Dott. Luigi Scipione

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA
Facoltà di Economia “R.M. Goodwin”
Scuola di Dottorato in Diritto e Economia
TESI DI DOTTORATO
in
DIRITTO DELLA BANCA E DEL MERCATO FINANZIARIO
(XIX CICLO)
Acquisizione di partecipazioni
e disciplina delle offerte pubbliche di
acquisto nelle società bancarie
TUTOR
Chiar.mo Prof.
FRANCO BELLI
CANDIDATO
LUIGI SCIPIONE
Anno Accademico 2006-2007
INDICE SOMMARIO
Introduzione……………………………………………………………………………………………...p. 4
Capitolo I
LA DISCIPLINA DELLE PARTECIPAZIONI AL CAPITALE DELLE BANCHE
1.
L’evoluzione della disciplina degli assetti proprietari delle banche. Dalla Legge del 1936
all’attuazione della seconda Direttiva bancaria…………………………………………………………7
2. La disciplina delle partecipazioni bancarie nel Testo Unico……………………………………………12
3. L’autorizzazione all’acquisizione di partecipazioni qualificate.…………………………………………14
3.1. La nozione di “partecipazione rilevante”. …………………………………………………………….15
3.1.1.
(Segue): L’autorizzazione alla variazione successiva della partecipazione autorizzata……………….17
3.2. L’ambito soggettivo di applicazione della disciplina. …………………………………………………..19
4. Il regime preventivo dell’autorizzazione nelle Istruzioni di vigilanza. Procedure e termini……………..20
4.1. (Segue): Il tema dell’informativa preventiva in caso di acquisto del controllo…………………………...22
5. Le finalità sottese alla potestà discrezionale della Banca d’Italia: il principio della “sana e
prudente gestione”……………………………………………………………………………………26
5.1. (Segue): I requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale: un corollario della sana e prudente
gestione………………………………………………………………………………………………..28
5.2. (Segue): Le specifiche dichiarazioni di impegno volte a tutelare la sana e prudente gestione
della banca o della società capogruppo………………………………………………………………..31
6. Il potere della Banca d’Italia di sospendere o revocare l’autorizzazione………………………………..34
7. Gli elementi identificativi della nozione di partecipazione indiretta……………………………………36
8. La nozione di controllo ex art. 23 del T.u.b……………………………………………………………38
9. La disciplina delle partecipazioni di imprese non finanziarie (rapporto banca-industria)……………….39
9.1. (Segue): Rapporti di controllo e accordi di voto…………………………………………………………43
10. L’acquisto di partecipazioni di controllo nelle banche da parte di imprese di assicurazione.
Problematiche di natura prudenziale…………………………………………………………………...45
10.1.
(Segue): I nuovi assetti dei rapporti tra banche ed imprese di assicurazione…………………....48
11. Il regime sanzionatorio………………………………………………………………………………...50
12. Le partecipazioni detenibili dalle banche: cenni………………………………………………………..51
Capitolo II
GLI ASSETTI PROPRIETARI DELLE BANCHE TRA ORDINAMENTO
ITALIANO E DISCIPLINA COMUNITARIA.
PROFILI GENERALI E ASPETTI COMPARATISTICI
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Premessa………………………………………………………………………………………………54
Disciplina comunitaria e ordinamento nazionale a confronto. Le regole procedurali e i criteri
per la valutazione prudenziale…………………………………………………………………………55
La questione della “disapplicazione” di norme nazionali contrastanti con la disciplina
comunitaria nell’ambito di una procedura di acquisizione di partecipazioni bancarie…………………..59
La disciplina dei controlli sugli assetti proprietari nei principali Paesi europei. Un’analisi
comparata……………………………………………………………………………………………..51
Le nuove norme sulle fusioni bancarie transfrontaliere………………………………………………...63
La disciplina delle partecipazioni dei soggetti esteri……………………………………………………68
-1-
Capitolo III
LE OFFERTE PUBBLICHE DI ACQUISTO TRA DISCIPLINA GENERALE SOCIETARIA
E DISCIPLINA SPECIALE BANCARIA
1.
2.
3.
Premessa………………………………………………………………………………………………71
Le offerte pubbliche di acquisto. Nozione e tipologie…………………………………………………72
L’opera di razionalizzazione e di semplificazione dell’impianto della disciplina sulle Opa
nel T.u.f. Definizione del campo di indagine.…………………………………………………………73
4. Gli obblighi informativi connessi allo svolgimento di un’offerta pubblica di acquisto………………….76
4.1. La nuova disciplina del procedimento di offerta………………………………………………………79
5. Lo svolgimento dell’offerta: irrevocabilità dell’offerta e parità di trattamento…………………………..81
6. Il comunicato della società emittente…………………………………………………………………...82
7. Il divieto di contrastare l’offerta………………………………………………………………………..83
7.1. (Segue): La decorrenza della passivity rule e gli interessi protetti…………………………………………..87
8. Il procedimento per il lancio di un’Opa bancaria. Il problema del rapporto tra normativa
sulle società quotate (le regole generali sull’Opa) e normativa speciale sulle imprese bancarie………….89
8.1. (Segue): In particolare: il rapporto tra obbligo di “informativa preventiva” e obbligo di
tempestiva comunicazione alla Consob e al mercato nel sistema previgente…………………………....90
8.2. (Segue): Il perfezionamento del negozio di acquisto delle partecipazioni bancarie in caso
di Opa…………………………………………………………………………………………………92
8.3. (Segue): Il conflitto fra le disposizioni della Consob e le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia……...93
9. Coordinamento e cooperazione tra supervisori in funzione del corretto funzionamento del
mercato………………………………………………………………………………………………..97
Capitolo IV
LE PRINCIPALI IPOTESI DI OPA NEL SETTORE BANCARIO
1.
2.
2.1.
3.
3.1.
3.2.
4.
4.1.
5.
5.1.
6.
6.1.
6.2.
Premessa………………………………………………………………………………………….98
L’ambito di applicazione della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto obbligatorie.………....99
L’offerta pubblica di acquisto totalitaria…………………………………………………………101
La supposta incompatibilità tra tutela della “sana e prudente gestione” e Opa “ostili”…...………102
(Segue): Un giudizio sull’Opa “ostile” con particolare riguardo al sistema bancario……………….104
Tutela degli azionisti e profili di responsabilità degli amministratori nel comunicato della
società emittente………………………………………………………………………………...107
La disciplina delle offerte “concorrenti” e delle offerte “in aumento”…………………………....110
(Segue): Opa bancarie concorrenti “travestite” da obbligatorie…………………………………....112
Introduzione alla nozione di “acquisto di concerto”……………………………………………..113
(Segue): Gli acquisti di concerto e l’obbligo di comunicazione degli accordi di voto nel
settore bancario…………………………………………………………………………………116
L’Opa e il nodo della “contendibilità” delle banche popolari……………………………………119
(Segue): Adeguamenti della governance delle popolari: autoregolamentazione statutaria
dei singoli intermediari o intervento diretto del legislatore?..................................................................121
(Segue): L’inapplicabilità della break-through rule al modello delle banche
cooperative quotate………........................................................................................................................123
-2-
Capitolo V
LA DISCIPLINA ANTITRUST IN MATERIA DI CONCENTRAZIONI BANCARIE
1.
2.
3.
Introduzione. Vigilanza sulle acquisizioni bancarie e controllo delle concentrazioni………………….125
Vigilanza sulle acquisizioni bancarie e controllo delle concentrazioni………………………………....126
L’assetto normativo previgente: l’attribuzione delle competenze in materia antitrust
alla Banca d’Italia e le diverse linee interpretative……………………………………………………..127
3.1. Riflessioni sull’esperienza comparatistica……………………………………………………………..129
4. L’estensione della competenza sulla concorrenza delle banche al Garante nella legge n. 262/2005.
Il passaggio ad un modello di vigilanza per finalità…………………………………………………...132
4.1. (Segue): L’iter condiviso tra le due Authorities. I profili procedurali e applicativi legati alla
previsione di un “unico atto”………………………………………………………………………...134
4.2. (Segue): L’intervento correttivo del d.lgs. n. 303 del 2006……………………………………………....136
4.3. L’esatta divisione di competenze tra le due Autorità di controllo in relazione alle fattispecie
oggetto di valutazione: le altre ipotesi dell’art. 19 del T.u.b………………………………………….138
4.3.1. (Segue): L’analisi dei meccanismi concertativi negli organismi societari delle banche…………………140
5. La commistione di obiettivi nell’applicazione della normativa antitrust………………………................142
5.1. Autorizzazione di operazioni di concentrazione per esigenze di stabilità e failing company doctrine……...144
5.2. Ulteriori aspetti critici e interventi ipotizzabili a confronto………………………………….................147
6. Opa e operazioni di concentrazione. I legami fra disciplina della concorrenza e disciplina
del mercato mobiliare...........................................................................................................................................149
7. Le concentrazioni bancarie nel diritto comunitario antitrust. Profili introduttivi………………………151
7.1. Il caso particolare di svolgimento di un’offerta pubblica di acquisto………………………………….153
7.2. Deroghe alla competenza esclusiva della Commissione Europea a favore dell’Autorità di
vigilanza nazionale…………………………………………………………………………………...155
7.3. Gli ostacoli regolamentari al cross border banking in Europa……………………………………………159
Osservazioni conclusive………………………………………………………………………………...163
Riferimenti bibliografici………………………………………………………………………………...169
-3-
Introduzione
“La complessa disciplina concernente l’acquisto di partecipazioni rilevanti nel capitale
delle banche può essere compiutamente percepita solo ove si ponga mente ai rilevanti
mutamenti, indotti da fonti di matrice comunitaria, che hanno riguardato gli intermediari
bancari (la natura dei quali è ormai del tutto svincolata da vetusti schemi pubblicistici). Essa si
esplica, in connessione con il passaggio da un oligopolio amministrato a un mercato regolato,
anche in relazione al paradigma della supervisione sulla stabilità, che nel passato avveniva
attraverso controlli per lo più di stampo amministrativo-contabile (gli “istituti” e le “aziende”
di credito erano soggetti incaricati dello svolgimento di un pubblico servizio, astretti entro
rigidi limiti operativi), ma che oggi, con l’accento posto sulla gestione, non può prescindere dalle
caratteristiche di imprenditorialità delle aziende bancarie, essendosi il suo baricentro venuto a
spostare su una nuova concezione della vigilanza prudenziale”.
Questo brano della sentenza del Tar del Lazio del luglio 20051, emessa in occasione della
recente vicenda dell’offerta pubblica di acquisto della Banca Popolare Italiana su Antonveneta,
esprime in maniera significativa le problematiche che nel contesto normativo degli anni
Duemila sono sorte in relazione al trasferimento del controllo su imprese bancarie, soprattutto
in ipotesi di Opa.
Come è noto, l’acquisizione di partecipazioni rilevanti (e quindi, a fortiori, di controllo)
nelle imprese del settore finanziario è soggetta a regimi speciali.
Nelle società di diritto bancario, in considerazione della peculiarità dell’attività svolta, la
disciplina del trasferimento di partecipazioni rilevanti è sottoposta a pubblici controlli per il
rispetto della “sana e prudente gestione” dei soggetti vigilati. Pertanto, colui che intende
acquisire il controllo o comunque partecipazioni al capitale di banche, in misura superiore a
determinate percentuali, deve adempiere puntuali obblighi informativi e ottenere le necessarie
autorizzazioni.
Nel caso di banche non quotate l’acquisizione può essere realizzata mediante trattative
private fra due o più soggetti. Il provvedimento di autorizzazione della Banca d’Italia deve
intervenire prima del perfezionamento dell’operazione.
Diversamente, quando l’acquisizione della partecipazione di controllo riguarda società
bancarie quotate, alle disposizioni legislative e regolamentari, previste dal Testo unico bancario
e dalle Istruzioni di vigilanza, si affiancano le regole generali in materia di offerte pubbliche di
acquisto e di scambio previste dal Testo unico della finanza.
L’istituto delle offerte pubbliche di acquisto riveste nel settore bancario una funzione
peculiare e in parte diversa da quella assunta per le altre società di diritto comune. Sicchè,
mentre di norma la disciplina dell’Opa è preordinata alla tutela del mercato e delle minoranze,
quella inerente alle banche, pur nel rispetto della disciplina del T.u.f., è “influenzata” dal
rispetto dei limiti alle partecipazioni posti, come si è detto poc’anzi, dal legislatore (art. 19 del
T.u.b.) e dalla Banca d’Italia per la tutela della stabilità.
Vi è poi un ulteriore, eventuale effetto da ricollegare al trasferimento del controllo e che
si ritiene opportuno prendere in considerazione nel presente lavoro. Le Opa possono infatti
dar luogo ad operazioni di concentrazione2 e, in tal caso, necessitano anch’esse di
un’autorizzazione che ne valuti l’impatto dal punto di vista della tutela del mercato e della
concorrenza (art. 16 della legge n. 287/1990), valutazione che nel caso delle banche veniva
V. T.A.R. Lazio sez. I, 9 agosto 2005, n. 6157, in Giurisprudenza italiana, 2005, p. 2421 ss.
Come emerge dalla definizione di cui all’art. 5, comma 1, della l. n. 287/1990, le forme di concentrazione
prese in considerazione dalla legge antitrust sono la fusione per incorporazione (lett. a), l’assunzione del controllo
su un’altra entità economica (lett. b) e, caso meno frequente nella prassi, la costituzione di un’impresa comune
(lett. c).
1
2
-4-
condotta dalla Banca d'Italia anche in relazione ai poteri di Autorità di tutela della concorrenza
nei mercati bancari ad essa attribuiti dalla legge n. 287/1990. Pertanto, l’organo di vigilanza
doveva in primis verificare che l’operazione non contrastasse con il criterio della “sana e
prudente gestione”, ex art. 19 T.u.b., per poi prendere in esame gli effetti concorrenziali.
Nel caso delle Opa bancarie, dunque, “la concorrenza di competenze e di funzioni
ispirate a filosofie profondamente diverse”3, pone dal punto di vista applicativo alcuni seri
problemi. Da qui l’esigenza, o se vogliamo l’opportunità, per l’interprete di verificare: in primo
luogo, se sia possibile trovare un punto di equilibrio tra i diversi obiettivi perseguiti dalle
autorità di vigilanza, per tentare di ricondurre la tensione spesso esistente tra gli stessi a
coerenza e coordinamento; in secondo luogo, in che misura la disciplina << speciale >>
dettata per le società bancarie, soprattutto quotate, alteri la configurazione dell’istituto delle
offerte pubbliche di acquisto data dal diritto comune, al fine di mitigarne i possibili effetti
dannosi.
La questione di fondo, che pare di poter cogliere ad un primo esame, investe il rapporto
tra normativa sulle società quotate (le regole generali sull’Opa) e normativa speciale sulle
imprese bancarie; ad esso si collega il tema della prevalenza – in caso di conflitto – dell’uno o
dell’altro sistema di norme, in ragione del fatto che le disposizioni in materia bancaria hanno
l’obiettivo di tutelare interessi (innanzitutto quello dei depositanti) che non necessariamente
coincidono con quelli degli azionisti proprietari.
Non essendo, ovviamente, questa la sede per una analisi complessiva dei problemi
sollevati, si possono soltanto indicare, in uno sforzo di sintesi, alcuni filoni sui quali sviluppare
l’indagine e le conseguenti proposte di modifica dell'impianto normativo.
Seguendo questa impostazione, nel primo capitolo si è ritenuto opportuno illustrare
l’impianto normativo, di rango primario e secondario, che disciplina il trasferimento di
partecipazioni rilevanti al capitale delle banche. La prima parte è dedicata all’evoluzione storica
della normativa, funzionale alla comprensione del contesto attuale. Successivamente,
costituisce oggetto di indagine l’articolata normativa emanata dal CICR e dalla Banca d’Italia in
tema di autorizzazione per l’acquiszione di partecipazioni rilevanti nelle banche. Sono, quindi,
esaminati i requisiti che i potenziali acquirenti devono possedere, secondo le attuali
disposizioni amministrative, al fine di assicurare la “sana e prudente gestione” della banca.
Chiudono il capitolo l’esame della nozione di controllo rilevante ai fini della disciplina bancaria
e un rapido richiamo alla disciplina che regola il rapporto banca – industria, con particolare
riferimento allo studio delle acquisizioni del controllo di banche da parte di imprese di
assicurazione.
Nel secondo si analizzano le norme comunitarie in materia di assetti proprietari delle
banche, referente primario per la disciplina nazionale del settore creditizio, in modo da
collocare la disciplina bancaria nell’ambito del più generale e complesso disegno di
armonizzazione del settore creditizio perseguito dalla Commissione europea. Segue l’analisi in
chiave comparatistica della disciplina delle partecipazioni al capitale delle banche vigente nei
principali ordinamenti europei e un richiamo alle nuove norme sulle fusioni bancarie
transfrontaliere.
I capitoli terzo e quarto, che costituiscono la parte centrale del lavoro, sono invece
dedicati allo studio della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto nel settore bancario. Lo
studio delle Opa bancarie risulta emblematico della complessità della vigilanza nel caso di
operazioni di acquisto del controllo che coinvolgono diverse normative di settore e diverse
Autorità di controllo.
Nella prima parte, l’indagine verte principalmente sugli adempimenti precedenti il lancio
dell’offerta pubblica, là dove, con particolare riferimento ai problemi di coordinamento con la
3
Così A. ANTONUCCI, Diritto delle banche, 3 ed., Milano, 2006, p. 177.
-5-
disciplina di settore prevista per l’acquisto del controllo negli istituti di credito, emergono
alcuni interrogativi e taluni punti di debolezza dell’attuale impianto normativo. Nello specifico,
si intende accertare in quale misura l'attuale ripartizione delle competenze di vigilanza tra più
soggetti e i numerosi adempimenti procedurali esistenti possano incidere negativamente sul
corretto funzionamento dei meccanismi di mercato, determinando oneri amministrativi
eccessivi e rallentando, sino talvolta a “deviare”, i processi decisionali degli operatori.
Nel quarto capitolo, un rapido richiamo alla disciplina delle Opa obbligatorie si rende
necessario al fine di analizzare alcune specifiche problematiche emerse nei recenti casi di Opa
bancaria, con particolare riferimento: a) al fenomeno delle Opa ostili; b) alle incogruenze sorte
in materia di offerte c.d. “incrociate” (offerte in aumento, Opa concorrenti e modificazioni
delle offerte); c) ai problemi sperimentali emersi con riguardo all’accertamento di un “patto
occulto” e al successivo obbligo di lanciare un’Opa obbligatoria, con conseguente
sovrapposizione di competenze tra i due regulators (Consob e Banca d’Italia); d) all’assenza di
contendibilità per le banche popolari, da imputare alle peculiarità proprie della struttura
coopertiva.
L’analisi della disciplina delle Opa bancarie implica la necessità di individuare il corpus di
regole e, in parte, le “modalità applicative” delle norme antitrust generali concernenti
specificamente le aggregazioni nel settore bancario, che costituiscono pertanto oggetto di
indagine nel quinto ed ultimo capitolo. Come si è accennato, il regime creato dalla legge n. 287
del 1990 era connotato da un sistema di applicazione della disciplina della concorrenza agli
intermediari finanziari diverso e originale rispetto ad altri ordinamenti europei. Sino
all’emanazione della nuova legge per la tutela del risparmio (l. n. 262/2005), la Banca d’Italia
svolgeva un compito che riguardava anche la tutela della concorrenza, assumendo una speciale
potestà nel settore bancario in materia di controllo sui processi di concentrazione, che si
affiancava in maniera determinante a quella svolta dall’Autorità garante della concorrenza e del
mercato4. Il diritto antitrust presentava, dunque, numerosi profili problematici in termini di
definizione dell’ambito applicativo, di operazioni soggettivamente miste, di definizione delle
sfere di competenza, nonché diverse altre questioni.
L’analisi delle nuove disposizioni, operando un continuo raffronto, evidenzia i principali
punti di contatto-frizione tra l’ordinamento comunitario e quello interno che, fatte salve talune
differenziazioni formali, si ispira ampiamente al primo.
Si pone, per ultima, la questione sempre più emergente della vigilanza su mercati i cui
assetti e strutture superano l’ambito nazionale, con il coinvolgimento di Autorità e normative
di diversi Paesi della Comunità europea.
Di grande interesse è la disamina compiuta da M. POLO, Concorrenza e Opa nell’industria bancaria, in Mercato
concorrenza regole, 1999, 2, p. 245 ss. La complessità della materia è dovuta anche al sovrapporsi alle leggi italiane, ai
regolamenti e alle autorizzazioni delle varie Autorità (Banca d’Italia, Consob, Isvap, Antitrust) della disciplina di
rango comunitario. Basti pensare che, nell’ipotesi di operazioni cross-border, occorre considerare le implicazioni
derivanti dall’iter della Commissione europea incaricata, per il profilo sovranazionale, di valutare i profili
concorrenziali delle concentrazioni tra imprese. Sull’argomento, per un primo commento, cfr. D. LUCARINI
ORTOLANI, Le offerte pubbliche di acquisto e scambio tra disciplina generale societaria e disciplina speciale bancaria, in Banca,
impr. soc., 2001, 2, p. 283 ss.; G. ROTONDO, L’applicazione della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto al settore
bancario, in G. FALCONE, G. ROTONDO e L. SCIPIONE (a cura di), Le offerte pubbliche di acquisto, Milano,
2001, p. 209 ss.
4
-6-
Capitolo I
LA DISCIPLINA DELLE PARTECIPAZIONI E DEL CONTROLLO NELLE
BANCHE
SOMMARIO: 1. L’evoluzione della disciplina degli assetti proprietari delle banche. Dalla Legge del 1936
all’attuazione della seconda Direttiva bancaria. - 2. La disciplina delle partecipazioni bancarie nel Testo Unico.
- 3. L’autorizzazione all’acquisizione di partecipazioni qualificate. - 3.1. La nozione di “partecipazione
rilevante”. - 3.1.1. (Segue): L’autorizzazione alla variazione successiva della partecipazione autorizzata. - 3.2.
L’ambito soggettivo di applicazione della disciplina. - 4. Il regime preventivo dell’autorizzazione nelle
Istruzioni di vigilanza. Procedure e termini. - 4.1. (Segue): Il tema dell’informativa preventiva in caso di
acquisto del controllo. - 5. Le finalità sottese alla potestà discrezionale della Banca d’Italia: il principio della
“sana e prudente gestione”. - 5.1. (Segue): I requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale: un corollario
della sana e prudente gestione. - 5.2. (Segue): Le specifiche dichiarazioni di impegno volte a tutelare la sana e
prudente gestione della banca o della società capogruppo. - 6. Il potere della Banca d’Italia di sospendere o
revocare l’autorizzazione. - 7. Gli elementi identificativi della nozione di partecipazione indiretta. - 8. La
nozione di controllo ex art. 23 del T.u.b. - 9. La disciplina delle partecipazioni di imprese non finanziarie
(rapporto banca-industria). - 9.1. (Segue): Rapporti di controllo e accordi di voto. - 10. L’acquisto di
partecipazioni di controllo nelle banche da parte di imprese di assicurazione. Problematiche di natura
prudenziale. - 10.1. (Segue): I nuovi assetti dei rapporti tra banche ed imprese di assicurazione. - 11. Il regime
sanzionatorio. - 12. Le partecipazioni detenibili dalle banche: cenni.
1. L’evoluzione della disciplina degli assetti proprietari delle banche. Dalla Legge del 1936 all’attuazione della
seconda Direttiva bancaria.
La legge bancaria del 1936-38 ha indubbiamente costituito il cuore della disciplina del
sistema bancario per più di cinquant’anni, prevedendo un articolato apparato di controllo sia
sulle banche, sia sul mercato creditizio nel suo complesso5. Il legislatore del 1936, che pure
interveniva in tutte le fasi salienti della vita delle aziende di credito, sembrava essersi
disinteressato del tema degli assetti proprietari delle banche; l’unica eccezione poteva infatti
cogliersi nella previsione di nominatività obbligatoria per le partecipazioni azionarie in società
bancarie, di cui agli artt. 26 e 39, forse in considerazione della prevalente natura pubblica degli
enti creditizi.
Per altro verso, la legge bancaria del ’36, nell’applicazione data dalle Autorità di vigilanza,
sanciva il principio della separatezza tra banca e industria, nella consapevolezza che promiscue
commistioni tra questi due comparti potessero riportare alla luce i fenomeni che avevano
caratterizzato i dissesti finanziari di alcune grandi banche italiane, a seguito della crisi
economica degli anni 1930-346.
Dall’esame delle norme traspariva come la principale preoccupazione del legislatore
fosse, in realtà, quella di “neutralizzare la possibile influenza delle preesistenti partecipazioni di
capitale straniero nelle banche di interesse nazionale”7. L’art. 26 della legge bancaria poneva
come condizione per la conservazione dei possessi azionari in tali banche da parte di cittadini
Per tutti v. F. CARBONETTI, I cinquant’anni della legge bancaria, in Riv. soc., 1986, p. 849 ss.
Così F. BELLI, Note a margine della nuova normativa sul rapporto banca-indistria, in Dir. banc. fin., 1988, I, p.
486; sul punto v. pure F. CAPRIGLIONE, Costituzione di banche e rapporto banca-industria, in Banca, borsa tit. cred.,
1988, I, p. 703 s.; A. ROSSI, Rapporti fra industria e banca (aspetti giuridici), s.l., 1989.
7 Così G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, 1995, 3, I, p. 288.
5
6
-7-
ed enti stranieri l’espressa rinuncia al diritto di voto in assemblea8. Per contro, non erano
previsti in capo all’Autorità di vigilanza specifici poteri di controllo sulla qualità dei partecipanti
al capitale delle banche, sia in sede di costituzione, sia e soprattutto in sede di trasferimento
delle relative partecipazioni9.
A partire dalla prima metà degli anni ’80, il quadro istituzionale subì alcune sostanziali
modificazioni che, coprendo un arco molto vasto, andavano dalla disciplina del mercato
bancario a quella della struttura e dell’attività dei soggetti che sul mercato operavano10.
La disciplina sulle partecipazioni al capitale delle banche trova un suo antecedente
nell’obiettivo della trasparenza degli assetti proprietari delle stesse. Il primo provvedimento in
materia è rappresentato dalla legge 4 giugno del 1985, n. 281 con la quale venivano dettate
specifiche disposizioni per l’identificazione dei soci. La nuova disciplina sostanzialmente
ricalcava quella prevista per le partecipazioni in società quotate in borsa (legge n. 216/1974). In
particolare, l’art. 9 introduceva l’obbligo di dare comunicazione scritta delle partecipazioni
superiori al 2% (nonché anche delle successive variazioni in aumento o in diminuzione) del
capitale sia alla banca partecipata e sia alla Banca d’Italia. Nel contempo l’art. 10 attribuiva
all’Autorità di vigilanza specifici poteri informativi per accertare l’effettiva titolarità delle
partecipazioni bancarie. La predisposizione di questo sistema di pubblicità consentiva, infatti,
la conoscibilità dei singoli soggetti che, tramite partecipazione azionaria, in vario modo e nei
limiti richiamati, controllavano un ente creditizio. L’omessa comunicazione era sanzionata con
la sospensione del diritto di voto11.
In particolare, i poteri discrezionali della Banca d’Italia in sede di autorizzazione alla
costituzione degli enti creditizi conobbero una forte compressione per effetto della nuova
disciplina dell’accesso al settore creditizio introdotta dal d.p.r. n. 350/1985 (di attuazione della
prima direttiva di coordinamento in materia bancaria n. 77/780/CEE12). Tra le condizioni per
l’autorizzazione alla costituzione la legge richiedeva il possesso di specifici requisiti di
onorabilità anche per i partecipanti al capitale che fossero “in grado di influire sull’attività
dell’ente [art. 1, lett. c)]13. A ciò si aggiunse la pressoché contestuale rimozione della sospensiva
di carattere generale per la costituzione di nuove banche14; infine emersero istanze di una
Va detto, però, che il d.p.r. 30 dicembre 1965, n. 1655, aveva escluso l’applicabilità di tale previsione
normativa ai cittadini ed agli enti di Stati membri della Cee.
9 L’assenza di norme espresse al riguardo induceva parte della dottrina, ancora in tempi recenti, a dubitare
che un principio di separatezza sotto tale profilo potesse desumersi dal sistema della legge bancaria e comunque
ad interrogarsi su quale fosse il fondamento normativo dello stesso. Sul punto, in particolare, cfr. M. PORZIO, I
rapporti banca-imprese nella normativa vigente, in A. BROZZETTI e V. SANTORO (a cura di), Le direttive comunitarie in
materia bancaria e l’ordinamento italiano, Milano, 1990, p. 149 ss.; D. LUCARINI ORTOLANI, Banche e partecipazioni,
Milano, 1994, p. 151 ss.
10 In proposito v. quanto detto nella Relazione della Banca d’Italia per il 1986. Considerazioni finali, Roma, 1986,
p. 31 s.
11 Sul punto v. R. COSTI, L’identificazione dei soci delle società bancarie, in Banca, impr. soc., 1986, p. 221 ss.; P.
FERRO LUZZI e G. CASTALDI, Art. 9, commi 1 e 2, legge 281/1985: Prime riflessioni esegetiche, in Banca, borsa tit.
cred., 1986, I, p. 425 ss.
12 Al riguardo cfr. M. PORZIO, La legislazione italiana di attuazione della direttiva CEE 77/780. Prime riflessioni,
in Mezzogiorno Europa, 1985, 3, p. 383 ss.; E. MACCARONE, Prime considerazioni sulla legge di attuazione della direttiva
n. 780 del 12 dicembre 1977, in Banca, borsa e tit. cred., 1986, I, p. 171; R. COSTI, L’ordinamento bancario italiano e le
direttive comunitarie, in Banca, impr. soc., 1986, p. 3 ss.; L. DESIDERIO, Le norme di recepimento della direttiva comunitaria
n. 77/780 in materia creditizia, in Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza legale della Banca d’Italia, Roma, 1986, p. 42
ss.
13 Requisiti che, come rileva G.F. CAMPOBASSO, op. cit., p. 287, “sono fissati ex lege dall’art. 5, con norma
che solleva subito problemi di coordinamento con il successivo art. 7, che inibisce l’esercizio del diritto di voto ai
soci privi di alcuni di tali requisiti”.
14 Le autorizzazioni alla costituzione di imprese bancarie e all’esercizio della relativa attività, la c.d.
“valutazione economica del bisogno economico del mercato”, vennero unificate (con intuibile semplificazione
delle procedure prima previste) e il provvedimento venne subordinato solo alla mera dimostrazione, da parte delle
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nuova riallocazione delle risorse che il sistema finanziario non riusciva più a gestire in maniera
ottimale, individuandosi il principale ostacolo nel modello della banca pubblica15.
In questo scenario, sia la legge 4 giugno 1985, n. 281, che la legge 17 aprile 1986, n. 114
(di poco successiva al d.p.r. 350/1985) fornirono alle autorità di vigilanza, e in particolare alla
Banca d’Italia, nuovi strumenti informativi per un efficace controllo sia sulle partecipazioni delle
banche sia sulle partecipazioni in banche.
Di tal che, anche gli interventi normativi che seguirono riproposero (soprattutto con
l’adozione della forma societaria e la privatizzazione parziale delle banche) il quesito
dell’intreccio tra banca e industria16. Nello specifico, occorreva impedire che l’apporto di
capitale di rischio da parte di soggetti con interessi imprenditoriali in settori industriali potesse
pregiudicare l’autonomia decisionale e la stabilità della gestione delle banche nell’attività di
erogazione del credito17.
Le linee di intervento così delineate furono riprese e portate a compimento a livello
legislativo, dopo un lungo e travagliato iter parlamentare, con la disciplina inserita nel Titolo V
della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (c.d. legge antitrust). Al di là della indiscutibile portata
innovativa, la legge 287/1990 presentava notevoli divergenze rispetto alla disciplina
comunitaria, tanto che risultò inevitabile, in sede di recepimento della direttiva n.
89/646/CEE, coordinare compiutamente la disciplina nazionale con i principi comunitari18.
Per quanto direttamente interessa ai fini del presente lavoro, si ricorda che gli artt. 27-29
della l. n. 287/1990 tratteggiavano un sistema di controlli sulle partecipazioni al capitale
bancario complesso e per taluni aspetti macchinoso, non privo di numerose ambiguità
interpretative, nel quale si intrecciavano, sovrapponendosi, obblighi di diversa natura (poiché
già previsti da altre disposizioni di legge) in capo agli azionisti delle banche19.
imprese istanti, di avere i prescritti requisiti di capitale e di forma giuridica nonché di essere amministrate e dirette
da esponenti “onorabili” e professionalmente qualificati.
15 In dottrina cfr. S. AMOROSINO, (a cura di), La ristrutturazione delle banche pubbliche – l’attuazione della L.
218 del 1990, Milano, 1991; M. PORZIO, Appunti sulla “Legge Amato”, in Riv. soc., 1991, p. 804 ss.; AA.VV., La
ristrutturazione della banca pubblica e la disciplina del gruppo creditizio. Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza legale della
Banca d’Italia, Roma, 1992; M. RISPOLI FARINA, (a cura di), Dall’ente pubblico creditizio alla società per azioni.
commentario alla L. 218/90, Napoli, 1993; C.L. UBERTAZZI, Nuovi spunti sulle autorizzazioni alle concentrazioni
bancarie, in Dir. finanz., 1993, I, p. 527 ss.
16 Così G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 287. Con l’adozione della forma societaria e la privatizzazione
parziale delle banche, si rese possibile da parte delle industrie l’accesso al capitale delle banche, riproponendo,
così, il vecchio problema del rapporto tra banca e industria. In merito v. R. PEPE, Riflessioni e confronti in tema di
separatezza tra banca e industria, in Banca d’Italia: Temi di discussione del servizio studi, n. 76, 1986; T. DI BIASE e A.
MAGLIOCCO, Commento sub art. 19, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al Testo Unico delle leggi in
materia bancaria e creditizia, Padova, 1994, p. 120.
17 Cfr. A. MARZANO, Partecipazioni di imprese non finanziarie al capitale bancario, in Banche e banchieri, 1988, p.
109 ss.; P. DACREMA, Evoluzione e prospettive nella teoria e prassi del rapporto banca-industria, in Banche e banchieri, 1990, p.
185 ss. L’assunzione di partecipazioni di controllo da parte di imprese non finanziarie era scelta non generalmente
condivisa da economisti e giuristi. Si osservava, d’altro canto, che gli orientamenti che si andavano delineando in
sede comunitaria (con la proposta di seconda Direttiva bancaria), pur introducendo un controllo sulla “qualità”
degli azionisti, non prevedevano alcuna discriminazione fondata sulla natura (industriale o finanziaria) dell’attività
svolta dai partecipanti al capitale delle banche.
18 In merito v. F. BELLI, Note a margine della nuova normativa sul rapporto banca-industria, in Dir. banc. fin., 1988,
I, p. 486 ss. Ciò spiega perché l’intervento di maggior rilievo nella materia in questione sia da individuare nel d.lgs.
n. 481 del 1992, con il quale si è data attuazione alla disciplina comunitaria, mentre nel Testo Unico del 1993 le
modifiche apportate sono state per lo più dirette al riassetto normativo della materia sotto il profilo sistematico.
19 In particolare, il Titolo V prendeva in considerazione:
a) la previsione di un obbligo di comunicazione alla Banca d’Italia dell’acquisizione di partecipazioni
superiori all’1% (ma non superiori al 5%) del capitale della banca, che si affiancava agli adempimenti informativi
già previsti dall’art. 9 della l. n. 281/1985, dando luogo ad una duplicazione di dubbia utilità;
-9-
Sotto il profilo formale, l’impianto normativo della legge non si presentava immune da
difetti redazionali che, ovviamente, finivano per riflettersi sul piano operativo. Basti pensare
che nell’articolato non veniva esplicitato il termine per l’adempimento degli obblighi
autorizzativi in capo ai partecipanti, circostanza dalla quale derivava la difficoltà pratica da
parte del giudice penale di applicare, in assenza di dies a quo, la sanzione prevista per l’omessa
richiesta di autorizzazione20.
Sul piano sostanziale, la complessità della disciplina poteva trovare una giustificazione
nella mancanza o, comunque, nell’inadeguatezza delle norme di diritto comune in tema di
gruppi societari, di patti di sindacato, di controllo tra persone fisiche e società. Il legislatore,
nell’introdurre norme specifiche per la ricostruzione dei rapporti tra i soggetti “a monte” della
banca, aveva attribuito rilevanza a legami e situazioni del tutto sconosciuti al diritto comune.
Quanto detto sin’ora spiega coma la legge n. 287/1990 avesse alimentato, già dal suo
nascere, un ampio dibattito dottrinale che, al di là dell’indiscutibile portata delle norme sul
piano dei principi, aveva posto in luce un’esigenza di razionalizzazione del sistema dei controlli
introdotto dalla legge stessa, e di adeguamento della disciplina ai principi adottati a livello
sovranazionale21.
L’intervento di maggior rilievo venne compiuto con il d.lgs. 14 dicembre 1992, n. 481
che, nel dare attuazione alla disciplina comunitaria (direttiva 89/646/CEE del 15 dicembre
1989), lasciava inalterati i principi ispiratori di fondo del sistema precedentemente delineato. Le
modifiche apportate erano per lo più dirette ad un riassetto normativo della materia sotto il
profilo sistematico, in particolare con riguardo alle disciplina dettata dal Titolo V della legge n.
287/199022.
Nello specifico, avendone presunto la compatibilità con la direttiva, il d.lgs. 481/1992
aveva, da un lato, mantenuto sia le norme della legge 287/1990 concernenti la rilevanza delle
partecipazioni ai fini autorizzativi, sia quelle dirette a garantire la separatezza tra banca e
industria (si confermava la scelta di fondo del tetto del 15% per le partecipazioni dei soci non
finanziari); dall’altro, aveva provveduto a trasformare in preventivo l’obbligo di comunicazione
delle partecipazioni, a modificare la nozione di controllo societario rilevante ai fini della
b) la necessità dell’autorizzazione della Banca d’Italia per l’assunzione di partecipazioni (dirette o indirette)
pari ad almeno il 5% del capitale o che comunque attribuissero il controllo dell’ente creditizio (art. 27, comma 1),
nonché delle successive variazioni, in aumento e in diminuzione, superiori al 2% (art. 27, comma 4);
c) il principio della separatezza tra banca e industria, vietando ai soggetti non appartenenti al settore
bancario e finanziario di assumere partecipazioni (dirette o indirette) superiori al 15% o comunque tali da
comportare il controllo dell’ente creditizio (art. 27, comma 6);
d) l’introduzione di una nozione anomala di “controllo congiunto o per patto da sindacato” (art. 27,
comma 2), in base alla quale venivano considerati “controllanti”, attraverso una vera e propria fictio iuris, tutti gli
aderenti ad un patto di sindacato, anche se titolari di singole quote partecipative irrilevanti, quando la
partecipazione complessiva del patto fosse superiore al 25% del capitale della società. L’effetto di questa
previsione era, dunque, quello di impedire l’assunzione di partecipazioni anche ininfluenti da parte di imprese
industriali;
e) un articolato sistema sanzionatorio, per più versi poco chiaro, che prevedeva, accanto a sanzioni penali,
la sospensione del diritto di voto per le partecipazioni non comunicate o non autorizzate e l’obbligo di alienazione
per le partecipazioni possedute in violazione del divieto di cui all’art. 29.
20 In senso conforme v. T. DI BIASE e A. MAGLIOCCO, op. cit., p. 121 s.; P. FERRO LUZZI, op. ult. cit.,
p. 425 ss. Analoga esperienza normativa viene svolta dalla legge 281/1990 e dalla normativa di attuazione
contenuta nel d.lgs. n. 356/1990 in materia di gruppi bancari.
21 V. art. 25 della legge comunitaria per il 1991.
22 Come rileva G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 290. Sulla stessa lunghezza d’onda v. R. ALESSI e G.
OLIVIERI, La disciplina della concorrenza e del mercato (Commento alla legge 10 ottobre 1990, n. 287 ed al regolamento n.
4064/89 del 21 dicembre 1989), Torino, 1991, p. 140 ss.; A. PATRONI GRIFFI, A. ANTONUCCI e C. MOTTI,
Norme in materia di partecipazioni al capitale degli enti creditizi, in A. FRIGNANI, L. PARDOLESI, A. PATRONI
GRIFFI e C.L. UBERTAZZI (a cura di), Diritto antitrust italiano, Bologna, 1993, II, p. 1175 ss.
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disciplina delle partecipazioni allineandola con quella comunitaria23, ad attribuire alla Banca
d’Italia il compito di valutare discrezionalmente la qualità degli azionisti avendo riguardo non
solo al principio della separatezza, ma anche al più ampio criterio della “sana e prudente
gestione”24.
Proprio la corretta realizzazione dell’obiettivo generale della “sana e prudente gestione”
della banca, aveva comportato, di per sé, un’accentuata delegificazione dei criteri di intervento.
Tale soluzione, nonostante i ben noti dubbi di legittimità pur avanzati in dottrina, trovava un
suo puntuale antecedente nella legge bancaria del 193625. L’ampio ricorso alla normativa
secondaria di attuazione si rinveniva, peraltro, non solo in relazione agli aspetti procedurali per
la richiesta dell’autorizzazione, ma anche in merito a “profili sostanziali della complessiva
disciplina delle partecipazioni prima fissati per legge (requisiti di onorabilità e soglie
partecipative rilevanti)” 26.
Cfr. A. PATRONI GRIFFI, Le modificazioni al regime delle autorizzazioni alla costituzione e all’assunzione di
partecipazioni, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Il recepimento della seconda direttiva CEE in materia bancaria, Bari, 1993,
p. 32 ss. Va sottolineato, in proposito, che, nell’opera di armonizzazione della normativa nazionale a quella
comunitaria, il legislatore delegato si è avvalso della possibilità riconosciuta ai singoli Stati membri (IX°
considerando della II direttiva CEE) di adottare su tale materia una disciplina più severa. Per un’analisi
comparativa tra l’originario impianto della legge antitrust e le modifiche apportate al d.lgs n. 481/1992, cfr. A.
PATRONI GRIFFI, Norme in materia di partecipazioni al capitale degli enti creditizi in Diritto antitrust italiano, cit., p. 1194
ss. e p. 1375 ss. Soprattutto si nota la scomparsa della discussa fattispecie del c.d. “controllo congiunto” o “da
sindacato”, regolato nell’originario testo dell’art. 27 della l. 287/1990. In senso conforme v. pure P.
ABBADESSA, La legge, in A. SPENA e G. GIMIGLIANO (a cura di), Le fonti del diritto bancario, Milano, 2003, p.
36.
24 L’assenza di coordinamento della disciplina delle partecipazioni al capitale con quello della costituzione
dell’ente creditizio, nella legge antitrust, aveva sollevato “problemi di coesistenza e di compatibilità con la non
coincidente delibera del CICR del 1987, che delineava una regolamentazione degli assetti proprietari con esclusivo
riferimento alla fase costitutiva”. Per fugare qualsiasi dubbio si era espressamente chiarito che l’autorizzazione alla
costituzione valesse anche come autorizzazione preventiva alla sottoscrizione della relativa partecipazione
qualificata [art. 9, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 481/1992, ed ora art. 14, comma 1, lett. d), T.u.b.]; in tal senso v. G.F.
CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 290 s. Di diverso avviso altra autorevole dottrina (A. PATRONI GRIFFI, A.
ANTONUCCI e C. MOTTI, Norme in materia di partecipazioni al capitale degli enti creditizi, in Diritto antitrust italiano,
cit., p. 1185 ss.) che riteneva necessario, ai fini dell’autorizzazione alla costituzione, presentare l’atto costitutivo e
non un semplice “progetto” dello stesso.
25 Cfr. F. CASTIELLO, Riforma e controriforma della legge bancaria, in Bancaria, 12, 1992, p. 57 ss.; contra, invece,
P.G. MARCHETTI, Osservazioni sull’attuazione della Seconda direttiva Cee in materia bancaria, in Riv. soc., 1993, p. 263 ss.
Secondo G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 291, “Si tratta comunque di una tecnica che ha contribuito non poco
ad un’autorevole semplificazione e ad una migliore comprensione del contenuto precettivo delle norme,
rendendone nel contempo possibile un più duttile adeguamento nel tempo”. Per utili riferimenti bibliografici si
rinvia a G. CASTALDI, Il Testo Unico bancario, tra innovazione e continuità, Torino, 1995, p. 31 ss.; V. SANTORO, I
rapporti di partecipazione tra banca e industria, in A. BROZZETTI e V. SANTORO (a cura di), Le direttive comunitarie in
materia bancaria e l’ordinamento bancario, Milano, 1990, p. 154 ss. Come noto, la legge n. 287/1990 sulla tutela della
concorrenza e del mercato, vide la luce dopo un lungo e travagliato iter parlamentare, in parte dovuto proprio alla
questione dei rapporti tra banca e industria. In merito cfr. F. BELLI, Note a margine della nuova normativa sul rapporto
banca-industria, in Dir. banc. fin., 1988, I, p. 486; F. CAPRIGLIONE, Costituzione di banche e rapporto banca-industria, in
Banca, borsa, tit. cred., 1988, I, p. 722; G.F. CAMPOBASSO, op. cit., p. 289; G. CASTALDI, op. cit., p. 32 ss.; in
senso conforme v. pure T. DI BIASE e A. MAGLIOCCO, op. cit., p. 121; P. FERRO LUZZI, op. cit., p. 425 ss.
26 Al riguardo G. MINERVINI, Il vino vecchio negli otri nuovi, in M. RISPOLI FARINA (a cura di), La nuova
legge bancaria, Napoli, 1995, p. 10 ss., precisa che: “con la nuova normativa, secondo molti studiosi, vi è stata una
delegificazione ed una remissione della disciplina a fonti secondarie addirittura maggiore di quella che
caratterizzava la c.d. elasticità della legge bancaria”. In proposito v. anche le opinioni di C.L. APPIO, Il procedimento
di autorizzazione alla partecipazione al capitale delle banche fra legge e normazione secondaria, in Giur. comm., 1995, I, p. 785;
A. GUACCERO, Le partecipazioni del socio industriale nella società per azioni bancaria, Milano, 1997, p. 254. Nel senso
della legittimità di tale opera di delegificazione cfr. P. BARILE, in La nuova legge bancaria, a cura di P. FERRO
LUZZI e G. CASTALDI, I, Milano, 1996, p. 20 s.; T. DI BIASE e A. MIGLIOCCO, op. cit., p. 123 s. È di parere
opposto G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni delle banche e dei gruppi bancari, in Banca, borsa e tit. cred., 1995, III, p.
283 s., il quale sostiene che “l’opzione di totale delegificazione della disciplina dei rapporti partecipativi è venuta
23
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2. La disciplina delle partecipazioni bancarie nel Testo Unico.
La disciplina degli assetti proprietari delle banche trova sistemazione unitaria nel Capo III
del Titolo II (artt. 19-24) e nell’art. 25 (requisiti di onorabilità) del Testo unico bancario, “con
disposizioni che si caratterizzano per un encomiabile sforzo di ulteriore semplificazione
stilistica e per l’adozione di soluzioni tecniche che hanno consentito una migliore articolazione
ed un ulteriore ridimensionamento del testo legislativo”27.
Il legislatore eleva, inoltre, il criterio della “sana e prudente gestione” a “norma-chiave”28
dell’intero ordinamento bancario, con una capacità pervasiva che va ben oltre i limiti in cui lo
stesso criterio era (ed è) astretto nell’ambito della seconda direttiva bancaria29.
meno, a partire dal 1990, per quanto riguarda la partecipazione al capitale delle banche, i cui principi sono oggi
fissati dagli artt. 19-25 del T.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia (…), sia pure con ampio rinvio alla
normativa secondaria di attuazione”.
27 Così G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., pp. 291 e 295. Il legislatore del 1993 conclude, infatti, un
processo di riforma della legislazione bancaria, iniziato alla fine degli anni Settanta e caratterizzato da un’esigenza
di fondo: la necessità di modificare la struttura giuridica delle banche pubbliche e incentivare l’adozione della
forma societaria di s.p.a., al fine di promuovere nel sistema creditizio e finanziario la logica del mercato e della
concorrenza. Più in generale cfr. G. GUARINO, L’armonizzazione della legislazione bancaria: la revisione dell’ordinamento
bancario del 1936, in V. MEZZACAPO (a cura di), Studi sulla nuova legge bancaria, Roma, 1994, p. 18 ss.; V.
NASTASI, Banca universale e gruppo polifunzionale: una scelta strategica per l’impresa, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Il
recepimento della seconda direttiva CEE in materia bancaria, Bari, 1993, p. 90 ss.
28 L’espressione è di G. MINERVINI, op. ult. cit., p. 11. Condividono tale opinione V. BUONOCORE,
Riflessioni in margine al nuovo testo unico in materia bancaria e creditizia, in Banca impr. soc., 1994, p. 173 s. Ciascuna delle
tematiche ora evocate sconta, a meri fini illustrativi, approfondimenti intuitivamente incompatibili con
caratteristiche, finalità, dimensioni di questo scritto. In tale consapevolezza non può peraltro qui omettersi di
considerare che istituti, strumenti, regole del controllo prudenziale si basano sulla formula della “sana e prudente
gestione”, che rappresenta il parametro cui viene riferita l’azione della vigilanza. Ed è parametro talora
controverso, come unanimemente sostengono in dottrina A. ANTONUCCI, Diritto delle banche, 2 ed., Milano,
2000, p. 56; F. CAPRIGLIONE, L’ordinamento bancario verso la neutralità, Padova, 1994, p. 141; ID., Dal decreto
481/1992 al testo unico in materia bancaria e creditizia, in Giur. comm., 1993, I, p. 837; A. PATRONI GRIFFI, Le
modificazioni al regime delle autorizzazioni alla costituzione e all’assunzione di partecipazioni, cit., p. 170; ID., La legge bancaria
nel passaggio dal vecchio al nuovo testo: prime riflessioni sistematiche, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Il recepimento della
seconda direttiva CEE in materia bancaria, Bari, 1993, p. 39 ss.; G. GUARINO, op. ult. cit., p. 23; F. BELLI e V.
SANTORO, Commento alla legge 10 ottobre 1990, n. 287 e al d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74, in A. AFFERNI (a cura di),
Concorrenza e mercato, Padova, 1994, p. 635 ss.; G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit., p.
300; P.G. MARCHETTI, Osservazioni sull’attuazione della seconda direttiva CEE in materia bancaria, cit., p. 284. Si tratta
di una formula elastica, che necessariamente coinvolge una discrezionalità tecnico-professionale nel momento di
essere attuata. La discrezionalità tecnica è, pertanto, una facoltà di valutazione ineliminabile nei giudizi
dell’Autorità di controllo. D’altronde, la Banca d’Italia ne ha fatto uso prevalentemente con riferimento alla qualità
degli azionisti ed all’affidabilità della situazione finanziaria, che costituiscono paradigmi di riferimento
dell’espressione nell’ambito della seconda direttiva bancaria (cfr. artt. 5 e 11 direttiva n. 89/646/CEE).
29 Da ciò deriva che il compito dell’autorità è il perseguimento delle finalità generali attraverso il rispetto
della sana e prudente gestione dei soggetto vigilati. Nel senso indicato, la formula “sana e prudente gestione”
costituisce il punto di saldatura tra obiettivi di sistema, azione di vigilanza e condotta delle imprese. L’Autorità
non persegue la realizzazione autonoma di ogni obiettivo, ma opera nella ricerca dell’ottimale combinazione delle
finalità; in tal senso cfr. G. NAPOLETANO e M. SEPE, La sana e prudente gestione, in AA.VV., Le finalità della
vigilanza nel nuovo ordinamento del credito: profili economici e giuridici, Roma, Banca d’Italia (dattiloscritto), 1994, p. 4.
Considerando che “sana” è una gestione caratterizzata da efficienza funzionale e neutralità allocativa, e che
“prudente” si definisce una gestione razionalmente avversa al rischio, si è concluso che “tra sana e prudente
gestione e la stabilità del sistema finanziario sembra correre un rapporto di causa-effetto: operatori sani e prudenti
dovrebbero in generale essere meno esposti a crisi, quindi un sistema composto di operatori stabili dovrebbe a sua
volta presentare caratteristiche di solidità”; così M. TRAPANESE e A. ERIA, Relazione fra gli obiettivi, in AA.VV.,
Le finalità della vigilanza nel nuovo ordinamento del credito, cit., pp. 1 e 5. Dunque, sembra che non si possa dubitare che
il rapporto che si presenta tra queste finalità sia quello di mezzo-obiettivo, posto che le norme della sana e prudente
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Sotto un profilo sistematico la complessa normativa può essere scomposta e quindi
riaggregata in sottogruppi di regole abbastanza omogenee.
Nel primo insieme si possono distinguere le norme che regolano l’autorizzazione
necessaria per l’assunzione di partecipazioni superiori ad una predeterminata soglia (art. 19) da
quelle che impongono ai soci delle società bancarie obblighi di comunicazione e informazione
nei confronti della Banca d’Italia (artt. 20 e 21). Le prime rilevano anche in sede di
autorizzazione all’accesso, pur trattandosi di regole che concernono l’acquisizione della
partecipazione durante societate; le seconde attengono alla “vigilanza informativa”, in termini di
trasparenza degli assetti proprietari e delle effettive posizioni di potere dei principali azionisti,
fondata sull’obbligo di comunicazione delle partecipazioni rilevanti e degli accordi che
regolano l’esercizio del diritto di voto30.
Le norme richiamate presentano, comunque, diversi momenti in comune, soprattutto per
quanto concerne le cosiddette partecipazioni indirette (art. 22), la definizione della nozione di
controllo (art. 23) e le sanzioni poste a tutela sia dell’obbligo di comunicazione che degli
interessi protetti attraverso l’autorizzazione (art. 24).
