di influenzare, magari in forme più sottili e meno palesi, il funzionamento della società375. L'eventuale esistenza di assetti proprietari della banca diversi da quelli dichiarati e gli sviluppi cui potrebbe dar luogo il relativo accertamento costituiscono circostanze della massima importanza sotto il profilo informativo, in particolar modo in pendenza di un'offerta pubblica di acquisto: essi formano infatti parte integrante del patrimonio conoscitivo di cui le Autorità di vigilanza preposte e i soggetti interessati all'offerta devono disporre al fine di un regolare svolgimento della medesima. Sennonché, tra le ipotesi contemplate dall’’art. 109 del T.u.f., il legislatore utilizza il patto parasociale per farne elemento di una fattispecie di concerto abbandonando l’onere della prova376. A norma di legge, infatti, detto accertamento costituisce il presupposto di operatività dell'obbligo di promuovere un'Opa obbligatoria, il quale deve essere adempiuto, ai sensi dell'art. 106, comma 1, del d.lgs. n. 58/1998, entro 30 giorni dal verificarsi dei relativi presupposti377. Si ricorda, inoltre, che la stipulazione di un patto, “in qualunque forma stipulato”, non comunicato alla Consob e non pubblicato, oltre a rendere passibili i soggetti che vi concorrono di una sanzione pecuniaria378, ha come primo effetto l’impossibilità per gli aderenti al patto di Sul punto v. M. STELLA RICHTER Jr., “Trasferimento del controllo” e rapporti tra soci, Milano, 1996, p. 245 ss.; L. DE ANGELIS, L’informazione societaria nell’Opa: prospettive di regolamentazione in Italia e esperienze comparatistiche degli Stati membri della Cee, in Riv. soc., 1987, p. 97 ss. Le ipotesi testé formulate rientrano, in termini di inquadramento generale, in quel settore della fenomenologia del controllo societario che attiene all’area delle interferenze informali da parte di certi azionisti forti nel processo di determinazione dell’azione collettiva dotata di una sua non irrilevante specificità, in quanto sicuramente non assimilabile alla fattispecie più classica di ingerenza e influenza del socio di controllo sul funzionamento dell’organizzazione e sulla gestione societaria fondata su una partecipazione maggioritaria al capitale sociale. 376 Sul punto, A. PATRONI GRIFFI, I rapporti di gruppo, in La riforma delle società quotate. Quaderni di giurisprudenza commerciale, n. 187, Milano, 1998, p. 285 s.; L. ENRIQUES, Trasferimento del controllo e offerte pubbliche d’acquisto, 2000, p. 44 ss.; P. GIUDICI, L’acquisto di concerto, in Riv. soc., 2001, p. 501 ss. 377 N. MORESCHINI e C. TATOZZI, La nozione di concerto nella disciplina dell’Opa, in Le offerte pubbliche di acquisto, La nuova disciplina delle Opa nel Testo Unico della Finanza, Il Sole 24 Ore, Roma, 2000, p. 165 ss. Dibattuta resta, sia pure limitatamente alle ipotesi contemplate alle lett. a) e d) del primo comma dell’art. 109, la questione se comportamenti uniformi, tenuti da più soggetti – soprattutto in sede assembleare – siano di per sé sufficienti ad integrare l’ipotesi di azione di concerto (dando quindi rilievo alla fattispecie dei contratti conclusi per facta concludentia). Se infatti, da un lato, tale soluzione consente di evitare il rischio di svuotare la norma (che resterebbe altrimenti facilmente aggirabile attraverso la semplice non pubblicità dell’accordo), dall’altro essa può generare il rischio di individuare, come fatti rilevanti ai fini dell’applicabilità dell’art. 109, anche i comportamenti « non programmati », ma solo casualmente (ancorché ripetutamente) convergenti, arrivando a disegnare una nozione « aperta » di accordo parasociale che, invece, il legislatore (discostandosi da quanto previsto in altri ordinamenti) sembra aver rifiutato. In senso contrario il parere di ASSONIME, Circolare n. 13/1999, cit., p. 27, mentre su una posizione più dubitativa P. MONTALENTI, op. ult. cit., p. 7. 378 In virtù dell’art. 122 T.u.f. i patti finalizzati ad un acquisto di azioni o altri strumenti finanziari, così come in generale i sindacati di voto, di blocco, di consultazione, vanno pubblicizzati [commi 1 e 5, lett. c)] a pena di nullità (comma 3). E’ evidente, in questo caso, l’intento del legislatore di dare rilevanza alla sostanza economica del fenomeno. I patti parasociali, infatti, anche se nulli per effetto del mancato adempimento dei prescritti obblighi di trasparenza, sono ritenuti comunque idonei ad incidere sui rapporti organizzativi instauratisi tra i soci ad essi aderenti e a dar luogo, di conseguenza, a comportamenti concertati tra gli stessi. E’ da ritenere, tuttavia, che tra i vari soggetti debba, in ogni caso, sussistere un vincolo di natura pattizia, dovendosi escludere che comportamenti uniformi non derivanti da accordo alcuno siano suscettibili di dare luogo ad ipotesi di “acquisto di concerto”. Secondo V. SALAFIA, op. ult. cit., p. 929, la scelta di passare dall’inefficacia alla nullità può essere intesa come il riconoscimento della prevalenza degli interessi pubblici alla trasparenza e alla tutela degli investitori rispetto agli interessi particolari dei soggetti che decidono di stipulare l’accordo; sul punto v. ASSONIME, Circolare n. 13/1999, cit., p. 63 ss. Si dichiara, invece, perplesso L.G. PICONE, Le offerte pubbliche di acquisto, Milano, 1999, p. 274 ss., secondo cui tale disposizione normativa, riconoscendo valenza giuridica al contratto parasociale nullo, tale potendosi intendere quello non formalizzato, può portare al riconoscimento della figura del contratto 375 - 116 - esercitare il diritto di voto, e, qualora tale divieto non venga rispettato, come secondo effetto la nullità delle delibere assunte dall’assemblea con il voto determinante dei soci che avrebbero dovuto astenersi (art. 122, comma 4, T.u.f.). La decisione con cui la Consob denuncia l’esistenza di un’azione concertata tra i soci, con la conseguenza di imporre in capo ai medesimi, in conformità alla legge, l’obbligo di un’Opa sulle azioni della banca sortisce un effetto immediato, magari non voluto: quello di contrapporre le due Autorità di vigilanza, Consob e Banca d'Italia, e rimettere sul tavolo il nodo delle competenze tra i due Istituti379. Sul versante della disciplina del Testo Unico bancario, l’art. 20, comma 2, impone ai rappresentanti della banca o della società controllante di comunicare alla Banca d’Italia, entro cinque giorni dalla stipulazione, ogni accordo, in qualsiasi forma concluso, in merito all’esercizio del diritto di voto in una banca, anche cooperativa, ovvero in una società che la controlla. La norma contiene un esplicito riferimento non solo agli accordi che regolano il diritto di voto, ma anche a quelli “da cui comunque possa derivare l’esercizio concertato del diritto di voto”, nonché agli accordi in forma di associazione380. Invero, l’assoggettamento agli obblighi di comunicazione anche degli accordi dai quali comunque “deriva l’esercizio concertato del voto” non sembra attribuire un’autonoma rilevanza all’effettiva intenzione degli aderenti di realizzare la concertazione del voto, quanto piuttosto esigere che la valutazione dell’idoneità dell’accordo a produrre tale risultato venga effettuata ex ante. Il T.u.b. riconosce alla Banca d’Italia il potere di sospendere il diritto di voto dei partecipanti all’accordo, quando dallo stesso derivi una “concertazione del voto” tale da pregiudicare la gestione sana e prudente della banca (art. 20, comma 2)381. La norma, infatti, integra una fattispecie di “pericolo”, assoggettando a comunicazione anche situazioni che di per sé non sembrerebbero postulare accordi finalizzati a concertare il voto, nella consapevolezza che solo una conoscenza anticipata di alcuni fatti incidenti direttamente sul parasociale di fatto, che deriva cioè da semplici comportamenti concludenti. Sulla questione cfr. anche R. BASSO, Commento sub art. 109, cit., p. 1018; P. MONTALENTI, op. ult. cit., p. 156. 379 Si segnala, in merito, quanto avvenuto in occasione della scalata al controllo della banca Antonveneta. Nell’occasione, la Consob denunciò l’esistenza di un’azione concertata tra i soci riuniti intorno alla BPI e impose, in conformità alla legge, l’obbligo di una contro-Opa sulle azioni della banca Antonveneta, in contanti e migliorativa rispetto a quella dell’istituto olandese Abn Amro. A molti commentatori parve che, nel caso di specie, la Consob avesse nei fatti sconfessato il giudizio della Banca d’Italia, che di questa stessa “azione concertata”, tesa a contrastare l’Opa straniera favorendo una scalata “occulta”, volente o nolente, aveva dato l’impressione di essere la musa ispiratrice. Al riguardo v. il commento di M. ONADO, Vittoria di regole e mercati, in Il Sole 24 Ore, 12 maggio 2005, p. 1 s.; M. BAGLIONI, Il patto di concerto Antonveneta accertato da Consob, in Le società, 2005, p. 1041 ss.; V. SANGIOVANNI, Impugnazione di deliberazione assembleare, conflitto di interessi e nomina del curatore speciale. La battaglia giudiziaria per il controllo di Antonveneta, in Corr. Giur., 2005, p. 1260 ss. Presumibilmente, anche la Banca d’Italia sapeva dell’esistenza di questo tacito accordo. Basti pensare che nella lettera con cui l’Autorità creditizia aveva autorizzato la BPI a salire fino al 14,9% si parla della BPI come “soggetto individuato” da alcuni imprecisati soci della banca padovana per “coordinarsi (…) allo scopo di raggiungere nuovi equilibri di governance”! 380 Così G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit., p. 297; V. NASTASI, Commento sub art. 20, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Padova, 2001, p. 130. 381 Sul punto v. G.F. CAMPOBASSO; op. ult. cit., p. 297. Da un punto di vista contenutistico si può, anzi, ritenere che nell’accordo di cui all’art. 20 trovi spazio anche la nozione di “intese”, rintracciabile, in materia di concorrenza, nel Trattato istitutivo della CE e poi trasfusa nell’art. 2 della legge 287/1990. Tale nozione ricomprende, da un lato, gli accordi formalizzati per iscritto, tra i quali vanno annoverati anche quelli che prendono forma attraverso la costituzione di associazioni o comitati e, dall’altro, tutti gli accordi non risultanti da patti scritti, in base ai quali sia comunque possibile individuare, nei confronti dei soggetti aderenti, un vincolo al rispetto degli impegni assunti, supportato dalla previsione di una sanzione in caso di inadempimento. - 117 - funzionamento delle strutture societarie può consentire l’efficace perseguimento dell’obiettivo della “sana e prudente gestione”382. Una volta comminata tale sanzione, la Banca d’Italia è legittimata ad impugnare le delibere assembleari adottate col voto determinante dei partecipanti all’accordo. Tale potere è infatti previsto dall’art. 24, comma 2, T.u.b. solo per i casi in cui la sospensione del diritto di voto consegua ex lege all’omissione delle comunicazioni previste dall’art. 20 T.u.b. 383. Il caso di specie, consente tuttavia di sottolineare la necessaria autonomia della Banca d’Italia rispetto all’atto di accertamento della Consob in ordine agli elementi che possono pregiudicare la sana e prudente gestione. Pur considerando che l'Opa obbligatoria, ex art. 109 del T.u.f., è prevista dalla legge come rimedio ex post a favore degli azionisti di minoranza384, la comparazione dei diversi interessi può condurre ad esiti istruttori confliggenti e incompatibili. Si può ritenere, in proposito, che, in presenza di manifesta inidoneità dei soggetti partecipanti al patto a garantire la stabilità dell'impresa bancaria oggetto dell'offerta385, la Banca d’Italia possa legittimamente negare la propria autorizzazione ex art. 19 T.u.b. In questo caso si finirebbe addirittura in un vicolo cieco: un’Autorità, la Banca d’Italia, giudicherebbe non sostenibile un’Opa che, per effetto dell’atto di accertamento del concerto da parte della Consob, il Testo Unico della finanza decreta come obbligatoria. Il pericolo più immediato è che lo scontro si sposti, anche in tal caso, sul versante legale oltre che procedurale. Del resto, la possibilità di rilasciare o meno l’autorizzazione va ricondotta alla necessaria autonomia della valutazione della Banca d’Italia rispetto all’atto di accertamento della Consob in ordine agli elementi che possono pregiudicare la sana e prudente gestione. 6. L ’Opa e il nodo della “contendibilità” delle banche popolari. L’esposizione delle strutture proprietarie delle banche alle regole del mercato presuppone la necessità di affrontare anche alcuni specifici problemi inerenti alle forme giuridiche che queste assumono. Quando si considerano le operazioni di concentrazione, si osserva che esse poggiano, quasi sempre, su acquisizioni e su offerte pubbliche di acquisto e di scambio 382 Cfr. B. MANZONE, op. cit., p. 364, il quale osserva come, in quest’ottica, “l’obbligo di comunicazione, lungi dal voler censurare l’associazionismo in genere, mira esclusivamente a portare alla luce forme di coordinamento che, concentrando potere in capo a ristretti azionisti, possano costituire il presupposto per l’esercizio di poteri condizionanti la gestione sana e prudente della banca”. 383 Sul punto v. G.F. CAMPOBASSO, Ibidem. La Banca d’Italia, avuta notizia dalla Consob dell’esistenza di un patto parasociale “occulto”, è tenuta a inviare una lettera ai diretti interessati con la quale sterilizzare i diritti di voto in base all’art. 20, comma 2, T.u.b. Sia ben inteso, questo è un atto dovuto ai sensi di legge: ciò non significa, come si dirà a breve, che la Banca d’Italia debba condividere i risultati cui è giunta l’indagine promossa dalla Consob. 384 Cfr. R. WEIGMANN, Nota a Tribunale di Milano, 9 giugno 2005, in Riv. dir. comm., 2005, p. 1645 ss. 385 Cfr. A. FAZIO, Aggiornamento del’informativa sul mutamento degli assetti di controllo di alcuni gruppi bancari italiani. Relazione del Governatore della Banca d'Italia al C.I.C.R., Roma, 26 agosto 2005, in Il Sole 24 Ore, 27 agosto 2005, p. 6. Con riguardo ai fatti emersi dall’atto di accertamento della Consob, in relazione alla sussistenza di un patto parasociale non dichiarato tra Bpl e altri soggetti, azionisti di Anton Veneta, avente per oggetto l’acquisto concertato di azioni di Bapv e l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante sulla banca stessa, sono stati valutati distintamente, dalla Banca d’Italia, i fatti ascrivibili agli esponenti e l’<< affidabilità >> dell’impresa bancaria, che è l’effettivo richiedente l’autorizzazione e la cui idoneità a garantire la sana e prudente gestione non è messa in discussione. Per quanto riguarda i procedimenti anzidetti la Banca d’Italia si è dunque limitata ad avviare la procedura sanzionatoria di cui all’art. 24, comma 2, T.u.b. - 118 - fondate, a loro volta, sulla circostanza che la proprietà della “società bersaglio” (alla quale mira l’iniziativa altrui, ancorché amichevole) sia contendibile386. La questione è ritornata attuale, sorretta da una più generale rimeditazione sulle tipicità delle società coopertaive quotate, id est le banche popolari. La natura della proprietà della cooperativa impedisce che nelle popolari il ricambio del controllo societario possa avvenire attraverso il tradizionale meccanismo dell’offerta pubblica di acquisto: gli assetti proprietari delle società cooperative si discostano dal principio di proporzionalità in quanto conferiscono un voto a prescindere dall’ammontare di capitale apportato. La precisazione incide sia sul profilo dogmatico sia su quello, al quale si vuole dedicare un'ultima riflessione, della dimensione operativa del problema. Per altro verso, è doveroso riconoscere che un sistema predefinito di limiti alla titolarità individuale dei diritti sociali non sembra confliggere con la tutela dei diritti degl acquirenti titoli. Il limite alla partecipazione individuale e il meccanismo della “clausola di gradimento” costituiscono un tratto essenziale, almeno de jure condito, della causa e della struttura cooperativa387. Come noto, infatti, lo “spirito della forma cooperativa” allude al contemperamento tra “chiusura” tendenziale delle banche popolari e principio della “porta aperta” della struttura organizzativa a carattere “democratico”, con conseguente esigenza di fissazione di criteri che circoscrivono la discrezionalità dell’organo amministrativo. Del resto, è evidente che neanche nelle cooperative di diritto comune la “porta aperta” significa diritto soggettivo ad entrare nella compagine sociale. Questo principio si ricollega alla funzione mutualistica propria delle ordinarie società cooperative. Non altrettanto può dirsi con riguardo alle banche popolari, nelle quali l’ordinamento generale opera una scelta che è stata definita – tra molte precisazioni – di “neutralità causale”388. Né trova più alcuna valida giustificazione il 386 In una logica di sistema è infatti emersa un’evidente anomalia che il caso Bnl-Unipol, come già l’assalto della Banca Popolare Italiana alla Banca Antonveneta, hanno portato alla ribalta: quello della governance e della contendibilità delle banche di natura cooperativa. In questa cornice è del massimo interesse richiamare le riflessioni di B. MARSIGLIA e F. SARZANINI, Affari e contatti politici nella battaglia di Unipol, in Il Corriere della Sera, 12 agosto 2005, p. 7; nonché di S. BRAGANTINI, Una legge piena di buchi. Le Coop rischiano grosso, in Il Corriere della Sera, 19 luglio 2005, p. 11, il quale denuncia: “Vediamo tra i cavalieri bianchi plotoni di cooperative, che si lanciano in Opa ostili, approvate da Banca d’Italia che ancora ieri le aborriva…”. Secondo F. CAVAZZUTTI, Il caso Unipol-Bnl tra mercato e autoreferenzialità, in www.la voce.info, il fatto “che una società per azioni di diritto privato come Unipol (che non è una impresa cooperativa come molti hanno confuso) decida di scalare una banca è assolutamente fisiologico in un contesto di liberi mercati degli assetti proprietari. L’idea che una s.p.a., quotata in Borsa, non possa farlo perché presenta delle società cooperative non scalabili nella veste di soci di controllo pare invece fuori da ogni ragionevolezza nel contesto italiano ove non esiste alcun mercato degli assetti proprietari delle imprese quotate”. 387 Per una pregevole ricostruzione storica della disciplina delle partecipazioni nelle banche popolari v. R. COSTI, L’ordinamento bancario, cit., p. 366 ss., ove si segnala una ricca rassegna bibliografica. Le difficoltà per realizzare i desiderati processi di concentrazione sono da addebitarsi, principalmente, al limite di possesso azionario di cui all’art. 30, comma 2, T.u.b., e al principio del voto capitario, in forza del quale i soci hanno ciascuno un voto a disposizione quale che sia il numero di azioni posseduto. In particolare, l’art. 30, comma 2, del T.u.b. ribadisce che “nessuno può detenere azioni in misura eccedente lo 0,50 per cento del capitale sociale”; precisa poi che “la banca, non appena rileva il superamento di tale limite, contesta al detentore la violazione del divieto”, e stabilisce, infine, che “le azioni eccedenti devono essere alienate entro un anno dalla contestazione “ e che “trascorso tale termine, i relativi diritti vengono acquisiti dalla banca”. 388 Sebbene la legge delega n. 366/2001 escludesse le banche cooperative dall’applicazione dell’art. 5 relativo alle società cooperative, l’art. 223-terdecies della riforma del diritto societario (d.lgs. n. 6 del 2003), da un lato, afferma che continuano ad applicarsi alle banche di credito cooperativo e alle banche popolari le disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della legge delega, e, dall’altro, dichiara che le banche di credito cooperativo hanno carattere di “mutualità prevalente”, introdotto nel codice proprio dalla riforma. Con le novità di cui al successivo d.lgs. n. 37/2004 è stato modificato l’art. 28 T.u.b. prevedendo che ai fini fiscali la “mutualità prevalente” delle banche di credito coopertivo va verificata con riferimento ai requisiti di cui all’art. 2514 c.c. e all’operatività prevalente con i soci prevista dal T.u.b. Con l’introduzione, ad opera dell’art. 38 del d.lgs. 310/2004, - 119 - voto per teste, che aveva un senso all’epoca in cui le popolari non erano grandi imprese quotate in borsa, ma mutue. È evidente, pertanto, quanto pesi l’incongruità dell’attuale disciplina con la partecipazione ai mercati azionari, dove la regola è quella della partecipazione dell’azionista effettuata per lo più in termini di investimento, e dove la figura stessa del socio non assume il rilievo che riveste in una società cooperativa389. Viene allora da chiedersi: è giusto che le società cooperative e le banche popolari, pur non essendo del tutto contendibili, possano acquistare partecipazioni di controllo in società di capitali, che di norma sono del tutto aperte al mercato? Finora questi interrogativi potevano sembrare solo accademici390. In realtà, come le recenti burrascose vicende hanno segnalato, le asimmetrie presenti nel sistema finanziario italiano sono più forti di quanto si potesse immaginare391. Quando le banche popolari raggiungono dimensioni significative e proiezione nazionale, esse dovrebbero essere chiamate ad adeguare le regole di governo societario, così da “aprire” la loro struttura proprietaria e rendere convenienti matrimoni esogamici. Allo stato attuale, risulta di un nuovo art. 150-bis T.u.b., sono state indicate espressamente le norme del codice civile oggetto della riforma che si applicano alle banche di credito cooperativo e alle banche popolari; in particolare, per queste ultime, non trovano applicazione le disposizioni in materia di “mutualità prevalente”. 389 In tal senso v. S. BRAGANTINI, Una testa un voto in banca non funziona, in Il Corriere della Sera, 3 novembre 2006, p. 44; F. LOCATELLI, Non solo le coop devono cambiare, in Il Sole 24 Ore, 11 gennaio 2006, p. 42; S. BOCCONI, Il Governatore ridisegna il perimetro del risiko, in Il Corriere della Sera, 2 novembre 2006, p. 26. Si consideri peraltro che, nel caso di proprietà altamente diffusa, la mancata cessione della proprietà può derivare da un fallimento di coordinamento dei micro-azionisti. Ciò premesso, non va nemmeno sottaciuto che proprio con riguardo al sistema delle banche popolari quotate l’esperienza registra episodi di aggregazioni anomale di poteri deliberativi, non congruenti con il principio cooperativo, più rispondenti a logiche di tutela di alcuni interessi settoriali che, opportunamente organizzati, tendono a trarre vantaggio dalla naturale dispersione del potere di voto e dalla scarsa partecipazione dei soci alla vita sociale nelle cooperative. Del resto, come la letteratura economica ha ampiamente illustrato, la vischiosità dei meccanismi del market for corporate control può essere notevolmente accentuata da previsioni statutarie che pongano limiti alle possibilità di vendita/acquisto o ai diritti esprimibili di voto. 390 Cfr. R. DE BONIS, B. MANZONE e S. TRENTO, La proprietà cooperativa: teoria, storia e il caso delle banche popolari. Temi di discussione n. 238, Banca d’Italia, Roma, 1994. Per ulteriori spunti di riflessione, cfr., tra gli altri, D. MASCIANDARO, La corporate governance nelle banche popolari, in Bancaria, 1998, n. 12, p. 36 ss.; R. COSTI, Il governo delle società cooperative: alcune annotazioni esegetiche, in Giur. comm., 2003, I, p. 233 ss.; M. CONDEMI, L’esclusine dalla riforma delle banche costituite in forma cooperativa: questioni interpretative e prospettive di intervento, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Nuovo diritto societario ed intermediazione bancaria e finanziaria, Padova, 2003, p. 218 ss.; G. PRESTI, Il governo delle banche popolari e di credito cooperativo, in Banca impr. soc., 1998, p. 147 ss.; L. SCHIUMA, Controllo, governo e partecipazione al capitale, Padova, 1997; P. SCHLESINGER, Un nuovo regime per le Popolari, in Il Sole 24 Ore, 29 maggio 2002, p. 6. Le banche popolari rappresentano un sistema per alcuni aspetti “diverso” da quello delle banche ordinarie liberamente contendibili, ma non per questo “deviante”. La premessa da cui muovere è la seguente: le società cooperative costituiscono una delle possibili forme dell’attività d’impresa, ossia l’operare come impresa a tutti gli effetti è, insieme alla componente mutualistica, parte costituente dell’essere cooperativa. Invero, le popolari oggi si caratterizzano solo per una propria organizzazione del diritto di proprietà che, lungi dall’essere deviante, posa le sue radici su una lunga storia, ideale e pratica, che ha portato sino al suo rilievo costituzionale (art. 45 cost.). Ne deriva che, a priori, non possano sussistere limiti settoriali o dimensionali alla libera crescita di una cooperativa in quanto impresa. 391 Cfr. M. SARCINELLI, Bank Governance: Models and Reality, in AA.VV., Property Control and Corporate Governance of Banks, 2000, p. 263 ss.; V. CONTI e A. FABBRI, Proprietà e controllo degli intermediari finanziari, in AA.VV., Quali banche in Italia, mercati, assetti proprietari, controlli, a cura della Fondazione Rosselli, Milano, 1996, p. 97 ss. Nel corso della XIII Legislatura, l’utilità della molteplicità dei modelli bancari era stata riconosciuta anche dal Parlamento che, nel Comitato ristretto, aveva raggiunto l’unanimità sulla conferma del sistema delle Popolari seppur con alcuni corretti ed auspicabili emendamenti (aumento della quota massima di possesso individuale dallo 0,5% all’1%; limite di possesso derogabile sino al 5% non solo per gli investitori istituzionali ma anche per le banche e per le fondazioni bancarie; eliminazione delle clausole di gradimento per le Popolari quotate); in tal senso v. pure M. MUCCHETTI, Il caso Unipol: le piramidi delle coop e quelle degli altri, in Il Corriere della Sera, 28 agosto 2005, p. 24; F. LOCATELLI, L’esordio delle cooperative, in Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2005, p. 7; T. BIANCHI, Banche Popolari, più contendibilità ma con giudizio, in Il Sole 24 Ore, 26 marzo 1999, p. 32. - 120 - invece piuttosto arduo prevederne l’aggregazione con intermediari finanziari a diversa forma proprietaria392. 6.1. (Segue): Adeguamenti della governance delle Popolari: autoregolamentazione statutaria dei singoli intermediari o intervento diretto del legislatore? Come superare, allora, le presunte disparità tra le banche popolari e le altre società quotate? Invero, fin dal 1998, cioè dall’approvazione del Testo unico della finanza, si tentò di introdurre norme speciali per le popolari quotate, in modo da attenuare i limiti di partecipazione per gli investitori istituzionali e rafforzare la protezione degli azionisti, pur mantenendo i caratteri essenziali della forma cooperativa393. Il tentativo venne respinto, sostenendosi che la soluzione andasse trovata nel quadro della riforma generale delle popolari. Rendere più trasparenti e controllabili gli assetti di governo conservando il voto capitario è possibile, purchè si consenta una effettiva partecipazione dei soci, con la previsione di strumenti che garantiscano realistiche possibilità di organizzare il voto e assicurare maggiore informazione ai soci. Ferma restando l'esigenza di sviluppare su questi temi ulteriori approfondimenti non possibili in questa sede, si potrebbe immaginare, nel solco delle novità delineate dalla riforma societaria (d.lgs. 7 gennaio 2003, n. 6), un rafforzamento, all’interno del modello della “grande cooperativa”, degli strumenti di corporate governance attualmente esistenti394. La soluzione di questo problema consentirebbe di affrontare il tema della compatibilità del sistema delle Popolari con l’Unione europea, le cui leggi e istituzioni sono ormai parte integrante del nostro sistema costituzionale e di governo. La Commissione europea in data 15 ottobre 2003 aveva dato avvio ad una procedura d’infrazione, poi conclusasi con esito negativo, contro l’Italia per presunta incompatibilità di alcuni tratti caratteristici della normativa sulle Popolari (venivano contestati il tetto al possesso azionario, il principio del voto capitario e i residui di clausola di gradimento) con l’art. 43 del Trattato CE (sulla libertà di stabilimento) e con l’art. 56 dello stesso (sulla libertà di circolazione dei capitali). I giuristi indipendenti che hanno esaminato la questione hanno ritenuto che il sistema delle popolari in nessun modo è in conflitto né con la libertà di stabilimento, né con la libera circolazione dei capitali e che, in base al principio di sussidiarietà (ribadito dagli artt. 1-5 della nuova Costituzione europea), la Comunità non avrebbe voce in capitolo su come ogni Paese organizza al suo interno i meccanismi della proprietà. Al riguardo v. CAFARI PARICO, Parere pro veritate, in Il Sole 24 Ore, 5 gennaio 2003. Al riguardo, va inoltre ricordato che l’art. 295 del Trattato CE “…lascia del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri”. Sempre in sede comunitaria, particolare considerazione va riservata alla equiparazione tra voto capitario e golden share, che caratterizza la disciplina speciale della privatizzazione di enti pubblici e conseguente trasformazione in società per azioni. A questi argomenti è tuttavia dato obiettare una sostanziale diversità dei codici organizzativi sui quali tale equiparazione viene ad innestarsi: da un lato la golden share è effettivamente un potere speciale che sortisce l’effetto di una sostanziale discriminazione (in termini di uguaglianza e parità di trattamento) fra i componenti della compagine sociale; dall’altro, il voto capitario si innesta nella organizzazione democratica funzionale alla causa mutualistica, come prevede il diritto comune delle società cooperative. Per maggiori ragguagli sulla questione cfr. T. BALLARINO e L. BELLODI, La golden share nel diritto comunitario. A proposito delle recenti sentenze della Corte comunitaria, in Riv. soc., 2004, p. 2 ss. Cfr. G. OPPO, Credito cooperativo e testo unico sulle banche, in Riv. dir. civ., 1994, II, p. 653, ed ora Mutualità e integrazione cooperativa, in Scritti giuridici, VI, Padova, 2000, p. 415; su posizioni diverse R. COSTI, Il governo delle società cooperative, cit., p. 236 ss.; sempre in dottrina v. pure R. PENNISI, Il rifiuto del gradimento fondato sull’ “interesse della società” e sullo “spirito della forma cooperativa” nelle banche popolari, in Banca e borsa, 2001, I, p. 693 ss. 393 Cfr. M. DRAGHI, Profili di corporate governance nelle banche di credito cooperativo e riforma del diritto societario, in Credito Cooperativo, gennaio–febbraio, 1999, p. 32. Secondo l’Autore, nel tentativo di fonire una risposta adeguata, occorre chiedersi, innazituuto, se siano immaginabili scelte di regolamentazione in grado di migliorare le strutture di corporate governance incrementando nel contempo la “dinamicità” (rectius, contendibilità) dei diritti proprietari. 