Oltre alle norme del Titolo II, Capo III, e all’art. 25, che disciplina i requisiti di
onorabilità dei partecipanti, del T.u.b., la materia è inoltre regolata dagli artt. 51 e 66,
concernenti la vigilanza informativa sulle banche e sui soggetti inclusi nell’ambito della
vigilanza consolidata, e dall’art. 63. Tale ultima disposizione estende alle partecipazioni al
capitale delle società finanziarie a capo di un gruppo bancario l’intera disciplina del Titolo II,
Capo III. La ratio di tale previsione non può che rinvenirsi nella sostanziale assimilazione della
società finanziaria capogruppo ad una banca. In particolare, ai sensi del comma 2 dell’art. 63
T.u.b.31, la Banca d’Italia dispone, nei confronti delle altre società finanziarie e delle società
strumentali che compongono un gruppo bancario (ex art. 60), nonché dei partecipanti al loro
capitale, dei poteri informativi sugli assetti proprietari previsti dall’art. 21 T.u.b.32.
La tutela del valore della sana e prudente gestione in relazione agli assetti proprietari delle
banche e delle società finanziarie capogruppo è altresì affidata a meccanismi sanzionatori (artt.
139 e 140 del T.u.b.)33.
Un’ampia delegificazione caratterizza, come più volte detto, il T.u.b., ragion per cui la
disciplina anche in questa materia deve essere completata con l’intervento della Banca d’Italia,
la quale determina con proprio regolamento: a) la partecipazione qualificata e le soglie
gestione cercano la realizzazione della stabilità, intesa come finalità sistemica, procurando e promovendo la
solidità dei singoli operatori, componenti del sistema.
30 Nel Testo Unico trova separata sistemazione anche la specifica e più scarna normativa in tema di
partecipazione al capitale degli intermediari finanziari non bancari (Titolo V); normativa che, al pari di quella
prevista per gli intermediari operanti nel settore mobiliare (società di gestione di fondi comuni di investimento,
Sim, Sicav) si articola ed esaurisce nella previsione di requisiti di onorabilità per i partecipanti (art. 108) e di
obblighi di comunicazione delle partecipazioni qualificate (art. 110), la cui assunzione, a differenza delle
partecipazioni in banche, resta peraltro non soggetta ad ulteriori controlli e limitazioni.
31 Si tenga presente, infatti, che l’art. 63, comma 2, T.u.b. sostanzialmente riproduce l’art. 41 del d.lgs. n.
356/1990, in tema di trasparenza degli assetti proprietari dei gruppi bancari.
32 In proposito cfr. C. MOTTI, Commento sub artt. 20-21 T.u.b., in F. BELLI, G. CONTENTO, A.
PATRONI GRIFFI, M. PORZIO e V. SANTORO (a cura di), Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.
Commentario, Bologna, 2003, p. 308.
33 Il quadro normativo è stato poi completato dalla Delibera del CICR del 19 aprile 1993 (pubblicata in G.U. Serie generale - n. 117 del 21 maggio 1993) e dal Regolamento del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica del 18 marzo 1998, n. 144, recante norme per l’individuazione dei requisiti di onorabilità dei partecipanti al
capitale sociale delle banche e fissazione della soglia rilevante (pubblicato in G.U. - Serie generale - n. 109 del 13
maggio 1998). Per un primo commento alla disciplina in esame cfr. ASSONIME, Commento alla delibera del CICR
del 19 aprile 1993 e alle Istruzioni della Banca d’Italia del 16 agosto 1993, in Riv. soc., 1993, p. 3 ss.; P. ANELLO e S.
RIZZINI BISINELLI, Nuove norme di Bankitalia per l’autorizzazioe all’attività bancaria, in Le società, n. 4/1994, p. 278
ss.
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partecipative; b) i soggetti tenuti a effettuare le comunicazioni quando il diritto di voto spetta o
è attribuito a un sogetto diverso dal socio, ovvero quando esistono accordi concernenti
l’esercizio del diritto di voto; c) le procedure e i termini per l’effettuazione delle suddette
comunicazioni.
3. L’autorizzazione all’acquisizione di partecipazioni qualificate.
Premesso che la disciplina sulle autorizzazioni è rivolta indistintamente a tutti i soggetti
che intendano acquisire interessenze nel capitale bancario, il primo comma dell’art. 19 T.u.b.
esordisce affermando che “la Banca d’Italia autorizza preventivamente l’acquisizione a qualsiasi
titolo di azioni o quote di banche da chiunque effettuata quando comporta, tenuto conto delle
azioni o quote già possedute, una partecipazione superiore al 5% del capitale della banca
rappresentato da azioni o quote con diritto di voto”34.
Viene poi sottoposta ad autorizzazione anche l’acquisizione del controllo di una società
che detiene una partecipazione superiore al 5% del capitale di una banca (art. 19, comma 3). Si
tratta di una disposizione che mira a risolvere alla radice eventuali manovre elusive dei limiti
posti dalla legge35.
Infine, per effetto della nuova disposizione di cui al comma 8-bis dell’art. 19,
l’autorizzazione della Banca d’Italia si rende necessaria anche qualora l’acquisizione del
controllo derivi, direttamente o indirettamente, da un contratto con la banca o da una clausola
del suo statuto36.
Ai sensi del quinto comma dell’art. 19 T.u.b. la Banca d’Italia “rilascia l’autorizzazione
quando ricorrano condizioni atte a garantire una gestione sana e prudente della banca;
l’autorizzazione può essere sospesa o revocata”. Il pregiudizio della gestione sana e prudente è
altresì elevato a criterio selettivo in relazione alla fattispecie di cui al successivo settimo comma.
Nel Testo unico bancario, modalità, termini e procedure per il rilascio
dell’autorizzazione, come per la sospensione37 e la revoca, sono completamente delegificati38.
Si segnala che nella versione precedente del T.u.b., il primo comma dell’art. 19 terminava con le parole:
“e indipendentemente da tale limite, quando la partecipazione comporta il controllo della banca stessa”.
35 Cfr. G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 299. Le finalità perseguite sono ritenute dal legislatore talmente
importanti da incidere sulle vicende traslative della proprietà di società non bancarie, in relazione alla sola
circostanza che queste detengono partecipazioni bancarie, indipendentemente, quindi, dal peso relativo delle
stesse sulla complessiva attività delle società.
36 Comma inserito dall’art. 39 del d.lgs. n. 310 del 2004.
37 Il termine è interrotto nel caso in cui la documentazione prodotta risulta incompleta o insufficiente. Il
termine è sospeso qualora si rendano necessari ulteriori elementi informativi ovvero nell’ipotesi in cui la Banca
d’Italia richieda informazioni e/o documentazione ad autorità pubbliche nazionali ed estere.
Nel caso, infatti, in cui il soggetto che intende acquisire il controllo sia una banca comunitaria, l’impresa
madre di una banca comunitaria, ovvero la persona fisica o giuridica che controlla una banca comunitaria, la
valutazione dell’operazione deve essere oggetto di una consultazione preventiva con le autorità competenti dello
Stato in cui ha sede la banca acquirente (artt. 7 e 11, §. 2, della dir. 89/646/CEE). In questo caso il termine è
sospeso in attesa del parere dell’autorità estera. In proposito cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per le
banche, cit., Tit. II, cap. 1, sez. II, §. 4, commi 4 e 8.
38 A tal proposito v. L. LACAITA, Assetto istituzionale e disciplina della vigilanza, in M. RISPOLI e G.
ROTONDO (a cura di), Il mercato finanziario, Milano, 2005, p. 48; G. MINERVINI, La vigilanza bancaria: un bilancio,
in M RISPOLI FARINA (a cura di), La vigilanza sul mercato finanziario, Milano, 2005, p. 17.
Vero è che l’art. 19, comma 9, T.u.b. specifica che: “La Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del
CICR, emana disposizioni attuative del presente articolo”. In proposito, è il caso di sottolineare come il T.u.b., pur
non contenendo una puntuale ed esplicita norma di attribuzione della vigilanza bancaria alla Banca d’Italia, nel
dettare la concreta disciplina dell’attività di vigilanza affida in modo univoco la titolarità del relativo potere in via
esclusiva alla Banca d’Italia, alla quale si riserva in materia anche il potere di proposta nei confronti del CICR.
Non solo, ma il T.u.b. priva, in linea di principio, il CICR del potere di concreta direttiva sull’attività di vigilanza
34
- 14 -
In entrambi i casi, la garanzia di una gestione sana e prudente della banca costituisce il solo
canone di comportamento cui deve conformarsi il controllo dell’autorità di vigilanza.
Attualmente, presupposti e condizioni atti a garantire una gestione sana e prudente della
banca trovano infatti specificazione nei paragrafi 5 (rilascio dell’autorizzazione) e 6
(sospensione e revoca) della delibera del CICR n. 1057 del 2005 e nelle relative Istruzioni della
Banca d’Italia, con indicazioni in verità alquanto elastiche, ma che nel complesso risultano
coerenti rispetto al criterio base legislativo di derivazione comunitaria39.
Il CICR, dal canto suo, nella precednte deliberazione del 19 aprile 1993, anziché
delimitare la potestà discrezionale della Banca Centrale, aveva riservato a quest’ultima un
ampio potere regolamentare, ricorrendo all’uso di una terminologia alquanto “ambigua”. E ciò
presumibilmente anche con l’intento di lasciare alla Banca d’Italia maggiori spazi, entro cui
poter esplicare liberamente l’attività di controllo sugli assetti proprietari delle banche.
3.1. La nozione di “partecipazione rilevante”.
Come si è appena descritto, qualsiasi intervento, partecipativo o contrattuale, che possa
comportare il controllo di una banca – o di una società capogruppo di un gruppo bancario –
deve essere autorizzato quando derivi dal superamento di una determinata soglia di rilevanza.
L’art. 19, comma 1, (novellato dal d.lgs. n. 37 del 2004) si limita a fissare la soglia minima
rilevante, ossia una partecipazione superiore al 5 per cento del capitale della banca
rappresentato da azioni o quote con diritto di voto.
La determinazione delle altre soglie autorizzative e delle modalità di calcolo delle stesse è
invece demandata alla Banca d’Italia, previo intervento del CICR.
Il comma 2, lett. h-quinquies), dell’art. 1 del T.u.b. definisce rilevanti le partecipazioni che
comportano il controllo dell'intermediario e le partecipazioni individuate dalla Banca d'Italia, in
conformità delle deliberazioni del CICR, con riguardo alle diverse fattispecie disciplinate,
“tenendo conto dei diritti di voto e degli altri diritti che consentono di influire sulla società”.
Si ricorda, a tal proposito, che la nuova versione dell’art. 1, comma 2, lett. h-quater), del
T.u.b. definisce le partecipazioni come le azioni, le quote e gli altri strumenti finanziari che
attribuiscono diritti amministrativi o comunque i diritti previsti dall'art. 2351, ultimo comma,
del codice civile.
della Banca d’Italia, sottolineando l’esclusiva titolarità in capo a quest’ultima del relativo potere, naturalmente nei
limiti delle regole fissate dalla legge e dal CICR medesimo. Sul punto cfr. P. DE VECCHIS, Commento all’art. 4, in
F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Padova, 2001, p. 22
ss.
In effetti, a differenza di quanto facevano l’art. 12 della legge bancaria del 1936 e l’art. 2 del d.l.c.p.s. 17
luglio 1947, n. 69, il T.u.b. non riconosce più al CICR un potere generale di direttiva nei confronti della Banca
d’Italia. Anche facendo riferimento alla nozione di << alta vigilanza >>, tale potere non può desumersi neppure
indirettamente; del resto l’<< alta vigilanza >> va intesa solo come un’espressione riassuntiva dei poteri tipici e
nominati attribuiti dal T.u.b. al Comitato, tra i quali spicca la cogestione dei poteri di vigilanza c.d. regolamentare
indicati all’art. 53 del T.u.b. Vero è, peraltro, che “nel settore bancario, poi, se si esamina la prassi pluridecennale
degli equilibri tra apparati di vertice nell’ordinamento creditizio, emerge che i poteri del CICR sono stati esercitati,
non tanto allo scopo di impartire indirizzi alla Banca d’Italia per allineare l’attività di quest’ultima alla politica
generale del Governo, quanto piuttosto allo scopo di dare, per così dire, copertura politica e istituzionale ai poteri
della Banca d’Italia”; così M. CLARICH, L’attività normativa della P.A. I poteri normativi della Banca d’Italia, in A.
SPENA e G. GIMIGLIANO (a cura di), Le fonti del diritto bancario, Milano, 2003, p 55.
39 Cfr. C. BRESCIA MORRA e U. MORERA, L’impresa bancaria. L’organizzazione e il contratto, Napoli, 2006,
p. 191. Merita comunque di essere segnalato che non vi è più alcun cenno nella normativa primaria
all’indipendenza della banca come valore a sé da tutelare e che significativamente scompare anche ogni
riferimento ai c.d. “protocolli di autonomia gestionale”, espressamente previsti dal testo originario dell’art. 28,
comma 4, della l. n. 287/1990.
- 15 -
A ciò si aggiunga che, nell’individuare le fattispecie di controllo rilevanti ai fini
dell’applicazione di questa disciplina, occorre far riferimento all’art. 23 T.u.b., il quale – in virtù
del rinvio all’art. 2359 c.c., confermato dal citato d.lgs. n. 37/2004 – “include tanto il controllo
che discende dalla partecipazione (c.d. controllo interno), quanto il controllo che discende da
vincoli contrattuali (c.d. controllo esterno)”40.
Nel riformulare le linee guida in materia di disciplina secondaria del possesso di
partecipazioni rilevanti e dell’acquisizione del controllo nelle banche, è infine intervenuta la
delibera del CICR del 19 luglio 2005, n. 105741, che delinea come ambito di riferimento le
azioni e gli altri strumenti finanziari, di cui all'art. 1, comma 2, lett. h-quater), del T.u.b., “emessi
dalle banche in conformità delle previsioni statutarie, nonché ai contratti e alle clausole
statutarie di cui all'art. 19, comma 8-bis, del T.u.b., fermi restando i poteri attribuiti alla Banca
d'Italia dagli artt. 14 e 56 del T.u.b.” (Capo I, art. 1).
Vengono dunque specificate due fattispecie di “partecipazioni rilevanti”42. Nel caso delle
azioni, ai sensi dell’art. 3, si considerano tali:
a) il possesso a qualsiasi titolo di azioni, anche prive del diritto di voto, per un
ammontare non inferiore al 10 per cento del capitale sociale;
b) ovvero il possesso di una partecipazione superiore al 5 per cento di azioni “che danno
diritto di voto, anche condizionato, su uno o più argomenti attinenti alle seguenti materie:
modifiche dello statuto; approvazione di bilanci; nomina, revoca o responsabilità di
componenti degli organi amministrativi, di controllo, del revisore o della società di revisione;
eventuali autorizzazioni richieste dallo statuto per atti degli amministratori; distribuzione di
utili”.
Nel secondo caso, il possesso di strumenti finanziari emessi da una banca configura una
partecipazione rilevante quando ne deriva “il potere di nominare componenti degli organi
aziendali della banca ovvero di condizionare scelte organizzative o gestionali di carattere
strategico”; si attribuisce quindi alla Banca d'Italia il compito di indicare i criteri per individuare
le suddette fattispecie (art. 5, comma 1) 43.
Spetta sempre alla Banca d’Italia, nelle ipotesi in cui i poteri di cui al comma 1 siano
attribuiti collettivamente ai possessori di strumenti finanziari dello stesso tipo, il compito di
individuare “la percentuale rilevante ai fini dell'art. 19, comma 1, del T.u.b. e le relative
modalità di calcolo, tenendo conto del contenuto dei diritti attribuiti” (comma 2), nonché di
specificare i casi in cui, ai sensi dell'art. 19, comma 2, del T.u.b., “la variazione della
partecipazione di cui al comma 2 deve essere autorizzata” (comma 3).
La Banca d’Italia viene inoltre incaricata di individuare ulteriori fattispecie di
partecipazione rilevante, “in via generale o in relazione alla particolare struttura finanziaria della
banca” (art. 6, comma 1).
40 In tal senso v. A. ANTONUCCI, Diritto delle banche, 3 ed., Milano, 2006, p. 171; V. SANTORO, Il
coordinamento del testo unico bancario con la riforma delle società. Due profili problematici: gli assetti proprietari e l’indipendenza
degli esponenti aziendali, in Dir. banca merc. finanz., 2005, I, p. 3 ss.
41 Cfr. CICR, Deliberazione 19 luglio 2005, n. 1057, contenente la “Disciplina delle partecipazioni e del
controllo in banche e in altri intermediari nonchè dei finanziamenti bancari a parti correlate”, pubblicata in G.U.
n. 188 del 13 agosto 2005. Il CICR ha affrontato la materia in oggetto anche in ragione delle modifiche apportate
ai Testi Unici bancario e della finanza dai provvedimenti di coordinamento adottati nell’ambito della riforma del
diritto societario.
42 Sugli effetti che le novità introdotte con la riforma del diritto societario possono avere sugli assetti
proprietari delle banche cfr. M. SEPE, Nuovo diritto societario e partecipazioni al capitale delle banche, in Nuovo diritto
societario ed intermediazione bancaria e finanziaria, cit., p. 81 ss.
43 Cfr. C. BRESCIA MORRA, L’impresa bancaria, cit., p. 200 s., che ritiene di non poter condividere
pienamente la scelta operata dal CICR di “estendere il campo di applicazione di queste norme a titoli innovativi
(gli strumenti finanziari, ndr) che non partecipano al capitale e non attribuiscono diritti di voto o diritti di
intervento nell’organizzazione societaria”.
- 16 -
Resta valido, ai sensi dell’art. 22 del T.u.b., il principio secondo cui l’ammontare
complessivo della partecipazione debba essere individuato tenendo conto sia delle
partecipazioni dirette che di quelle indirette, cioè comunque possedute per il tramite di società
controllate, di società fiduciarie o per interposta persona (sul punto v. infra §. 7).
3.1.1. (Segue): L’autorizzazione alla variazione successiva della partecipazione autorizzata.
Accanto all’acquisizione di partecipazioni, deve essere autorizzata anche la variazione
successiva della partecipazione autorizzata (art. 19, comma 2). Il comma secondo dell’art. 19
T.u.b. sottopone ad autorizzazione preventiva soltanto le variazioni della partecipazione in
aumento44, attribuendo alla Banca d’Italia il potere di stabilire i “limiti percentuali” 45; fermo
restando l’obbligo di autorizzazione preventiva per quelle variazioni che, indipendentemente da
tali limiti, “comportano il controllo della banca stessa”.
Il comma successivo contempla l’ipotesi di “acquisizione del controllo di una società che
detiene le partecipazioni di cui al comma precedente” 46.
In passato era la stessa legge ad indicare le soglie autorizzative, dato che l’art. 27, comma
4, l. 287/1990 richiedeva espressamente l’autorizzazione in ipotesi di aumento o di
diminuzione della partecipazione “superiore al due per cento del capitale dell’ente creditizio”.
In seguito, per effetto delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 481/1992, l’autorizzazione veniva
richiesta solo in ipotesi di “aumento della partecipazione in misura superiore alla percentuale
del capitale dell’ente creditizio stabilita in via generale dal CICR” (art. 27, comma 3,
“novellato”). Infine, con l’art. 19, comma 2, T.u.b. la materia viene fatta rientrare nella
competenza esclusiva della Banca d’Italia, previo intervento del CICR. Il “passaggio” dal
44 Cfr. L.C. UBERTAZZI, Nuovi spunti sulle autorizzazioni alle concentrazioni bancarie, in Dir. finanz., 1993, I, p.
527 ss. Scompare definitivamente l’autorizzazione in ipotesi di decremento della partecipazione o di “passaggio di
mano” del controllo, rispettivamente previste nel testo originario dell’art. 27, commi 4 e 5, legge 287/1990; in
questo secondo caso resta valido, ovviamente per colui che acquisisce il controllo, l’obbligo di richiedere
l’autorizzazione a seconda dei casi, in virtù dell’art. 19, comma 1 o comma 3, T.u.b. Parimenti, scompare
definitivamente l’obbligo per i soggetti autorizzati di comunicare la perdita di “alcuna delle condizioni che hanno
resa necessaria l’autorizzazione”, secondo la formulazione del testo originario dell’art. 27, comma 5, l. 287/1990.
In dottrina su questi aspetti v. pure C. MOTTI, Norme in materia di partecipazioni al capitale degli enti creditizi, in Diritto
antitrust italiano, cit., p. 1274 ss. e p. 1394 s.; nonché M.S. SPOLIDORO, Il concetto di controllo nel codice civile e nella
legge antitrust, in Riv. soc., 1995, p. 72 ss. Secondo G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit.,
p. 292, nonostante qualche perplessità emersa in dottrina, può ritenersi che “i ritocchi apportati al contenuto
precettivo delle norme coordinate restano nei limiti dello spazio di manovra consentito ad un testo unico di
coordinamento, l’espressa affermazione del carattere preventivo dell’autorizzazione all’acquisto di partecipazioni
qualificate (art. 19, commi 1 e 2), nonché la ripetuta puntualizzazione che, ai fini del computo delle diverse
percentuali rilevanti a tal fine, si tiene conto del capitale della banca “rappresentato da azioni o quote con diritto di
voto” (artt. 19, commi 1, 3, 6, e 24, comma 3, T.u.b.)”.
45 Cfr. F.M. FRASCA, Il rapporto banca impresa e la nuova normative sulle partecipazioni, in Bancaria, n. 5, 1994, p.
10 ss. Per quanto concerne le azioni di cui si deve tener conto nel computo delle percentuali rilevanti e le relative
modalità di calcolo, si applicano le disposizioni di cui alla Sez. IV, par. 1, cap. I, Titolo II delle Istruzioni di
Vigilanza della Banca d’Italia del 1999.
46 Cfr. A. ANTONUCCI, op. ult. cit., p. 174 s. Sul punto cfr. pure A. PATRONI GRIFFI, Commento sub art.
19, in F. BELLI, G. CONTENTO, A. PATRONI GRIFFI, M. PORZIO, V. SANTORO (a cura di), Testo unico
delle leggi in materia bancaria e creditizia, cit., p. 298, che, dopo aver escluso in partenza le ipotesi definite
“improbabili”, suggerisce di poter, al limite, considerare “soltanto l’ipotesi (egualmente marginale e… non
chiarissima) di “controllo (…) in capo al soggetto che, in base ad accordi con altri soci, ha diritto di nominare o di
revocare la maggioranza degli amministratori” prevista dall’art. 23, comma 2, n. 1, prima parte, T.u.b. In effetti,
secondo l’Autore, il controllo risulta collegato alla “partecipazione”, donde non sembrerebbe esservi spazio per
l’applicazione della fattispecie di cui all’art. 2359, comma 1, n. 3, c.c. Tuttavia, proprio la circostanza che vengano
prese in considerazioni partecipazioni inferiori al 5% del capitale della banca, rende difficile per gli interpreti
operare un coordinamento della norma in questione con quanto prevede l’art. 23 T.u.b.
- 17 -
diverso tenore dell’art. 27, comma 3, “novellato” della legge 287/1990, a quello che risulta sia
pure dal combinato disposto dell’art. 19, comma 2 e comma 9, T.u.b. non può, infatti, essere
sottovalutato47. L’effetto che ne consegue è che la dismissione di partecipazioni anche
consistenti sia sottratta al vaglio dell’Autorità di vigilanza quando non ricorrono in testa
all’acquirente i presupposti per l’autorizzazione48.
Anche in tal caso, la dettagliata disciplina comunitaria in materia ha trovato di recente
riscontro nella citata delibera del CICR n. 1057/2005 (che era già intervenuto con la delibera
del 19 aprile 1993), ove, da un lato, vengono fissate una serie di soglie di attenzione che
richiedono un nuovo vaglio autorizzativo, e dell’altro si rimette alla Banca d’Italia la
competenza a fissarne di ulteriori49. Al riguardo, l’art. 4 dispone che le variazioni delle suddette
partecipazioni “devono essere autorizzate quando comportano, da sole o unitamente a
variazioni precedenti, un aumento delle partecipazioni tali da portare al superamento delle
soglie del 15, 20, 33 e 50 per cento, fermo restando che la Banca d'Italia, ai sensi dell'art. 19,
comma 2, del T.u.b., non può stabilire soglie ulteriori”. La soglia del 10 per cento, già prevista
in precedenza, non è scomparsa, ma resta ancora oggi rilevante considerato che essa
rappresenta la soglia minima iniziale in caso di possesso di azioni anche prive del diritto di
voto.
Non guasta ricordare, infatti, che sia il primo che il terzo comma dell’art. 19 T.u.b. fanno
riferimento ad una “partecipazione superiore al 5% del capitale di una banca rappresentato da
azioni o quote con diritto di voto”. Al contrario, tale regola non vale per individuare le ipotesi
che (indipendentemente dalle soglie percentuali) “comportano il controllo della banca stessa”.
A tanto induce la nozione di controllo descritta dall’art. 23 T.u.b.; così come analoga soluzione
si impone, mutatis mutandis, in riferimento alla fattispecie di cui all’art. 19, comma 6, ult. parte,
T.u.b.50
47 In merito v. D. LUCARINI ORTOLANI, op. ult. cit., p. 153; R. COSTI, op. ult. cit., p. 252. È da notare,
inoltre, che mentre l’art. 27, comma 3, “novellato” della l. 287/1990 delimitava il potere discrezionale del CICR
imponendo l’obbligo di stabilire “in via generale” le soglie autorizzative in aumento, questo obbligo e quindi
questo argine più non compare in riferimento al potere ora attribuito alla Banca d’Italia (art. 19, comma 2, T.u.b.).
A prima vista sembrerebbe trattarsi di un’omissione non casuale (e si cfr., ad esempio, l’art. 53 T.u.b.). Se così
fosse, il potere discrezionale della Banca d’Italia sarebbe destinato a dilatarsi ulteriormente. Specie, poi, se si
condivide l’interpretazione offerta dalla Relazione al T.u.b., secondo cui: “Rispetto all’art. 27, comma 3, della legge
287/1990, viene esplicitata (dal secondo comma dell’art. 19 in commento) la possibilità di sottoporre ad
autorizzazione, non solo gli incrementi superiori a determinate percentuali, ma anche le variazioni in aumento di
qualsiasi misura che comportino il superamento di determinate percentuali fisse del capitale”.
48 Risolvendo, così, parecchi dei dubbi interpretativi che aveva sollevato il dettato delle norme contenute
nel Titilo V della legge 287/1990; in proposito v. M. MONTEFIORI, L’acquisizione di partecipazioni negli enti creditizi,
in Banca impr. soc., 1993, p. 145.
49 Cfr. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di vigilanza del 20 agosto 1993 (Titolo II – Capitolo I rubricato
“Partecipazione al capitale delle banche e delle società finanziarie capogruppo), diramate in applicazione della
disciplina impartita dal CICR con deliberazione del 19 aprile 1993. Nel medesimo senso, ovviamente, si
esprimono le Istruzioni della Banca d’Italia del 15 ottobre 1999, secondo cui sono tenuti a richiedere la preventiva
autorizzazione i soggetti che intendono acquisire, a qualsiasi titolo, azioni che, tenuto conto di quelle già
possedute, danno luogo: a) a una partecipazione superiore al 5% del capitale della banca e al superamento delle
soglie appena indicate; b) al controllo della banca stessa, indipendentemente dall’entità della partecipazione.
50 Così A. PATRONI GRIFFI, op. ult. cit., p. 299; C. LAMANDA, Disciplina delle autorizzazioni all’attività
bancaria e delle partecipazioni al capitale delle banche, in M. RISPOLI FARINA (a cura di), La nuova legge bancaria. Prime
riflessioni sul testo unico in materia bancaria e creditizia, Napoli, 1995, p. 64 ss.
- 18 -
3.2. L’ambito soggettivo di applicazione della disciplina.
Per quanto riguarda l’individuazione dei soggetti tenuti a richiedere l’autorizzazione, il
T.u.b. (art. 19, comma 4) riserva la competenza alla Banca d’Italia, ancora una volta in implicita
deroga rispetto al regime previgente51.
La titolarità del diritto di voto rappresenta l’elemento determinante per l’individuazione
dei soggetti tenuti a richiedere l’autorizzazione, in caso di scissione fra proprietà delle azioni ed
esercizio del diritto di voto (art. 19, comma 4)52.
Le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia dell’ottobre 1999 impongono l’obbligo di
richiedere l’autorizzazione sia al “soggetto titolare delle azioni”, sia a “quello cui spetta il diritto
di voto sulle azioni medesime”; sia al “soggetto posto al vertice della catena partecipativa” (a
condizione che le stesse siano sottoscritte da chi intende acquisire o cedere direttamente le
azioni), sia ancora a “quello che detiene direttamente le azioni del capitale della banca” (punto
1, laddove si prevede anche l’esonero dall’autorizzazione per il Ministro dell’Economia e delle
Finanze e per gli enti pubblici quando l’acquisizione sia da realizzare in forza di specifiche
disposizioni di legge)53.
Il punto è ora regolato dalla delibera CICR n. 1057 del 2005 (art. 10), che risolve la
questione tenendo conto della spettanza del diritto di voto, ma obbliga comunque alla richiesta
di autorizzazione – accanto al titolare dei diritti e di chi lo controlla – il proprietario,
“presumibilmente in ragione della precarietà delle situazioni che possono temporaneamente
consentire l’esercizio del diritto a soggetto diverso dallo stesso proprietario”54. Ne consegue
che il campo di applicazione della disciplina sia da ritenersi esteso ben oltre l’ipotesi di
acquisizione a titolo di proprietà, fino ad imporre obblighi autorizzativi anche ai detentori di
azioni o quote possedute a titolo di pegno o usufrutto55.
L’acquisizione “rilevante” in relazione alla quale devono computarsi le azioni o quote
possedute, può essere realizzata “a qualsiasi titolo” e, quindi per mezzo di qualsiasi atto di
trasferimento di azioni (anche, ad esempio, tramite una fusione societaria per
incorporazione)56.
È di tutta evidenza la portata omnicomprensiva rintracciabile nella formula usata dal
legislatore, riferendosi la medesima ad un’ampia varietà di fattispecie che possono essere in
essa ricompresse, “in ragione sia delle caratteristiche della vicenda traslativa (acquisizione a
titolo oneroso o gratuito), sia del tipo di rapporto instaurato con il bene, che può derivare da
proprietà, nonché (…) da pegno, usufrutto o da riporto…”57.
51 A. PATRONI GRIFFI, op. ult. cit., p. 300; ID, Partecipazioni al capitale delle banche, in Il Testo Unico
Bancario:esperienze e prospettive, Roma, 1996, p. 124. In senso contrario v. E. GALANTI, La nuova disciplina degli assetti
proprietari degli enti creditizi, in Banca, borsa tit. cred., 1993, I, p. 516. Si tenga conto che in base alla Deliberazione del
CICR del 19 aprile 1993, §. 3, si prevedeva che “Nei casi di scissione tra proprietà delle azioni e esercizio del
diritto di voto, il soggetto cui si intende attribuire o cui spetterà il diritto di voto è tenuto a richiedere
l’autorizzazione”.
52 Ai sensi dell’art. 2 della citata delibera n. 1057/2005 sono considerate con diritto di voto “tutte le azioni
che attribuiscono il diritto di voto, anche se limitato a particolari argomenti o subordinato al verificarsi di
condizioni. Ai medesimi fini non rileva che il diritto di voto sia limitato a una misura massima o ne siano previsti
scaglionamenti”.
53 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per le banche, cit., Tit. II, cap. 1,sez. IV, §§. 1 e 2.
54 Così A. ANTONUCCI, op. ult. cit., p. 174.
55 Cfr. A. DI BIASE e T. MAGLIOCCO, Commento sub art. 19, cit., p. 125. Nell’ipotesi di contratto di
riporto, la richiesta va avanzata sia dal riportato che dal riportatore, in considerazione del fatto che, sebbene il
voto spetti – salvo patto contrario – al riportatore (art. 1550, comma 2, c.c.) quale “proprietario” dei titoli
trasferiti, questi è obbligato a trasferire al riportato il tantundem alla scadenza del termine stabilito nel contratto (art.
1548 c.c.).
56 In tal senso v. A. ANTONUCCI, op. ult. cit., p. 173.
57 Così ancora A. ANTONUCCI, op. ult. cit., p. 172.
- 19 -
Premettendo che l’acquisizione può essere compiuta da “chiunque” e quindi da persone
fisiche, giuridiche, italiane, comunitarie o extracomunitarie, purché in condizioni di reciprocità
tra Stati, una particolare procedura autorizzativa per le ipotesi di acquisizione di partecipazioni
in banche è prevista quando vi prendono parte soggetti extracomunitari (art. 19, comma 8,
T.u.b.), appartenenti a Stati che non assicurano condizioni di reciprocità. Si dispone, infatti,
che, in tali casi, la Banca d’Italia comunica la domanda di autorizzazione al Ministro
dell’Economia e delle Finanze, su proposta del quale, il Presidente del Consiglio dei Ministri
può vietare l’autorizzazione”, risultando prevalente in tali decisioni l’aspetto politico (sul punto
v. infra cap. II, §. 6).
Si segnala, peraltro, che la Banca d‘Italia non può rilasciare detta autorizzazione per
l’acquisizione del controllo derivante da un contratto con la banca o da una clausola del suo
statuto, qualora il richiedente sia un soggetto che svolge in misura rilevante attività d’impresa in
settori non bancari né finanziari.
4. Il regime preventivo dell’autorizzazione nelle Istruzioni di vigilanza. Procedura e termini.
Come già anticipato, ai sensi del terzo comma dell’art. 19, l’autorizzazione all'acquisto di
partecipazioni deve essere richiesta alla Banca d'Italia prima del perfezionamento
dell'operazione.
L’autorizzazione opera come una condicio iuris di efficacia dell’acquisto, con la conseguenza
che il trasferimento delle partecipazioni rilevanti senza autorizzazione non potrebbe essere
trascritto nel registro dei soci dell’impresa bancaria oggetto di acquisizione58.
Inoltre, per le operazioni che comportano impegni irrevocabili all’acquisto, come nel caso
di acquisizioni che obblighino l’acquirente a lanciare un’offerta pubblica di acquisto ovvero in
caso di partecipazioni ad aste, l’autorizzazione deve essere richiesta e ottenuta prima di
procedere agli atti che comportano l’impegno ad acquistare59.
Il procedimento autorizzativo è, tuttavia, anch’esso disciplinato da disposizioni
amministrative delle quali occorre rendere conto60. Le finalità dei controlli sugli assetti
proprietari delle banche devono pertanto essere integrate con quelle emerse dai più recenti
interventi sulle Istruzioni di vigilanza – le cui linee direttrici sono state comunicate dalla Banca
d’Italia al CICR nella riunione del 6 settembre 1999 – effettuati in occasione del
coordinamento con le regole del mercato in materia di Opa61.
In particolare, le Istruzioni giungevano ad articolare la procedura autorizzativa in due
fasi. In primo luogo, prevedevano, nei casi di acquisizione di partecipazioni rilevanti che
comportassero il controllo della banca o della capogruppo, l'obbligo di rendere un'informativa
preventiva alla Banca d'Italia, almeno sette giorni prima della convocazione degli organi
aziendali 62. All’inoltro dell’informativa preventiva seguiva, entro trenta giorni, la richiesta di
Cfr. A. ANTONUCCI, op. ult. cit., p. 177.
Cfr. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, tit. II, cap. 1, sez. II, §. 4.1.
60 Come sostiene B. MANZONE, Partecipazione al capitale delle banche, in P. FERRO LUZZI e L.
CASTALDI (a cura di), La nuova legge bancaria, 1996, I, p. 351, si deve escludere che il rilascio dell’autorizzazione
riguardi un’ipotesi di silenzio-assenso; “anzitutto, perché si tratta di una categoria chiusa e, poi, per il fatto che le
Istruzioni fissano il termine nei confronti della Banca d’Italia senza imputare alcun tipo di effetto giuridico al
ritardo nel rilascio del provvedimento”. Il regime preventivo ha indotto, pertanto, la Banca d’Italia a suggerire ai
soggetti interessati di comunicare, anticipatamente rispetto alla conclusione dell’operazione, l’inizio di trattative
per l’acquisto di partecipazioni al capitale delle banche.
61 Così M.A. STEFANELLI, Le istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, Padova, 2002, p. 160 s.
62 Così BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia, cit., tit. II, cap. 1, §. 3.1., commi 3 e 4
(ora abrogato). L’obbligo di informazione preventiva doveva rendersi in forma scritta, ma poteva essere assolto
58
59
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autorizzazione all’acquisto di partecipazioni che doveva essere rivolta alla Banca d’Italia prima
del perfezionamento dell’operazione come richiede l’art. 19 T.u.b. 63.
La comunicazione preventiva doveva forinire una sintetica indicazione degli elementi
essenziali dell’operazione (tempi, modalità, fonti di finanziamento, obiettivi e riflessi su
patrimonio, costi e assetti proprietari) “al fine di rendere possibile una prima verifica
dell’esistenza di eventuali elementi ostativi alla realizzazione delle operazioni stesse” 64.
L'esperienza applicativa, tuttavia, ha imposto l'esigenza di rivedere la disciplina di cui si
discute in un'ottica di semplificazione degli adempimenti a carico dei soggetti interessati e al
fine di assicurare un maggior grado di “liberalizzazione” del mercato del controllo societario.
Di tal che, “in attesa di una più ampia revisione delle disposizioni in materia di partecipazioni al
capitale delle banche al fine di dare attuazione a recenti interventi legislativi e regolamentari”65,
con una nota del 28 agosto 2006, il Governatore della Banca d’Italia ha ritenuto opportuno
disporre “l'abrogazione del Titolo II, capitolo 1, sezione II, §. 3.1 delle Istruzioni di vigilanza
per le banche”66.
Da tale soppressione (in vigore dal 16 settembre 2006) consegue l’eliminazione
dell’obbligo di comunicare all’Autorità di Vigilanza il progetto di acquisizione di una
partecipazione prima che esso sia sottoposto per l’approvazione agli organi aziendali
competenti. Unico adempimento previsto è che, una volta decisa da parte degli organi
competenti l’acquisizione del controllo su una banca o su una società finanziaria capogruppo,
la relativa delibera sia tempestivamente trasmessa alla Banca d’Italia per l’autorizzazione.
Quanto invece al contenuto dell’istruttoria per l’acquisizione di partecipazioni al capitale
delle banche (Titolo II, cap. I), le Istruzioni specificano, con particolare riferimento al
“principio della sana e prudente gestione” (§. 5.2), le finalità e l’oggetto dell’indagine (“tutelare
l’impresa bancaria […] da possibili condotte dannose dei soggetti partecipanti al capitale”),
ammettendo che la Banca d’Italia possa “richiedere ai partecipanti specifiche dichiarazioni di
impegno volte a tutelare la sana e prudente gestione della banca o della società capogruppo”.
Gli istanti sono tenuti, per parte loro, a comunicare informazioni relative, tra l’altro, a) alla
“situazione economico-patrimoniale della società che intende acquisire la partecipazione (…)”;
b) alle relazioni di affari, nonché gli altri collegamenti con il soggetto partecipato, con i suoi
soci, ovvero con altri intermediari creditizi e finanziari (in particolare, i rapporti di
anche mediante un colloquio con rappresentanti della Banca d’Italia, ferma restando l’esigenza di riferimenti
scritti.
63 Si tratta del 2° aggiornamento del 15 ottobre 1999 (in. G.U. - Serie generale - n. 254 del 28 ottobre 1999)
alla circolare n. 229 del 21 aprile 1999, intitolato “Partecipazione al capitale delle banche e delle società finanziarie
capogruppo”.
64 Secondo B. MANZONE, Partecipazione al capitale delle banche, in La nuova legge bancaria, cit., p. 357, “pur nel
silenzio della normativa regolamentare, si riteneva che tale previsione potesse essere applicabile anche al caso, già
citato, di acquisizione del controllo di una società che a sua volta controllasse una banca o che partecipasse al
capitale di quest’ultima, seppur indirettamente. Siffatta soluzione trovava adeguata giustificazione nel fatto che
pure le suddette acquisizioni vanno soggette a rilascio di autorizzazione (ex art. 19, comma 3, T.u.b.); in ragione di
ciò sembrava corretto informare la Banca d’Italia di tali trattative, anche se non ancora formalizzate in un atto
negoziale ad efficacia traslativa”.
65 Nella normativa secondaria, la Banca d’Italia “suggeriva”, dunque, ai soggetti interessati di comunicare,
anticipatamente rispetto alla richiesta ufficiale di autorizzazione, l’inizio di trattative per l’acquisizione di
partecipazioni al capitale di banche. Esercitando il mero controllo di stabilità, infatti, l’Istituto di vigilanza poteva
fermare sul nascere, a suo insindacabile giudizio, ogni movimento “significativo” di partecipazioni nell’assetto
proprietario delle banche. In quest’ottica, le Istruzioni di vigilanza sottolineavano l’utilità della comunicazione
preventiva soprattutto nel caso in cui la partecipazione consentiva al soggetto acquirente esercente attività non
finanziaria di superare la soglia del 15% o di acquisire il controllo di una banca.
66 Sul punto v. BANCA d’ITALIA, Comunicato del Governatore di Banca d’Italia del 28 agosto 2006 in tema di
informativa preventiva nell'ambito dei progetti di acquisizione, in G.U. n. 215 del 15 settembre 2006.
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indebitamento); c) nonché alle “fonti di finanziamento che il soggetto intende attivare per la
realizzazione dell’operazione di acquisizione della partecipazione”.
Con le modifiche apportate alle Istruzioni di vigilanza in occasione del coordinamento
con la disciplina dell’Opa (su cui si tornerà in seguito), l’esame della Banca d’Italia viene
spostato sugli “effetti del cambiamento di proprietà sulla gestione della banca”67. Più
precisamente, nel caso di operazioni volte ad acquisire il controllo della banca o della
capogruppo, la verifica dell’Autorità di vigilanza ai fini della sana e prudente gestione si estende
al progetto imprenditoriale68. Di quest’ultimo vengono forniti gli elementi minimi essenziali
relativi alla gestione della banca o del gruppo risultante dall’operazione69.
Ove l’acquirente sia una banca si valuta pure l’impatto dell’operazione sulla situazione
tecnico-organizzativa della stessa oltre che del nuovo soggetto risultante dall’aggregazione70.
La Banca d’Italia dispone di un termine di sessanta giorni (che si riduce a trenta in caso di
Opa) dal ricevimento della domanda, salvo richieste di chiarimenti che interrompono i termini,
per decidere se rilasciare o negare l’autorizzazione.
Quest’ultima viene negata nel caso i gerenti del soggetto acquirente non soddisfino i
requisiti di onorabilità o sia minacciata la sana e prudente gestione della banca71.
4.1. (Segue): Il tema dell’informativa preventiva in caso di acquisto del controllo.
La ricerca lungo le linee tratteggiate richiede di approfondire la natura di uno strumento,
cui si è già fatto cenno, e che, fino a poco tempo fa, si inseriva prepotentemente nel processo
di autorizzazione di cui all’art. 19 del T.u.b.: l’obbligo di informativa preventiva72.
67 Così C. BRESCIA MORRA, op. ult. cit., p. 204, che alla nota n. 474 sottolinea come “l’esame del progetto
imprenditoriale nel contesto delle disposizioni sui partecipanti al capitale presenta delle peculiarità; ciò che viene
in rilievo, ai fini di vigilanza, è l’operazione di concentrazione fra imprese, piuttosto che la qualità dei partecipanti
al capitale. Non a caso, disposizioni analoghe sono presenti nella disciplina bancaria in tema di partecipazioni delle
banche (normativa che trova applicazione naturalmente nel caso in cui l’acquirente il controllo di una banca sia
un’altra banca) e in quella relativa alle operazioni di fusione”; sul punto cfr. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di
vigilanza per le banche, cit., Tit. IV, cap. 9, sez. I, §. 1 e sez. II, §. 4).
68 Cfr. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza, cit., Tit. II, cap. I, §. 5.2.1.
69 Cfr. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza, cit., Titolo II, cap. I, §. 5.2.2.
70 In particolare, quanto alla disciplina delle partecipazioni detenibili dalle banche, le Istruzioni di Vigilanza
della Banca d’Italia, cit., Titolo IV, cap. 9, sez. III, chiariscono che la domanda di autorizzazione deve essere
corredata, tra l’altro, “di ogni notizia utile a inquadrare l’operazione nell’ambito dei piani strategici e, ove trattasi di
acquisizione di una partecipazione in una banca, di espansione territoriale”. Anche in questo caso le banche
richiedenti sono tenute a rendere “informazioni concernenti l’impatto dell’operazione sulla situazione finanziaria
attuale e prospettica del partecipante, sul margine disponibile per gli investimenti in partecipazioni e in immobili,
sull’adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento al coefficiente di solvibilità”, mentre alla Banca d’Italia
spetta valutare “se la situazione tecnica e organizzativa delle banche richiedenti (sia) tale da sostenere un’ulteriore
articolazione e se quest’ultima [sia] compatibile con le esigenze della vigilanza su base consolidata”.
71 In proposito v. A. FAZIO, Aggiornamento del’informativa sul mutamento degli assetti di controllo di alcuni gruppi
bancari italiani. Relazione del Governatore della Banca d'Italia al C.I.C.R., Roma, 26 agosto 2005.
72 In questo caso bisogna precisare che la domanda di autorizzazione all’acquisto del controllo veniva
“prospettata informalmente” alla Banca d’Italia ed analizzata – quanto meno nelle linee generali – nel corso
dell’incontro tra esponenti del soggetto acquirente e funzionari dell’Autorità di vigilanza; in questa occasione
venivano indicati gli elementi meritevoli di approfondimento. Come ricorda lo stesso G. MINERVINI, La Banca
d’Italia, oggi, in Banca, borsa e tit. cred., 6, 2006, p. 622, “si noti che le Istruzioni di Vigilanza prevedono un passaggio
degli interessati in Banca d’Italia agli albori dell’operazione, <<contestualmente all’avvio di contatti con la
controparte >>, per sentire se vi sono << eventuali elementi ostativi >>. Sicchè, ID, Prospettive future della Banca
d’Italia, in Atti del Convegno “La Banca d’Italia. Ieri, oggi e domani”, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di
Napoli “Federico II”, Napoli, 19 dicembre 2005, “se ostacoli vi sono, con il sistema della moral suasion si presume
che al consiglio di amministrazione il progetto di acquisizione non verrà nemmeno presentato, perché tanto ciò
sarebbe inutile!”. Sul tema cfr. anche D. MASCIANDARO, Il sistema cresce con un gioco a carte scoperte, in Il Sole 24
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Come è noto, attraverso le Istruzioni di vigilanza del 1999 la Banca d’Italia aveva
arricchito il proprio armamentario di un dispositivo interlocutorio, imbevuto di moral suasion,
l’obbligo di informativa preventiva, finalizzato ad una regolarizzazione « quasi-spontanea »73,
poiché camuffato sotto le false spoglie della semplicità della procedura, che richiedeva solo un
generico rispetto del principio del contraddittorio, ma che costituiva a tutti gli effetti il crocevia
obbligato di una fitta rete di adempimenti posti in capo all’aspirante acquirente del controllo di
una banca74.
La dottrina si è a lungo divisa sulla legittimità della regola dell’informativa preventiva,
vista dai più come escamotage di cui la Banca d’Italia si è servita per guidare o affondare sul
nascere progetti di acquisizione del controllo delle banche, prima ancora che il mercato potesse
valutare l’operazione75.
Si potrebbe persino riproporre al riguardo la delicata distinzione tra fase
preprocedimentale – nell’ambito della quale l’Autorità di vigilanza procede ad accertamenti
istruttori e valutazioni preliminari – e apertura formale del procedimento, momento a partire
dal quale operano le garanzie che involgono un rapporto giuridico essenzialmente bilaterale tra
l’amministrazione che esercita un potere e il privato posto in una posizione di soggezione.
Ebbene, la fase preprocedimentale dell’informativa preventiva costituiva una sorta di zona
grigia, non coperta cioè dalla legge n. 241/1990, e che solo in una prospettiva de jure condendo
poteva ricondursi a una maggiore formalizzazione e trasparenza76.
Lungi dal costituire espressione di agilità, l’informalità che contraddistingueva tale fase
del procedimento autorizzatorio si contrapponeva ai principi di trasparenza e di accountibility
Ore, 30 marzo 2005, p. 2.; D. MASCIANDARO e G. TABELLONI, Ora il Parlamento superi in fretta la storica
anomalia, in Il Sole 24 Ore, 1° giugno 2005, p. 1; M. ONADO, La vigilanza bancaria nella dimensione europea, in
RISPOLI FARINA (a cura di), La vigilanza sul mercato finanziario. Seminari di Diritto bancario e dei Mercati Finanziari,
Milano, 2005, p. 9 s.; e ancora G. MINERVINI, La vigilanza bancaria: un bilancio, in La vigilanza sul mercato
finanziario, cit., p. 16 ss.
73 Riguardo alla lunga tradizione che accompagna le manifestazioni informali del potere normativo nel
settore bancario cfr. P. VITALE, Pubblico e privato nell’ordinamento bancario, Milano, 1977, p. 127; F. BELLI,
“Controllo-governo” del credito: indagine sull’evoluzione dell’ordinamento, in P. VITALE (a cura di), L’ordinamento del credito
fra due crisi (1929-1973); M. CLARICH, Le grandi banche nei paesi maggiormente sviluppati, Bologna, 1985, p 44-45, che
illustra l’esperienza inglese come paradigma di ordinamento del credito basato sulla moral suasion. Tra l'altro, va
sottolineato che vi sono casi rilevanti in cui le Autorità non si limitano a svolgere un'attività di controllo del
rispetto della legge, ma, utilizzando lo strumento della segnalazione, al di là del caso specifico, forniscono
“l'interpretazione” delle disposizioni della legge stessa e si spingono fino a introdurre principi e direttive di
carattere generale. In questo modo l'Autorità finisce per dettare nuove regole, espandendo di fatto il suo potere di
regolazione secondaria.
74 Cfr. BANCA d’ITALIA, Relazione del Governatore per il 2006. Considerazioni finali, Roma, 31 maggio 2007,
p. 16. Nel descrivere i benefici derivati dall’eliminazione dell’obbligo di comunicazione preventiva nel luglio 2005,
parla di “pietra angolare” di una “costruzione balena” S. BRAGANTINI, I governatori e i governanti, in Corriere
Economia, suppl. a Il Corriere della Sera, 28 maggio 2007, p. 1.
75 La mancanza o l’incertezza delle regole lascia spazio per un uso discriminatorio e parziale del potere
autorizzatorio, specie quando, come è accaduto di recente, siano compresenti sul mercato più progetti di
acquisizione nei confronti della stessa banca. Sul principio di legalità, nell’esperienza italiana, cfr. S. COGNETTI,
Profili sostanziali della legalità amministrativa – Indeterminatezza delle norme e limiti della discrezionalità, Milano, 1993, p. 31
s.; N. BASSI, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001, p. 105 ss.; M. NIGRO, Profili pubblicistici
del credito, Milano, 1969, p. 87.
76 In chiave apertamente critica cfr. G. VISENTINI, Economia mista ed economia di mercato: il caso italiano, in
Bollettino semestrale Ceradi, 2001, 4, p. 66; l’Autore sottolinea l’incompatibilità tra atti di moral suasion ed economia di
mercato affermando che: “la persuasione morale, il dialogo informale, la concertazione riservata” costituiscono
“manifestazione tipica, e quindi sintomatica, dell’economia mista” e “strumento fondamentale del suo operare,
fenomeno intrinseco al suo modo di essere”.
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delle decisioni delle Autorità indipendenti, caratterizzandosi viceversa per una perniciosa
opacità, data l’assenza di un’apposita motivazione77.
Considerazioni, queste ultime, che hanno spinto la migliore dottrina a reputare le
decisioni assunte dalla Banca d’Italia, in questa fase della procedura di autorizzazione,
fisiologicamente affette da una carenza di certezza del diritto78. Le valutazioni discordanti circa
la loro compatibilità con un sistema di capitalismo maturo ruotano, principalmente, intorno
alla considerazione che la stabilità delle decisioni dell’Autorità di vigilanza è un valore, una
precondizione dell’effettività della sua azione. È cioè un valore sommo che deriva dall’agire in
una cornice normativa nota, certa e condivisa, e che consente alle Autorità creditizie di
perseguire con la dovuta autorevolezza gli obiettivi della vigilanza, tra i quali, non a caso, quello
della stabilità del sistema finanziario79.
Sul piano dell’effettività, come la prassi dimostra, il giudizio rilasciato dalla Banca d’Italia
condizionava i comportamenti e incideva nella sfera giuridica dei soggetti che ne erano
77 Nella legge sul risparmio (legge n. 262/2005), con intento didascalico, trattandosi della mera
riaffermazione di una disposizione di legge già esistente, il legislatore ricorda alla Banca d’Italia (al punto di
considerare separatamente la sua posizione all’art. 19, comma 5) che la motivazione è un elemento essenziale del
provvedimento amministrativo. L’impianto generale della recente legge sul risparmio teso a sottolineare
l’essenzialità degli obblighi procedimentali e delle garanzie processuali, sottolinea la riaffermata indipendenza della
Banca d’Italia, semplicemente scongiurando i rischi della sua autoreferenzialità. L’art. 23 della citata legge, innovando
rispetto alla legge n. 241/1990, prevede infatti che gli atti regolamentari o di contenuto generale delle autorità che
vigilano sui mercati finanziari debbano essere motivati. Per un utile approfondimento si rinvia a M.S.
GIANNINI, Motivazione dell’atto amministrativo, in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, p. 262 ss.; M.C. ALEMANNO,
La problematica della motivazione degli atti amministrativi prima e dopo l’entrata in vigore della legge n. 241 del 7.8.90, in Dir.
reg., 1992, p. 559 ss.; T. AUTIERI, M. DE PAOLIS, R.E. MARCHESE, V. MASCELLO, G. SCHETTINO e G.
TERRADOS MOLLEDO, La motivazione del provvedimento amministrativo, 2002, Padova; F. BASSI, Brevi note
sull’eccesso di potere per difetto di motivazione, in Scritti per Mario Nigro, III, Milano, 1991, p. 68; G. BERGONZINI,
Difetto di motivazione del provvedimento amministrativo ed eccesso di potere (a dieci anni dalla legge n. 241 del 1990), in Dir. proc.
amm., 2000, p. 181 ss.; I.M. MARINO, Giudice amministrativo, motivazione degli atti e “potere” dell’amministrazione, in Foro
amm., 2003, p. 338. Del resto, la suddetta precisazione non meraviglia, costituendo già un portato del sindacato del
giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica esercitata da tali amministrazioni nel governare i settori di loro
competenza. A ciò si aggiunga che, in ogni caso, l’attività di regolazione deve rispettare il canone comunitario
della proporzionalità (inteso come principio che impone il perseguimento dell’interesse pubblico con il minimo
sacrificio per gli interessi privati regolati, potere adeguato al raggiungimento del fine, e, quindi, espressione del
generale principio di sussidiarietà orizzontale). Occorre ricordare, tra l’altro, che già nel 2003, con la legge n. 229,
tutte le Autorità indipendenti sono state assoggettate all’obbligo della c.d. “analisi di impatto della regolazione”
(A.I.R.), che è diversa dalla motivazione in senso giuridico, in quanto rappresenta l’obbligo di cercare di valutare
ex ante i costi e i benefici della regolazione (i c.d. compleients coasts, cioè i costi di adeguamento per le imprese e i
soggetti vigilati, nell’idea della proporzionalità della misura regolamentare rispetto agli obiettivi). In dottrina cfr. G.
BRUZZONE, La regolazione intrusiva oggi, in Merc. conc. reg., 2002, p. 467 ss.; A. SANDULLI, La proporzionalità
dell’azione amministrativa, Padova, 1998, p. 322. In giurisprudenza cfr. Cons. St., sez. VI, 20 giugno 2002, n. 3368
ove sono richiamati numerosi altri precedenti giurisprudenziali.
78 In tal senso v. L. SPAVENTA, Preliminare l’informazione del mercato, in Il Sole 24 Ore, 28 aprile 2000, che
asserisce: “La valutazione preventiva non è formalizzata, non è soggetta a gravame (non può essere impugnata –
ndr), dipende dalla persuasione morale, dal dovere implicito degli amministratori nei confronti della Banca
centrale”. L’uso improprio di tale potere rischia di pregiudicare, in concreto, certezza del diritto e parità di
trattamento. Il ricorso alla moral suasion consente, infatti, alla Banca d’Italia di assumere un ruolo sempre maggiore
nella formazione della “regola del caso”, potendo essa decidere discrezionalmente sul peso da attribuire nella
fattispecie concreta ai vari elementi oggetto di ponderazione, senza peraltro assumere verso il “richiedente” rischi
di impugnabilità della decisione.
79 Cfr. G. MINERVINI, La Banca d’Italia, oggi, cit., p. 622, E del resto, se interpretata secondo l’accezione
ivi segnalata, il momento “informale, di moral suasion” dell’informativa preventiva costituiva a tutti gli effetti per la
Banca d’Italia una mera “scorciatoia” con cui scoraggiare o respingere informalmente e “da subito” un progetto di
acquisizione, ovvero con cui indicare allo scalatore le modalità attraverso cui procedere, ovvero ancora un mezzo
per gestire i conflitti di interesse che nel processo di riallocazione dividono amministratori, azionisti e soggetti che
aspirano all’acquisizione del controllo. Le interferenze sui possibili acquirenti sono in siffatte ipotesi affidate a
segnali “sporchi”.
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destinatari80. Non solo: questo modus operandi accentuava, soprattutto in presenza di progetti di
acquisizione concorrenti, i problemi di disparità di trattamento strettamente connessi al
sacrificio della certezza del diritto. Procedure oscure e assenza di garanzie possono, infatti,
costituire una miscela esplosiva tale da rendere le valutazioni poste in essere dalla Banca d’Italia
vulnerabili alle strumentalizzazioni operate da quelle controparti che, in siffatte vicende,
vantano maggiore forza contrattuale di altre81. L’indipendenza delle autorità di vigilanza va,
infatti, garantita non solo verso il potere politico, ma anche nei confronti delle imprese vigilate,
al fine di evitare il rischio della “cattura” del regolatore da parte del soggetto regolato82.
Pertanto, sembra di poter condividere solo parzialmente la posizione di coloro i quali,
pur rilevando che vi dovesse essere una relazione chiara tra la previsione di tale obbligo e le
finalità istituzionali che l’ordinamento assegna alla Banca d’Italia83, hanno sostenuto che
l’Autorità di vigilanza potesse, già in questa fase preliminare, attivare, se contraddetta, i suoi
poteri interdettivi o sanzionatori84.
Sul punto cfr., tra gli altri, F. GUARRACINO, Competenze e struttura della Banca d’Italia, in F.
CAPRIGLIONE (a cura di), La nuova legge sul risparmio. Profili societari, assetti istituzionali e tutela degli investitori,
Padova, 2006, p. 169 s. D’altro canto, gli effetti riconducili a tale tipologia di atti vanno assunti in correlazione
direttamente proporzionale all’immagine di autorevolezza della Banca d’Italia come percepita dagli operatori,
nonché all’idoneità di tali deliberazioni ad assurgere a precedenti con una capacità persuasiva che esplica i propri
effetti ben al di là del caso singolo (si veda, ad esempio, la manifesta avversione nei confronti delle Opa ostili, che
per lunghi anni ha di fatto scoraggiato tentativi di acquisizione nel settore bancario, poiché “non concordati” con
il management della società bersaglio e con la stessa Banca d’Italia).
81 Cfr. M. SCUDIERO, La Costituzione. Tendenze recenti, in Le fonti del diritto bancario, cit., p. 9; G.
VISENTINI, La legalità nell’organizzazione dell’economia, Milano, 1995, p. 84, ove l’Autore denuncia come il
destinatario del “suggerimento” potrebbe “servirsi dello stesso strumento invertendone la direzione, confidando
su situazioni di fatto informali”, come le sue dimensioni, l’accordo con altri soggetti vigilati, nonché, “la naturale
vicinanza a sensibilità politiche”.
82 V. anche il commento di E. SCALFARI, Gli intrighi di Fazio nella guerra dell’Opa, in La Repubblica, 31 luglio
2005, pp. 1 e 20, in cui si legge: “Assistiamo a delle offerte non pubbliche, bensì private, di acquisto”.
83 Come si è già in parte rilevato, nell’ambito dell’alternativa tra legislazione primaria e secondaria è venuta
ad assumere una funzione preminente l’attività esercitata dalle autorità amministrative indipendenti. Sul tema cfr.
B. MATTARELLA, Il potere normativo della Banca d’Italia, in U. DE SIERVO (a cura di), Osservatorio sulle fonti,
Torino, 1996, p. 235 ss.; M. CLARICH, L’attività normativa della P.A. I poteri normativi della Banca d’Italia, in A.
SPENA e G. GIMIGLIANO (a cura di), Le fonti del diritto bancario, Milano, 2003, p. 70 s.; E. GALANTI, Norme
delle autorità indipendenti e regolamento del mercato: alcune riflessioni, in Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale della
Banca d’Italia, n. 41, Roma, 1996, p. 18.
84 Si sostiene che, in assenza di un vero e proprio impegno di conformazione alle indicazioni o
ammonimenti, l’obbligo di un’informativa preventiva potrebbe ritenersi legittimo solo se il richiedente – come in
un arbitrato preventivo – s’impegnasse ad uniformarsi al responso della Banca d’Italia. Secondo M. CLARICH, Il
sistema delle competenze delle autorità di vigilanza, intervento al Convegno “Nuove prospettive della tutela del risparmio”, presso il
Conservatorio di San Pietro a Majella, Napoli, 27-28 maggio 2005, disponibile sul sito
www.associazionegfcampobasso.it., la vexata quaestio consiste proprio nell’ammissibilità del sindacato giurisdizionale sugli
atti di moral suasion della Banca d’Italia. Se non sono mancate aperture dottrinarie a favore di un controllo
giurisprudenziale su determinati tipi di atti, nel caso in cui questi siano potenzialmente lesivi di situazioni
giuridiche soggettive, la dottrina ha storicamente ritenuto incompatibile un simile sindacato in assenza di atti
puntuali che ne costituiscano espressione. In tal senso cfr. F. ANNUNZIATA, Interpretare o legiferare? Le
comunicazioni persuasive delle Autorità di controllo sui mercati finanziari, in Riv. soc., 1995, p. 902 ss.; G.D. MOSCO,
L’attività collaborativa delle Autorità indipendenti, incontro presso l’Università LUISS, Roma, 14 gennaio 2003. Nella
stessa direzione si muoveva un recente disegno di legge, l’atto della Camera 4639/2004, che – coerentemente con
un approccio fondato su un’accountibility diffusa e su un sindacato blando da parte dei giudici – negava a priori il
controllo giurisprudenziale sugli atti di soft law delle Autorità di vigilanza.
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5. Le finalità sottese alla potestà discrezionale della Banca d’Italia: il principio della “sana e prudente
gestione”.
La reale innovazione della disciplina degli assetti proprietari delle banche rispetto alla
normativa del 1990 è costituita dal disposto del comma 5 dell’art. 19 che, nel ricalcare il comma
1 dell’art. 28 della legge 287/1990, così come modificato dall’art. 17 del d.lgs. 481 del 199285,
subordina il rilascio dell’autorizzazione al “ricorrere delle condizioni che garantiscono una
gestione sana e prudente della banca” 86.
La valutazione rimessa dalla legge alla Banca d’Italia in merito alla compatibilità
dell’operazione da autorizzare con la sana e prudente gestione del soggetto vigilato è
riconducibile alla categoria delle valutazioni tecniche complesse, ossia a quel particolare tipo di
giudizi implicanti “l’apprezzamento di una serie di elementi di fatto – definiti nella loro
consistenza storica o naturalistica – in relazione fra di loro ed alla stregua di regole che (…)
non hanno il carattere di regole scientifiche, esatte e non opinabili, ma sono il frutto di scienze
inesatte ed opinabili, di carattere prevalentemente economico”87.
85 Cfr. C. MOTTI, Il procedimento di autorizzazione, cit., p. 1291 s. A ciò si aggiunga che, diversamente dalla
fattispecie di controllo ex art. 28, quello predisposto dal legislatore comunitario ha per oggetto l’essere e non il
comportamento dei soggetti interessati ad acquisire una partecipazione qualificata nell’ente creditizio. Infatti,
come già ricordato, tanto nell’art. 5 quanto nell’art. 11 della seconda direttiva, si fa riferimento alla qualità dei
soggetti. Dalla normativa di cui all’art. 28 della legge n. 287/1990, vecchia formulazione, si evinceva invece
l’intento di assicurare da parte della Banca d’Italia non tanto – o meglio non solo – un controllo ex ante e, dunque,
sulle qualità soggettive dei partecipanti al capitale degli enti creditizi, quanto piuttosto una vigilanza sui
comportamenti dei soggetti, predisponendo così un controllo che si proiettava nel futuro, laddove – sempre al
quarto comma dell’art. 28 – si statuiva l’obbligo in capo ai partecipanti al capitale degli enti creditizi, di cui all’art.
27, di sottoscrivere il c.d. protocollo di autonomia. Così A. ANTONUCCI, La disciplina dei conflitti di interesse fra
proprietà ed ente creditizio. Il protocollo di autonomia, in Diritto antitrust, cit., p. 1337 s. In merito cfr. pure M. PORZIO,
La disciplina giuridica dell’esercizio del credito, Napoli, 1991, p. 211, che, prima ancora che intervenissero le recenti
modifiche di cui al T.u.b. e al d.lgs. n. 481 del 1992, con riguardo agli scopi sottesi alla disciplina autorizzatoria,
aveva sostenuto che “il complicato testo dell’art. 28” traduceva “nel nostro ordinamento il principio più
semplicemente espresso nella direttiva n. 89/646/CEE”. A parere di tale dottrina, vi sarebbe stata una
“sostanziale” coincidenza fra le finalità poste alla base del potere di controllo conferito alla Banca d’Italia dagli
artt. 27 ss. della legge antitrust, e quelle di cui alla normativa comunitaria.
86 Come, però, evidenziato da F. BELLI, Note a margine…, cit., p. 478, la seconda direttiva in fase di
elaborazione faceva riferimento esclusivamente ad una “gestione indipendente”, e solo nella stesura definitiva è
stato introdotto il riferimento alla gestione “sana” e “prudente”. Stando così le cose e se è vero – come sembra –
che l’iter di formazione di una disposizione legislativa ha rilievo anche per cogliere la reale portata che il legislatore
ha inteso attribuire alle espressioni adoperate, la soluzione in proposito potrebbe essere duplice: il legislatore
comunitario potrebbe aver inteso sostituire il criterio della gestione “indipendente” con quello della gestione “sana
e prudente”; o viceversa potrebbe aver voluto ricomprendere implicitamente il primo nel secondo. In tal caso
l’indipendenza fungerebbe da “preludio” necessario al fine di salvaguardare la prudenza e l’integrità patrimoniale
dell’ente creditizio. Nella Relazione ministeriale che accompagna il decreto di attuazione della seconda direttiva
bancaria non pare, inoltre, potersi intravdere nella nuova formulazione delle finalità sottese alla procedura in
esame l’intento di ampliarne la portata. Sembra, al contrario, che i criteri adottati nel decreto e ripresi
integralmente nel Testo Unico siano “più rigorosi” – sotto il profilo della vigilanza prudenziale – e probabilmente
“dai confini più labili”, stante la terminologia adoperata (gestione “sana” e “prudente”) che, viceversa, ben si
attaglia al contesto legislativo comunitario, vista l’eterogeneità di ordinamenti ai quali la direttiva è indirizzata.
87 Al riguardo, poiché vengono in rilievo provvedimenti discrezionali di un soggetto riconducibile alla
categoria delle autorità indipendenti, sembra congruo il richiamo alla recente giurisprudenza della VI Sezione del
Consiglio di Stato, per quanto applicabile, in riferimento agli atti dell’Autorità garante della concorrenza e del
mercato. In merito v. Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199, 1° ottobre 2002, n. 5156, nonché 2 marzo
2004, n. 926; sulla discrezionalità tecnica v. anche Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601. Su questi aspetti cfr.,
inoltre, A. CHIZZINI, Il potere istruttorio del giudice amministrativo nel quadro delle recenti riforme delineate dal d.lgs.
80/1988 e dalla l. 205/2000, in Dir. proc. amm., 2001, p. 899. Questa giurisdizione, per la struttura del processo e
del ragionamento, giudica la decisione amministrativa unilaterale quando è già esecutiva, valutandone la legittimità
limitatamente ai profili di eccesso di potere. In poche decisioni emerge una tendenza del giudice a non considerare
la specificità del sindacato nei confronti degli atti delle Autorità, andando ben al di là di verifiche di legittimità,
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Il principio della “sana e prudente gestione” reca, dunque, in sé un grado di elasticità e di
indeterminatezza che sembra lasciare inevitabilmente all’Autorità di vigilanza “una notevole
latitudine di apprezzamento”. La recente sentenza del Tar Lazio n. 6157 del 2005 riconosce alla
formula della “sana e prudente gestione” la natura di clausola generale, come la correttezza e la
buona fede, frutto dell’evidente intento del legislatore di non vincolare l’attività di settore alla
verifica della “bontà” dei comportamenti degli intermediari alla stregua di rigidi e
predeterminati schematismi. In questo modo la discrezionalità delle decisioni è stata ritenuta
inappellabile88.
A circoscrivere in qualche modo l’ampio spazio di discrezionalità racchiusa nella
genericità dell’espressione adoperata dalla legge (“condizioni atte a garantire una gestione sana
e prudente”) è intervenuta dapprima la delibera del CICR del 19 aprile 1993 (in concomitanza
con l’emanazione del Testo Unico bancario), e da ultimo la recente delibera del CICR n.
1057/2005.
Ai sensi dell’art. 11, si prevede che la Banca d’Italia, nel rilasciare l’autorizzazione per
l’acquisto di partecipazioni, debba attenersi a criteri e condizioni volte a tenere conto “della
qualità dei soggetti richiedenti, avendo anche riguardo alla trasparenza degli assetti proprietari e
di governo di tali soggetti e dell’eventuale gruppo di appartenenza, all’affidabilità e alla solidità
della loro situazione finanziaria, alla correttezza dei comportamenti nelle relazioni d’affari”
(comma 1). Peraltro, come si specifica nel terzo comma dell’art. 11, “ai fini dell'autorizzazione,
la Banca d'Italia prende in considerazione – anche per individuare i soggetti tenuti a richiedere
l'autorizzazione medesima – (requisiti di onorabilità) – gli eventuali legami di qualsiasi natura,
inclusi quelli familiari e associativi, tra il richiedente e altri soggetti, anche non soci, e valuta
ogni altro elemento idoneo a incidere sulla sana e prudente gestione della banca nonchè
sull'esercizio di un'efficace azione di vigilanza”.
Le Istruzioni di Vigilanza specificano, in relazione al “principio della sana e prudente
gestione” (§. 5.2), quali sono le finalità e l’oggetto dell’indagine che la Banca d’Italia è chiamata
a compiere (“tutelare l’impresa bancaria (…) da possibili condotte dannose dei soggetti
partecipanti al capitale”), ammettendo che l’Autorità di vigilanza possa “richiedere ai
partecipanti specifiche dichiarazioni di impegno volte a tutelare la sana e prudente gestione
della banca o della società capogruppo”89. L’acquirente è tenuto, da parte sua, a comunicare le
fino a sovrapporre, a quelli delle Autorità, propri criteri di regolamentazione delle disciplina di settore. In tal senso
cfr. TAR Lazio, sez. I, sent. n. 1157 del 21 luglio 1993; TAR Lazio, sez. I, sent. n. 1474 del 1° agosto 1995; Cons.
di Stato, sez. VI, n. 1792 del 30 dicembre 1996; Pret. di Roma, sent. del 28 novembre 1996; TAR Piemonte, sez.
II, sent. n. 64 del 2 marzo 1987 e Cons. di Stato, sez. VI, sent. n. 280 del 25 marzo 1989. In altre ipotesi,
diversamente, i giudici si limitano a verifiche di legittimità degli atti sottoposti al loro esame ed applicano modalità
di verifica della legittimità e tecniche di tutela proprie del processo amministrativo; in tal senso cfr. TAR Lazio,
sez. I, sent. n. 652 del 5 maggio 1994; TAR Lazio, sez. I, sent. n. 251 del 21 febbraio 1994; TAR Lazio, sez. I, sent.
n. 1115 del 13 luglio 1993; TAR Calabria, sent. n. 241 del 7 ottobre 1996; Cons. di Stato, sez. VI, sent. n. 985 del 5
dicembre 1992; sez. VI, sent. n. 420 del 15 giugno 1987; e più di recente Cons. di Stato, sez. VI, sent. n. 1348 del
15 marzo 2000.
88 Nello specifico, ciò implica che l’esame in ordine alla legittimità delle gravate autorizzazioni all’acquisto
di partecipazioni nel capitale delle banche debba essere circoscritto alla (in)sussistenza di condizioni atte a
garantire la sana e prudente gestione del soggetto vigilato. Sul tema dell’opinabilità degli apprezzamenti tecnici
dell’amministrazione e per la loro inattendibilità per l’insufficienza del criterio o per vizio del procedimento
applicativo cfr., in dottrina, le diverse posizioni di D. PRETIS, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica,
Padova, 1995; P. ZARA, Autorità indipendenti e discrezionalità, Padova, 2001; N. PALANTONIO, Il sindacato di
legittimità sul provvedimento amministrativo, Padova, 2000; sull’esperienza comparata in tema di discrezionalità cfr. V.
PARISIO (a cura di), Potere discrezionale e controllo giudiziario, Milano, 1998. Sul versante giurisprudenziale v., in
particolare, Cons. St, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601, in Dir proc. amm., 2000, p. 182 ss., con note di B.
DELSIGNORE e P. LAZZARA; per un orientamento più recente si rinvia a Cons. St., sez. V, sent. n. 1247 del 5
marzo 2001, in Urbanistica e appalti, 2001, p. 866 ss.
89 D’altro canto, se è certo che la sottoscrizione dei protocolli di autonomia non costituisce più condizione
ex lege per il rilascio dell’autorizzazione, ciò non esclude che l’assunzione di tali impegni possa essere richiesta dalla
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informazioni riguardanti, tra l’altro, la “situazione economico-patrimoniale della società che
intende acquisire la partecipazione (…)” nonché le “fonti di finanziamento che il soggetto
intende attivare per la realizzazione dell’operazione di acquisizione della partecipazione” (§.
5.2.1) 90.
Invero, i criteri di “correttezza nelle relazioni di affari” e di “affidabilità finanziaria”
indicati nelle Istruzioni di vigilanza appaiono di difficile interpretazione. Si tratta di qualità
personali che indicano, in maniera generica, l’interesse a evitare che acquisiscano una posizione
di potere rispetto alla gestione della banca soggetti che, in funzione di interessi esterni o di
caratteristiche personali, possano influire sulla gestione della società bancaria in contrasto con
l’interesse di quest’ultima91. Risulta, tuttavia, difficile giudicare a priori i possibili riflessi sulla
gestione bancaria derivanti dalle qualità personali dei soggetti che acquisiscono la
partecipazione.
Più chiara è, per contro, l’indicazione che riguarda la trasparenza degli assetti proprietari
e di governo92 della banca, conseguenti all’inserimento della stessa nella proprietà di un nuovo
soggetto93. La presenza di lunghe catene partecipative, a monte del soggetto che richiede
l’autorizzazione, può infatti rappresentare un indice certo della mancanza del requisito richiesto
dalla legge94.
5.1. (Segue): I requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale: un corollario della sana e prudente gestione.
Dopo le precedenti osservazioni, sufficientemente rapida quanto utile può risultare
un’analisi dell’art. 25 del T.u.b. in merito ai requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale
delle banche95.
Del resto, a completare la disciplina volta ad assicurare l’autonomia e l’indipendenza degli
organi societari dall’influenza dei soci, soprattutto di comando, oltre naturalmente a garantire la
Banca d’Italia in sede di rilascio dell’autorizzazione. Ed infatti la normativa secondaria prescrive la sottoscrizione
di tali protocolli da parte di chi intenda acquisire partecipazioni superiori al 15% o comunque di controllo e
prevede che la Banca d’Italia può estendere l’obbligo anche a chi intenda acquisire partecipazioni inferiori; sul
punto v. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di vigilanza, cit., Tit. II, cap. I, §. 5.2.
90 In proposito cfr. A. BERTONI e M. BINI, Le nuove istruzioni di vigilanza in tema di fusioni bancarie e il ruolo
del progetto industriale, in Riv. milanese di economia, n. 58, aprile-giugno, 1996, p. 121 ss.
91 Su questi aspetti cfr. C. BRESCIA MORRA, Società per azioni bancarie: prrietà e gestione, cit., p. 38 ss.
92 A tal fine, il T.u.b. richiede che i soggetti che possono influire sulla gestione delle banche, in virtù del
possesso di quote significative del capitale sociale, debbano possedere requisiti di onorabilità (v. artt. 25 e 63 del
T.u.b.). Le fattispecie rilevanti sono stabilite dal regolamento del Ministro del tesoro del 18 marzo 1998, n. 144.
Per un commento della disciplina in esame cfr. C. BRESCIA MORRA, Commento sub art. 25, in F.
CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al T.U. bancario, cit., I, p. 202 ss.
93 Sul punto cfr. F. BOCCIARELLI, Fazio vuol vedere chiaro sulle Ops, e R. SABBATINI, Le tre regole di Via
Nazionale per le concentrazioni, in Il Sole 24 Ore, 25 marzo 1999, p. 30; C. RABITTI BEDOGNI, Manuale di diritto dei
mercati finanziari, Milano, 2004, p. 289.
94 In tal senso v. C. BRESCIA MORRA, L’impresa bancaria, cit., p. 206. Sul punto M. DRAGHI,
Considerazioni finali. Assemblea Ordinaria dei Partecipanti, Roma, 31 maggio 2007, p. 17, sottolinea come sia “essenziale
che gli assetti di governo, l’articolazione societaria, le strutture organizzative che i nuovi gruppi adottano,
assicurino la sana e prudente gestione”. Il Governatore rileva, inoltre, che “le banche che risultano da processi di
aggregazione si sono date in molti casi nuove forme di governance societaria, adottando il sistema duale; utilizzano la
holding operativa come strumento di coordinamento dei nuovi gruppi. Il modello duale è efficace se attuato
assicurando una chiara ripartizione della responsabilità tra gli organi societari. Sovrapposizioni di competenze
ostacolano l’efficienza del processo decisionale, sono viste dagli azionisti come fonte di distruzione di valore; la
chiarezza delle linee di responsabilità è anche presidio di stabilità”.
95 Per una completa disamina della disposizione in esame cfr. V. DONATIVI e M. RESTINO, Commento
sub art. 25 T.u.b., in F. BELLI, G. CONTENTO, A. PATRONI GRIFFI, M. PORZIO e V. SANTORO (a cura
di), Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Commentario, Bologna, 2003, p. 347.
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tutela degli interessi dei depositanti, si pone la verifica da parte della Banca d’Italia, tanto in
sede di autorizzazione alla costituzione di una nuova banca quanto in sede di vaglio della
richiesta di autorizzazione all’acquisto di interessenze nel capitale creditizio, della sussistenza in
capo ai partecipanti al capitale di ulteriori parametri di natura qualitativa, sintetizzati, per
l’appunto, nel concetto di “onorabilità”, la cui specificazione è offerta dalla normativa
secondaria96.
La novità di fondo risiede nell’ampia delegificazione introdotta dal legislatore del 1993
per consentire un migliore adeguamento dell’ordinamento nazionale ai criteri previsti dalla
seconda Direttiva CEE (artt. 5 e 11) 97, che riconosce alle autorità competenti ampi poteri di
controllo sulla “qualità” degli azionisti per la realizzazione dell’obiettivo della gestione sana e
prudente della banca98, considerata l’indubbia influenza esercitatile sulla conduzione
dell’impresa da parte dei soci forniti di apprezzabili margini di partecipazione99.
Il Capo IV del T.u.b., relativo ai requisiti di onorabilità e professionalità, si compone di
tre norme: gli artt. 25 e 26, da un lato, concernenti i requisiti dei titolari di partecipazioni e degli
esponenti aziendali, e l’art. 27, dall’altro, che si occupa delle incompatibilità. Con soluzione
identica a quella recepita per i requisiti di onorabilità e di professionalità degli esponenti
aziendali (art. 26 T.u.b.), l’art. 25 del Testo Unico sposta infatti dal piano legislativo a quello
della normativa secondaria (regolamento del Ministro del Tesoro, sentita la Banca d’Italia) la
determinazione dei requisiti di onorabilità dei soci e delle quote di partecipazione (dirette e
96 Cfr. A. COLAVOLPE, Partecipanti al capitale delle banche: nuove disposizioni Ministro del tesoro e Bankitalia, in
Le società, 9, 1998, p. 1077 ss.; T. LUISE, Il possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità da parte dei soci e degli
esponenti bancari e la tutela del risparmio: evoluzione giurisprudenziale, in Riv. dir. comm., 1996, p. 785 ss. Invero,
quest’ultima disposizione esplicitamente richiede il rispetto di siffatto requisito “anche” durante l’intera vita
dell’intermediario bancario. L’organo di vigilanza, inoltre, nell’ottica più ampia della necessità di tutela della
reputazione e della “immagine” della banca dai pericoli derivanti dalla perdita di fiducia, richiede la sottoscrizione
da parte dei soci del noto “protocollo di autonomia gestionale”. La sottoscrizione di tale protocollo, prima
richiesta espressamente dalla legge (art. 28, comma 4, legge n. 287/1990) e regolamentato in via ministeriale
(decreto del Ministro del Tesoro 5 giugno 1991), oggi non è più prevista dall’art. 20 del Testo unico. Tuttavia,
nelle Istruzioni di vigilanza del 16 agosto 1993, in materia di “Partecipazioni al capitale delle banche”, e del 31
gennaio 1994, in tema “Autorizzazione all’attività bancaria”, la Banca d’Italia ha recuperato l’obbligo di
sottoscrizione del suddetto protocollo. Il quadro normativo, come già ricordato, è stato poi completato dal
Regolamento del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica del 18 marzo 1998, n. 144,
cit., recante norme per l’individuazione dei requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale sociale delle banche e
fissazione della soglia rilevante.
97 Cfr. M.A. FRENI, Requisiti di onorabilità dei partecipanti, in P. FERRO LUZZI e G. CASTALDI (a cura
di), La nuova legge bancaria, Milano, 1996, p. 381 ss. L’art. 25 T.u.b. riproduce l’art. 11 d.lgs. n. 481/1992 che, a sua
volta. abrogava, con decorrenza dall’entrata in vigore della relativa normativa regolamentare, le corrispondenti
disposizioni del d.p.r. n. 350/1985.
98 Sul punto cfr. G. MOLLE, La banca nell’ordinamento giuridico italiano, 2 ed., a cura di F. MAIMERI, Milano,
1987, p. 382; M. PERASSI, Commento sub art. 7 d.p.r. 350/85, in F. CAPRIGLIONE e V. MEZZACAPO (a cura
di), Codice commentato della banca, t. II, Milano, 1990, p. 1485. Una rilevanza, seppure indiretta, al profilo della qualità
dei soci della banca viene pur sempre riconosciuta dall’art. 7 della seconda direttiva CEE laddove, nell’ambito
della disciplina dei rapporti di reciproca collaborazione tra le autorità preposte all’esercizio delle funzioni di
vigilanza nei singoli Stati membri, è imposto, ad ogni singola autorità competente, “al fine di agevolare l’esame
delle condizioni per la relativa autorizzazione”, l’obbligo di fornire informazioni anche in merito alla “proprietà di
tali enti creditizi”.
Rilievo centrale è invece attribuito alla composizione della compagine della società bancaria dalla direttiva
n. 89/646/CEE, ove, all’art. 5, §. 2 (poi art. 7 dir. n. 2000/12/CE, e attualmente art. 12, §. 2, dir. n. 2006/48/CE),
è stabilito che “le autorità competenti rifiutano l’autorizzazione se, per tener conto della necessità di garantire una
gestione sana e prudente dell’ente creditizio, esse non sono soddisfatte della qualità” degli azionisti o dei soci che
detengono una “partecipazione qualificata”.
99 Cfr. R. COSTI, op. ult. cit., p. 249; T. DI BIASE e A. MAGLIOCCO, Commento sub art. 25, in
Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, cit., p. 154; M. PERASSI, op. ult. cit., p. 1485.
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indirette) a partire dalle quali viene richiesto il possesso degli stessi, sia in sede di costituzione
della banca, sia successivamente100.
Invero, l’esigenza che colui che sia titolare di partecipazioni rilevanti nella banca possegga
specifici requisiti soggettivi aveva trovato per la prima volta riconoscimento in Italia nel d.p.r.
350/1985, decreto con il quale si dava attuazione alla direttiva 77/780/CE (prima direttiva di
coordinamento bancario).
La normativa comunitaria, però, si limitava a richiedere la sussistenza dei requisiti di
onorabilità (nonché di esperienza adeguata) solo per i soggetti “che determin(assero)
effettivamente l’orientamento dell’attività dell’ente creditizio”. Diversamente, la soluzione
adottata dal legislatore italiano, risultava ben più rigorosa (v., infra, cap. 2, §. 2)101.
Si tratta, invero, di tematiche legate al c.d. “aspetto qualitativo” del capitale, fattispecie
che nel settore bancario assume un rilievo particolare in ragione del carattere fiduciario su cui
riposa l’attività creditizia delle banche e degli altri intermediari finanziari, nonché della rilevanza
che tale aspetto acquista come garanzia per un’efficiente allocazione delle risorse nel sistema
economico.
Non sfugge, peraltro, che, durante societate, nessun ostacolo è posto dalla legislazione
primaria e secondaria affinché un soggetto privo dei requisiti di onorabilità acquisti una
partecipazione, anche rilevante, al capitale di una società bancaria, e compaia quindi nella
compagine sociale della stessa. Il legislatore secondario, infatti, recependo l’orientamento
comunitario si preoccupa, al fine di salvaguardare il rispetto del principio della sana e prudente
gestione, esclusivamente di inibire il potere del soggetto non onorabile di “influenzare” o di
“determinare effettivamente l’orientamento” dell’attività della banca102.
È infatti proprio nella normativa regolamentare relativa ai requisiti di onorabilità che
l’assioma della “sana e prudente gestione della banca” viene finalmente approfondito nel suo
significato, collegandolo, quindi, non solo all’aspetto organizzativo, ma soprattutto alla
“qualità” degli azionisti come vuole il legislatore europeo103.
In sintonia con analoghe previsioni normative, il T.u.b. riconosce anche alla Banca
d’Italia il potere di impugnare, entro centottanta giorni, le delibere assembleari assunte con il
Cfr. M.P. DE TROIA, Autorizzazioni all’esercizio dell’attività bancaria: requisiti di onorabilità, qualità degli
azionisti, sana e prudente gestione, in Banca, borsa e tit. cred., 1996, I, p. 233 ss.; G. VESPERINI, Requisiti di onorabilità e
partecipazione azionaria in una società creditizia: osservazioni in merito all’art. 7 d.p.r. 27 luglio 1985, in Banca borsa tit. cred.,
1986, I, p. 389 ss. F. DI SABATO, Sui requisiti soggettivi degli esponenti bancari: profili di diritto societario, in Banca borsa tit.
cred., 1988, I, p. 56 ss.
101 Sul punto cfr. L. DESIDERIO, Le norme di recepimento della Direttiva comunitaria 77/780 in materia creditizia,
in BANCA d’ITALIA, Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale, n. 6, Roma, 1986, p. 43. In aggiunta a tale
motivazione, è ragionevole ritenere che avesse trovato riconoscimento anche un’esigenza più ampia di preventiva
“moralizzazione” dell’attività bancaria di modo che la stessa non potesse “farsi strumento di iniziative
economiche collegate a soggetti di dubbia correttezza, sospettabili come tali di turbare la linearità d’immagine e di
funzioni dell’ente partecipato”, così ancora L. DESIDERIO, Ibidem, ma anche M. PERASSI, op. ult. cit., p. 1486 s.;
A. MUSSO, La rilevanza esterna del socio nelle società di capitali, Milano, 1966, p. 65.
102 Nell’ordinamento nazionale, il riferimento alla “qualità” dei soci di cui al testo comunitario – sia in sede
costitutiva che in fase funzionale dell’impresa creditizia – acquista un duplice significato: a) di ordine quantitativo,
connesso cioè all’entità della partecipazione detenuta e, quindi, all’influenza esercitata in virtù del possesso di
quest’ultima; b) di natura qualitativa, avendo riguardo alle caratteristiche soggettive dell’azionista, sia in relazione al
settore di appartenenza – industriale o finanziaria – sia sotto il profilo della sua “onorabilità”.
I requisiti, oggettivi e soggettivi, che definiscono la “qualità” del socio (disciplinati da fonti normative
diverse) sono finalizzati alla creazione dei presupposti, al momento della nascita (v. art. 14, comma 2, T.u.b.) e di
conservare, durante l’intero arco di esistenza di una banca, di una gestione sana e prudente, tutelando in questo
modo “l’impresa bancaria da possibili condotte dannose dei soggetti partecipanti al capitale”.
103 A tal fine, infatti, le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, cit., Tit. II, cap. I, §. 1.1., prevedono che
“chiunque partecipa in una banca in misura superiore al cinque per cento del capitale rappresentato da azioni con
diritto di voto non può esercitare il diritto di voto inerente alle azioni o quote eccedenti” qualora non sia in
possesso dei requisiti di onorabilità prescritti dal decreto medesimo.
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voto determinante dei soci non in possesso dei requisiti di onorabilità richiesti. Rispetto al
sistema previgente, inoltre, l’impugnativa delle suddette delibere (o del “diverso atto”) non è
più obbligatoria per amministratori e sindaci, “anche se tale obbligo, quanto meno ai fini di
esonero dalla responsabilità, probabilmente discende ancor oggi dai principi generali in tema di
impugnazione delle delibere assembleari”104.
Va sottolineato, infine, che l’opera di omogeneizzazione della disciplina non è circoscritta
all’ambito di applicazione del T.u.b., ma abbraccia tutti i settori del mercato finanziario, tanto
che si può parlare di un’unica disciplina per tutti gli intermediari finanziari105. Uniformità di
contenuti, quindi, che si accompagna necessariamente ad una omogeneità delle finalità che la
legge intende perseguire: ossia la sana e prudente gestione.
5.2. (Segue): Le specifiche dichiarazioni di impegno volte a tutelare la sana e prudente gestione della banca o
della società capogruppo.
Il processo valutativo posto in essere dalla Banca d’Italia, nell’apprezzamento della
compatibilità delle operazioni assentite in rapporto alla garanzia della stabilità del richiedente
(sub specie di “sana e prudente gestione”), consente pertanto di cogliere ulteriori interessanti
spunti di riflessione utili alla nostra discussione.
Nei provvedimenti autorizzativi della Banca d’Italia sono contenute disposizioni
prescrittive volte ad assicurare il coordinamento tra la realizzazione degli investimenti
partecipativi e le risorse patrimoniali che si renderanno a mano a mano disponibili.
In relazione al “principio della sana e prudente gestione”, come si è visto poc’anzi, le
Istruzioni di Vigilanza ammettono, infatti, che l’Autorità di vigilanza possa “richiedere ai
partecipanti specifiche dichiarazioni di impegno volte a tutelare la sana e prudente gestione
della banca o della società capogruppo” 106.
Ciò implica che, in seguito all’avvenuto rilascio dell’autorizzazione, La Banca d’Italia sia
tenuta a verificare, in chiave prospettica, che il rafforzamento patrimoniale progettato dalla
banca richiedente sia congruo in relazione all’entità dell’acquisizione ipotizzata107.
Per giunta, occorre tener presente che il progetto industriale, che deve essere presentato
dall’acquirente e che costituisce parte fondante del giudizio promosso dalla Banca d’Italia108,
rappresenta esso stesso, in realtà, un mero strumento programmatico, nel quale sono
contenute delle previsioni di larga massima, valutabili concretamente solo a posteriori, in base,
cioè, ai risultati effettivamente perseguiti109.
Così G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit., p. 294.
La conclusione indicata nel testo è valida anche per le imprese di assicurazione per le quali il Ministro
dell’industria, commercio e artigianato ha emanato, sulla base della delega ad esso fornita dall’art. 11, comma 5,
legge 9 gennaio 1991, n. 20, il d.m. 24 aprile 1997, n. 186 (pubblicato in G.U. del 28 giugno 1997, n. 149),
concernente la determinazione dei requisiti di onorabilità e professionalità ai fini del rilascio dell’autorizzazione
all’esercizio dell’attività assicurativa, nonché la determinazione dei criteri per la concessione, sospensione e revoca
delle autorizzazioni all’assunzione di una partecipazione qualificata o di controllo in imprese assicurative.
106 Sempre con la sent. n. 6157/2005, il TAR Lazio ha anche esplicitamente stabilito che le indicazioni di
vigilanza impartite in sede di rilascio dell’autorizzazione non sono condizioni apposte all’efficacia dell’atto; esse
costituiscono elementi accessori di carattere precettivo. Pertanto, “i fatti sopravvenuti non incidono sugli effetti del
provvedimento abilitante, né sulla legittimità dello stesso, ma rilevano su un piano diverso, ai fini del potere di
controllo”.
107 Cfr. V. MALAGUTI e M. ONADO, Andava a piedi da Lodi a Lugano. Storia della scalata alla Banca
Antoveneta, in Merc. conc. reg., 2005, 2, p. 331 ss.
108 In proposito v. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza, cit., Tit. II, cap. I, sez. II, art.
5.2.2.,“Acquisizione del controllo. Il piano industriale”.
109 In merito cfr. TAR Lazio, sez. I, sent. n. 6157/2005, cit., che, con l’indicazione dei criteri
costantemente seguiti dall’Istituto di vigilanza, ne rende pienamente conto. In particolare, si comprende
104
105
- 31 -
Nonostante i forti contrasti emersi in dottrina, si sostiene che le Istruzioni di vigilanza
ammettano questo modus procedendi allorquando richiedono la comunicazione delle “fonti di
finanziamento che il soggetto intende attivare per la realizzazione dell’operazione di
acquisizione della partecipazione”110, ovvero delle “informazioni concernenti l’impatto
dell’operazione sulla situazione finanziaria attuale e prospettica del partecipante”111.
Un ulteriore argomento a sostegno dell’operato dell’Autorià di vigilanza può essere
individuato con riferimento alla disciplina delle partecipazioni detenibili dalle banche, là dove,
secondo quanto indicato nelle Istruzioni di vigilanza, alla Banca d’Italia spetta valutare “se la
situazione tecnica e organizzativa delle banche richiedenti (sia) tale da sostenere un’ulteriore
articolazione e se quest’ultima (sia) compatibile con le esigenze della vigilanza su base
consolidata”112.
Inoltre, è opportuno considerare che l’impatto sui coefficienti si realizza non già al
momento del rilascio del titolo, ma “al momento dell’effettuazione dell’acquisto”113.
In evidente applicazione di tale canone, si ritiene che l’interesse pubblico (il giudizio di
“sostenibilità”, in un’ottica di sana e prudente gestione) affidato alla cura della Banca d’Italia
possa essere congruamente perseguito attraverso l’apposizione agli atti autorizzatori di clausole
(sulle quali ci si soffermerà oltre) intese ad istituire uno stretto collegamento tra
patrimonializzazione ed acquisti114.
agevolmente quale sia l’esatta portata della formula usata dalla Banca d’Italia nel concedere l’autorizzazione, con
cui l’Autorità invita le parti a completare il piano industriale con i “conseguenti progetti operativi e attuati nei
tempi pianificati”, aspetti questi che attengono, appunto, alla fase esecutiva del piano stesso.
110 Cfr. BANCA d’ITALIA, Istruzioni Vigilanza, cit., Tit. IV, cap. 9, sez. III, §. 5.2.1.
111 Cfr. BANCA d’ITALIA, Istruzioni Vigilanza, cit., Tit. IV, cap. 9, sez. III, §. 4. Va, a tal riguardo,
debitamente rimarcato – come sostenuto dal TAR Lazio, sent. n. 6157/2005, cit., – il presupposto che
“l’acquirente proceda nella realizzazione dell’operazione graduando gli impatti patrimoniali in relazione ai margini
disponibili al momento dell’autorizzazione e a quelli via via generati dal perfezionamento delle operazioni
pianificate, secondo gli impegni assunti dal richiedente nei confronti della Banca d’Italia”. La Banca d’Italia non ha
pertanto motivi di chiedere alla banca acquirente che il rafforzamento patrimoniale sia già attuato al momento del
rilascio dell’autorizzazione, perché “l’impatto sui coefficienti si realizza non già al momento del rilascio del titolo,
ma al momento dell’effettuazione dell’acquisto”. In questo modo si rende possibile effettuare un’acquisizione
bancaria anche per operatori “che si attivino per il recepimento delle necessarie fonti patrimoniali, come sovente
accade nelle realtà imprenditoriali”. Se poi in futuro questo non accadrà, la violazione del nesso tra rafforzamento
patrimoniale e atti di acquisto costituirà presupposto per “l’eventuale esplicazione della potestà sanzionatoria”
dell’Autorità di vigilanza.
112 Così BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza per le banche, cit., Titolo IV, cap. 9, sez. III. Sul versante
della disciplina delle partecipazioni detenibili dalle banche, le Istruzioni di Vigilanza chiariscono che la domanda di
autorizzazione deve essere corredata, tra l’altro, “di ogni notizia utile a inquadrare l’operazione nell’ambito dei
piani strategici e, ove trattasi di acquisizione di una partecipazione in una banca, di espansione territoriale”. Anche
in questo caso la banca acquirente è tenuta a rendere “informazioni concernenti l’impatto dell’operazione sulla
situazione finanziaria attuale e prospettica del partecipante, sul margine disponibile per gli investimenti in
partecipazioni e in immobili, sull’adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento al coefficiente di solvibilità”
(. In questo modo si rende possibile effettuare un’acquisizione bancaria anche per operatori “che si attivino per il
recepimento delle necessarie fonti patrimoniali, come sovente accade nelle realtà imprenditoriali”.
113 Con riferimento all’accusa di “sforamento dei coefficienti patrimoniali” stabiliti dalla normativa in tema
di requisiti patrimoniali delle banche, cfr. TAR Lazio, sent. n. 6157/2005, cit.
114 Tali conclusioni hanno reso opportuno procedere all’individuazione della esatta natura di questi
“elementi accessori”. Al riguardo il TAR Lazio, sent. n. 6157/2005, cit., ha escluso che essi possano essere
considerati “meri inviti alla osservanza di norme già presenti nel sistema (…), in quanto con essi l’amministrazione
ha proceduto a specificare, per il caso concreto, il precetto generale della sana e prudente gestione”.
Né tanto meno ai Giudici è parsa congrua “una lettura in termini di << condizioni >> (si tratterebbe in
particolare, secondo una condivisibile qualificazione dottrinaria, di ipotesi di << condizione potestativa a genesi
privatistica >>, nelle quali cioè l’avvenimento incerto dipende da un atto, fatto o comportamento dello stesso
destinatario della determinazione della p.a.)”. Pertanto, il Tribunale, ponendo “in disparte l’osservazione che
l’avveramento (o il mancato avveramento, a seconda che si tratti di condizioni sospensive o risolutive) dell’evento
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Sarà poi compito della Banca d’Italia, sempre in un’ottica di estrema prudenza, vigilare
affinché venga rispettata la successione degli interventi di rafforzamento patrimoniale a fronte
di precisi e impegnativi obblighi assunti dallo scalatore, nel presupposto che l’onere possa
essere scaglionato nel tempo.
A tal fine la Banca d’Italia è chiamata ad elaborare un giudizio di tipo “prognostico”, ad
alto tasso di discrezionalità tecnica, nel quale si concretano in definitiva le sue funzioni
istituzionali115.
Se dunque la tesi contraria, secondo cui “al momento del rilascio dell’autorizzazione” la
banca richiedente deve essere dotata di tutte le risorse patrimoniali utili per portare a
compimento l’operazione progettata, non sembra trovare opportuno accoglimento nel
sindacato dei giudici116, occorre spostare l’attenzione sugli effetti riconducibili ad un
disallineamento temporaneo rispetto ai coefficienti minimi117.
In tal caso, la valutazione riguarda – si badi bene – sia il mancato rispetto delle
“condizioni” apposte dall’Autorità di vigilanza agli atti censurati, sia l’accertamento di eventi
che avrebbero dovuto portare alla pronuncia di una “revoca”.
In ultima analisi sia comunque consentito auspicare a breve termine il passaggio ad una
visione più ancorata al presente, e dunque in un certo senso più restrittiva, rispetto ad una
valutazione dinamica dei requisiti patrimoniali, valutazione che in passato consentì altre
acquisizioni da parte di cacciatori più piccoli della preda.
6. Il potere della Banca d’Italia di sospendere o revocare l’autorizzazione.
Il quinto comma dell’art. 19 del T.u.b. riconosce alla Banca d’Italia il potere di
sospendere o revocare l’autorizzazione. Anche in tali fattispecie, il criterio cui la Banca d’Italia
dovrà attenersi è costituito, ancora una volta, dalla valutazione della ricorrenza di condizioni
atte a garantire una sana e prudente gestione della banca, peraltro nel rispetto dei principi di
diritto amministrativo che presiedono all’emanazione di provvedimenti di secondo grado.
La revoca deve implicare, però, una nuova valutazione circa l’opportunità del permanere
degli effetti della precedente deliberazione, alla luce di una modificazione oggettiva della
situazione di fatto esistente al momento dell'emanazione dell’atto.
in esse dedotto può al più rilevare sul piano, del tutto diverso, degli effetti dell’atto permissivo, incidendo (sia pure
retroattivamente) solo sui connessi effetti abilitanti, con eventuali conseguenze (che qui non mette conto
evidenziare) sugli atti compiuti dal soggetto autorizzato (nella specie, sugli acquisti di titoli Antonveneta)”, ha
ritenuto “che la tesi della condizione è smentita, oltre che dal tenore e dal contenuto dei provvedimenti (nei quali
il dato lessicale non depone in tal senso; l’amministrazione ha poi inserito esplicite riserve di valutazione degli
sviluppi dell’operazione e raccomandazioni relative alla tempestiva realizzazione delle iniziative pianificate), anche
dal quadro normativo, idoneo a convincere della correttezza di una definizione di tali elementi accessori in termini
di autorizzazioni con prescrizioni (definite da alcuni conformative o modali)”. Piuttosto – ha concluso il TAR Lazio –
“degli eventi successivi al rilascio delle autorizzazioni non pare dunque ammissibile la ricostruzione in termini di
fattispecie invalidanti, potendo essi rilevare quali presupposti per l’esercizio degli immanenti poteri di riesame e
sanzionatori” della Banca d’Italia.
115 Così Tar Lazio n. 6157 del 2005, cit. In altre parole, si sostiene che l’Autorità di vigilanza sia tenuta a
verificare non tanto la consistenza attuale dei mezzi patrimoniali del richiedente in relazione all’intera acquisizione
programmata, quanto piuttosto l’adeguatezza e la concreta realizzabilità del progetto di rafforzamento
patrimoniale presentato dall’acquirente.
116 Per tutti v. G. MINERVINI, op. ult. cit., p. 10 (datt.).
117 Disallineamento – a dire della dottrina prevalente – inaccettabile, allorquando dipenda da decisioni
volontarie degli operatori, giusta la norma delle Istruzioni di vigilanza preclusiva dell’acquisto di partecipazioni
finanziarie “qualora la loro eventuale deduzione dal patrimonio di vigilanza faccia venir meno il rispetto del
requisito di adeguatezza patrimoniale complessivo”, e tenuto conto del tenore delle autorizzazioni. Si sostiene, in
particolare, che i temporanei disallineamenti dai ratios contemplati dall’art. 47, comma 3, dir. 2000/12/CE, cit.,
possano dipendere solo da ipotesi imprevedibili o eccezionali.
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In particolare, è appena il caso di ricordare che la revoca interviene sul provvedimento
già emanato caducandolo con efficacia ex nunc, per il venir meno di un presupposto legale
ovvero per il mutamento della situazione sostanziale, che ne determina l’inopportunità
sopravvenuta118.
Oltre ad un laconico riconoscimento del potere di sospensione e revoca del
provvedimento autorizzatorio, null’altro viene detto in proposito dalla legge; né tanto meno
sembra che a tale silenzio possano sopperire le “disposizioni attuative” di competenza del
CICR119.
Il problema dei mezzi a disposizione delle autorità nazionali, allorché la qualità degli
azionisti, e di conseguenza la sana e prudente gestione dell’intermediario, si deteriori in un
momento successivo, si rivela assai complesso anche in sede comunitaria. Tema, questo,
affrontato dall’art. 11, §. 5, dir. n. 89/646/CEE (ora art. 21, §. 2, dir. n. 2006/48/CE), il quale
dispone che qualora l’influenza esercitata dai soggetti partecipanti al capitale dell’ente creditizio
risulti di ostacolo alla sana e prudente gestione dello stesso, le autorità degli Stati membri
possono adottare misure idonee per porre termine a tale situazione. Fra tali misure la direttiva
annovera: ingiunzioni, sanzioni nei confronti dei dirigenti, sospensione dei diritti di voto
relativi alle azioni o quote detenute.
Le medesime misure devono essere adottate nei confronti delle persone fisiche o
giuridiche che non abbiano ottemperato agli obblighi di informazione preventiva.
La citata delibera CICR n. 1057/2005, in particolare, fissa i criteri e le condizioni per il
rilascio e la revoca delle autorizzazioni della Banca d’Italia e sancisce, in primo luogo, che
l’autorizzazione a salire nel capitale di un’azienda di credito viene revocata “qualora vengano
meno o si modifichino i presupposti e le condizioni atti a garantire una gestione sana e
prudente della banca”. Ma tra i motivi di revoca dell’autorizzazione rientrano anche i
comportamenti elusivi della normativa, le violazioni degli impegni assunti con l’Autorità di
vigilanza e la trasmissione di dati non corrispondenti al vero.
La sospensione dell’autorizzazione, aggiunge la nuova normativa, può essere disposta
dalla Banca d’Italia “quando venga accertata l’insussistenza temporanea di uno o più dei
requisiti e delle condizioni necessari per l’autorizzazione”120, il cui “ripristino sia assicurato in
tempi brevi dal soggetto interessato”121.
La revoca ha carattere recettizio e, nella misura in cui entra in gioco la valutazione di
nuove circostanze di fatto, è, al pari dell’autorizzazione da revocare, atto discrezionale. Sul
punto, le Istruzioni di vigilanza precisano che: “in conformità dei criteri fissati dal CICR (…),
la Banca d’Italia può in ogni momento sospendere o revocare con provvedimento motivato
In tal senso v. M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, III ed., Milano, 1993 p. 599 ss.; ma, tanto in
dottrina quanto in giurisprudenza, si registrano divergenze non trascurabili nella sistemazione degli atti di ritiro,
riesame o revisione in generale, e della revoca in particolare.
119 In tal senso cfr. E. GALANTI, op. cit., p. 518.
120 Le precedenti direttive del CICR sono contenute nella delibera del 19 aprile 1993, cit., in cui sono stati
stabiliti i criteri che presiedono ai controlli sugli assetti proprietari a fini di sana e prudente gestione. L’art. 6,
comma 2, elencava fra i motivi di revoca dell’autorizzazione “la violazione degli impegni eventualmente assunti
dal partecipante nei confronti della Banca d’Italia ai fini del rilascio dell’autorizzazione”. In sostanza, i profili
innovativi rispetto alla disciplina originaria si esauriscono nella più ampia discrezionalità tecnica riconosciuta
all’autorità amministrativa nel valutare se richiedere o meno la sottoscrizione di tali protocolli e nel determinare il
contenuto dei relativi impegni.