394 Per utili spunti di discussione cfr. G.D. MOSCO e F. VELLA, L’autonomia delle banche tra nuovo diritto societario e regole di vigilanza. Un doppio binario per la “governance”?, in Analisi giuridica dell’economia, 2004, p. 139 ss. 392 - 121 - In assenza di strumenti che garantiscano alla compagine societaria maggiori possibilità di voice, il voto capitario, seppur elemento essenziale e qualificante della forma coopertaiva, indebolisce la capacità dei soci di monitorare l’operato degli amministratori. L'autoreferenzialità del management delle grandi cooperative, non esposto alla “minaccia” legata al ricambio del controllo proprietario, rischia in concreto di allentare l’efficacia tanto dei controlli interni quanto di quelli esterni. Gli articoli del Testo Unico della finanza che escludono le società cooperative dall’osservanza delle norme in materia di aumenti di capitale (art. 135) e dalle disposizioni generali in materia di deleghe di voto (art. 137) contribuiscono a racchiudere in se stesso il mondo della cooperazione e a rendere poco trasparenti ed efficaci i controlli assembleari, come, ad esempio, nel caso delle operazioni con parti correlate395. Tra i correttivi da adottare, la dottrina suggerisce di introdurre più forti deroghe al principio del voto capitario a favore di particolari categorie di soci – gli investitori istituzionali –, e nel contempo assicurare una più penetrante regolamentazione del voto per delega che estenda sensibilmente i limiti alla raccolta396. Queste modifiche consentirebbero di lanciare un’Opa sul capitale della banca con contemporanea sollecitazione delle deleghe, quest’ultima necessaria per deliberare in assemblea la trasformazione della popolare in società per azioni. In tal modo sarebbero i soci a decidere, in maniera aperta e trasparente, se realizzare, vendendo le proprie azioni all’offerente, ovvero conservare il rapporto cooperativo. Sebbene la disciplina del Testo unico bancario e quella del codice civile consentano alle banche popolari di trasformarsi in società per azioni397, la proposta di consentire alle popolari quotate la trasformazione tout court in s.p.a. presenta notevoli rischi, sia perché si incammina sulla pericolosa strada della configurazione di una società di diritto speciale, sia perché comporta l'affermazione di una sorta di incompatibilità, non dimostrata, tra il modello cooperativo e la quotazione. Una soluzione accettabile dovrebbe infatti consentire alle popolari di mantenere pressoché intatte le caratteristiche portanti del modello coniugando alcune modifiche essenziali alla prosecuzione dello schema tipico. In termini più chiari, la banca popolare dovrebbe sopravvivere assumendo però una struttura ibrida tra s.p.a. e società cooperativa. È forse possibile conciliare le due cose; è assai più improbabile che questo difficile equilibrio possa essere realizzato conservando tutte le caratteristiche (e i privilegi) della società cooperativa398. Cfr. P. SANTELLA, Banche cooperative o fondazioni bancarie? Un’analisi di corporate governance delle banche di credito cooperativo, in Bancaria, novembre 2001, p. 34 ss. 396 In tal senso v. F. VELLA, Amministrazione e controllo nelle cooperative “spa”e “srl”, Relazione al Convegno “Gli statuti delle imprese cooperative dopo la riforma del diritto societario”, Associazione Disiano Preite, Bologna 7 febbraio 2003, datt., p. 4; ID., Popolari, un fronte ancora aperto, in www.lavoce.info, 12 dicembre 2006. L’Autore ricorda che “quando fu redatto il T.u.f., in una sua prima versione si prevedeva che nelle popolari quotate, come in tutte le altre società, ci fosse la possibilità di sollecitare le deleghe di voto, possibilità che fu poi esclusa nel testo finale, per ragioni che non è facile comprendere”. Con riguardo a quest’ultimo punto si tratterebbe di intervenire in una duplice direzione: a) in primo luogo, aumentando i limiti alla raccolta delle deleghe di voto, con la definizione di soglie percentuali rapportate alla dimensione del capitale (in luogo dei tetti quantitativi previsti dall’attuale disciplina); b) in secondo luogo, ripristinando la possibilità, prevista dal Testo unico della finanza, di superare il suddetto limite quando si pone in essere una vera e propria sollecitazione delle deleghe rivolta a tutti i soci. 397 Sul punto cfr. Corte Cass., sez. I, 8 gennaio 2007, n. 89. In proposito, è possibile rilevare l’inadeguatezza della normativa antecedente alla riforma del diritto societario ed il pregio delle pronunce delle Autorità giudiziarie che, nell’evolversi del tempo, hanno anticipano le scelte operate poi dal legislatore, che solo di recente ha correttamente delineato la natura composita e bivalente delle banche popolari, da un lato cooperativa e dall’altro società di natura commerciale che svolge inevitabilmente attività lucrativa. Si può quindi affermare che le banche popolari sono enti atipici dell’ordinamento creditizio italiano. 398 Cfr. G. D’AMICO, Osservazioni in tema di Opa sulle azioni delle banche popolari, in Mondo Bancario, 1997, 3, p. 45 ss.; P.G. MARCHETTI, L’Opa sulla Banca Popolare di Cerea, in Riv. soc., 1995, p. 723 ss. La dottrina è concorde nel ritenere che obiettivo di tali adeguamenti debba essere quello di una migliore e più effettiva declinazione dei 395 - 122 - 6.2. (Segue): L’inapplicabilità della break-through rule al modello delle banche cooperative quotate. Il recepimento dei principi contenuti nella direttiva europea in materia di Opa spinge ancor di più il nostro ordinamento finanziario verso soluzioni che impiegano come risorsa strategica il valore stesso della “contendibilità”, quale “arma” essenziale per il buon funzionamento dell’industria bancaria e dei mercati finanziari. Tuttavia, sebbene le azioni delle società cooperative quotate rientrino in linea di principio nel campo d’azione della direttiva, la regola di neutralizzazione di cui all’art. 11 non è ad esse applicabile. L’art. 11 non cita la forma giuridica della società emittente tra le speciali misure preesistenti all’offerta che possono venire annullate nell’eventualità di riuscita di un’Opa399. Per tale ragione, l’estenzione del campo d’azione della break-through rule (che sembra meno radicale delle soluzioni prospettate dalla stessa Commissione europea) alla struttura proprietaria delle banche popolari risulta non praticabile400. D’altra parte, anche qualora si volesse applicare la regola di neutralizzazione alla forma giuridica della società emittente, ciò si tradurrebbe nella trasformazione obbligatoria della banca popolare in una società per azioni, cosa che avverrebbe senza rispettare la normativa societaria che regola tale tipo di trasformazione401. Una simile soluzione rappresenterebbe una principi specifici propri delle banche di credito popolare, piuttosto che la loro contaminazione con queli tipici delle società ordinarie. Ciò che porterebbe nel tempo alla loro diluizione o persino alla dispersione di quella “diversità coopertativa” che è invece ragion d’essere nel tempo delle banche di credito popolare. 399 Si tratta dell’art. 11, comma 2, della dir. n. 2004/25/CE. Con la disposizione in esame il principio della parità di trattamento tra gli azionisti viene salvaguardato attraverso la previsione di un meccanismo cosiddetto di “neutralizzazione”. Il legislatore intende, infatti, colpire le restrizioni, statutarie e contrattuali, al trasferimento dei titoli e ai diritti di voto che possono essere considerate come barriere alle offerte. La ratio e le modalità di neutralizzazione delle restrizioni previste nell’art. 11 sono, in realtà, diverse in relazione al momento in cui la regola si applica, se, cioè, “durante il periodo entro il quale l’offerta deve essere accettata” (§§. 2 e 3) oppure successivamente alla conclusione della stessa (§. 4). Nel secondo caso, la direttiva ha strettamente legato il funzionamento di tale regola ad una soglia percentuale del capitale di rischio (75%) a partire dalla quale l’offerente acquisisce ampie prerogative decisionali nella società emittente. Per maggiori dettagli si rinvia all’analisi realizzata da R. SKOG, The European Union’s proposed takeover directive, the “breakthrough “ rule..., cit., p. 1141 s.; sul punto sia permesso rinviare anche a L. SCIPIONE, La direttiva europea in materia di Opa, cit., p. 184 ss. 400 Come sopra accennato, le restrizioni al trasferimento dei titoli ed ai diritti di voto oggetto della regola di neutralizzazione possono essere distinte in due categorie: quelle di natura contrattuale (intendendo come tali quelle previste sia nello statuto che in accordi parasociali) e quelle “strutturalmente connaturate” alla natura dello strumento finanziario. I due casi sono sostanzialmente diversi. Nel primo, lo statuto o gli accordi parasociali limitano convenzionalmente l’esercizio dei diritti inerenti alle azioni (ad esempio, clausole di prelazione o gradimento che limitano la trasferibilità delle azioni ordinarie; sindacati di voto che limitano l’esercizio del diritto di voto delle azioni ordinarie). Nel secondo caso, si tratta invece di categorie di azioni distinte in ragione dei diritti di voto o patrimoniali (o dell’assenza di tali diritti) ad esse “strutturalmente connaturati”, come nel caso delle azioni a voto limitato (ad esempio le azioni privilegiate o i nuovi strumenti finanziari che possono essere emessi ai sensi del nuovo art. 2351 c.c.), quelle senza diritto di voto (ad esempio le azioni di risparmio) o quelle a voto plurimo. 401 Secondo C. RABITTI BEDOGNI, Manuale di diritto dei mercati finanziari, cit., p. 291, per la scalabilità delle banche popolari una soluzione praticabile sarebbe quella legata al lancio di un’Opa condizionata “alla previa trasformazione delle stesse in società (bancarie) per azioni”. Si ricorda, tuttavia, che ai sensi del primo comma dell’art. 40 reg. Consob n. 11971/1999 “l'efficacia dell'offerta non può essere sottoposta a condizioni il cui verificarsi dipende dalla mera volontà dell'offerente”. Si pensi al successo dell’Opa lanciata dal Monte dei Paschi sulla Banca Agricola Mantovana che già nel 1999 aveva aperto il dibattito sulla contendibilità delle banche popolari e sulla possibilità di acquisirne il controllo mediante un’offerta pubblica di acquisto delle azioni, condizionata a che i soci approvassero, in assemblea, la trasformazione da cooperativa in società per azioni. Queste operazioni (di trasformazione e fusione) sono, tuttavia, assoggettate alle norme poste dall’art. 31 T.u.b. Tale disposizione prevede un’apposita autorizzazione della Banca d’Italia, che è chiamata ad esaminarle sotto l’aspetto tecnico-economico nell’interesse dei creditori ovvero nell’esigenza di rafforzamento patrimoniale ovvero - 123 - pesante interferenza con il diritto societario del singolo Stato, incompatibile con lo spirito della direttiva e tale da far sorgere seri problemi di costituzionalità. Inoltre, non si terrebbe in debita considerazione il fatto che l’investitore che sottoscrive o acquisisce le azioni di società cooperative è o dovrebbe essere ben cosciente del fatto che questi titoli, che si riferiscono ad un’entità societaria diversa dalle società per azioni, conferiscono diritti di voto che non hanno lo stesso rilievo ai fini della lotta per il controllo societario di quelli delle società per azioni. In definitiva, sebbene la cooperativa rappresenti una forma societaria speciale che si discosta dall’assetto base della s.p.a., essa non può considerarsi soggetta alla regola di neutralizzazione. Ciò detto, onestamente non pare facile intuire come questi argomenti verranno affrontati dal legislatore; l’unica certezza è che gli interrogativi posti difficilmente potranno essere ancora elusi. Nel disegnare le nuove regole del gioco, si auspicava che la riforma del risparmio potesse contribuire alla formazione di un efficiente mercato degli assetti proprietari per le imprese (cooperative e non) che fanno appello al pubblico risparmio: forse un’occasione mancata. ai fini di razionalizzazione del sistema bancario. L’accertamento delle Autorità di vigilanza deve estendersi alla verifica della coerenza dell’operazione con il criterio di sana e prudente gestione, come si evince dal rinvio agli artt. 56 e 57 T.u.b., espressamente richiamati dal comma 3 dell’art. 31. - 124 - Capitolo V LA DISCIPLINA ANTITRUST IN MATERIA DI CONCENTRAZIONI BANCARIE SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Vigilanza sulle acquisizioni bancarie e controllo delle concentrazioni. - 3. L’attribuzione delle competenze in materia antitrust alla Banca d’Italia e le diverse linee interpretative. - 3.1. Riflessioni sull’esperienza comparatistica. - 4. L’estensione della competenza sulla concorrenza delle banche al Garante nella legge n. 262/2005. Il passaggio ad un modello di vigilanza per finalità. - 4.1. (Segue): L’iter condiviso tra le due Authorities. I profili procedurali e applicativi legati alla previsione di un “unico atto”. - 4.2. (Segue): L’intervento correttivo del d.lgs. n. 303 del 2006. - 4.3. L’esatta divisione di competenze tra le due Autorità di controllo in relazione alle fattispecie oggetto di valutazione: le altre ipotesi dell’art. 19 del T.u.b. - 4.3.1. (Segue): L’analisi dei meccanismi concertativi negli organismi societari delle banche. – 5. La commistione di obiettivi nell’applicazione della normativa antitrust. – 5.1. Autorizzazione di operazioni di concentrazione per esigenze di stabilità e failing company doctrine. - 5.2. Ulteriori aspetti critici e interventi ipotizzabili a confronto. - 6. Opa e operazioni di concentrazione. I legami fra disciplina della concorrenza e disciplina del mercato mobiliare. - 7. Le concentrazioni bancarie nel diritto comunitario antitrust. Profili introduttivi. - 7.1. Il caso particolare di svolgimento di un’offerta pubblica di acquisto. - 7.2. Deroghe alla competenza esclusiva della Commissione Europea a favore dell’Autorità di vigilanza nazionale. - 7.3. Gli ostacoli regolamentari al cross border banking in europa. 1. Introduzione. L’offerta pubblica di acquisto su una banca quotata può dare luogo ad una operazione di concentrazione ai sensi della legge n. 287/90, disciplina che si applica anche alle “aziende ed istituti di credito”. Nel settore del credito si assiste ad un sovrapporsi dei piani della regolazione bancaria e della concorrenza, dato che le norme riguardanti le fusioni e le acquisizioni di partecipazioni di maggioranza sono contenute sia nella legge 287 del 1990, sia – come già ampiamente illustrato – nel Testo unico bancario. Le concentrazioni bancarie danno luogo, pertanto, a processi articolati in cui i profili di concorrenza e quelli di stabilità possono trovarsi in contraddizione402. A ciò si aggiunga, con contestuale complicazione del quadro normativo-disciplinare, che l’utilizzo delle offerte pubbliche di acquisto e di scambio in funzione di operazioni di concentrazione pone all’interprete problemi di definizione in ordine agli ambiti di applicazione della normativa specifica in tema di Opa, da un lato, e della normativa antitrust, dall’altro. Prima delle modifiche di recente intervenute con la legge n. 262 del 2005, una diversa valutazione delle operazioni di acquisizione, del tutto separata da quella orientata agli aspetti prudenziali, veniva condotta dalla Banca d'Italia in relazione ai poteri di Autorità di tutela della concorrenza nei mercati bancari, ad essa attribuiti dalla legge n. 287/1990. Ove, infatti, l’acquisizione della partecipazione configurasse un’operazione di concentrazione, la stessa andava comunicata alla Banca d’Italia anche ai sensi dell’art. 16 della legge n. 287/1990. L’organo di vigilanza doveva in primis verificare che l’operazione non contrastasse con il criterio della “sana e prudente gestione”, ex art. 19 T.u.b., per poi prendere in esame gli effetti concorrenziali. Peraltro, la duplicità della procedura comportava 402 Cfr. D. CATERINO, Concentrazioni e attività bancaria, Bari, 2000, p. 178 ss.; A. ANTONUCCI, La concorrenza bancaria, in Dir. banc. e merc. fin., 198, p. 531. L’espressa sanzione normativa del principio concorrenziale nel settore bancario se, da un lato, ha permesso di fugare ogni dubbio in merito al rapporto tra attività bancaria e concorrenza, dall’altro, non ha impedito la nascita di un dibattito in dottrina e tra le relative autorità amministrative nazionali incentrato sulla questione di quale debba essere il reale “grado” di applicabilità della normativa antitrust generale al settore bancario, nonché l’eventuale incidenza da riservare ai profili della stabilità e dell’efficienza tutelati in sede di vigilanza prudenziale. - 125 - inevitabilmente sul piano tecnico-formale una dilatazione e sovrapposizione dei termini e dal punto di vista sostanziale la possibilità che il rilascio della prima autorizzazione condizionasse il rilascio della seconda403. 2. Vigilanza sulle acquisizioni bancarie e controllo delle concentrazioni. La regolamentazione del mercato finanziario italiano – come è noto – si basa su un modello ibrido, che fa coesistere la distinzione della vigilanza per finalità con quella della vigilanza per soggetti. Questa commistione è spesso fonte di talune importanti distorsioni (che danno luogo a volte a eccessi di regolamentazione). Il fatto che, nel sistema previgente la legge n. 262/2005, un'unica Autorità di vigilanza dovesse, relativamente ad una categoria di soggetti, garantire contestualmente il conseguimento di più obiettivi determinava il rischio di inefficacia dell'attività di controllo, allorquando alcuni di essi, segnatamente la stabilità, da una parte, e la tutela degli investitori e la concorrenza, dall'altra, risultassero prima facie confliggenti404. La recente legge di riforma del risparmio mantiene in capo alla Banca d’Italia le competenze attinenti la valutazione dell’impatto delle acquisizioni bancarie sulla sana e prudente gestione, ma trasferisce all’Autorità garante della concorrenza la competenza in merito ad operazioni di concentrazione tra banche. È un cambiamento che invita a una riflessione sui temi della concorrenza bancaria non più condizionata dalla precedente “anomalia”, posto che gli aspetti di maggiore criticità si ravvisano proprio in tema di concentrazioni tra banche. Un primo profilo di analisi in materia di vigilanza riguarda l’efficacia e la razionalità dell’assetto complessivo, ovvero la sua adeguatezza rispetto all’obiettivo della tutela della concorrenza e a quello della stabilità degli istituti di credito. Lo sviluppo dell’ordinamento bancario in senso concorrenziale ha trovato la propria consacrazione normativa sia nell’art. 5 del d.lgs. n. 385/1993, laddove si enumera tra le finalità generali della vigilanza l’obiettivo della “competitività del sistema finanziario”, sia nell’art. 20 della l. n. 287/1990 che – come si diceva –, in linea di principio, ha esteso alle banche l’applicabilità della normativa generale antitrust405. In tal senso v. M. LAMANDINI, Le concentrazioni bancarie, cit., p. 98. Sulle ragioni di tale scelta v. A. GENTILI, Disciplina della concorrenza e pluralità di garanti, in Riv. dir. comm., 193, I, p. 231; L.C. UBERTAZZI, Diritto nazionale antitrust e imprese bancarie, in Dir. banc. e merc. fin., 1992, I, p. 448; F. GHEZZI e M. NOTARI, La disciplina della concorrenza nei settori dell’informazione, del credito e delle assicurazioni (art. 20 della l. 10 ottobre 1990, n. 287), in Riv. soc., 1993, p. 168; R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 1994, p. 621; A. PATRONI GRIFFI, Antitrust e concentrazioni bancarie, in Giur. comm., 1996, I, p. 395; G. ROTONDO, L’attribuzione alla Banca d’Italia di poteri in materia di tutela della concorrenza (ex art. 20 della legge 10 ottobre 1990 n. 287) alla luce dell’evoluzione normativa del settore creditizio, in Riv. dir. impr., 1996, 2, p. 388 ss.; ID, Il controllo antitrust nel mercato finanziario, Napoli, 2004, p. 79 ss. Nel quadro normativo preesistente, la Banca d’Italia doveva, in primis, verificare che l’operazione non contrastasse con il criterio della “sana e prudente gestione”, ex art. 19 T.u.b., per poi preoccuparsi degli effetti di mercato. La duplicità della procedura comportava, indubbiamente, dal punto di vista tecnico-formale una dilatazione e sovrapposizione dei termini e dal punto di vista sostanziale la possibilità che il rilascio della prima autorizzazione condizionasse il rilascio della seconda. Così M. LAMANDINI, Le concentrazioni bancarie, cit., p. 98; M. POLO, Concorrenza e Opa nell’industria bancaria, cit., p. 263. 405 Cfr. V. DESARIO, La nuova legge bancaria e l’attività di controllo, in Il controllo pubblico sull’ordinamento finanziario, I, Bari, 1995, p. 136 s.; P. CIOCCA, La nuova finanza in Italia. Una difficile metamorfosi (1980-2000), Torino, 2000, p. 205. In perfetta armonia con il modello adottato a livello comunitario, la l. n. 287/1990 si applica a qualsiasi impresa, privata o pubblica, salvo poche eccezioni. Il legislatore italiano, tuttavia, ha voluto sancire espressamente in una disposizione ciò che in ambito comunitario è stato frutto di un’interpretazione giurisprudenziale, ossia che le banche sono sottoposte alle regole della concorrenza. Gli istituti di credito quindi non rientrano nella deroga prescritta dall’art. 8, equivalente nazionale dell’art. 86 del Trattato CE. 403 404 - 126 - Sia ben chiaro, in sede europea non è prevista alcuna differenza di tipo regolamentare per il settore creditizio che è sottoposto ad una disciplina comune come per le altre imprese406. A livello nazionale il legislatore si è orientato diversamente, salvando le esigenze di specificità dell’attività bancaria e la riconducibilità degli interessi pubblici ad essa connessi all’art. 47 della Costituzione e non solo all’art. 41 della Carta407, derogando alla competenza generale dell’Autorità garante e prevedendo l’attribuzione di poteri antitrust alla Banca d’Italia. Questo approccio deriva, come affermato in una recente sentenza del Consiglio di Stato del 16 ottobre 2002, da una lunga storia, istituzionale ed economica, nonché dagli avvenimenti da cui è sorta la vecchia Legge bancaria, la cui presenza, insieme alla qualificazione dell’impresa bancaria come impresa pubblica, faceva ritenere che nel settore creditizio la concorrenza dovesse giocare un ruolo residuale408. 3. L’assetto normativo previgente: l’attribuzione delle competenze in materia antitrust alla Banca d’Italia e le diverse linee interpretative. Come già anticipato, fino all’entrata in vigore della legge sul risparmio, l’art. 20 della legge n. 287/1990 prevedeva la competenza della Banca d’Italia ad applicare il diritto della concorrenza nei confronti delle banche409. La legge n. 287/1990 assoggetta(va) le banche alle disposizioni sostanziali relative alle fattispecie anticoncorrenziali vietate dalla legge antitrust disponendo che “nei confronti delle aziende e istituti di credito l’applicazione degli articoli 2, 3 e 6 spetta alla competente autorità di vigilanza”410, ossia la Banca d’Italia, che era chiamata a pronunciarsi entro trenta giorni dal ricevimento della documentazione posta a fondamento del provvedimento; decorso inutilmente tale termine, l’Autorità di vigilanza poteva adottare i provvedimenti di sua competenza411. Cfr. Corte di Giustizia, 14 luglio 1981, causa 172/80, Zuchner, in Foro it., 1982, p. 473. Per i primissimi commenti alla legge n. 287/1990 cfr. M.S. SPOLIDORO, La disciplina antitrust in Italia, in Riv. soc., 1990, p. 1282 ss.; A. TOFFOLETTO, Antitrust: la legge italiana, in Giur. comm., 1990, II, p. 925 ss.; M. MORI, Banca e impresa, Padova, 1988, p. 63 ss.; A. ZITO, Mercato, regolazione del mercato e legislazione antitrust: profili costituzionali, in Jus, 1989, p. 219 ss.; M. NIGRO, Profili costituzionali della disciplina antitrust, Padova, 1994. 408 Cfr. F. GHEZZI, Il Consiglio di Stato e la “piccola rivoluzione” nella ripartizione delle competenze antitrust di Banca d’Italia e Autorità garante (nota a Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 ottobre 2002, n. 5640), in Diritto e formazione, 2003, p. 1222. 409 La letteratura in materia di concorrenza bancaria è particolarmente vasta. Tra le numerose opere si segnala P.L. CIOCCA, Pensieri in margine alla concorrenza bancaria, in Rivista Bancaria, 2, 1995; M. GRILLO, Conclusioni, in Industria Bancaria e Concorrenza, a cura dell’Ente per gli studi monetari, bancari e finanziari L. Einaudi, Bologna, 2000; N. IRTI, La concorrenza come stato normativo, in LIPARI e MUSU (a cura di), La concorrenza tra economia e diritto, Bari, 2000; BANCA d’ITALIA, La tutela della concorrenza nel settore del credito, Roma, 1992; R. COSTI, Le concentrazioni bancarie e la legge antitrust, in Banca, impresa e società, 1991, p. 399 ss.; M. SIRI, L’applicazione delle regole di concorrenza nel settore bancario, finanziario e assicurativo, in Banca, impresa e società, 1993; A. GENTILI, Disciplina della concorrenza e pluralità di garanti, in Riv. dir. comm., 1993, p. 205 ss. 410 Al riguardo v., da ultimo, M. CONDEMI, Ridimensionamento dei poteri della Banca d’Italia in materia di concorrenza, cit., p. 200 s. 411 Accanto a questa prima regola generale, la legge prevede una serie di norme puntuali che riguardano per diversi aspetti le banche e che, indirettamente, ne confermano la soggezione alla disciplina generale della concorrenza. Si tratta nel dettaglio delle seguenti disposizioni: (i) l’art. 5, comma 2, relativo all’acquisizione di partecipazioni a fini meramente finanziari che non realizza un’operazione di concentrazione; (ii) l’art. 16, comma 2, relativo al criterio di calcolo del fatturato bancario delle operazioni di concentrazione che devono essere notificate (decimo del totale dell’attivo dello stato patrimoniale, esclusi i conti d’ordine); (iii) l’art. 20, comma 5, secondo cui le intese delle banche possono essere esentate, oltre che nei casi dell’art. 4, anche “per esigenze di stabilità del sistema monetario”; (iv) l’art. 20, comma 9, che disciplina la tematica dei rapporti e dei possibili conflitti con la normativa antitrust e le altre disposizioni pubblicistiche di settore. 406 407 - 127 - Travalicando l’astratto dibattito se la vigilanza ai fini della concorrenza debba o meno rientrare nelle competenze della Banca d’Italia, può essere utile ripercorrere l’evoluzione del quadro normativo e proporre alcuni spunti di riflessione. In primo luogo, si osserva che le decisioni della Banca d’Italia erano assunte tenendo conto del parere (intervento consultivo) dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e dei principi elaborati a livello comunitario. Tale parere, pur essendo obbligatorio, non era però vincolante, in quanto la legge non richiedeva necessariamente l’emanazione di un provvedimento conforme da parte dell’Autorità creditizia412. Concentrare questi poteri con quelli di vigilanza era, come tutta la letteratura economica ha dimostrato, un’assurdità, fonte di conflitti e di decisioni arbitrarie413. Questo assetto venne delineato all’epoca dell’istituzione dell’Antitrust, nel 1990. A quei tempi la decisione aveva una qualche logica: il sistema bancario italiano di allora era profondamente diverso da quello di oggi. Ciò confermava, tra l’altro, la mancanza di un robusto e coerente schema teorico che fosse in grado di indagare i legami fra aggregazioni bancarie e concorrenza del relativo mercato. Porre nelle mani della Banca centrale poteri in materia di concorrenza ha portato alla creazione di un ambiente protetto, che ha sì favorito l’aggregazione tra istituti di credito ma di certo non secondo criteri di mercato414. Le critiche alla scelta del legislatore di affidare le competenze antitrust alla Banca d’Italia hanno enfatizzato, soprattutto, il rischio che nelle concrete decisioni di intervento l’Autorità creditizia potesse perseguire (o tener conto) anche delle finalità di tutela degli interessi pubblici ulteriori affidati alla sua cura, in tal guisa modulando l’antitrust bancario nelle scelte amministrative di regolazione415. Ad ogni modo, nella delimitazione delle competenze della legge n. 287/1990, il legislatore aveva adottato un criterio soggettivo, poiché ancorato alla presenza di una banca nell’ambito dei soggetti che avessero posto in essere un’intesa, un abuso di posizione 412 Cfr. I. CALBOLI, La concorrenza bancaria nei pareri dell’autorità garante della concorrenza e del mercato, in Banca, borsa tit. cred., 1995, III, p. 302 ss. Guardando all’interpretazione dell’art. 20 della legge n. 287/90, relativo ai rapporti tra l’Autorità garante e gli altri organi di controllo di specifici settori del mercato (Banca d’Italia per il settore del credito, Isvap per il settore assicurativo e Garante per la Radio diffusione e l’Editoria nei relativi settori), in dottrina si riteneva che quel ruolo, che a prima vista pareva essere definito di mera supervisione, costituisse invece uno degli aspetti principali del coordinamento per l’applicazione della disciplina antitrust ai diversi settori del mercato interno. Benché, infatti, si trattasse della manifestazione di un’attività di natura consultiva, l’emanazione di pareri ex art. 20, comma 3, assumeva rilievo essenziale al fine di un’uniforme applicazione delle regole di concorrenza anche ai settori speciali. 413 Cfr. A. PATRONI GRIFFI, A. ANTONUCCI e C. MOTTI, Norme in materia di partecipazioni al capitale degli enti creditizi, in Diritto antitrust italiano, a cura di FRIGNANI, PARDOLESI, PATRONI GRIFFI, UBERTAZZI, Bologna, 1993, II, p. 1175 ss. 414 In proposito v. G. TESAURO, Il controllo antitrust nel settore bancario. Intervento al convegno sul tema: “I nuovi assetti dei mercati finanziari: quale organizzazione della vigilanza?”, Bologna, 4 maggio 2001, in Banca, impr. soc., 2001, 3, p. 443 ss.; F. TERRANO, Armonie e dissonanze tra Autorità nell'applicazione della normativa antitrust al comparto creditizio, in Banca, impr. soc., 2000, 3, p. 463 ss. Per un’ulteriore analisi del problema v. anche R. COSTI, L’ordinamento bancario, cit., p. 675 ss., in particolare p. 690 ss. 415 Cfr. M. CONDEMI, Ridimensionamento dei poteri della Banca d’Italia in materia di concorrenza, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), La nuova legge sul risparmio. Profili societari, assetti istituzionali e tutela degli investitori, Padova, 2006, p. 191 ss. La limitazione del controllo di ciascuna autorità alla specifica operazione di acquisizione presenta il rischio di un eccessivo frazionamento di competenze e l'assenza di una supervisione unitaria sugli operatori polifunzionali. Analogamente al modello istituzionale, l'approccio per attività può determinare, inoltre, il conflitto tra obiettivi di vigilanza diversi concentrati in capo alla medesima autorità. Un ulteriore inconveniente proprio del modello in esame consisterebbe nella sua inadeguatezza rispetto ai problemi di vigilanza non connessi all'attività, ma strettamente riconducibili alla situazione del soggetto vigilato. Si tratterebbe, in particolare, dei problemi di stabilità dell'attività bancaria tradizionale. Nel contesto dell'approccio per attività, pertanto, sarebbe necessario comunque istituire un organismo che eserciti e garantisca specificamente la vigilanza sulla stabilità dei soggetti. - 128 - dominante o un’operazione di concentrazione416. Il legislatore, in sostanza, non riservava alla Banca d’Italia la competenza a controllare il rispetto delle regole di concorrenza nel mercato bancario in quanto tale, ma attribuiva alla stessa il potere di assumere i provvedimenti previsti dalla legge n. 287/1990 nei confronti delle banche. In tal modo, erano escluse dalla competenza della Banca d’Italia tutte quelle situazioni in cui l’intesa, l’abuso di posizione dominante o la concentrazione, pur riguardando settori nei quali operano anche le banche, non vedesse coinvolta alcuna di esse. Ma sulla base dello stesso criterio soggettivo, si sarebbe dovuta respingere la tesi dell’esclusività del controllo della AGCM sulle operazioni che, pur coinvolgendo le banche, avessero inciso soltanto su mercati diversi da quello bancario nel senso stretto. Tale tesi non solo non trovava nessun fondamento nella legge, ma, essendo ben noto che già allora non esisteva una sola banca che esercitasse esclusivamente l’attività bancaria, la medesima avrebbe portato all’abrogazione de facto della norma contenuta nel secondo comma dell’art. 20 della legge 287/1990, che attribuiva alla Banca d’Italia la competenza ad applicare la disciplina antitrust solo per le attività riservate alle banche. Era, pertanto, più ragionevole sostenere che anche nell’ipotesi in cui l’operazione avesse riguardato esclusivamente istituti di credito, l’AGCM avrebbe avuto il dovere di intervenire per valutare l’incidenza che tale operazione avrebbe potuto avere su mercati diversi da quello bancario, introducendo così un doppio controllo. Peraltro, secondo parte della dottrina, il criterio soggettivo consentiva anche di risolvere i problemi di competenza per le operazioni che, ex art. 20, comma 7, legge n. 287/1990, avessero coinvolto banche e soggetti che banche non fossero. Si era al riguardo sostenuto che, in siffatte ipotesi, la competenza avrebbe dovuto essere attribuita in via esclusiva, secondo parte della dottrina, alla Banca d’Italia, per altri all’AGCM. Ma entrambe le tesi urtavano in modo troppo netto con le disposizioni dell’art. 20, commi 2 e 7, per poter essere condivise. A riprova delle menzionate connessioni, il tema dell’applicazione del diritto della concorrenza alle banche è stato, dunque, riassorbito nell’ambito dei più ampi propositi di riforma delle autorità di vigilanza del mercato finanziario e ha indotto il legislatore a rivedere la decisione del 1990. Sennonché, con due successivi interventi normativi, dapprima la legge 28 dicembre 2005, n. 262, per la tutela del risparmio, e successivamente il decreto legislativo correttivo 29 dicembre 2006, n. 303, questo sistema è stato radicalmente trasformato. 