121 V. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per le banche, cit., Tit. II, cap. I, p. 11. Ad esempio, un
temporaneo disallineamento dei coefficienti patrimoniali, peraltro successivamente riassorbito, non ha rilevanza
sugli effetti del provvedimento autorizzativo già rilasciato dall’Autorità di Vigilanza, come anche confermato dalla
recente sentenza del TAR del Lazio del luglio 2005, n. 6157, ma rileva unicamente sotto il profilo sanzionatorio.
La normativa comunitaria e le Istruzioni di Vigilanza non escludono che si possano determinare scostamenti
rispetto ai requisiti regolamentari, ma richiedono che siano adottate sollecitamente misure appropriate per
ripristinare il rispetto del coefficiente patrimoniale.
118
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l’autorizzazione all’assunzione della partecipazione qualora vengano meno i presupposti e le
condizioni in base ai quali l’autorizzazione medesima è stata rilasciata”122.
Per quanto concerne, invece, il richiamo all’istituto della illegittimità sopravvenuta,
questo è configurabile solamente in ipotesi marginali, comunque non ricorrenti nella specie (se
ne parla, infatti, anche se con forti dubbi dogmatici, nel caso di jus superveniens ad efficacia
retroattiva o di pronunce di illegittimità costituzionale di norme attributive di potere) 123.
Degli eventi successivi al rilascio dell’autorizzazione non pare dunque ammissibile la
ricostruzione in termini di fattispecie invalidanti, potendo essi rilevare quali presupposti per
l’esercizio degli immanenti poteri di riesame e sanzionatori della Banca d’Italia124.
Con riferimento alla motivazione dell’atto di revoca, occorre tenere in debita
considerazione che il provvedimento in questione va ad incidere negativamente su situazioni
giuridiche legittimate da un precedente provvedimento, e rispetto alle quali sussiste un
affidamento del beneficiario al mantenimento dello status quo ante 125. È opportuno sottolineare,
però, che la sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale costituisce la premessa
necessaria affinché l’Autorità di vigilanza proceda alla revoca. Pertanto, è da escludere che non
si possa dare luogo all’atto di ritiro dell’autorizzazione quando il decorso del tempo ha
cristallizzato e consolidato l’interesse privato individuale, sino a renderlo prevalente su quello
pubblico sottostante al provvedimento di revoca.
Nel caso della sospensione, questa non comporta caducazione del precedente
provvedimento, ma la sua temporanea inefficacia. Come è stato osservato in dottrina, con
riferimento alla corrispondente previsione contenuta nella legge n. 287/1990, è evidente come
sia stata riconosciuta la valenza di estendere, anziché circoscrivere, il potere di sospensione, “in
modo che possa essere preordinato anche ad un risultato diverso dalla salvaguardia in via
cautelare degli interessi tutelati, affinché questi non vengano pregiudicati nelle more della
revoca”126.
Il fatto che l’ordinamento conferisca all’Autorità di vigilanza appropriati strumenti di
repressione di condotte atte a pregiudicare il mantenimento delle condizioni di sana e prudente
gestione dei soggetti vigilati permette dunque di interpretare le clausole in disamina alla stregua
di indicazioni precettive, il cui mancato rispetto rileva ai fini dell’esercizio del potere di
controllo e sanzionatorio da parte della Banca d’Italia127.
Così BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza, cit., Tit. II, cap. I, p. 11.
Come ha di recente dichiarato il TAR del Lazio, sent. n. 6157/2005, in tema di revoca
dell’autorizzazione ex art. 19 T.u.b., “Tali conclusioni non mutano neanche all’esito dell’individuazione della esatta
natura di questi elementi accessori”.
124 Soprattutto in merito all’obbligo di fornire informazioni veritiere, si rileva che l’osservanza di tale
precetto è assistita da sanzioni penali, come quelle previste dagli artt. 139, comma 2, T.u.b. e 2638 c.c., nonché
amministrative, in relazione sia allo status degli esponenti aziendali sia alla stessa possibilità della banca di esercitare
la propria attività. Inoltre, le innovazioni semplificative introdotte nel sistema delle autorizzazioni hanno
contribuito a risolvere in larga parte i problemi interpretativi in tema di sospensione del voto sollevati dalla
previgente normativa. In dottrina v. M. MONTEFIORI, La sospensione del voto e l’obbligo di alienazione nella disciplina
delle partecipazioni negli enti creditizi, in Giur. comm., 1992, I, p. 1097 ss.
125 Tra le ipotesi di scuola, l’esistenza di un patto parasociale occulto intercorso tra la banca acquirente ed
altri soggetti, potrebbe essere valutato dalla Banca d’Italia anche in termini di revoca ai sensi della citata delibera
CICR del 1993. Il patto occulto costituisce, inoltre, violazione degli artt. 122 del T.u.f., e 20, comma 2, del T.u.b.
sulla comunicazione degli accordi alle Autorità di vigilanza, con conseguente insussistenza o venir meno in capo
all’acquirente del requisito della “correttezza dei comportamenti nelle relazioni d’affari” di cui sempre alla citata
delibera CICR del 1993 (per maggiori dettagli v. infra cap. IV, §. 5.1.).
126 Così C. MOTTI, Norme in materia di partecipazioni al capitale degli enti creditizi, in Diritto antitrust italiano, cit.,
p. 1329.
127 Va parimenti ricordato che l’art. 53, comma 3, lett. d), T.u.b., consente espressamente alla Banca d’Italia
di “adottare, ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici nei confronti di singole banche per le materie
indicate nel comma 1”, tra le quali sono incluse l’“adeguatezza patrimoniale” e, come si è detto, le “partecipazioni
detenibili”. Il TAR del Lazio (sent. n. 6157/2005) ha anche esplicitamente stabilito che le indicazioni di vigilanza
122
123
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7. Gli elementi identificativi della nozione di partecipazione indiretta.
In materia di partecipazioni al capitale delle banche, assumono rilevanza anche le
partecipazioni acquisite o comunque possedute per il tramite di società controllate, società
fiduciarie o per interposta persona (art. 22), ossia le c.d. “partecipazioni indirette”128.
La norma ha una valenza integrativa in quanto funzionale a consentire la precisa
determinazione, unitamente alle partecipazioni dirette e alle altre disposizioni cui fanno
riferimento le norme del Capo III (in particolare gli artt. 19, 20 e 23), della percentuale
rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina sugli assetti proprietari delle banche. In questo
senso, l’art. 22 si configura come norma di chiusura il cui scopo è quello di ricomprendere tutte
le possibili fattispecie non direttamente regolate dalle altre disposizioni, così da estendere la
prevista disciplina informativa ed autorizzativa a tutte le vicende acquisitive di partecipazioni al
capitale di una banca129.
La norma in questione va coordinata, altresì, con l’art. 21 affinché la Banca d’Italia sia in
grado di ottenere informazioni tanto dalle società fiduciarie (in merito alle generalità dei
fiducianti), quanto nei confronti degli enti e delle società titolari di partecipazioni al capitale
delle banche, potendo richiedere agli amministratori di queste ultime l’indicazione dei soggetti
controllanti130.
Con l’art. 22 si è, dunque, raggiunto un apprezzabile risultato di economizzazione
normativa, essendovi alla base della collocazione sistematica “autonoma” della disposizione
sulle partecipazioni indirette, una chiara esigenza di “semplificazione del dettato normativo”131.
Posto che la fattispecie “partecipazione indiretta” esaurisce tutte le situazioni nelle quali è
possibile esplicare indirettamente una influenza significativa su di un altro soggetto giuridico
(nella fattispecie una banca), appare opportuno definire con maggiore precisione i contorni
delle sue componenti, ossia le nozioni di società controllata, di società fiduciaria e di interposta
persona.
Quanto alla nozione di società controllata, qui ci si limita a ribadire la mutevolezza
settoriale della nozione di controllo che, anche quando non si differenzi sostanzialmente dalla
impartite in sede di rilascio dell’autorizzazione non sono condizioni apposte all’efficacia dell’atto; esse
costituiscono elementi accessori di carattere precettivo. Pertanto i fatti sopravvenuti non incidono sugli effetti del
provvedimento abilitante, né sulla legittimità dello stesso, ma rilevano su un piano diverso, ai fini del potere di
controllo e sanzionatorio da parte della Banca d'Italia, in merito al rispetto delle indicazioni prescrittive della
Vigilanza.
128 Cfr. CICR, Delibera n. 1057 del 2005. Sulla disciplina previgente cfr. CICR, Delibera del 19 aprile 1993, cit.,
e le relative Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia. La normativa secondaria ha correttamente puntualizzato che si
tiene conto delle azioni in proprietà e di quelle oggetto di contratto di riporto, anche se il soggetto sia privo del
diritto di voto, nonché delle azioni per le quali si ha la titolarità del diritto di voto (ad esempio, azioni possedute a
titolo di pegno o di usufrutto, se il diritto di voto spetta all’usufruttuario o al creditore pignoratizio), rapportate a
tutte le azioni o quote rappresentanti il capitale, comprese le azioni privilegiate ma non quelle di risparmio.
129 V. F. CHIAPPETTA, Commento sub art. 22, in Commentario al Testo Unico, cit., p. 136 ss.
130 Va ricordato che l’art. 22 del T.u.b. costituisce anch’esso, ovviamente solo nella parte concernente le
partecipazioni indirette), l’art. 9 della legge n. 281/1985; sul punto v. ancora F. CHIAPPETTA, op. cit., p. 139; B.
MANZONE, op. cit., p. 367.
131 Cfr. A. PATRONI GRIFFI, Rel., cit., p. 8. Nella Relazione al T.u.b. si legge che la disposizione in
esame risponde a esigenze di semplificazione del dettato normativo, evitando le numerose ripetizioni presenti
nella normativa previgente: si pensi alla legge n. 281/1985 (artt. 9 e 10 concernenti “la identificazione dei soci
delle s.p.a. esercenti il credito”) e alla legge n. 287/1990.
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nozione generale di cui all’art. 2359 c.c., ne specifica il contenuto o l’ampiezza, come avviene
per il caso del comparto creditizio132.
Ciò implica che, nell’analisi della disciplina delle partecipazioni indirette al capitale delle
banche, occorra tenere conto della nozione di controllo delineata dalla legislazione di settore
(nel caso di specie l’art. 23 T.u.b.), non essendo sufficiente fare riferimento alla corrispondente
normativa di diritto comune133.
Non sembra potersi dubitare, poi, che il soggetto che si pone quale “controllante” della
partecipazione indiretta possa essere tanto una persona fisica quanto una persona giuridica.
Si ricorda che negli artt. 19 e 20 T.u.b., per indicare i soggetti tenuti agli obblighi ivi
previsti, è utilizzata una espressione volutamente generica – “chiunque” – idonea a
ricomprendere una vasta tipologia soggettiva. In particolare, per quanto riguarda le società
fiduciarie, l’inclusione di tale categoria di società tra le fattispecie prese in considerazione dalla
norma appare agevolmente intuibile.
Le fiduciarie, infatti, sono soggetti istituzionalmente chiamati alla intestazione per conto
altrui di quote o azioni di società. e il c.d. pactum fiduciae, con il conseguente obbligo per la
fiduciaria di attenersi alle istruzioni del fiduciante, importa che il vero dominus della vicenda sia
il fiduciante stesso, al quale vanno sostanzialmente imputati gli effetti dell’attività svolta dalla
fiduciaria con riferimento alla partecipazione detenuta.
Infine, la gamma delle partecipazioni indirette è completata dall’aggiunta dei fenomeni di
interposizione personale (che si aggiunge a quella fiduciaria), da individuare in termini ampi al
fine di evitare manovre elusive del dettato normativo134.
La fattispecie in esame, dunque, si deve ritenere comprensiva di ogni ipotesi in cui si
verifichi una scissione tra il soggetto formalmente titolare della partecipazione e chi,
all’opposto, ne ha la titolarità sostanziale, con la conseguente potestà di gestione, a conferma
della tendenza a privilegiare la realtà sostanziale dei fenomeni partecipativi in luogo dell’aspetto
formale.
8. La nozione di controllo ex art. 23 del T.u.b.
A completamento della disciplina in materia di partecipazioni al capitale delle banche,
non può trascurarsi l’esame concernente l’individuazione del concetto di controllo valido in
tale ambito (Titolo II, Capo III). La nozione fornita dell’art. 23, comma 1, T.u.b, applicabile
anche a soggetti diversi dalle società, non presenta caratteri peculiari sensibilmente diversi da
quelli elaborati da dottrina e giurisprudenza per la corrispondente figura contemplata dal
codice civile, le cui articolazioni sono integralmente richiamate con il rinvio sia al primo che al
secondo comma dell’art. 2359 c.c. Inoltre, in seguito alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 37
del 2004, il controllo si desume anche “in presenza di contratti o di clausole statutarie che
abbiano per oggetto il potere di esercitare l’attività di direzione e coordinamento”135.
132 Tant’è che si parla di controllo come di figura “a geometria variabile”; per più ampi dettagli cfr. A.
FERRARI, La nozione di controllo nel diritto delle società, in Impresa, 1993, p. 1889 ss.
133 Cfr. F. CHIAPPETTA, Commento sub art. 22, in G. ALPA e F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario
al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, Padova, 1998, II, p. 138. La norma del T.u.b.
risulta modellata sulla previgente disposizione dettata in tema di gruppo bancario dall’art. 26 del d.lgs. n.
354/1990, che conteneva una serie articolata di presunzioni di controllo.
134 Cfr. P. FERRO LUZZI, Art. 9, commi 1° e 2°, l. 281/1985: prime considerazioni esegetiche, in Banca, borsa e tit.
cred., 1986, I, p. 430. Il concetto di interposizione deve comprendere non solo la interposizione “reale”, ma anche i
casi di interposizione “fittizia” e “fiduciaria”.
135 Cfr. art. 40 del d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310. Si ricorda, a tal proposito, che la versione dell’art. 19,
comma 1, T.u.b. antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 37/2004 disponeva che il superamento di una
data soglia percentuale (5% del capitale della banca tenuto conto anche delle azioni o quote già possedute) ovvero
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Tratto qualificante della fattispecie risulta essere l’esistenza di una situazione di “influenza
dominante”, in cui viene a trovarsi il controllante nei confronti della/e partecipata/e per il
fatto di poterne indirizzare in qualche modo l’operare. In relazione alle singole situazioni
considerate dalla legge come sintomatiche “della posizione di influenza dominante (detenzione
di partecipazioni, vincoli contrattuali e simili), si pone il problema relativo alle modalità o agli
strumenti con cui si esercita tale influenza (ad es. voto, adesione a sindacati, finanziamenti), al
fine, anche e soprattutto, di imputare al controllante le conseguenze della sua ingerenza”136.
A tal proposito, il Testo unico specifica le seguenti quattro ipotesi che identificano
presunzioni semplici della ricorrenza del controllo nella forma di influenza dominante137:
a) l’esistenza di “un soggetto che, in base ad accordi con altri soci, ha il diritto di
nominare o revocare la maggioranza degli amministratori o dei membri del consiglio di
sorveglianza ovvero dispone da solo della maggioranza dei voti ai fini delle deliberazioni
relative alle materie di cui agli articoli 2364 e 2364-bis del codice civile” (art. 23, comma 2, n. 1,
T.u.b.)138;
l’acquisizione di una partecipazione che comportasse il controllo di una banca fosse necessaria la previa
autorizzazione della Banca d’Italia. Il riferimento al controllo della banca aveva infatti lo scopo di individuare il
presupposto al verificarsi del quale era subordinata l’applicazione della disciplina sull’assunzione delle
partecipazioni rilevanti.
136 Cfr. A. SERRA, Commento sub art. 23, in Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia,
cit., p. 142. Secondo G.F. CAPRIGLIONE, L’ordinamento bancario verso la neutralità, Padova, 1994, p. 304, “il
legislatore recepiva le presunzioni relative di influenza dominante già previste dall’art. 26 del d.lgs. n. 356/1990
per i gruppi creditizi: possesso di una partecipazione idonea a consentire la nomina o la revoca della maggioranza
dei membri del consiglio di amministrazione; sussistenza di rapporti, anche tra soci, di carattere finanziario ed
organizzativo idonei a conseguire uno dei quattro effetti specificati per legge (trasmissione degli utili o delle
perdite; coordinamento della gestione per il perseguimento di scopi comuni anche ad altre imprese; attribuzione ai
soci di poteri maggiori di quelli consentiti dalla partecipazione posseduta; attribuzione a soggetti esterni di poteri
nella scelta degli amministratori e dei dirigenti); assoggettamento a direzione comune (art. 23, comma 2, nn. 2, 3,
4)”. Riguardo, invece, all’ulteriore presunzione di influenza dominante prevista dal testo originario dell’art. 27,
comma 2, della l. n. 287/1990, al fine di prevenire situazioni di controllo tramite accordi di voto, si riteneva che
un sindacato di voto attribuisse il controllo della società quando nello stesso confluivano determinate percentuali
di capitale (10% o 25%, a seconda che la società fosse o meno quotata in borsa) e nel contempo si qualificavano
come controllanti tutti i soci partecipanti ad un sindacato di controllo così identificato. Come osserva, in merito,
G.F. CAMPOBASSO; Ibidem, “L’introduzione di questa anomala figura di controllo congiunto da sindacato finiva
con l’avere vistose ripercussioni, in chiave restrittiva, sul rapporto banca-industria. Di fatto, si abbassava al 10% la
quota massima detenibile complessivamente da una coalizione di soci non finanziari in una società bancaria
quotata, salvo la prova che altri possedesse una quota maggiore. Inoltre e soprattutto, sia pure con alcune
mitigazioni introdotte dallo stesso legislatore, la presenza di un sindacato di controllo poteva rendere non
autorizzabili anche partecipazioni minime di tali soci, per la presunzione della qualità di controllanti in testa a tutti
i soci coalizzati. In pratica, per il gioco congiunto delle due presunzioni, in una società bancaria quotata poteva
verificarsi che una partecipazione di poco superiore al 2% rischiasse di diventare “non detenibile” da parte di un
socio non finanziario”. In tal senso v. pure P.G. MARCHETTI, Osservazioni sull’attuazione della Seconda direttiva Cee
in materia bancaria, in Riv. soc., 1993, p. 269 ss.; ID, Banche, intermediari finanziari e partecipazioni, in AA.VV., Diritto
della banca e del mercato finanziario, Bologna, 2000, p. 160.
137 Va da sé, pertanto, che “la presenza di tali presunzioni, in quanto tali, è considerata un indice
presuntivo della sussistenza del controllo, potendo gli interessati sempre fornirne prova contraria”, così
espressamente A. SERRA, op. ult. cit., p. 189 s. Per una valutazione dei principali elementi di distinzione
riscontrabili tra la nozione di controllo del codice civile (art. 2359) e quella proposta dal Testo unico bancario,
come delineata dall’art. 23 vigente, cfr. C. BRESCIA MORRA, I controlli sull’impresa bancaria, in L’impresa bancaria,
cit., p. 211 ss.
138 Questa prima ipotesi è stata aggiornata in virtù dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 37 del 6 febbraio 2004, per
consentire l’adeguamento delle disposizioni del Testo unico bancario alle novità introdotte dalla riforma del diritto
societario. Accanto alla nozione civilistica è stato inserito un ulteriore periodo dal comma 1 dell’art. 40 del d.lgs.
28 dicembre 2004, n. 310, che prevede il controllo anche in presenza di contratti o clausole statutarie che abbiano
per oggetto o per effetto il potere di esercitare l’attività di direzione e controllo. Come sostiene C. BRESCIA
MORRA, I controlli sull’impresa bancaria, in L’impresa bancaria, cit., p. 213 s., “questo richiamo consente di ampliare
l’ambito di applicazione dell’autorizzazione preventiva dell’art. 19, fino ad ora, di fatto, limitata all’acquisto di
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b) il possesso di partecipazioni idonee a consentire la nomina o la revoca della
maggioranza degli amministratori o dei membri del consiglio di sorveglianza (art. 23, comma 2,
n. 2, T.u.b.);
c) la sussistenza di rapporti, anche tra soci, di carattere finanziario e organizzativo idonei
a conseguire determinati effetti (art. 23, comma 2, n. 3, T.u.b.);
d) l’assoggettamento a direzione comune, in base alla composizione degli organi
amministrativi o per altri concordanti elementi (art. 23, comma 2, n. 4, T.u.b.).
9. La disciplina delle partecipazioni di imprese non finanziarie (rapporto banca-industria).
La disciplina delle partecipazioni nelle banche detenute da imprese non bancarie e non
finanziarie costituisce un aspetto tanto delicato quanto controverso della regolamentazione
degli assetti proprietari delle banche. Il Testo Unico ribadisce (al pari di quanto prevedeva il
d.lgs. n. 481/1992) il divieto per tali soggetti di acquisire una partecipazione (diretta o indiretta)
superiore al 15% del capitale con diritto di voto o comunque tale da comportare il controllo
della banca (art. 19, comma 6, T.u.b.). Già alla fine degli anni ’70 la separazione
banca/industria – i cui principi per le note ragioni hanno storicamente informato la legge
bancaria del 1936 – era apparsa come un vincolo troppo stretto all’operatività del sistema
bancario139. Spesso questo si era trovato ingessato da forti esposizioni nei confronti delle
attività imprenditoriali per finanziamenti con scarsa possibilità di pronto rientro e, per altro
verso, dalla contestuale impossibilità di incidere sulle determinazioni dei debitori140.
Il primo intervento normativo fu, pertanto, di tipo amministrativo, sostanziandosi in una
delibera del CICR del 1987 che, in pratica, dando per scontata – erroneamente – l’esistenza nel
nostro ordinamento giuridico del principio di separatezza tra i due settori, impartiva alla Banca
d’Italia la direttiva di evitare l’acquisizione da parte di gruppi industriali di posizioni dominanti
nel capitale bancario141.
partecipazioni al capitale della banca (l’acquisto del controllo mediante contratti che comportano una dipendenza
economica è un evento raro), a una situazione nuova: la stipula del contratto di dominio o l’inserimento nello
statuto della banca della clausola con cui una banca si sottopone al controllo da parte di altro soggetto”. Si ricorda,
poi, che in virtù di quanto indicato dall’art. 19, comma 8-bis, T.u.b., “…le autorizzazioni previste dal presente
articolo e il divieto previsto dal comma 6 si applicano anche all’acquisizione, in via diretta o indiretta, del controllo
derivante da un contratto con la banca o da una clausola del suo statuto”. Rispetto al sistema previgente al T.u.b.,
viene meno, però, la fattispecie di controllo da sindacato che si presumeva al raggiungimento delle rigide soglie del
25% o del 10%; inoltre, non è più requisito sufficiente la partecipazione ad un sindacato di controllo affinché un
soggetto possa essere considerato ipso iure controllante di una società bancaria.
139 Cfr. M. RISPOLI FARINA, Il controllo sull’attività creditizia. Dalla tutela del risparmio al dirigismo economico, in
M. PORZIO (a cura di), La legge bancaria, Bologna, 1981, p. 126. La legge del 1936, non impedendo formalmente
alle banche di assumere interessenze nelle imprese, stabiliva nell’acquisizione di partecipazioni “la preventiva
autorizzazione” dell’organo di vigilanza. Si arrivò, negli anni, alla conclusione che esistesse nel nostro
ordinamento un principio di separatezza tra banca e industria, senza individuarlo in una concreta norma primaria.
Come suggerisce A. ARRIGONI, Un confronto tra la nuova e la vecchia normativa sul rapporto banca-impresa, in Banche e
banchieri, 1998, 1, p. 24, le prove di quanto poc’anzi affermato sono almeno due “(lontane nel tempo e diverse nel
riferimento normativo): 1) la delibera del CICR del 20 marzo 1987; 2) la Relazione al Testo unico in commento
all’art. 19”. In assenza di un principio generale, non era la Legge del ’36 a evitare o a disciplinare il rapporto bancaimpresa, piuttosto le autorità creditizie attraverso la regolamentazione amministrativa. In altre parole, l’obiettivo
della separatezza veniva perseguito tramite una forte pubblicizzazione del sistema bancario.
140 Cfr. M. PESARESI, Aspetti economici e normativi dell’attività degli enti creditizi rilevanti per la riallocazione della
proprietà, in Temi di discussione della Banca d’Italia, Roma, 1993, p. 20.
141 In tal senso v. G. FORESTIERI e M. ONADO, Governo societario e imprese bancarie, in Banca, impr. soc.,
1988, 1, p. 31.
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Ben presto, però, la soluzione amministrativa si rivelò inadeguata a far fronte ai problemi
riguardanti i rischi successivi alla costituzione, quali le scalate alle banche, nonché l’eventuale
presenza di patti parasociali142.
Del resto, proprio con l’adozione della seconda direttiva in materia bancaria, e prima
ancora con la riapertura dell’accesso all’attività bancaria, si era ripresentato il problema se il
rispetto del principio di separatezza potesse annoverarsi tra le condizioni di applicazione
generale, che l’art. 1 del d.p.r. n. 350/1985 (attuativo della prima direttiva bancaria 77/780/CE,
art. 11, par. 1) imponeva di osservare in sede di costituzione di nuovi enti creditizi143, e, in tal
caso, se per assicurare la cogenza del principio di separazione fosse necessaria una specifica
disposizione di legge oppure fosse sufficiente un atto amministrativo generale144.
Secondo i fautori della separatezza, le scelte operate in sede europea avrebbero
consentito di risolvere il problema radicando l’esigenza di tenere distinti i due settori sulla base
di fondamenti normativi meno precari di quelli proposti dalla previgente regolamentazione
amministrativa145.
Le linee di intervento così delineate furono riprese e portate a compimento a livello
legislativo, dopo un lungo e travagliato iter parlamentare, con la disciplina inserita nel Titolo V
della legge 10 ottobre 1990, n. 287, che, peraltro, consentiva di risolvere i dubbi di legittimità
sollevati dall’intervento concepito, sino ad allora, in via prettamente amministrativa146.
Con l’introduzione di un corpo di norme (artt. 27-30), sostanzialmente estraneo alla legge
antitrust, venne “ribadita ed anzi resa più rigida la scelta politica della separazione fra banche e
industria (per quanto attiene la partecipazione di questa al capitale delle banche)”, attribuendo
alla Banca d’Italia il potere di autorizzare le suddette partecipazioni tenendo conto dei limiti
stabiliti dalla legge147. Venne, inoltre, riformulata la disciplina del conflitto di interessi (art. 30).
In particolare, la legge 10 ottobre 1990, n. 287 stabilì che enti diversi da quelli creditizi o
finanziari non potessero acquistare azioni oltre il 15% del capitale delle banche. Quanto
all’altro pericolo, quello della partecipazione delle banche al capitale delle industrie, e quindi la
possibilità di avere banche miste, la stessa legge precisò che tale partecipazione era subordinata
ad autorizzazione dell’Autorità creditizia.
La disciplina venne ripresa, seppur con modifiche di un certo rilievo, dal d.lgs. n.
481/1992, successivamente trasfuso nel Testo unico bancario. In particolare, nell’ordinamento
Cfr. G. CASTALDI, Il Testo Unico bancario, tra innovazione e continuità, Torino, 1995, p. 31 ss.
In senso affermativo v. ancora F. BELLI, Note a margine della nuova normativa sul rapporto banca-industria,
cit., p. 486.
144 Cfr. F. CAPRIGLIONE, Costituzione di banche e rapporto banca-industria, in Banca, borsa, tit. cred., 1988, I, p.
722.
145 Cfr. S. PADOVANI, La disciplina delle partecipazioni delle banche nelle imprese nella seconda direttiva di
coordinamento in materia bancaria alla luce dell’esperienza tedesca, in F. BELLI (a cura di), La disciplina amministrativa del
credito e della finanza nel passaggio dalla legislazione del 1936-1938 al testo unico del 1993, Siena, 1995, p. 122 ss. Vale la
pena segnalare che l’ordinamento comunitario impone agli Stati membri di vietare alle banche la detenzione di
partecipazioni industriali oltre le soglie indicate. In particolare, l’art. 120 della direttiva n. 2006/48/CE afferma al
paragrafo 1 che “agli enti creditizi è fatto divieto di detenere una partecipazione qualificata il cui importo superi il
15% dei fondi propri in un’impresa che non sia né un ente creditizio né un ente finanziario”, mentre al paragrafo
successivo precisa che “l’importo totale delle partecipazioni qualificate in imprese diverse dagli enti creditizi e
dagli enti finanziari (…) non può essere superiore al 60% dei fondi propri dell’ente creditizio”. Si ricorda che gli
artt. 120 e 121 sostituiscono il testo dell’art. 51 della dir. n. 2000/12/CE; a sua volta l’art. 51 sostituiva il testo
dell’art. 12 della direttiva n. 89/646/CEE.
146 Per tutti cfr. V. SANTORO, I rapporti di partecipazione tra banca e industria, in A. BROZZETTI e V.
SANTORO (a cura di), Le direttive comunitarie in materia bancaria e l’ordinamento bancario, Milano, 1990, p. 154 ss.
Come noto, la legge n. 287/1990 sulla tutela della concorrenza e del mercato, vide la luce dopo un lungo e
travagliato iter parlamentare, in parte dovuto proprio alla questione dei rapporti tra banca e industria. Al riguardo
v. pure T. DI BIASE e A. MAGLIOCCO, op. cit., p. 121 ss.
147 In tal senso v. G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 289; G. CASTALDI, Il Testo Unico bancario, tra
innovazione e continuità, Torino, 1995, p. 32 ss.
142
143
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attuale, i soggetti non finanziari: (i) non possono partecipare al capitale delle banche per una
percentuale superiore al 15% del capitale delle banche ai sensi dell’art. 19, comma 6; (ii) inoltre,
non possono comunque essere titolari di una partecipazione di controllo, allorché essa si attesti
ad una percentuale inferiore al 15% del capitale (il che, come è facilmente intuibile, può
realisticamente verificarsi, sotto il profilo del controllo di fatto, in società con azionariato
diffuso e assai frazionato ovvero grazie alla posizione di dominio di un sindacato di voto che, a
sua volta, raggruppi un numero di azioni sufficienti ad esercitare un’influenza dominante
sull’assemblea); (iii) infine, in forza del comma 7 dell’art. 19, non possono partecipare ad
accordi parasociali che, pur non attribuendo loro il controllo, determinano una rilevante
concentrazione di potere per la nomina o la revoca della maggioranza degli amministratori o
dei membri del consiglio di sorveglianza che, naturalmente, assuma carattere di stabilità148.
Tale ultimo, peculiare divieto si pone come norma di chiusura rispetto a fattispecie che
potrebbero non ricadere nella nozione di controllo, offrendo all’organo di vigilanza una grossa
leva di dosaggio sulla presenza industriale negli assetti proprietari delle banche149.
Invero, la scelta di consentire al capitale industriale di detenere solo partecipazioni di
minoranza nelle banche, non trova alcuna corrispondenza normativa nella direttiva
comunitaria, che non prevede discriminazioni basate sulla natura dell’attività imprenditoriale
dei partecipanti150; essa si limita a richiedere l’intervento inibitorio delle autorità nazionali solo
quando le qualità dei soci non siano tali da garantire la sana e prudente gestione dell’ente
creditizio151.
In proposito v. G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit., p. 305.
Cfr. M. CASADEI, La separatezza tra banca e industria: evoluzione della disciplina, in Bancaria, 1998, III, p. 60
ss. Sotto un altro profilo si osserva come l’aumentato peso degli azionisti non finanziari alimenti incroci
proprietari fra singole banche e singole imprese industriali, moltiplichi le presenze di una ristretta oligarchia nei
consigli di amministrazione e accentui le operazioni bancarie verso “parti correlate”. Per il sistema bancario
italiano l’effetto è il diffondersi di situazioni con potenziale conflitto di interesse e il consolidarsi di
condizionamenti distorsivi nelle scelte di governance e di mercato.
150 Cfr. M. PERASSI, Il rapporto banca-impresa nel Testo Unico. L’intervento dell’organo di vigilanza, in Quaderni di
ricerca giuridica della Banca d’Italia, n. 38, Roma, 1995, p. 22 ss. Delle imprese non finanziarie (rectius industriali) non
si ha alcuna definizione (o rinvio ad altre fonti comunitarie). La relativa nozione viene individuata in via residuale
dall’art. 12 della dir. n. 89/646/CEE, §. 1, che, nel dettare la disciplina delle partecipazioni detenibili dalle banche
nelle imprese finanziarie, fa riferimento ad imprese diverse da quelle bancarie, finanziarie e strumentali. In merito
alla distinzione appena delineata va evidenziato come l’art. 11 della direttiva, che attiene alle partecipazioni al
capitale delle banche, non la richiami, rimettendo, in sostanza, alle autorità nazionali la definizione del grado di
significatività delle partecipazioni industriali; viene così privilegiato quello che potrebbe definirsi un profilo
“quantitativo” nell’articolare la disciplina delle partecipazioni nelle banche nel senso che il superamento delle
soglie percentuali attiva i controlli prudenziali previsti dalle norme.
Secondo G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit., p. 304, “i dubbi di violazione
degli artt. 3 e 41 Cost., per disparità di trattamento tra capitale pubblico e privato, inizialmente affiorati, erano
sostanzialmente caduti con la soppressione nel 1992 della clausola della legge Amato [art. 2, comma 1, lett. d)]
volta a garantire la permanenza del controllo pubblico sulle società risultanti dalla ristrutturazione degli enti
pubblici creditizi”.
151 Cfr. M. PELLEGRINI, Rapporto banca-industria e orientamento comunitario, in Diritto e economia, 1990, n. 2-3,
p. 184 ss. Sul punto v. la disciplina di cui agli artt. 19 e 20 della direttiva n. 2006/48/CE, che hanno sostituito l’art.
16 della dir. n. 2000/12/CE, che a sua volta riproduceva l’art. 11 della dir. n. 89/646/CEE. Come accennato, la
direttiva si limita a fissare delle soglie partecipative del capitale sociale dell’ente creditizio al superamento delle
quali il socio della banca (indipendentemente dalla natura industriale o meno dell’attività svolta) ha un dovere di
preventiva segnalazione a favore delle autorità di vigilanza. Le partecipazioni fra banche e imprese non finanziarie
sono quelle più severamente regolamentate e su di esse, in linea generale, il processo di liberalizzazione ha inciso
in minor misura. Il legislatore nazionale, pur avvicinando la disciplina del rapporto – in ambo le direzioni – tra
banca e industria all’orientamento comunitario, segue un approccio economico di tipo tradizionale, che insiste
sull’opportunità di mantenere separato il momento dell’industria dal momento della finanza, quale presupposto
per il raggiungimento di entrambi gli obiettivi, della stabilità, ecomica e finanziaria, del sistema e dell’efficienza,
statica e dinamica, nell’allocazione delle risorse.
148
149
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Ciononostante – come si osserverà anche in altra parte del presente lavoro – l’opzione
italiana, per quanto più rigorosa, non può ritenersi in contrasto con la disciplina comunitaria,
dato che il nono considerando della seconda Direttiva consente espressamente agli Stati
membri di emanare disposizioni più severe di quelle fissate dagli artt. 5 e 11152.
Al di là dei dubbi di legittimità comunitaria o costituzionale, la dottrina ammonisce come
la soluzione accolta dal legislatore italiano solleva, tuttavia, “un problema di opportunità, dato
che la concorrenza tra gli ordinamenti nazionali153, innescata dal principio del mutuo
riconoscimento, finisce inevitabilmente con lo stimolare la fuga dal sistema normativo più
rigoroso154 e l’insediamento di nuove iniziative bancarie in Paesi che frappongono minori
ostacoli alle partecipazioni di capitale industriale”155.
152 Così G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit., p. 300. Del resto, la nuova
disciplina dell’assunzione di partecipazioni da parte di soggetti che non siano a loro volta enti creditizi o finanziari,
secondo la prima Relazione che accompagnava lo schema del d.lgs. 481/1992, lasciava “impregiudicato il
principio di separatezza tra banca e industria introdotto dal nostro ordinamento con la legge 287/1990”. In
proposito v. pure A. ANTONUCCI, (a cura di), Dall’attuazione della II direttiva CEE in materia bancaria al Testo unico,
Bari, 1993, p. 187 ss. Le numerose modifiche apportate al testo originario dell’art. 27, comma 6, della legge
antitrust, hanno contribuito non poco ad attenuare l’effettiva portata del divieto Invero, l’intero Titolo V della
legge 287/1990 deve ritenersi orientato non solo a prevenire una commistione tra imprese commerciali e
industriali da un lato e imprese bancarie dall’altro, ovvero ad evitare il controllo delle prime sulle seconde, ma
anche a vigilare sulle partecipazioni (ritenute) rilevanti, sulla via che conduce (o che può condurre) al controllo
della banca. Uno sbocco, quest’ultimo, oggettivamente denso di rischi, specie in vista dello scopo ultimo (ad
ambedue le precedenti finalità sotteso), come ritiene A. PATRONI GRIFFI, Commento sub art. 19, cit., p. 302, di
“assicurare l’indipendenza dell’ente creditizio e la tutela degli interessi dei depositanti”. Sulla stessa lunghezza
d’onda si ponevano i criteri introdotti dal d.m. Tesoro del 5 giugno 1991, poi recepiti a livello legislativo, in base ai
quali si precisava che il divieto: a) riguardava solo i soggetti che erano qualificabili come imprenditori; b) era
limitato a chi esercitava, anche attraverso società controllate, attività di impresa in settori non bancari e non
finanziari “in misura rilevante”, secondo i parametri indicati dalla normativa secondaria (oltre il 15% del totale
delle attività), che, tra l’altro, aveva ribadito l’assimilazione dell’attività assicurativa a quella finanziaria.
Una significativa riduzione della portata del divieto si era registrata soprattutto con la radicale revisione
della nozione di società controllata rilevante ai fini della partecipazione al capitale delle banche, operata dal d.lgs.
n. 481/1992 e sostanzialmente recepita dall’art. 23 T.u.b.
153 E ciò perché tale divieto si applica attualmente ai soggetti che svolgono in misura rilevante attività di
impresa in settori non bancari né finanziari. L’originario art. 27, comma 6, legge 287/1990, per contro includeva
nel divieto tutti i soggetti “diversi dagli enti creditizi e dagli enti o società finanziari”. In merito cfr. C.L. APPIO, Il
procedimento di autorizzazione alla partecipazione al capitale delle banche fra legge e normazione secondaria, in Giur. comm., 1995,
I, p. 797, secondo il quale, nel delineare la cerchia di coloro nei confronti dei quali tale divieto è comminato, si è
passati da un’impostazione di tipo soggettivo ad una di tipo oggettivo; e A. GUACCERO, op. cit., p. 273, che pone
in risalto come il nuovo impianto normativo non si riferisca più a normative soggettive individuate in via residuale
rispetto alle imprese bancarie e finanziarie, ma alla realtà dell’attività d’impresa esercitata.
154 Rispetto alle previsioni che figuravano nel testo originario dell’art. 27, comma 6, legge 287/1990,
scompare ogni riferimento ai soggetti controllanti (che pertanto, oggi potrebbero svolgere – anche in misura
rilevante – attività d’impresa in settori non bancari né finanziari), nonché il riferimento alle altre società o enti di
natura finanziaria da questi controllati. In proposito v. CICR, Delibera del 19 aprile 1993, punto 4, e BANCA
d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza per le banche, cit., Tit. II, cap. I, sez. II, art. 5. In dottrina cfr. A GUACCERO, op.
cit., p. 275 ss.; G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni delle banche e dei gruppi bancari, cit., p. 303; D. LUCARINI
ORTOLANI, Banche e partecipazioni, Milano, 1994, p. 156; M. MONTEFIORI, L’acquisizione di partecipazioni negli
enti creditizi, in Banca, impr. soc., 1993, p. 156 ss.
155 I sistemi di vigilanza e regolazione dei mercati finanziari adottati negli ordinamenti dei Paesi
industrializzati, pur essendo caratterizzati da notevoli differenze determinate dalle peculiarità dell'assetto
istituzionale e economico di ciascuno Stato, presentano significativi aspetti comuni, sia sotto il profilo teleologico,
in quanto intesi essenzialmente al conseguimento di alcuni obiettivi fondamentali, che sotto il profilo
organizzativo-istituzionale, in quanto riconducibili a modelli generali. Nondimeno, però, soltanto in un numero
ristretto di economie industriali non è posto alcun limite legale alle partecipazioni delle banche nelle imprese non
finanziarie. Ma anche in questo caso esse sono spesso scoraggiate da provvedimenti amministrativi e da requisiti
prudenziali penalizzanti. All’estremo opposto vi sono quei paesi, di cui la Germania è l’esempio più noto, la cui
normativa consente, in linea di principio, la proprietà al cento per cento. La somma della partecipazione in
un’impresa di assicurazione e dell’esposizione creditizia verso la stessa non può superare il cinquanta per cento del
- 42 -
9.1. (Segue): Rapporti di controllo e accordi di voto.
L’elenco degli indici presuntivi dell’esistenza di situazioni di controllo di cui al n. 3, oltre
che al n. 4, del secondo comma dell’art. 23, pone maggiori problemi di individuazione
concreta, poiché, a differenza delle prime due ipotesi, le posizioni dominanti considerate non
traggono origine dall’effettivo possesso azionario, bensì da rapporti “di carattere finanziario e
organizzativo idonei a conseguire” determinati effetti, e – come specificato dalla Banca d’Italia
– nell’ambito di tali intese non rientrano i patti di sindacato156.
A ciò si aggiunga che la parziale soppressione della figura del controllo congiunto da
patto di sindacato (in base al quale vengono considerati controllanti tutti gli aderenti ad un
patto) ha indubbiamente comportato un “ammorbidimento” del principio di separatezza157.
Difatti, anche se titolari di singole quote partecipative irrilevanti, come si è visto, i soci
non finanziari possono sfruttare in pieno il limite del 15%, salvo che una percentuale inferiore
non sia di per sé sufficiente a dar luogo ad una situazione di controllo azionario di fatto.
Invero, la norma in questione non disconosce il pericolo che accordi parasociali possano
aggirare l’obbligo di separatezza, ma lo affronta in modo diverso. In termini più chiari, si vuole
impedire “che partecipazioni non finanziarie anche modeste divengano, di riflesso,
patrimonio della banca. La somma di tali partecipazioni più le azioni di altre banche non può eccedere il suddetto
patrimonio.
Scelta, inoltre, che non trova riscontro negli ordinamenti degli altri Paesi della Cee, sia prima sia dopo
l’attuazione della seconda direttiva bancaria. In particolare, un tetto massimo alle partecipazioni di imprese
industriali non si riscontra in Belgio (gli artt. 24 e 25 della l. 93-921 del 22 marzo 1993 consentono alla Commission
Bancarie di opporsi, entro tre mesi dalla comunicazione, all’acquisizione di una partecipazione superiore al 5% del
capitale con voto, se ritiene che i partecipanti non abbiano le qualità per garantire una gestione sana e prudente);
in Francia (l’art. 33 della l. n. 84-46 del 24 gennaio 1984, come modificato dalla l. n. 92-665 del 16 luglio 1992,
mantiene ferma la scelta di rimettere la disciplina degli assetti proprietari delle banche alla normativa secondaria,
che subordina all’autorizzazione preventiva del Comité des établissements de crédit l’assunzione o la cessione di
partecipazioni che comportano, anche congiuntamente, l’acquisto o la perdita del controllo, ovvero del 10, 20 o
33% dei diritti di voto); in Germania (il §. 2b del testo coordinato della Kreditwesengesetz prevede la possibilità del
Bundesaufsichtsamt di opporsi, entro tre mesi dalla comunicazione, all’acquisto di una partecipazione superiore al
10% o al suo incremento quando i partecipanti “nicht zuverlassig sind”, ovvero inibire l’esercizio del diritto di
voto ove ritenga che gli stessi perseguano interessi contrastanti con la gestione sana e prudente della banca); in
Gran Bretagna (la sect. 21 ss. del Banking Act del 1987, non modificata in seguito all’attuazione della seconda
direttiva CEE, riconosce alla Banca d’Inghilterra il potere di opporsi, entro tre mesi dalla comunicazione
preventiva, all’acquisizione di una partecipazione superiore al 15%, o all’incremento della stessa oltre le soglie del
50% e del 75%); ed in Spagna (l’art. 48 della legge bancaria del 1946, non modificata in sede di attuazione della
seconda direttiva CEE, richiede la preventiva autorizzazione della Banca di Spagna per l’acquisizione di una
partecipazione superiore al 15%).
156 Al riguardo v. BANCA d’ITALIA, Circolare del 13 gennaio 1992, in G.U. del 6 febbraio 1992. A causa
della rete di interdipendenze che lega gruppi di individui e di capitali appartenenti a una data coalizione, ogni
individuo si trova a disporre, nei confronti degli altri membri del patto, di un qualche potere contrattuale: il potere
associato alla minaccia di non prendere parte al processo decisionale.
157 Cfr. C. BRESCIA MORRA, I controlli sull’impresa bancaria, in L’impresa bancaria, cit., pp. 214 e 220. Per
cogliere il segnale di un “ammorbidimento” del c.d. principio di separatezza – è anche di aiuto la parziale
soppressione della figura del controllo congiunto da patto di sindacato (e conseguente presunzione di controllo in
capo a ciascuno dei partecipanti al patto medesimo); nonché delle soglie quantitative del 25% o del 10% destinate
a porre una presunzione di controllo; previsioni ambo regolate dai commi 2 e 6 dell’originario art. 27 della legge
287/1990. Con il T.u.b. può essere ritenuto controllante solo il socio in grado di imporre la sua volontà all’intero
patto di sindacato. Per maggiori chiarimenti si rinvia a A. PATRONI GRIFFI, in Diritto antitrust italiano, cit., p.
1223 ss. e 1243 ss.; G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 290; F. BELLI, Direttive Cee e riforma del credito, Milano,
1993, p. 32 s.; P.G. MARCHETTI, Osservazioni sull’attuazione della Seconda direttiva Cee in materia bancaria, cit., p. 270.
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partecipazioni di controllo e quindi non autorizzabili, se apportate ad un sindacato di
controllo”158.
Resta allora da definire se la concentrazione di potere indichi diritti ulteriori rispetto a
quelli normalmente spettanti ai soci in relazione alla quota partecipativa posseduta e in che
modo tale situazione possa essere considerata stabile. Inevitabilmente, l’indeterminatezza della
fattispecie comporta l’attribuzione di un rilevante potere discrezionale alla Banca d’Italia nel
valutare le situazioni concrete.
Tuttavia, sembra possibile affermare che il settimo comma dell’art. 19 consideri
specifiche ipotesi, che degradano a livelli più bassi, rispetto a quelle regolate dall’art. 23 T.u.b.
(in particolare del secondo comma), per il semplice fatto che non si richiede l’esistenza di un
diritto di nomina o di revoca, e meno che mai la maggioranza dei voti esercitabili per le materie
di cui agli artt. 2364 e 2364-bis c.c. Ci si accontenta, invece, di prevedere una rilevante
concentrazione di potere per la nomina o la revoca degli amministratori o dei membri del
consiglio di sorveglianza della banca. La norma in questione sembra, di conseguenza, destinata
a trovare applicazione principalmente in due ipotesi: a) qualora un solo soggetto disponga della
“rilevante concentrazione di potere” in questione, pur essendovi la prova che egli non è in
posizione di controllo ex art. 23, comma 2, T.u.b.; b) qualora tale “rilevante concentrazione di
potere” sia riferibile non al singolo, ma ad un gruppo di soggetti fra quelli indicati nell’art. 19,
comma 6, T.u.b., i quali, soppressa la figura del controllo congiunto, non possono più essere
considerati anche individualmente come “controllanti”159. Al tempo stesso, però, resta difficile
“sostenere” che, in simili ipotesi, le singole partecipazioni rimangano comunque sottratte
all’autorizzazione della Banca d’Italia perché inferiori al 5%.
Nel caso contemplato dall’art. 19, il legislatore effettua una valutazione di pericolosità
della situazione ex ante. Il limite del 15% al possesso di partecipazioni al capitale delle banche
da parte di soci non finanziari costituisce una fattispecie di conflitto di interesse presunto, che
non ammette prova contraria. Diversamente, nel caso in cui più soggetti “industriali”
controllino una banca attraverso un patto di sindacato, l’ordinamento rimette alla valutazione
discrezionale dell’Autorità di vigilanza il giudizio sulla contrarietà di tale assetto (rectius,
concentrazione) di potere al criterio della sana e prudente gestione.
Sembra possibile affermare, pertanto, che, se da un lato il settimo comma rafforza il
principio di separatezza fra banca ed industria, dall’altro lo rende più duttile, anche perché,
come sottolineato in dottrina, “si salda col potere della Banca d’Italia d’indagare sull’effettiva
portata di tutti gli accordi di voto conclusi (che le devono essere tempestivamente comunicati
ex art. 20, comma 2, T.u.b.) e di comminare la meno drastica sanzione della sospensione del
P.G. MARCHETTI, Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale, in Riv. soc., 1992, p. 7 ss.; M.
LAMANDINI, Appunti in tema di nozione di controllo congiunto, in Giur. comm., 1993, I, p. 229 ss.; M. S.
SPOLIDORO, Il concetto di controllo nel codice civile e nella legge antitrust, in Riv. soc., 1995, p. 487 ss.; V. CARRIELLO,
Controllo congiunto e accordi parasociali, Milano, 1997, p. 197 ss.; V. DONATIVI, Impresa e gruppo nella legge antitrust,
Milano, 1996, p. 170 ss. “Situazione questa – come osserva G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 291 – che si può
tipicamente verificare in una banca popolare per il limite dello 0,50% del capitale posto ai possessi azionari di
ciascun socio. Sui dubbi di altro tipo che tale soluzione ha innescato, si può ipotizzare un sindacato di voto fra
dieci soci industriali di una banca con azionariato diffuso, ciascuno dei quali possiede il 2% del capitale; sindacato
che è verosimilmente in grado di nominare la maggioranza degli amministratori per effetto della polverizzazione
dell’azionariato”. Del resto, comune a questo e ad altri modelli è il fatto che la detenzione di diritti di proprietà,
mentre assicura un diritto patrimoniale – diritto a un dato flusso di rendimenti – non è più sufficiente, al limite
necessaria, per esercitare i diritti residuali di controllo; e che per esercitare il controllo, oltre ai diritti di proprietà,
al limite al posto di essi, si richiede il ricorso a strumenti extra-proprietari (relazioni di fiducia, norme statutarie per
limitare o potenziare i diritti di voto, accordi di sindacato).
159 Per maggiori chiarimenti cfr. A. PATRONI GRIFFI, Commento sub art. 19, cit., p. 306 s. ove l’Autore,
tra l’altro, ritiene che “relativamente a quest’ultima situazione, sembra si registri in effetti una ulteriore limitata <<
sopravvivenza >> (non di una forma di influenza dominante << congiunta >>, ma) di una sorta di influenza
rilevante collettiva”. In senso conforme v. pure G.F. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 305 s.
158
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voto quando l’accordo, pur senza sfociare in una concentrazione rilevante e durevole di potere
comporti “una concertazione del voto”, tale da pregiudicare la gestione sana e prudente della
banca”160.
10. L’acquisto di partecipazioni di controllo nelle banche da parte di imprese di assicurazione. Problematiche di
natura prudenziale.
A completare il discorso, sul versante del confine fra banche e assicurazioni le principali
questioni riguardano i rapporti di partecipazione reciproca. Tali rapporti erano rimasti sottratti
ad ogni disciplina legislativa fino alla fine degli anni Ottanta ed erano rimessi, perciò,
all’autonomia privata e al potere di controllo delle autorità amministrative. Il sistema
assicurativo rappresenta (al pari di quanto previsto per le banche) un c.d. “ordinamento
sezionale”, e cioè un ordinamento regolato da norme di carattere speciale che si aggiungono e
talvolta sovrappongono a quelle di diritto comune che regolano l’attività delle imprese
commerciali
In materia di acquisto di partecipazioni di controllo in banche da parte di imprese di
assicurazione o viceversa, si è autorevolmente osservato come ci si trovi in presenza di due
corpi normativi che disciplinano in parallelo, ma in modo autonomo, una medesima fattispecie.
Ciascuno dei due ordinamenti infatti prevede una apposita procedura di autorizzazione da
parte delle rispettive autorità di vigilanza: la sovrapposizione di controlli qui produce un
meccanismo di doppia autorizzazione di certo problematico e difficile da giustificare sul piano
giuridico.
Due spinose questioni meritano di essere brevemente considerate: la prima verte sulla
legittimità generale, dal punto di vista del diritto civile, dell’acquisto da parte di
un’assicurazione di una banca; la seconda sulla necessità o meno di modificare l’oggetto sociale
a seguito di tale acquisizione.
Le leggi 10 ottobre 1990, n. 287 e 9 gennaio 1991, n. 20, che disciplinavano l’assunzione
di partecipazioni qualificate o di controllo da parte di imprese di assicurazione in altre società,
così come l’assunzione di quote azionarie in imprese assicurative, hanno permesso di fissare i
limiti dei rapporti di partecipazione fra banche ed assicurazioni161. La nuova disciplina delle
“partecipazioni delle imprese di assicurazione e di riassicurazione” (in vigore dal 1° gennaio
160 La nuova disciplina configura una sorta di inversione dell’onere della prova, nel senso che dovrà essere
la Banca d’Italia ad accertare – onde poter negare o revocare l’autorizzazione – che per effetto di accordi “in
qualsiasi forma conclusi” abbia a verificarsi durevolmente una rilevante concentrazione di potere in capo ai
soggetti indicati nel sesto comma (con esclusione, pertanto, dei soggetti che ivi non sono indicati, in primis le
rispettive società controllanti), per la nomina o la revoca della maggioranza degli amministratori dell’ente
creditizio; e sempre che – beninteso – ciò possa pregiudicare la “sana e prudente gestione” della banca stessa. Così
A. PATRONI GRIFFI, in Diritto antitrust italiano, cit., p. 1392; A. GUACCERO, op. cit., p. 270; B. MANZONE,
op. cit., p. 360.
Il riferimento agli accordi “in qualsiasi forma conclusi” (dunque, anche verbali: il che consente di
ammettere la prova per presunzioni) non prevede espressamente che essi debbano avere ad oggetto l’esercizio del
diritto di voto (a differenza di quanto richiede il successivo art. 20, comma 2, T.u.b.).
161 Nel sistema previgente, la legge n. 20/1991 prendeva in considerazione tutte le possibili situazioni
derivanti dall’acquisizione di partecipazioni e a ciascuna di esse faceva corrispondere degli obblighi specifici per i
partecipanti e determinati poteri delle Autorità di vigilanza del settore. Il provvedimento in esame aveva in seguito
subito due modifiche: la prima era intervenuta con il d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 90 riguardante l’ “attuazione della
direttiva n. 88/627/CEE, relativa alle informazioni da pubblicare al momento dell’acquisto e della cessione di una
partecipazione importante in una società quotata in borsa”, mentre la seconda si doveva all’art. 114 del d.lgs. 17
marzo 1995, n. 174. Entrambe le modifiche “si erano rese necessarie dato il cambiamento del concetto di
partecipazione preso a riferimento”; in tal senso v. C.G. CORVESE, L’attività assicurativa e le “altre attività
finanziarie”, in M. RISPOLI FARINA (a cura di), Studi sugli intermediari finanziari non bancari, Napoli, 1997, p. 311 s.
- 45 -
2006) è attualmente contenuta nel Capo III del Titolo VII del d.lgs. n. 209/2005162 (nuovo
“Codice delle assicurazioni private”).
In via speculare, come si è visto, l’art. 19 T.u.b. e le relative Istruzioni di vigilanza
consentono alle compagnie di acquisire il controllo di enti creditizi, dal momento che le stesse,
nonostante qualche iniziale difficoltà interpretativa, possono essere ricompresse a pieno titolo
fra gli “enti finanziari”163.
In passato, nel caso di acquisizione di partecipazioni da parte di imprese assicurative in
società di altri settori, l’Isvap aveva il potere di intervenire soltanto ex post sulla validità
dell’operazione, eventualmente ordinando la dismissione o la riduzione dell’interessenza nella
società acquistata, laddove ritenesse messa a repentaglio la stabilità della compagnia164.
Nell’ipotesi inversa, cioè di acquisto di partecipazioni “nelle imprese di assicurazione”,
l’Isvap era chiamata ad esprimersi preventivamente sui profili di stabilità dell’operazione165.
Nell’attuale sistema, l’art. 79 d.lgs. n. 209/2005 stabilisce al primo comma la possibilità
per le imprese di assicurazione di assumere con il patrimonio libero “partecipazioni, anche di
controllo, in altre società ancorché esercitino attività diverse da quelle consentite alle stesse
imprese”, prevedendo al comma successivo che “quando la partecipazione in una società
controllata, ha carattere di strumentalità o di connessione con l’attività assicurativa o
riassicurativa, l’Isvap può chiedere che ciò risulti da un programma di attività”. Infine, il terzo
comma specifica che “se la partecipazione comporta il controllo di una società che esercita
attività diverse da quelle consentite alle imprese di assicurazione e di riassicurazione,
l’operazione è soggetta all'autorizzazione preventiva dell’Isvap”.
In materia di “partecipazioni nelle imprese di assicurazione e di riassicurazione” trovano
inoltre applicazione le disposizioni di cui all’art. 68, commi 5, 7 e 8, In particolare, il quinto
162
163.
Si tratta del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, pubblicato nella G.U. del 13 ottobre 2005, n. 239 - S.O. n.
La delibera CICR del luglio 2005 ripropone il discutibile concetto di “assimilazione” dell’attività
assicurativa alle attività finanziarie (art. 8, comma 6), già presente nelle Istruzioni di vigilanza assunte a seguito
della delibera CICR del 1987. nelle Istruzioni di vigilanza le partecipazioni in prese assicurative sono soggette alla
medesima disciplina prevista per le partecipazioni bancarie e finanziarie; in particolare è richiesta la preventiva
autorizzazione della Banca d’Italia quando l’ammontare della partecipazione superi il 10, 20 per cento del capitale
della società partecipata o ne comporti il controllo o qualora essa ecceda il 10 per cento del patrimonio di
vigilanza della banca partecipante. In ogni caso le partecipazioni in imprese di assicurazione possono essere
acquisite fino a un limite pari al 40 per cento del patrimonio di vigilanza, tale limite è elevato al 60 per cento per le
banche appartenenti a un gruppo. Le assicurazioni, tuttavia, non rientrano nel perimetro del gruppo creditizio e
non possono avere la qualifica di capogruppo, in quanto tale facoltà è riservata a banche e società finanziarie pure.
Per un’analisi più completa della vecchia disciplina v. C.G. CORVESE, La disciplina giuridica dei rapporti partecipativi
tra banche ed imprese assicurative, Siena, 1994, p. 75 ss. Va ricordato che alla fine degli anni Novanta la Banca d’Italia
aveva bloccato la conquista di BNL e Banco di Napoli ad opera dell’Ina. Si sosteneva che un più stretto rapporto
azionario tra assicurazioni e banche non potesse metter capo a un centro di potere unico. A distanza di soli due
anni il Governatore aveva autorizzato, se non addirittura incoraggiato, la scalata delle banche alle Assicurazioni
Generali. Fazio spiegava la svolta con la constatazione di un fatto noto: “Le assicurazioni hanno orizzonti di
investimento di lungo periodo”.
164 In merito v. art. 6 della legge 20/1991. Considerati i tempi dell’iter dell’autorità bancaria (30 giorni), che
deve autorizzare preventivamente le scalate, e il tempo di cui necessita l’Authority del settore assicurativo per dare
la sua valutazione (parere) sui profili di stabilità dell’integrazione prospettata, l’attivazione di un protocollo di
cooperazione tra regulators consentiva di correggere nei fatti una sorta di asimmetria normativa.
Per ciò che riguardava i poteri dell’Isvap, si ricorda che essi avevano ad oggetto tutti i tipi di
partecipazione. Più precisamente, per le interessenze che comportavano il controllo, nel caso in cui l’attività della
partecipata non fosse connessa a quella assicurativa, l’Istituto di vigilanza ordinava che la partecipazione venisse
ridotta entro i limiti consentiti (art. 6, comma 1); analoga soluzione poteva essere adottata nel caso in cui, pur
esistendo la connessione, vi fosse “grave pericolo per la stabilità della compagnia di assicurazione” (art. 6, comma
3). In entrambi i casi qualora l’ordine non venisse eseguito, l’Isvap poteva proporre la revoca dell’autorizzazione
all’esercizio dell’attività assicurativa (art. 6, comma 2).
165 In proposito cfr. artt. 9-14 della legge 20/1991.
163
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comma dell’art. 68 prevede che l'Isvap “rilascia l'autorizzazione quando ricorrono condizioni
atte a garantire una gestione sana e prudente dell'impresa di assicurazione o di riassicurazione,
avuto riguardo ai possibili effetti dell'operazione sulla stabilità, sull'efficienza e sulla protezione
degli assicurati dall'impresa interessata”. L'Isvap è chiamata a pronunciarsi entro sessanta giorni
dal ricevimento della comunicazione. Qualora l’Autorità non provveda entro tale termine
“l'autorizzazione si intende concessa” per l’operare del meccanismo del silenzio-assenso.
In virtù del settimo comma del citato art. 68, l'Isvap ha il potere di sospendere o revocare
l'autorizzazione, tenuto conto delle partecipazioni acquisite o rafforzate per effetto di accordi
di voto di cui all'art. 70 o di altri eventi successivi all'autorizzazione, che si ritengano tali da
pregiudicare la sana e prudente gestione dell'impresa di assicurazione166.
Volendo anticipare un argomento che costituirà oggetto di trattazione nei prossimi
capitoli, sia consentito, infine, fare un accenno alle ulteriori implicazioni che scaturiscono in
tema di offerta pubblica di acquisto, quando ad essere coinvolte nel processo di aggregazione
sono sia una banca che un’impresa di assicurazione quotate. Inevitabilmente, l’iter procedurale
che ne scaturisce è caratterizzato da un elevato grado di complessità, dato che ciascuno dei due
ordinamenti – come si è descritto – prevede il rilascio di un’apposita autorizzazione da parte
delle rispettive autorità di vigilanza. Per essere più espliciti, nel caso di Opa, oltre allle
autorizzazioni sia dell’Isvap che della Banca d’Italia, occorre ottenere il via libera da parte della
Consob nonché, quando richiesto dalle dimensioni dell’operazione, anche il giudizio
favorevole dell’Autorità garante del mercato. Un meccanismo, dunque, di doppia (se non
triplice ovvero quadrupla) autorizzazione, che pone di per sé taluni problemi di ordine
giuridico opportunamente evidenziati dalla dottrina ma che, tuttavia, si risolve in uno di quelli
che sono stati definiti “pinnacoli procedurali” e che sono obiettivamente difficili da giustificare.
10.1. (Segue): I nuovi assetti dei rapporti tra banche ed imprese di assicurazione.
Se dunque l’acquisto di partecipazioni di controllo nelle banche da parte di imprese di
assicurazione costituisce un primo, interessante esempio di sovrapposizione di controlli da
parte di più autorità di vigilanza, per quanto riguarda, invece, il profilo civilistico (dunque le
norme speciali di settore) viene ribadito il principio della prevalenza e dell’esclusività
dell’attività assicurativa per una compagnia di assicurazione, in particolare per l’attività nel
ramo danni e vita. Con l’acquisto di una banca, infatti, si corre il rischio che l’attività creditizia
possa diventare prevalente.
In tal caso, la dottrina pone un problema di legittimità dell’operazione in merito alla
necessità o meno di un cambiamento di statuto da parte di un’impresa di assicurazione, il cui
oggetto sociale preveda soltanto l’attività assicurativa e non quella bancaria.
Come è noto, l’ordinamento sancisce un’equiparazione tra attività assicurativa e attività
finanziaria, e dunque bancaria. Per cui – è la conclusione che viene lasciata al lettore –
un’acquisizione nel settore bancario, in linea di principio, non dovrebbe stravolgere l’oggetto
sociale della compagnia167.
La stessa conclusione, invero, non era affatto preclusa dalla disciplina previgente dettata
dall’art. 4 della legge 20/1991, a mente della quale le assicurazioni potevano assumere il
controllo soltanto di società esercitanti “attività connesse” con quella assicurativa essendo,
166 I successivi artt. 80 e 81 del d.lgs. n. 209/2005 si occupano di disciplinare gli obblighi di comunicazione
e i poteri dell’Isvap, chiamata a svolgere anche compiti di supervisione prudenziale per garantire la sana e
prudente gestione delle assicurazioni, attraverso la verifica costante dei margini di solvibilità e delle riserve
tecniche in rapporto all’insieme delle attività svolte dalle compagnie.
167 Cfr. A. DESIATA, Assicurazioni, il ritorno al ministero è superato, in Il Sole 24 Ore, 1° febbraio 2002, p. 7.
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peraltro, rimesso all’Isvap il giudizio sull’esistenza o meno del rapporto di connessione168. Il
divieto si spiega perché il legislatore aveva voluto che il patrimonio delle imprese di
assicurazione non rischiasse di essere pregiudicato da attività di partecipate estranee all’attività
tipica dell’assicuratore.
Se infatti, come si è detto poc’anzi, l’attività bancaria viene ormai considerata dalle
normative di settore, tanto della Banca d’Italia quanto dell’Isvap, come “connessa” a quella
assicurativa, ciò non esclude che le “dimensioni” in gioco possano essere tali da mutare il
profilo qualitativo di una simile connessione, rendendo di fatto prevalente l’attività bancaria.
La chiave del problema starebbe in una virtuale impossibilità da parte delle compagnie
assicurative di “trasformarsi” in un’entità differente. Lo vieta il codice civile, che all’art. 2361
prescrive che l’assunzione di partecipazioni in altre imprese non è consentita “se per la misura
e per l’oggetto della partecipazione si modifica l’oggetto sociale” determinato dall’atto
costitutivo. Per non incorrere nei rigori della norma la compagnia dovrebbe cambiare le
proprie regole interne e, pertanto, consentire ai soci dissenzienti, come prescrive la legge, di
esercitare il diritto di recesso (cioè di richiedere ai sensi dell’art. 2437, lett. a), cod. civ. il
rimborso dei propri titoli), rendendo però in tal guisa l’acquisizione più costosa.
Inoltre, la dottrina ritiene che, a causa della sua natura di raccoglitrice e di investitrice di
risparmio pubblico, la compagnia dovrebbe dare conto del mutamento dell’oggetto sociale,
oltre che ai soci, anche ai clienti. Del resto, essendo nelle imprese assicurative l’oggetto sociale
fissato dalla legge, appare difficile sostenere che lo possa radicalmente cambiare l’assemblea. Se
pertanto l’aspetto dimensionale influisce in misura tale da modificare l’attività originale, allora
l’operazione andrebbe vietata, nel senso che l’Isvap dovrebbe escludere il cambio di statuto in
quanto inapplicabile169.
168 Nel vecchio regime normativo, infatti, la disciplina particolare riguardante le partecipazioni di controllo
era contenuta nell’art. 4 della legge 20/1991, che prevedeva che le compagnie di assicurazione potessero assumere
partecipazioni solo in altre imprese di assicurazione ovvero in imprese, come quelle bancarie, svolgenti attività
connesse all’attività assicurativa, per le affinità di carattere organizzativo e finanziario e per le sinergie che possono
determinarsi, soprattutto nella creazione, gestione e distribuzione di prodotti finanziari. Tale principio è stato
riaffermato nella circolare dell’Isvap n. 150 del 21 febbraio 1991 – successivamente ripreso e ampliato dalla
circolare n. 250 del 20 giugno 1995 che estende il divieto anche alle partecipazioni assunte indirettamente. In
proposito v. anche la recente delibera del CICR del 19 luglio 2005, n. 1057; aspetto questo, peraltro, oggi
disciplinato, ai fini della vigilanza sulla solidità finanziaria dei gruppi di “imprese regolamentate” (come quelle
assicurative e bancarie), dal d.lgs. 30 maggio 2005, n. 142 sui “conglomerati finanziari”.
169 È dunque la dimensione dell’impresa bancaria che conta, non la sua natura. C’è un precedente: nel
febbraio 1986 l’Ina acquistò una partecipazione di controllo dalla Banca di Marino. Nell’occasione l’Isvap
concesse il suo benestare e motivò tale decisione sostenendo che “questo istituto non aveva a ragione richiamato
l’art. 2361 c.c., giacché è evidente che la partecipazione in questione, per la sua misura in relazione al patrimonio,
non modificasse sostanzialmente l’oggetto sociale”. Mentre non vi è alcun dubbio, affermava ancora l’Isvap, che il
controllo della banca “può dar luogo ad operazioni strumentali dell’attività assicurativa”. Sulla vicenda e sul parere
dell’Autorità di vigilanza delle assicurazione v. G. GUARINO, Banca di Marino, art. 4, n. 2, l. 22 ottobre 1986, n. 742.
Legittimità dell’acquisto, in Giur. comm., 1987, I, p. 827 ss. e i pareri di N. IRTI, P. SCHLESINGER, B. LIBONATI,
P.G. JAEGER, Ibidem, p. 833 ss. Sul punto v. anche G. CASTELLANO, Indicazioni per una regolazione dei rapporti tra
banche, compagnie di assicurazione ed imprese industriali in Italia, in Giur. comm., 1987, I, p. 809 ss.; G. FANELLI, Sulla
legittimità dell’acquisto da parte di imprese di assicurazione della partecipazione di imprese con diverso oggetto sociale, in Giur.
comm., 1987, I, p. 817 ss. Nello specifico, dunque, il problema non riguarda l’acquisto da parte di un’assicurazione
di un istituto di credito; anche perché dal 1991 l’attività bancaria è espressamente compresa nelle “attività
connesse” all’oggetto sociale; in tal senso v. C.G. CORVESE, L’attività assicurativa e le “altre attività finanziarie”, cit.,
p. 311 s.; G. FANELLI, op. cit., p. 821. Il problema è la dimensione, sia dal punto di vista della capitalizzazione sia
da quello della raccolta del risparmio: se difatti il rapporto tra queste due grandezze dovesse risultare nettamente a
sfavore della compagnia assicurativa si configurerebbe nella sostanza – come sostenuto in più occasioni dall’Isvap
– un cambiamento dell’oggetto sociale, difficilmente sanabile.
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Sulla base di un orientamento di segno opposto, vi è chi afferma che, in presenza di una
“stretta” connessione170, la preponderanza dell’attività della banca da acquisire rispetto a quella
svolta dalla compagnia assicurativa non possa essere utilizzata come argomento per dichiarare
un presunto snaturamento dell’oggetto sociale Questa conclusione, pur meritando di essere
nuovamente vagliata alla stregua dei più recenti orientamenti teorici che ripropongono la
centralità del tema dell’ “inviolabilità” dell’oggetto sociale delle imprese assicurative, sembra
comunque attagliarsi perfettamente al problema che qui è esaminato.
Non si tralascia di rilevare, inoltre, che l’attività bancaria e quella assicurativa
costituiscono ormai momenti quasi inscindibili di quei conglomerati finanziari la cui esistenza è
esplicitamente disciplinata nell’ordinamento comunitario recepito recentemente anche in Italia.
Difatti, nonostante l’ostacolo legato alle dimensioni, il problema potrebbe trovare adeguata
soluzione tramite il ricorso alla normativa sui “conglomerati finanziari”, che consente, a
determinate condizioni, di ricalibrare i coefficienti patrimoniali e i parametri di solvibilità su
base aggregata171. Si tenga presente che le linee di fondo del tradizionale regime di rapporti fra i
due sistemi di controllo prudenziale (quello della Banca d’Italia sul settore creditizio e quello
dell’Isvap sul settore assicurativo), sono state fino ad oggi nitide e incardinate su due regole
fondamentali: la rigida ripartizione dei rispettivi ambiti nonché l’esclusività, ciascuno nel
170 Come sostiene un’autorevole dottrina, la percorribilità dell’operazione dal punto di vista del diritto
societario esula dalle competenze dell’Isvap. Si veda in proposito il parere pro veritate espresso sull’operazione
Unipol-BNL da R. COSTI, secondo cui l’assunzione di una partecipazione di controllo in una società bancaria
che svolge attività connessa “rientra nell’oggetto tipico della società di assicurazione e quindi non può incorrere
nel divieto dell’art. 2361 c.c.”. L’integrazione non avviene infatti “al di fuori dell’oggetto sociale ma nell’ambito
dello stesso”. Inoltre, nel caso di specie – è detto nello studio consegnato alle Authoriries coinvolte nella vicenda –
la disciplina di settore e lo statuto dell’Unipol ricomprendono nell’ambito dell’oggetto sociale “anche l’assunzione
di partecipazioni di controllo in società bancarie la cui attività sia connessa con quella assicurativa”. E una volta
stabilita la “omogeneità tra l’oggetto sociale di Unipol e quello della BNL”, ne segue che la “dimensione
dell’operazione non rileva”. Nella stessa direzione muovono le argomentazioni addotte da G. ROSSI, Se compra
Bnl cambi lo statuto, in Il Corriere della Sera, 12 agosto 2005, p. 5, che ritiene sufficiente, per ovviare all’ostacolo,
cambiare o modificare l’oggetto sociale in ottemperanza al divieto posto dall’art. 2361 c.c. Sulla stessa linea v. pure
F. BONELLI, Unipol dovrebbe mutare l’oggetto sociale dello statuto, in Plus, suppl. a Il Sole 24 Ore, 3 settembre 2005, p. 9,
il quale però ritiene che se non venisse applicato l’art. 2361 c.c., e se non venisse quindi cambiato l’oggetto sociale,
non sarebbe da escludere l’intervento del Tribunale civile – a fronte di un’eventuale azione di responsabilità nei
confronti dell’organo amministrativo – volto ad imporre una modifica dello statuto sociale. Si ricorda, inoltre, che
ai sensi dell’art. 2409 c.c. l’azione di responsabilità può essere avviata soltanto dalla maggioranza degli azionisti,
cioè dagli stessi che hanno dato fiducia agli amministratori, oppure da una minoranza che rappresenti il 5 per
cento del capitale. Di diverso avviso L. FARENGA, Lo statuto non è un problema, in Il Sole 24 Ore, 17 settembre
2005, p. 30, il quale ritiene che qualora l’acquisto del controllo di una banca da parte di un’impresa di
assicurazione, “per la misura e per l’oggetto della partecipazione, determinasse una sostanziale modificazione
dell’oggetto sociale” della compagnia, comunque “non si porrebbe un problema di modifica dell’oggetto sociale e
di conseguente recesso, perché l’operazione dovrebbe essere vietata dall’Isvap”; e – prosegue lo studioso – “come
si è visto, l’Isvap può vietare l’acquisizione del controllo solo se ciò può determinare un rischio per la stabilità
finanziaria dell’impresa di assicurazione, e cioè se sono ipotizzabili criticità o tensioni di carattere finanziario”.
Tuttavia, vale le pena sottolineare come uno scoglio del genere, nel recente passato, avrebbe frenato diversi
ambiziosi progetti di bancassurance, come ad esempio quello fra la Comit e le Generali, subito abbandonato per il
“no” secco pronunciato dal Governatore della Banca d’Italia.
171 Il d.lgs. 30/05/2005, n. 142 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale - S.O. n. 130 del 25/06/2005), in
attuazione della delega conferita dalla legge 31 ottobre 2003, n. 306, recepisce la direttiva n. 2002/87/CE relativa
alla vigilanza supplementare sui conglomerati finanziari. In data 16 novembre 2005 è stato raggiunto «un primo
accordo» tra Banca d'Italia e Isvap per il “coordinamento in materia di conglomerati finanziari, relativo ai settori
bancario e assicurativo”. Con l'intesa in questione, che dà attuazione al d.lgs. n. 142/2005, le due Autorità “hanno
definito le modalità con le quali individuare i conglomerati finanziari da assoggettare a vigilanza supplementare, le
autorità chiamate a svolgere il ruolo di coordinamento dell'attività di vigilanza supplementare sui conglomerati, i
criteri e i metodi per le misurazioni di adeguatezza patrimoniale a livello di conglomerato”. Sui fenomeni di
concentrazione e conglomerazione si rinvia al più recente lavoro di A. BROZZETTI, I conglomerati finanziari, Siena,
2006, p. 124 ss.
- 49 -
proprio settore di competenza, di tali sistemi; con la conseguente affermazione della reciproca
autonomia172.
11. Il regime sanzionatorio.
L’autorizzazione all’acquisizione della partecipazione indebitamente ottenuta per una
erronea rappresentazione della realtà non determina l’invalidità della stessa. La mancata
concessione, come la successiva sospensione o revoca, dell’autorizzazione comportano infatti
la sospensione del diritto di voto e degli altri diritti che consentono di influire sulla società. La
sospensione opera anche nel caso in cui non siano stati adempiuti gli obblighi di
comunicazione di cui all’art. 20 del T.u.b. (art. 24, comma 1, T.u.b.).
In caso di inosservanza del divieto, la legge prevede l’impugnabilità, secondo le
prescrizioni del codice civile, delle deliberazioni o del diverso atto “adottati con il voto o
contributo determinante delle partecipazioni previste nel comma 1” (art. 24, comma 2,
T.u.b.)173. Le partecipazioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto sono,
tuttavia, computate ai fini della regolare costituzione dell’assemblea. Merita infine di essere
segnalato che nel caso di impugnativa da parte della Banca d’Italia l’attuale normativa (a
differenza del testo originario dell’art. 29, comma 1, della legge antitrust) prevede l’allungamento
a centottanta giorni del relativo termine.
Si tenga presente che, in caso di acquisizione di una partecipazione, a dispetto
dell’opposizione dell’autorità competente, il legislatore comunitario esorta gli Stati membri a
prevedere, indipendentemente da altre sanzioni eventualmente adottate, la sospensione dei
diritti di voto, nonché la nullità o la possibilità di annullamento dei voti già espressi. Anche se
la direttiva non è esplicita su questo punto, non vi è dubbio che in fattispecie simili, specie in
caso di conflitto tra autorità e azionisti, sia sempre possibile la revoca dell’autorizzazione, in
base ai principi generali (art. 8 della prima direttiva CEE)174.
Va parimenti ricordato che l’art. 53, comma 3, lett. d), T.u.b., consente espressamente alla
Banca d’Italia di “adottare per le materie indicate nel comma 1, ove la situazione lo richieda,
provvedimenti specifici nei confronti di singole banche, riguardanti anche la restrizione delle
attività o della struttura territoriale, nonché il divieto di effettuare determinate operazioni e di
distribuire utili o altri elementi del patrimonio”175.
In dottrina vi è anche chi dubita che la mancata autorizzazione comporti la sospensione
del voto solo e per tutte le azioni eccedenti le percentuali corrispondenti alle diverse soglie
Al riguardo v. M. CLARICH, Il problema del coordinamento tra autorità di vigilanza, in F. CESARINI e R.
VARALDO (a cura di), Banche e assicurazioni. Rapporti e prospettive di sviluppo in Italia, 1992, p. 41 ss. Anche la
normativa prudenziale di derivazione comunitaria, vista nell’ottica dei conglomerati finanziari, risulta carente.
Eppure non sono mancate direttive, pur introdotte in tempi recenti, atte a rafforzare la vigilanza su imprese
“finanziarie” appartenenti ad un gruppo e che hanno senza dubbio dotato le Autorità degli Stati membri di
strumenti di controllo più efficaci: si pensi alla direttiva n. 98/78/CE in materia di vigilanza supplementare sulle
imprese di assicurazione appartenenti ad un gruppo, alla direttiva n. 2000/12/CE relativa all’accesso all’attività
degli enti creditizi nonché alla, più datata, direttiva n. 93/6/CEE sull’adeguatezza patrimoniale delle imprese di
investimento; ma il dato comune a tutte le direttive menzionate è che anch’esse continuano ad avere una portata
circoscritta ai soli gruppi di istituti finanziari “omogenei”, mentre i gruppi eterogenei, costituiti da imprese
appartenenti a settori diversi, ne vengono coperti solo in parte.
173 Cfr. G. SANTONI, Commento all’art. 24 T.u.b., in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al Testo
Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Padova, 1994, p. 344 ss. Ipotesi, tra l’altro, di recente ribadite dall’art.
12 della nuova delibera CICR n. 1057/2005.
174 In tal senso v. G. GODANO, op. cit., p. 86.
175 La lettera d) del primo comma dell’art. 53 T.u.b. è stata di recente modificata per effetto dell’attuazione
della dir. n. 2006/48/CE. Al riguardo v. art. 1 (Modifiche al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia per
l’attuazone della direttiva 2006/48/CE), comma 3, d.l. 27 dicembre 2006, n. 297.
172
- 50 -
autorizzative. Ad esempio, l’omessa richiesta di autorizzazione al supermento della soglia
iniziale del 5% non impedisce l’esercizio del voto fino alla concorrenza del 5% del capitale
della banca partecipata176.
Il terzo e ultimo comma dell’art. 24 prevede che le partecipazioni di cui all’art. 19,
nonché quelle possedute in violazione dell’art. 19, comma 6, “devono essere alienate entro i
termini stabiliti dalla Banca d’Italia”, qualora non siano state ottenute o siano state revocate le
autorizzazioni richieste dalla legge. In particolare, per le partecipazioni possedute in violazione
del citato comma 6, si stabilisce che “in caso di inosservanza dell’obbligo di alienazione, il
tribunale, su richiesta della Banca d’Italia, ordina la vendita delle partecipazioni stesse”177.
Sanzioni penali, più attenuate di quelle previste in passato, sono infine stabilite per
l’omissione e la falsità di contenuto della domanda di autorizzazione, nonché per la violazione
del conseguente divieto di voto (art. 139, comma 1, T.u.b.).
12. Le partecipazioni detenibili dalle banche: cenni.
La disciplina fin qui esposta va poi coordinata con quella dettata dallo stesso Testo
Unico per l’acquisto di partecipazioni da parte delle banche che, proprio perché ispirata da
diversa finalità, è destinata a trovare applicazione concorrente178. È il caso di chiarire che, con
riferimento al tema trattato nel presente lavoro, vertendosi in tema di acquisto di partecipazioni
bancarie ad opera di banche, si applica sia la disciplina riconducibile all’art. 19 T.u.b. sia quella
costituente sviluppo del successivo art. 53 (rubricato “vigilanza regolamentare”), che conferisce
all’Organo di vigilanza il potere di emanare “disposizioni di carattere generale” aventi a
oggetto, tra l’altro, “c) le partecipazioni detenibili”.
Rompendo l’originaria simmetria con la disciplina delle partecipazioni nelle banche, il
legislatore del Testo unico ha ribadito la scelta compiuta nel 1936 di rimettere integralmente al
più flessibile strumento della normativa secondaria di attuazione la regolamentazione delle
partecipazioni detenibili da parte delle banche.
Il quadro legislativo di riferimento è, ciononostante, rimasto sostanzialmente immutato.
La relativa disciplina legislativa è infatti oggi tutta racchiusa negli artt. 53 e 67 del T.u.b., che
riproducono, senza sostanziali modificazioni, rispettivamente l’art. 22, comma 1, lett. c) del
d.lgs. 14 dicembre 1992, n. 481, con cui è stata data attuazione alla seconda direttiva Cee in
materia bancaria, gli artt. 30, comma 1 e 2, del d.lgs. 20 novembre 1990, n. 356, in tema di
ristrutturazione e disciplina degli enti creditizi, e 4 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 528, con cui è
176 Cfr. G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit., p. 288, che ritiene “l’acquisto non
autorizzato del controllo di una società che abbia partecipazioni qualificate in una banca (art. 19, comma 3, T.u.b.)
comporti la sospensione del voto per la partecipazione di controllo acquisita nella società socia della banca e non
già per la preesistente partecipazione diretta nella banca”, come invece sostenuto da A. ANTONUCCI, op. ult. cit.,
p. 185 ss. “In tal senso, – prosegue l’Autore – fra l’altro, depone la lettera dell’art. 24, comma 1, T.u.b., nonché, su
un piano più generale, la riferibilità al soggetto che è al vertice della catena delle partecipazione possedute per il
tramite di società controllate (art. 22 T.u.b.)”.
177 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per le banche, cit., Tit. II, cap. 1, sez. V, §. 1.
178 Per la disciplina delle partecipazioni delle banche nel sistema previgente all’emanazione del Testo Unico
bancario v., tra gli altri, A. ANTONUCCI, Le partecipazioni degli enti creditizi, in Banca, impr. soc., 1992, p. 233 ss.; R.
COSTI, Le partecipazioni delle aziende di credito, in Giur. comm., 1982, I, p. 123 ss.; E. LOFFREDO, Le partecipazioni
societarie delle banche: profili sistematici, in Riv. dir. civ., 1992, II, p. 63 ss. Per un’analisi dei primi commenti della
dottrina sulla disciplina attuale si rinvia a P. ANELLO e S. RIZZINI BISINELLI, Partecipazioni delle banche e dei
gruppi bancari in imprese industriali, in Società, 1994, p. 19 ss.; R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 1994, p. 530
ss.; D. LUCARINI ORTOLANI, Banche e partecipazioni, cit., p. 157 s.
- 51 -
stata data attuazione alla direttiva CEE 92/30, relativa alla vigilanza consolidata su base
creditizia179.
Queste disposizioni, nel delineare i poteri di vigilanza regolamentare della Banca d’Italia
nei confronti della singola banca e dei gruppi bancari, riconoscono alla stessa il potere di
emanare, in conformità delle deliberazioni del CICR, disposizioni di carattere generale aventi
ad oggetto, tra l’altro, le partecipazioni detenibili da parte delle singole banche [art. 53, comma
1, lett. c), T.u.b.], nonché quelle detenibili da parte del gruppo bancario complessivamente
considerato [art. 67, comma 1, lett. c), T.u.b.]. Nel contempo si stabilisce che tali disposizioni
possano prevedere che determinate operazioni siano sottoposte ad autorizzazione della Banca
d’Italia (artt. 53, comma 2, e 67, comma 2, T.u.b.)180.
Le banche possono dunque assumere partecipazioni anche di controllo in altre banche,
in società finanziarie e strumentali ed in imprese di assicurazione181. È necessaria però la
preventiva autorizzazione della Banca d’Italia quando l’ammontare della partecipazione
oltrepassi determinate soglie di rilevanza, tendenzialmente uniformi per tutte le banche182.
Gli investimenti in partecipazioni non finanziarie non possono superare, di regola, il
quindici per cento del capitale della società partecipata, per evitare significativi coinvolgimenti
delle banche nella gestione delle imprese partecipate (c.d. limite “di separatezza bancaindustria”). Nel contempo l’assunzione di partecipazioni non finanziarie, pur non richiedendo
l’autorizzazione preventiva della Banca d’Italia, è anche assoggettata a limiti riferiti al
patrimonio di vigilanza, individuale e consolidato, della banca partecipante (cc.dd. limiti
“complessivo” e “di concentrazione”) diversamente articolati in relazione alla dimensione ed
alla specializzazione operativa della partecipante183.
Sono questi, in estrema sintesi, i principi cardine su cui si fonda l’attuale disciplina delle
partecipazioni detenibili dalle banche. Disciplina tutta racchiusa nella normativa regolamentare
emanata dalle autorità di vigilanza (d.m. Tesoro 22 giugno 1993, n. 24263 ed Istruzioni di
vigilanza della Banca d’Italia del 23 giugno 1993 e successive modificazioni, integrate, per le
banche di credito cooperativo, dalle Istruzioni di vigilanza del 15 giugno 1994)184, in
179 Per un utile raffronto con la normativa regolamentare previgente all’entrata in vigore del Testo Unico
bancario, che consenta di cogliere i profili di continuità e di novità dell’attuale disciplina, v. Delibere CICR, 28
gennaio 1981, 27 ottobre 1983; 19 settembre 1986; 6 febbraio 1987; e d.m. Tesoro 16 ottobre 1991.
180 Cfr. C. BRESCIA MORRA, I controlli sull’impresa bancaria, in L’impresa bancaria, cit., p. 279; D.
LUCARINI ORTOLANI, op. ult. cit., p. 157 s.
181 Cfr. V. TROIANO, Partecipazioni qualificate al di fuori del campo finanziario, in Dir. banc. comun., 1999, p. 305
ss. I limiti alle partecipazioni delle banche rispondono in linea generale a quelli fissati, ai fini di tutela della
solvibilità dell’intermediario, dalla normativa europa. Sul punto v. art. 51 direttiva n. 2000/12/CE.
182 Per tutti v. G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni delle banche e dei gruppi bancari, cit., p. 281 ss.
183 In dottrina cfr. P. ANELLO e S. RIZZINI BISINELLI, Partecipazione delle banche e dei gruppi bancari in
imprese industriali, in Le società, 1994, p. 20 ss. Le Istruzioni di vigilanza per le banche, Tit. IV, cap. 9, sez. I, prevedono
che la Banca d’Italia “mira a verificare la capacità dell’impresa bancaria di investire in nuovi comparti e di valutare
l’impatto dell’operazione sulla situazione tecnica e organizzativa nonché la compatibilità dell’articolazione in
gruppo con le esigenze della vigilanza su base consolidata”. La valutazione, pertanto, “si estende al complesso
aziendale che risulta dall’operazione anagalmente a quanto avviene in caso di fusioni fra banche”, così C.
BRESCIA MORRA, I controlli sull’impresa bancaria, in L’impresa bancaria, cit., p. 279, che prosegue rilevando che,
come previsto in materia di assetti proprietari, “con il testo unico bancario, il legislatore italiano ha confermato
espressamente il principio della << separatezza >> a monte delle banche (art. 19, comma 6, T.u.b.). Il principio di
separatezza è stato, nella stessa logica, affermato dalle attuali Istruzioni di vigilanza anche per le partecipazioni <<
a valle >>. Nell’attuale contesto normativo, esso si inquadra nei controlli che mirano alla sana e prudente gestione
della banca”.
184 L’art. 47 dir. n. 2000/12/CE stabilisce al riguardo che “gli enti creditizi devono mantenere
costantemente a un livello pari almeno all’8%, il valore del coefficiente (…)” (comma 1), prevedendo, in aggiunta,
che se esso scenda “al di sotto dell’8%”, le autorità competenti provvedano “affinché gli enti creditizi interessati
adottino al più presto misure appropriate” per riportarlo al valore minimo stabilito (comma 3). Le Istruzioni di
vigilanza, emanate sulla base dell’art. 53, lett. a), T.u.b., attuano tali disposizioni (Tit. IV, Cap. 2) e prevedono, per
- 52 -
sostituzione di quella previgente emanata a norma degli artt. 33 e 35, comma 2, della legge
bancaria del 1936 (art. 6 d.m. Tesoro, cit.).
quel che qui interessa, che il gruppo bancario sia “tenuto a rispettare un requisito minimo di patrimonio
consolidato pari all’8 per cento del complesso delle attività ponderate” in relazione allo stesso tipo di rischio
creditizio (c.d. coefficiente consolidato).
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Capitolo II
GLI ASSETTI PROPRIETARI DELLE BANCHE TRA ORDINAMENTO
ITALIANO E DISCIPLINA COMUNITARIA.
PROFILI GENERALI E ASPETTI COMPARATISTICI
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Disciplina comunitaria e ordinamento nazionale a confronto. Le regole
procedurali e i criteri per la valutazione prudenziale. - 3. La questione della “disapplicazione” di norme
nazionali contrastanti con la disciplina comunitaria nell’ambito di una procedura di acquisizione di
partecipazioni bancarie. - 4. La disciplina dei controlli sugli assetti proprietari nei principali Paesi europei.
Un’analisi comparata. - 5. Le nuove norme sulle fusioni bancarie transfrontaliere. - 6. La disciplina delle
partecipazioni dei soggetti esteri.
1. Premessa.
Il tema delle partecipazioni bancarie è stato affrontato per la prima volta in ambito
comunitario dalla direttiva n. 89/646/CEE (seconda direttiva di coordinamento bancario) del
15 dicembre 1989, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio.
La direttiva recava una disciplina sia degli assetti proprietari delle banche, che delle
partecipazioni da queste detenibili. Tuttavia, comportando una armonizzazione minimale, non
presentava affatto connotati di esaustività.
Peraltro, come è noto, nel settore bancario l’intervento delle autorità di vigilanza
nazionali si esplica, più o meno liberamente, all’interno di quel reticolato di norme di natura
prudenziale dettate a livello europeo che creano le condizioni di carattere generale, in linea di
principio idonee a garantire la sana e prudente gestione dell’organismo creditizio185.
Il criterio-obiettivo della “sana e prudente gestione”, data la sua genericità, ha giustificato
e legittimato valutazioni amministrative, più o meno discrezionali, da parte delle singole
autorità creditizie186. In Italia, in particolare, il canone della “sana e prudente gestione” ha
consentito di connotare l’attività di controllo della Banca d’Italia in termini di valutazione del
“processo” che porta il richiedente ad acquisire la partecipazione nella banca187.
È dagli inizi degli anni ’80 che sul piano amministrativo l’azione delle Autorità di vigilanza ha registrato
molte modifiche sia negli obiettivi che negli strumenti; accanto all’obiettivo di stabilità ha acquistato notevole
importanza l’efficienza del sistema creditizio anch’esso perseguito attraverso un graduale aumento del grado di
concorrenza del mercato. Vedi in proposito A.M. TARANTOLA RONCHI, G. PARENTE e G. ROSSI, La
vigilanza sulle banche e sui gruppi bancari, Bologna, 1996, p. 43 ss.; DE POLIS, La vigilanza prudenziale nel sistema di
corporate governance, in Banche e banchieri, 1997, n. 1, p. 22.
186 Cfr. A. PATRONI GRIFFI, La partecipazione al capitale ed il controllo degli Enti Creditizi, in Atti del Convegno
sul Testo Unico delle leggi in materia bancaria, Milano, ottobre 1993, datt., p. 16. La natura preventiva dell’intervento
autorizzativo è indice di una scelta per taluni versi funzionale alla complessità dei compiti di valutazione attribuiti
dall’ordinamento alla Banca d’Italia sulla qualità degli azionisti, così come si ritiene che un’adeguata tempestività di
intervento sia richiesta dalla ampia portata dei compiti medesimi. Si è auspicato, in merito, che non venga
privilegiato, come accaduto in passato, il silenzio-rifiuto, poiché si finirebbe per vanificare l’intento degli estensori
del T.u.b. di conformarsi alle disposizioni comunitarie, in riferimento, per altro, ad operazioni (come acquisizioni
di azioni o quote di banche già esistenti) che ben poco tollerano i lunghi iter burocratici; sintomatico al riguardo è
l’art. 4, comma 3, T.u.b., che richiama la legge 8 agosto 1990, n. 241, in materia di procedimento amministrativo,
e, quindi, anche la regola dettata dall’art. 20, comma 1, T.u.b.
187 Come più volte sottolineato nel corso del presente lavoro, la Banca d’Italia è chiamata ad esaminare
tematiche quali la stabilità del sistema bancario nazionale e il rispetto di criteri prudenziali condivisi a livello
185
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In ambito europeo, le opportunità per eventuali modifiche legislative si sono, quindi,
focalizzate sulla rimozione del fattore identificato nell’ampia discrezionalità concessa alle
autorità nazionali in materia di autorizzazioni all’acquisto di partecipazioni qualificate in enti
creditizi188.
Pertanto, le riflessioni che seguono possono, per grandi linee, essere ricondotte a due
distinti ambiti. Il primo riguarda l’eccesso di discrezionalità della normativa in materia di
partecipazioni di controllo al capitale delle banche, già ravvisato nella disciplina comunitaria,
ma peculiare nel recepimento italiano189. Il secondo concerne le nuove norme di valutazione
dei progetti di fusione e acquisizione transfrontalieri nel settore bancario, assicurativo e
mobiliare.
2. Disciplina comunitaria e ordinamento nazionale a confronto. Le regole procedurali e i criteri per la
valutazione prudenziale.
Nell’ordinamento italiano, il sistema dei controlli sulla proprietà delle banche è stato
modificato in profondità dal diritto comunitario, in occasione del recepimento della seconda
internazionale. Ne consegue, tuttavia, che anche le suddette ragioni prudenziali possano essere scandagliate nel
merito dalla Commissione europea, per accertare se tale interesse legittimo sia stato invocato correttamente
dall’Autorità nazionale. La legittimità di tale potere è stata poi ribadita da una recente pronunzia della Corte di
Giustizia europea del giugno 2004 (C-42/01). Vi sono, infatti, norme consolidate fissate dalla Corte di Giustizia in
materia di disposizioni legislative di disciplina delle procedure di autorizzazione. Elemento cardine di queste
norme è il principio secondo cui gli investitori devono poter disporre di chiare indicazioni sulle specifiche
condizioni oggettive alle quali l’autorizzazione preventiva in merito all’acquisizione di partecipazioni in banche
italiane verrà accordata o rifiutata. Il quadro normativo che disciplina attualmente in Italia le decisioni delle
autorità di vigilanza non risulta essere conforme a dette norme, in quanto la sua struttura può consentire
l’esercizio di una vigilanza prudenziale non trasparente nelle procedure e potenzialmente fonte di non certezza del
diritto. Anzi, il quadro normativo vigente non prevede con esattezza tutti i criteri cui occorre far riferimento nella
valutazione dell’ammissibilità sotto il profilo prudenziale, in particolare per quanto riguarda la nozione di
“controllo”. Una tale carenza – si osserva – potrebbe condurre, ad esempio, a situazioni nelle quali le autorità di
vigilanza potrebbero rifiutare l’autorizzazione per ragioni poco trasparenti, quali “la stabilità del governo
societario”.
188 Cfr. le riflessioni A. CATRICALÀ, In Europa è forte il rischio di protezionismo, in Il Sole 24 Ore, 1° dicembre
2005, p. 33. In particolare, proprio la discrezionalità della normativa italiana è stata giudicata come una delle
principali lacune del sistema, causa di usi distorti, o comunque difensivi da parte delle nostre autorità creditizie.
Sul complesso rapporto tra la disciplina del controllo delle concentrazioni e le politiche di promozione dei
campioni nazionali si veda F. GHEZZI, La disciplina delle concentrazioni e la promozione dei campioni nazionali tra diritto
comunitario e normative nazionali antitrust, in Riv. soc., 2003, II, p. 1098 ss. Di fatto, gli obblighi che ciascuno Stato
membro ha nei confronti della Comunità e degli altri Paesi membri non sono condizionati al principio della
reciprocità. In tal modo, la reciprocità viene “travestita” da principio di prudenzialità. L’introduzione di griglie
consente, infatti, alle autorità nazionali di non aprire ipso facto il sistema bancario. Come sottolinea G. TESAURO
(Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato), Indagine conoscitiva dinanzi alle Commissioni riunite
VI Camera e X Senato, Camera dei Deputati, seduta del 29 gennaio 2004, p. 17, si può “discutere se sia un bene o
un male, essendovi assimetrie e non reciprocità che fanno << male >>, ma sta di fatto che il sistema comunitario
non dovrebbe conoscere questo principio come vincolo al comportamento degli Stati membri”.
189 Ove dunque l’esigenza sopra rappresentata non possa essere assicurata a mezzo di « paletti » fissati
direttamente dalla legge (vedasi l’articolo 19 in tema di partecipazioni nelle banche), si sostiene che il legislatore
abbia voluto comunque individuare i confini dell’azione di vigilanza, circoscrivendola alla predisposizione di un
complesso di regole e comportamenti di natura prudenziale entro i quali le banche esercitano liberamente la
propria attività di impresa. Altri, al contrario, ritengono che detto criterio provochi, grazie alla sua elasticità, una
dilatazione a dismisura del potere discrezionale delle autorità competenti, facendo ricomparire uno spazio di
manovra che, in chiave comunitaria, avrebbe dovuto venir meno; dal punto di vista strettamente giuridico si
afferma, infatti, che il principio della sana e prudente gestione può difficilmente essere, di per se’ stesso, limitativo
della discrezionalità, in quanto privo di quelle regole oggettive che avrebbero costretto le autorità di vigilanza nei
più stretti confini della discrezionalità tecnica.
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direttiva di coordinamento in materia bancaria, con il d.lgs. n. 481 del 1992 (art. 16 che ha
modificato l’art. 27, legge n. 287 del 1990)190, e per effetto della trasformazione delle banche
italiane da istituti di diritto pubblico in società per azioni191.
Come si è visto, la disciplina comunitaria impone alle autorità di vigilanza un controllo
sugli azionisti che detengono una partecipazione qualificata “per tenere conto della necessità di
garantire una gestione sana e prudente dell’ente creditizio” (artt. 5 e 11 della dir. n.
89/646/CEE, rispettivamente in tema di autorizzazione all’accesso all’attività bancaria e di
controlli degli assetti proprietari delle banche già operanti)192.
L’art. 11 introduce per i partecipanti al capitale specifici obblighi di informazione
preventiva alle autorità di vigilanza; il medesimo articolo determina i presupposti quantitativi
che fanno scattare tali obblighi (assumono rilevanza le operazioni di acquisto di partecipazioni
superiori al 10, 20, 33, 50 per cento del capitale o, comunque, comportanti il controllo).
In questa prospettiva, dunque, la verifica di particolari requisiti soggettivi non già si
impone in capo a tutti i partecipanti al capitale della banca, ma solo a coloro che a ragione del
possesso di una “partecipazione rilevante” siano in grado di esercitare una “influenza” che
“possa essere di ostacolo ad una gestione prudente e sana dell’ente”193.
L’autorità competente dispone di un termine massimo di tre mesi per opporsi alla
realizzazione del progetto.
In sede di recepimento, il legislatore delegato si è avvalso della possibilità riconosciuta ai
singoli Stati membri (IX° considerando della dir. n. 89/646/CEE) di adottare su tale materia
una disciplina più severa. Aspetto rilevante di questa normativa è, infatti, l’affermazione nel
Testo unico bancario (art. 19, commi 1 e 2, T.u.b.)194 del carattere preventivo dell’intervento
autorizzativo della Banca d’Italia. Si tratta, con tutta evidenza, di un procedimento più gravoso
di quello della informazione preventiva prevista dalla direttiva, in quanto esso deve comunque
concludersi con un provvedimento espresso195.
Ai fini del recepimento di tale direttiva, la legge delega per l’attuazione della seconda direttiva (l. 19
febbraio 1992, n. 142) affidava al legislatore il compito di coordinare la nuova disciplina con quella risultante dal
Tit. V della l. n. 287 del 1990.
191 In senso conforme v. M. TONVERONACHI, Regolamentazione, vigilanza e assetti proprietari nel controllo
societario delle banche, in Banca, impr. soc., 1, 1998, p. 63 ss.; E. GALANTI, La nuova disciplina degli assetti proprietari degli
enti creditizi, in Banca, borsa e tit. cred., 1993, I, p. 514 ss.
192 Cfr. art. 4, §. 10, dir. n. 2006/48/CE che riproduce letteralmente la stessa nozione contenuta nelle
direttive precedenti in materia. L’art. 1, n. 10, dir. n. 89/646/CE definiva, infatti, qualificata “una partecipazione in
un’impresa, diretta o indiretta, non inferiore al 10% del capitale sociale o dei diritti di voto oppure che comporta
la possibilità di esercitare un’influenza notevole sulla gestione dell’impresa in cui è detenuta una partecipazione”.
Veniva, tuttavia, operata dallo stesso art. 1 una specificazione che lascia intravedere una potenziale
differenziazione di contenuto della nozione in discorso, rispetto alla valenza che la stessa assume nell’ambito
dell’art. 12. La direttiva indicava, infatti, una definizione di diritti di voto da prendere in considerazione proprio ai
fini dell’applicazione della nozione di “partecipazione qualificata” in riferimento alla disciplina dei requisiti
soggettivi dei partecipanti al capitale delle banche ai fini del rilascio dell’autorizzazione (art. 5) e alla disciplina degli
assetti proprietari degli enti creditizi (art. 11). L’art. 11 faceva riferimento al concetto di “partecipazione
qualificata” anche per quanto riguardava le partecipazioni assumibili da parte della banca.
193 V. art. 11, §. 5, dir. n. 89/646/CE, in seguito art. 16, §. 5, dir. n. 2000/12/CE, e ora art. 21, §. 2, comma
1, dir. n. 2006/48/CE.
194 L’art. 19 T.u.b. non distingue tra partecipazioni acquisite in fase di costituzione della banca ovvero
successivamente. È da ritenere, pertanto, che la disciplina valga in ogni caso, salvo il coordinamento con la
disposizione che impone la sussistenza dei requisiti di onorabilità (previsti dall’art. 25 del T.u.b.) per i partecipanti
al capitale delle banche, nonché delle condizioni per il rilascio dell’autorizzazione ex art. 19, ai fini
dell’autorizzazione all’attività bancaria [art. 14, comma 1, lett. d) T.u.b.].
195 Si tratta di una scelta funzionale sia alla complessità dei compiti di valutazione attribuiti alla Banca
d’Italia sulla qualità degli azionisti, che alla tempestività di intervento richiesta dalla ampia portata dei compiti
medesimi. Basti pensare che, nel vigore della legge n. 287/1990, parte della dottrina riteneva che l’autorizzazione
rilasciata successivamente all’esecuzione dell’operazione si configurasse quale provvedimento di natura
“accessoria”, ciò anche in relazione all’ampiezza degli spazi discrezionali attribuiti alla Banca d’Italia. Questa tesi
190
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Il T.u.b. separa poi in due parti distinte il criterio dettato dalla direttiva. La valutazione
della qualità delle persone è agevolmente ancorabile a requisiti, quali quelli di onorabilità e di
correttezza negli affari, che, pur dotati di elasticità, sono riconoscibili secondo indicatori
oggettivi (specie di comportamenti o eventi ostativi): per tali ragioni la sana e prudente gestione
si configura, in sede europea, come criterio di valutazione del socio, non dell’impresa. Il
legislatore italiano tratta invece come requisiti distinti e separati la qualità delle persone e il
criterio di sana e prudente gestione, con l’effetto di ampliare di molto la discrezionalità
dell’autorità di vigilanza, sin quasi a renderne indeterminati i confini196. Se infatti la sana e
prudente gestione diviene un criterio generale per il rilascio dell’autorizzazione e non più il fine
in base a cui valutare la qualità delle persone, la vigilanza si esercita su di un elemento non
previsto dalle norme comunitarie e che, come tale, diventa fortemente discrezionale197.
In sede legislativa, sarebbe stato forse saggio attribuire un significato alla nozione di
“sana e prudente gestione”, per lo meno al fine di delimitare lo spazio effettivo nell’ambito del
non viene condivisa da B. MANZONE, op. cit., p. 344, a detta del quale essa non tiene in debita considerazione il
fatto che l’atto amministrativo aveva lo scopo di rimuovere la condizione alla quale era subordinata l’efficacia
dell’acquisto della partecipazione e l’esercizio del diritto di voto ad essa collegato, e, quindi, “ben poteva essere
successivo all’acquisto, sia in considerazine del presupposto che la distinzione tra provvedimento di
autorizzazione e atto di concessione non si fonda sulla latitudine (maggiore o minore) dei poteri discrezionali
attribiti dalla legge all’autorità amministrativa che emette il provvedimento, bensì sugli effetti che si producono
nella sfera giuridica dei destinatari dell’atto”.
196 Come osserva correttamente A. PATRONI GRIFFI, Commento sub art. 19, in Testo unico delle leggi in
materia bancaria e creditizia. Commentario, cit., p. 301, si assiste “ad un continuo spostamento di registro retorico in
riferimento ad una clausola che dilata a dismisura il potere discrezionale delle autorità competenti, se si tiene
conto della elasticità di un parametro, dai mille possibili volti. Il tutto, si ribadisce, in aspro contrasto con le idee
del legislatore comunitario, che vede codesto criterio soltanto come griglia idonea a selezionare la “qualità degli
azionisti o soci dell’ente”. In proposito cfr. artt. 5, §. 2, e 11, §§. 1 e 5, dir. n. 89/646/CEE, laddove il secondo è
stato dapprima riportato nell’art. 16, §§. 1 e 5, dir. n. 2000/12/CE, e attualmente refuso nell’art. 19, §. 1, dir. n.
2006/48/CE.