3.1. Riflessioni sull’esperienza comparatistica. Sotto il profilo comparatistico, la scelta del legislatore italiano di sottrarre la competenza in materia di concentrazioni tra banche all’Autorità garante e di attribuirla alla Banca d’Italia417, 416 Cfr. A. LANDI e M. ONADO, Banche, intermediari finanziari e legislazione antitrust, in Banca, impr. soc., 1993, p. 61 ss. Per A. GENTILI, Disciplina della concorrenza e del mercato, Torino, 1991, p. 231 ss., queste ragioni erano da rintracciare “nei fini speciali del governo del credito”. Contra C.L. UBERTAZZI, Diritto nazionale antitrust e imprese bancarie, in Dir. banca merc. finanz., 1993, p. 448, che sosteneva che la norma fosse priva di qualsiasi giustificazione e che rispondesse “in realtà alla volontà degli organi di governo del credito di conservare e rafforzare per quanto possibile i propri poteri nell’hortus, solo apparentemente concluso, del comparto bancario, evitandovi intrusioni di autorità diverse (siano esse la Consob o l’Agcm)”. Ma questa interpretazione non poteva essere condivisa perché smentita dalla prassi applicativa, come conferma il provv n. 21 del 17/1/1998, in Banca, borsa tit. cred, 1999, II, p. 95, con nota di M. LAMANDINI, La “seconda svolta” del Banco di Sardegna (nuovi spunti in tema di antitrust bancario), Ibidem, p. 97 ss. 417 È stato sottolineato che la competenza della Banca d’Italia in tema di regole di concorrenza andrebbe determinata non con riferimento ai soggetti coinvolti nelle operazioni, ma in considerazione dei “fini speciali del governo del credito”; in tal senso cfr. A GENTILI, Disciplina della concorrenza e pluralità di garanti, in Riv. dir. comm., - 129 - risultava distante sia dalle scelte comunitarie sia da quelle adottate dagli altri Paesi membri dell’Unione europea418. Impostazione analoga trova(va) dei validi riscontri limitatamente all’esperienza statunitense, ove, nei settori regolamentati, l’applicazione dei principi contenuti nello Sherman Act del 1890 e nel Clayton Act del 1914 è affidata alle competenti autorità di settore con specifici adattamenti. Per contro, però, è doveroso sottolineare come in nessun altro Paese la competenza ad applicare le norme di concorrenza sia interamente sottratta all’Autorità antitrust e affidata all’Organo di vigilanza del settore bancario419. 1993, p. 208 ss.; contra R. COSTI, L’ordinamento bancario, cit., p. 676. Altri ancora tra cui v. C.L. UBERTAZZI, Diritto nazionale antitrust e imprese bancarie, in Dir. banc e merc. fin., 1992, I, p. 448, hanno evidenziato il carattere politico della scelta legislativa, indotta, per un verso, dalla diffidenza con cui la Banca d’Italia avrebbe accolto le interferenze dell’Autorità Garante, scelta che avrebbe manifestato un cedimento “alla volontà degli organi di governo del credito di conservare e rafforzare per quanto possibile i propri poteri nell’hortus, solo apparentemente concluso, del comparto bancario, evitandovi intrusioni diverse (siano esse la Consob o l’Autorità garante della concorrenza e del mercato)”; per altro verso, dal timore, come sostiene G. ROSSI, Il conflitto di obiettivi nell’esperienza decisionale delle autorità, in Riv. soc., 1997, p. 265 ss., che l’affidamento della vigilanza antitrust ad un’Autorità di nuova istituzione in un settore in transizione – transizione dovuta al passaggio, da una struttura caratterizzata da interventi amministrativi diretti, ad una caratterizzata, invece, da un sistema basato su controlli indiretti, più orientato al mercato – avrebbe potuto ostacolare piuttosto che agevolare l’obiettivo di un sistema bancario più efficiente e concorrenziale. Seguendo questa linea interpretativa, un’ulteriore conferma si rinviene dal contenuto dell’art. 20, comma 5, della legge antitrust, in omaggio al quale le intese tra banche possono essere esentate, oltre che nei casi previsti dall’art. 4, anche “per esigenze di stabilità del sistema monetario”. La norma dimostrerebbe, infatti, che ove il legislatore ha voluto introdurre uno speciale temperamento ai principi concorrenziali, in favore della tutela della stabilità, esclusivamente del sistema monetario, lo ha fatto esplicitamente, diversamente da quanto previsto per le concentrazioni. 418 Cfr. F. BELLI e C. ROVINI, Riflessioni di massima su “concorrenza e concentrazioni bancarie”, in N. RONZITTI (a cura di), Il mercato unico europeo nel settore bancario, Siena, 1992, p. 89 ss. Sottolinea come la disciplina italiana in materia di concorrenza sia tardiva rispetto a quella introdotta negli altri Paesi dell’Unione europea, F. SAJA, L’Autorità garante della concorrenza e del mercato: prime esperienze e prospettive di applicazione della legge, in Giur. comm., 1991, p. 455. Invero, le leggi a tutela della concorrenza non sono identiche in tutti i Paesi, in particolare per quanto concerne gli assetti istituzionali e le procedure. La legge antitrust canadese che risale al 1889 e quella statunitense, lo Sherman Act del 1890, di cui si dirà a breve, sono state le prime normative nazionali a vietare le intese restrittive della concorrenza e i tentativi di creare monopoli. Una crescente convergenza delle normative è stata, tuttavia, realizzata all’interno dell’Unione europea, dove numerosi Paesi hanno recentemente modificato la legislazione nazionale in materia di concorrenza allineandola a quella comunitaria, anche se permangono differenze, di natura sia sostanziale che procedimentale, relativamente a particolari profili del diritto e della politica della concorrenza. 419 Cfr. F. GHEZZI e P. MAGNANI, Banche e concorrenza. Riflesioni sull’esperienza antitrust statunitense, comunitaria e italiana, Milano, 1999, p. 199 ss., ove ulteriore bibliografia. di avviso contrario M. LAMANDINI, Le concentrazioni bancarie, cit., p. 244, che, richiamando i sistemi statunitense e tedesco, condivideva la scelta di partenza del legislatore italiano ed auspicava che il controllo antitrust affidato alla Banca d’Italia si estendesse quanto prima a tutti i mercati finanziari e agli intermediari in essi presenti sui quali già vigila(va) per i noti profili di stabilità. Non condivide tale impostazione A. ROCCHETTI, Antitrust e banche: il punto di vista delle autorità, relazione presentata al Convegno Regolamentazione antitrust e strategia delle banche, Macerata 15 marzo 2001, p. 4 del dattiloscritto, che propone invece una lettura delle competenze basata sui mercati, affidando alla Banca d’Italia l’enforcement delle regole di concorrenza solo nei mercati tipicamente bancari. Negli Stati Uniti il controllo è diviso tra l’Antitrust Division del Department of Justice (DOJ), che è l’organo antitrust generale, e le autorità di settore (Board), che pure hanno delle competenze in materia. L’Istituto di vigilanza può, infatti, essere rappresentato dalla Federal Reserve, ossia dalla banca centrale, dalla Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), dall’Office of the Controller of the Currency oppure dall’Office for Thrift Supervision, a seconda della competenza in materia di vigilanza dell’istituto di credito coinvolto. L’Istituto di vigilanza valuta la concentrazione ai sensi della normativa bancaria federale, mentre il Department of Justice la valuta ai sensi dell’art. 7 del Clayton Act, che costituisce la norma per il controllo concorrenziale delle concentrazioni in tutti i settori dell’economia. Lo standard per l’esame concorrenziale delle concentrazioni nel settore bancario derivante dalle due normative è sostanzialmente il medesimo: la concentrazione non deve ridurre in misura sostanziale la concorrenza in alcun mercato rilevante. Ai sensi della normativa bancaria, tuttavia, ci sono maggiori possibilità di compensare gli effetti anticoncorrenziali con - 130 - La conclusione raggiunta è rafforzata dalla constatazione che in Europa non vi è riserva di competenza in materia di concorrenza bancaria a favore dell’autorità di vigilanza sulla stabilità420. Nel panorama europeo la competenza a tutelare la concorrenza è generalmente affidata all’autorità antitrust, salvo, in alcuni ordinamenti, il coinvolgimento di un organo diverso e, in alcuni Paesi, addirittura del Ministero dell’economia. La Francia è uno dei Paesi nei quali la competenza è stata trasferita dall’autorità di vigilanza settoriale all’autorità antitrust generale. Prima del 1986 l’attribuzione della competenza sulla applicazione della disciplina antitrust relativa ad intese ed abusi di posizione dominante era affidata all’autorità di vigilanza settoriale (Commission Bancaire) in base alla legge bancaria del 1984 (art. 89 della legge 24 gennaio 1984, n. 46). Successivamente tale competenza è stata rimessa all’autorità generale per la concorrenza (il Conseil de la Concurrence) dalla Ordonnance n. 1243 du 1er dicembre 1986. Il Conseil de la Concurrence è solamente tenuto a comunicare alla Commission bancarie i casi che coinvolgono soggetti sottoposti ai poteri di vigilanza di quest’ultima. La Commission bancarie può emettere un proprio parere di cui il Conseil de la Concurrence deve tenere conto nella propria decisione. Anche per le concentrazioni, regolate dal Titolo V dell’Ordonnance n° 86-1286 du 1er dicembre 1986 modifiée, nel settore bancario la competenza è affidata allo stesso soggetto, principalmente il Ministro dell’Economia, competente anche per gli altri settori dell’economia. In Germania l’autorità antitrust generale ha recentemente ottenuto la piena competenza sull’applicazione della disciplina a tutela della concorrenza. Precedentemente, prima dell’emanazione della V Novella del GWB, tale competenza era affidata congiuntamente all’autorità antitrust ed all’autorità di vigilanza settoriale. Attualmente l’autorità antitrust generale (il Bundeskartellamt) adotta le decisioni che riguardano le imprese bancarie o assicurative sentita la rispettiva autorità di vigilanza settoriale. Anche in Olanda – talvolta citata a sproposito come esempio di situazione simile a quella italiana – , dopo una fase transitoria di due anni, si è verificato il previsto passaggio della competenza dall’autorità di vigilanza (il Ministro delle finanze) a quella Antitrust. In Spagna le norme a tutela della concorrenza nel settore bancario sono quelle previste per gli altri settori generali e la competenza è attribuita (dalla Ley 16/1989 de 17/7/1989 modificada por RDL 7/1996 de 7 de junio) alle Autorità generali di concorrenza: il Tribunale della concorrenza (Tribunal de Defensa de la Competencia) ed il Ministero dell’Economia (Ministro de Economìa y Hacienda). Infine, nel Regno Unito si applicano al settore bancario le norme generali a tutela della concorrenza; l’autorità competente è l’autorità antitrust generale (Office of Fair Trading/Competition Commission). Nel 1998 è stata adottata la nuova normativa entrata in vigore dal 1° marzo del considerazioni di altro tipo, relativi agli effetti positivi che la concentrazione potrebbe produrre per “l’interesse e i bisogni” della comunità. Il Department of Justice comunica la propria valutazione all’Autorità di vigilanza. Se quest’ultima autorizza una concentrazione che il DOJ ritiene in contrasto con il Clayton Act, il Department of Justice può ricorrere alle Corti con un’istanza di divieto dell’operazione. Per le intese e i comportamenti di monopolizzazione si applicano al settore bancario le sezioni 1 e 2 dello Sherman Act, come previsto negli altri settori. In dottrina, per una migliore comprensione dei cardini e dei principi ispiratori del modello statunitense, si segnalano i contributi di G. HENDERSON, The Federal Trade Commission, Oxford, 1924, p. 16 ss.; cui adde T. BLAISDELL, The Federal Trade Commission. An Experiment in the Control of Business, New York, 1932, p. 1-13; T. McCRAW, Prophets of Regulation, Cambridge-London, p. 80 ss.; M. KOVACIC, The Federal Trade Commission and Congressional Oversight of Antitrust Enforcement: A Historical Perspective, in R. MACKAY, Inside the Federal Trade Commission, Stanford, 1987, p. 69 ss.; sull’opportunità, a lungo oggetto di dibattito, di mantenere in vita lo Sherman Act cfr. R. POSNER, The Federal Trade Commission, in 37 University of Chicago Law Review (1969), p. 47 ss. 420 Inoltre, negli ordinamenti di Germania, Francia e Gran Bretagna, la concentrazione bancaria non è sottoposta ad autorizzazione preventiva, ma solo ad un controllo ex post; per un raffronto v. L.C. UBERTAZZI, Nuovi spunti sulle autorizzazioni alle concentrazioni bancarie, cit., p. 532. - 131 - 2000. La competenza su intese e abusi è attribuita all’Office of Fair Trading (OFT). Alla Competition Commission è invece affidato il ruolo di “tribunale d’appello”. Per le concentrazioni l’OFT è competente entro una certa soglia di fatturato e quota di mercato. Sopra tale soglia il Segretario di Stato può rinviare l’operazione alla Competition Commission per l’attività istruttoria al termine della quale il segretario di Stato adotterà una decisione. A tali regole fanno eccezione solo i settori dell’elettricità, del gas, dell’acqua, delle telecomunicazioni e delle ferrovie, dove la competenza è divisa tra l’autorità antitrust e le autorità di regolamentazione settoriale. Da questa rapida panoramica emerge chiaramente come il passaggio « dall’anomalia » ad una situazione di maggiore coerenza vada nella direzione della normalità, almeno per quanto riguarda lo scenario europeo, che poi è quello che dovrebbe interessarci di più. In Italia il nuovo ruolo dell’Autorità garante costituisce, come si andrà di seguito ad analizzare, un’ulteriore segmentazione nell’esercizio della vigilanza sul settore creditizio, col chiaro intento però di operare, nell’applicazione della normativa sulle concentrazioni bancarie, un’attribuzione dei compiti differenziata a seconda della finalità perseguita421. 4. L’estensione della competenza sulla concorrenza delle banche al Garante nella legge n. 262 del 2005. Il passaggio ad un modello di vigilanza per finalità. La soluzione contenuta nel vecchio testo della legge antitrust costituiva fonte di gravi distorsioni nel processo di allocazione dei diritti di proprietà delle banche. La posizione di conflitto nel valutare la stabilità e la concorrenza era poi aggravata dal fatto che la Banca d’Italia era solita comportarsi come autorità tutoria di indirizzo422. Come premesso, l’affermazione non intende certo sminuire talune evidenze della pregressa esperienza. L’art. 19 della legge n. 262/2005 viene ad incidere su due temi, ovvero l’assetto istituzionale della Banca d’Italia e la ripartizione di competenze fra l’Autorità garante della concorrenza e del mercato e la Banca stessa in materia di applicazione delle regole antitrust al settore bancario423. Diversamente, nella logica della legge n. 287/90, chiaro era l’intento di operare, nell’applicazione della normativa sulla concorrenza, un’attribuzione dei compiti differenziata, a seconda della tipologia dell’impresa sottoposta al controllo, ferma restando, tuttavia, la necessità di una sostanziale parità di trattamento nell’esercizio delle rispettive attività d’impresa. Al riguardo cfr. R. COSTI, Le concentrazioni bancarie e la legge antitrust, in Banca, impr. soc., 1991, p. 399 ss. 422 In proposito, v. G. TESAURO, Relazione del Presidente dell’AGCM nella seduta del 29 gennaio 2004 alla Camera dei deputati, nell’ambito dell’Indagine conoscitiva – XIV Legislatura – Comm. riun. VI Camera e X Senato. Il vecchio testo dell’art. 20, comma 2, l. n. 287/1990, come già ribadito, affermava che nei confronti delle banche l’applicazione degli artt. 2, 3, 4 e 6 della legge spettava alla competente autorità di vigilanza; non era chiaro però, se e in che limiti, la Banca d’Italia potesse discostarsi dalle regole fissate dai citati articoli. Il quesito viene chiaramente enfatizzato dal fatto che la stessa Banca d’Italia è competente a rilasciare altri provvedimenti di natura “autorizzatoria” in applicazione delle norme contenute nel T.u.b. Ad esempio, con riferimento alle operazioni di fusione (e scissione) di banche, sono presi in considerazione i parametri di cui all’art. 57 T.u.b. (che fa riferimento al criterio di una “sana e prudente gestione”); in riferimento alle fusioni in cui partecipano banche popolari e da cui risultino società per azioni, fanno premio l’“interesse dei creditori”, ed esigenze di “rafforzamento patrimoniale” e di “razionalizzazione del sistema” (art. 31 T.u.b.); infine, con riguardo alle fusioni tra banche di credito cooperativo e banche di diversa natura da cui risultino banche popolari o banche società per azioni, da un lato si mantiene in vigore la tutela dell’“interesse dei creditori”, dall’altro trovano ingresso le “ragioni di stabilità” (art. 36 T.u.b.). Si tratta di parametri di valutazione che non coincidono con quelli previsti dalla l. n. 287/1990 in sede di valutazione delle concentrazioni in prospettiva antitrust. 423 Sul punto v. L. CAMILLI, Commento sub artt. 19-22, Legge 28 dicembre 2005, n. 262 – Disposizioni sulla tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, in CERADI (Centro di Ricerca per il Diritto di Impresa), LUISS, Roma, 2006. La struttura dualistica dell’articolo è probabilmente dovuta alla repentina inclusione delle norme sulla ripartizione delle competenze fra Banca d’Italia e AGCM proprio nella fase di conclusione dell’iter legislativo. È infatti possibile individuare una netta distinzione tra i commi 1-10, che contengono principi e regole di 421 - 132 - La legge sul risparmio rovescia, di fatto, il regime previgente e assegna all’Autorità garante della concorrenza e del mercato le valutazioni relative all’assetto concorrenziale del mercato bancario, ferme restando tutte le competenze e l’obbligo di autorizzazione da parte della Banca d’Italia per le valutazioni relative alla sana e prudente gestione, cioè alla stabilità creditizia424. L’attuale, rivisitata formulazione dell’art. 20 della legge n. 287/90 rende più chiari sia l’identificazione delle responsabilità di ciascuna Autorità, sia l’obiettivo perseguito425. Ai sensi del nuovo comma 5, per le operazioni di acquisizione (di cui all’art. 19 del T.u.b.) e per le operazioni di concentrazione (previste dall’art. 6 della l. 287/1990)426 che riguardano le banche, sono infatti richieste sia l’autorizzazione dell’AGCM, per le valutazioni relative all’assetto concorrenziale del mercato, sia l’autorizzazione della Banca d’Italia chiamata ad esaminare le eventuali ricadute dell’operazione sulla stabilità del sistema creditizio. L’Autorità garante dispone di poteri esclusivi per condurre le valutazioni necessarie ad escludere o ritenere che l’operazione possa dare luogo alla creazione o al rafforzamento di una posizione dominante tale da restringere in maniera sostanziale e durevole la concorrenza. Peraltro, il passaggio della competenza ad applicare gli artt. 2, 3, e 6 della legge n. 287/1990 nei confronti delle banche viene effettuato in modo netto, senza introdurre l’obbligo per l’Autorità garante di sentire il parere della Banca d’Italia prima dell’adozione dei propri provvedimenti427. Viene così eliminato quello che in passato era stato giudicato un aggravio in termini di durata organizzazione e funzionamento della Banca d’Italia, e i commi 11-14. Questi ultimi, introdotti con un emendamento del Governo su cui era stata posta la questione di fiducia, coinvolgono invece lo spostamento di una parte delle funzioni in materia di tutela della concorrenza e del mercato e probabilmente avrebbero meritato un articolo a parte, sulla falsariga del disegno di legge n. C2346 presentato alla Camera dei Deputati il 28 febbraio 2005. 424 Al comma 11 dell’art. 19 della legge n. 262/2005 è stata stabilita, sic et sempliciter, l’abrogazione di gran parte del precedente modello di applicazione delle norme antitrust al settore bancario previsto dal citato art. 20 della legge n. 287/90. La legge sulla tutela del risparmio ha, infatti, eliminato i commi 2 (che attribuisce l’applicazione della normativa antitrust nei confronti delle banche « alla competente autorità di vigilanza »), 3 (ove si prevede che i provvedimenti della Banca d’Italia siano adottati « sentito il parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato ») e 6 dell’art. 20 della l. n. 287/1990 che attribuivano alla Banca d’Italia il compito di applicare la normativa a tutela della concorrenza in materia di intese, abusi e concentrazioni riguardanti le banche e che regolavano i rapporti con l’Autorità garante. 425 Cfr. Proposta di legge recante “Disposizioni per la tutela del risparmio e in materia di vigilanza”, presentata il 24 gennaio 2004, in Atti parlamentari, Camera dei Deputati, 4639, XIV Legislatura – Disegni di Legge e Relazioni – Documenti, 2004, p. 12. Anche l’aspetto dei rapporti tra Banca d’Italia ed Autorità antitrust fu oggetto di un’audizione dell’allora presidente Tesauro all’inizio del 2004, con una replica del Governatore della Banca d’Italia nell’ambito dell’indagine conoscitiva che è stata alla base del disegno di legge presentato, nella versione originaria, il 16 febbraio 2004. Peraltro, non si tratta di una novità assoluta per il nostro ordinamento, il quale già prevede un meccanismo simile per la valutazione delle concentrazioni nel settore dei media e delle comunicazioni. 426 In realtà, l’ultima versione del disegno di legge governativo non attribuiva all’Autorità antitrust le competenze anche sulle materie di cui all’art. 19 del T.u.b., ma le lasciava alla Banca d’Italia. Si ricorda che ai sensi dell’art. 6 della legge n. 287/1990 l’Autorità garante è chiamata a valutare se le operazioni di concentrazione notificate comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale così da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza. Se l’Autorità ritiene che l’operazione non determini il suddetto scenario, la valutazione positiva assume la forma di un nulla osta; se, al contrario, l’Autorità, al termine dell’istruttoria di cui all’art, 16, comma 4, ritiene che l’operazione determina tali conseguenze, vieta l’operazione oppure può consentirla (l’art. 6, comma 2, parla in questo caso di autorizzazione) prescrivendo le misure atte a impedire queste conseguenze. 427 Va comunque ricordato che in virtù dell’art. 10, comma 4, della legge n. 287/1990, l’Autorità garante può chiedere alla Banca d’Italia notizie e informazioni nonché la collaborazione per l’adempimento delle sue funzioni. Si rammenta, inoltre, che nel vigore del vecchio art. 6 della legge n. 287/1990, l’AGCM, nell’emanare il parere richiestole in materia di concentrazione, valutava se l’operazione sottoposta al suo esame comportasse “la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza”. - 133 - del procedimento: la previsione cioè in forza della quale la Banca d’Italia doveva provvedere “sentito il parere dell’Autorità garante” (art. 20, comma 3, ora abrogato)428. Con il nuovo sistema di competenze, si è inteso dunque rimuovere qualsiasi ipotesi di soluzione estrema ad un conflitto non altrimenti sanabile: il rischio che le valutazioni attinenti alla stabilità potessero implicitamente prevalere, nel processo decisionale dell’autorità di vigilanza, sulle esigenze connesse alla tutela della concorrenza. La legge sul risparmio, approvata in gran fretta, ha tuttavia, da subito, dimostrato di aver bisogno di molte “ripuliture” e più di un intervento interpretativo, soprattutto in chiave di semplificazione. 4.1. (Segue): L’iter condiviso tra le due Authorities. I profili procedurali e applicativi legati alla previsione di un “unico atto”. Le modalità di trasferimento delle competenze in materia di antitrust bancario non sembrano dissolvere asimmetrie e incertezze nelle procedure valutative delle due Autorità e negli esiti delle stesse. In sede di interpretazione della voluntas legis sottesa al dettato normativo, le norme hanno destato taluni interrogativi pratici di non facile soluzione429. Nelle intenzioni del legislatore, l’obiettivo era probabilmente quello di assicurare, attraverso uno stretto coordinamento tra l’attività di vaglio preventivo delle acquisizioni di banche (svolta dalla Banca d’Italia) e quella di controllo delle concentrazioni svolta dall’Autorità garante, la massima trasparenza del processo decisionale. Sul piano procedurale era stato disposto che i provvedimenti delle due Autorità di cui al secondo comma dell’art. 12 della legge n. 262/2005 fossero emanati con un “unico atto” entro sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza, completa della documentazione occorrente. L’atto unico doveva contenere le specifiche motivazioni relative alle finalità attribuite alle due Autorità (art. 19, comma 13, ora abrogato, l. n. 262/2005). Sul piano squisitamente amministrativo-procedurale, la dottrina ha segnalato le difficoltà incontrate nel procedere ad una corretta qualificazione dell’atto unico tramite il ricorso alle categorie tradizionali del diritto amministrativo430. Cfr. ASSONIME, Titolo IV della legge per la tutela del risparmio: disposizioni concernenti le autorità di vigilanza, Circolare n. 21 del 29 maggio 2005, p. 12, ove si osserva come per le banche non sia “stato seguito il modello previsto per i casi che coinvolgono le imprese assicurative e per quelli che coinvolgono operatori nel settore delle comunicazioni, in cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato provvede sentito il parere, non vincolante, rispettivamente dell’ISVAP (che ai sensi dell’art. 20, comma 4, della legge n. 287/1990 si pronuncia entro trenta giorni dal ricevimento della documentazione posta a fondamento del provvedimento) e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni [art. 1, comma 6, lett. c), n. 11 della legge n. 249/1997]”. Si segnala, tuttavia, che il disegno di legge per il riordino delle autorità indipendenti approvato il 3 febbraio 2007 dal Consiglio dei Ministri prevede l’introduzione nell’art. 20 della legge n. 287/1990 del parere preventivo non vincolante della Banca d’Italia sui provvedimenti dell’Autorità garante che riguardano le banche o società appartenenti a gruppi bancari. 429 In senso conforme cfr. W. NEGRINI, L’intervento della Banca d’Italia in materia di antitrust, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), La nuova legge sul risparmio. Profili societari, assetti istituzionali e tutela degli investitori, Padova, 2006, p. 250 ss. 430 V. in proposito il laconico commeto di G. MINERVINI, La Banca d’Italia, oggi, cit., p. 624, secondo cui “Non s’intende perché le due autorizzazioni debbano essere contenute in un unico provvedimento, come pure la legge prevede… Forse la disposizione ha meri fini di semplificazione processuale. Certo essa merita di essere riscritta, o meglio ancora soppressa”. Secondo V. DESARIO, Nuovi scenari per il sistema bancario tra cambiamenti macroeconomici e innovazioni normative (Intervento del Direttore Generale della Banca d’Italia al XXX° Incontro di Sadica, Perugia, 25 marzo 2006), in Bancaria, 2006, n. 1-2, p. 18, “indipendentemente dall’effettivo ambito di applicazione dell’autorizzazione dell’Autorità garante, la previsione dell’emanazione di un unico atto da parte delle due Autorità pone senza dubbio significativi problemi di carattere amministrativo. Non si ravvisa quale sia il 428 - 134 - Per lo meno, si è stati concordi nel ritenere che dal punto di vista strutturale i due procedimenti, pur essendo tra loro autonomi, fossero soggetti alle medesime regole previste per le istruttorie dinanzi all’AGCM, le quali garantiscono trasparenza, rispetto del contraddittorio e tempi di decisione rapidi. Era inoltre previsto, a tutela dei soggetti vigilati, la possibilità di presentare un unico ricorso avverso i provvedimenti delle due Autorità davanti al Tar del Lazio431. Si parlava – a ragione – di obbligatorietà del provvedimento, essendo necessario che le Autorità competenti (Banca d’Italia e Autorità garante) procedessero all’emanazione di un atto a natura provvedimentale, riguardante l’operazione sottoposta al loro esame432. L’atto congiunto era in sostanza il risultato dell’unione in una stessa cartella e sotto uno stesso titolo di due atti distinti. Dunque, la previsione di un atto unico, oltre a presentare problemi applicativi, risultava asistematica e poco utile rispetto agli obiettivi perseguiti. Essa vincolava strettamente sul piano procedurale l’azione delle due Autorità senza comportare alcun evidente beneficio. L’unica certezza legata alla previsione di un atto di motivazione unitario era, in sostanza, che esso dovesse esprimere una posizione univoca, nel senso che se una delle due Autorità non fosse stata d’accordo l’atto non poteva essere emanato. Il problema era, insomma, quello di intrecciare e confondere insieme due valutazioni diverse che, tuttavia, dovevano, come si evince dal dato normativo, restare distinte e autonome. Le finalità e il tipo di analisi sottostante alle due valutazioni sono, beninteso, molto diverse: la tutela della stabilità impone di esaminare gli effetti dell’operazione all’interno del nuovo gruppo da un punto di vista dell’adeguatezza patrimoniale; la tutela della concorrenza esige di valutare il più ampio contesto degli assetti concorrenziali dei mercati interessati, con un’indagine che esamina soprattutto la presenza e il ruolo specicifico di altri operatori433. L’atto unico, dunque, non poteva rappresentare una co-decisione nella quale potessero fondersi le valutazioni di stabilità con quelle della concorrenza. vantaggio di avere un unico atto rispetto alla previsione di atti separati, stabilendo esplicitamente, se necessario, che per realizzare l’operazione occorrono a un tempo l’autorizzazione della Banca d’Italia e quella dell’Autorità”. 431 Cfr. art. 33, comma 1, legge n. 287/1990; art. 7 legge n. 205/2000; art. 24, comma 5, legge n. 262/2005. Anche nel caso di parere discorde tra le due Autorità, i soggetti interessati devono essere posti nella condizione, almeno potenziale, di ricorrere al Tar del Lazio; devono, in termini più espliciti, trovarsi di fronte ad un provvedimento che, innanzi all’autorità giurisdizionale competente, possa obiettivamente formare oggetto di un’azione processuale di impugnazione. 