197 In tal senso cfr. C. LAMANDA, Disciplina delle autorizzazioni all’attività bancaria e delle partecipazioni al
capitale delle banche, cit., p. 68 s. Non può qui omettersi che istituti, strumenti, regole del controllo prudenziale si
basano sulla formula della “sana e prudente gestione”, che rappresenta il parametro cui viene riferita l’azione della
vigilanza. Ed è parametro talora controverso. Nel Testo unico, questa formula della salvaguardia della sana e
prudente gestione è stata, in realtà, generalizzata. Non solo facendone nell’art. 5 uno dei cinque obiettivi
dell’azione di vigilanza della Banca centrale, ma anche ripetendo questa formula in tutta una serie di norme
fondamentali con cui si è istituita una molteplicità di autorizzazioni. Autorizzazioni tutte volte a salvaguardare la
sana e prudente gestione della banca e, quindi, ancora una volta viatico attraverso cui riconoscere, in merito, largo
potere discrezionale alla Banca d’Italia. “Si è detto che, nel T.u.b., i redattori si sono entusiasmati per l’espressione
e quindi l’hanno adoperata dappertutto”, ancorché “in via d’esegesi della formula, s’è tentato di individuare
possibili cofini all’espansione del criterio, ma senza solidi risultati”, così A. ANTONUCCI, Diritto delle banche, cit.,
p. 56. In particolare, secondo F. CAPRIGLIONE, L’ordinamento bancario verso la neutralità, Padova, 1994, p. 141,
attribuire alla sana e prudente gestione natura di “nuova clausola generale che il legislatore del Testo unico ha
posto a presidio delle modalità di svolgimento dell’azione amministrativa” significa adoperare una categoria
civilistica (quella delle clausole generali) in un contesto di diritto pubblico in cui non v’è, a ragione, traccia di
principi della specie, essendo l’elasticità valutativa naturalmente e fisiologicamente sottesa alla stessa nozione di
discrezionalità amministrativa. A dispetto delle apparenze, è per lo meno opinabile ritenere, come sottolinea G.
MINERVINI, Il vino vecchio negli otri nuovi, cit., p. 11, che ciò implica un “accrescimento a dismisura della
discrezionalità dell’autorità creditizia nello svolgimento della sua attività concreta”. Ciò è infatti irreversibilmente
escluso dall’evoluzione del sistema bancario e finanziario e dagli stessi impegni assunti in sede comunitaria.
D’altronde, la Banca d’Italia, pur dotata di tali attribuzioni, ne ha fatto uso prevalentemente con riferimento alla
qualità degli azionisti e alla affidabilità della situazione finanziaria, che costituiscono paradigmi di riferimento
dell’espressione nell’ambito della seconda direttiva bancaria (cfr. artt. 5 e 11 dir. n. 89/646/CE). Per concludere,
nel senso indicato da V. DESARIO, Solidarietà ed etica nella finanza: rapporto tra sistema finanziario e Terzo settore, in
Banca d’Italia, Documenti, Roma, n. 558/1997, p. 9, la formula “sana e prudente gestione” costituisce il punto di
saldatura tra obiettivi di sistema, azione di vigilanza e condotta delle imprese; sintetizza i valori della stabilità,
dell’efficienza, dell’integrità e del corretto funzionamento del sistema finanziario
- 57 -
quale gli intermediari bancari possono liberamente operare le proprie scelte imprenditoriali
sulla base di concreti e opportuni calcoli di convenienza198.
Del resto, la delibera CICR n. 1057 del 2005, in materia di acquisizione di partecipazioni,
sembra più “preoccupata” del T.u.b. di allineare le proprie scelte alla direttiva comunitaria. Ciò
si evince laddove, nella determinazione dei criteri e delle condizioni per il rilascio delle
autorizzazioni, si accentua l’attenzione sulla qualità dei soggetti, così da rendere la previsione in
esame, in qualche misura, più vicina al dettato degli artt. 7 e 16 della direttiva n.
2000/12/CE199. Su questo fronte la riduzione della discrezionalità della Banca d’Italia sulle
operazioni di acquisizione e di fusione appare, giocoforza, l’unica strada percorribile al fine di
conseguire un allineamento meno difficile e criticabile con le scelte della direttiva200.
L’interpretazione offerta dal TAR del Lazio nella sentenza n. 6157 del luglio 2005,
secondo cui l’eccesso di discrezionalità rispetto al controllo di mera legalità parrebbe essere
voluto dalle direttive – sia consentito osservare – giuridicamente non pare essere fondata201.
È chiaro, invece, che quella formula della discrezionalità può consentire di coprire anche
un disegno di politica industriale, oltre che di politica bancaria. Ma certamente tale obiettivo
non è presente nelle direttive e, in realtà, non lo si rinviene neppure in un’interpretazione
appena ragionevole della legge202.
Altrimenti detto, in materia creditizia e finanziaria i regolamenti e le direttive
(particolarmente numerose) pongono, forse più che in altri settori, il problema del loro modo
di operare nel nostro ordinamento nazionale. Se infatti si parte dal punto di vista della
prevalenza del diritto comunitario rispetto a quello interno, ne consegue che anche il diritto
nazionale deve essere conformato a quello europeo; e che, quindi, in sede applicativa,
bisognerebbe respingere a priori qualsiasi interpretazione dell’art. 19 del T.u.b. difforme dalla
lettera e dallo spirito delle disposizioni comunitarie.
Fermo restando che, almeno per l’aspetto più propriamente funzionale della <<vigilanza
prudenziale>>, così come delineato dalla direttiva 2000/12/CE, il compito dell’autorità di
vigilanza competente è quello di “garantire la concorrenzialità delle imprese bancarie
compatibilmente con la stabilità del sistema”.
Da qui l’interrogativo se questa regolamentazione possa essere messa in discussione
ricorrendo ai tribunali amministrativi e alla Corte di Giustizia Europea.
Per un approfondimento cfr. F. BELLI e V. SANTORO, Il titolo V della legge antitrust, cit., p. 293.
Seppur fugacemente, si ritiene utile ricordare che l’art. 189 del Trattato istitutivo della CEE (ora art. 249
del Trattato dell’Unione Europea), dopo aver precisato che il Consiglio e la Commissione adottano regolamenti e
direttive, prendono decisioni e formulano raccomandazioni e pareri, per l’assolvimento dei loro obblighi, definisce
il regime di efficacia e di vincolatività di tali atti.
200 Questo non significa, tuttavia, che non siano fondate le critiche secondo cui il Testo unico bancario,
anche in materia di fusioni, agli artt. 56 e 57, e di modifiche statutarie, è probabilmente al di là o meglio non è
coerente e non rispetta le indicazioni degli artt. 9 e 16 della direttiva 2000/12/CE, la quale attribuisce alle autorità
di vigilanza un potere di reazione per quanto concerne le acquisizioni di partecipazioni.
201 Cfr. TAR Lazio, sez. I, sent. n. 6157/2005, cit.
202 Altro aspetto di non poco conto è che il TAR del Lazio nella citata sent. n. 6157/2005, probabilmente
sulla base di un’interpretazione errata della norma, ha ritenuto che, nel caso di acquisto del controllo di una banca,
il problema sia quello di valutare se all’esito dell’operazione venga garantita la sana e prudente gestione del
richiedente. In tante pagine della sentenza si dice “del vigilato”, e poiché i vigilati sono tanto il richiedente quanto
la società bersaglio, non si capisce perché. D’altra parte, è palese che la legge si riferisce al fatto che sia garantita la
sana e prudente gestione della società bersaglio dopo che le azioni siano state acquistate dal richiedente. In tal
senso v. G. MINERVINI, Prospettive future della Banca d’Italia, in Atti del Convegno “La Banca d’Italia. Ieri, oggi e
domani”, cit., p. 10, il quale non manca di rilevare come in seguito alle recenti vicende “suona in maniera singolare
il fatto che quando si tratta di valutare le qualità del richiedente ci si riferisca alla banca e non alla qualità dei suoi
amministratori. Certo, questo è stato un infortunio alla luce di quello che si è scoperto in seguito”.
198
199
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3. La questione della “disapplicazione” di norme nazionali contrastanti con la disciplina comunitaria
nell’ambito di una procedura di acquisizione di partecipazioni bancarie.
La Corte di Giustizia europea, in una sentenza del 2003 sul caso c.d. CIF (Consorzio
Italiano Fiammiferi vs Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato)203, ha affermato che
anche gli organi interni dello Stato, a cominciare dall’AGCM – e, quindi, potremmo
legittimamente sostenere, anche il TAR Lazio nel caso delle acquisizioni bancarie – debbono
far prevalere il diritto comunitario sul diritto interno204.
La peculiarità ed il profilo maggiormente innovativo del caso di specie consistevano nel
fatto che tale valutazione veniva svolta direttamente da un’autorità di concorrenza all’esito di
un proprio procedimento istruttorio. Una valutazione che era stata considerata dalla stessa
Autorità Garante della concorrenza coerente con quella giurisprudenza della Corte di Giustizia,
che (secondo la nota giurisprudenza Fratelli Costanzo) aveva espressamente riconosciuto non
solo ai giudici, ma anche a tutti gli organi dello Stato, incluse le pubbliche amministrazioni,
l’obbligo di disapplicare una norma nazionale contrastante con il diritto comunitario205. Su scala
203 Cfr. CGCE, sent. 9 settembre 2003, C-198/01, Consorzio Industrie Fiammiferi c. Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato, in Raccolta, 2003, p. 4542, e in Giur. comm., 2004, II, p. 5 s., con nota di C. RIZZA, L’obbligo
delle autorità nazionali della concorrenza di disapplicare le norme interne contrarie al Trattato e i conseguenti limiti alla proponibilità
della State action defense, in Giur. comm., 2004, II, p. 6 ss., originata da un rinvio pregiudiziale del TAR del Lazio su
un ricorso presentato dal Consorzio Industrie Fiammiferi avverso una decisione dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato. La sentenza è stata immediatamente oggetto di riflessione. Tra i primi contributi di
segnalano i seguenti: E. FOX, State Action: What if Parker v. Brown were Italian?, paper presentato alla 38 conferenza
annuale su International Antitrust Law & Policy, Fordham, ottobre 2003; R. WAINWRIGHT e A. BOUQUET,
State intervention and action in EC Competition Law, Fordham, Ottobre 2003; M. MONTI, Comments and Concluding
remarks at the conference on professional regulation, Brussels, 28 ottobre 2003; G. TESAURO, Riforma della regolazione e
concorrenza: esiste un consenso politico?, Giornata italiana della concorrenza, Roma, 9 dicembre 2003; S. CASSESE, Il
diritto comunitario della concorrenza prevale sul diritto amministrativo nazionale, in Giornale Dir. Amm., 11/2003, p. 1132; M.
LIBERTINI, La Disapplicazione delle norme contrastanti con il principio comunitario di tutela della concorrenza, in Giornale di
Dir. Amm., 11/2003, p. 1135; B. NASCIMBENE e S. BASTIANON, La Corte di Giustizia e i poteri dell’Autorità
Garante della Concorrenza, in Corriere giuridico, 11/2003, p. 1421; M. CASTELLANETA, Ridefiniti anche i poteri
sanzionatori del Garante: dalla Corte di giustizia un monito per il futuro, in Guida al Diritto, 36/2003, p. 107; G.
NAPOLETANO, Il Diritto della concorrenza svela le ambiguità della regolamentazione amministrativa, in Giornale di Dir.
Amm., 11/2003, p. 1138; C. RIZZA, The duty of national competition authorities to disapply anti-competitive domestic
legislation and the resulting limitations on the availability of the State action defense, in European Competition Law Review,
2/2004, p. 126; M. ANTONUCCI, I poteri aggiunti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in Il Consiglio di
Stato, 9/2003, p. 1577.
204 Su tali presupposti, in più occasioni l’AGCM ha accertato l'illegittimità dei regimi normativi nazionali
con il combinato disposto degli artt. 3, n. 1, lett. g), 10 e 81, §. 1, del Trattato CE, in virtù del quale, secondo un
consolidato orientamento della Corte di Giustizia, gli Stati membri della Comunità non possono – in forza del
principio di leale collaborazione - adottare o mantenere in vigore misure, anche di natura legislativa o
regolamentare, che possano rendere praticamente inefficaci le regole di concorrenza del Trattato applicabili alle
imprese. Tra le altre, si vedano le seguenti sentenze della Corte di Giustizia: sentenza 16 novembre 1977, causa
13/77, Inno/Atab, in Racc., p. 2115, punto 31; 30 aprile 1986, cause riunite 209-213/84, Asjes, in Racc., p. 1425; 21
settembre 1988, causa 267/86, Van Eycke, in Racc., p. 4769, punto 16; 17 novembre 1993, causa C-185/91, Reiff, in
Racc., I, p. 5801, punto 14; 17 novembre 1993, causa C-2792, Meng, in Racc., I, p. 5791; 9 giugno 1994, causa C153/93, Delta, in Racc., I, p. 2517, punto 14; 5 ottobre 1995, causa C-96/94, Centro Servizi Spediporto, in Racc., I, p.
2883, punto 20; 18 giugno 1998, causa C-35/96, Commissione c. Italia, in Racc., I, p. 3851, punto 53-54. Da ultimo, si
vedano le sentenze della Corte 19 febbraio 2002, C-35/99, Arduino, in Racc., I, p. 1529, punti 34-35, nonché ora la
sentenza 9 settembre 2003, C-198/01, Consorzio Industrie Fiammiferi, cit., punti 45-46.
205 Vale la pena sottolineare che questa possibilità di disapplicare la norma nazionale contrastante, quale
corollario sia del potere normativamente riconosciuto all’Autorità amministrativa nazionale di dare attuazione in
via decentrata agli artt. 81.1 e 82 del Trattato CE, sia del primato e dell’efficacia diretta di tali norme, era già stata
prospettata in precedenza dalla stessa AGCM, Relazione Annuale dell’Attività svolta al 30 aprile 1998, p. 10. In
dottrina, questa prospettiva è stata enunciata da A. TIZZANO, L’applicazione decentrata degli artt. 85 e 86 CE in
Italia, in Foro It., 1997, 1, IV, c. 33, punto 11.; R. ALESSI e G. OLIVIERI, La disciplina della concorrenza e del mercato
(Commento alla legge 10 ottobre 1990, n. 287 ed al regolamento n. 4064/89 del 21 dicembre 1989), Torino, 1991, p. 23 ss.
- 59 -
più ampia, dunque, l’affermazione di un siffatto principio comporta l’obbligo di adottare tutti i
provvedimenti necessari per agevolare la piena efficacia del diritto comunitario206.
Il dibattito aperto dal caso CIF, in realtà, non ha per oggetto la sola valutazione, in chiave
giuridico tecnica, degli elementi della sentenza maggiormente rilevanti (al fine di stimare la sua
futura incisività secondo la logica dello stare decisis), ma pone un ulteriore interrogativo. La
domanda vera che serpeggia tra i commentatori è infatti un’altra: in sostanza, ci si chiede se,
piuttosto che evocare la “disapplicazione” della norma nazionale a causa del contrasto con una
disposizione comunitaria connotata da primato o prevalenza, sia invece più corretto parlare di
“non-applicabilità” di tale disposizione normativa207.
La dottrina non si limita ad attribuire al giudice la possibilità di disapplicare od annullare
il regolamento illegittimo208, ma gli devolve il potere di considerarlo tamquam non esset in
relazione perfino all’opportunità del suo contenuto209.
Peraltro, incidentalmente, si osserva che, secondo la costante giurisprudenza della Corte
di Giustizia, un siffatto contrasto può essere rilevato anche in presenza di disposizioni
nazionali, siano esse legislative, regolamentari o amministrative, in sé neutre, ma che siano state
interpretate dai giudici nazionali (o da una parte prevalente di essi) o, prim’ancora, dalle
Cfr. punti 49-50 della sentenza CIF.
Tra disapplicazione, con effetti erga omnes e dichiarazione di incostituzionalità la differenza è minima,
come ha chiarito la Corte di Giustizia nella sentenza citata, una volta intervenuta una pronuncia di disapplicazione
dell’Autorità di vigilanza ed esaurita la fase eventuale del controllo giurisdizionale su tale pronuncia. È appena il
caso di richiamare anche quanto sostenuto da M. SCUDIERO, La Costituzione. Tendenze recenti, in A. SPENA e G.
GIMIGLIANO (a cura di), Le fonti del diritto bancario, Milano, 2003, p. 4, il quale, con riferimento ai rapporti tra
normativa interna e regolamenti comunitari, dopo aver ricordato “che i regolamenti comunitari sono caratterizzati
dalla immediata efficacia nell’ordinamento di ciascuno degli Stati membri” descrive come si sia pervenuti,
attraverso una serie di decisioni della Corte Costituzionale, a partire dagli inizi degli anni ’70, all’esplicito
riconoscimento, nel quadro di una impostazione in termini di separazione tra ordinamento comunitario e
ordinamento nazionale, della disapplicazione a carattere diffuso (in qualche decisione più opportunamente definita
non applicazione) del diritto nazionale come mezzo di risoluzione delle antinomie con il diritto comunitario
(Corte Cost., sent. 8 giugno 1984, n. 170; sent. 11 luglio 1989, n. 89); con la conseguenza che, come il giudice, così
la Pubblica Amministrazione debbono entrambi, in caso di antinomia, disapplicare il diritto nazionale e “applicare,
invece, il diritto comunitario (orientamento corrispondente alla decisione della Corte di Giustizia delle Comunità
europee 9 marzo 1978, n. 106/77)”. L’Autore specifica, tra l’altro, che tuttavia “non mancano di riaffiorare, in
alcune pronunce della Corte Costituzionale, categorie diverse quale quella della << norma interposta >>, cioè
della configurazione dei rapporti tra fonti dell’ordinamento comunitario e fonti dell’ordinamento nazionale
secondo uno schema a tre livelli in cui il regolamento comunitario si interpone tra la Costituzione e il diritto
interno, integrando il parametro di legittimità costituzionale (Corte Cost., sent. 10 novembre 1994, n. 384)”.
208 Secondo A. MACCHIATI, Poca deferenza e molta discrezione (ma dei giudici), in Merc. conc. reg., 2001, p. 363,
se è presente una disciplina dettagliata di fonte primaria – law – l’Autorità non può intervenire, dovendo essere il
giudice ad interpretare le regole; laddove, invece, la legge lascia uno spazio di intervento “politico”, è l’Autorità
indipendente a poter intervenire. Tesi criticata da F. DENOZZA, Discrezione e deferenza: il controllo giudiziario sugli atti
delle autorità indipendenti “regolatrici”, Merc. conc. reg., 2000, p. 484, secondo cui, se non esistono norme complete,
l’Autorità indipendente può anche emanare regole esecutive e il giudice può intervenire altresì su clausole generali.
209 Ciò senza contare, inoltre, che nelle ipotesi in cui si pone un problema di contrasto tra le norme
nazionali ed il combinato disposto degli artt. 3, n. 1, lett. g), 10, 81-82 del Trattato CE, può essere necessario
accertare approfonditamente la situazione di fatto, vale a dire esaminare come si connoti in concreto l’iter
formativo delle decisioni destinate ad incidere sulla concorrenza, accertamento al quale possono essere funzionali i
penetranti poteri istruttori attivabili d’ufficio, di cui le stesse autorità di vigilanza sono normalmente dotate.
L’esigenza di accertare il contesto fattuale ai fini di valutare la compatibilità o meno di una normativa nazionale
con gli artt. 3, n. 1, lett g), 10, 81-82 CE, è stata ben espressa dalla Corte di Giustizia nella sentenza 1 ottobre 1998,
causa C-38/97, Librandi, nella quale i giudici di Lussemburgo chiamati a decidere un rinvio ex art. 177 vecchio
Trattato CE (ora 234 Trattato CE) hanno fornito una soluzione in punto di diritto precisando però che spettava
“…al giudice nazionale controllare, nell’ambito della sua competenza, che nella pratica, (…) siano determinate nel
rispetto dei criteri d’interesse pubblico definiti dalla legge e che i pubblici poteri non rinuncino alle proprie
prerogative a vantaggio di operatori economici privati” (punto 36).
206
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autorità di vigilanza competenti in maniera tale da renderle incompatibili con il diritto
comunitario210.
La conseguenza di tale assunto, allora, sarebbe quella di considerare legittimo un
sindacato ben più pervasivo dell’eccesso di potere ed idoneo ad incidere fin nel merito, tale
cioè da derubricare i regolamenti della Banca d’Italia ad un ruolo addirittura minore rispetto a
quello attribuito, da taluni autori, finanche ai suoi atti di moral suasion211.
Sotto una diversa lente, e con maggiore enfasi, si potrebbe sin’anche affermare che
allorquando le Istruzioni della Banca d’Italia, anche surrettiziamente, travalichino il limite della
riserva di legge, dovrebbero essere considerate illegittime e in quanto tali inefficaci nei rapporti
tra privati (oltre che nei confronti della stessa Autorità di vigilanza).
La sicura rilevanza pubblicistica delle Istruzioni di vigilanza (che non autorizza
l’interprete ad affermare la diretta incidenza di tale disciplina sul rapporto privato)212, non
permette in linea di principio di escludere il potere del giudice amministrativo di operare una
ricostruzione delle regole del rapporto << autorità – soggetto acquirente le partecipazioni >> in
ossequio al dato legislativo, ma in contrasto con le previsioni dettate dalla Banca d’Italia.
Insomma, si potrebbe concludere riconoscendo al giudice amministrativo la “prerogativa
istituzionale” di ritenere illegittima una disposizione regolamentare rispetto ad una
ricostruzione ermeneutica del dato legislativo.
4. La disciplina dei controlli sugli assetti proprietari nei principali Paesi europei. Un’analisi comparata.
Nel capitolo precedente si è cercato di mettere in luce come la disciplina dell’acquisto di
partecipazioni bancarie contenuta nel Testo unico e nelle Istruzioni di vigilanza sia ispirata a
principi chiaramente individuati e realizzi tra di essi un bilanciamento nuovo e più orientato al
mercato rispetto al passato. Non tutte le scelte operate dal legislatore del Testo Unico del 1993
sono parse però coerenti col quadro generale di riferimento, anche se nell’insieme è emerso un
adeguamento alle omologhe legislazioni vigenti dei principali Paesi europei più intenso di
quello realizzato in passato.
210 In proposito, si veda da ultimo C.G.C.E., sent. del 9 dicembre 2003, Commissione c. Italia, causa C129/00, in Racc., 2000, p. 2441, punti 29 ss.; in merito cfr. S. CASSESE, Il diritto comunitario della concorrenza prevale
sul diritto amministrativo nazionale, in Giornale Dir. Amm., 11/2003, p. 1136 ss.
211 In una prospettiva più ampia, peraltro, il principio sancito in sede giurisdizionale dalla Corte di Giustizia
europea dovrebbe consentire alla Commissione Europea di venire tempestivamente a conoscenza delle
valutazioni svolte dall’autorità di vigilanza nazionale, nonché, in casi eccezionali e previa consultazione, di
intervenire ed avocare a sé il caso (ex art. 11, §. 6, reg. 1/2003), laddove si ritenga che
l’interpretazione/trasposizione delle norme comunitarie accolta in sede nazionale sia, nel caso di specie,
palesemente contrastante con i principi del diritto comunitario.
212 Al riguardo cfr. S. NICCOLAI, op. cit., p. 262 ss. Si tratta, indubbiamente, di disposizioni costitutive di
diritto, che vanno ad integrare l’ordinamento giuridico generale, a condizionare l’autonomia negoziale, ad incidere
sui rapporti interprivati, a costituire un parametro generale ed astratto della validità degli atti e dei comportamenti
realizzati dagli operatori del settore bancario. Prescindendo dal problema della collocazione nella sistematica delle
fonti e dall’esito della risoluzione di eventuali antinomie, insomma, l’efficacia esterna delle norme prodotte dalla
Banca d’Italia nell’esercizio della sua potestà regolamentare non differisce, in quanto ad effetti prodotti sull’agire
dei privati, dalle norme che derivano dall’ermeneusi di una legge o di un regolamento governativo. Tali regole
sono, pertanto, parte integrante dell’ordinamento generale: salva l’eventuale illegittimità della disposizione che le
prevede o la loro natura indipendente, nulla osta a che simili norme possano costituire fonte di invalidità o di
inefficacia di un negozio giuridico, ovvero fattispecie astratta con cui confrontare un comportamento colpevole o
doloso ad esse contrario e in relazione alla quale stabilire la responsabilità del suo autore. Considerazione che
sembrerebbe addirittura pleonastica, ma che è invece opportuno chiarire in limine, onde evidenziare l’artificiosità
di quelle posizione dottrinarie che – forse condizionate dalla antica disputa circa la caratterizzazione del comparto
bancario come ordinamento sezionale autonomo – tenderebbero sin’anche a negare efficacia esterna alle norme
dell’Autorità.
- 61 -
Lo spunto viene dalla considerazione che oggi, anche nei Paesi che per tradizione
culturale hanno da sempre consentito la commistione fra banche e industria, esistono
penetranti controlli sugli assetti proprietari delle banche e sulla disciplina del conflitto di
interessi nell’esercizio dell’attività bancaria, in gran parte frutto dell’attuazione delle direttive
comunitarie. Una breve analisi comparata dei principali ordinamenti europei sul recepimento
dei precetti comunitari in materia di assetti proprietari e di tutela dell’integrità della gestione
bancaria a fronte di indebite ingerenze delle autorità di vigilanza, può consentire di verificare
fino a che punto nell’ordinamento italiano si realizzi un effetto di reverse discrimination,
riconducibile ad “ogni regola prudenziale più severa di quella sancita dalle direttive europee
con l’armonizzazione minima”213.
Il confronto, in particolare, viene condotto tra la normativa italiana e quelle di Gran
Bretagna, Francia e Germania, alla luce della disciplina europea sui controlli degli assetti
proprietari delle banche214. ordinamento
Nella normativa europea, infatti, il principio di “sana e prudente gestione” è richiamato
dai citati artt. 5 e 11 della direttiva 89/646, ed è correlato essenzialmente – come si è visto –
alla “qualità” soggettiva degli azionisti e dei soci delle banche, piuttosto che all’esigenza di un
adeguato assetto strutturale e organizzativo215. Il problema principale posto dalle norme
richiamate è il seguente: i criteri di valutazione dei requisiti della “qualità degli azionisti” e i
criteri di valutazione della gestione “sana e prudente” dell’ente creditizio non risultano
armonizzati, nel senso che è rimesso ad ogni singolo Stato il compito di specificare la portata di
tali concetti, così come di adottare comportamenti difformi in caso di violazione dei principi in
questione.
Nel Regno Unito la normativa prevede una ricca identificazione del concetto di “sana e
prudente gestione”. In particolare, “i regolamenti inglesi dell’FSA (Financial Services Authority)
(art. 186 del Financial Services and Markets Act del 2000 e disposizioni applicative Chapter 11 –
controller and close link; Sup. 11.7.5 e Fit. 1.3., 2.1., 2.2. e 2.3.)”216 precisano che l’autorizzazione
all’acquisto di partecipazioni rilevanti possa essere rilasciata quando sussistono le seguenti
condizioni: a) i potenziali acquirenti rispondono ai requisiti di fit and proper test; b) l’operazione
non contrasti con l’interesse dei consumatori. A sua volta il criterio del fit and proper test prevede
che l’acquirente deve soddisfare diversi requisiti: “(1) honestly; integrity and reputation; (2) competence
and capability; and (3) financial soundness”. Come precisato in dottrina, “questi requisiti arrivano ad
individuare come possibili motivi del diniego anche semplici richieste di dismissioni per cattiva
gestione da una società o trust, sul piano della onestà, integrità e reputazione e il mancato
pagamento di debiti in un tempo ragionevole per quanto riguarda la solidità finanziaria”217.
In Francia la legge non prevede nessuna specificazione del concetto di “sana e prudente
gestione”218.
Mentre, secondo l’ordinamento vigente in Germania l’autorizzazione all’acquisto di
partecipazioni rilevanti può essere negata sia con riguardo alla mancanza di “affidabilità” del
nuovo azionista (“not trustuorthy”), e sia, più in generale, con riferimento alla incapacità di
213 Così C. BRESCIA MORRA, Troppe regole in Italia sui rapporti tra industria e banca? Un’analisi comparata, in
Analisi giuridica dell’economia, 1, 2006, p. 92.
214 La stessa normativa europea, inoltre, nella disciplina dei grandi rischi, prevede limiti prudenziali più
stringenti nel caso di finanziamenti a soggetti collegati (art. 49, §. 2, dir. 2000/12/CE, già contenuto nella direttiva
sui grandi fidi 92/121/CEE).
215 Così G. GODANO, op. cit., p. 84.
216 Così C. BRESCIA MORRA, op. cit., p. 93.
217 V. ancora C. BRESCIA MORRA, Ibidem.
218 Al più, come suggerisce C. BRESCIA MORRA, Ibidem, “qualche vago indizio indiretto si può ricavare
dalla circostanza che i soggetti tenuti a chiedere l’autorizzazione debbano inviare notizie dettagliate sulla loro
situazione finanziaria”. In proposito cfr. CRBF (Comité de la réglementation bancarie et financière), reg. n. 96-16 del 20
dicembre 1996.
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assicurare la sana e prudente gestione. In particolare, si segnala la possibilità per l’Autorità di
vigilanza di non rilasciare la suddetta autorizzazione quando vi è il fondato motivo di temere
che i fondi utilizzati per finanziare l’acquisto della partecipazione siano di illecita provenienza.
Ancora, fra i presupposti che possono far incorrere nel rifiuto di autorizzazione, vi è il
caso in cui, per effetto dell’operazione di acquisizione, la banca venga “inserita in un gruppo la
cui struttura, non trasparente, impedisce l’esercizio effettivo dell’attività di vigilanza sui soggetti
in esso ricompresi”219.
Limitandoci in questa sede ad evidenziare le linee di tendenza presenti nei singoli
ordinamenti nazionali che si sono brevemente documentate, si deve però ricordare che lo
scenario internazionale, pur così diversificato ad inizio secolo, si caratterizza attualmente per la
condivisione di policies di segno comune220. E talvolta si tratta di un eccesso di normativa che
non si sottrae alle motivate obiezioni di quanti disapprovano il ricorso a indirizzi di vigilanza
ancora visibilmente caratterizzati da una intenzione dirigista, ma pur sempre discipline che si
muovono nel segno delle già segnalate garanzie di stabilità, di integrità e di concorrenza
competitiva del settore bancario221. Pur tuttavia, si tratta di un nuovo diritto europeo dei
mercati finanziari che delinea un consistente ordinamento sovranazionale del settore
comunque sensibile alla pressante domanda di miglior regolazione dei mercati bancari e di
maggior tutela degli investitori.
5. Le nuove norme sulle fusioni bancarie transfrontaliere.
Come sopra illustrato, l’attuale quadro giuridico non fissa criteri dettagliati per la
valutazione prudenziale dei progetti di acquisizione o di incremento di partecipazioni né una
Cfr. Gesetz uber das Kredituesen del 1998, parte 1, §. 2b.
Assai indicativo, nell’analisi condotta, è il tema della pubblica vigilanza. Se infatti è vero che in questa
materia ogni contesto nazionale ha caratteri distintivi che rilevano più di qualsiasi astratta comparazione di
modelli, anche per quanto concerne la migliore organizzazione delle funzioni di pubblica vigilanza, sicuramente
meritano attenta analisi (e offrono ampia materia a utili approfondimenti) le motivazioni altrove assunte come
criteri di preferenza per il modello del “regolatore unico” significativamente condiviso dall’inglese FSA (Financial
Servives Authority) e dal BAFIN (Bundensanstalt fur Finanzdienstleistungsaufsicht) dell’ordinamento tedesco, ma anche da
altri ordinamenti e di recente dalla CBFA che dal gennaio 2004 è l’Autorité de controlle unique du secteur financière belge,
così come le motivazioni e il diverso orientamento della loi n° 2003-706 de sécurité dell’agosto 2003 e della legge
istitutiva della CNMV (Comisiòn Nacional del Mercato de Valores), che in diritto francese e nell’ordinamento spagnolo
hanno stabilito discipline di vigilanza più in linea con il modello di ripartizione delle competenze di pubblica
vigilanza che nel caso italiano si è solo parzialmente ridisegnato con le norme della legge sul risparmio 262/2005.
221 Cfr. COMMISIONE EUROPEA, Call for technical advice from CEBS, No. 1, Bruxelles, 18 gennaio 2005,
in http://ec.europa.eu/internal_market/bank, con cui la Commissione nel gennaio del 2005 ha ufficialmente richiesto
al CEBS una consulenza tecnica in merito a quattro possibili opzioni di modifica dell’art. 16 dir. n. 2000/12/CE,
con l'obiettivo di: (i) restringere la discrezionalità delle autorità nazionali nel valutare l'idoneità del potenziale
acquirente; (ii) introdurre termini perentori entro i quali le autorità nazionali debbono pronunciarsi; (iii) introdurre
forme di controllo sull'operato delle autorità nazionali di vigilanza da parte della Commissione Europea.
Sull'opportunità di presentare proposte di modifica delle norme in materia di acquisizione di partecipazioni
rilevanti e/o di controllo di banche, imprese di investimento e assicurazioni cfr. L. CARDIA, Il consolidamento
dell'industria dei servizi finanziari in Europa, Audizione del Presidente della Consob presso il Comitato per gli Affari Economici e
Monetari (ECON) del Parlamento Europeo, Bruxelles, 31 gennaio 2006, disponibile sul sito www.consob.it. Secondo il
Presidente della Consob, “La proposta presenta elementi apprezzabili, tra i quali: 1) le norme di trasparenza per il
procedimento autorizzatorio; 2) i criteri per la valutazione del potenziale acquirente; 3) la certezza dei tempi di
conclusione dei procedimenti. Vi è però anche un rilevante elemento di criticità nelle previsioni – ancora allo
stadio di proposta informale dei servizi – che consentirebbero alla Commissione Europea di accedere alle
informazioni relative ai singoli dossier, sin dalla fase di svolgimento dell'operazione, al fine di verificare il rispetto
delle disposizioni europee da parte degli Stati membri. Occorre, tuttavia, riflettere sulla richiesta di attribuzione di
nuovi poteri che potrebbero configgere con il sistema di responsabilità attribuito alle autorità di vigilanza
nazionali”.
219
220
- 63 -
procedura per la loro applicazione. L’attività di vigilanza ha per sua natura un carattere di
discrezionalità cui, in linea di principio, non si può rinunciare, dovendo i controllori
considerare una pluralità di situazioni non sempre riconducibili a canoni troppo rigidi, come
testimoniano le recenti vicende sul controllo degli assetti proprietari delle banche italiane222.
Tuttavia, la “necessità” di una disciplina incardinata sulla discrezionalità ha prodotto
negli ordinamenti nazionali mancanza di certezza giuridica, chiarezza e prevedibilità, in
particolare per quanto concerne il processo di valutazione posto in essere dalle Autorità di
vigilanza competenti e, ovviamente, il suo risultato223. L’integrazione dei mercati e l’affermarsi
di strutture di gruppo transnazionali a livello europeo richiedono, per contro, l’introduzione di
regole procedurali e di criteri di valutazione armonizzati in tutta la Comunità224.
La dottrina ha individuato due possibili aree di intervento per limitare le inefficienze di
natura regolamentare legate all’esercizio della vigilanza bancaria: la possibilità di un
Il rimedio potrebbe ravvisarsi nella possibilità di centralizzare la competenza sulla vigilanza bancaria in
un’istituzione europea. Come suggerisce A. BOMPANI, La Riforma della Banca d’Italia e i Condizionamenti
dell’Ordinamento Comunitario, Relazione presentata al “Convegno Nazionale di Economia dei mercati e degli
intermediari finanziari”, Università di Parma, 4 novembre 2005, p. 5 (datt.), “il Consiglio, deliberando
all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione della BCE, nonché previo parere conforme
del Parlamento europeo, può affidare alla BCE compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza
prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese di assicurazione”. L’Autore
propone in merito due interessanti osservazioni. In primo luogo, rileva che “proprio per operazioni cross-border che
riguardano almeno due Stati dell’Unione, le competenze di vigilanza possono essere attribuite alla BCE. Per il che
anche le due recenti vicende che hanno interessato e stanno riguardando Banca Nazionale del Lavoro e Banca
AntonVeneta ricadrebbero nell’orbita della BCE”. In secondo luogo, l’Autore prende atto, tuttavia, “che le
imprese di assicurazione resterebbero comunque al di fuori delle competenze della BCE e della stessa vigilanza
prudenziale, quasi che non fossero da considerarsi intermediari finanziari. E ciò in stridente contrasto con le prese
di posizione e le delibere assunte in sede comunitaria con la direttiva 2002/87/CE relativa alla vigilanza
supplementare sugli enti creditizi, sulle imprese di assicurazione e sulle imprese di investimento appartenenti a un
conglomerato finanziario. E sarà opportuno ricordare che, a norma della lett. n) dell’art. 1 del d.lgs. 30 maggio
2005, n. 142 di attuazione della predetta direttiva il «settore finanziario» ricomprende, oltre alle banche e alle
imprese di investimento, anche le imprese di assicurazione, di riassicurazione e di partecipazione assicurativa”.
223 Già nel 1999 il BAC (Banking Advisor Committee), Papers Meeting XV/1079/99 e XV/1080/99, Bruxelles,
24 novembre 2004, successivamente all’implementazione della direttiva di Consolidamento bancaria 2000/12/CE,
aveva sottolineato come alcune lacune nella direttiva avessero permesso agli Stati Membri di adottarne in sede di
recepimento differenti interpretazioni, causando disomogeneità talvolta sensibili tra le pratiche di vigilanza. Una
prima tesi riconduce, sostanzialmente, alla responsabilità delle autorità di vigilanza e alle lacune della normativa
vigente lo stadio arretrato del processo di consolidamento bancario europeo e lo scarso peso di operazioni crossborder. Gli ostacoli posti dalla vigilanza assumerebbero la forma di comportamenti discriminatori verso l’entrata di
capitali esteri in partecipazioni di controllo. Comportamenti, cioè, atti a favorire la protezione di “campioni
nazionali” o a creare la percezione che tali operazioni non siano gradite, così da scoraggiarne anche l’iniziativa. La
normativa vigente consentirebbe quest’uso eccessivamente discrezionale dei poteri di vigilanza.
Altri ostacoli deriverebbero inoltre da esigenze di sorvegliare anche i cosiddetti rischi cross-border, ossia quelli
che migrano all’estero e che devono rientrare nella vigilanza consolidata. Nello specifico, tale necessità si sostanzia
in un colloquiare continuo tra istituzioni e più autorità di vigilanza, che spesso hanno sistemi e pratiche di
vigilanza molte diverse. Tali differenze comporterebbero un “add cost” per gli acquirenti cross border banking,
sortendo l’effetto di ridurre l’attrattività di tali progetti.
224 Il sistema di vigilanza prudenziale esistente attualmente nell’Unione europea si basa sul principio della
responsabilità delle autorità competenti dello Stato membro di origine e su un implicito obbligo di stretta
collaborazione tra queste e le autorità dello Stato membro ospitante nella vigilanza delle attività degli enti operanti
in Stati membri diversi da quello in cui hanno l’amministrazione centrale. Se l’acquisto di partecipazioni avviene
ad opera di una banca autorizzata in un altro Stato membro dell’Unione europea o da una controllante (sia
persona fisica che giuridica) di questa e se, in virtù di tale interessenza, l’ente creditizio partecipato diventi una
filiazione o passi sotto il suo controllo, la valutazione dell’acquisto deve formare oggetto di consultazione
preliminare delle autorità dell’altro Stato membro (art. 11, §. 2, direttiva n. 89/646/CEE). Tuttavia, come osserva
G. GODANO, La legislazione comunitaria in materia bancaria, Bologna, 1996, p. 87, “l’obbligo di consultare le
autorità della case madre non significa che queste ultime abbiano diritto di veto nei confronti delle autorità del
Paese ospitante, che possono comunque rilasciare l’autorizzazione nonostante rilievi negativi…”.
222
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miglioramento della normativa vigente e il rafforzamento della cooperazione tra le stesse autorità
di controllo225.
Il Parlamento Europeo ha di recente approvato la modifica di cinque direttive per
armonizzare a livello europeo le norme di valutazione dei progetti di fusione e acquisizione
transfrontalieri nel settore bancario, assicurativo e mobiliare226. Lo scopo della proposta, che in
225 Tra i vari report vale la pena ricordare quello redatto dal Comitato di Lamfalussy del febbraio del 2001
(LAMFALUSSY GROUP, Final Report of Committee of Wise Men on the regulation of European Securities markets, 2001).
Le numerose proposte erano confluite nel citato Financial Services Action Plan 1999-2005. Esso prevedeva 41 misure
d’azione (tra direttive e comunicazioni) volte a completare il quadro normativo per l’integrazione dei mercati
finanziari. Nell’ampia letteratura economica sul tema si segnalano i contributi di M.C. BUCH e G.L. DE LONG,
Cross-Border Bank Mergers: What Lures the Rare Animal?, in Journal of Banking and Finance, 2004, p. 76; A. BERGER e
D.C. SMITH, Global Integration in the Banking Industry, in Federal Reserve Bulletin, 2003, p. 122.
226 Cfr. CEBS, Technical advice to the European Commission on a review of Article 16 of Directive 2000/12/EC, Londra,
31 maggio 2005, in http://www.c-ebs.org/pdfs/cebs0576.pdf. La prima opzione suggerita dalla Commissione europea
riguarda la possibilità di rendere espliciti i criteri che dovrebbero essere applicati nella valutazione degli stakeholders
qualificati. Nel suo parere tecnico, il CEBS si è soffermato sull’ambiguità del termine “suitability”, tradotto nella
versione italiana con il termine “qualità”, delle persone fisiche e giuridiche intenzionate ad acquistare o modificare la
propria partecipazione rilevante. Sul punto, il CEBS suggerisce pertanto una procedura a due fasi. La prima fase
consiste nell’analisi generale della “qualità” degli azionisti in base al “fitness” e alla “properness”di uno specifico
azionista. La successiva fase consiste nella adeguatezza di questi come controller dell’istituzione target, ossia in una
indagine in termini relativi allo specifico progetto di acquisizione. Più nello specifico, i criteri minimi che secondo il
CEBS devono essere soddisfatti sono: 1) un’appropriata forza finanziaria in relazione alle caratteristiche della target e
alla complessità del suo business; 2) un piano strategico per la società target; 3) la presenza di proposte e soluzioni di
corporate governance; 4) se dopo l’operazione la gestione della target è affidata a nuovi manager, questi devono rispettare i
criteri dell’art. 6: compresi i requisiti di onorabilità e professionalità; 5) l’assoluta trasparenza della struttura di gruppo,
tale da consentire un’adeguata vigilanza consolidata; 6) soluzioni adeguate e appropriate per possibili problemi di
conflitti di interesse. Vi è poi un insieme di criteri minimi negativi da rispettare, come ad esempio l’assenza di carichi
giudiziari. È evidente che la lista fornita abbia un valore puramente indicativo e non esaustivo. L’opinione del
Comitato è, infatti, che la valutazione debba avere dei margini di discrezionalità e flessibilità, per consentire un
giudizio caso per caso, sempre nell’interesse generale di preservare la stabilità del mondo bancario e le esigenze di
vigilanza prudenziale. Essa ammette, infatti, anche dei requisiti addizionali, soprattutto relativi al concetto di adeguata
forza finanziaria. Ad esempio, la capacità di contribuire con “fresh money” alle attività della target o la fissazione di un
termine minimo di impegno a non smobilizzare la partecipazione.
La seconda opzione riguarda la possibilità per le autorità competenti di tutti gli Stati Membri di “accettare” le
valutazioni già effettuate da altri Stati sulla “qualità” degli azionisti qualificati. Si tratta di estendere il principio del
mutuo riconoscimento, gia abbondantemente collaudato nel sistema comunitario. Esso eliminerebbe la necessità di
una valutazione supplementare, al limite senza nemmeno la necessità della comunicazione preventiva. Il parere del
CEBS al riguardo è peculiare. Esso accoglie con favore la possibilità del mutuo riconoscimento per i giudizi di “notsuitability”, ma non per i pareri positivi, laddove è evidente che se una banca o un azionista qualificato è già stato
precedentemente autorizzato in un Paese europeo, deve necessariamente aver superato i test di “qualità” descritti
sopra, oltre a doverli rispettare su base continuativa. Tuttavia la questione si complica per le difficoltà di raggiungere
una piena armonizzazione di queste valutazioni, come ad esempio sulla nozione di carichi giudiziari. Il CEBS
conviene però che tale informazione sia un punto di partenza molto importante per le valutazioni successive, ma il
comma 2 dell’art. 16 già prevede che essa sia presente nella consultazione preliminare tra autorità di vigilanza. Sempre
con riferimento all’opzione in esame, le cose si complicano ancora di più quando si passa ad esaminare il gradino
successivo della procedura. Essa, come abbiamo visto, analizza l’adeguatezza dell’azionista rispetto allo specifico
progetto sotto esame, alla complessità e specificità della società da acquistare e ai possibili conflitti d’interesse. È
evidente che il ruolo del mutuo riconoscimento non possa trovare applicazione in questo caso.
La terza opzione concerne la possibilità di rivedere le soglie dei diritti di voto o del capitale (20%, 30% e
50%) previste dal comma 1 dell’art. 16, al cui raggiungimento si riconduce l’obbligo di comunicazione preventiva alle
autorità di vigilanza competenti. Il parere richiesto dalla Commissione Europea riguarda la possibilità di eliminare la
comunicazione preventiva nel caso in cui l’acquisto di una partecipazione non miri al controllo della banca, e di
richiederla, invece, solo nei casi in cui questa intenzione sia palese. Inoltre, si fa notare come il termine richiesto, di
ulteriori tre mesi, per riesaminare la qualità di un azionista qualificato già ritenuto “idoneo”, sia forse eccessivo. Il
giudizio espresso del CEBS riguardo a questa opzione è stato sfavorevole. È risultato, infatti, evidente che tutti gli
Stati membri, recependo la direttiva, hanno stabilito soglie talvolta più basse talvolta più alte. Un intervento di
modifica su tali soglie non avrebbe quindi alcun effetto. Il CEBS, del resto, è convinto che le differenze tra le soglie
stabilite dai vari Paesi non vadano appianate, poiché espressione di esigenze prudenziali specifiche di ogni Stato.
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realtà riguarda tutti gli intermediari e non solo quelli bancari, è rimuovere gli ostacoli dovuti a
prassi di vigilanza diverse, introducendo procedure e criteri più chiari e migliorandone la
coerenza e la trasparenza227.
In primo luogo, in forza del compromesso tra Parlamento e Consiglio, si prevede che
qualsiasi “candidato acquirente” che abbia deciso “di acquisire, direttamente o indirettamente,
una partecipazione qualificata in un’impresa o di aumentare ulteriormente, direttamente o
indirettamente, detta partecipazione in modo tale che la quota dei diritti di voto o del capitale
da esso detenuta raggiunga o superi il 20%, 30% o 50%, o che l’impresa divenga una sua
impresa figlia”, notifichi per iscritto alle autorità competenti per la vigilanza l’ammontare della
partecipazione prevista e le informazioni rilevanti. Lo stesso principio vale in caso di vendita o
riduzione della partecipazione qualificata.
In secondo luogo, al fine di garantire la gestione sana e prudente dell’impresa cui si
riferisce il progetto di acquisizione, e tenendo conto della probabile influenza del candidato
acquirente sulla stessa nel valutare la notifica, le autorità competenti dovranno esaminare
l’idoneità del potenziale acquirente e la solidità finanziaria del progetto di acquisizione sulla
base di cinque criteri:
- la reputazione del candidato acquirente;
- la reputazione e l’esperienza di tutte le persone che saranno chiamate a dirigire l’attività
dell’impresa bancaria;
- la solidità finanziaria del candidato acquirente, in particolare in considerazione del tipo
di attività esercitata e prevista nell’impresa alla quale si riferisce il progetto di acquisizione;
- la capacità dell’impresa di adempiere e continuare ad adempiere i requisiti prudenziali a
norma della presente direttiva e, se del caso, di altre direttive, in particolare, il fatto che il
gruppo di cui farà parte disponga o meno di una struttura che permetta di esercitare una
vigilanza efficace, di scambiare effettivamente informazioni tra le autorità competenti e di
deminare la ripartizione delle responsabilità tra le stesse;
Infine, l’ultima opzione si riferisce alla trasparenza delle valutazioni effettuate dalle autorità di vigilanza. Se
una autorità di vigilanza decide di non consentire l’acquisto di una partecipazione qualificata, la pubblicazione della
decisione di rifiuto e una dettagliata lista delle motivazioni sottostanti la decisione, consentirebbero di combattere un
uso potenzialmente distorto dei poteri di vigilanza. Anche su questa opzione il parere espresso dal CEBS è stato
negativo. Se anche una maggiore trasparenza è certamente desiderabile, bisogna in ogni caso tener conto dell’effetto
sugli interessi delle parti coinvolte, ad esempio sulla reputazione dell’acquirente. Le norme vigenti del resto – osserva
il Comitato – già prevedono, in caso di giudizi negativi ai sensi dell’art. 10 direttiva n. 2000/12/CE, una risposta
diretta all’acquirente con tutte le spiegazioni necessarie. Esso potrebbe essere esteso anche ai casi contemplati dall’art.
16. Per un miglioramento della trasparenza, invece, il Comitato afferma che esso dovrebbe riguardare in primis l’intera
procedura di autorizzazione e valutazione.
Il CEBS propone, infine, una pubblicazione delle autorità di vigilanza che esponga la metodologia utilizzata
nella valutazione della qualità degli azionisti qualificati e una presentazione, su base annuale, di tutti i casi in cui è
stato espresso parere negativo, limitando i pregiudizi per gli acquirenti.
227 Cfr. W. KLINZ, Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva
92/49/CEE e le direttive 2002/83/CE, 2005/68/CE e 2006/48/CE per quanto riguarda le regole procedurali e i criteri per
la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario. La Proposta originaria era stata
presentata nel settembre 2006 alla Commissione europea, anche per correggere una situazione di fatto che
consentiva vicende come quelle di cui è stata protagonista la Banca d’Italia all’epoca delle offerte di Abn Amro e
Bbva rispettivamente su Antonveneta e Bnl, e quella simile in Polonia per il caso Unicredit-Hvb. In merito cfr. F.
VELLA, Nuovo statuto, nuova vigilanza, in ww.lavoce.info, 27 novembre 2006, che, nel commentare la citata Proposta,
sottolinea come, “alla luce della irresistibile tentazione da parte delle Autorità di alcuni Stati membri di interpretare
i controlli di sana e prudente gestione come un comodo strumento per selezionare gli operatori in base, non alle loro
capacità industriali, ma al colore della bandiera (preferibilmente nazionale), la Commissione europea si proponeva
di rendere “più oggettive le valutazioni di vigilanza sulle acquisizioni di partecipazioni nelle banche”. Le nuove
regole intendono “sancire il definitivo tramonto della tanto amata sana e prudente gestione, ma inevitabilmente
continuano a lasciare alle Autorità di vigilanza uno spazio di discrezionalità”.
- 66 -
- l’esistenza di motivi ragionevoli per prospettare che, in relazione al progetto di
acquisizione, sia in corso o abbia avuto luogo un’operazione o un tentativo di riciclaggio di
proventi di attività illecite o di finanziamento del terrorismo o che il progetto di acquisizione
potrebbe aumentare il rischio di simili atti228.
Ad una prima, seppur sommaria, valutazione, non può sfuggire come il testo della
proposta, pur introducendo un elenco chiuso di criteri per valutare l’acquirente, contribuendo
così all’armonizzazione del trattamento delle domande di concentrazione e di acquisizione, in
realtà faccia “riferimento a requisiti come quello della << reputazione del candidato acquirente
>> o della sua << solidità finanziaria >> che a ben vedere non si distanziano poi troppo,
forse ne sono una integrazione e specificazione, dalla tanto vituperata sana e prudente
gestione”229.
Le autorità competenti potranno, dunque, opporsi al progetto di acquisizione solo se
sussistono ragionevoli motivi per farlo in base ai citati criteri o se le informazioni fornite dal
candidato acquirente sono incomplete230.
Sempre nell’ottica tesa ad eliminare, in sede di recepimento, la concessione di margini di
discrezionalità e di flessibilità alle autorità competenti, la proposta prevede che gli Stati membri
debbano astenersi dall’imporre condizioni preliminari per quanto riguarda il livello della
partecipazione da acquisire231; essi, inoltre, non potranno consentire alle rispettive autorità
competenti di esaminare l’acquisizione sotto il profilo delle necessità economiche del
mercato232. A tal proposito, occorrerà pubblicare l’elenco delle informazioni, necessarie per
compiere la valutazione, che dovranno essere fornite alle autorità competenti all’atto della
notifica. Le informazioni richieste, peraltro, dovranno essere proporzionate e adeguate alla
228 Si tratta del nuovo art. 19-bis, §. 1, della dir. n. 2006/48/CE introdotto dall’art. 5, §. 3, della Proposta di
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2006/166/(COD).
229 Così F. VELLA, Le Autorità di vigilanza: non è solo questione di architetture, relazione al Convegno “Imprese
e investitori. Crescita, tutele, interessi”, Roma 29 gennaio 2007, disponibile sul sito www.associazionepreite.it, p. 8. In
sostanza, – prosegue l’Autore – “la sensazione che si ricava è che ci sia uno << zoccolo duro >> di
discrezionalità nell’operato della vigilanza al quale non si può rinunciare, e al quale è forse sbagliato rinunciare. A
me sembra che, se questo tratto appena descritto rappresenta una caratteristiche ineliminabile del modello di
vigilanza, ci si debba muovere nella stessa prospettiva delineata da un documento del 2004 dell’ECOFIN dove,
proprio con riferimento alla regolamentazione degli assetti proprietari delle banche, si richiamava la necessità di
criteri più oggettivi, ma nel contempo si sottolineava l’opportunità di un sistema che potremmo definire dei
“contrappesi”, con particolare riferimento a: 1) una più forte esplicitazione ex ante e ex post delle motivazioni
adottate (la public disclosure); 2) la puntuale e trasparente procedimentalizzazione delle fasi decisorie ed esecutive; 3)
adeguati meccanismi di “revisione” delle decisioni adottate”.
230 Cfr. nuovo art. 19-bis, comma 2, dir. 2006/48/CE. Se al termine della loro valutazione decidono di
opporsi al progetto di acquisizione, le autorità competenti saranno tenute a informare per iscritto il candidato
acquirente entro due giorni lavorativi e dovranno indicare le ragioni della loro decisione. Fatta salva la legislazione
nazionale, inoltre, un’adeguata motivazione della decisione potrà essere resa pubblica su richiesta del candidato
acquirente. Ma – viene precisato – ciò non impedisce ad uno Stato membro di consentire all’autorità competente,
anche in assenza di siffatta richiesta, di rendere pubblica tale motivazione. Se, invece, entro il termine per la
valutazione, le autorità competenti non manifestano la loro opposizione per iscritto, il progetto di acquisizione è
da considerarsi approvato.
231 Con “partecipazione qualificata”, le cinque direttive intendono il fatto di detenere in un’impresa
direttamente o indirettamente almeno il 10% del capitale o dei diritti di voto o qualsiasi altra possibilità di
esercitare una notevole influenza sulla gestione dell’impresa in cui la partecipazione è detenuta.
La direttiva non impedisce agli Stati membri di esigere che le autorità competenti siano informate
dell’acquisizione di partecipazioni al di sotto delle soglie fissate, nella misura in cui, a tal fine, uno Stato membro
non impone più di una soglia supplementare al di sotto del 10%, né impedisce alle autorità competenti di fornire
un orientamento generale per quanto riguarda il momento in cui tali partecipazioni sarebbero ritenute tali da dar
luogo ad una influenza significativa.
232 Così nuovo art. 19-bis, comma 3, della dir. n. 2006/48/CE.
- 67 -
natura del candidato acquirente e del progetto di acquisizione e non potranno essere richieste
“informazioni che non sono pertinenti per una valutazione prudenziale”233.
Nella direttiva viene anche precisato che qualora all’autorità competente vengano
notificati due o più progetti di acquisizione o di incremento di partecipazioni qualificate nella
stessa impresa bancaria, “tale autorità tratta i candidati in modo non discriminatorio”234.
Infine, la direttiva riduce il periodo di valutazione da tre mesi a sessanta giorni, e
permette alle autorità di vigilanza di sospendere l’operazione una sola volta, a condizioni ben
precise235.
6. La disciplina delle partecipazioni dei soggetti esteri.
Descritta la disciplina degli assetti proprietari delle banche in ambito comunitario, pare
opportuno, per fini di completezza del quadro di riferimento, porre la dovuta attenzione anche
al caso prticolare in cui ad acquisire una partecipazione rilevante nelle banche siano soggetti
appartenenti a Stati extracomunitari.
In tale ipotesi, l’art. 19, comma 8, T.u.b. rimette al potere politico la possibilità di vietare
l‘accesso di soggetti extracomunitari al capitale delle banche nazionali e, nella versione attuale,
si limita ad esplicitare come possibile ragione del divieto le condizioni di reciprocità.
V. nuovo art. 19-bis, comma 4, della dir. n. 2006/48/CE.
Cfr. art. 19-bis, comma 5, della dir. n. 2006/48/CE introdotto dall’art. 5, §. 3, della Proposta di Direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio 2006/166/(COD). Inoltre, ritenendo opportuno che la Commissione sia
in grado di controllare l’applicazine delle disposizioni relative alla valutazione prudenziale delle acquisizioni, il
compromesso prevede che gli Stati membri cooperino con essa fornendo, al termine della procedura di
valutazione, informazioni inerenti alle valutazioni prudenziali effettuate dalle autorità nazionali competenti,
qualora tali informazioni siano richieste al solo scopo di determinare se gli Stati membri hanno violato i loro
obblighi ai sensi della presente direttiva. Per un precedente significativo cfr. A. OLIVIERI, Abn si appella a Banca
d’Italia, in Il sole 24 ore, 14 maggio 2005, p. 3. Il TAR Lazio sent. n. 6157/2005, cit., ha riconosciuto la piena
legittimità degli atti con cui la Banca d'Italia aveva autorizzato la BPL (ora BPI) a raggiungere il possesso del 29,9
per cento del capitale di Antonveneta. I giudici hanno preliminarmente escluso un trattamento di favore concesso
a BPL con l'adozione di provvedimenti autorizzativi in tempi più ristretti di quelli impiegati per ABN, in quanto in
ogni caso le due istanze delineavano situazioni distinte (quella di BPL orientata all'acquisizione di partecipazioni di
minoranza, sia pure qualificata; quella di ABN finalizzata al controllo), che meritavano processi valutativi distinti.
Per ulteriori elementi chiarificatori v. A. FAZIO, Aggiornamento dell’informativa sul mutamento degli assetti di controllo di
alcuni gruppi bancari italiani, Relazione del Governatore della Banca d’Italia nella Riunione del CICR del 26 agosto 2005, in Il
Sole 24 Ore, 27 agosto 2005, p. 5 s. La descrizione di tali operazioni ha, in particolare, permesso di evidenziare i
diversi momenti dell’attivazione dei poteri autorizzativi e di controllo dell’Autorità di vigilanza.
235 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Draft Commission Consolidated Jurisdictional Notice under Council
Regulation (EC) No. 139/2004 on the control of concentrations between undertakings (the "Merger Regulation"), del 28
settembre 2006. Se, infatti, la Commissione proponeva di concedere 30 giorni lavorativi alle autorità di vigilanza
per decidere in merito a un’offerta di acquisizione transfrontaliera [v. art. 5, §. 2, lett. a), della Proposta di direttiva
2006/166/(COD)], Parlamento e Consiglio hanno fissato un termine di 60 giorni lavorativi. Questa data di
scadenza, inoltre, dovrà essere comunicata al candidato acquirente. Viene anche precisato che, durante il termine
per la valutazione ma non oltre il cinquantesimo giorno, le autorità competenti possono richiedere ulteriori
informazioni necessarie per completare la propria valutazione. A ciò si aggiunge che, per il periodo compreso tra
la data di richiesta di informazioni e il ricevimento della risposta, il decorso del termine viene sospeso. Questa
sospensione, come indicato nel nuovo §. 4 inserito nell’art. 12 della dir. n. 2006/48/CE, non potrà però superare
20 giorni lavorativi. Mentre eventuali ulteriori richieste di completamento o chiarimento delle informazioni
presentate “sono a discrezione” delle autorità, “ma non possono dare luogo ad una sospensione del decorso del
termine”. Le autorità competenti, peraltro, possono prorogare la sospensione fino a un massimo di 30 giorni
lavorativi qualora il candidato acquirente risieda fuori dalla Comunità o sia soggetto a una regolamentazione non
comunitaria, oppure se si tratta di una persona fisica o giuridica non sottoposta alla vigilanza prevista dalle
direttive comunitarie.
233
234
- 68 -
Il trasferimento di funzioni alla Banca d’Italia, attuato dalla legge n. 262/2005 con
riferimento all’autorizzazione allo stabilimento in Italia della prima succursale di banca
extracomunitaria, non tocca anche la componente politica.
I soggetti appartenenti a Stati extracomunitari devono dunque rivolgere domanda di
autorizzazione ex art. 19, commi 1 e 3, alla Banca d’Italia che la comunica al Ministro
dell’economia, qualora il soggetto provenga da uno Stato che non assicura condizioni di
reciprocità. Su proposta del Ministro, il Presidente del Consiglio dei ministri può vietare
l’autorizzazione.
La norma sostituisce una precedente disposizione della legge n. 287/1990 (art. 27, ult.
comma) che, in palese contraddizione con la normativa europea tesa alla creazione di un
mercato unico, trovava applicazione, senza alcuna distinzione, tra soggetti appartenenti a Stati
membri dell’Unione e quelli non aderenti alla stessa.
Si prevedeva, in particolare, che il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del
Ministro del Tesoro, previa comunicazione della Banca d’Italia, potesse “vietare
l’autorizzazione nel caso di operazioni di acquisizione di partecipazioni da parte di enti o
imprese di Stati che non tutelano l’indipendenza degli enti creditizi con norme di effetto
equivalente (…) o applicano disposizioni discriminatorie o impongono clausole aventi effetti
analoghi nei confronti di acquisizioni da parte di imprese o enti italiani”236.
Si trattava di una norma di chiusura, di non facile interpretazione, che ricalcava la
previsione già contenuta nell’art. 25, comma 2, della legge 287/1990 sui poteri del Governo in
materia di operazioni di concentrazione. Entrambe le disposizioni erano dirette a svolgere una
funzione di “presidio dell’economia nazionale”.
Il giudizio di incompatibilità, già sostenibile in sede interpretativa, risultava rafforzato
dalla circostanza che il controllo degli assetti proprietari costituiva una materia oggetto di
armonizzazione minimale da parte della seconda direttiva Cee237. Ne conseguiva, già allora, che
in ogni Stato della Comunità dovesse ritenersi comunque garantita “l’indipendenza degli enti
creditizi con norme di effetto equivalente”.
Per i soggetti appartenenti a Stati membri dell’Unione la disciplina comunitaria (artt. 7 e
11 dir. n. 89/646/CEE, poi sostituiti dagli artt. 12 e 16 dir. 2000/12/CE) si lmita a prevedere
che la valutazione dell’acquisto formi oggetto di una consultazione preventiva con le autorità
competenti dello Stato dove ha sede la banca acquirente.
Peraltro, l’intervento di modifica compiuto con il d.lgs. n. 481 del 1992, di attuazione
della seconda direttiva Cee, non si era limitato a circoscrivere l’applicazione della previsione in
esame ai soggetti appartenenti a Stati extracomunitari, ma aveva anche riguardato i presupposti
oggettivi della fattispecie.
Venivano così eliminate le precedenti “causali” previste dalla disposizione originaria,
soprattutto quella che richiedeva l’esistenza di norme equivalenti a quelle nazionali a tutela
dell’indipendenza delle banche.
Il giudizio di equivalenza poteva avere infatti una giustificazione logica limitatamente al
caso di operazioni di acquisto di partecipazioni da parte di banche extracomunitarie in banche
nazionali.
In tutti gli altri casi, quando cioè il soggetto interessato all’operazione risultava essere
un’impresa bancaria comunitaria, sfuggiva la ragione per la quale si richiedesse una disciplina
equivalente nel Paese d’origine238.
Cfr. T. DI BIASE e A. MAGLIOCCO, op. cit., p. 127 ss.
In tal senso v. V. MUNARI, La legge 10 ottobre 1990 n. 287 ed i suoi rapporti col diritto comunitario. Primi
appunti, in Dir. fall., 1991, I, p. 173 ss.
238 Del resto, come si avrà modo di precisare in altra parte del presente lavoro, sia consentito rilevare come,
al di fuori delle iniziative internazionali volte a creare l’Unione europea anche sotto il profilo normativo del
236
237
- 69 -
L’esegesi dell’attuale disciplina porta a ritenere che, nel sottrarre il provvedimento alla
competenza della Banca d’Italia, la norma qui considerata sostituisca i criteri autorizzativi
previsti in generale. Del resto, il contenuto del provvedimento del governo – che è solo quello
di divieto politico dell’operazione – non si incentra sul criterio della “sana e prudente
gestione”, ma verte esclusivamente sulla verifica dell’esistenza di condizioni di reciprocità
nell’ordinamento del Paese di provenienza dell’acquirente.
Non sembra invece potersi attribuire lo stesso carattere alle valutazioni preliminari
affidate alla Banca d’Italia, alla quale la legge riconosce il potere di attivare un particolare
procedimento. L’esame della Banca d’Italia sulla “reciprocità” non può essere che di carattere
“tecnico”, basato cioè sull’analisi del trattamento che viene riservato agli operatori nazionali nel
Paese extracomunitario239.
Infine, occorre considerare cosa potrebbe accadere nel caso in cui il Presidente del
consiglio ritenesse che non si debba vietare l’operazione. Appare discutibile, infatti, sostenere
se egli possa in tal caso concedere direttamente l’autorizzazione o se debba invece darne
comunicazione alla Banca d’Italia, consentendole in tal modo di procedere nel suo normale iter
autorizzativo.
La dottrina sembra propendere per quest’ultima soluzione, dato che sottrarre al sindacato
di conformità alla sana e prudente gestione anche l’acquisizione di partecipazioni qualificate
determinerebbe in tale ipotesi un’ingiustificata disparità di trattamento240.
mercato bancario, non può pensarsi che il legislatore di un singolo Paese possa darsi carico dell’esigenza di
tutelare l’indipendenza delle banche vigilate dalle Autorità di altri Stati membri.
239 Così C. BRESCIA MORRA, L’impresa bancaria, cit., p. 211.
240 In tal senso v. A. ANTONUCCI, Diritto delle banche, 3° ed., cit., p. 182.
- 70 -
Capitolo III
LE OFFERTE PUBBLICHE DI ACQUISTO TRA DISCIPLINA GENERALE
SOCIETARIA E DISCIPLINA SPECIALE BANCARIA
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Le offerte pubbliche di acquisto. Nozione e tipologie. - 3. L’opera di
razionalizzazione e di semplificazione dell’impianto della disciplina sulle Opa nel T.u.f. Definizione del
campo di indagine. - 4. Gli obblighi informativi connessi allo svolgimento di un’offerta pubblica di acquisto. 4.1. La nuova disciplina del procedimento di offerta. - 5. Lo svolgimento dell’offerta: irrevocabilità
dell’offerta e parità di trattamento. - 5. Il comunicato della società emittente. - 7. Il divieto di contrastare
l’offerta. - 7.1. (Segue): La decorrenza della passivity rule e gli interessi protetti. - 8. Il procedimento per il lancio
di un’Opa bancaria. Il problema del rapporto tra normativa sulle società quotate (le regole generali sull’Opa) e
normativa speciale sulle imprese bancarie. - 8.1. (Segue): In particolare: il rapporto tra obbligo di “informativa
preventiva” e obbligo di tempestiva comunicazione alla Consob e al mercato nel sistema previgente. - 8.2.
(Segue): Il perfezionamento del negozio di acquisto delle partecipazioni bancarie in caso di Opa. - 8.3. (Segue):
Il conflitto fra le disposizioni della Consob e le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia. - 9. Coordinamento
e cooperazione tra supervisori in funzione del corretto funzionamento del mercato.
1. Premessa.
Nel presente capitolo si cerca di operare una rilettura della disciplina delle offerte
pubbliche di acquisto in chiave di strumento atto a garantire l’efficiente allocazione della
proprietà delle società bancarie quotate, in quanto in grado di favorire, da un lato, un
consapevole ed autonomo processo di formazione della volontà da parte dell’azionista nella
scelta di vendere e, dall’altro, il rispetto della regola di correttezza e trasparenza in capo ai
soggetti interessati all’operazione. La connotazione delle operazioni oggetto di esame è
comunque data dalla loro intrinseca rilevanza nelle vicende legate al mutamento del controllo
societario241. Un’ulteriore prospettiva di analisi delle regole vigenti viene inoltre condotta,
quando necessario, attraverso la comparazione di queste con i principi fondamentali indicati
nella recente direttiva comunitaria in materia di Opa242.
Nella fattispecie delle Opa bancarie, l’esistenza di diverse specifiche discipline interessate
dall’operazione implica che l’intero procedimento di offerta debba essere coordinato con le
procedure peculiari previste dalle singole normative di settore. Si tratta indubbiamente di un
eccesso di regole che non si sottrae alle motivate obiezioni di quanti disapprovano il ricorso a
policies ancora fortemente caratterizzate da una intenzione dirigista. L’assenza di garanzie atte a
“livellare il terreno di gioco” si ricollega al noto problema del contemperamento tra il principio
della efficienza dei mercati (nella specie, del mercato dei diritti di proprietà) e la tutela della
Cfr. A. FAZIO, Considerazioni finali del Governatore, Assemblea generale dei partecipanti, Roma 31 maggio
2005, in Riv. bancaria, n. 2-3, 2005, p. 32 s.
242 Per un approfondito commento delle disposizioni contenute nella dir. 2004/25/CE (in G.U.U.E. L 142
del 30 aprile 2004, p. 12) in materia di offerte pubbliche di acquisto sia consentito rinviare a L. SCIPIONE, La
direttiva europea in materia di OPA: profili generali e aspetti comparatistici, in Riv. dir. impr., I, 2005, p. 163 ss.; ID, La nuova
disciplina dell’Opa europea: un’ipotesi di regolamentazione minimale, in Riv. dir. banca e merc. finanz., 2005, I, 2, p. 22 ss.
Sottesa a tutte le questioni finora considerate è infatti quella delle norme legislative e dei regolamenti con cui lo
Stato e le Autorità di vigilanza che ne hanno facoltà regolano i comportamenti delle imprese, finanziarie e non. È
questa la leva primaria con cui possono essere ridotti – o, al contrario, accresciuti – gli ostacoli del mercato della
riallocazione proprietaria delle imprese.
241
- 71 -
stabilità dell’intermediario bancario. Questi due obiettivi, infatti, seppur non ritenuti in linea di
principio contrastanti, possono divenire conflittuali nel breve termine.
Si manifesta, per tali ragioni, l’esigenza di sottoporre ad analisi l’intreccio che si realizza
fra diritto del mercato societario e disciplina speciale delle banche, al fine di valutare se la
ripartizione dei compiti fra le due aree, l’una estesa (anche se in forme diverse) a tutte le
imprese quotate, l’altra limitata al settore regolato delle imprese bancarie, sia equilibrata, e se le
profonde innovazioni introdotte negli ultimi anni nel diritto del mercato finanziario, che hanno
formalmente allineato l’Italia ai Paesi dove il mercato svolge un ruolo di massimo rilievo, siano
effettivamente adeguate alla particolare struttura proprietaria delle banche nostrane.
Naturalmente, nell’analisi che sarà condotta, verranno approfondite con maggiore
dettaglio le questioni più specificamente e direttamente concernenti la fase di avvio della
disciplina delle offerte pubbliche d’acquisto, mentre le altre problematiche saranno esaminate,
nei limiti dell’incidenza che sono suscettibili di avere in operazioni del genere, nel capitolo
successivo, essendo una loro trattazione di carattere generale improponibile in questa sede.
2. Le offerte pubbliche di acquisto. Nozione e tipologie.
L’offerta pubblica di acquisto, come è noto, è un istituto giuridico che ha la funzione di
temperare alcuni effetti economici che si avverano in conseguenza del trasferimento del
controllo delle società quotate.
In tal senso, l’Opa è una forma di “democrazia economica” che ha tra i suoi grandi
meriti quello di far partecipare i soci di minoranza al vantaggio economico del passaggio di
controllo delle società243. Non solo, la previsione da parte dell’ordinamento giuridico di tale
istituto persegue come obiettivo principale anche l’efficienza economico-allocativa del capitale
di rischio244: aumentando la contendibilità delle aziende si impedisce che i gruppi di controllo
restino inerti e sclerotizzati. Tra i due obiettivi esiste un trade-off piuttosto marcato245.
243 Cfr. M. MARTINI, F. BLANQUET, J.R. MACEY, M.J. VANEL, N. HINTON, E. WYMEERSCH e
S. PREDA, Seminario internazionale in materia di OPA, in Quaderni di finanza CONSOB, n. 32, Marzo 1999, p. 3 ss.; C.
BRESCIA MORRA e C. SALLEO, Trasferimento del controllo societario e Opa obbligatoria: profili di efficienza ed equità, in
Banca impresa società, 2002, 3, p. 462 ss.; B. QUATRARO e L. PICONE, Manuale teorico-pratico delle offerte pubbliche
d’acquisto e di scambio, Milano, 2004, p. 18 ss. In dottrina si è posto un problema di aggiustamenti della normativa
che, tenuto conto dell’impatto che le norme stesse hanno mostrato di poter produrre sul sistema che sono
chiamate a disciplinare, ne correggano i difetti per meglio tutelare gli interessi a presidio dei quali sono state
dettate, e per migliorare i loro effetti sul sistema generale.
244 Per riferimenti più ampi sul punto, nella letteratura economica, si rinvia a F. PANUNZI e M. POLO,
Corporate governance e mercato dei capitali. Un’analisi economica della regolamentazione dei takeover, in G. AIROLDI e G.
FORESTIERI (a cura di), Corporate Governnce. Analisi e prospettive del caso italiano, Milano, 1998, p. 52 ss.; M.
MARTINI, The new italian law on takeover bids, in Consob, Quaderni di Finanza, Seminario internazionale in tema di Opa,
n. 32, marzo 1999, p. 7 ss.; G. SICILIANO, La regolamentazione dei trasferimenti del controllo e delle acquisizioni delle
società quotate, in Consob, Quaderni di Finanza, n. 24, gennaio 1998, p. 7 ss.; C. VAN DEE ELST, The financial
market, ownership structures and controls: towards an international harmonization, in Atti di Convegno, Università degli
Studi di Siena, Facoltà di Economia “R.M. Goodwin”, 30 e 31 marzo 2000; nonché P. DE GIOIA
CARABELLESE, Le offerte pubbliche di acquisto obbligatorie di strumenti finanziari, in M. PASSALACQUA (a cura di),
Interessi pubblici e integrazione di imprese, Università degli Studi di Pisa, Collana “Jura Oeconomia”, Pisa, 2005.
245 Nella maggior parte dei paesi industrializzati la discplina del procedimento di Opa è tesa a garantire
trasparenza, serietà e correttezza dell’operazione. Nella fase iniziale di elaborazione di una prima disciplina
dell’offerta pubblica di acquisto, la preoccupazione primaria del legislatore italiano fu soprattutto quella di
accertare se la tecnica dell’Opa, così come risultava congegnata nel nostro mercato, potesse considerarsi idonea a
stabilire corretti e soddisfacenti rapporti tra imprese e pubblico dei risparmiatori: quei rapporti sulla cui stabilità e
solidità doveva fondarsi qualsiasi tentativo di migliorare l’efficienza del mercato azionario; in merito cfr. F.
CESARINI, Le offerte pubbliche di azioni nell’esperienza italiana (1961-marzo 1973), in Riv. soc., 1973, p. 165. Nei
principali ordinamenti stranieri, peraltro, sono riscontrabili posizioni sostanzialmente diverse con riguardo ai
- 72 -
L’offerta pubblica di acquisto è, in senso stretto, una particolare tecnica negoziale di
acquisizione di strumenti finanziari sul mercato dei capitali, che si perfeziona attraverso un
complesso iter procedimentale, suddiviso in una serie di fasi necessarie la cui successione
consente di pervenire alla stipula di un valido contratto di compravendita. L’iter inizia con la
proposta contrattuale rivolta ad incertam personam dall’offerente, raccolta in un documento, reso
pubblico, contenente gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione la proposta è
diretta; prosegue con le adesioni degli oblati, i quali accettano incondizionatamente la proposta
contrattuale; e termina, in caso di successo, con il passaggio di proprietà degli strumenti
finanziari oggetto dell’offerta ed il pagamento del corrispettivo.
La caratteristica principale dell’Opa rispetto agli altri strumenti che permettono il
ricambio del controllo di una società (fusione o trattativa privata con l’azionista di
maggioranza) sta nel fatto che la medesima può essere promossa anche contro la volontà del
gruppo di comando della società target. Quando ciò avviene, l’operazione prende il nome di
offerta ostile o aggressiva (hostile takeover); quando, al contrario, il lancio dell’offerta è preceduto
(o seguito) dall’approvazione del management della società bersaglio, si parla di offerta
amichevole (friendly takeover). L’offerta pubblica, infatti, si è largamente diffusa anche nella sua
versione “negoziata”, come operazione concordata tra il gruppo offerente e il gruppo di
controllo della società.
3. L’opera di razionalizzazione e di semplificazione dell’impianto della disciplina sulle Opa nel T.u.f.
Definizione del campo di indagine.
Le nuove regole relative alle offerte pubbliche di acquisto, introdotte con l’emanazione
del Testo unico della finanza, costituiscono, indubbiamente, una disciplina che innova in
maniera radicale il sistema normativo previgente246, sia per il profilo sistematico che per quello
dei contenuti precettivi.
diritti degli azionisti di minoranza in caso di offerte pubbliche di acquisto che comportino l’acquisizione del
controllo di una società. Secondo un primo approccio (c.d. Market Rule) l’ordinamento non interviene nelle scelte
del mercato (Stati Uniti), mentre secondo altri filoni di studio (Equal Opportunity Rule) la regolamentazione
dell’Opa deve essere volta a perseguire il principio di pari opportunità economiche fra azionista di maggioranza ed
azionisti di minoranza, disponendo l’obbligo – a carico di chi acquisisca il controllo di una società (o superi una
determinata soglia quantitativa di partecipazione al capitale della società con diritto di voto) – di lanciare un’offerta
pubblica di acquisto nei confronti di tutti i portatori dei titoli della società (Inghilterra, Francia e Italia) ad un
prezzo che include in tutto o in parte il “premio di controllo” (ossia il prezzo pagato al precedente controllante,
normalmente più alto di quello di mercato delle azioni). In particolare, in base all’esperienza francese si possono
distinguere tre finalità. L’Opa può consentire un investimento minoritario di portafoglio (offre de placement ) senza,
in tal modo, turbare il mercato. L’Opa serve, talvolta, a rafforzare il controllo (offre de retrait, de nettoyags, de fermeteur
du capital ), sia per mettersi al riparo da attacchi altrui, sia per inserire definitivamente la società nel gruppo,
eliminando le pretese dei minoritari. Infine, l’Opa, nelle società quotate, rappresenta lo strumento più imparziale
per acquistare il controllo, onde è soprattutto questo profilo che ispira ormai la regolamentazione dei paesi più
progrediti; sul punto crf. R. WEIGMANN, Offerte pubbliche di acquisto (OPA), in Enc. Giur., XXI, Roma, 1990, p. 1.
“Se effettivamente offerta di acquisto ed offerta di scambio siano suscettibili di una disciplina omogenea dovrà
essere argomento di attenta meditazione (l’esperienza francese – come già si è notato – sembrerebbe deporre per
una regolamentazione ampiamente differenziata)”, così P.G. MARCHETTI, L’offerta pubblica di acquisto in Italia, in
Riv. soc., 1971, p. 1164.
246 Da anni, negli ordinamenti finanziari più evoluti, il fenomeno dell’Opa aveva assunto un’enorme
rilevanza. Basti pensare che le offerte pubbliche a fine di controllo (take-over bid) erano state impiegate nel Regno
Unito e negli Stati Uniti già negli anni Quaranta, quale tecnica per ottenere il controllo senza dover seguire il
tradizionale procedimento di fusione. Al contrario, vigeva in Italia un diffuso scetticismo circa la possibilità che
l’Opa potesse radicarsi anche nel nostro Paese quale normale e frequente tecnica di concentrazione. Per un’analisi
comparativa sulla disciplina legale, professionale e sulla prassi delle offerte pubbliche all’epoca vigente negli Stati
membri della Comunità Europea cfr. A. FERRARA, Disciplina e prassi operative nelle offerte pubbliche di acquisto; alcune
- 73 -
Le decisioni fondamentali sulla società oggetto di Opa vengono lasciate nelle mani degli
azionisti, la cui tutela è rafforzata dalla previsione di specifiche condizioni di obbligatorietà
dell’Opa e da stringenti vincoli di trasparenza e di frequenza delle comunicazioni sociali, che
danno al mercato e agli operatori maggiore copia di informazioni per una corretta valutazione
economica dei termini di ciascuna operazione.
La disciplina delle Opa delineata dal Testo unico della finanza, che ha recepito i principi
ispiratori della tredicesima direttiva comunitaria sulla legislazione societaria e dei più evoluti
ordinamenti esistenti in Europa247, può, infatti, considerarsi innovativa sotto molteplici aspetti;
esperienze estere a confronto con il caso italiano, L’intermediazione finanziaria in evoluzione, Milano, 1987, p. 426 ss.; R.R.
PENNINGTON, Relazione sulle offerte pubbliche di acquisto di titoli a fini di controllo e sulle altre offerte pubbliche, in Riv. soc.,
1975, p. 730 ss. In particolare, l’esperienza straniera di quegli ultimi anni aveva posto in luce quali erano le
profonde ripercussioni economiche e finanziarie che l’offerta pubblica era in grado di generare, gli abusi che ad
essa si accompagnavano in assenza di un’adeguata regolamentazione del fenomeno, ma anche e soprattutto la sua
peculiare duttilità come tecnica di concentrazione e i notevoli vantaggi che ne potevano derivare a favore del
pubblico dei risparmiatori; in tal senso cfr. F. CESARINI, Le offerte pubbliche di azioni nell’esperienza italiana (1961marzo 1973), in Riv. soc., 1973, p. 165 ss.; A. JANNUZZI, Offerte al pubblico di acquisto o vendita di azioni, in La riforma
delle società per azioni e della borsa valori, Milano, 1976, p. 115 ss.; M. SCHLESINGER, La riforma Draghi: Le novità per
le società quotate, in Il Corr. Giur., n. 4/1998, p. 449 ss. In Italia, al l’aspetto patologico tendeva a prevalere quale
carattere tipico dell’offerta pubblica d’acquisto. Il fenomeno dell’Opa in veste “aggressiva” si manifestò per la
prima volta nel 1971, quando un gruppo internazionale tentò l’acquisto della finanziaria Bastogi. Tale operazione
si configurò come una scalata di posizioni di potere e come manovra di borsa per la tutela di interessi di parte e
per l’accaparramento di nuovi privilegi. Per un primo commento v. P.G. MARCHETTI, L’offerta pubblica di acquisto
in Italia, cit., p. 1155 ss.; CATTANEO e CORALLINI, Le Opa e l’affare Bastogi, Perugia, 1972. Inoltre, per
un’analisi delle problematiche emerse nel corso della c.d. “guerra del vetro” per il controllo della Saint Gobain v.
G. MINERVINI, Un Take Over Bid clamoroso alle porte di casa nostra (l’affare Saint Gobain), in Riv. dir. civ., 1969, II, p.
545 ss. Negli ambienti interessati, la preoccupazione dominante risultava essere quella di prevenire gli abusi ed i
pericoli che erano insiti nella tecnica del takeover. Questo approccio non consentiva però di prendere nella dovuta
considerazione (valorizzare) anche e soprattutto i benefici che da essa potevano derivare. Ciò rendeva comunque
necessario incanalare la tecnica dell’Opa nell’alveo di una disciplina specifica in grado di regolarne gli innumerevoli
aspetti problematici. Per un’analisi, seppure in estrema sintesi, dei lineamenti caratterizzanti la previgente
disciplina, con riguardo soprattutto ai principali nodi ermeneutica posti dalla stessa, sia permesso rimandare a L.
SCIPIONE, L’evoluzione della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto, in G. FALCONE, G. ROTONDO e L.
SCIPIONE (a cura di), Le offerte pubbliche di acquisto, Milano, 2001, p. 7 ss. In merito cfr. pure A. MIGNOLI,
Riflessioni critiche sull’esperienza dell’Opa: idee, problemi, proposte, in Riv. soc., 1986, p. 1 ss.; R. WEIGMANN, Offerte
pubbliche di acquisto (OPA), cit., p. 2. Sul tema si veda, inoltre, F. CESARINI, op. cit., p. 145 ss.; A. ASTOLFI, Offerta
pubblica di acquisto, in CARNEVALI (a cura di), Diz. Dir. Priv., Irti, II, Diritto Commerciale e Industriale, Milano, 1981,
p. 646 ss.
247 Le norme che regolano l’offerta pubblica d’acquisto in Italia sono assolutamente simili a quanto
prevedono le legislazioni britannica e francese: seguono la stessa logica, hanno le stesse caratteristiche e regole
quasi uguali.
Il Regno Unito vanta senza dubbio la disciplina più accurata e moderna delle offerte pubbliche di acquisto
nel panorama europeo. Le Opa in Gran Bretagna, infatti, hanno visto emergere un’autoregolamentazione di
categoria che fa perno su un codice etico, di cui l’autodisciplina professionale e il tipico fair play britannico sono i
tratti distintivi (sui takeover bids in Gran Bretagna e sulle connesse problematiche di carattere giuridico ed
economico si segnalano in particolare le seguenti opere: AA.VV., The City Take-over Code, a cura di JOHNSTON,
Oxford, 1980; M.A. WEINBERG e M.V. BLANK, Take-overs and Mergers, London, 1979; R.W. MOON, Business
Mergers and Take-overs Bids, London, 1976, AA.VV., Reading on Mergers and Takeovers, a cura di SAMUELS, London,
1972; A. SINGH, Take-overs: their relevance to the Stock Market and the Theory of the Firm, Cambridge, 1971).
Come si vede, infatti, la formazione di un codice creato dai privati per la tutela delle proprie esigenze di
classe attribuisce primaria rilevanza alla posizione della massa degli investitori che costituiscono l’asse portante del
sistema in cui tale classe opera. Si cerca, quindi, di alimentare la fiducia del risparmiatore nella borsa, ponendo
quale fondamento generale dei rapporti che si realizzano con l’intervento degli operatori professionali il principio
della parità di trattamento. Al riguardo cfr. E. LAPLANTE e P. ROUAST BERTIER, The exclusion of minority
shareholders, in A legal guide to France, Suppl. Int. Fin. L. Rev., 1995, p. 30 ss.; G.K. MORSE, The City Code on Takeovers
and Mergers – Self Regulation or Self Protection?, in J. Bus. L., 1991, p. 509; F. HEATON, The Panel on Takeovers and
Mergers, in AA.VV., A Practitioner’s Guide to the City Code on Takeovers and Mergers, London, 1994, p. 13 ss; ed ancora
LORD ALEXANDER of WEEDON, Takeovers: The Regulatory Scene, in J. Bus. L., 1990, p. 211.
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essa è ispirata a principi chiaramente individuati e realizza tra di essi un bilanciamento nuovo e
più orientato al mercato248. Quale conseguenza di questo mutato approccio, sotto il profilo dei
“presupposti” dell’offerta, la normativa vigente, facendo tesoro della sofferta evoluzione
precedente, si è consolidata, o meglio polarizzata, attorno ai due istituti dell’offerta volontaria,
di carattere preventivo, e di quella obbligatoria, di carattere successivo, di cui si tratterà in
maniera più diffusa nel capitolo seguente249.
Il legislatore opportunamente distingue, nell’ambito della disciplina generale sull’appello
al pubblico risparmio (Titolo II della parte IV), quella sulla offerta al pubblico di sottoscrizione
e vendita250, contenuta nel capo I, da quella sulle offerte pubbliche di acquisto o di scambio,
contenuta nel capo II (artt. 102-112). Secondo una tecnica legislativa che è stata definita a
“doppio binario”, quest’ultimo capo è poi suddiviso in due sezioni, la prima dedicata alle
“disposizioni generali” (artt. 102-104), la seconda alle “offerte pubbliche di acquisto
obbligatorie” (artt. 105-112)251. Le disposizioni generali, che concernono non solo
l’informazione, ma anche le caratteristiche dell’offerta, il procedimento e le regole di
comportamento che devono essere osservate dai vari soggetti interessati, sono applicabili a
tutte le Opa aventi come oggetto prodotti finanziari diffusi tra il pubblico252.
Per contro, le disposizioni in tema di offerte pubbliche di acquisto obbligatorie (in cui,
peraltro, sono enunciate le nuove tipologie di Opa: totalitaria, preventiva, residuale) si
applicano limitatamente alle acquisizioni di azioni ordinarie quotate in mercati regolamentati
italiani.
248 Cfr. C. DE GENNARO e R. RICCI, Studio dei casi più significativi di applicazione della legge sulle offerte
pubbliche di acquisto (L.149/92) dalla sua entrata in vigore ad oggi, Roma, 1996. L’attenzione degli studiosi si sofferma
principalmente sulla ricaduta della disciplina dell’Opa riguardo a tre tematiche, relative agli accordi parasociali, alla
circolazione all’interno del gruppo, ai rapporti di controllo ed ai patti di sindacato, che sono tutte significative con
riferimento al problema dell’efficiente allocazione della proprietà. In Italia, la disciplina delle offerte pubbliche di
acquisto è stata introdotta dalla legge n. 216/74 (artt. 18 e ss.), successivamente integrata dagli artt. 9-37 della legge
n. 149/92 che regolava specificamente le offerte pubbliche di acquisto o scambio aventi ad oggetto titoli (azioni,
obbligazioni, ecc.) con diritto di voto e quotati in borsa o negoziati al mercato ristretto. Diversamente le Opa
relative a titoli non quotati venivano assoggettate unicamente alla disciplina generale sulla sollecitazione al pubblico
risparmio di cui alla legge n. 216/74. Il quadro normativo preesistente veniva poi complicato dall’affermazione, in
linea di principio, di un rapporto di specialità fra regolamentazione delle offerte pubbliche di acquisto e scambio e
quella di carattere generale sulla sollecitazione. In altre parole, dal combinato disposto di tali norme si ricavava lo
“statuto generale delle offerte pubbliche”. In dottrina cfr. M. CALLEGARI, Commento sub art. 102, in La legge
Draghi e le società quotate in borsa, diretto da G. COTTINO, Torino, 1999, p. 3; in merito cfr. anche M. DRAGHI,
Audizione parlamentare 10 dicembre 1997, davanti alla Commissione Finanze e Tesoro della Camera dei Deputati, in Riv. soc.,
1998 , p. 190. Sui problemi di coordinamento della precedente disciplina cfr. E. RIGHINI, Commento sub art. 9, in
R. COSTI (a cura di), Disciplina delle offerte pubbliche di vendita, sottoscrizione, acquisto e scambio di titoli. Nuove leggi civili e
commentate, 1997, p. 93 ss.
249 Il Testo Unico dei mercati finanziari ha riaffermato l’obiettivo della contendibilità del controllo
proprietario sotto i vincoli della tutela degli azionisti di minoranza e di un livello adeguato di stabilità dei mercati,
eliminando, inoltre, alcuni punti poco chiari della vecchia normativa. Al riguardo, si segnala, in particolare, lo
studio di G. ROMAGNOLI, Tutela dell’investitore e dell’azionista tra spinte propulsive e resistenze: il caso della disciplina delle
Opa obbligatorie, in Nuova giur. civ. comm., 2002, II, p. 504 ss.
250 L’intero Capo I (artt. 93-bis – 101) del T.u.f., prima intitolato “sollecitazione all’investimento”, è stato di
recente sostituito dall’art. 3 del d.lgs. n. 51 del 28 marzo 2007 (riguardante l’attuazione della direttiva n.
2003/71/CE relativa al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di
strumenti finanziari, che modifica la direttiva n. 2001/34/CE), pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 23 aprile 2007.
251 Sul punto cfr. M. DRAGHI, Audizione parlamentare 10 dicembre 1997, cit., p. 199; P. ANELLO e S.
RIZZINI BISINELLI, D.Lgs. 58/1998. Sollecitazione all’investimento e offerta pubblica di acquisto, in Le società, 1998, p.
542 ss.; R. D’AMBROSIO, Commento sub artt. 102-112, in C. RABITTI BEDOGNI (a cura di), Il Testo unico
dell’intermediazione finanziaria, Commentario al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Milano, 1998, p. 583 ss.; S.
PROVIDENTI, Appello al pubblico risparmio, in L. LACAITA e V. NAPOLEONI (a cura di), Il Testo unico dei mercati
finanziari, Milano, 1998, p. 33.
252 Per un commento critico cfr. F. CARBONETTI, La nuova disciplina delle offerte pubbliche di acquisto, in Riv.
soc., 1998, p. 1352 ss.
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Quanto all’iter procedurale, questo ricalca la disciplina previgente, articolandosi in obblighi
informativi a carico dell’offerente e poteri dell’organo di vigilanza di chiedere notizie integrative
ed autorizzare, se del caso, l’Opa. Per quanto concerne, invece, la regolamentazione degli
aspetti sostanziali dell’operazione, il Testo Unico prevede l’irrevocabilità dell’offerta, garantisce
la parità di trattamento di tutti gli azionisti e tutela adeguatamente la posizione degli aderenti
nei casi di offerte pubbliche concorrenti.
Per altro, il legislatore ha introdotto un’ampia delegificazione nella parte relativa al
procedimento di offerta, limitando il proprio intervento all’enunciazione di norme di principio
e al riequilibrio, rispetto alla disciplina previgente, delle posizioni dei soggetti coinvolti
(offerente, emittente ed eventuali offerenti successivi)253.
In materia di Opa obbligatoria, invece, la legge si limita ad indicare i casi in cui l’obbligo
di Opa ricorre, sebbene ne individui in modo circostanziato i presupposti applicativi e gli
effetti.
La Consob, dal canto suo, dispone di un potere generale di adottare disposizioni
attuative di quelle primarie (art. 112 T.u.f.)254, e interviene nella disciplina di alcuni aspetti già
puntualizzati nei tratti essenziali dalle norme di rango primario255. È poi chiamata ad esercitare i
poteri attribuitile dal legislatore, avendo riguardo alla tutela degli investitori nonché
all’efficienza e alla trasparenza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali
(art. 91 T.u.f.)256.
4. Gli obblighi informativi connessi allo svolgimento di un’offerta pubblica di acquisto.
La questione più delicata e complessa legata alle Opa bancarie è certamente quella
concernente la procedura informativa necessaria per il lancio di un’offerta pubblica d’acquisto
253 La Consob ha provveduto all’incarico attribuitole dal legislatore, normando in particolare la disciplina
delle Opa con il regolamento adottato con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999. La “delegificazione”
rappresenta, sotto questo profilo, un passo avanti rispetto al sistema della legge n. 149 del 1992, cristallizzato per
buona parte in disposizioni di rango primario quindi più difficilmente adeguabili alle esigenze applicative. Ne
risulta, pertanto, oltremodo ampliata la potestà normativa della Consob, in conformità con gli orientamenti
stranieri considerati “finanziariamente più evoluti”; così R. LENER, La nuova disciplina delle offerte pubbliche di acquisto
e scambio, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 243.
254 Sul ruolo del giudice amministrativo nella regolazione del mercato finanziario e sul suo sindacato in
merito all’operato delle Autorità di vigilanza cfr., in particolare, G. PRESTI e M. RESCIGNO, La decorrenza della
passivity rule tra delegificazione e sindacato giurisdizionale, in Banca borsa tit. cred., 2000, II, p. 133 ss.; M. RESCIGNO, La
Consob: un legislatore-giudice dimezzato?, in Stato e mercato, 2001, p. 107 ss.; F. DENOZZA, Discrezione e deferenza: il
controllo giudiziario sugli atti delle autorità indipendenti “regolatrici”, in Mercato concorrenza regole, 2000, p. 486 ss.; M.
CLARICH, Il controllo del giudice sull’atto dell’Authority non si deve considerare un’interferenza indebita, in Guida al diritto,
1999, n. 44, p. 103 ss.
255 Sul punto v. R. WEIGMANN, La nuova disciplina delle Opa, in AA.VV., La riforma delle società quotate, Atti
del Convegno di Santa Margherita Ligure 13-14 giugno 1998, Milano, 1998, p. 197; in senso conforme cfr. anche
R. D’AMBROSIO, op. cit., p. 594.
256 Cfr. per tutti F. CAPRIGLIONE, Commento sub art. 91 T.u.f., in G. ALPA e F. CAPRIGLIONE (a cura
di), Commentario al Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, cit., p. 839 ss., per il quale:
“L’emanazione del t.u. della finanza segna una tappa fondamentale nel processo evolutivo della Consob: definisce
con chiarezza la sfera dei relativi poteri e fornisce elementi inequivoci per la ricostruzione della sua posizione
istituzionale. A tale ente viene attribuito, infatti, un ruolo di primario rilievo nel quadro autoritativo del vertice
deputato al controllo dell’ordinamento finanziario e degli emittenti. Una migliore specificazione delle finalità
pubblicistiche a base della sua azione e, conseguentemente, una più decisa caratterizzazione funzionale dell’attività
da essa svolta individuano la premessa logico-sistematica per la configurabilità di un << cambiamento >>, che
incide sulla sfera complessiva dei rapporti che ad essa fanno capo e che appare destinato ad avere ripercussioni
anche sulla sua organizzazione”.
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e il connesso problema della decorrenza della passivity rule, come testimoniano l’ampio dibattito
dottrinario e le pronunce giurisprudenziali in proposito.
Sul versante della disciplina di mercato, le regole procedurali, di trasparenza e di
correttezza da rispettare nel caso di lancio di un’offerta pubblica d’acquisto si desumono dal
combinato disposto della legge Draghi, agli artt. 102 e 103 del T.u.f., e del Regolamento
Emittenti emanato dalla Consob.
I primi due commi dell’art. 102 disciplinano gli obblighi cui sono tenuti gli offerenti
sotto il profilo dell’informativa da fornire sia al mercato in generale, sia specificamente alla
Consob. Il primo comma prevede che chiunque effettui un’offerta pubblica di acquisto o di
scambio è tenuto a darne preventiva comunicazione alla Consob ed a pubblicare apposito
documento informativo, contenente le informazioni necessarie per consentire ai destinatari di
pervenire ad un fondato giudizio sull’offerta (art. 102, comma 1, T.u.f.). In questa ipotesi non è
prevista alcuna autorizzazione, ma solo un “nulla-osta” alla pubblicazione del documento
d’offerta (art. 102, comma 2, T.u.f.).
Nell’ambito di un’offerta pubblica di acquisto la comunicazione, contenente i tratti
essenziali dell’operazione, che l’offerente effettua contestualmente alla Consob, al mercato e
all’emittente, riveste un ruolo di assoluta centralità. A detta comunicazione si accompagnano il
documento d’offerta (il c.d. “prospetto informativo”) e la scheda di adesione, redatti secondo
le prescrizioni dettate dalla Commissione di vigilanza257.
Seppur da taluni definito lacunoso, il procedimento delineato dalla legge è lineare: la
prima fase – quella che va dalla comunicazione alla Consob della bozza di documento sino alla
pubblicazione del medesimo – si svolge all’oscuro della società emittente e del mercato, ne è a
conoscenza solo l’autorità di vigilanza. La seconda fase è quella vera e propria di svolgimento
dell’offerta, che “pende” dalla pubblicazione del documento, momento che determina
l’insorgere di una serie di obblighi di comportamento a carico della società emittente (art. 103
T.u.f.) e di tutti i soggetti interessati all’offerta, compreso il divieto per il management di porre in
essere misure anti-scalata ai sensi dell’art. 104 T.u.f.258
Nessuna rilevanza attribuisce il legislatore all’intenzione di lanciare un’offerta pubblica,
intenzione che è stata invece presa in considerazione dal regolamento in materia di emittenti
emanato dalla Consob sulla base del potere conferitole dall’art. 103, comma 4, T.u.f.259 Nella
prima redazione, la Commissione aveva privilegiato una interpretazione del Testo unico
funzionale alla repressione dei fenomeni di insider trading, e aveva pertanto stabilito l’obbligo di
immediata comunicazione (“senza indugio”) degli elementi essenziali dell’offerta, a far data
almeno dalla decisione degli amministratori della società offerente e prima della presentazione
del documento di offerta, con la conseguente decorrenza della passivity rule da quel momento260.
Cfr. G.G. SALVATI, Le modifiche al regolamento Consob sulla disciplina degli emittenti tra istanze emerse nella
prassi applicativa e la direttiva dell'UE sull'OPA, in Archivio ceradi, Roma, 2000, p. 20.
258 Affinché sia garantita la trasparenza dell'intero svolgimento dell'Opa nell'ambito dell'Unione Europea,
la direttiva n. 2004/25/CE introduce diverse disposizioni, fra cui l'obbligo di rendere immediatamente pubblica la
decisione di promuovere un'offerta e di informare l'autorità di vigilanza, al fine di limitare la possibilità di abuso di
informazioni privilegiate (art. 6, §. 1, e XII° considerando della direttiva). Inoltre, affinché i possessori dei titoli
siano adeguatamente informati sul contenuto dell'offerta, il secondo comma dell'art. 6 della direttiva prevede
l'obbligo della redazione e della pubblicazione di un tempestivo documento d'offerta contenente le informazioni
necessarie per permettere una decisione consapevole al riguardo.
259 Valuta negativamente la comunicazione della semplice intenzione, oltre che alla Consob, anche al
mercato e all’emittente R. COSTI, Il mercato mobiliare, Torino, 2000, p. 73.
260 Cfr. F. VELLA, La nuova passivity rule nella disciplina delle offerte pubbliche di acquisto: alla ricerca di un difficile
equilibrio, in Banca impr. soc., 2000, p. 159; G. ROMAGNOLI, Le norme su Opa e Ops nel regolamento Consob sugli
emittenti, in Le società, 1998, p. 1254 ss. La precedente versione dell’art. 37, comma 1, di cui si discute, precisava che
la comunicazione doveva essere effettuata “senza indugio”, fuori dall’orario di negoziazione, contestualmente al
mercato, all’emittente e alla Consob. Il secondo comma stabiliva, poi, che “la comunicazione (...) è completa e
prende data, ai fini dell’art. 102, comma 2, del Testo Unico, dalla ricezione del documento di offerta e della scheda
257
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Va inoltre rilevato che la comunicazione doveva ritenersi completa e prendeva data ai
fini della decorrenza del termine di 15 giorni stabilito dall’art. 102, comma 2, T.u.f., solo con la
ricezione da parte della Consob del documento d’offerta, della scheda di adesione e della
documentazione concernente la garanzia e l’avvenuto rilascio delle necessarie autorizzazioni. Il
secondo comma dell’art. 37 del reg. emittenti, ipotizzando il caso di comunicazione incompleta
(per difetto di allegazione del documento di offerta, delle scheda di adesione, della
documentazione concernente le garanzie o le autorizzazioni), procrastinava il termine entro cui
la Consob poteva chiedere all’offernte eventuali integrazioni delle informazioni fornite261.
A ciò si aggiunga che la suddetta interpretazione era alla base anche dell’art. 35 del
regolamento, rilevantissimo in quanto forniva, al punto c), la definizione di “periodo d’offerta”.
Questo veniva fatto decorrere dalla data della “prima comunicazione” al mercato,
sottolineando, così, ancora una volta, la possibile antecedenza di detta comunicazione rispetto
al deposito del documento d’offerta. Il regolamento n. 11971/99 ricorre espressamente a tale
definizione negli artt. 41, comma 1, e 42, comma 2, al fine di specificare l’ambito temporale
entro il quale i soggetti interessati devono rispettare gli speciali obblighi di trasparenza e
correttezza posti a loro carico262.
di adesione (...) nonché dalla documentazione concernente la garanzia e l’avvenuto rilascio delle necessarie
autorizzazioni....”.
261 Cfr. CONSOB, Note tecniche in materia di disciplina delle offerte pubbliche di acquisto e di scambio, p. 5. Per un
confronto rispetto alla precedente impostazione adottata con il Regolamento di attuazione di cui alla Delibera
Consob 3 giugno 1992, n. 6237, cfr. G. COTTINO, Offerte pubbliche di acquisto o di scambio, in Quaderni di Giur. it.,
1999, p. 8 ss., nota 31. L’orientamento espresso dalla Commissione di vigilanza, in via regolamentare e
interpretativa, aveva dunque dato origine ad una prassi invero diversa dall’interpretazione logica della norma, e
che si scindeva in due adempimenti distinti anche dal punto di vista temporale. Il primo coincideva con l’invio
della “prima comunicazione” che l’offerente doveva effettuare non appena assunta la decisione di lanciare
l’offerta. Una volta adempiuto questo obbligo e sempre che la comunicazione presentasse il contenuto minimo
determinato dalla Consob, scattavano le regole di trasparenza e correttezza. Il secondo, invece, corrispondeva al
deposito del documento d’offerta, della scheda di adesione, della documentazione concernente la garanzia e
l’avvenuto rilascio delle necessarie autorizzazioni. L’autorità di vigilanza qualificava il documento d’offerta come
un elemento accessorio di carattere formale, la cui mancanza non era di per sé ostativa alla produzione degli effetti
della comunicazione d’offerta, anche se questa deve essere poi completata da detti elementi. Pertanto, il
procedimento di offerta si doveva ritenere giuridicamente aperto con la prima comunicazione e non già con la
seconda. In merito cfr. CONSOB, Comunicazione n. DIS/99013832 del 27 febbraio 1999; ID, Comunicazione n.
DIS/99071599 del 2 ottobre 1999. Sul punto v. pure il commento di R. RICCI, Perché sia Opa non basta un
comunicato, in Il Sole 24 Ore, 25 febbraio 1999, p. 2. In senso molto critico sulla decisione della Consob, v. V.
SALAFIA, op. ult.cit., p. 393 ss.; L.G. PICONE, op. cit., p. 138 s. Reputano, invece, che sulla base del regolamento
Consob la passivity rule debba scattare fin dal momento della prima comunicazione: M. CALLEGARI, Commento
sub art. 104, in G. COTTINO (diretto da), La legge Draghi e le società quotate in borsa, Torino, 1999, p. 31; E.
DESANA, Commento sub art. 103, in G. COTTINO (diretto da), cit., p. 31; P.A. SPITALERI, La disciplina delle
offerte pubbliche, in A. PATRONI GRIFFI, A. SANDULLI e V. SANTORO (a cura di), Intermediari finanziari mercati
e società quotate, Torino, 1999, p. 647, nota 9. Secondo R. SABBATINI, Consob fa tesoro dell’Opa Telecom, in Il Sole 24
Ore, 24 marzo 1999, p. 4, “la nuova procedura ha sostanzialmente rafforzato l’importanza e le implicazioni del
momento iniziale dell’iter di un’offerta pubblica, quello nel quale uno scalatore manifesta le sue intenzioni (…). La
Consob ha voluto anticipare, nei suoi regolamenti e con la gestione della vicenda Telecom, l’avvio della fase
“pubblica” di una scalata al fine di contenere le possibili violazioni della disciplina sull’insider trading”.