432 Cfr. D. SARTI, Presupposti e poteri di intervento antitrust sulle concentrazioni bancarie nazionali, in Banca, borsa tit. cred., 1993, II p. 495; in senso più comprensivo M. LAMANDINI, Le concentrazioni bancarie, cit., p. 158 s. Secondo l’interpretazione dominante, il parere dell’Autorità garante, ex art. 20, comma 3, legge 287/1990, veniva ritenuto immancabilmente necessario, anche rispetto a decisioni di non apertura dell’istruttoria da parte della Banca d’Italia. Inoltre, si riteneva che integrasse i requisiti del “provvedimento” anche l’eventuale “silenzio” dell’Autorità amministrativa che, nell’interpretazione fornita dall’Autorità garante, “secondo il concorde orientamento dottrinale e giurisprudenziale, non costituisce un fatto, bensì un atto soggetto alla disciplina generale degli atti amministrativi”. In diverse occasioni, infatti, l’Autorità garante aveva sostenuto che il parere fosse sempre e comunque necessario, affermando che “la richiesta di parere a questa Autorità da parte della Banca d’Italia, deve essere effettuata anche nel caso di mancato avvio dell’istruttoria, ai sensi del combinato disposto degli artt. 20, comma 8, e 16, comma 4, seconda parte, della legge n. 287/1990”, dato che “il comportamento consiste nel non avvio dell’istruttoria, sia esso posto in essere da questa Autorità o da altra Autorità competente ai sensi dell’art. 20, commi 1 e 2, della legge n. 287/1990, si sostanzia in un atto amministrativo e precisamente in un provvedimento caratterizzato dalla volontà dell’organo che intende permettere il compimento dell’operazione”; in merito cfr. AUTORITÀ GARANTE, Relazione per il 1991, Roma, 1992, p. 60 s. Di parere opposto si dichiarava, invece, la Banca d’Italia che, dimostrando un atteggiamento alquanto reticente al riguardo, restringeva la necessità della richiesta di parere soltanto al caso di apertura dell’istruttoria formale, non considerando pertanto sempre obbligatorio il parere dell’Autorità garante. 433 Sull’argomento cfr. F. DENOZZA e A. TOFFOLETTO, Contro l’utilizzazione dell’“approccio economico” nell’interpretazione del diritto antitrust, in Merc. conc. reg., 2006, 3, p. 563 ss. - 135 - A ciò si aggiunga che il comma 14 dell’art. 19 della legge n. 262/2005 prevedeva un obbligo specifico di coordinamento tra la Banca d’Italia e l’Autorità garante per agevolare l’esercizio delle funzioni di cui al comma 12434. Tale coordinamento, da svolgersi nei modi previsti dall’art. 21, doveva essere rivolto non solo ad assicurare un migliore esercizio della discrezionalità amministrativa, ma anche a contenere i costi della supervisione a carico dei soggetti vigilati435. 4.2. (Segue): L’intervento corettivo del d.lgs. n. 303 del 2006. Tenendo conto dei principi della legislazione antitrust nonché di ragioni di coerenza sistematica con l’ordinamento bancario e con la disciplina comunitaria in materia di concorrenza e di libera circolazione dei capitali, gli artt. 2 e 4 del d.lgs. n. 303 del 2006 hanno apportato modifiche all’art. 20 della legge 287/1990 e all’art. 19 della legge 262/2005, in materia di poteri della AGCM e del suo rapporto con la Banca d'Italia436. Il legislatore conferma che per le operazioni che costituiscono una concentrazione tra banche soggetta a notifica l’Autorità garante è responsabile della valutazione degli aspetti relativi all’assetto concorrenziale nel mercato, mentre la Banca d’Italia rimane responsabile della valutazione della compatibilità della concentrazione con i requisiti di sana e prudente gestione. In particolare, però, il decreto correttivo prevede l’abolizione dell’atto unico. I due procedimenti, dunque, seguono, come era stato auspicato, uno sviluppo con percorsi indipendenti l’uno dall’altro437. Qualche ulteriore considerazione può, tuttavia, essere svolta con riferimento allo snodarsi della procedura, non essendo chiaro quale sia il rapporto tra la disposizione contenuta nella riforma e la disciplina procedimentale già stabilita dalla legge n. 287/1990. La nuova norma 434 Per una completa ricostruzione delle norme succedutesi v. art. 2 (Modifiche alla legge 10 ottobre 1990, n. 287), comma 1, lett. c), d.lgs. n. 303/2006; art. 19, comma 14, abrogato, e art. 21 legge n. 262/2005. 435 Occorre segnalare al riguardo che ai sensi dell’art. 10, comma 4, della legge n. 287/1990 l’Autorità garante può chiedere alla Banca d’Italia notizie e informazioni nonché la collaborazione per l’adempimento delle sue funzioni. Pertanto, nel vigente contesto normativo, anche in assenza di un parere obbligatorio, è previsto che la Banca d’Italia metta a disposizione dell’Autorità di concorrenza le proprie specifiche conoscenze sui dati, le caratteristiche economiche e le prospettive dei mercati sottoposti alla sua vigilanza. 436 Si tratta del d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 303 “Coordinamento con la Legge 28 dicembre 2005, n. 262, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (T.u.b.) e del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (T.u.f.)”, c.d. Decreto correttivo della Legge sul risparmio n. 262/2005, in G.U. del 10 gennaio 2007, Serie Generale n. 7 - S.O. n. 5, adottato ai sensi dell’art. 43 della legge sul risparmio. In proposito si rinvia all’analisi dei Pareri emessi dalle Commissioni VI° e X° di Camera e Senato che prendevano ad oggetto l’esame dello schema di decreto del 30 agosto 2006. 437 L’art. 4, comma 2, lett. b), del d.lgs. n. 303/2006 ha abrogato i commi da 12 a 14 dell’art. 19 della legge 262/2005, che prevedevano che le autorizzazioni della AGCM e della Banca d’Italia riguardanti fusioni ed acquisizioni nel settore bancario dovessero essere concesse con un atto congiunto. Al riguardo v. BCE, Parere CON/2006/51 del 3 novembre 2006, disponibile sul sito www.ecb.int. su richiesta del Ministero italiano dell’Economia e delle Finanze, in relazione a un progetto di decreto legislativo da emanarsi nell’esercizio della delega contenuta nella legge recante interventi per la tutela del risparmio. In sede europea, tali nuove disposizioni sono state accolte favorevolmente, in quanto conformi ai principi generali del diritto comunitario nel settore della concorrenza, e perché seguono, altresì, i suggerimenti formulati in precedenza dalla BCE sulle medesime questioni; in proposito v. il paragrafo 14 del parere CON/2004/16, del 11 maggio 2004, e i §§. 7 e 8 del parere CON/2005/58, entrambi disponibili sul sito www.ecb.int. La raccomandazione di tenere chiaramente distinte le due procedure risponde, infatti, all’esigenza che il valore della concorrenza e quello della tutela del risparmio (nella sua accezione più ampia di tutela della stabilità del sistema bancario) stiano in rapporto diverso a seconda del fatto che si debba analizzare una condotta abusiva o collusiva, da un lato, ovvero una strategia di crescita esterna (cioè una concentrazione), dall’altro. - 136 - deroga alla disciplina generale come legge speciale, ma – data la sua eseguità – sembra lecito chiedersi entro quali limiti. In merito alla tempistica legata all’adozione dei due diversi provvedimenti, tenuto conto della circostanza che le valutazioni della Banca d’Italia e dell’AGCM presuppongono attività istruttorie non coincidenti e seguono regole procedurali diverse, non risulta agevole coordinare lo svolgimento dei distinti procedimenti nel rispetto del termine stabilito dal comma 13 dell’art. 19438. Nonostante la soppressione dell’atto unico, si continua a prevedere che ciascun atto debba essere emanato entro sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza completa della documentazione occorrente. I tempi sono quindi diversi da quelli indicati in generale dalla legge n. 287/1990 per i procedimenti di valutazione delle concentrazioni (l’art. 16 prevede trenta giorni più altri quarantacinque nel caso in cui venga avviata un’istruttoria)439; tuttavia, essi coincidono con i sessanta giorni previsti dalle Istruzioni di Vigilanza per le autorizzazioni ex art. 19 del Testo unico bancario440. Tra l’altro, nel caso di offerta pubblica di acquisto le Istruzioni di vigilanza prevedevano un termine di trenta giorni che, in seguito all’intervento normativo, risulta ora lungo il doppio. La ragione di questo mancato intervento del decreto correttivo può essere individuata nei limiti posti dalla delega legislativa di cui agli artt. 43 e 44 della legge 262/2005. Non è quindi escluso in futuro un intervento legislativo anche riguardo a quest’ultimo profilo. Inoltre, non ci può non interrogare circa l’effettiva permanenza dell’obbligo di notificazione preventiva. Soprattutto, si rileva la mancata divisione in due fasi del procedimento (una pre-istruttoria, seguita, ma solo se necessario, dall’apertura dell’istruttoria), obbligando così l’Autorità garante ad aprire in ogni caso un’istruttoria formale (istruttoria nel corso della quale dovrà consentirsi la difesa delle parti e – presumibilmente – la loro audizione). Sembra insomma generarsi sia un’incertezza di disciplina, dovuta al sovrapporsi, senza specificazioni, del nuovo al vecchio schema procedurale in materia di controllo sulle 438 Si pensi, ad esempio, al problema legato al momento da cui decorre il termine prima previsto dall’art. 19, comma 13, ora abrogato, nel caso in cui le comunicazioni alle due Istituzioni fossero avvenute in giorni diversi, oppure alle cause di sospensione e/o interruzione dei procedimenti dell’AGCM e della Banca d’Italia che possono non coincidere. Ciò inevitabilmente poteva portare ad uno slittamento dell’emanazione dell’atto unico, a svantaggio delle esigenze dei soggetti coinvolti nell’operazione. Queste discrasie procedimentali rischiano di compromettere seriamente la possibilità che l’atto unico costituisca una “semplificazione” dell’azione amministrativa e generano incertezza sui tempi del procedimento. 439 Del resto, un’effettiva inconciliabilità di termini si registrava anche nel sistema previgente. Dato che ai sensi del terzo comma dell’art. 20 della legge n. 287/1990 l’Autorità garante aveva a disposizione trenta giorni dal momento della notifica della richiesta (trascorsi i quali il silenzio equivaleva ad assenso) per esprimere il parere, si verificava una potenziale incompatibilità di tale termine con il dettato del quarto comma dell’art. 16, ove si prevedeva che, in materia di concentrazioni, l’istruttoria dovesse essere aperta entro trenta giorni dalla notifica, salvo il caso dell’art. 7. Sulla base del dato letterale, ne scaturiva, pertanto, che la Banca d’Italia, una volta avviata l’istruttoria formale, effettivamente non potesse usufruire dei quarantacinque giorni teoricamente previsti dall’art. 16, comma 8, legge n. 287/1990, per decidere riguardo all’operazione. D’altro canto, potendo l’Autorità garante utilizzarne trenta per emanare il parere, ne restavano in concreto soltanto quindici alla Banca d’Italia. 440 Come osserva ASSONIME, Circolare n. 21, cit., “non si tratta solo dei problemi che possono sorgere nel caso di sospensione o proroga dei termini in uno dei due procedimenti. Andrebbe affrontata anche l’ipotesi del rinvio all’Autorità garante di un’operazione di concentrazione di dimensione comunitaria ai sensi dell’art. 9 del regolamento CE n. 139/2004”. Tuttavia, per sgombrare il campo da difficoltà interpretative e d’attuazione, per l’esame delle operazioni di cui al comma 19 legge n. 262/2005 si potrebbe più semplicemente rinviare alla già collaudata disciplina del procedimento contenuta nella stessa legge n. 287/1990, sottoponendo anche la Banca d’Italia, per l’esercizio della propria funzione di vigilanza prudenziale, ai termini e alle modalità procedimentali già previsti dalla legge antitrust. Per la valutazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in caso di offerta pubblica di acquisto il discorso è diverso, in quanto un termine abbreviato di quindici giorni per la decisione circa l’avvio dell’istruttoria è previsto a livello di normativa primaria, dall’art. 16, comma 6, della legge n. 287/1990. - 137 - concentrazioni, sia un aggravio di compiti per l’Autorità garante, dovuto alla soppressione della suddivisione in due fasi dell’attività da quest’ultima svolta441. 4.3. L’esatta divisione di competenze tra le due Autorità di controllo in relazione alle fattispecie oggetto di valutazione: le altre ipotesi dell’art. 19 del T.u.b. Nel portare a termine l’analisi sul contenuto dell’art. 19 della legge sul risparmio, rimangono da affrontare ulteriori aspetti problematici che, ancora una volta, rilevano in ordine agli esatti confini delle rispettive competenze delle due Autorità di vigilanza. Seppur con rapido passo, il quadro di riferimento fin’ora descritto va dunque opportunamente completato. La questione concerne la stessa materia oggetto dell’indagine congiunta. La formulazione originaria dell’art. 19, comma 12, legittimava un’interpretazione letterale che ampliava il regime di controllo preventivo da parte dell’Autorità garante a tutte le acquisizioni di partecipazioni superiori al 5% rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 19 del T.u.b., anche qualora non comportassero l’acquisizione del controllo o non raggiungessero le soglie di fatturato previste dall’art. 16 della legge n. 287/1990442. L’estenzione della vigilanza antitrust anche all’acquisizione di quote di capitale di minoranza delle banche risultava nociva almeno per un duplice ordine di fattori. Per un verso essa avrebbe aggravato gli oneri dell’Autorità garante e dei vigilati; per un altro avrebbe ingenerato il dubbio che in questo settore il controllo antitrust potesse prescindere dalla fattispecie di “concentrazione” delineata dalla legge n. 287/1990, orientandosi verso altri ed incerti lidi. Si sarebbe finiti con l’introdurre, senza che ne fosse stato chiaro neppure lo scopo, un obbligo di notifica ed esame ai fini antitrust di ogni accordo che avesse riguardato l’acquisto di partecipazioni in banche superiore al 5%. Per tali motivi, l’interpretazione letterale del comma 12 è stata da subito giudicata “irragionevole”443, ritenendo preferibile accogliere una interpretazione più in linea con la ratio della legge444. Un’esegesi << teleologica >> della citata disposizione, in base alla quale vanno sottoposte al “doppio vaglio” delle due Autorità soltanto le operazioni rientranti nel campo di applicazione sia dell’art. 19 del T.u.b., sia dell’art. 6 della legge n. 287 del 1990, è apparsa dotata Con le modifiche al comma 4 dell’art. 19 legge n. 262/2005, si prevede anche la sospensione del decorso del termine dei procedimenti nei quali è richiesto il parere dell’ISVAP, per il tempo da questa utilizzato. Tale previsione consente all’AGCM di disporre del tempo necessario a valutare il parere senza un eccessivo allungamento dei tempi del procedimento. 442 In tal senso v. P.L. CIOCCA, Bankitalia: più coordinamento tra le autorità, in Il Sole 24 Ore, 8 giugno 2006, p. 29, che ribadisce la necessità di “definire i confini con l’Antitrust” e “le procedure dirette all’emanazione dell’atto unico” per “assicurare la funzionalità dell’attività amministrativa e il contenimento degli oneri per i soggetti vigilati”. 443 In tal senso cfr. R. COSTI, Concorrenza e stabilità nel mercato finanziario, in Analisi giuridica dell’economia, 2006, p. 116. Ugualmente critici e sostenitori dell’inevitabilità di un’interpretazione in senso contrario al tenore della norma F. MERUSI, Diritto contro economia. Resistenza all’innovazione nella legge sulla tutela del risparmio, in Banca impr. soc., 2006, p. 3 ss.; F. VELLA, La riforma della vigilanza: tanto rumore per nulla, in Analisi giuridica dell’economia, 2006, p. 123 ss. 444 Il relatore del disegno di legge sul risparmio in sede di quarta lettura al Senato, aveva denunziato la “problematicità della formulazione del comma 12 dell’articolo 19”, con particolare riguardo “alle competenze dell’Antitrust in materia di acquisizioni di partecipazioni che non determinano posizioni di controllo. Si andrebbe a controllare in comunione acquisizioni che non c’entrano nulla con gli aspetti della concorrenza, perché questa fa riferimento solo a concentrazioni disciplinate dalla normativa della legge n. 287/1990 che derivano dal diritto comunitario. Sorge quindi un dubbio che va chiarito e che meriterebbe un intervento legislativo successivo”. In proposito v. Legislatura XIV; Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 931 del 23 dicembre 2005; Ibidem, allegato B. 441 - 138 - di maggiore coerenza logico-sistematica445. D’altra parte, così interpretata la fattispecie risulta coerente con la disciplina che la legge sul risparmio vi riconnette446. Per giunta, non è dato riscontrare una completa coincidenza tra le operazioni di acquisizione di cui all’art. 19 del Testo unico bancario e le operazioni di concentrazione contemplate dall’art. 6 della legge n. 287/1990 che riguardano le banche447. In sede legislativa, accogliendo i dubbi interpretativi da più parti sollevati, il decreto correttivo n. 303/2006 è intervenuto precisando che l’autorizzazione dell’Autorità garante, accanto a quella della Banca d’Italia, è necessaria solo nel caso del trasferimento del controllo di una banca, e non per tutti i passaggi di “pacchetti” superiori al 5% come era parso sostenibile in base alla lettera della legge. L’eventuale attribuzione all’Autorità garante dei poteri di cui all’art. 19 del T.u.b., sul piano applicativo, avrebbe sortito l’effetto di introdurre una grave distorsione del sistema dei controlli; sistema che, al contrario, nello stesso spirito (per altro apprezzabile) della riforma, deve essere orientato ad attuare una ripartizione delle competenze tra le Autorità per funzioni. 4.3.1. (Segue): L’analisi dei meccanismi concertativi negli organismi societari delle banche. Sotto altro profilo, se con la normativa in esame si vuole garantire che l’Autorità garante sia tenuta al corrente delle operazioni significative di acquisizione di partecipazioni nelle banche, in modo da consentirle di monitorare la struttura concorrenziale dei mercati in cui operano i soggetti bancari (così da facilitare l’eventuale individuazione di intese e/o abusi di 445 Come rileva ASSONIME, Circolare n. 21, cit., p. 18, vi è tuttavia anche una vasta serie di argomenti contro un’interpretazione letterale. “Anzitutto, essa comporterebbe un ampliamento del regime di controllo preventivo da parte dell’Autorità garante senza alcuna espressa giustificazione dei motivi di questo aggravio di oneri amministrativi sull’attività di impresa. Ciò potrebbe risultare in contrasto con il diritto comunitario e senz’altro non appare conforme ai principi della buona regolazione. In secondo luogo, l’adozione di una siffatta soluzione interpretativa comporterebbe l’ulteriore problema legato all’individuazione dei criteri di valutazione che l’Autorità garante dovrebbe adottare nel giudicare quelle acquisizioni di partecipazioni che non comportano il trasferimento del controllo. In tal caso, infatti, “un mero richiamo a considerazioni << relative all’assetto concorrenziale del mercato >> non sembra fornire un riferimento abbastanza trasparente e determinato da permettere un effettivo controllo giurisdizionale sulle decisioni dell’Autorità e potrebbe risultare in contrasto con il diritto comunitario”. 446 Tra le operazioni di concentrazione di cui all’art. 6 della legge n. 287/1990 si ricomprendono invece “le operazioni di concentrazione soggette a comunicazione ai sensi dell’articolo 16” della stessa legge n. 287/1990. Perché un’operazione di concentrazione sia soggetta a comunicazione ai sensi dell’art. 16 deve rientrare in una delle categorie di cui all’art. 5 della legge n. 287/1990 e deve superare le soglie di fatturato a livello nazionale previste dal citato art. 6. In particolare, muovendo da queste indicazioni, si è notato che numerose ipotesi rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 19 T.u.b. non sono riconducibili in quello dell’art. 6 della legge n. 287/1990; ad esempio, “non costituiscono concentrazioni ai sensi dell’art. 6 della legge n. 287/1990 le acquisizioni di partecipazioni non di controllo, le acquisizioni di partecipazioni di controllo da parte di una persona fisica che non detiene il controllo di una o più imprese, le acquisizioni di controllo che non superano le soglie di fatturato di cui all’art. 16. Similmente, non sono soggette ad autorizzazione della Banca d’Italia ai sensi dell’art. 19 del Testo unico bancario alcune operazioni di concentrazione valutate dall’Autorità ai sensi dell’art. 6 della legge n. 287/1990: si pensi ad esempio alle acquisizioni da parte di banche di partecipazioni di controllo in società strumentali (autorizzate dalla Banca d’Italia, in base a valutazioni relative alla sana e prudente gestione, ai sensi dell’art. 53 del Testo unico bancario), alle fusioni autorizzate ai sensi dell’art. 57 o alle acquisizioni di parti di impresa tramite l’acquisizione di rapporti giuridici, di cui all’art. 58 del Testo unico bancario”; così ASSONIME, Circolare n. 21, cit., p. 17. 447 Del resto, l’acquisizione di partecipazioni bancarie non di controllo non costituisce un’operazione di concentrazione ai sensi della legge n. 287/1990, quando non è in grado di dar luogo ad un mutamento nei rapporti di direzione effettiva delle imprese sul mercato. Così A. CATRICALÀ, Indagine conoscitiva sulle questioni attinenti all’attuazione della l. n. 262/2005, recante “Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari”, in Audizione parlamentare, Roma, 10 ottobre 2006. - 139 - posizione dominante o di concentrazioni dissimulate), allora questo scopo si potrebbe raggiungere anche solo prevedendo un obbligo di comunicazione, da parte della Banca d’Italia verso l’Autorità garante, delle autorizzazioni rese in forza dell’art. 19 T.u.b. Si rileva allora ragionevole l’opinione secondo cui anche per la vigilanza antitrust non sono del tutto irrilevanti eventuali trasferimenti di partecipazioni azionarie, pure di minoranza e sin’anche inferiori al 5%, e gli incroci azionari. Queste forme di collegamento fra imprese, infatti, possono integrare, unitamente ad altre evidenze che eventualmente emergano nelle singole fattispecie concrete, i presupposti per asseverare l’esistenza di un controllo di fatto448, oppure essere considerate di per sé indici rilevatori di un contesto nel quale la tensione concorrenziale subisce un affievolimento, per l’instaurarsi di equilibri collusivi allo stato diffuso. Le implicazioni di natura concorrenziale connesse ad eventuali intrecci azionari (c.d. interlocking shareholdings), sui mercati bancari o su altri mercati449, si manifestano in termini di coordinamento tra le parti e le loro controllate, nonché con riguardo alla concessione di finanziamenti (privilegi) a favore di soggetti partecipanti (c.d. “parti correlate”)450. A conferma di quanto detto, vale osservare che un passaggio di quote può sin’anche presentare profili concorrenziali connessi ai noti problemi di interlocking directories (o directorship)451. Il riconoscimento sul piano legislativo del fenomeno in questione, indicante il Cfr. sul punto M. MESSORI e A. ZAZZARO, Aggregazioni bancarie, riassetti proprietari e modelli di governo. Come sono cambiate le banche italiane negli anni Novanta, in AA.VV., Il sistema bancario italiano. Le occasioni degli anni Novanta e le sfide dell’euro, 2003, p. 99. La situazione di cui sopra si può verificare quando la partecipazione di minoranza comporti l'attribuzione di diritti specifici, tra cui il potere, ad esempio, di designare più della metà dei componenti del collegio sindacale o del consiglio di amministrazione. Si ricorda che questa situazione può essere sufficiente, in determinate condizioni, a garantire il controllo dell'impresa. In relazione infatti alla normativa italiana, l'art. 7 per l'attività di controllo testualmente recita: “Ai fini del presente titolo si ha controllo nei casi contemplati dall'art. 2359 c.c. e, inoltre, in presenza di diritti, contratti od altri rapporti giuridici, che conferiscano, da soli o congiuntamente, e tenuto conto delle circostanze di fatto e di diritto, la possibilità di esercitare un'influenza determinante anche sulle attività di impresa anche attraverso: diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono un'influenza dominante sulle deliberazioni e sugli organi di un'impresa”. Relativamente poi alla comunicazione della commissione sul concetto di concentrazione si afferma: “di norma si ha giuridicamente acquisizione del controllo esclusivo quando un'impresa acquisisce la maggioranza del capitale sociale e dei diritti di voto di una società. Il controllo esclusivo può essere acquisito anche attraverso una partecipazione di minoranza qualificata. Può infatti essere stabilito in base ad elementi di natura giuridica e fattuale”. 449 Anche qualora si sostenga che la ragione dell’autorizzazione sia quella di dotare l’Autorità antitrust di un archivio informativo sugli assetti proprietari delle banche a fini di tutela della concorrenza, va ricordato che tale archivio è già disponibile presso la Banca d’Italia e, per quel che riguarda le banche quotate, le informazioni sono addirittura pubbliche in base alle disposizioni della Consob e si estendono anche agli eventuali patti parasociali. 450 Cfr. P.L. CIOCCA, Audizione della Banca d’Italia presso il CNEL sul tema: “Aspetti attuativi della legge 28 dicembre 2005, n. 262”, 30 maggio 2006. Per la rilevanza dei conflitti di interesse connaturati al rapporto bancaimpresa e per le distorsioni che ne possono derivare nell’allocazione del credito, il tema (il finanziamento a soggetti collegati) è stato oggetto di attenzione da parte del legislatore sin dalla legge bancaria del 1936. Un ulteriore presidio è costituito dalle regole che impongono limiti all’erogazione di credito alle cc.dd. “parti correlate”. L’esigenza di regolare il fenomeno è stata individuata opportunamente dal legislatore. Già la normativa secondaria emanata nel luglio 2005 dal CICR (v. delibera n. 1057), su proposta della Banca d'Italia, era intervenuta sull’argomento. La nuova disciplina è stata attuata con delibera del CICR del 22 febbraio 2006. Questa fissa un tetto massimo alle esposizioni in una soglia non superiore al 20 per cento del patrimonio di vigilanza, limite previsto dalla disciplina comunitaria sui “grandi fidi”; attribuisce alla Banca d'Italia il potere di estendere la disciplina ad altri soggetti collegati e di prevedere limiti più stringenti. Per un esame della nuova disciplina cfr. C. BRESCIA MORRA, I controlli sull’impesa bancaria, in L’impresa bancaria, cit., p. 274 ss. 451 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Warner-Lambert/Gilette e altri e BIC/Gilette e altri, decisione del 10 novembre 1992, in G.U.C.E. L116, p. 21. Stante il divieto medesimo, l’ipotesi considerata potrebbe costituire un’opportunità per l’impresa creditizia di inserire nell’organo preposto alla gestione (come in quello a cui è affidato il controllo sull’amministrazione) soggetti che rappresentano un veicolo di trasmissione ad altra banca dell’expertise della propria imprenditoria, configurantesi quale conflitto sine qua non per la futura convergenza dei due intermediari creditizi. Sotto un diverso, ma non per questo meno interessante, profilo, si pensi alla difficoltà 448 - 140 - legame tra due o più imprese che si realizza attraverso la condivisione dei membri degli organi di gestione delle stesse, ha acquisito nel tempo sempre maggiore interesse452. In simili casi, come nell’ipotesi di coincidenza delle cariche amministrative in capo alla medesima persona, possono determinarsi fattispecie di controllo senza che le medesime si estrinsechino in rapporti contrattuali precisi. Tale fenomeno, a dir la verità meno tangibile da un punto di vista meramente giuridico453, è in realtà, estremamente importante per capire se, da tale comportamento, possa o meno discendere una situazione di potere atta a far scattare i divieti posti dalla legislazione antitrust 454. Da qui il manifestarsi dell’esigenza di una regolamentazione più stringente in materia di cumulo di cariche sociali, che ponga dei limiti e/o dei requisiti di incompatibilità, e avente come scopo preciso e prevalente la ricerca di una soluzione equilibrata al trade off tra l’esigenza di prevenire gli effetti collusivi e distorsivi nell’attività decisionale interna dell’impresa creditizia e l’opportunità di favorire una efficace e trasparente dialettica tra la banca e le Autorità di vigilanza455. concreta di individuare quando la condivisione dei membri del consiglio di amministrazione – lo stesso dicasi per i componenti il collegio sindacale – dia origine ad una situazione di “influenza dominante”. L’interlock può pertanto configurarsi come un potenziale meccanismo suscettibile di utilizzo da parte dei gruppi industriali al fine di aggirare il divieto posto dall’art. 19, comma 6, acquisendo per il suo tramite una posizione di controllo effettivo sull’impresa bancaria. 452 Cfr. O. CARABINI, Relazioni pericolose per la concorrenza, in Il Sole 24 Ore, 12 aprile 2007, p. 35. Come segnala l’Autore, le tre grandi fusioni bancarie (Intesa-San Paolo, Bpvn-Bpi, Bpu-Banca lombarda) hanno segnato l’esordio nei meccanismi di governance del sistema duale, basato cioè su un consiglio di sorvegliaza e su un consiglio di gestione. La duplicazione degli incarichi e la separazione tra sorveglianza e gestione ha incoraggiato la tendenza del sistema a favorire gli incroci di amministratori che riflettono incroci azionari. Nel valutare gli aspetti “classici” in materia di concorrenza di sua competenza, legate alle operazioni in questione, l’Antitrust è andata oltre. La filosofia non esplicita, ma neanche tanto implicita, da cui è partita l’Autorità garante si fonda sulla necessità di superare quel “capitalismo di relazioni” al fine di “smontare” la catena di “rapporti personali” che ingessano l’assetto di vertice delle maggiori società finanziarie italiane. O perlomeno, in subordine, quello di segnalare al mercato che quei rapporti esistono, che le partecipazioni incrociate di personaggi influenti negli organi amministrativi di imprese che operano nello stesso settore sono ostacoli all’affermazione di valori quali la concorrenza e la contendibilità del controllo. 453 Peraltro, come sottolinea C. BRESCIA MORRA, I controlli sull’impresa bancaria, in L’impresa bancaria, cit., p. 319, per i comportamenti collusivi “il sistema normativo in materia antitrust non prevede interventi di tipo autorizzativo dell’Autorità garante, ma solo di tipo repressivo, laddove essi integrino le fattispecie di intese o abusi di posizione dominante”. 454 Cfr. A. CATRICALÀ, Relazione annuale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Roma, 26 giugno 2007, p. 8 s., che, in particolare, denuncia l’esistenza di “una fitta rete di intrecci azionari, partecipazioni e rapporti di finanziamento tra imprese bancarie e tra queste e le imprese assicurative: un’equilibrio di mercato che può evidenziare conflitti di ruolo e in alcuni casi rappresenta una grave patologia”. Si ritiene, pertanto, necessaria “la ricostruzione di un quadro aggiornato, sotto il profilo normativo e fattuale, degli assetti di governo societario delle banche e delle imprese di assicurazione italiane”, concentrando l’analisi “sugli elementi che influenzano il grado di contendibilità delle imprese, sulla natura e composizione degli organi sociali, sui legami strutturali e personali”. Si tenga presente, inoltre, che la Consob ha diffuso di recente le direttive per limitare la pluralità di incarichi da parte dei consiglieri di amministrazione nelle società quotate. Un tetto che, pertanto, si incrocia (e va in conflitto?) con quelli che l’Antitrust definisce i rischi delle “interferenze personali”. Dal canto suo, la dottrina, in larga parte, sostiene che il cumulo di cariche sia il segnale di un controllo di fatto tra le società interessate, con conseguente applicazione alle fattispecie in esame dell'art. 3 del regolamento CE n. 139/2004 e degli artt. 5 e 7 della legge n. 287/90 sul controllo delle concentrazioni. Più nel particolare si afferma che nel caso di unioni personali, cioè coincidenza totale o parziale degli amministratori delle due società concorrenti (commistione di amministratori) si può creare uniformità di indirizzo e la possibilità da parte della società controllante di agire direttamente sulla gestione della controllata. 455 Cfr. F. VELLA, Il corporate governance nelle banche tra regole di vigilanza e disciplina di mercato, in Banca impr. soc., 1998, I, p. 73; M. MORI, Banca e impresa, Padova, 1988, p. 366. - 141 - 5. La commistione di obiettivi nell’applicazione della normativa antitrust. L’asimmetria esistente tra le diverse filosofie sottese alle concentrazioni bancarie è palese, al punto che le conseguenze di un loro possibile conflitto sono state evidenziate nelle diverse posizioni della dottrina che ha proposto ipotesi interpretative varie, di preferenza per l’una o per l’altra impostazione (funzionale o per soggetti), corrispondenti a configurazioni di competenza esclusiva dell’Autorità garante ovvero della Banca d’Italia. Il modello teorico proposto dalla legge n. 262 del 2005 con riferimento al comparto bancario, implicando una chiara separazione fra vigilanza e tutela della concorrenza, si prefiggeva di allontanare il pericolo di una sorta di “sudditanza” dell’obiettivo di tutela della concorrenza rispetto alle altre finalità della vigilanza bancaria. Del resto, come è noto, queste ultime, e in particolare la stabilità, sono poste su di un piano diverso da quello del controllo dei comportamenti anticoncorrenziali e – come più volte sottolineato – possono condurre a valutazioni talora antitetiche. Il mantenimento, nella legge sul risparmio, di una doppia competenza (tale che ogni concentrazione bancaria debba superare il vaglio sia della Banca d’Italia riguardo alla stabilità, sia della AGCM riguardo alla concorrenza), in realtà, equivale a dotare ciascuna delle due Autorità di un potere di veto “concorrente” rispetto alle decisioni dell’altra. La soluzione è ottimale solo se si genera una fattiva collaborazione fra le due Authorities456. Infatti, nonostante le cautele predisposte dal legislatore, conflitti di obiettivi nell’esperienza decisionale delle due Autorità possono insorgere per l’esigenza di dare spazio alla considerazione di specifici valori costituzionalmente protetti457. Come dimostrato nei fatti, la diversità ora accennata, ossia l’identità dell’interesse pubblico perseguito in capo a Banca d’Italia e AGCM, pur nei rispettivi ruoli, trova la propria ratio nella necessità di far fronte al pericolo che l’Autorità di settore, nell’applicare la legge n. 287/1990, prenda in considerazione valori, per quanto protetti dall’ordinamento, estranei alle finalità della normativa generale antitrust. In questa prospettiva di analisi, il modello proposto con riferimento al comparto assicurativo si presenta probabilmente come il più congruo fra quelli ipotizzabili, dato che esso realizza una chiara distinzione tra i valori tutelati dalla disciplina di settore e l’applicazione della legge antitrust. Per il settore assicurativo, infatti, il comma 4 dell’art. 20 prevede un meccanismo analogo a quello che vigeva nel sistema bancario, ma “inverso rispetto all’assetto delle competenze e delle correlate procedure di coordinamento”458, nel senso che la competenza ad applicare la disciplina della concorrenza resta affidata all’Autorità garante, mentre all’ISVAP Nell’affrontare tali temi, il progetto d’articolo potrebbe prevedere una disposizione legislativa simile a quella contenuta nel disegno di legge su cui è stato richiesto il parere della BCE. In proposito v. BCE, Parere CON/2004/16 dell’11 maggio 2004, cit., §. 4. Del resto, l’impronta caratterizzante dovrebbe essere quella dell’applicazione rigida della ripartizione delle competenze per finalità, anche se l’attuazione pratica di questo principio non è impeccabile. Come spesso accade nella realtà, è forse impossibile definire e – ancor più – realizzare una soluzione ottimale. 457 L’esercizio discrezionale di un reciproco potere di veto, di norma, favorisce comportamenti non cooperativi fra gli attori. Sennonché, la previsione di due procedimenti distinti rende il sistema dell’art. 19 legge n. 262/2005 più o meno velatamente permeabile rispetto a obiettivi e valori estranei al tema della concorrenza. Si attenua, infatti, ma non elimina la possibilità del verificarsi di comportamenti non cooperativi fra le due Autorità. Affinché essa funzioni, un primo corollario essenziale è, quindi, che AGCM e Banca d’Italia diano conto – in modo trasparente – delle procedure decisionali seguite (disclosure) e siano pronte a provare la conformità fra le scelte compiute e le procedure dichiarate (accountability). 458 Così G. ROTONDO, Il controllo antitrust nel mercato finanziario, cit., p. 86 e p. 91, dove l’Autore sottolinea come l’oggetto del parere dell’ISVAP debba “riguardare esclusivamente il profilo della << stabilità patrimoniale delle imprese assicurative >> e la << verifica dell’afffidabilità e della stabilità delle imprese operanti in questo settore >>, ovvero i profili in base ai quali la legge affida all’Istituto poteri propulsivi e di vigilanza in materia assicurativa”. 456 - 142 - spetta un ruolo consultivo459. In tal modo, “l’intervento consultivo dell’ISVAP permette di modulare l’applicazione delle regole di concorrenza, secondo le peculiarità del settore”460. Da qui l’esigenza, in un prossimo futuro, di favorire l’instaurarasi di una corretta dialettica fra l’attività di vigilanza bancaria – che può essere anteriore a quella di controllo della concorrenza – ed il peso da attribuire al giudizio della Banca d’Italia nei confronti della valutazione operata dall’Autorità antitrust (o, viceversa, dell’Antitrust nei confronti del sindacato della Banca d’Italia)461. D’altro canto, la previsione di un regime autorizzatorio in materia di controllo delle partecipazioni al capitale implica, inevitabilmente, una compressione dei canoni concorrenziali, nonostante che la prassi del mercato abbia crecato di evolversi in senso contrario462. Con ciò, peraltro, non si vuole sostenere che debbano essere completamente sacrificate le funzioni di vigilanza dirette a tutelare la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, ma soltanto che l’applicazione di esse venga attuata coniugandole, ogniqualvolta ciò sia possibile, con l’ineludibile e rigorosa applicazione della legislazione antitrust 463. 5.1. Autorizzazione di operazioni di concentrazione per esigenze di stabilità e failing company doctrine. È proprio in questo contesto che emergono alcune delle questioni più importanti e complesse da affrontare per assicurare la buona applicazione della normativa. Si è poc’anzi evidenziato come il sistema proposto appaia, comunque, poco fluido, prevedendo un intervento congiunto di Autorità garante e Banca d’Italia, quando la 459 Sul punto cfr. F. GHEZZI e M. NOTARI, La disciplina della concorrenza nei settori dell’informazione, del credito e delle assicurazio, cit. p. 194; M. SIRI, L’applicazione delle regole di concorrenza nel settore bancario, finanziario e assicurativo, cit., p. 397; A. ADOTTI, Appunti sul controllo del settore assicurativo e la tutela della libertà di concorrenza nell’ordinamento italiano, in Dir. comun. scambi intern., 2000, p. 193 ss.; V. DONATI e G. VOLPE PUTZOLU, Manuale di diritto delle assicurazioni, Milano, 1999; G. PARTESOTTI, I soggetti, in AA.VV., Diritto della banca e del mercato finanziario, t. I, Bologna, 2000; C.G. CORVESE, Le nuove regole di vigilanza prudenziale per le imprese di assicurazione vita e danni (Prime riflessioni sul d.lgs. 4 agosto 1999, n. 343), in Dir. banc., 2000, II, p. 8. 460 Così G. ROTONDO, Il controllo antitrust nel mercato finanziario, cit., p. 91. 461 Ai sensi degli artt. 20 e 21 della legge n. 262/2005 la Banca d’Italia e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sono chiamate a coordinare la loro azione e a collaborare anche mediante scambio di informazioni, per agevolare l’esercizio delle rispettive funzioni. AGCM e Banca d’Italia con il Protocollo d’intesa 2 aprile 2007 hanno, pertanto, provveduto a regolare i rapporti informativi (operazioni di consultazione e scambio di informazioni in determinati ambiti istituzionali) tra le due autorità in caso di operazioni di concentrazione che abbiano effetti sui mercati bancari (raccolta ed impieghi). 462 L’intervento della Banca d’Italia può anche essere rivolto ad assicurare l’efficienza, così come si riconosce all’intervento dell’AGCM la medesima finalità. A tal proposito si richiama l’art. 57 del T.u.b. che regola le fusioni, permesse quando non pregiudicano la sana e prudente gestione dell’impresa. Per quanto riguarda le concentrazioni tra banche, si rende infatti necessario modificare anche il vigente testo dell’art. 57 del T.u.b. disponendo che l’operazione debba essere preventivamente notificata sia all’AGCM che alla Banca d’Italia. A ciò si aggiunge il controllo sull’efficienza dell’operazione esperito dall’AGCM. Si può obiettare che l’Autorità bancaria, in questo modo, comunque eserciti una vigilanza strutturale di fatto, vietando o permettendo determinate operazioni. 463 In teoria, la soluzione normativa solo in apparenza sembrerebbe semplice: la Banca d’Italia (l’AGCM) deterrebbe il potere di valutazione di ogni concentrazione bancaria, sentito il parere dell’AGCM (della Banca d’Italia) rispetto ai profili di concorrenza (di stabilità). Una soluzione del genere determinerebbe però effetti perversi. Se fosse privilegiata la vigilanza sulla stabilità si tornerebbe ad una situazione analoga alla pecedente: quantomeno nel caso delle concentrazioni, il trasferimento dell’antitrust bancario sarebbe solo formale. Se fosse, invece, privilegiata la tutela della concorrenza, l’AGCM potrebbe indulgere alla pericolosa tentazione di sottrarre alla Banca d’Italia l’unico strumento, forse astrattamente improprio ma di fatto cruciale, quale quello delle concentrazioni, per il perseguimento della stabilità. - 143 - concentrazione riguardi banche, e la possibilità per la Banca d’Italia di vietare un’operazione, qualora possa essere pregiudicata la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati464. Occorre tener presente che, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 287/1990, non vi è la possibilità per l’Autorità garante di autorizzare l’operazione senza eliminarne le conseguenze pregiudizievoli. E, tra l’altro, l’art. 25, comma 1, della legge n. 287/1990, che in linea di principio prevede questa possibilità, non ha ricevuto attuazione465. Il conflitto – vero o presunto – tra stabilità e concorrenza può allora trovare adeguata soluzione facendo proprio un condivisibile punto di vista, in più occasioni ribadito dalla dottrina, secondo cui l’analisi sulla stabilità (che sostanzialmente è un’analisi di regolazione ex ante) deve considerarsi a tutti gli effetti “anteriore” a qualsiasi giudizio in tema di concorrenza. Si tratta, in termini più espliciti, di riconoscere l’esistenza di un prius logico nel giudizio dell’organo di vigilanza bancaria attinente alle questioni di stabilità rispetto alla valutazione dell’Antitrust466. Il decreto correttivo n. 303/2006 è così intervenuto inserendo nell’art. 20 della legge n. 287/1990 una seconda regola “speciale” per l’autorizzazione in deroga di operazioni di concentrazione riguardanti banche o gruppi bancari467. Per effetto di tale disposizione l’organo L’ipotesi più frequente di contrasto tra stabilità e concorrenza è costituita dalle cc.dd. “concentrazioni di crisi”, intese come “le operazioni che coinvolgono almeno una banca in crisi finanziaria e che hanno come effetto un importante rafforzamento, almeno su alcuni mercati locali, della posizione competitiva da parte della banca chiamata ad aggregare, con finalità di salvataggio, la banca in crisi”. In tali operazioni, l’equilibrio tra stabilità e concorrenza si raggiunge, nella prassi applicativa della Banca d’Italia, con il meccanismo “dell’autorizzazione condizionata”; così M. LAMANDINI, Disciplina e applicazione dell’antitrust bancario (qualche nuova “riflessione”), relazione al Convegno Regolamentazione antitrust e strategie delle banche, Macerata 15 maggio 2001, p. 6 del dattiloscritto. Per ulteriori spunti di analisi v. M. PERASSI, Autorità e giurisprudenza: la doppia tutela della concorrenza nel settore bancario, in M. POLO (a cura di), Industria bancaria e concorrenza, Bologna, 2000, p. 433, che analizza l’unico caso giurisprudenziale (TAR Lazio, sez. I (ordinanza) n. 1509 del 14 luglio 1993, in Banca, borsa tit. cred., II, 1994, p. 94), relativo al conflitto di obiettivi tra stabilità e concorrenza in capo a Banca d’Italia emerso nel’ipotesi di concentrazione tra il Banco di Sardegna e la Banca Popolare di Sassari. Un caso più eclatante di autorizzazione subordinata a misure compensative è costituito dalla concentrazione del San Paolo-Imi con il Banco di Napoli. 465 Purchè le operazioni autorizzate “non comportino limitazioni della concorrenza non strettamente giustificate dagli interessi generali predetti”. Per utili spunti di riflessione cfr. G. BRUZZONE, Le regole antitrust nel settore bancario dopo il decreto correttivo della legge sul risparmio, in Atti del Convegno “Diritto della concorrenza e banche: analisi della disciplina e prospettive di riforma”, LUISS, Roma, 13 febbraio 2007, p. 17 ss. Tale norma prevede che il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Industria, possa determinare in linea generale e preventiva i criteri sulla base dei quali l’Autorità garante può eccezionalmente autorizzare, per rilevanti interessi generali dell’economia nazionale nell’ambito dell’integrazione europea, operazioni di concentrazione vietate ai sensi dell’art. 6 sempreché esse non comportino l’eliminazione della concorrenza dal mercato o restrizioni alla concorrenza non strettamente giustificate dagli interessi generali predetti. In tali casi, l’Autorità sarebbe comunque tenuta a prescrivere le misure necessarie per il ristabilimento di condizioni di piena concorrenza entro un termine stabilito. 466 Cfr. M. LAMANDINI, Le concentrazioni bancarie, cit., p. 91, secondo il quale l’art. 47 Cost. costituisce un prius rispetto all’art. 41 Cost., sul quale sembra ravvisarsi il fondamento costituzionale della concorrenza. Inoltre, v. D. CATERINO, I rapporti tra norme antitrust sulle concentrazioni e disciplina delle regulated industries nell’art. 20 della legge 287 del 1990, in Riv. soc., 1995, p. 815 ss. e ID., Concentrazioni e attività bancaria, Bari, 2000, p. 141 ss., secondo la quale l’art. 47 si pone “su un piano diverso da quello dell’ordinamento dei comportamenti di mercato delle imprese, e cioè sul piano della preidentificazione di alcuni dei fini sociali cui non l’attività economica del singolo, ma l’attività di controllo esercitata dal pubblico potere deve indirizzarsi”. 467 La legge n. 262/2005 non aveva risolto i problemi legati all’intesa che, in virtù del quinto comma dell’art. 20, della legge n. 287/1990, la Banca d’Italia e l’AGCM devono raggiungere per la concessione in deroga, per un periodo di tempo limitato, di un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 2 per “esigenze di stabilità del sistema monetario”. Questa disposizione non era stata abrogata dalla legge n. 262/2005. Sicchè, sempre al fine di una più razionale sistemazione dell’art. 20 legge n. 287/90, con il d.lgs. n. 303/2006 viene trasferito nel comma 5-bis il principio generale per il quale, nonostante talune perplessità derivanti da valutazioni di tipo concorrenziale, si prevede che la AGCM possa, su richiesta della Banca d’Italia, autorizzare: a) un’intesa, per esigenze di funzionalità del sistema dei pagamenti e sempre che l’autorizzazione abbia una durata limitata; e/o 464 - 144 - di vigilanza bancaria (Banca d’Italia o Banca d’Italia di concerto con altri organi) prima della decisione dell’Autorità Garante è autorizzata ad esprimere un parere motivato, ma “non vincolante”, nei casi in cui vi siano ragioni di stabilità del sistema bancario a richiedere che operazioni che potrebbero creare o rafforzare una posizione dominante vengano comunque realizzate468. In tale circostanza, il parere della Banca d’Italia può essere ritenuto “fondato” dall’Autorità antitrust per autorizzare operazioni altrimenti da vietare sotto il profilo strettamente concorrenziale469. Non sfugge, tuttavia, come, sotto il profilo dei costi, la richiesta di un parere comporti, in modo tanto ovvio quanto inevitabile, un allungamento del processo decisionale che, mentre non sembrerebbe inficiare l’operato dell’autorità nel caso delle intese e degli abusi di posizione dominante, potrebbe risultare significativamente nocivo proprio nel caso delle concentrazioni470. L’art. 2 del d.lgs. n. 303/2006 contiene una clausola ulteriore di garanzia, là dove si richiede che tali eccezionali autorizzazioni da parte della AGCM non comportino restrizioni non giustificate alla concorrenza. In sostanza, ci sarebbe da svolgere un vero e proprio “test di proporzionalità”471. b) una concentrazione bancaria che determini o rafforzi una posizione dominante, per esigenze di stabilità di uno o più dei soggetti coinvolti. Nella Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo di coordinamento n. 303/2006, si legge: “Il nuovo comma 5-bis, in coerenza con l’attribuzione all’AGCM delle funzioni antitrust per il settore bancario, trasferisce a tale Autorità il potere già accordato dal vigente comma 5 alla Banca d’Italia di autorizzare intese in deroga alla legge n. 287/90. Tale potere autorizzatorio è inoltre esteso alle operazioni di concentrazione. Sono specificate le finalità delle deroghe, e, al comma 5-ter, si precisa che esse debbono essere accordate nel rispetto del principio di proporzionalità”. Viene, inoltre, abrogato il comma 8 dell’art. 20 legge n. 287/1990, “reso superfluo dall’attribuzione all’AGCM delle funzioni antitrust per il settore bancario”. 468 Cfr. F. VELLA, Il corporate governance nelle banche tra regole di vigilanza e disciplina di mercato, in Banca impr. soc., 1998, I, p. 73; M. MORI, Banca e impresa, cit., p. 26. Si ricorda, a tal proposito, che nel sistema previgente l’organo di vigilanza bancaria comunicava all’Autorità garante le operazioni poste in esame e ne richiedeva il parere su quelle sottoposte ad istruttoria formale; sulla base di una generale obbligatorietà di comunicazione (v. “nota integrativa”), le operazioni per le quali era necessario il parere dell’Autorità garante venivano, dunque, ristrette a quelle “sottoposte ad istruttoria formale”; sul punto cfr. BANCA d’ITALIA, Relazione del Governatore per il 1991, Roma, 1992, p. 289. L’Autorità garante basava infatti il proprio giudizio (da cui sarebbe scaturito l’atto di parere) sull’operazione sottoposta al suo esame, sulle informazioni pervenute dalla Banca d’Italia, senza procedere, autonomamente, ad ulteriori indagini riguardo alla congruità e agli effetti della decisione dell’Autorità bancaria. In dottrina cfr. D. SARTI, Presupposti e poteri di intervento antitrust sulle concentrazioni bancarie nazionali, in Banca, borsa e tit. cred., 1993, II, p. 483 ss. 469 Se però, per un verso, il parere preventivo presenta il vantaggio di rendere sistematico e trasparente il contributo dell’Autorità settoriale al processo decisionale dell’Autorità garante, dall’altro “la richiesta di tale parere comporta un allungamento del processo decisionale che può essere significativo nel caso delle concentrazioni, mentre non sembra rilevante nel caso delle intese e degli abusi”; così G. BRUZZONE, op. cit., p. 7. 470 Sul punto cfr. A. CATRICALÀ, Audizione del Presidente dell'AGCM presso la I Commissione permanente del Senato della Repubblica sul d.d.l. n. 1366 recante disposizioni in materia di regolazione e vigilanza sui mercati e di funzionamento delle autorità indipendenti, 10 maggio 2007, p. 5, che, nel compiere una valutazione del disegno di legge n. 1366 del febbraio 2007 in materia di Autorità amministrative indipendenti, non manca di sottolineare come all’art. 14, comma 5, del medesimo si proponga “l’introduzione del parere della Banca d’Italia per le procedure relative alla concorrenza tra gli istituti di credito. In effetti, riteniamo che sia opportuno acquisire anche il parere del soggetto regolatore, incaricato di svolgere funzioni di vigilanza, tuttavia questo parere non può essere una duplicazione della valutazione concorrenziale che spetta solo all’Autorità, né può essere una diversa visione antitrust dell’operazione o del sistema sottoposto ad esame”. Peraltro, sarebbe opportuno specificare che il suddetto “parere costituisce il veicolo attraverso il quale la Banca d’Italia segnala all’Autorità la necessità di derogare a norme antitrust per esigenze di stabilità”. 471 Un possibile conflitto tra stabilità e concorrenza si ravvisa in presenza di situazioni di crisi, la cui soluzione, con contestuale salvaguardia dei diritti dei depositanti, può solamente essere perseguita attraverso un’operazione di concentrazione. In tale ipotesi, la banca che acquisisce il controllo dell’impresa in crisi, in cambio del potere di mercato che dall’acquisizione ottiene, si accolla i costi del risanamento. Al fine di contemperare le esigenze di stabilità con le esigenze di tutela della concorrenza può trovare applicazione, come di recente riconosciuto dalla Corte di Giustizia, sent. 31 marzo 1998, relativa alla decisione della Commissione europea del 14 dicembre 1993, n. IV/M.302, in G.U.C.E. L 186, 21 luglio1994, riguardante l’operazione di concentrazione tra - 145 - Il meccanismo proposto tiene pertanto conto, in maniera equilibrata, di finalità potenzialmente confliggenti, quali la concorrenza nel mercato e la stabilità finanziaria, mediante l’introduzione di tutele simili a quelle garantite a livello di diritto comunitario, seguendo inoltre le raccomandazioni formulate in passato dalla BCE su questo argomento di assoluto rilievo472. Spetta, però, al legislatore trovare ragioni non concorrenziali che consentano all’Autorità garante di autorizzare una concentrazione “in deroga”473. Per esempio, un’ipotesi di autorizzazione in nome del valore del risparmio si potrebbe prefigurare in presenza di un’impresa che versa in una situazione di crisi non più reversibile, in applicazione del principio della c.d. failure defence474. Questo sarebbe un caso di possibile deroga rispetto alle linee generali delle analisi antitrust, poichè si riconoscerebbe per legge la possibilità di pesare il parere o la decisione in vista di un valore sottostante importante come quello della tutela del risparmio, naturalmente senza tradire il bilanciamento tra vigilanza e concorrenza475. Kali und Salz Ag e Mitteldeutsche Kali AG, la c.d. failing firm doctrine, principio in voga nell’ordinamento statunitense, in base al quale lo stato di insolvenza o il possibile fallimento di un’impresa può costituire un fattore rilevante nell’ambito dell’analisi dell’impatto competitivo di un’operazione di mercato. In dottrina cfr., tra gli altri, W. NEGRINI e M. TRIFILIDIS, Il ruolo della Banca d’Italia nell’applicazione della legge 287/90, in Scritti in memoria di Pietro De Vecchis, Roma, Banca d’Italia, 1999, p. 675; nonché M. TRIFILIDIS, Il ruolo di tutela della concorrenza della Banca d’Italia nel periodo 1999-2000, in Banche e banchieri, n. 1, 2001, p. 5 ss. 472 Al fine di una più razionale sistemazione dell’art. 20, in esame, viene inserito nel comma 3-bis il principio generale (precedentemente contenuto nel comma 7 – che viene contestualmente abrogato) per il quale qualora l’intesa, l’abuso di posizione dominante o la concentrazione riguardino imprese operanti in più settori sottoposti alla vigilanza di più autorità ciascuna di esse adotta i provvedimenti di propria competenza. Di seguito, si specificano i casi relativi alle aziende ed istituti di credito e alle società di assicurazione. 473 Una veloce rassegna dei poteri dell’Autorità garante, che fanno da contorno alla funzione fondamentale di accertamento, va completata con due fattispecie di poteri amministrativi dalla forte connotazione discrezionale. Si tratta di un potere, che l’art. 4 legge n. 287/1990 definisce di << autorizzazione in deroga >>, il cui esercizio presuppone un apprezzamento discrezionale di interessi individuati direttamente dal legislatore. L’Autorità smette infatti l’abito di organo neutrale di qualificazione di fatti e veste quelli di amministratore preposto alla cura di interessi. Come si è visto, la legge n. 287/1990 contiene nell’art. 25 una disposizione analoga anche per le concentrazioni. L’art. 25 prevede che l’Autorità possa autorizzare operazioni di concentrazione vietate ai sensi dell’art. 6. Le due fattispecie, tuttavia, sembrano poco in linea con il ruolo neutrale dell’Autorità garante. In questo modo, infatti, non vi è scissione tra il momento di valutazione tecnica e quello di apprezzamento politico. Inoltre, come precisa M. CLARICH, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Milano, 2005, p. 108, “l’atto amministrativo di dispensa è un elemento strutturale (o costitutivo) della fattispecie dell’intesa così autorizzata, intesa che proprio per effetto del provvedimento diventa valida anche ai fini civilistici”. 474 Non ritiene possibile il ricorso alla failing firm defense intesa in senso tradizionale G. BRUZZONE, op. cit., p. 10, la quale sostiene che in virtù del “diritto comunitario e, grazie al vincolo interpretativo di cui all’art. 1, comma 4, della legge n. 287/1990, anche nella normativa italiana a tutela della concorrenza la possibilità di avvalersi della failing firm defense nel controllo delle concentrazioni è strettamente limitata”. Nel caso Kali und Salz la Commissione europea ha sostenuto che se la concentrazione non avesse avuto luogo il fallimento dell’impresa oggetto di acquisizione avrebbe comunque conferito all’impresa acquirente una posizione di monopolio su base durevole. In proposito cfr. Corte di Giustizia delle Comunità europee, sentenza 31 marzo 1998, Repubblica francese c. Commissione, C 68/94 e 30/95. Cfr. anche gli Orientamenti della Commissione europea relativi alla valutazione delle concentrazioni orizzontali a norma del regolamento del Consiglio relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese, 2004/C/31/03 del 5 febbraio 2004, punti 89-91. 475 Cfr., tra gli altri, W.F. BAXTER, Remarks: The Failing Firm Doctrine, in Antitrust L. J., 1982, 50, p. 247; A. TOFFOLETTO, op. cit., p. 505 s.; E.O. CORREIRA, Riexamining The Failing Company Defense, in Anttrust L. J., 1996, 64, p. 683; P.E. NOEL, La théorie de l’entreprise en difficulté et la notion de position dominante collective en matière de controle communautaire des concentrations, in Rev. dr. des affaires internationals, 1998, p. 893 ss.; P. MAPELLI e F. STELLA, Concentrazioni tra imprese e failing company defense: un confronto tra l’esperienza statunitense e l’esperienza comunitaria, in Giur. comm., 1999, I, p. 49; F. GHEZZI e P. MAGNANI, Banche e concorrenza. Riflessioni sull’esperienza antitrust statunitense, comunitaria e italiana, Milano, 1999, p. 105 e p. 284 ss.; specificamente sull’intervento delle autorità di vigilanza nella soluzione delle crisi bancarie v. M. RISPOLI FARINA, Autorità di vigilanza e soluzione delle crisi bancarie: i casi “Crédit Lyonnais” e “Banco di Napoli”, in Riv. dir. impr., 2000, p. 172 ss. - 146 - D’altro canto, le modifiche all’art. 20 della legge n. 287/1990 sono finalizzate a restituire coerenza al sistema della ripartizione della competenza per finalità, eliminando illogicità più o meno manifeste, difficoltà operative o problemi interpretativi476. Va sottolineato, in proposito, che la legislazione italiana non contemplava espressamente la possibilità di derogare alle disposizioni antitrust con riferimento a imprese in crisi, onde l’introduzione di questa ipotesi applicativa nel nostro ordinamento deriva dall’occoglimento dei principi interpretativi elaborati in sede europea477 (come consente l’art. 1, comma 4, della legge n. 287/1990). È necessario, pertanto, “che tale strumento di valutazione sia applicabile solo qualora risultino verificati gli stringenti criteri ai quali l’accoglimento di tale impostazione è subordinato in sede comunitaria”. Si richiede, in altre parole, che “il fallimento dell’impresa che si intende acquisire rappresenti un evento imminente e inevitabile (in assenza della concentrazione l’impresa è destinata a uscire dal mercato) e, al contempo, manchino soluzioni alternative di minore impatto concorrenziale”478. 5.2. Ulteriori aspetti critici e interventi ipotizzabili a confronto. Volendo svolgere qualche ulteriore valutazione de iure condendo, in primo luogo viene da chiedersi che cosa potrebbe accadere qualora ci fosse una diversità di giudizi tra le due Autorità. Invero, da un’interpretazione letterale del dato normativo, non sembra potersi scorgere alcun elemento/criterio che consenta di indicare chiaramente quale debba essere tra i due il parere prevalente in caso di disaccordo (art. 21 della legge 262/2005)479. Risultati apprezzabili, si ritiene, potrebbero essere raggiunti, ad esempio, definendo una successione logico-temporale (sequenza) fra le scelte delle due Autorità. È evidente, infatti, che l’Autorità che decide per prima seleziona ossia restringe lo spettro delle alternative accessibili In tal senso v. Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo di coordinamento e di adeguamento del T.u.b, del T.u.f. e delle altre leggi speciali alla legge per la tutela del risparmio, pp. 1 e 5, ove testualmente si legge: “Le modifiche all’art. 20 della legge n. 287/1990 sono parte di un più ampio intervento, che comprende anche l’abrogazione dei commi 12, 13 e 14 dell’art. 19 della legge n. 262/2005, con il quale, pur non modificando, nel rispetto della delega, il contenuto precettivo della legge n. 262/2005, si è data soluzione a taluni problemi applicativi derivanti dal trasferimento all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) delle funzioni in materia antitrust sul settore bancario prima attribuite alla Banca d’Italia”. 477 Questa teoria è stata accolta in ambito comunitario prima nel regolamento del Consiglio n. 1310/97/CE, e ora nel regolamento n. 139/2004/CE. In dottrina cfr. V. AMENDOLA e P.L. PARCU, L’antitrust italiano. Le sfide della tutela della concorrenza, Torino, 2003, p. 293 ss.; V. MANGINI e G. OLIVIERI, Diritto antitrust, Torino, 2005, p. 120; G. OLIVIERI, Concorrenza e stabilità nella riforma dell’antitrust bancario, in Analisi giuridica dell’economia, 2004, p. 187 ss. 478 Così G. ROTONDO, Il controllo antitrust nel mercato finanziario, cit., p. 179. In senso conforme v. F. AMMASSARI, La “failing firm defense” nella valutazione delle operazioni di concentrazione, in Concorrenza e mercato, 1999, p. 258 ss e p. 266 ss.; nonché C. BRESCIA MORRA, I controlli sull’impresa bancaria, in L’impresa bancaria, cit., p. 316 s. 479 Sull’argomento cfr. ASTRID, La Banca d’Italia e l’assetto della vigilanza bancaria. Proposte di riforma, novembre 2005, disponibile sul sito www.astrid.it, dove puntualmente si osserva: “Neppure è pensabile, come alternativa drastica alla situazione odierna, l’attribuzione esclusiva dei poteri di autorizzazione (o preferibilmente di opposizione) in materia di concentrazioni bancarie all’AGCM, poiché resta pur sempre l’esigenza di valutare l’esito di un’aggregazione in termini di stabilità. Una soluzione intermedia, nel caso di fusioni e acquisizioni, può consistere nell’introduzione di in un doppio filtro: una previa valutazione (vincolante) dell’AGCM circa la compatibilità della operazione con l’obiettivo di tutela della concorrenza; in caso di valutazione positiva della AGCM, successiva valutazione (vincolante) di Banca d’Italia circa il soddisfacimento delle esigenze di stabilità. Questa procedura di doppio filtro richiede, ovviamente, che siano soddisfatte due condizioni, una generale e una specifica: trasparenza piena delle procedure decisionali seguite; eliminazione dell’obbligo di comunicazione preventiva alla Banca d’Italia”. La proposta elaborata dagli esperti prevede, dunque, che la competenza in materia di concorrenza nel settore bancario venga trasferita all’Autorità garante, fermo restando che “in caso di fusioni e acquisizioni, la Banca d’Italia potrà opporsi, con provvedimento motivato, alle operazioni autorizzate dalla ACGM, qualora le ritenga pregiudizievoli alla stabilità del sistema”. 476 - 147 - per l’altra; così come è altrettanto evidente che l’Autorità chiamata ad effettuare l’ultima scelta rischia determinare il risultato finale, pur se sotto il vincolo fissato dalla scelta precedente. Ciò premesso, nessuna preclusione formale impedirebbe di fare ricorso ad una procedura basata su una sequenza di controlli che, pur ispirandosi al criterio della “doppia barriera”, configurasse la seguente griglia: a) ogni concentrazione bancaria dovrebbe passare al vaglio dell’AGCM riguardo ai profili rilevanti per la concorrenza; b) se sopravvissuta al primo filtro, la concentrazione avrebbe il definitivo via libera solo dopo aver superato anche il secondo filtro della Banca d’Italia relativo ai profili di stabilità. Questo approccio consentirebbe di non sacrificare la tutela della concorrenza sull’altare della stabilità, e nel contempo di lasciare in capo alla Banca d’Italia una sorta di diritto di veto (cioè l’ultima decisione). Qualora, infatti, si volesse sostenere, capovolgendo l’ipotesi iniziale, che le competenze attinenti all’accertamento dei requisiti di solvibilità delle parti, a loro volta strettamente connessi alla garanzia di stabilità, richiedano l’intervento dell’organo di vigilanza bancaria in una fase anteriore alla notifica all’Autorità antitrust, occorrerebbe invertire la sequenza di cui sopra. In tal caso l’Autorità garante sarebbe deputata a valutare, sotto il profilo della concorrenza, solo le operazioni che la Banca d’Italia giudica “neutre” per la stabilità dell’intero sistema bancario (ad esempio, per il rischio di “contagio”)480. E del resto, sembrerebbe che, sul punto, l’architettura della riforma si ispiri a tale ultima dottrina481. Quale che sia il modello da preferire, resta fermo comunque che la decisione di una delle due Autorità assunta per esigenze di stabilità (concorrenza), ma in contrasto con i principi di tutela della concorrenza (stabilità), può sottoporsi al vaglio dell’autorità giudiziaria competente, che provvederà ad annullarla ove, a conclusione del processo di valutazione dei diversi interessi in gioco, la ritenga illegittima482. Inoltre, vale la pena ricordare che, a differenza della valutazione posta in essere dalla Banca d’Italia, l’autorizzazione concessa dall’Autorità garante in merito alle operazioni di concentrazione non configura l’esercizio di un potere discrezionale. Quando ci sono le condizioni per l’aurtorizzazione, l’Autorità ha l’obbligo di autorizzare; quando quelle condizioni non sussistono l’AGCM può non autorizzare. 480 Cfr. ASSONIME, Circolare n. 21, cit., p. 20, secondo cui: “ciò non impedirebbe un eventuale coordinamento della tempistica dell’esame della fattispecie da parte delle due Autorità. Anche in questa ipotesi, naturalmente, resterebbe necessaria la valutazione positiva di entrambe per potere realizzare l’operazione”. 481 Cfr. F. DENOZZA e A. STABILINI, Rapporti e possibili conflitti tra le autorità preposte all’applicazione della normativa sulla ncorrenza con riferimento al settore bancario, in M. POLO (a cura di), Industria bancaria e concorrenza, Bologna, 2000, p. 427. Gli Autori ritenendo possibile e giustificabile che gli obiettivi del diritto antitrust vengano parzialmente sacrificati ad altri scopi ritenuti più rilevanti, auspica che sia il legislatore e non le Autorità amministrative a “farsi caico di scegliere se e in che misura comprimere gli obiettivi di tutela della concorrenza a favore di obiettivi differenti, fornendo alle Autorità incaricate la possibilità di applicare la disciplina secono criteri di valutazione chiari, trasparenti e preterminati”. Secondo l’opinione espressa da M.C. CARDARELLI, Concorrenza e stabilità nel settore del credito, cit., p. 381, il necessario coordinamento dei due valori comporta che la concorrenza subisca una trasformazione: nel senso che, da dinamica qual è in altri settori del mercato, diventi stabile. 482 L’esigenza che nella valutazione delle pratiche anticoncorrenziali, e quindi anche delle concentrazioni bancarie, al pari d’altronde di quanto avviene in qualsiasi altro campo dell’azione amministrativa, si debba provvedere ad un bilanciamento di interessi della stabilità e della concorrenza, si desume da una decisione del TAR Lazio, sez. I, 15 febbraio 1995. Nel caso di specie, il giudice amministrativo, ancorché con riferimento ad una vicenda riguardante il settore assicurativo, ha censurato un provvedimento del Garante ritenuto responsabile di non avere “in alcun modo tenuto conto delle raccomandazioni che provenivano dall’organo di vigilanza sulle assicurazioni private (…) in un procedimento che prevede il coordinamento degli interessi pubblici in gioco e non la apodittica prevalenza di uno di essi sull’altro”. - 148 - 6. Opa e operazioni di concentrazione. I legami fra disciplina della concorrenza e disciplina del mercato mobiliare. Nell’ordinamento attuale le Opa rientrano nel novero delle operazioni di concentrazione483 e, pertanto, necessitano anch’esse di un’autorizzazione che ne valuti l’impatto dal punto di vista antitrust, secondo una procedura abbreviata disciplinata dall’art. 16 della legge 10 ottobre 1990, n. 287484. Del resto, le ipotesi più importanti e frequenti nelle quali può verificarsi un’intersezione fra la disciplina della concorrenza e la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998 (T.u.f.) sono costituite da operazioni di concentrazione fra imprese conseguenti al buon esito di un’offerta pubblica di acquisto. Ed è proprio in relazione a tali fattispecie che la disciplina sulla concorrenza introduce alcuni importanti principi. L’art. 6 della legge 287/1990, infatti, afferma testualmente che “L’offerta pubblica d’acquisto che possa dar luogo ad operazioni di concentrazione soggetta alla comunicazione di cui al comma 1 (il quale a sua volta prevede che le operazioni di concentrazione previste dall’art. 5 della legge n. 287/1990 debbano essere preventivamente comunicate all’Autorità garante) deve essere comunicata all’Autorità contestualmente alla sua comunicazione alla Commissione nazionale per le società e la borsa”. Si tratta, in realtà, di una procedura “abbreviata”, dato che il termine entro il quale l’Autorità garante deve notificare l’eventuale avvio dell’istruttoria si riduce, nel caso di Opa, dai normali trenta a quindici giorni dal ricevimento della comunicazione. La ratio di tale riduzione è da ravvisarsi nella peculiare natura dell’Opa e degli interessi coinvolti nell’operazione. Tale termine può essere prorogato qualora le informazioni fornite siano gravemente inesatte, incomplete o non veritiere; tuttavia, entro il termine perentorio di quarantacinque giorni dall’inizio dell’istruttoria, l’Autorità garante deve dare comunicazione alle imprese interessate delle proprie conclusioni nel merito dell’operazione. Nella disciplina antitrust, in caso di offerta pubblica di acquisto, non si prevede, a differenza di quanto accade nel settore bancario, un diritto dell’Autorità garante di essere informata prima della Consob. A tutela dei soggetti interessati all’operazione, si prospetta pertanto una diversa soluzione al problema del rapporto tra autorizzazioni previste da leggi speciali e disciplina dell’Opa. Difatti, mentre per l’acquisto di partecipazioni bancarie la procedibilità dell’offerta è subordinata al rilascio dell’autorizzazione, la legge n. 287/1990, al contrario, prevede espressamente che l’offerta possa svolgersi in pendenza di istruttoria, anche se, sino all’esito della stessa, viene “paralizzato” l’esercizio dei diritti di voto in capo all’acquirente (art. 17, comma 2)485. Si può essere certi che le diverse soluzioni proposte trovino la loro ragion d’essere nelle differenti esigenze poste dalle discipline di settore: la stabilità del sistema per la disciplina bancaria, la concorrenzialità per la legislazione antitrust.486 Come si è accennato, quando, infatti, la concentrazione riguardi società quotate in un mercato regolamentato in Italia o in un altro Paese dell’Unione europea, e avvenga tramite offerta pubblica di acquisto (Opa), si prevede che le parti interessate debbano comunicare contestualmente l’operazione anche alla Consob ai sensi dell’art. 102 del T.u.f. (v. infra, 483 Come emerge dalla definizione di cui all’art. 5, comma 1, della l. n. 287/1990, le forme di concentrazione prese in considerazione dalla legge antitrust sono la fusione per incorporazione (lett. a), l’assunzione del controllo su un’altra entità economica (lett. b) e, caso meno frequente nella prassi, la costituzione di un’impresa comune (lett. c). 484 Sul punto v. C. RABITTI BEDOGNI, op. ult. cit., p. 287. 485 Cfr. R. WEIGMANN, Le offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 375, secondo il quale l’Opa può legittimamente essere condizionata alla valutazione positiva dell’Autorità garante. 486 In dottrina v. G. CANNIZZARO e S. PROVIDENTI, Riflessioni sull’Opa del dopo-Telecom Italia, in Il Sole 24 Ore, 10 luglio 1999. - 149 - diffusamente, cap. III)487. La comunicazione alla Consob è identificata con quella di cui all’art. 102, comma 2, T.u.f., intendendosi la “contestualità” come “non precedenza” della comunicazione all’Autorità garante rispetto alla comunicazione alla Commissione di vigilanza per le società. La ricordata intervenuta modifica dell’art. 37 del regolamento Consob ha determinato, del resto, anche il superamento dell’interrogativo se la suddetta “contestualità” dovesse determinarsi in relazione alla “prima comunicazione” alla Consob, oppure alla comunicazione integrata dalla bozza di regolamento, ovvero ancora alla pubblicazione del documento informativo488. La legge n. 287/1990 specifica in dettaglio anche il procedimento secondo il quale l’Autorità preposta deve condurre il proprio esame, prevedendone la suddivisione in due fasi489. In una prima fase, che potremmo definire di pre-istruttoria, l’Autorità garante valuta, sulla base del fatturato realizzato a livello nazionale490 – rispettivamente dalle imprese interessate (nel loro complesso) e dall’impresa da acquistare (singolarmente) – se occorra o meno approfondire con una apposita indagine l’impatto concorrenziale dell’operazione491. La seconda fase ha invece luogo solo qualora l’Autorità antitrust ritenga che l’operazione “sia suscettibile di essere vietata ai sensi dell’art. 6”. Segue, in tal caso, l’apertura di un’istruttoria formale, che si svolge nel contraddittorio delle parti e che può chiudersi con un provvedimento che autorizza l’operazione o la vieta, oppure ancora che ne subordina l’autorizzazione all’assunzione delle misure ritenute necessarie per la tutela della concorrenza492. Infine, resta da segnalare che a norma dell’art. 17, comma 1, della l. n. 287/1990 l’Autorità antitrust, a seguito di apertura dell’istruttoria, può ordinare alle imprese interessate di sospendere la realizzazione della concentrazione fino alla conclusione dell’istruttoria (con evidenti ripercussioni sul corso dei titoli della società bersaglio), cioè entro il termine 487 Si ricorda inoltre che ai sensi dell’art. 40 reg. emittenti n. 11971/99 il documento informativo richiesto ai fini del valido avvio della procedura di Opa deve essere corredato dall’autorizzazione dell’Autorità garante. 488 Cfr. L.G. PICONE, L e offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 35, che, nel vigore del vecchio testo dell’art. 37 regolamento emittenti, riteneva rilevante la comunicazione del documento informativo. In tal senso v. pure G. FALCONE, Le offerte pubbliche di acquisto: la disciplina generale, in Le offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 88. 489 Al riguardo v. i limiti di applicazione della normativa antitrust delineati nell’art. 16, comma 1 e 2, della legge n. 287/1990. 490 Cfr. art. 1, comma 1, legge n. 287/1990. In merito alla competenza dell’autorità nazionale in tema di rapporti con l’ordinamento comunitario, la legge n. 287/1990 adotta una posizione “intermedia” tra la teoria della “doppia barriera” e la teoria della “barriera unica”, col preciso scopo di evitare ex ante tutti i possibili equivoci nell’applicazione delle due normative. 491 Sul divorzio tra stabilità e concorrenza esiste oggi in Parlamento un largo consenso bipartisan. Alcune delle iniziative di legge sul riassetto delle Autorità indipendenti convergono verso lo schema c.d. “tripartito”: stabilità a Banca d’Italia, concorrenza all’Autorità garante del mercato e trasparenza alla Consob. Una tale soluzione dovrebbe consentire, in linea di massima, di stemperare eventuali tensioni che possono sorgere tra l’obiettivo di tutela della concorrenza e quello di un efficiente funzionamento del mercato dei capitali. In alcuni casi il primo potrà porre condizioni più stringenti del secondo, qualora un’Opa, seppur regolare dal punto di vista della regolamentazione dei mercati di borsa, possa determinare effetti anticompetitivi. Viceversa, in altri casi, non sussistendo preoccupazioni di tipo anticoncorrenziale, l’adeguato svolgimento dell’Opa secondo le regole fissate dalla Consob garantirebbe anche il conseguimento di obiettivi antitrust. Per utili approfondimenti sull’applicazione della disciplina antitrust all’Opa si rinvia ancora a M. POLO, Concorrenza e Opa nell’industria bancaria, cit., p. 265 s. L’Autore, tra l’altro, osserva che “una soluzione che quindi distingua tra autorizzazione preventiva della concentrazione da parte dell’organo preposto all’intervento antitrust e sorveglianza delle procedure di acquisizione da parte dell’istituto di vigilanza di borsa sembra raggiungere la necessaria flessibilità ed efficacia”. In tal senso cfr. anche G.L. PICONE, le offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 35; R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2001, p. 693. 492 Qualora, invece, l’Autorità garante non ritenga necessario aprire il procedimento, deve darne comunicazione, entro trenta giorni (quindici nel caso di Opa) dal ricevimento della modifica, ai soggetti interessati e al Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, esprimendo, al contempo, le proprie conclusioni circa il caso di specie. - 150 - perentorio massimo di quarantacinque giorni, previsto dall’art. 16, comma 8, della l. n. 287/1990493. Si segnala, comunque, l’opportunità di operare in modo da circoscrivere temporalmente la durata dell’istruttoria, sì da evitare che la stessa possa perdurare oltre il limite di chiusura dell’offerta. 7. L’esame delle concentrazioni bancarie nel diritto comunitario antitrust. Profili introduttivi. Il rapporto tra diritto antitrust europeo e normative nazionali è peculiare. La competenza antitrust non può definirsi “esclusiva”, perché non impedisce agli Stati membri di emanare normative antitrust, e/o normative non antitrust che si applicano alle fattispecie regolate dagli artt. 81 e 82 CE. “Allo stesso tempo non può neanche definirsi come << ripartita >>, perché gli artt. 81 e 82 CE hanno effetto diretto e sono direttamente applicabili”494. La disciplina antitrust sopra analizzata non si applica alle operazioni di concentrazione di dimensione comunitaria, il cui esame spetta alla Commissione europea ai sensi l’art. 21, comma 3, del regolamento CE n. 139/2004 del Consiglio. D’altro canto, la stessa legge n. 287 del 1990, oltre a disciplinare il fenomeno concorrenziale bancario, definisce il suo ambito di intervento ed i necessari collegamenti con la normativa comunitaria495. La legge nazionale precisa, infatti, che essa trova applicazione soltanto in via residuale rispetto al diritto comunitario, laddove la condotta restrittiva della concorrenza (intese, abusi di posizione dominante e concentrazioni di imprese) non abbia valenza comunitaria, cioè non ricada nell’ambito di applicazione degli artt. 81 e 82 del Trattato 493 Volendo porre l’attenzione sull’interesse del mercato e dei piccoli azionisti torna alla mente quanto verificatosi in occasione del lancio dell’Opa Seat-Tin.it. Nel documento di offerta si prevedeva come condizione risolutiva che l’Antitrust autorizzasse, peraltro senza riserve e condizioni, il piano di integrazione tra le due società interessate. L’Opa in questione risultava, pertanto, irrevocabile solo apparentemente. In pratica, per conoscere il buon esito dell’Opa gli oblati avrebbero dovuto attendere sessanta giorni, nel corso dei quali chi avesse aderito all’offerta non avrebbe potuto fare altro che aspettare. Durante questo arco di tempo viene meno sia la disponibilità del titolo, che quindi non può essere venduto, sia la disponibilità del corrispettivo dell’offerta, il tutto senza avere neanche la certezza di aver effettivamente ceduto le azioni all’offerente. La responsabilità di questa strana situazione evidentemente non era addebitabile all’Autorità Garante del mercato, chiamata per legge a verificare, entro i termini previsti, che per effetto dell’operazione non si creassero nei settori interessati posizioni dominanti tali da alterare la concorrenza. La responsabilità era semmai imputabile alla Consob, che aveva autorizzato un prospetto contenente una condizione risolutiva così drastica e tale da porre l’azionista della società target in una posizione di assoluto svantaggio per un periodo di tempo eccessivamente lungo. Accettabile e rispettosa del mercato sarebbe stata piuttosto la previsione di una condizione risolutiva legata all’effettiva realizzazione della fusione. In tal modo si sarebbe collegata l’inefficacia dell’Opa solo all’ipotesi in cui le condizioni poste dall’Antitrust fossero risultate tali da spingere le due società a rinunciare al loro progetto. In quel caso ci sarebbe stato, nel rispetto del principio del market egalitarianism, un’equilibrata ponderazione tra l’interesse dell’offerente e quello degli azionisti della società da acquisire, e un rapporto logico tra la rinuncia all’integrazione e l’inefficacia dell’Opa, che, in forza del noto meccanismo del way-out, è stata presentata come una forma di recesso per quegli azionisti che non intendano partecipare al progetto. Inoltre, di fronte all’evidente diversità di trattamento tra piccoli e grandi azionisti della società target, e alla natura così assurdamente formale della condizione risolutiva venuta a pesare sull’efficacia dell’Opa, sarebbe stato auspicabile da parte della Consob quanto meno la concessione di una proroga della durata dell’offerta o addirittura la sospensione della stessa fino alla conclusione dell’indagine dell’Antitrust. 494 In tal senso v. A. FRIGNANI e R. PARDOLESI, La concorrenza, Torino, 2006, p. 7, che, in particolare, rinvia alle osservazioni della Corte di Giustizia, sent. del 17 luglio 1992, causa C-67/91, Direcciòn general de Defensa de la competencia v. Asociaciòn Espanola de Banca Privada ed altri (Banca Spagnola), in Raccolta, 1992, I-4785; e al commento di L.F. PACE, I fondamenti del diritto antitrust europeo, Milano, 2005, p. 150. 495 In proposito v. M. D’ALBERTI, La “Rete europea di concorrenza” e la costruzione del diritto antitrust, Relazione al VI Convegno “Antitrust fra diritto nazionale e diritto comunitario”, Treviso, 13-14 maggio 2004. - 151 - dell’Unione496 e del citato regolamento CE 139/2004 del 20 gennaio 2004 sul controllo delle concentrazioni497. Peraltro, la Commissione Europea funge, seppur indirettamente, da arbitro della competenza attribuita all’Autorità nazionale498. Il Trattato CE, al fine di garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno499, prevede nella parte terza, sotto la rubrica “Regole di Concorrenza”, specifiche disposizioni antitrust che vanno dall’art. 81 all’art. 89. Tali norme sono suddivise in due sezioni: la prima, con il titolo “Regole applicabili alle imprese”, contiene gli artt. 81 e 82 che rispettivamente vietano: l’uno, gli accordi e le pratiche concordate che abbiano per oggetto o per effetto di pregiudicare la concorrenza; l’altro, lo sfruttamento abusivo di posizione dominante; la seconda, con il titolo “Aiuti concessi dagli Stati”, contiene gli artt. 87 e 88500. In subjecta materia va, tuttavia, precisato che la modifica normativa di cui all’art. 19, comma 11, della legge n. 262/2005 (che ha abrogato i comma 2, 3, e 6 dell’art. 20 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 sulla tutela della concorrenza), si riflette anche sulla competenza ad applicare le disposizioni comunitarie in materia di intese e abuso di posizione dominante. La legge 6 febbraio 1996, n. 52 (legge comunitaria 1994) aveva infatti previsto la competenza dell’Autorità garante della concorrenza del mercato ad applicare gli artt. 81 e 82 del Trattato “in quanto autorità nazionale competente in materia di concorrenza” facendo però salvo quanto disposto dall’art. 20 della legge n. 287/1990. Mentre, quindi, prima delle recenti modifiche Per un confronto puntuale delle disposizioni contenute nella legge n. 287/1990 e nel Trattato Cee, cfr. R. ALESSI e G. OLIVIERI, La disciplina della concorrenza e del mercato (Commento alla l. 10 ottobre 1990, n. 287 ed al Regolamento Cee n. 4064/89 del 21 dicembre 1989), Torino, 1991, specialmente pp. 16 ss., 34-35, 49 ss.; M.TODINO, La riforma del controllo comunitario delle concentrazioni, in Contratto e Impresa Europa, n. 2, 2004, p. 1079 ss.; F. STELLA, Il regolamento CE n. 1310/1997 del Consiglio che modifica il regolamento CEE n. 4064/89 relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese: un primo commento, in Diritto del commercio internazionale, 1998, p. 31 ss.; M. MILANESI, Antitrust e concentrazioni tra imprese nel diritto comunitario, Milano,1992, p. 38 s. 497 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione del 2 marzo 1998, sulla nozione di concentrazione a norma del regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese (98/C 66/02), in G.U.C.E. C066. Inoltre, in seguito all’entrata in vigore del Regolamento CE n. 1/2003 sulla c.d. modernizzazione, le autorità antitrust nazionali operano come organi decentrati della Commissione UE nell’applicazione degli artt. 81 e 82 del Trattato in materia di concorrenza. In merito cfr. L.F. PACE, Fondamenti del diritto antitrust europeo, cit., p. 87 ss.. 498 La legge 287/1990 prevede, infatti, all’art. 1, comma 2, che il Garante informi la Commissione CE, trasmettendo altresì tutte le informazioni in suo possesso, qualora la fattispecie sottoposta al suo esame assuma valenza comunitaria, e, al successivo comma 4, che “l’interpretazione delle norme contenute nella legge sia effettuata in base ai principi dell’ordinamento della Comunità europea in materia di disciplina della concorrenza”. Qualora invece l’Autorità abbia già avviato un’istruttoria per l’accertamento di una violazione in relazione alla quale anche la Commissione abbia avviato una procedura, l’Autorità è tenuta a sospendere la propria istruttoria, salvo che per gli eventuali aspetti di esclusiva rilevanza nazionale (art. 1, comma 2 e 3, della legge n. 287/1990). 499 Sui rapporti tra la legge n. 287/1990 e il diritto comunitario cfr. F. MERUSI, La legge n. 287 del 1990 e i suoi rapporti col diritto comunitario. Primi appunti, in Dir. comm. int., 1991, p. 173 ss.; G. GUARINO, Sul rapporto tra la nuova legge antitrust e la disciplina comunitaria della concorrenza, in Contr. e impresa, 1990, p. 639 ss. Per la realizzazione delle finalità del Trattato istitutivo della Comunità Europea, versione consolidata contenuta in G.U.C.E. n. C 325/33 del 24.12.2002, l’art. 3, par. 1, lett. g), assegna come obiettivo alla Comunità il compito di creare un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno. Inoltre, l’art. 4, par. 1, del Trattato stabilisce che l’azione degli Stati membri e della Comunità è condotta conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza. 500 Che il diritto comunitario della concorrenza sia applicabile anche alle imprese bancarie è, da tempo, dato pacificamente accolto in dottrina; al riguardo v. A. PATRONI GRIFFI, La concorrenza nel sistema bancario, Napoli, 1979; L.C. UBERTAZZI, Imprese bancarie e diritto comunitario antitrust, in L.C. UBERTAZZI (a cura di), La concorrenza bancaria, Milano, 1985; ID, Imprese bancarie e diritto comunitario antitrust: nuove riflessioni, in Banca impr. soc., 1986, p. 31; A.F. PANZERA, Disciplina comunitaria della concorrenza e sistema bancario italiano, in Banca, borsa e tit. cred., 1990, p. 152; P. MENGOZZI, La disciplina comunitaria sulla concorrenza e attività bancaria, in Banca impr. soc., 1992, 2, p. 215. Ma tale principio aveva trovato conferma anche nella sentenza della Corte di Giustizia, 14 luglio 1981, causa 172/80, Gerhard Zùchner c. Bayerische Vereinsbank, in Raccolta, 1981, 2021; e in Foro It., 1982, IV, 473. 496 - 152 - normative, l’applicazione di tali disposizioni nei confronti delle banche italiane era affidata alla Banca d’Italia, nell’ordinamento attuale tale compito spetta all’Autorità garante501. 7.1. Il caso particolare di svolgimento di un’offerta pubblica di acquisto. In una prospettiva di razionalizzazione sistemica, il reg. 4064/89/CE, del 21 dicembre 1989 (successivamente modificato prima dal reg. 1310/97/CE502 e, da ultimo, dal reg. 139/2004/CE503) aveva introdotto alcune previsioni concernenti specificamente il settore finanziario, comprensivo di tutti i suoi comparti (banche, assicurazioni, intermediari finanziari e mobiliari)504. A norma del regolamento una concentrazione di dimensione comunitaria non può essere realizzata prima di essere notificata, né prima di essere stata dichiarata compatibile con il mercato comune505. La Commissione UE può vietare l’operazione allorché la concentrazione ostacoli in modo significativo una concorrenza effettiva nel mercato comune o in una parte rilevante di esso, in particolare mediante la creazione o il rafforzamento di una posizione dominante506. Nel caso particolare di svolgimento di un’offerta pubblica di acquisto, occorre però considerare alcune disposizioni che tengono conto proprio delle peculiarità legate al fenomeno dei takeovers. In primo luogo, per venire incontro alle esigenze delle imprese, il nuovo regolamento prevede anche la possibilità di notificare la concentrazione prima della conclusione di un accordo vincolante. A norma del par. 2 dell’art. 4, è ammessa, infatti, anche la notificazione di “progetti di concentrazione” quando le imprese interessate dimostrino che hanno in buona fede intenzione di concludere un accordo o, in caso di offerta pubblica, quando hanno pubblicamente annunciato che intendono procedervi. In proposito, v. ASSONIME, Circolare n. 21, cit. Sulla versione del regolamento modificata dal regolamento n. 1310/97/CE v. A. ANTONUCCI, La disciplina comunitaria delle concentrazioni tra imprese: le recenti modifiche al regolamento n. 4064/89, in Giur. comm., 1998, I, p. 412 ss. 503 Il nuovo regime comunitario di controllo delle concentrazioni è stato introdotto con il reg. CEE n. 139/04. Si tratta di una riforma ambiziosa che interviene in maniera incisiva su alcuni aspetti del previgente sistema di controllo delle concentrazioni, pur lasciando nel complesso inalterata l’architettura del medesimo e i suoi principi fondanti, su tutti lo “sportello unico” e la celerità dei procedimenti. Quattro sono i profili, sostanziali e procedurali, su cui incide la riforma introdotta dal nuovo Regolamento al regime comunitario sul controllo delle concentrazioni. Essi riguardano: la ripartizione delle competenze tra Commissione e autorità nazionali ed il connesso sistema dei rinvii, il test di valutazione delle concentrazioni, le procedure e i poteri della Commissione. 504 Come suggerisce G. ROTONDO, Diritto Antitrust e Intermediazione Finanziaria, Napoli, 2000, p. 23, nell’ambito del regolamento in esame è possibile, in linea di massima, adottare la seguente suddivisione: “1) norme che tengono conto della specificità delle categorie di intermediari (banche e società finanziarie, da un lato, e assicurazioni, dall’altro) e che si traducono essenzialmente in regole ad hoc per la determinazione del fatturato rilevante ai fini della valutazione della concentrazione; 2) norme che tengono in considerazione il funzionamento complessivo del mercato finanziario e azionario nell’applicazione del regolamento sulle concentrazioni (deroghe alla nozione di concentrazione, Opa, etc)”. 505 V. sul punto, P. CASSANIS e P. SABA, La riforma comunitaria sul controllo delle concentrazioni, in Le nuove leggi civili, n. 3, 2004, pp. 405-448. 506 L’art. 3, §§. 2 e 3, fornisce la nozione di controllo, sulla quale si rinvia, seppur con riferimento alla precedente disciplina (sostanzialmente invariata), alle specificazioni contenute nella Comunicazione della Commissione sul concetto di concentrazione a norma del regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio, del 21 dicembre 1989, relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese, in G.U.C.E. C385 del 31 dicembre 1994, p. 6 ss. 501 502 - 153 - Sempre nell’interesse delle imprese notificanti, è stato reso più flessibile l’obbligo di sospensione di cui all’art. 7 del regolamento507. In particolare, per le Opa si prevede che tale adempimento ricada in capo all’offerente (art. 7, par. 1, reg. 139/2004), precludendo così alla società bersaglio di adoperarsi per ritardare la scalata. Di regola, l’esecuzione dell’operazione prima di tre settimane dalla data della stessa (così come la mancata esecuzione) comporta l’assoggettamento dell’impresa inadempiente a sanzioni pecuniarie. A conferma del regime di favore per le Opa, il regolamento stabilisce, inoltre, l’inapplicabilità della norma relativa alla sospensione della concentrazione qualora si sia in presenza di un’offerta pubblica d’acquisto o di scambio regolarmente notificata508. In questi casi, si ritiene sufficiente imporre all’offerente la sospensione dell’esercizio del diritto di voto relativo alle partecipazioni, così da non recare pregiudizio alla molteplicità di interessi sottesi all’operazione509. La validità delle transazioni realizzate in violazione dell’obbligo di sospensione resta, dunque, condizionata alla decisione della Commissione sulla compatibilità dell’operazione con il mercato comune. Tuttavia, va ricordato che tale decisione non incide sulla validità delle transazioni effettuate su mercati mobiliari vigilati, salvo che si dimostri che le parti fossero a conoscenza (o perlomeno che dovessero esserlo) della violazione dell’obbligo di sospensione510. 7.2. Deroghe alla competenza esclusiva della Commissione Europea a favore dell’Autorità di vigilanza nazionale. Al di là di ogni questione e critica che possa muoversi in ordine all’ipotizzata sussistenza del suddetto vincolo, la sua stessa prospettazione necessita di dar conto di alcuni risvolti problematici. La qualificazione dell’operazione, che comporta l’acquisizione del controllo esclusivo di un’impresa, è tesa ad accertare se la stessa costituisca o meno una concentrazione ai sensi dell’art. 3 del regolamento CE n. 139/2004, e rientri, pertanto, nell'ambito di applicazione di detto regolamento (poiché tale da soddisfare le condizioni previste dall'art. 1 del medesimo) e, di conseguenza, nella competenza esclusiva della Commissione. Nel nuovo art. 9, come modificato dal regolamento 139/04, è prevista la possibilità per la Commissione di rinviare parzialmente il caso allo Stato membro richiedente511. 507 Cfr. art. 17, reg. 139/2004. A presidio del carattere preventivo della comunicazione, la disciplina comunitaria introduce un divieto di realizzazione dell’operazione o una sospensione automatica dei suoi effetti. Nel nuovo testo si è ampliato l’ambito di applicazione della deroga automatica di cui all’art. 7, §. 2, a tutte le acquisizioni dette “striscianti” – ossia effettuate raccogliendo valori mobiliari da più venditori – che beneficiano ora dello stesso trattamento dell’Opa. Come noto, il regolamento 4064/89 già prevedeva una deroga automatica per le offerte pubbliche di acquisto e la possibilità di ottenere una deroga ad hoc purché la domanda fosse debitamente motivata. 508 Cfr. art. 21, reg. 139/2004. La Commissione Ue può esaminare con “procedura semplificata” le offerte pubbliche di acquisto, una modalità usata per i casi meno problematici che “non sollevano preoccupazioni per la concorrenza” e che generalmente incassano il via libera. La notifica dell’operazione viene pubblicata sulla Gazzetta della Commissione e da quel momento gli interessati possono formulare eventuali osservazioni. 509 Cfr. art. 17, comma 2, reg. 139/2004. 510 Sul punto cfr. A. TOFFOLETTO, Le concentrazioni nel diritto comunitario antitrust, in Giur. comm., 1990, I, p. 523 s. Il regolamento consente, infatti, all’acquirente di esercitare i diritti di voto inerenti ai valori mobiliari “soltanto ai fini di mantenere il pieno valore dei suoi investimenti in base a una deroga accordata dalla Commissione conformemente al paragrafo 3” [art. 7, comma 2, lett. b), reg. 139/2004]. La prima deroga dovrebbe essere interpretata in senso restrittivo, ossia con riferimento alle delibere che, ad esempio, mirano a modificare il capitale della società oggetto dell’acquisizione, rischiando così di vanificare gli effetti del takeover, oppure che tendono a realizzare ristrutturazioni aziendali in grado di trasformare la fisionomia dell’impresa. - 154 - Come anticipato, il rinvio parziale si risolve essenzialmente in una suddivisione della competenza ad esaminare la stessa operazione tra organismi posti a due livelli diversi, nazionale e comunitario. Appare sorprendente come tale possibilità, introdotta con la riforma del 1997512, sia stata contemplata anche dalla nuova disciplina del regolamento n. 139/04 che, tra l’altro, doveva essere finalizzata al rafforzamento del principio dello sportello unico e quindi ad evitare alle imprese la notificazione presso più autorità nazionali (e risolvere, pertanto, il c.d. problema dei multiple filings)513. L’esperienza ha dimostrato514 come molto spesso le decisioni delle Autorità nazionali e della Commissione possano divergere significativamente. Situazioni del genere non aiutano a creare presso le imprese un clima di fiducia nel trattamento uniforme delle concentrazioni di dimensione comunitaria, ma soprattutto mettono a repentaglio il concetto stesso di “supremazia” dell’ordinamento comunitario sugli ordinamenti nazionali515. L’istituto del rinvio parziale sembra pertanto obbedire ad un eccessivo riguardo nei confronti del principio di sussidiarietà rendendo il sistema potenzialmente confliggente non solo con il principio dell’one stop shop (a maggior ragione nei casi in cui l’esame di un’operazione sarà rinviato a più autorità516), ma anche con quello della certezza del diritto e della uniformità del controllo delle concentrazioni517. 511 Cfr. art. 9, comma 3, lett. b), reg. 139/04, ove si dice: “la Commissione se ritiene che tale minaccia e tale mercato distinto esistano…rinvia il caso interamente o in parte alle autorità competenti dello Stato membro interessato..”. 512 La possibilità di un rinvio parziale non era contemplata nel regolamento 4064/89 che prevedeva soltanto il rinvio della totalità di un caso ad uno Stato membro. In modo poco ortodosso, tuttavia, la Commissione aveva già proceduto al rinvio parziale anche prima dell’entrata in vigore del regolamento del 1997 (per i casi M.180 Steetley/Tarmac, M.460 Holdercim/Cedest, M.894 Rheinmetal/British Aerospace/Syn Atlas, M.991 Promodès/Casino, M.1019 Preussag/Tvi cfr. sito della DG Concorrenza www.europa.eu.int/comm/competition/merger/cases). 513 Nella maggior parte dei casi, infatti, non è chiaro come l’esame delle operazioni di concentrazione possa essere suddiviso in diversi tronconi, affidandone ciascuno ad una diversa Autorità. In questo senso v. M. MEGLIANI, La riforma della disciplina comunitaria sulle concentrazioni tra imprese, in Diritto del commercio internazionale, vol. 18, n. 3, 2004, p. 685. 514 Cfr. Corte di Giustizia delle Comunità europee, sentenza 31 marzo 1998, Repubblica francese c. Commissione, C 68/94 e 30/95, cit. A rafforzare la sensazione di una defaillance del meccanismo di controllo provvede la circostanza, alquanto sorprendente, che il provvedimento francese sia stato giustificato sulla base della teoria della società in stato di insolvenza (failing company defence) benchè la Commissione avesse già ritenuto che i criteri per l’applicazione di tale teoria non fossero soddisfatti nella fattispecie. Lo stesso Tribunale di primo grado nella causa T-119/02 tra Royal Philips NV c. Commissione del 3 aprile 2003, aveva auspicato un intervento del legislatore che assicurasse l’uniformità dei provvedimenti. Anche nell’ordinamento italiano, nell’ambito della valutazione di operazioni di concentrazione nel settore bancario, vi sono state alcune decisioni della Banca d’Italia in cui l’autorizzazione è stata concessa – nonostante le operazioni creassero una posizione dominante in grado di restringere in misura sostanziale la concorrenza – facendo ricorso ai principi della failing company doctrine. Cfr. Banca d’Italia, provv. n. 1 del 7 gennaio 1993, Banco di Sardegna/Banca Popolare di Sassari, in Boll., 1993, n. 7; e Banca d’Italia, provv. n. 22 del 3 aprile 1998, Banco di Sicilia/Sicilcassa/Mediocredito Centrale, in Boll., 1998, n. 15, con commento di F. GHEZZI e P. MAGNANI, Banche e concorrenza…, cit., p. 287 ss. Si segnalano, per completezza, le opinioni divergenti dell’AGCM, nel parere Banco di Sicilia/Sicilcassa/Mediocredito Centrale, cit., par. 17. 515 Se si tiene conto della più volte affermata complementarietà ed unità di scopi tra diritto nazionale e diritto comunitario della concorrenza, può senz’altro affermarsi che il principio di supremazia dell’ordinamento comunitario non tollera che le autorità nazionali, alle quali viene rinviato l’esame di una concentrazione di dimensione comunitaria, applichino una teoria che la Commissione ha già respinto nella fattispecie in esame. 516 Si vedano, ad esempio, il caso M.1030 Lafarge/Redland, parzialmente rinviato alle autorità nazionali francese ed inglese e, più recentemente, il caso M.2898 Leroy/Brico, parzialmente rinviato a ben tre autorità nazionali (francese, spagnola e portoghese). 517 Sul punto cfr. M. MEROLA e L. ARMATI, La riforma del controllo comunitario delle concentrazioni, in Il Diritto dell’Unione Europea, n. 1, 2004, p. 150. - 155 - Del resto, il rinvio delle Autorità nazionali alla Commissione è rimasto, fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento, uno strumento di riequilibrio della sfera di giurisdizione comunitaria quasi esclusivamente teorico. Nello scenario sopra delineato, la Banca d’Italia esamina(va) ogni ipotesi di aggregazione o di rilevante partecipazione al capitale, tra banche italiane, di banche italiane in banche estere, di banche estere in banche italiane. L’Autorità di vigilanza applicava la legislazione nazionale e comunitaria, assolvendo al mandato, assegnatole dall’ordinamento, sia di garantire la sana e prudente gestione del credito, così da tutelare la stabilità degli intermediari e del sistema nel suo complesso, sia di promuovere la concorrenza. Le recenti decisioni della Banca d’Italia in merito alle scalate straniere su banche italiane, e le polemiche che ne sono seguite, hanno però dato attualità ad un interrogativo più generale: chi deve svolgere la funzione di vigilanza e supervisione sulle operazioni di concentrazione bancaria nell’Europa della moneta unica?518 Come premesso, la procedura standard delineata dal reg. 139/2004 prevede che sia la Commissione UE ad occuparsi delle aggregazioni bancarie che abbiano “dimensione europea”519, per verificare se la concentrazione determina un eccesso di potere in capo allo stesso soggetto sul piano del mercato europeo. Ad un secondo e più rilevatore livello di analisi, il regolamento sulle fusioni stabilisce, tuttavia, che gli Stati membri possano “intervenire” per garantire il rispetto di “norme prudenziali”520. L’art. 21, par. 4, reg. 139/2004 prevede, infatti, un’eccezione alla competenza esclusiva della Commissione, lasciando gli Stati membri liberi di “adottare opportuni provvedimenti per tutelare interessi legittimi”, quali la sicurezza pubblica, la pluralità dei mezzi di informazione, le norme prudenziali”, ossia la stabilità dei sistemi creditizi e finanziari521. 518 Cfr. Indagine conoscitiva su “I rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio”, Camera dei Deputati, XIV Legislatura, seduta del 20 gennaio 2004. In quella sede è emersa con chiarezza una diversità di impostazione tra Banca d’Italia e Autorità antitrust sulle questioni dell’applicazione della normativa antitrust al settore bancario e dell’esercizio dei poteri autorizzatori in materia di acquisizioni di pacchetti azionari di banche italiane da parte di istituti di credito europei. Da un lato, la Banca d’Italia ha esercitato in via informale un ruolo di protettore dei “campioni nazionali”, promovendo piuttosto le aggregazioni nazionali. Dall’altro, l’AGCM si è dichiarata favorevole ad aprire il mercato italiano a concorrenti stranieri, come ha precisato il presidente G. Tesauro: “l’interesse nazionale è un ingrediente eccentrico rispetto al valore della concorrenza, così come << reciprocità >> è una bellissima parola ma estranea al sistema comunitario”. 519 In proposito v. art. 1, §. 1, reg UE 139/2004, secondo cui un’Opa ha “dimensione comunitaria” quando “il fatturato totale realizzato a livello mondiale dall’insieme delle imprese interessate è superiore a 5 miliardi di euro, e il fatturato totale realizzato individualmente nella Comunità da almeno due delle imprese interessate è superiore a 250 milioni di euro”. Tuttavia, il riferimento al fatturato come parametro dimensionale non è stato ritenuto adeguato a rappresentare la realtà economica di settori connotati da evidenti peculiarità operative e, pertanto, non si applica a banche, istituti finanziari e imprese di assicurazione, in sostanza ai soggetti che svolgono attività di intermediazione finanziaria (art. 5, §. 3). 520 Sulle difficoltà di precisare il concetto di “norme prudenziali”, in particolare per quanto attiene alla disciplina comunitaria delle concentrazioni, v. G. ROTONDO, Il controllo antitrust nel mercato finanziario, Napoli, 2004, p. 166. Riguardo ai regimi di autorizzazione preventiva la Corte di Giustizia ha sancito che affinché vi sia compatibilità con il diritto comunitario è necessario che lo stesso obiettivo non possa essere conseguito con modalità meno restrittive. Sul punto cfr. Corte di Giustizia, sentenza 14 dicembre 1995, cause riunite C-163/94, C-165/94 e C-250/94, Sanz de Lera, punti 23-28; sentenza 1° giugno 1999, causa C-302/97, Konle, punto 44; sentenza 20 febbraio 2001, causa C-205/99, Analir et al., punto 35. Si segnala, peraltro, che nella Proposta di direttiva comunitaria 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sui Servizi nel Mercato interno è disposto che i regimi di autorizzazione sono ammissibili soltanto se sono non discriminatori, necessari per esigenze imperative di interesse generale e proporzionati; in caso contrario, essi devono essere eliminati o sostituiti da meccanismi di controllo a posteriori; gli Stati membri sono tenuti a notificare alla Commissione europea i propri regimi di autorizzazione, giustificandoli espressamente alla luce dei suddetti criteri (artt. 9 e 39). 521 Cfr., ad esempio, Corte di Giustizia, decisione 18 giugno 1996, Sun Alliance/Royal Insurance, in Celex, n. 396M759. - 156 - Si configura, pertanto, al ricorrere di tali fattispecie, un’applicazione parallela del regolamento e delle norme nazionali alle operazioni di concentrazione aventi dimensione comunitaria522. Come dato di partenza, due sembrano gli argomenti meritevoli di essere rapidamente segnalati. In primo luogo, è fuor di dubbio che nessuna disposizione normativa consente ad autorità pubbliche interne di ergersi a tutori di malintesi valori nazionalistici (sub specie la difesa dell’“italianità” del sistema bancario)523, soprattutto nel campo dei rapporti economici e delle connesse libertà sancite dai Trattati europei524. In secondo luogo, rileva il mancato rispetto del canone di imparzialità, quando i contendenti non versano in situazioni talmente differenziate da giustificare un diverso trattamento, nonché la violazione del “principio di non discriminazione” in base alla nazionalità (art. 12 Trattato CE)525. 522 Sul punto cfr. F. GHEZZI, Il provvedimento CIR/Cartiera di Ascoli e l’applicazione dell’articolo 20 della legge antitrust, in Riv. soc., 1992, p. 1013 ss; A. RIZZA e BAJARDO, La normativa comunitaria sul controllo delle concentrazioni tra imprese alla luce delle disposizioni di attuazione del Regolamento n. 4064/89 e dei recenti documenti interpretativi della Commissione, in Dir. comun. scambi intern., 1990, 4, p. 759; R. ALESSI e G. OLIVIERI, La disciplina della concorreza e del mercato, cit., p. 109 e p. 294; C.J. COOK & C.S. KERSE, E.C. Merger control, London-Dublin-Hong Kong, 1996, p. 219. Si tenga presente, per altro, che gli Stati membri sono tenuti a notificare alla Commissione europea i propri regimi di autorizzazione, giustificandoli espressamente alla luce dei suddetti criteri. In proposito cfr. Commissione europea, Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno, COM(2006) 160 del 4 aprile 2006, artt. 9 e 41. 523 Nonostante le obiezione della Commissione UE, l’Italia, con decreto del Presidente del Consiglio del 23 marzo 2006, su proposta del Ministro dell’economia e d’intesa con il Ministro delle Attività produttive, ha inteso riconoscere al Tesoro poteri speciali in caso di scalata. Più precisamente si è stabilito che talune aziende statali debbano prevedere nel proprio statuto delle norme che danno all’azionista pubblico particolari poteri di controllo e di veto. Il provvedimento si richiama alla legge n. 474 del 1994 che prevede, tra le società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato che operano nel settore delle fonti di energia, la possibilità di introdurre una clausola che attribuisca al ministro dell’Economia la titolarità “di uno o più dei poteri speciali”. Tuttavia – come si legge nella premessa del decreto – il mantenimento dei poteri di veto sulle scelte strategiche di tali società potrà avvenire “solo per il tempo e nella misura in cui essi sono necessari a garantire i rilevanti interessi pubblici e lo sviluppo della liberalizzazione del mercato”. 524 Cfr. R. BRUNETTA e A. PRETO, La reciprocità dirigista del modello italiano, in Il Sole 24 Ore, 1° marzo 2006. Il fenomeno è già noto e ha portata generalizzata, cioè non specificamente legata al problema delle Opa. Riguardo al criterio della “reciprocità”, si tenga presente che l’art. 25, comma 2, della legge italiana antitrust consente infatti al Presidente del Consiglio dei ministri, su delibera del Consiglio dei ministri e proposta del Ministro delle Attività produttive, nei casi di concentrazioni (fusioni o acquisizioni), “alle quali partecipano enti o Stati che non tutelano l’indipendenza degli enti o delle imprese con norme di effetto equivalente a quello italiano, o applicano disposizioni discriminatorie o impongono clausole aventi effetti analoghi nei confronti di acquisizioni da parte di imprese o enti italiani, di vietare l’operazione per ragioni essenziali di economia nazionale”. 525 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Cabinet of Commissioner Charlie McCreevy, 27.4.2005 D/000806, Bruxelles, in Milano Finanza, 28 aprile 2005, p. 10, volta a stigmatizzare la condotta dell’amministrazione consistita nell’aver irragionevolmente impresso diverse velocità a procedimenti aventi finalità e caratteristiche identiche. I provvedimenti della Banca d’Italia avevano indotto, proprio nel dicembre 2005, la Commissione europea a inviare all’Italia una lettera di messa in mora (2005/2422). La procedura di infrazione è stata successivamente archiviata. Il 12 settembre 2006 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva che modifica la direttiva 2006/48/CE per quanto riguarda le regole procedurali e i criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario (v. infra cap. II, §. 6). In merito, cfr. SEC(2006) 1117; SEC(2006) 1118. Questo vizio si configura quando l’autorità amministrativa nazionale competente, nell’esercizio di potestà discrezionali, riservi in concreto un trattamento differenziato a situazioni oggettivamente identiche (non semplicemente analoghe), in assenza di elementi atti a spiegare la diversità degli assetti configurati: il che costituisce un chiaro sintomo della irrazionalità dell’azione amministrativa. Con riferimento al panorama italiano cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2001, n. 5721; Cons. Stato, sez. V, 10 febbraio 2000, n. 726; Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 1997, n. 476, là dove il vizio trova un riferimento normativo nel principio costituzionale di uguaglianza (art. 3) e nella violazione del principio di imparzialità (art. 97 Cost.). Qui ci si limita a ricordare che il - 157 - Nel caso di specie, la deroga è giustificata dall’esigenza di calibrare l’interesse alla concorrenzialità del mercato con quello alla stabilità del sistema creditizio. Muovendo da quest’ultimo rilievo, occorre tuttavia farsi carico di verificare se possano effettivamente sussistere, con particolare riferimento ai casi di acquisizioni tra banche, le condizioni e i presupposti per l’applicabilità della disciplina “derogatoria” in esame. A ben vedere, infatti, gli Stati membri possono avvalersi della norma in questione solo in uno dei due modi teoricamente possibili. Possono cioè intervenire vietando una concentrazione notificata a livello comunitario ovvero sottoponendone la realizzazione a condizioni e oneri supplementari, al fine di tutelare interessi legittimi diversi da quelli presi in considerazione dal regolamento. Maggiore cautela si impone, invece, nell’ipotesi inversa: in virtù di un’applicazione in senso esclusivamente restrittivo accolta in sede europea, gli Stati non possono, infatti, modificare una decisione di divieto già assunta dalla Commissione Europea. Nessun potere, in altre parole, è attribuito alle autorità nazionali per riabilitare concentrazioni già vietate a livello comunitario, mentre nessuna disposizione esclude un loro intervento censorio nell’ipotesi contraria526. Per chiarire la diversità di spessore tra questi due diversi parametri di valutazione rilevanti ai fini del supposto conflitto, converrà impegnarsi in uno sforzo di chiarimento delle opzioni qualificatorie introdotte dal legislatore europeo. In linea di principio, tale “asimmetria” è importante perché impedisce alle autorità nazionali competenti di sfruttare le porte aperte dall’art. 21 per salvaguardare gli interessi dei campioni nazionali a cui, per ipotesi, la Commissione avesse sbarrato la strada con una decisione di divieto527. Più in generale, è lecito affermare che nel caso di un eventuale conflitto tra istanze di tutela della concorrenza e istanze legate all’interesse pubblico, il legislatore comunitario abbia scelto di far valere le prime528. E del resto depone a favore di tale convincimento il fatto che nell’ipotesi in cui si vieta una concentrazione già autorizzata a livello comunitario non vi è alcuna necessità di ponderare tra istanze potenzialmente configgenti529. rilievo del vizio di discriminazione postula dunque un confronto tra distinte determinazioni alla luce delle situazioni fattuali su cui esse si proiettano, occorrendo all’uopo la previa individuazione di un legittimo tertium comparationis (v. Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2001, n. 2798; Cons. Stato, sez. VI, 18 dicembre 1987, n. 975); si tratta cioè di svolgere una inferenza di tipo analogico, che, muovendo dalla evidenziazione di profili di identità tra situazioni fattuali, porti al risultato della applicazione della medesima regola o di regole uniformi. 526 Cfr. G. ROTONDO, Il controllo antitrust nel mercato finanziario, cit., p. 165 s. 527 In tal senso v. A. MACCHIATI e L. PROSPERETTI La politica dei campioni nazionali: tra rinascita e crisi, in Mercato concorrenza regole, 2006, 3, p. 455 ss. 528 In merito v. ancora G. ROTONDO, ult. op. cit., p. 165 s. Con riguardo all’applicazione del presente regolamento e in materia di competenza, l’art. 21, §. 4, reg. UE 139/2004 così recita: “Nonostante i paragrafi 2 e 3, gli Stati membri possono adottare opportuni provvedimenti per tutelare interessi legittimi diversi da quelli presi in considerazione dal presente regolamento e compatibili con i principi generali e le altre disposizioni del diritto comunitario”. La norma prosegue specificando che “sono considerati interessi legittimi, ai sensi del primo paragrafo, la sicurezza pubblica, la pluralità dei mezzi di informazione, le norme prudenziali”. Si prevede, inoltre, che “qualsiasi altro interesse pubblico è comunicato dallo Stato membro interessato alla Commissione ed accettato dalla stessa, previo esame della sua compatibilità con i principi generali e le altre disposizioni del diritto comunitario, prima che i provvedimenti di cui sopra possano essere presi. La Commissione notifica la sua decisione allo Stato membro interessato entro 25 giorni lavorativi dalla data della suddetta comunicazione”. 529 Sul bilanciamento possibile tra concorrenza, stabilità e addirittura interesse nazionale cfr. G. TESAURO, (Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato), Indagine conoscitiva dinanzi alle Commissioni riunite VI Camera e X Senato, Camera dei Deputati, seduta del 29 gennaio 2004, p. 26, che ritiene “ L’interesse nazionale un ingrediente eccentrico rispetto al valore della concorrenza, ma forse anche rispetto al valore della stabilità”. - 158 - 7.3. Gli ostacoli regolamentari al cross border banking in Europa. Se anche si volesse prescindere dagli stimoli suggeriti dalla prospettiva comparitistica (v. infra cap. 2), è al piano dell’attività di normazione che vanno ricondotti l’esame e l’eventuale soluzione del problema legato all’elevato grado di discrezionalità che la legislazione nazionale riconosce all’autorità di settore, strumento di cui si è rilevato il palese contrasto con il processo di armonizzazione ormai in atto nei Paesi dell’Unione europea530. Non è un problema di concorrenza, ma di cattivo uso delle norme, anche di quelle comunitarie, per creare barriere all’ingresso di imprese (non solo bancarie) nel proprio Paese531. Conviene qui riprendere succintamente le fila di un rilievo iniziale, al fine di illustrare come esso possa a questo punto trovare adeguata risposta. La Commissione europea ha più volte affermato che le misure restrittive agli investimenti intra-UE risultano incompatibili con il Trattato e i principi fondamentali dell’Unione. Sono ammesse azioni restrittive, ma solo se attuate con criteri oggettivi, coerenti e noti, e se giustificate dalla necessità di salvaguardare l’interesse generale532. Per evitare un uso strumentale degli spazi lasciati liberi dal regolamento, la Commissione agisce in una duplice direzione. Da un lato, interpreta in modo alquanto restrittivo il concetto di interesse legittimo, che deve essere comunque pienamente compatibile con i principi Molte delle differenze osservate derivano da priorità di natura politica quali la dimensione della proprietà pubblica degli intermediari, le politiche per la concorrenza, il finanziamento della sicurezza sociale: a) in primo luogo, rilevano l’esistenza di ostacoli regolamentari e la moral suasion esercitata dalle autorità di vigilanza, da cui dipendono l’ulteriore consolidamento dell’industria finanziaria e la creazione di intermediari genuinamente paneuropei; b) in secondo luogo, la differenziazione riguarda le caratteristiche degli istituti giuridici che influenzano direttamente la protezione dell’investitore (ossia, la normativa societaria e fallimentare, nonché la legislazione in materia di takeover e antitrust) e i poteri sanzionatori (a disposizione delle autorità di vigilanza, della magistratura e degli stessi operatori di mercato), cui una letteratura sempre più cospicua attribuisce un importante potere esplicativo del ruolo relativo dei mercati nell’intermediazione finanziaria; c) ìnfine, vi è evidenza che le diverse componenti della corporate governance (concentrazione della proprietà, ruolo degli insiders, esistenza di partecipazioni incrociate, trasparenza contabile) contribuiscono a spiegare il “modello” di finanza prevalente in ciascun Paese. 531 Cfr. D. SARTI, Presupposti e poteri di intervento antitrust sulle concentrazioni bancarie nazionali, in Banca, borsa e tit. cred., 1993, II, p. 495 ss.; M. LAMANDINI, Le concentrazioni bancarie. Concorrenza e stabilità nell’ordinamento bancario, Bologna, p. 158 ss. Nelle grandi concentrazioni, quando i 2/3 del fatturato di una delle imprese coinvolte deriva dal mercato nazionale, la competenza a giudicarne la legittimità spetta alle Autorità nazionali, non alla Commissione UE. Questa regola, di fatto, presenta delle incoerenze, perché a fronte di ristrutturazioni simili, consente che le operazioni siano giudicate nei vari Paesi secondo criteri diversi. La storia recente ne ha dato inequivocabili conferme. È proprio il caso, ad esempio, dei mercati finanziari, assicurativi e bancari, nei quali anche concentrazioni tra imprese di notevoli dimensioni sono sfuggite al controllo della Commissione. Basti pensare, limitandosi al settore bancario, ad operazioni quali Banco de Santander/Central Hispano (in proposito si veda Tribunal de defensa de la Competencia, espediente n. 39/99, Banco Santander/Banco Central Hispano), o BNP/Société Gènérale/Paribas (sulle alterne vicende che hanno infine condotto al fallimento dell’acquisto di Société Gènérale da parte di Paribas, a seguito dell’intervento del Comité des établissement des crédit cfr. F. SANTONOSTASO, Le società di interesse nazionale, Milano, 2002, p. 46 ss., e pp. 129-208, ove l’Autore descrive con un cura le politiche dei “campioni nazionali” in Francia, Regno Unito e Repubblica federale tedesca), le quali, pur comportando un significativo rafforzamento del potere di imprese che potrebbero ritenersi campioni nazionali, sono state giudicate esclusivamente dalle Autorità nazionali, non integrando le soglie che identificano la “dimensione comunitaria”. Con riferimento alla Germania, la Corte di Giustizia europea si approssima ad abolire la c.d. VW Gesetz, legge approvata nel 1960 al momento della privatizzazione del gruppo Volkswagen, che protegge la casa di Wolfsburg da scalate ostili. La VW Gesetz prevede infatti che nessun azionista possa esercitre più del 20% dei diritti di voto, anche se si detiene una quota partecipativa più ampia. Essa, inoltre, riserva due posti di diritto nell’organo di sorveglianza al Land della Bassa Sassonia, indipendentemente dalla quantità di azioni in suo possesso. Si tratta in entrambi i casi di disposizioni in palese violazione con il principio del libero movimento dei capitali. 532 Cfr. F. RAMPINI, OPA. Come scalzare il protezionismo, in La Repubblica, 3 marzo 2006, p. 51. 530 - 159 - generali e le altre decisioni del diritto comunitario533. Dall’altro, la Commissione vigila affinché gli Stati membri rispettino lo spirito della norma sotto il duplice profilo della verifica della rispondenza del divieto imposto dal singolo Stato con l’interesse pubblico invocato e della sua compatibilità con la disciplina e gli obiettivi comunitari534. Gli ostacoli posti dalla vigilanza assumerebbero, pertanto, la forma di comportamenti discriminatori verso l’entrata di capitali esteri in partecipazioni di controllo. Comportamenti, cioè, atti a favorire la protezione di “campioni nazionali” o a creare la percezione che tali operazioni non siano gradite, così da scoraggiarne anche solo l’iniziativa. L’imboccare questa strada avrebbe, è innegabile, un effetto considerevole di strappo rispetto allo jus receptum. L’utilizzo “distorto” dei poteri di vigilanza da parte delle autorità creditizie dei Paesi membri spesso finisce con il piegare la “sana e prudente gestione” non alle finalità di controllo prudenziale (per le quali è stata introdotta dalla normativa comunitaria), ma a scopi di conformazione del mercato o di promozione degli intermediari nazionali535. Il concetto di salvaguardia dell’interesse generale è ripreso più volte anche nella direttiva 2000/12/CE (attualmente trasfusa nella dir. n. 2006/48/CE) e rappresenta, in fondo, uno degli elementi più discussi a causa della discrezionalità della sua valutazione e dell’assenza di criteri oggettivamente forniti dal legislatore europeo. Vale la pena sottolineare, inoltre, come sia sempre stata esclusa la possibilità che le Autorità di vigilanza nazionali possano dare interpretazioni di tipo economico nella valutazione di operazioni, in particolare di quelle crossborder, che da sempre hanno suscitato numerose perplessità e incontrato numerose resistenze536. La stessa Corte di Giustizia europea ha precisato che le restrizioni sono ammissibili: 1) se esse sono state applicate in maniera non discriminatoria; 2) se sono giustificate da cause importanti relative all’interesse generale; 3) se le restrizioni non vanno oltre ciò che è necessario per garantire l’interesse generale; 4) se esse sono in grado di 533 Cfr. dichiarazioni del Ministro delle Finanze portoghese a “Visao”, come riportate nei punti 21 e 22 della Decisione 20 luglio 1999, A. de Sommer Champalimaud/Banco Santander Central Hispanoamericano, in Celex, n. 399M1616; per un dettagliato esame del caso si rinvia a R. DAMY, Les aspects juridiques des fusions et acquisitions bancaires nationales et européennes, Paris, 2005, p. 305 ss.; M.R. RODRIGUEZ, Caso Champalimaud: UEM, Concentration y Competencia en el sector financiero, in www.ucm.es/BUCM/cee(cjm/0001/simposium_1.pdf.). Nel caso de quo, la Commissione aveva escluso che l’interesse nazionale potesse rientrare nell’ambito dell’art. 21, §. 3, ritenendo invece che tale interesse risultava contrario al principio di non discriminazione fondato sulla nazionalità, contenuto nell’art. 12 del Trattato, e in apparente violazione dei principi di libertà di stabilimento e di libertà di movimento dei capitali dell’Unione europea. Il che rendeva di per sé illegittima la decisione del governo portoghese ai sensi del quarto paragrafo dell’art. 21 reg. 4064/89. A dire il vero, seppur a posteriori, le Autorità portoghesi tentarono invano di dimostrare che l’operazione ledesse la legislazione bancaria portoghese in relazione ai principi di “sana e prudente gestione”. La decisione dunque dimostrò come la Commissione fosse pronta ad esaminare nel merito anche gli interessi contemplati dall’art. 21, §. 3, qualora vi fosse il fondato sospetto che, nella concreta applicazione delle norme prudenziali, le Autorità degli Stati membri mirassero a conseguire obiettivi diversi da quelli dichiarati ed accettati a livello comunitario (cfr. decisioni del 3 agosto 1999 e del 20 ottobre 1999, A. de Sommer Champalimaud/Banco Santander Central Hispanoamericano, che possono leggersi in Celex, n. 399M1616). 534 Peraltro, come rileva M CLARICH, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, cit., p. 109, “Il problema sorge perché nel diritto comunitario le decisioni della Commissione europea che hanno per oggetto la compatibilità con il Trattato Cee di operazioni di concentrazione hanno un contenuto in parte discrezionale. Si spiega così perché il provvedimento della Commissione che autorizza o vieta un’operazione di concentrazione ha natura costitutiva e preclude l’intervento da parte di qualsiasi giudice nazionale o comunitario”. 535 Sul punto v. COMMISSIONE EUROPEA, Rapporto sugli ostacoli alle fusioni e alle acquisizioni transfrontaliere presentato dal Commissario McCreevy all’Ecofin nella riunione dell’8 novembre 2005. In dottrina cfr. R.V. VANDER, Cross-border Merger in European Banking and Bank Efficiency, in ECB Working Paper series, n. 398, ottobre 2004, disponibile sul sito http://www.ecb.int/pub/pdf/scpwps/ecbwp398.pdf. 536 Cfr., in proposito, art. 9 dir. n. 2000/12/CE, e ora art. 8 dir. n. 2006/48/CE. - 160 - conseguire l’obiettivo che si prefiggono537. Qualsiasi deviazione da questi principi costituirebbe, difatti, un’infrazione alle disposizioni normative europee. Ne consegue che il diritto di veto può ostacolare la libertà di movimento dei capitali solo se le quattro condizioni citate non sono riscontrate538. Nella ratio delle decisioni della Corte di Giustizia ciò che emerge è che “l’interesse nazionale” non è un principio sufficientemente trasparente per giustificare l’introduzione di misure atte a porre in essere discriminazioni verso investitori non domestici, causando incertezza giuridica rispetto a queste operazioni539 La domanda radicale che allora è lecito porsi è se nelle vicende che attengono ad operazioni di concentrazione cross border (nell’accezione comunitaria sopra delineata) la regola ordinaria debba continuare a coincidere con la regola, fondata sulle ragioni prudenziali, di imputazione (rectius, “traslazione”) alle autorità nazionali, come emblematicamente avviene nel settore delle banche, della competenza a decidere; ovvero se il sistema debba invece affrancarsene – sempre o in determinate fattispecie – in favore dell’adozione di una diversa regola di imputazione e conseguentemente di una diversa regola di responsabilità in capo alle autorità di vigilanza nazionali. Resta ancora un dubbio: si può essere pienamente convinti che le regole europee sulla vigilanza bancaria siano l’unico problema da risolvere? Prospettare una sorta di sindacato nel merito delle decisioni di vigilanza da parte della Commissione UE – si sostiene – potrebbe profilare una fattispecie riconducibile allo sviamento di potere. Vi è il pericolo, cioè, che l’attuale pressione della Commissione porti ad allentare alcuni strumenti di controllo sulle partecipazioni al capitale degli istituti di credito, che pare invece di poter considerare pur sempre essenziali. Nessuno dubita che vi siano ancora meccanismi di intervento “politico” che ostacolano il consolidamento bancario transnazionale, ma è necessario che le autorità di vigilanza continuino ad effettuare uno scrutinio dei futuri azionisti delle banche e dei potenziali effetti delle operazioni proposte, per garantire la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati. 537 CEBS (Committee of European Banking Supervisors), Advice in Cross border merger and acquisitions, Publications 05/76, Londra, 31 maggio 2005, in http://www.c-ebs.org/pdfs/cebs0576.pdf.; COMMISSIONE EUROPEA, The legal aspects of Intra-UE investment, in Official Journal, C220, Bruxelles, 19 luglio 1997. 538 La Corte di Giustizia della Comunità Europea, intervenuta spesso in caso di giudizi in merito al diritto di veto esercitato da alcuni Paesi Europei sulla circolazione dei capitali, ha interpretato il concetto di movimento di capitali in senso ampio. Tale principio/formula comprende, è stato specificato, anche acquisizioni tra Paesi membri e tra Paesi membri e terzi, di azioni e titoli emessi da istituzioni domestiche al puro scopo di investimento finanziario, senza il fine di esercitare alcuna influenza sul management delle istituzioni considerate. Soprattutto, però, esso include operazioni di acquisto di partecipazioni di controllo in un’istituzione finanziaria. Queste ultime, infatti, sono tutelate non solo dal principio di libera circolazione dei capitali, ma anche dal diritto di stabilimento. A ciò si aggiunga che secondo un principio generale dell'ordinamento comunitario, affermato dalla giurisprudenza consolidata, gli Stati membri non possono adottare, per la tutela di propri interessi nazionali, misure unilaterali contrarie al diritto comunitario (c.d. “divieto di autotutela”). In proposito cfr. CGCE, sentenza 14 dicembre 1962, Commissione contro Belgio e Lussemburgo, causa 2/62 e 3/62, in Raccolta, p. 813; sentenza 7 febbraio 1973, Commissione contro Italia, causa 39/72, in Raccolta, p. 101; sentenza 7 febbraio 1979, Commissione contro Regno Unito, causa 128/78, in Raccolta, p. 419. Forti dubbi erano stati sollevati in sede europea riguardo alle disposizioni contenute nel d.l. 25 maggio 2001, n. 192, norme che, appunto, sembravano avere carattere unilaterale, non compatibili con il diritto comunitario primario e derivato, soprattutto con riferimento alle disposizioni in materia di diritto di stabilimento, di cui agli artt. 43-48 del Trattato CE e di libera circolazione dei capitali, di cui agli artt. 56-60 del medesimo Trattato. 539 Il riferimento primario ai diritti fondamentali europei discende dal principio della supremazia del diritto comunitario sul diritto nazionale ad ogni livello, che la Corte di Giustizia europea ha sostenuto in una serie coerente di sentenze sin dal 1963. La Corte di Giustizia europea ha ripetutamente sottolineato che questo principio di supremazia si applica altresì senza restrizioni al diritto costituzionale degli Stati membri. Negli Stati membri, questa dottrina semplice, ma severa, adottata dalla CGCE è stata sostanzialmente riconosciuta, specie dalle corti. Si veda in particolare: Corte di Giustizia europea, sentenza n. 14.5.1974, Nold, causa 4/73, in Racc., 1974, p. 491, §§. 13-14; ID., sentenza 13 dicembre 1979, Hauer, causa 44/79, in Racc., 1979, p. 3727, §§. 15-23. - 161 - In estrema sintesi, e per non restar fuori di metafora, alla fine di questa strada sta un esito che permetterebbe a tutte le operazioni di concentrazione – tranne che ad alcune motivamente selezionate – di sfuggire alla “strettoia” concettuale che oggi affligge il sistema in ragione, essenzialmente, del ruolo ipertrofico assegnato alla nozione di “norme prudenziali”. - 162 - Osservazioni conclusive L’irrompere sulla scena di rilevanti vicende finanziarie riguardanti alcuni tra i più importanti istituti di credito nazionali ha evidenziato il carattere incompleto e, soprattutto, i molteplici aspetti di controversa applicazione ed interpretazione della disciplina bancaria in materia di assetti proprietari. In particolare, nel caso delle offerte pubbliche di acquisto, lo svolgimento delle funzioni di vigilanza e supervisione della Banca d’Italia è spesso avvenuto in conflitto oggettivo con altri poteri. A voler azzardare qualche breve riflessione di fronte al quadro d’insieme tratteggiato nel corso del lavoro, la cautela è d’obbligo, stante la vivacità ma anche la contraddittorietà degli stimoli che tale scenario offre. Si sono distinti a tal fine tre insiemi di questioni: a) in primo luogo, quello del perimetro di intervento e dell’area di discrezionalità nell’autorizzazione di acquisizioni consentiti alla vigilanza dal Testo unico bancario e dalla normativa secondaria, in difformità dallo spirito della legislazione europea; b) in secondo luogo, il tema del trasferimento del controllo delle banche quando si impone il ricorso all’istituto delle offerte pubbliche di acquisto; c) in terzo luogo, quello dell’attribuzione delle competenze antitrust anche in materia bancaria alla ACGM, e il persistere di un potenziale conflitto fra i compiti di tutela della concorrenza e quelli di vigilanza sulla stabilità. Riguardo al primo punto, la ricerca di una corretta interpretazione della lettera e della ratio della normativa nazionale e comunitaria ha permesso di dimostrare che la disciplina sugli assetti proprietari delle banche è il frutto di una combinazione di intervento pubblico e di meccanismi di mercato; tale complesso sistema di regole è necessario per garantire il raggiungimento degli obiettivi di fondo della “sana e prudente gestione”, nonché della separatezza banca e industria. È emerso, tuttavia, come la discrezionalità “politica” da parte della Banca d’Italia nell’esercizio di queste competenze e l’eccessiva burocratizzazione del sistema dei controlli costituiscono i fattori che possono mettere in crisi l’impianto dell’autorizzazione all’acquisto di partecipazioni rilevanti nelle banche. La tendenza di fondo del mutamento tutt’ora in atto può individuarsi nella progressiva eliminazione dei meccanismi di tipo dirigistico (v. in proposito la soppressione dell’obbligo di informativa preventiva) e programmatorio e delle varie forme di protezione, riservate in particolare alle banche, che finivano per sostituire alle logiche imprenditoriali schemi di tipo amministrativo; mentre, infatti, era assicurato un quadro di sostanziale stabilità degli intermediari, venivano fortemente condizionati i livelli di efficienza allocativa e operativa del sistema finanziario540. Con riguardo al caso italiano – come è stato rimarcato in sede comunitaria – la responsabilità è parsa in primo luogo addebitabile alla contraddittorietà di alcune scelte di regolamentazione. Si tratta di regole create in tempi in cui gli assetti del sistema creditizio mutavano solo a livello nazionale, e la Banca d’Italia li influenzava direttamente attraverso la moral suasion e spesso senza atti formali; tali regole si sono mostrate gravemente inadeguate in un contesto ormai europeo dove le Autorità operano secondo regole precise, con decisioni di carattere collegiale, in un regime di trasparenza. Il rischio denunciato anzitempo dalla dottrina si è tramutato nella sostanziale conservazione della ingessatura degli assetti proprietari delle banche italiane e nell'ulteriore 540 Sul punto cfr. F. VELLA, Il corporate governance nelle banche tra regole di vigilanza e disciplina di mercato, cit., p. 83. - 163 - allontanamento da quelle esigenze di ricambio del controllo che meriterebbero invece di essere valorizzate541. Come indicato nel secondo punto, quando il trasferimento del controllo avviene attraverso il ricorso all’istituto delle offerte pubbliche di acquisto, i problemi più rilevanti sorgono dalla difficoltà di raggiungere un equilibrio accettabile tra l’esigenza di garantire la contendibilità di una società quotata (cercando, nel contempo, di non porre limiti troppo stretti alla libertà della sua azione) e quella di preservare la stabilità del sistema bancario542. La ricostruzione del quadro normativo ha consentito di evidenziare come l’iter autorizzativo di ogni Opa bancaria (che prevede il giudizio positivo della Banca d’Italia e il via libera della Consob alla pubblicazione del documento di offerta) appaia incardinato su controlli strutturalmente e funzionalmente non omogenei fra loro, riguardando ciascuno aspetti diversi. Il contrasto si palesa proprio tra i regolamenti che presiedono all’attività di vigilanza, rispettivamente della Banca d’Italia e della Consob, in particolare con riferimento ai momenti di definizione della data ufficiale di avvio dell’offerta pubblica, degli adempimenti e delle modalità di comunicazione nonché di attuazione dell’operazione. A ciò si deve aggiungere un ulteriore elemento di criticità, emerso nel corso dell’indagine, costituito dall’intrecciarsi e dal sovrapporsi in modo disorganico delle competenze delle Autorità di controllo coinvolte, fattore che contribuisce anch’esso a delineare un sistema di vigilanza in più punti incoerente e lacunoso. Andando più in profondità, alla ricerca cioè delle peculiarità degli interessi sottesi alla disciplina dell’Opa e delle argomentazioni a sostegno dell’intervento autorizzativo della Banca d’Italia, ci si è trovati di fronte ad un rovesciamento di prospettiva: mentre nell’offerta pubblica di acquisto l’applicazione della disciplina muove dall’esigenza primaria di tutela degli investitori (che l’art. 91 T.u.f. postula con riguardo al mercato del controllo societario), nella disciplina degli assetti proprietari delle banche (ex art. 19 T.u.b.) le norme e i vincoli della procedura indicata dal Testo unico bancario e dalle Istruzioni di vigilanza appaiono particolarmente attente alle conseguenze dell’iniziativa di chi sollecita sulla “sana e prudente gestione” della banca. Il conflitto degli interessi coinvolti in siffatte operazioni è apparso evidente soprattutto al ricorrere di particolari fattispecie di Opa bancarie543. Come sostenuto in dottrina, la strada seguita dal legislatore sembra ispirata alla convinzione che l’affiancamento alle regole vigenti per le banche di norme finalizzate alla Cfr. G. OLIVIERI, Banche e Antitrust, in Mercato concorrenza regole, 2004, 2, p. 389 ss. D. SINISCALCO, La credibilità è la dote chiave, in Il Sole 24 Ore, 3 settembre 2005, p. 1. 542 Sul punto cfr. V. PONTILLO, Finalità e destinatari della vigilanza (commento all’art. 5 T.u.b.), in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Padova, 2001, p. 56. In tal senso v. pure le considerazioni di L. CARDIA, Audizione del presidente della Consob, nella Indagine conoscitiva su “i rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio”, Camera dei Deputati, XIV Legislatura, seduta del 20 gennaio 2004. Più in generale, R. COSTI, Queste norme sono una babele, in www.lavoce.info, del 2 maggio 2007, denuncia la “sia necessaria una rilettura coordinatrice di questa massa straripante di norme, dal punto di vista sia dei contenuti sia delle tecniche legislative, sia dei limiti entro i quali è opportuna la delegificazione”. 543 Come è noto, la disciplina dell’Opa amplia, in un’ottica di maggiore tutela sul piano patrimoniale degli azionisti di minoranza, le ipotesi in cui il socio può “uscire” dalla società, ottenendo la liquidazione della propria partecipazione azionaria. Per contro, la Banca d’Italia afferma che questo interesse debba essere contemperato con quello dei depositanti. Si è cercato, quindi, di evidenziare come una siffatta impostazione si ponga in palese contrapposizione con chi, nell’attuale assetto normativo, non ritiene più coerente la qualificazione della posizione giuridica degli azionisti della s.p.a. bancaria in maniera sostanzialmente diversa da quella utilizzabile per i soci di società con oggetto sociale diverso. 541 - 164 - trasparenza e alla tutela degli azionisti non contrasti con le esigenze di stabilità e che, anzi, in alcuni casi possa favorirle544. Pertanto, volendo accogliere siffatte argomentazioni e muovendo dall’assunto che gli obiettivi finali della sorveglianza pubblica non possono essere raggiunti senza che se ne configuri il transito per obiettivi intermedi545, è sembrato possibile ritenere: a) in primo luogo, che il principio di trasparenza possa attuarsi nelle garanzie di informazioni predisposte a favore del pubblico degli investitori destinatari dell’offerta546; b) in secondo luogo, che il principio di correttezza si realizzi nelle garanzie di partecipazione su un piano di parità degli investitori oblati; c), infine, che il principio di stabilità, intesa in questo caso come rispetto delle esigenze di continuità aziendale, si debba attuare nelle garanzie di contraddittorio tra soggetti offerenti, amministratori della società bersaglio e Autorità di controllo547. Si è giunti, così, alla conclusione che né la stabilità in sé, né la tutela dei depositanti, ma l’inerenza di tali peculiari profili all’esercizio di un’attività, quale quella bancaria548, ritenuta meritevole di una particolare considerazione disciplinare, costituisca il vero fattore 544 Come rileva D. LUCARINI ORTOLANI, op. ult. cit., p. 305, “L’interesse pubblico alla << sana e prudente gestione >> dell’impresa bancaria per la << stabilità >>, l’<< efficienza >> e la << competitività >> del sistema bancario nel suo complesso, come bene aggregato, deve, pertanto, guidare la funzione dell’organo di vigilanza e non interferire con la stabilità delle singole imprese bancarie e, soprattutto, con l’autonomia decisionale e la responsabilità di coloro che la gestiscono, ai quali sono estranei interessi pubblici… È indubbio che i criteri indicati impongono dei limiti all’autonomia privata, statutaria e gestionale, estranei al diritto comune, ma – come si è detto – costitiscono limiti esterni in quanto fissati da disposizioni generali, valide per tutti gli operatori bancari, giustificati dal particolare oggetto sociale della società bancaria… ”. In senso conforme v. R. COSTI, Relazione di sintesi, al Convegno su << Assetti proprietari e “corporate governance” delle banche italiane: problemi prospettive >>, cit., p. 216; C. BRESCIA MORRA, Società per azioni bancaria: proprietà e gestione, in Quad. giur. comm., n. 212, Milano, 2000., p. 44. Contra v. A. GUACCERO, La partecipazione del socio industriale nella società per azioni quotata, cit., p. 321 ss. 545 In tal senso v. L. SPAVENTA, La ristrutturazione del sistema bancario, cit., p. 3, il quale, tra l’altro, sostiene che “quando il legislatore non ha previsto un esplicito coordinamento, come nel caso delle offerte pubbliche, le norme, anche quelle preesistenti, vanno interpretate in modo da rendere compatibili con i principi della disciplina del mercato finanziario”. 546 Diversa è, infatti, nell’uno e nell’atro caso la qualità e la funzione delle disclosure. Portando a svolgimento l’ipotesi – che pure meriterebbe una compiuta verifica alla stregua dei principi comunitari e della stessa normativa nazionale (cfr. art. 5 T.u.b.) –, ne sortirebbe che la stabilità e la concorrenza sono obiettivi complementari. Ambedue fanno riferimento all’efficienza allocativa e operativa, che è alla base della sana e prudente gestione del credito. Si veda in proposito R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2001, p. 140 ss.; M. LAMANDINI, Le concentrazioni bancarie. Concorrenza e stabilità nell’ordinamento bancario, Bologna, 1988, p. 243 ss. Sull’argomento v. anche il Parere della VI Commissione, Finanza e Tesoro del Senato, del 4 agosto di 1993, in Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza legale, n. 32, II, p. 287, con cui si riferiva che “…la normativa dovrà essere ispirata a criteri che orientino le attività creditizie e finanziarie verso la concorrenza e il mercato, perseguendo in tal modo l’efficienza economica”. È con questo scopo che s’inserisce il termine competitività, consolidando in questa maniera il nuovo orientamento della vigilanza, che il disegno originale del Testo unico non contemplava. 547 Cfr. C. RABITTI BEDOGNI, Opa e mercato, Roma, 1999, p. 31. Secondo l’Autore “La complementarità di tali garanzie è disposta dall’ordinamento nell’intento di conferire coerenza al sistema e massimizzare l’efficacia delle potestà di vigilanza costituite dal legislatore, in funzione della tutela degli investitori (nel senso di integrità patrimoniale e libertà di investimento) nonché dell’efficienza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali. In questa chiave dunque dovranno essere esercitate le competenze che l’art. 91 del T.u.f. attribuisce alla Consob nell’ambito della disciplina relativa agli emittenti, le quali vanno inquadrate secondo le linee programmatiche ricavabili dall’esame congiunto degli artt. 5, 74 e 91 del T.u.f. Come è stato sottolineato, pur attenendo a diversi settori dell’ordinamento del mercato finanziario, i citati articoli finiscono, infatti, per influenzarsi e spiegarsi l’uno con gli altri”. 548 Cfr. L. ENRIQUES, Il conflitto di interessi nella gestione delle banche, in F. RIOLO e D. MASCIANDARO, Il governo delle banche in Italia, Roma, 1999, p. 343 ss.; R. COSTI, Tutela degli interessi e mercato finanziario, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1999, p. 769, il quale rileva che “le norme dettate per la stabilità delle banche hanno come obiettivo ultimo l’organizzazione ottima dell’intermediazione finanziaria, come obiettivo immediato la sana e prudente gestione della banca, ma come ulteriore obiettivo mediato la protezione di una classe di interessi << in carne ed ossa >>, i depositanti”. - 165 - giustificativo dell’introduzione di un così ingerente apparato di controlli pubblici in occasione del passaggio di quote “significative” del capitale delle banche549. L’efficienza e la trasparenza del mercato del controllo societario sono, del resto, valori strumentali, da rendere funzionali all’ottimizzazione della tutela degli investitori, sia nelle scelte che il legislatore sarà chiamato a compiere, sia nell’azione regolamentare di Consob e Banca d’Italia550. Sulla base di tali premesse “teoriche”, si possono anche trarre alcune conclusioni di carattere più concreto. Proprio perché il contrasto non è di fondo (o meglio, se esiste, è in parte indipendente da come sono scritte le norme dei due testi legislativi che regolano la materia), si ritiene possibile individuare alcuni punti essenziali che, in una prospettiva di riforma dell’impianto normativo a livello di fonte subprimaria, garantiscano le esigenze di entrambe le forme di vigilanza551: a) come primo passo, ritengo che sarebbe opportuno procedere ad una riformulazione delle modalità con cui è gestito il potere di autorizzazione delle acquisizioni del controllo. In questa direzione muove la recente soppressione dell’istituto della comunicazione preventiva, quale strumento-retaggio di una concezione antica che ha il profumo inconfondibile degli anni ’30, e dimostratosi tale da esautorare gli organi sociali e impedire al mercato di svolgere la sua funzione di disciplina; b) in particolare, allo scopo di assicurare che norme e procedure non favoriscano un contendente a scapito dell’altro e, in particolare, un operatore nazionale a scapito di un investitore europeo, le decisioni della Banca d’Italia volte ad autorizzare o negare l’acquisto di quote di una banca al di sopra delle soglie indicate dovrebbero basarsi su criteri più specifici e vincolanti, ai quali dare preventiva pubblicità, calibrati su requisiti oggettivi, fissati dall’Autorità di vigilanza o, ancor meglio, dal legislatore, secondo quanto prevede la direttiva CE di prossima attuazione, recante nuove norme sulle fusioni bancarie transfrontaliere; c) se non previsti da norme specifiche, dovrebbero essere chiariti i tempi normalmente seguiti dalla Banca d’Italia per la comunicazione di queste notifiche e la tempistica con la quale il mercato e le altre parti interessate vengono informate; d) nel caso di successive richieste da parte dello stesso soggetto a superare le varie soglie occorrerebbe precisare chiaramente se la precedente autorizzazione relativa alla soglia più bassa consenta di ridurre i tempi previsti; e) infine, non sembrano ravvisarsi ragioni valide ad escludere che la procedura di autorizzazione della Banca d’Italia possa svolgersi in parallelo con la procedura che va dall’annuncio dell’operazione all’approvazione del documento d’offerta alla Consob, come avviene in tutti gli altri settori soggetti a regolamentazione552. V. in proposito le soluzioni prescelte dal Bank Holding Company Act statunitense o quelle, di marca più prettamente organizzativa, adottate nell’ordinamento anglosassone. De jure condendo, l’introduzione di un termine dilatorio per il rilascio del placet all’acquisizione, tale che l’Autorità di vigilanza bancaria non possa pronunciarsi prima del decorso di un certo spatium deliberandi, e la contestuale riduzione del termine finale consentirebbero di limitare considerevolmente le possibilità di conflitto tra tali interessi. 550 In senso conforme v. G. ROTONDO, L’applicazione della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto al settore bancario, cit., p. 216 s.; S. BRAGANTINI, Unico rimedio, tornare alla regole, in Il Corriere delle Sera, 29 luglio 2005, p. 30. 551 Vale la pena ricordare uno dei principali casi di clamoroso conflitto tra le due Autorità che riguardò l’insolvenza del Banco Ambrosiano. Sulla vicende v. il commento di G. MINERVINI, Banca d’Italia e Consob nel caso Ambrosiano. Il problema del coordinamento delle organizzazioni di controllo, in Giur. comm., II, 1985, p. 833 ss.; M. CERA, Insolvenza del Banco Ambrosiano e responsabilità degli organi pubblici di vigilanza, in Giur. comm., II, 1986, p. 427; G. ROSSI, Il conflitto di obiettivi nell’esperienza decisionale delle autorità, in Riv. soc., 1997, p. 267 ss. 552 In merito alla gestione delle vicende bancarie – come ha sottolineato il Presidente della Consob L. CARDIA, nella Relazione Consob. Incontro annuale con il mercato finanziario, 15 luglio 2005, disponibile sul sito www.consob.it, – il buon funzionamento del mercato e il principio della parità di trattamento richiedono che le autorità adottino “provvedimenti tempestivi e il più possibile sincroni, nel rispetto dei rispettivi ambiti di competenza e delle diverse finalità”. L’impegno da parte delle Autorità preposte a “ridurre al minimo i tempi di 549 - 166 - L’esempio più rilevante e comune al riguardo è rappresentato dal procedimento di approvazione da parte dell’Antitrust553. Certo, in tal senso pensata, la procedura conserva un elevato grado di complessità, così come alti rimangono i rischi di incertezza, tanto per lo scalatore quanto per gli azionisti, la cui sorte è legata all’esito dell’istruttoria dell’Autorità di vigilanza. Questa soluzione consentirebbe però di evitare che il vaglio della vigilanza bancaria avvenga prima di quello del mercato, situazione tecnicamente inaccettabile e ignota alla prassi dei principali ordinamenti stranieri. In termini più espliciti, l’operazione dovrebbe essere resa nota al mercato non appena uscita dalla fase progettuale (prima ancora cioè dell’assunzione definitiva della decisione di proporre un’Opa). E questo dovrebbe avvenire anche nell’eventualità in cui l’offerente non disponga ancora di alcuni presupposti di procedibilità dell’offerta (come delibere assembleari, autorizzazioni richieste da normative di settore), che gli consentano di redigere un testo definitivo del documento di offerta. Per porre rimedio a questa situazione si dovrebbe, dunque, prevedere un obbligo di comunicazione dell’Opa non appena i termini essenziali dell’offerta siano stati decisi. Pertanto, anche l’articolo 102 del T.u.f. dovrebbe essere modificato, in sostanza prevedendo, a livello legislativo, la prima comunicazione che il regolamento Consob, poi sostituito, già prevedeva. Sembra d'altronde utile a chi scrive ribadire che, come dimostrato nei fatti e come più volte sottolineato nel corso del lavoro, non rendere pubblica l’esistenza di un progetto di acquisizione del controllo di una società aumenta i rischi di abuso, pregiudicando l’esito del progetto stesso, ancor prima che ne sia stata accertata pienamente la praticabilità da parte delle Autorità di vigilanza competenti. Delineato l’ambito degli interventi ipotizzabili per sostenere un corretto bilanciamento tra disciplina generale societaria e disciplina speciale bancaria, restano da formulare alcune brevi riflessioni riguardo al tema dei profili concorrenziali delle Opa bancarie. Si è cercato anche in tale ambito di affrontare la soluzione di un problema di conflitto che, in concreto, si pone fra le valutazioni di vigilanza e quelle antitrust. La nuova legge sul risparmio ha cancellato la speciale competenza della Banca d’Italia per l’applicazione delle regole antitrust alle banche, attribuendola all’Autorità garante della concorrenza. Si tratta di una modifica da tempo e da più parti auspicata, volta a conferire maggiore coerenza al principio di tutela della concorrenza sinora rimasto sempre all’ombra delle esigenze di stabilità; e costituisce un passo significativo verso il modello di regolazione dei mercati finanziari articolato “per finalità”. Nell’articolazione dei controlli, il legislatore ha tenuto presente che le operazioni di concentrazione fra banche assumono rilievo da due diversi punti di vista: quello della vigilanza prudenziale sugli intermediari creditizi e quello della concorrenza del mercato. Di conseguenza ha ribadito che sono necessarie sia l’autorizzazione della Banca d’Italia, per le valutazioni di sana e prudente gestione, sia l’autorizzazione (ovvero il nulla osta) dell’Autorità garante della concorrenza, a seguito della valutazione dell’assetto concorrenziale del mercato. reazione” ed un maggiore coordinamento tra le Autorità e le relative procedure di autorizzazione “consentirebbe di ridurre le fasi di incertezza e le conseguenti anomalie nelle quotazioni”. 553 L’analisi condotta ha permesso, infatti, di rilevare come nella disciplina antitrust, in caso di offerta pubblica di acquisto, non si preveda un diritto della Banca d’Italia di essere informata prima della Consob e si prospetti, invece, una diversa soluzione al problema del rapporto tra autorizzazioni previste da leggi speciali o da offerte pubbliche di acquisto. Mentre, infatti, per l’acquisto di partecipazioni bancarie la procedibilità dell’offerta è subordinata al rilascio dell’autorizzazione, la disciplina antitrust, al contrario, prevede espressamente che l’offerta possa svolgersi in pendenza di istruttoria, anche se è paralizzata l’esercizio dei diritti di voto in capo all’acquirente, sino all’esito dell’istruttoria stessa. - 167 - Sul piano procedurale era stato disposto, in un primo momento, che i provvedimenti delle due Autorità in materia di concentrazioni bancarie fossero emanati con un “unico atto”. Questa soluzione vincolava strettamente sul piano procedurale l’azione delle due Autorità, accrescendo l’area di potenziale e problematica sovrapposizione, senza comportare – come unanimemente sostenuto dalla dottrina – alcun evidente beneficio. L’unica certezza legata alla previsione di un atto unico era, in sostanza, che esso dovesse esprimere una posizione univoca, nel senso che se una delle due Autorità non fosse stata d’accordo l’atto non poteva essere emanato. Il problema era, insomma, quello di intrecciare e confondere insieme due valutazioni diverse che, tuttavia, dovevano, come si evinceva dal dato normativo, restare distinte e autonome. L’intervento correttivo operato con il d.lgs. n. 303 del 2006 ha consentito l’abolizione dell’atto unico554. Attualmente i due procedimenti seguono, pertanto, uno sviluppo con percorsi indipendenti l’uno dall’altro. Nonostante ciò, restano ancora irrisolti taluni problemi applicativi e interpretativi che le nuove disposizioni sollevano e che rendono l’assetto normativo per certi versi criticabile555. Il mantenimento, nella legge sul risparmio, di una doppia competenza (tale che ogni concentrazione bancaria debba superare il vaglio sia della Banca d’Italia riguardo alla stabilità, sia della AGCM riguardo alla concorrenza), in realtà, equivale a dotare ciascuna delle due Autorità di un potere di veto “concorrente” rispetto alle decisioni dell’altra. Anche in tal caso, la soluzione è ottimale solo se si genera una fattiva collaborazione fra le due Authorities. Per concludere, a parte la prevedibile riforma in un senso o nell’altro dei due sistemi (del T.u.b. e del T.u.f.) ed il meno prevedibile successo dei tentativi di riforma delle Autorità di vertice, è facile profezia che saranno le direttive comunitarie a segnare le linee di successivo sviluppo della materia, come, d’altro canto, è normale che sia in una struttura di mercati fortemente integrati come quella europea. Tale abrogazione è da accogliersi con favore in quanto risponde positivamente alla raccomandazione già espressa dalla BCE di mantenere le due procedure chiaramente distinte (v. §. 8 del parere CON/2005/58, cit.). Va tenuto presente, infatti, che il valore della concorrenza e quello della tutela del risparmio (nella sua accezione più ampia di tutela della stabilità del sistema bancario) stanno in rapporto diverso a seconda del fatto che si debba analizzare una condotta abusiva o collusiva, da un lato, ovvero una strategia di crescita esterna (cioè una concentrazione), dall’altro. 555 La legge sul risparmio doveva colmare le lacune del sistema e avere una visione organica e strategica. Invece, numerosi sono stati gli appunti mossi al suo impianto. Cfr. R. COSTI, Sul coordinamento fra autorità di vigilanza, in Banca impr. soc., 2001, p. 418; F. 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