262 V. ancora CONSOB, Comunicato stampa del 2 ottobre 1999. Anche nella vicenda relativa all’Opa InaGenerali, la Consob, ribadendo quanto già aveva avuto modo di stabilire in relazione all’Opa Telecom,
sottolineava l’idoneità della comunicazione di cui all’art. 37, comma 1, reg. ad avviare il “periodo d’offerta” e a
produrre gli effetti previsti dalla normativa in materia di Opa tra cui l’applicazione della passivity rule, qualora la
comunicazione fosse in grado di esprimere – come la Consob aveva ritenuto nella fattispecie – una “ferma
intenzione di promuovere l’offerta” e contenesse “gli elementi essenziali di essa”. D’altronde, aggiungeva la
Consob, “il rinvio ad un momento successivo dell’inizio di efficacia dell’obbligo di astensione vanificherebbe di
fatto la portata di tale obbligo e non assicurerebbe il contemperamento, voluto dalla legge, tra interesse alla
contendibilità ed esigenze della società che è oggetto dell’offerta”. Alle scelte normative della Commissione non
sembrava estranea, in particolare, la volontà di attuare, in una prospettiva de iure condendo, taluni principi della
Proposta di XIII direttiva comunitaria in materia di offerte pubbliche di acquisizione, come lasciano intuire G.
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4.1. (Segue): La nuova disciplina del procedimento di offerta.
La prassi applicativa del regolamento e le incertezze ora richiamate hanno costituito
pertanto il motore delle modifiche introdotte con la delibera Consob n. 12745/2000, che
recepisce le indicazioni della giurisprudenza amministrativa.
La novità saliente che la rinnovata formulazione del dato normativo introduce è infatti
rappresentata dal venir meno della procedura informativa bifasica: nella versione attuale, l’art.
37, prevedendo che alla comunicazione siano allegati documento d’offerta e scheda di
adesione, impone chiaramente la contestualità dei tre atti. Gli unici elementi che possono
essere rinviati ad un secondo momento sono le autorizzazioni necessarie all’acquisto delle
partecipazioni e l’emissione di strumenti finanziari da offrire in corrispettivo (nel caso di Ops),
purché la comunicazione indichi che è stata presentata la richiesta dei “nulla osta” alle autorità
competenti e che è stata deliberata la convocazione dell’assemblea chiamata a decidere in
merito all’emissione degli strumenti finanziari da offrire in cambio: si tratta di aspetti la cui
definizione, in genere lunga e complessa, dilaterebbe ingiustificatamente i tempi
dell’informativa.
Sul momento in cui va effettuata la comunicazione non sembrano esservi dubbi, in
quanto l’art. 102 T.u.f. fa riferimento ad una decisione concreta del consiglio di
amministrazione; sarà interesse dell’offerente far coincidere tale delibera con la predisposizione
del documento d’offerta263.
E’ stato eliminato, inoltre, il riferimento al periodo d’offerta, censurato dal Consiglio di
Stato, sostituito nel nuovo testo dall’espressione “periodo intercorrente fra la data della
PRESTI e M. RESCIGNO, op. cit., p. 142 s. Sempre secondo la Consob “ogni eventuale rinvio, implicando il
mutamento delle condizioni enunciate nel comunicato che apre il periodo d’offerta che fa sorgere l’obbligo di
astensione per la società emittente, segnerebbe un inammissibile momento di discontinuità rispetto a quanto in
detto comunicato enunciato e sposterebbe ingiustificatamente i termini di riferimento dell’indicato obbligo di
astensione”.
263 Alcune perplessità erano state sollevate anche con riguardo al momento in cui sorgesse l’obbligo di
effettuare tale comunicazione, dato che nulla dice(va) in merito il Testo Unico, né tanto meno era di aiuto il
regolamento Consob. In effetti, la decisione di promuovere un’offerta pubblica di acquisto richiede del tempo,
necessario affinché l’offerente possa svolgere tutta una serie di attività preparatorie al lancio della medesima. Si è
ritenuto, pertanto, che l’offerente sia obbligato a promuovere l’offerta soltanto nel momento in cui l’organo di
amministrazione abbia concretamente assunto la formale e definitiva deliberazione di voler procedere all’offerta, e
non prima, durante il corso dell’attività preparatoria. Ad ulteriore conferma di tale interpretazione, la stessa
Consob, Note tecniche in materia di disciplina delle offerte pubbliche di acquisto e di scambio, p. 4, aveva affermato che
l’obbligo di
immediata comunicazione sorgesse “immediatamente dopo la delibera del consiglio di
amministrazione, nel caso di offerente persona giuridica, e, nel caso di persona fisica, quando fosse decisa la
promozione di un’Opa”. Cfr. sul punto L.G. PICONE, op. cit., p. 25 ss.; contra V. SALAFIA, op. ult. cit., p. 498. Più
precisamente, il momento opportuno affinché la comunicazione avvenga “senza indugio” è stato individuato dalla
maggior parte della dottrina nelle ore immediatamente successive alla deliberazione del consiglio di
amministrazione. Sul punto v. ASSONIME, Circolare n. 13/1999, in Riv. soc., 1999, p. 36; C. MOSCA, Commento
sub art. 104, in La disciplina delle società quotate nel Testo Unico della Finanza, cit., p. 203. In effetti, come sostiene L.
SPAVENTA, La ristrutturazione del sistema bancario italiano, Audizione del Presidente della Consob dinnanzi alle Commissioni
riunite VI del Senato della Repubblica (Finanze e Tesoro) e VI della Camera dei Deputati (Finanze) del 27 aprile 1999,
disponibile sul sito www.consob.it, “il presupposto dell’adempimento dell’obbligo non è l’esistenza di un semplice
progetto in corso di definizione ma di un’iniziativa già uscita dalla fase preparatoria, definita nei suoi elementi
essenziali e deliberata dall’organo competente ad assumerla. In sostanza, la pubblicità obbligatoria dell’intenzione
di lanciare un’Opa interviene nel momento in cui l’operazione progettata entra nella fase della realizzazione e
iniziano ad essere assunte dalle varie parti interessate (offerenti, consulenti, garanti, soggetti chiamati a costituire
consorzi per l’offerta) impegni vincolanti e ad essere poste in essere attività concrete che richiedono il
coinvolgimento di un vasto numero di soggetti”.
- 79 -
comunicazione prevista dall’articolo 102, comma 1, del Testo Unico e la data indicata per il
pagamento del corrispettivo” 264.
Continua ad essere previsto, nel quinto comma dell’art. 37, l’obbligo di estendere “senza
indugio” la comunicazione alla società target ed al mercato, disposizione che non appare in linea
con la riservatezza che si è visto essere connaturata alla prima fase dell’informativa265. Tuttavia,
il contenuto è ora meglio precisato, nel senso che oltre agli “elementi essenziali”, il comunicato
deve indicare “le finalità dell’operazione, le garanzie che vi accedono e le modalità di
finanziamento previste, le eventuali condizioni dell’offerta, le partecipazioni detenute o
acquistabili dall’offerente o da soggetti che agiscono di concerto con lui e i nominativi degli
eventuali consulenti”266.
Nel caso in cui l’emittente sia una società quotata si applica l’art. 66, comma 3, T.u.f.,
relativo agli obblighi di comunicazione sui fatti price sensitive.
Se prima della modifica regolamentare non era chiaro il momento preciso in cui dovesse
avvenie la prima comunicazione, cioè quale fosse il significato dell’espressione “senza indugio”,
ora è evidente che, con l’abrogazione del primo comma del “vecchio” art. 37 reg. emittenti,
non essendo più prevista la comunicazione dell’intenzione di procedere all’offerta267 da inviarsi al
mercato prima del deposito presso la Consob del documento d’offerta, l’obbligo non può
sorgere in presenza di un mero progetto, ma solo dopo che la la decisione di procedere a una
definita operazione sia stata assunta dall’organo di amministrazione dell’offerente.
Peraltro, il ricorrere di tali presupposti consente di individuare nella presentazione dei
documenti alla Consob il momento da cui inizia a decorrere la passivity rule di cui all’art. 104
T.u.f. Sia consentito rilevare come una soluzione del genere, seppur suggerita dal Consiglio di
Stato, non appaia conforme a quanto sostenuto dalla dottrina maggioritaria, la quale, partendo
dal presupposto della riservatezza della prima fase, continua ad individuare nella pubblicazione
del documento d’offerta il momento di decorrenza degli obblighi di passività.
5. Lo svolgimento dell’offerta: irrevocabilità dell’offerta e parità di trattamento.
L’art. 103 T.u.f. esordisce in modo rigido ed imperioso: “L’offerta è irrevocabile. Ogni
clausola contraria è nulla”. Il Testo unico enuncia così il principio della irrevocabilità
Secondo C. MOSCA, Commento sub art. 102, in P.G. MARCHETTI e L.A. BIANCHI (a cura di), La
disciplina delle società quotate nel Testo Unico della Finanza, Commentario, Milano, 1999, p. 215, nell’art. 102, comma 3,
T.u.f, ai fini della decorrenza del potere della Consob di sospendere o dichiarare decaduta un’offerta pubblica, tale
“pendenza” durerebbe dal momento della pubblicazione del documento di offerta fino a quello in cui il risultato
dell’operazione è reso noto al mercato ai sensi dell’art. 41, comma 3, reg. Ancora, per C. MOSCA, Commento sub
art. 104, in La disciplina delle società quotate nel Testo Unico della Finanza, cit., p. 295, nell’art. 104, comma 2, T.u.f., non
va sottovalutato che al fine dell’emanazione delle regole speciali, da stabilire in apposito decreto ministeriale (cfr.
art. 2, d.m. 5 novembre 1998, n. 437), in materia di termini e modalità di convocazione delle assemblee da tenersi
in pendenza d’offerta, questo spazio temporale coinciderebbe, invece, con la “durata dell’offerta” come definita
nell’art. 35, comma 1, lett. b), reg. emittenti.
265 In tal senso v. N. SQUILLACE, Il procedimento delle offerte pubbliche di acquisto, in La nuova disciplina delle
Opa nel Testo Unico della Finanza, Il Sole 24 Ore, Roma, 2000, p. 21.
266 Per un commento al nuovo regolamento v. G. PRESTI, OPA: nuove regole in attesa di una riforma
legislativa?, in Le società, 2000, p. 655 ss.; L.G. PICONE, Le modifiche al regolamento Consob n. 11791/99 in tema di Opa,
Ibidem, p. 1010 ss.; nonché ASSONIME, Circolare n. 71 del 2000, in Riv. soc., 2000, p. 1200, secondo la quale
“nell’adozione delle nuove disposizioni regolamentari non si è in definitiva tenuto conto della specialità della
disciplina dell’Opa rispetto a quella generale sui fatti price sensitive, né l’obbligo di comunicazione al mercato è stato
ancorato – con una formulazione testuale univoca – alla decisione del consiglio di amministrazione dell’offerente
(sia questo quotato o non quotato) con la quale l’operazione sia stata compiutamente definita”.
267 Cfr. P. MONTALENTI, OPA: la nuova disciplina, in Banca, borsa e tit. cred., I, 1999, p. 163, che assegna al
termine “intenzione” il significato di “decisione”.
264
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dell’offerta, il quale era già presente nella precedente disciplina268, così come lo è in tutte le
attuali legislazioni straniere in materia269, tanto che esso è stato definito “requisito essenziale ed
indefettibile”. Le ragioni che giustificano una così ampia diffusione della regola vanno
rinvenute nell’esigenza di impedire manovre speculative270 a danno dei risparmiatori e del
corretto funzionamento dei mercati finanziari.
Il principio dell’irrevocabilità si applica a partire dal momento in cui l’offerta non sia più
sottoposta al vaglio della Commissione, la quale può, a seguito della verifica, richiedere
modifiche ed integrazioni, nonostante che il pubblico sia già informato degli elementi essenziali
dell’offerta medesima.
Non sembra, infatti, ragionevole che l’offerente debba ritenersi obbligato al lancio
dell’Opa, qualunque siano le modifiche richieste dalla Consob.
Nel contempo, è condivisibile l’opinione secondo cui, qualora la Commissione, in seguito
alla comunicazione e al conseguente deposito del documento d’offerta, non richieda alcuna
modifica di quanto depositato, l’offerta è irrevocabile sin dal momento della prima
comunicazione.
Strettamente collegato al suddetto principio, vi sono le offerte condizionate, la cui
disciplina è stata demandata dal legislatore alla Commissione. Quest’ultima ha in merito
ritenuto “di consentire in via generale la possibilità di apporre condizioni all’efficacia dell’offerta”, purché
queste non siano meramente potestative, ossia che non dipendano dalla mera volontà
dell’offerente (art. 40, comma 1, reg. n. 11971/99).
È necessario precisare che l’apposizione di condizioni è possibile solo nel caso di offerte
pubbliche di acquisto volontarie e non di offerte pubbliche di acquisto obbligatorie che, come
tali, hanno natura di contratti imposti e, pertanto, non sono suscettibili di limitazioni derivanti
dall’autonomia privata.
La Consob ha individuato alcune fattispecie esemplificative in cui l’efficacia dell’offerta
può essere validamente subordinata al verificarsi di particolari condizioni, in quanto il loro
avverarsi è indipendente dalla volontà del soggetto offerente: ad esempio è possibile
condizionare l’Opa, in caso di società con limiti statutari al possesso, alla soppressione di tali
limiti; o, nel caso oggetto dell’Opa siano banche popolari costituite in forma di società
cooperativa a responsabilità limitata, condizionare l’Opa alla trasformazione in “società per
azioni”; ovvero ancora, nell’ipotesi di operazioni soggette a comunicazione ad Autorità di
controllo del settore, lanciare una Opa condizionata al rilascio dell’autorizzazione.
L’art. 103, sempre al medesimo comma, enuncia l’ulteriore principio che caratterizza la
disciplina dell’Opa: “l’offerta è rivolta a parità di condizioni a tutti i titolari dei prodotti finanziari che ne
formano oggetto”.
La parità di trattamento (c.d. “equal opportunity rule”) implica non solo l’obbligo di trattare
in modo uguale situazioni uguali, ma anche di trattare in modo diverso situazioni diverse.
Le condizioni saranno differenziate nel caso in cui l’offerta sia rivolta a categorie di
prodotti finanziari eterogenee tra loro: ad esempio, se si lancia un’Opa su tutte le azioni di una
società, si potrà applicare un prezzo diverso per le azioni di risparmio e per quelle ordinarie,
considerando che sono diverse le caratteristiche di questi titoli e i rispettivi prezzi di
quotazione.
268 V. art. 17 legge n. 149/1992. Tale principio era presente anche nel Codice di autoregolamentazione. del
1971 (art. 8).
269 Nel City Code inglese tale requisito era contenuto nella rule 2.7, mentre nella disciplina francese esso era
riportato negli artt. 5.1.4 del Règlement.
270 M. LAMANDINI, I principi del Tuf nelle offerte pubbliche di acquisto e di scambio (art. 103), in G.F.
Campobasso (diretto da), Testo unico della finanza , Torino, 2002, p. 878 ss.
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Questo principio si applica a tutte le offerte pubbliche di acquisto, indipendentemente
dal fatto che i titoli siano quotati o meno; viceversa, nella precedente disciplina lo stesso
criterio riguardava solo quelle offerte con oggetto titoli quotati.
Da tale principio discendono alcune regole basilari, quali, la best price rule e la pro-rata rule:
Secondo la prima regola, qualora il bidder, in pendenza dell’offerta, acquisti gli strumenti
finanziari ad un prezzo più alto di quello fissato per l’offerta oggetto della stessa, egli dovrà
corrispondere, a tutti coloro che hanno accettato l’offerta, la differenza.
La pro-rata rule, invece, impone all’offerente, nel caso vi siano adesioni maggiori al
quantitativo richiesto, di acquistare la stessa proporzione di titoli da ciascun azionista che abbia
aderito all’offerta. Ad essa si riconosce il pregio di eliminare gli effetti distorsivi del fenomeno,
particolarmente noto alla letteratura economica, della c.d. pressure to tender (“pressione a
vendere”).
6. Il comunicato della società emittente.
Il terzo comma dell’art. 103 T.u.f. dispone che l’emittente i cui titoli sono oggetto di
Opa è tenuto a diffondere un comunicato contenente ogni dato utile per l’apprezzamento
dell’offerta nonché la propria valutazione sull’offerta medesima271. In tal modo, quella che nella
previgente disciplina era configurata come una mera facoltà, viene trasformata nel Testo Unico
della finanza in un vero e proprio obbligo, che consente di garantire agli azionisti della società
bersaglio tutta l’informazione necessaria ai fini della decisione da assumere in merito
all’offerta272. Si ristabilisce così una parità tra offerente ed emittente sotto il profilo degli
obblighi di informazione gravanti su questi ultimi nei confronti degli azionisti273. Inoltre, la
271 La previsione che gli amministratori di una società oggetto di Opa siano tenuti a fornire una valutazione
in merito alla congruità dell’offerta è di derivazione anglosassone. Il City Code on Takeovers and Mergers precisava
(Principio n. 4) che ai soci dovesse essere fornita ogni informazione necessaria per assumere una decisione
ragionata e che (Principio n. 9), nell’esprimere il proprio parere, gli amministratori fossero tenuti a prescindere dai
propri interessi personali, di famiglia o di gruppo, dovendo perseguire esclusivamente l’interesse degli azionisti
complessivamente considerati.
272 Infatti, mentre l’art. 27, comma 3, della legge n. 149 del 1992 si limitava a prevedere la facoltà per la
società bersaglio di diffondere un comunicato contenente ogni dato utile per l’apprezzamento dell’offerta e la
propria valutazione al riguardo, con l’entrata in vigore del T.u.f., tale adempimento costituisce un obbligo per il
consiglio di amministrazione della società bersaglio. L’ostacolo principale al riconoscimento di un dovere per il
consiglio di amministrazione della società target di diffondere il comunicato sull’offerta si attribuiva principalmente
alla sua natura esegetica: esso scaturiva, infatti, dal riferimento espresso dell’art. 27, comma 3, legge 149/1992 e
dall’art. 12 del reg. Opa ad una facoltà, piuttosto che ad un obbligo, di pubblicare il medesimo; così D. REGOLI,
Offerte pubbliche di acquisto e comunicato agli azionisti, Torino, 1996, p. 68, il quale conclude osservando che “le due
citate norme sembrano, cioè, rimettere agli amministratori la libera scelta sul punto se procedere o meno a tale
pubblicazione”. Parimenti, nel disegno della direttiva in materia di Opa, questo documento, cioè il comunicatoparere che gli amministratori devono predisporre e trasmettere agli azionisti, costituisce un mezzo necessario per
assicurare agli oblati un’informazione più completa di quella contenuta nel documento predisposto dal solo
offerente; ed è proprio la presenza di un obbligo per l’offerente di fornire tutte le informazioni necessarie per
valutare l’offerta accanto ad un obbligo di comunicato-parere per gli amministratori della società bersaglio ad
illuminare il senso e la ratio della disciplina che il legislatore comunitario intende far recepire con finalità di
armonizzazione (v. anche art. 9, §. 5, direttiva 2004/25/CE).
273 Per un precedente di tutto rilievo v. CONSOB, Comunicazione n. SOC/RM/93008903 del 27 ottobre
1993, in merito all’offerta pubblica di acquisto promossa dalla Banca Popolare di Verona sulle azioni del Banco di
S. Gimignano e S. Prospero. Nel caso de quo, l’Autorità di vigilanza, attraverso il ricorso alla moral suasion,
richiedeva alla società emittente, ai sensi dell’art. 3, lett. b) e c), della legge 216/1974, la trasmissione di alcuni dati e
la successiva pubblicazione di un vero e proprio comunicato agli azionisti contenente una valutazione ufficiale
dell’offerta da parte del suo consiglio di amministrazione. Questa operazione, infatti, non rientrava nell’ambito di
applicazione della legge n. 149/1992, non essendo le azioni della banca oggetto della scalata né quotate in borsa
né al mercato ristretto. Il testo del comunicato si legge in Il Sole 24 Ore del 16 novembre 1993, p. 30 e in Riv. Soc.,
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norma esclude qualsiasi intervento autorizzativo, o anche solo valutativo, sul comunicato da
parte della Consob274.
Il T.u.f., tuttavia, non fornisce indicazioni puntuali in ordine al contenuto del
comunicato, ma rimette alla Consob il potere di dettare disposizioni in merito. Pertanto, il
regolamento emittenti prevede che il comunicato della società bersaglio deve: a) contenere
“ogni dato utile per l’apprezzamento dell’offerta e una valutazione motivata degli
amministratori sull’offerta stessa, con l’indicazione dell’eventuale adozione a maggioranza e del
numero o del nome dei dissenzienti”; b) portare a conoscenza “l’eventuale decisione di
convocare assemblee ai sensi dell’art. 104 del T.u.f.” volte ad approvare manovre difensive
con cui contrastare l’offerta; c) aggiornare le informazioni a disposizione del pubblico “sul
possesso diretto o indiretto di azioni della società da parte dell’emittente o degli amministratori
ovvero del consiglio di sorveglianza, anche in società controllate o controllanti, nonché sui
patti parasociali di cui all’art. 122 del T.u.f. aventi ad oggetto azioni dell’emittente”; d) rendere
note informazioni aggiornate su compensi percepiti ovvero deliberati a favore dei componenti
degli organi di amministrazione e controllo e dai direttori generali dell’emittente; e) informare
sui “fatti di rilievo non indicati nell’ultimo bilancio o nell’ultima situazione infrannuale
pubblicata”; d) riportare
informazioni sull’andamento recente e sulle prospettive
dell’emittente, se non già illustrate nel documento d’offerta (art. 39, comma 1, reg. Consob).
Inoltre, il comunicato della società bersaglio deve essere trasmesso alla Consob almeno due
giorni prima della data prevista per la diffusione e, quindi, reso noto al mercato entro il primo
giorno di durata dell’offerta, integrato con le eventuali richieste della Consob (art. 39, comma
3, reg. Consob)275.
In sintesi, il documento di offerta e il parere degli amministratori della società bersaglio
costituiscono entrambi, nell’ottica del legislatore, un presupposto essenziale per l’attuazione del
principio della piena e corretta informazione dei destinatari dell’offerta pubblica di acquisto.
Non a caso gli ordinamenti che prevedono l’obbligo del comunicato stabiliscono altresì
un divieto per l’organo di amministrazione di diffondere, dopo l’annuncio dell’offerta,
dichiarazioni o informazioni tali da pregiudicare la parità di trattamento tra gli azionisti.
Attraverso la combinazione di questi due precetti si determina così una canalizzazione
dell’informazione e del parere degli amministratori sull’offerta in un comunicato ufficiale, il cui
contenuto è sottoposto al controllo dell’Autorità di vigilanza, e la cui divulgazione assicura
un’informazione complessiva, contemporanea e non discriminatoria a favore di tutti gli
azionisti indistintamente.
7. Il divieto di contrastare l’offerta.
La differenza, solo accennata e che verrà ripresa nel capitolo successivo, tra Opa
amichevoli ed Opa ostili ci porta a riflettere sulle strategie di difesa di un’azienda target di
1995, p. 716 ss. Per ulteriori approfondimenti sulla vicenda v. in dottrina E. BERLANDA, La disciplina delle offerte
pubbliche di acquisto, in Riv. soc., 1995, p. 833 s.
274 Sul punto cfr. P. ANELLO e S. RIZZINI BISINELLI, op. cit., p. 546, i quali evidenziano il
collegamento tra la disposizione in esame ed il successivo art. 104 T.u.f., osservando come la valutazione degli
amministratori della società emittente possa costituire, nel caso di offerte ostili, la prima delle misure difensive. In
tal senso cfr., anche, A. DE BLASIO, La legge italiana sull’Opa e le normative europee ed USA, Milano, 1994, p. 169.
275 La previsione di una procedura di c.d. “silenzio-assenso” consentirebbe, nelle intenzioni della Consob,
di contemperare l’esigenza di una libera valutazione dell’offerta da parte della società bersaglio con quella di
conservare in capo alla Commissione la possibilità di intervenire nei casi in cui il comunicato presenti profili
oscuri connessi alla particolare natura dell’operazione; in senso conforme cfr. F. CHIAPPETTA, Commento sub art.
103, cit., p. 962.
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un’Opa non concordata, e sulla restrizione delle azioni da essa adottabili, per effetto della
cosiddetta passivity rule.
Il pilastro fondamentale attorno al quale è destinato a reggersi tutto il discorso della
disciplina dell’Opa è, infatti, costituito dalla regola che obbliga gli amministratori della società
bersaglio ad un comportamento passivo durante lo svolgimento dell’offerta, indicando i limiti e
le modalità attraverso i quali la società stessa può reagire276.
In particolare, il primo comma dell’art. 104 del T.u.f., stabilendo il principio generale
che le società oggetto di Opa “si astengono dal compiere atti o operazioni che possono
contrastare il conseguimento degli obiettivi dell’offerta”, fa salva la possibilità di compiere tali
atti o operazioni allorché sussista una specifica autorizzazione dell’assemblea ordinaria o di
quella straordinaria, per le delibere di competenza, assunte con il voto favorevole di tanti soci
che rappresentano almeno il trenta per cento del capitale277.
A differenza delle altre disposizioni generali, l’art. 104 si applica soltanto alle società
italiane quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell’Unione Europea278, le cui
azioni siano oggetto di Opa.
Nessun divieto, di contro, viene posto dal legislatore per le c.d. “tecniche di difesa
preventive”279. Si tratta di tecniche poste in essere da società quotate in tempi “non sospetti”,
precedenti il lancio di un’Opa, e quindi adottate non in contrasto con una specifica offerta280,
Agli amministratori della società bersaglio, infatti, viene precluso, in pendenza dell’offerta, di mettere in
atto i mezzi di difesa più efficaci ad allontanare eventuali offerenti sgraditi allo stesso consiglio d’amministrazione.
La ragione di tale divieto risiede nel conflitto d’interessi fra amministratori e azionisti della società bersaglio che
emerge dopo il lancio dell’offerta: i primi non possono che opporsi ad una operazione finanziaria il cui buon esito
coinciderà quasi sicuramente nel loro licenziamento; i secondi sono, invece, fortemente allettati dalla possibilità di
poter alienare i propri titoli ad un prezzo nettamente superiore a quello di mercato così da realizzare consistenti
guadagni in conto capitale. In tal senso v. F. CHIAPPETTA, Commento sub art. 104, in Commentario al testo unico delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, cit., II, p. 968 ss.; M. LISANTI, op. cit., p. 465; L. ENRIQUES, In
tema di difesa contro le opa ostili: verso assetti proprietari più contendibili o più piramidali?, in Giur. comm., 2003, I, p. 110 ss.
Tuttavia, tale limitazione pare eccessiva tutte le volte in cui un’operazione gestionale, di per sé non specificamente
finalizzata a contrastare l’offerta pubblica di acquisto, potrebbe, di fatto, avere conseguenze contrastanti con gli
obiettivi dell’offerta, e pertanto essere vietata. Così L.G. PICONE, op. cit., p. 128. più in generale, riguardo al
rilevante potere di cui dispongono gli amministratori nel determinare i processi di riallocazione del controllo, in
presenza di tentativi di acquisizione ostile della società, cfr. R. CAPRIO, Le strutture proprietarie delle società quotate,
l’efficienza della gestione societaria e il diritto, in Riv. soc., 1998, p. 569 ss.
277 L’art. 104 del T.u.f. enuncia un principio di portata più ampia, rinunciando a tipizzare le operazioni
vietate, le quali vengono identificate con il ricorso ad una clausola generale. Sul punto v. R. LENER, op. cit., p.
253. Cade così l’indiscriminato divieto, contenuto nell’art. 16, comma 2, della legge n. 149 del 1992, di modificare
l’atto costitutivo e lo statuto della società investita dall’Opa in pendenza dell'offerta. La legge n. 149 del 1992
appariva, infatti, troppo sbilanciata a favore dell’offerente. Diversamente, obiettivo della disposizione in esame è
proprio quello di tentare di riequilibrare ulteriormente la posizione dell’offerente e quella dell’emittente in
costanza di Opa.
278 Si rileva, a tal riguardo, uno scollamento rispetto alla relativa norma sanzionatoria, di cui all’art. 192,
comma 3, del T.u.f., applicabile ai soli amministratori di società con azioni quotate in mercati regolamentati
italiani. Secondo R. D’AMBROSIO, op. cit., p. 599, tale scelta trova giustificazione nell’impossibilità di incidere sul
regime delle società non quotate, in considerazione dei limiti della delega. Al contrario, la collocazione della
norma, tra quelle di applicazione generale, invece che tra quelle sull’Opa obbligatoria, potrebbe risiedere nella
volontà di esaltarne il carattere “procedurale” e non “sostanziale”.
279 Con un intervento integrativo, il legislatore ha consentito alla società bersaglio di emettere azioni con
diritto di voto subordinato all’effettuazione di un’offerta solo se, per il verificarsi della suddetta condizione, sia
necessaria un’autorizzazione ai sensi del comma precedente” (art. 104, comma 1-bis, T.u.f.).
280 Cfr. R. SKOG, op. cit., p. 1145, ove puntualmente l’Autore chiarisce che: “Defensive measures against
takeovers can be divided into two categories: post-bod measures, which are taken to complicate or preclude the implementation of a
takeover bid that has already been presented, and pre-bid measures, which are taken in advances to prevent or complicate future
takeover bids”. Per un’utile disamina riguardante la distinzione tra voting caps e dual class stock nel contesto di un
takeover, si vedano R.J. GILSON, The political ecology of takeovers, in K. HOPT & E. WYMEERSCH, European
Takeovers – Law and Practice, London, 1992; H. DE ANGELO e L. DE ANGELO, Managerial ownership of voting
276
- 84 -
ma al fine di rendere più difficile, per qualsiasi potenziale scalatore, raggiungere il controllo
della società281.
Con la passivity rule il legislatore del 1998 ha allineato l’ordinamento italiano sia alle
legislazioni degli altri paesi europei282 sia a quanto prevedeva la proposta di direttiva CE in
materia di Opa. Attualmente, la direttiva n. 2004/25/CE impone agli Stati membri di adottare
norme volte ad assicurare che “dopo aver ricevuto la comunicazione dell’offerta e fino a che il
risultato dell’offerta non sia stato reso pubblico, l’organo di amministrazione o di direzione
della società destinataria si astenga dal compiere qualsiasi atto che possa pregiudicare l’esito
dell’offerta e, in particolare, dal procedere ad emissione di azioni che possano avere l’effetto di
impedire durevolmente agli offerenti di acquisire il controllo della società destinataria, salvo
che non sia stato previamente autorizzato a tal fine dall’assemblea generale degli azionisti”283.
Oltre confine, il mondo anglosassone presenta due casi polari. Negli Stati Uniti, pur con
alcune differenziazioni tra Stati, la società bersaglio può sempre e comunque compiere atti e
operazioni volti a contrastare l’offerta. All’altro estremo, il City Code inglese privilegia
l’informazione al mercato e la contendibilità: all’obbligo di immediata comunicazione
dell’intenzione di offerta l’ordinamento inglese collega l’affievolimento dei poteri di difesa della
società bersaglio.
Occorre evidenziare che la competenza dell’assemblea in questo campo si applica sia alle
materie che già ex lege sono riservate all’organo assembleare, sia alle materie per le quali è
ordinariamente competente l’organo amministrativo. Tali ultimi atti potrebbero essere
rights, in Journal of Financial Economics, 1985, 14, p. 33; D. FISCHEL, Organized exchanges and the regulation of dual class
common stock, in J. COFFEE, L. LOWENSTEIN e S. ROSE-ACKERMAN, Knights, Raiders and Targets, 1988, p.
509 ss. Le tecniche di difesa preventiva, in effetti, presentano una particolare pericolosità per il fatto di essere
adottate in un momento in cui non è pendente un’offerta e, dunque, quando i soci esterni potrebbero non
percepire “l’effetto anti-takeover” della decisione che si accingono ad assumere. Sull’introduzione nello statuto di
clausole che hanno l’effetto di ridurre “l’appetibilità” della società per eventuali scalatori cfr. R.J. GILSON, The
Case Against Shark Repellents Amendments: Structural Limitations on the Enabling Concept, in 34 Stan. L. Rev., 1982, p. 775
ss.; ID., A Structural Approach to Corporations: The Case Against Defensive Tactics in Tender Offers, in 33 Stan. L. Rev.,
1981, p. 843 ss.
281 Si è in presenza solitamente di atti che incidono sull’assetto dell’azionariato, come l’acquisto di azioni
proprie, la concessione di titoli ai dipendenti, l’incremento di partecipazioni incrociate. Eppure, come sostenuto
da parte di un’autorevole dottrina, anche in questi casi si potrebbe paventare la necessità di una nuova
deliberazione assembleare, sempre ai sensi dell’art. 104 del T.u.f., dato che, nell’assumere la precedente
deliberazione, i soci non avevano conoscenza dell’offerta e pertanto non si erano posti il problema del contrasto
dell’operazione stessa con il conseguimento degli obiettivi dell’offerente; così L.G. PICONE, op. cit., p. 136. In
merito cfr. pure R. WEIGMANN, Le offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 599 ss.; A. MIGNOLI, Regolamentazione delle
offerte pubbliche di acquisto e difesa delle società dalle scalate, cit., p. 96 ss. P. CÂMARA, Defensive measures adopted by the
board: Current European Trends, in Company Law Reform in OECD Countries. A Comparative Outlook of Current Trends,
Stockholm, Sweden, 7-8 December 2000.
282 Per un’analisi delle esperienze internazionali in tema di operazioni antiscalata cfr., tra gli altri, E.
DESANA, in La legge Draghi e le società quotate in borsa, a cura di G. COTTINO, op. ult. cit., p. 24 ss.; A. TRON, La
legge n. 149/1992 e le strategie “antiscalata”: un’analisi comparata della regolamentazione attuale, in C. RABITTI BEDOGNI
(a cura di), Il diritto del mercato mobiliare, Milano, 1997, p. 247 ss.; R. WEIGMANN, Le offerte pubbliche di acquisto, cit.,
p. 567 ss.
283 V. art. 9 della direttiva 2004/25/CE in materia di Opa. Tuttavia, mentre la normativa comunitaria pone
espressamente a carico dell’organo di amministrazione o di direzione della società bersaglio l’obbligo di astenersi
dal compimento di atti che possano pregiudicare l’esito dell’offerta, nel Testo Unico lo stesso obbligo grava sulla
società le cui azioni sono oggetto dell’offerta. Individuando come destinatari del divieto direttamente quest’ultima
e non gli amministratori della società bersaglio, non si è, dunque, corretto l’errore del passato; in tal senso cfr. M.
LISANTI, op. cit., p. 466. Sul problema della competenza degli organi sociali in relazione alle scelte di
comportamento dell’emittente, in caso di Opa ostile, cfr. A. MANZINI, Le tattiche difensive e la passivity rule,in Le
offerte pubbliche di acquisto, in La nuova disciplina delle OPA nel Testo Unico della Finanza, Il Sole 24 Ore, Roma, 2000, p.
50 ss.; C. MOSCA, Commento sub art. 104, in La disciplina delle società quotate nel testo unico della finanza. D.Lgs. 24
febbraio 1998, n. 58, cit., p. 276 ss., in cui l’Autore contrappone il modello che attribuisce tale ruolo agli
amministratori con il modello che restituisce centralità decisionale all’assemblea.
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realizzati direttamente dagli amministratori, o perché naturalmente riconducibili all’attività di
gestione propria dell’organo esecutivo o perché esiste già una delega dell’assemblea conferita
prima dell’inizio dell’offerta284. Il principio che impone il passaggio in assemblea ex art. 104
svolge, perciò, la funzione di rimettere agli azionisti la decisione sulla creazione o meno di
ostacoli al cammino dell’offerente verso l’effettivo raggiungimento dell’obiettivo perseguito
con l’offerta. Solo dopo aver ottenuto il consenso dell’assemblea, gli amministratori potranno
compiere atti od operazioni in grado di contrastare gli obiettivi dell’offerta285. In altri termini, in
presenza di un’operazione che è essenzialmente rivolta agli azionisti, l’assemblea riacquista un
potere di gestione, potendo solo essa decidere su atti ostili ad un’Opa286.
Inoltre, come si è detto, la disposizione in commento sottopone la delibera assembleare
di autorizzazione ad uno specifico quorum deliberativo287, là dove stabilisce che le assemblee,
ordinarie o straordinarie a seconda delle delibere di competenza, “deliberano, anche in seconda
o terza convocazione, con il voto favorevole di tanti soci che rappresentano almeno il trenta
per cento del capitale”288.
284 Cfr. A. TUCCI, Managerial passivity e autorizzazione assembleare nella disciplina dell’Opa: riflessioni
comparatistiche, in Dir. banc., 1999, p. 497 ss., G. MINERVINI, Opa, quorum e maggioranze per approvare le “azioni di
contrasto, in Scritti in memoria di Pietro De Vecchis, Roma, 1999, II, p. 617 ss. Il tema relativo agli strumenti a
disposizione della società obiettivo di un’offerta pubblica di acquisto, per difendersi dal tentativo di conquista, è
stato molto dibattuto in questi anni, sia all’interno dei confini nazionali sia nell’ambito della Comunità europea.
Definiti gli aspetti regolamentari, può essere interessante soffermarsi brevemente su alcuni elementi più tecnici
della materia. Fondamentalmente, la società oggetto di offerta può difendersi da una scalata in tre modi: a)
chiamare in soccorso una terza società, definita “cavaliere bianco” (White Knight), al fine di produrre un’offerta
concorrente; b) aumentare il costo dell’operazione che deve essere sostenuto dall’offerente, mediante opportune
operazioni, come ad esempio convertire azioni con voto limitato in azioni con diritto di voto pieno (azioni di
risparmio in azioni ordinarie), aumentare il capitale sociale, acquistare azioni proprie per sostenere la quotazione,
effettuare operazioni di concambio a condizioni convenienti; c) dismettere alcune attività, così da svalutare la
società e ridurre l’interesse dell’offerente.
285 Cfr., in merito, L.G. PICONE, op. cit., p. 126 ss.; L. ROVELLI, L’art. 104 T.U.F., la passivity rule e
l’adozione di tecniche antiscalata. La responsabilità degli organi amministrativi, in Convegno organizzato da ITA S.r.l., opa,
ops e patti parasociali, Milano, 24 febbraio 1999. Inoltre, v. L. ENRIQUES, Quale disciplina per le acquisizioni ostili?
Alcuni modelli teorici e la soluzione italiana, in Mercato, concorrenza regole, n. 2, 1999, p. 182 ss., in cui l’Autore ipotizza gli
effetti possibili di una regolamentazione minimale in caso di acquisizioni ostili, che permetterebbe di riconoscere
agli amministratori poteri sufficienti per mettere in atto misure preventive difensive o in corso di Opa,
prevedendo nel contempo un controllo pubblico, caso per caso, sul concreto esercizio di tale discrezionalità.
286 In Germania la legge sull’Opa (legge 30 novembre 2001, Gesetz zur Regelung von offentlichen Angeboten zurn
Erwerb von Wertpaperen und von Unternehmensubemahmen) prevede che l’assemblea generale possa autorizzare la
direzione ad erigere misure difensive [v. § 33 Wertpapiererwerbs – und Ubernahmegesetz (WpUG)]. Tuttavia, se la
decisione dell’assemblea è presa in via preventiva, cioè in assenza di un’Opa, essa è sottoposta ad alcune
condizioni, quali: validità della decisione non oltre diciotto mesi, maggioranza di almeno tre quarti dei voti,
descrizione precisa delle misure da prendere e quindi divieto di autorizzazione in bianco, accordo dell’organo di
vigilanza. La soluzione adottata in Germania è stata, peraltro, ben descritta da R. SKOG, The European’s proposed
takeover directive, the “breakthrough” rule and the Swedish system of dual class common stock, in Riv. Soc., 2003, II, p. 1145, È
inoltre evidente – come rileva G. DI MARCO, La nuova disciplina tedesca sulle Opa. Introduzione dello “squeeze out”, in
Le Società, 2002, II, p. 259, – “che questo << limitato >> obbligo di neutralità previsto dalla legge tedesca
contrasti con l’obbligo più ampio di neutralità quale sussiste in Italia e in molti Stati membri e quale proposto dalla
Direttiva comunitaria”.
287 In tal senso v. F. CHIAPPETTA, Commento sub art. 104, cit., p. 967, il quale osserva come di
“autorizzazione possa parlarsi solo relativamente ad attività attribuite – per legge, statuto ovvero per precedente
deliberazione assembleare – all’organo di amministrazione. Nel caso di attività di competenza assembleare, per
contro, la << autorizzazione >> in oggetto coinciderebbe con la deliberazione che decide l’operazione”.
288 Cfr. P. MONTALENTI, Opa: la nuova disciplina, cit., p. 159, il quale evidenzia come “laddove la quota di
controllo sia inferiore al 30%, la regola tutela gli interessi dei minoritari, operando in funzione di diritto di blocco
della minoranza, che può impedire il ricorso agli strumenti difensivi. Laddove, invece, la quota di controllo sia
superiore al 30%, è evidente che l’approvazione assembleare opera a tutela dell’incumbent shareholder. E poiché in
Italia la quota media del controllo è, di regola, superiore al 30%, la norma si rivela, in definitiva, di ostacolo al
ricambio del potere societario”.
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È evidente il carattere di specialità che presenta la scelta del legislatore289. L’art. 104,
infatti, deroga sia alla disciplina dettata dagli artt. 2368 e 2369 del cod. civ. per l’assemblea
ordinaria, sia a quella che era prevista dallo stesso art. 126 del T.u.f. (ora modificato) per
l’assemblea straordinaria290.
7.1. (Segue): La decorrenza della passivity rule e gli interessi protetti.
Come già accennato, il Testo Unico non ha colmato una lacuna già presente nel
precedente ordinamento, relativa all’inizio e alla durata del divieto. Anche in tale circostanza,
come più volte ribadito, il regolatore si trova nella necessità di dover contemperare due
interessi, entrambi meritevoli di tutela: quello dell’offerente alla piena libertà di azione, e quello
della società oggetto dell’offerta ostile a non essere costretta entro i confini della regola di
passività per un periodo troppo lungo, o addirittura indefinito. Stando ad una interpretazione
logica del comma 1 dell’art. 104, l’inizio del divieto dovrebbe coincidere con la pubblicazione
del prospetto, mentre il termine finale sembrerebbe essere il giorno di chiusura dell’offerta.
Tale soluzione non appare pienamente esaustiva, lasciando comunque margini di manovra agli
amministratori della società bersaglio come nell’ipotesi in cui questi, essendo già a conoscenza
del contenuto del prospetto d’offerta precedentemente alla sua pubblicazione, agiscano prima
del sorgere del divieto291.
289 Si ricorda, infatti, che ai sensi del vecchio testo dell’art. 126, comma 4, del T.u.f., (che nella versione
attuale, in seguito cioè alle modifiche intervenute per effetto dell’art. 9 del d.lgs. n. 37/2004, rinvia a sua volta alla
disciplina di cui agli artt. 2368 e 2369 c.c) l’assemblea straordinaria deliberava in prima, seconda e terza
convocazione con il voto favorevole di tanti soci che rappresentassero i 2/3 del capitale presente in assemblea,
salvo che l’atto costitutivo prevedesse una maggioranza più elevata. Sul punto cfr. P. MONTALENTI, op. ult. cit.,
p. 159, per il quale: “L’art. 104, comma 1, T.u.f., dettando una regola precisa ed autonoma, riferita anche alla terza
convocazione – e quindi anche all’assemblea straordinaria – , esclude che possa applicarsi cumulativamente, per
così dire, anche la norma generale di cui all’art. 126, comma 4, T.u.f.”. In senso conforme v. P.G. MARCHETTI,
D.Lgs. n. 58/1998. L’incidenza sulla disciplina delle assemblee: primi commenti, in Le società, 1998, p. 560; F.
CHIAPPETTA, op. cit., p. 969. Contra R. WEIGMANN, La nuova disciplina delle Opa, cit., p. 201, per il quale: “la
maggioranza anche nel caso dell’art. 104, ossia per le deliberazioni assunte in tema di Opa, deve comunque essere
almeno pari ai due terzi del capitale rappresentato in assemblea, salvo che l’atto costitutivo non richieda una
percentuale più elevata”. Secondo R. RORDORF, I poteri degli azionisti di minoranza nel testo unico sui mercati finanziari,
in Scritti in onore di Vincenzo Salafia, Milano, 1998, p. 155, richiedere l’approvazione dei 2/3 degli azionisti presenti,
non essendo sufficiente, in caso contrario, il voto favorevole dei soci che detengono il 30% del capitale, è da
ritenersi “più coerente con le finalità complessive del testo unico e con i criteri ispiratori della delega”.
290 Sui quorum speciali in materia di Opa cfr. R. D’AMBROSIO, op. cit., p. 599. In particolare è stato
affrontato in dottrina il problema se il quorum fissato dal citato art. 104, comma 1, del T.u.f. costituisca una soglia
minima che non esclude maggioranze più elevate stabilite da altre norme di legge o di statuto ovvero se detto
quorum sia un quorum “speciale” che si applica anche là dove siano previste maggioranze diverse per determinate
categorie di operazioni. Quest’ultima tesi, che è accolta da ASSONIME, op. ult. cit., p. 51, fa leva sulla natura di
disposizione speciale dell’art. 104 rispetto alle norme del codice civile e dello stesso art. 126 del T.u.f., nonché
sulla circostanza che la delicatezza della materia richiede un quorum deliberativo suscettibile di garantire
l’assunzione in tempi rapidi da parte dei soci di una decisione. E pensare che le due Commissioni del Senato
avevano congiuntamente proposto di elevare il quorum deliberativo dell’art. 104, comma 1, alla maggioranza di cui
all’art. 2368, comma 2, cod. civ. ferme restando le maggioranze previste in tema di modifiche statutarie. Tuttavia,
tale emendamento all’epoca non venne recepito.
291 In merito v. Relazione Consob per il 1999, cit., p. 36, e il commento di R. SABBATINI, Sull’Opa il
regolamento può essere rivisto, in Il Sole 24 Ore, 13 aprile 1999, p. 29; C. CLERICETTI,“No ad un piano per le banche”, in
La Repubblica, Affari & Finanza, 20 settembre 1999, p. 7. Secondo M. LISANTI, op. cit., p. 467, l’inizio dell’operare
di tale divieto si sarebbe dovuto individuare o nel momento in cui scatta l’obbligo di Opa, con riferimento al caso
di Opa successiva, o nel momento in cui il consiglio d’amministrazione della società bersaglio ha ragione di
credere che un’offerta stia per essere lanciata sui titoli della stessa società, in quest’ultimo caso con riferimento
all’ipotesi di Opa volontaria.
- 87 -
Tuttavia, ad un esame più attento del quadro normativo, non sfugge come per gli
offerenti quotati (o con titoli diffusi in misura rilevante presso il pubblico dei risparmiatori)
operino comunque gli obblighi d’informazione di cui all’art. 114 T.u.f.292. In termini più
espliciti, ciò significa che l’offerente potrebbe essere costretto a svelare le sue intenzioni senza
per questo ottenere l’effetto di sottoporre il management della società bersaglio alla passivity rule.
In tal guisa, se da un lato sarebbe soddisfatto l’interesse alla trasparenza, dall’altro
inevitabilmente verrebbe meno la simmetria di posizioni – che pure nell’ottica del TAR del
Lazio era parsa essenziale – tra offerente ed emittente. La società target, infatti, avrebbe
comunque a disposizione un certo periodo di tempo per approntare manovre difensive
svincolate dalle regole di competenza in cui si sostanzia la passivity rule.
Basti osservare che nella versione iniziale del regolamento Consob, la scelta di
configurare la prima comunicazione come l’avvio formale della procedura di offerta pubblica,
con il conseguente blocco di ogni iniziativa contraria da parte degli amministratori della società
bersaglio, consentiva, in effetti, allo scalatore di presentarsi in posizione di netto vantaggio,
posto che impegni irrevocabili riconducibili alla prima comunicazione venivano assunti solo in
seguito, con la pubblicazione del prospetto293.
Senza considerare, per altro verso, che la soluzione adottata in via regolamentare non
assicurava affatto, per tutta una serie di motivi, che l’offerente potesse realmente operare in
segreto fino a quando non scattasse la passivity rule per l’emittente (si pensi solo a rumours,
eventuali richieste di autorizzazioni e/o convocazione d’assemblea in caso di offerta pubblica
di scambio, intervallo comunque intercorrente tra deposito presso la Consob del documento
d’offerta del quale l’emittente va informato e momento in cui con la pubblicazione del
documento d’offerta scatta la regola di passività)294.
Al di là delle varie soluzioni proponibili, forse è il caso di rilevare che l’elemento
essenziale da tener presente è un altro. Si tralascia spesso di considerare che la passivity rule non
è posta direttamente a tutela dell’interesse dell’offerente a immobilizzare il bersaglio, bensì per
risolvere, tramite uno spostamento della competenza a decidere, il possibile (probabile)
conflitto di interessi tra amministratori e soci (ovvero tra gruppo di comando e altri soci)295.
L’art. 103 T.u.f., che regola le modalità di svolgimento dell'offerta, al secondo comma dispone che,
fermo quanto previsto dal titolo III, capo I, agli emittenti si applicano: a) l'art. 114, commi 3 e 4, T.u.f. dalla data
della pubblicazione del documento d'offerta e fino alla chiusura della stessa; b) l'art. 115 T.u.f., dalla data della
comunicazione prevista dall'art. 102, comma 1, e fino a un anno dalla chiusura dell'offerta. In particolare, l’art. 114
T.u.f. impone alle società quotate di impartire “le disposizioni occorrenti affinché le società controllate forniscano
tutte le notizie necessarie per adempiere gli obblighi di comunicazione previsti dalla legge”; funzionale a tale
obbligo è il potere di “richiedere agli emittenti quotati, ai soggetti che li controllano e alle società dagli stessi
controllate, la comunicazione di notizie e documenti, fissandone le relative modalità”, conferito alla Consob
dall’art. 115 T.u.f.
293 In tal senso v. M. ZECCHINI e A. PARALUPI, La sollecitazione all’investimento. La passivity rule, in S.
AMOROSINO e C. RABITTI BEDOGNI (a cura di), Manuale di diritto dei mercati finanziari, Milano, 2004, p. 267;
Mentre, per un utile confronto in chiave comparatistica, si rinvia a F.M. MUCCIARELLI, I poteri degli organi di
società-bersaglio nella legge tdesca sull’Opa, in Banca, borsa e tit. cred., 2002, 5, I, p. 659 ss. Al riguardo si segnalano due
soluzioni interpretative: in primo luogo, si sostiene che la passivity rule, riguardando essenzialmente i poteri organici
del management, non può iniziare solo dal momento della proposizione dell’Opa, ma inizia prima quando gli
amministratori potevano o dovevano sapere dell’imminenza di un’Opa (nonostante il diverso enunciato contenuto
nell’art. 104 T.u.f.); in secondo luogo, si ritiene che gli amministratori possano sollecitare Opa concorrenti anche
senza essere autorizzati dall’assemblea, ma solo se l’offerta sollecitata non crei problemi d’azione collettiva per gli
azionisti. Queste due diverse chiavi di lettura della passivity rule sono descritte da F.M. MUCCIARELLI, Società per
azioni e offerte pubbliche d’acquisto, cit., cap. 4.
294 Con ciò riproducendo quello che universalmente era riconosciuto come uno dei maggiori difetti del
sistema anteriore all’emanazione del T.u.f.; in merito cfr. ASSONIME, op. cit., p. 35; C. MOSCA, Commento sub art.
102, cit., p. 200 ss.; F. CHIAPPETTA, Commento sub art. 102, cit., p. 956; L.G. PICONE, op. cit., p. 20.
295 In sostanza, si tratta dei soci meri investitori e di coloro che possono estrarre benefici privati dal
controllo e che, per tale ragione, potrebbero essere indotti a opporsi a un’Opa favorevole per gli azionisti in
292
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Ruotando il punto di osservazione, si potrebbe fin’anche sostenere che l’applicazione
della regola di passività non richieda che siano note tutte “le informazioni necessarie per
consentire ai destinatari di pervenire a un fondato giudizio sull’offerta” (in altri termini, che sia
avvenuta la pubblicazione del documento d’offerta). Paradossalmente, il fatto che i soci non
dispongano ancora compiutamente di tali informazioni non può, infatti, comportare
un’ulteriore diminuzione della loro tutela lasciando nelle mani degli amministratori (o di una
maggioranza inferiore al 30%) la possibilità “nel mentre” di avviare manovre atte a contrastare
il successo dell’Opa296.
8. Il procedimento per il lancio di un’Opa bancaria. Il problema del rapporto tra normativa sulle società quotate
(le regole generali sull’Opa) e normativa speciale sulle imprese bancarie.
La ricostruzione del quadro normativo consente agevolmente di comprendere come, in
presenza di un’Opa sul capitale di una banca quotata, il novero delle norme rilevanti si
arricchisca (problematicamente, ma in via assorbente) anche delle disposizioni di cui agli artt.
37 e ss. della delibera Consob n. 11971/99, espressione della delega di cui al richiamato art.
102, comma 2, T.u.f.297. Come si è visto nei paragrafi precedenti, anche la procedura prevista
dalla normativa secondaria emanata dalla Consob ha subito importanti cambiamenti, peraltro
successivi alle modiche delle Istruzioni di vigilanza del 1999, per effetto di alcune pronunce
della giurisprudenza amministrativa298.
quanto tali. Pare evidente che, nella diagnosi del legislatore, allo scopo non è sufficiente il dovere di ogni organo
sociale di conformare le sue decisioni al perseguimento dell’interesse sociale. Nel senso che il significato della
necessità dell’autorizzazione assembleare consiste nel rimettere la scelta sulle manovre difensive agli stessi soggetti
che sono i destinatari dell’offerta v. R. D’AMBROSIO, Commento sub artt. 102-112 T.u.f., in C. RABITTI
BEDOGNI (a cura di), Il testo unico della intermediazione finanziaria. Commentario al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58,
Milano, 1998, p. 599.
296 Peraltro, a differenza di quanto affermato nel giudizio di primo grado, nella decisione del Consiglio di
Stato era stato espressamente riconosciuto il potere della Consob di imporre la c.d. “prima comunicazione”. Tale
pronunciamento tuttora conserva diverse valenze: a) in primo luogo, viene giudicata legittima la previsione
secondo cui la prima comunicazione può (deve) avvenire anche senza il contestuale deposito presso la Consob del
documento d’offerta; b) in secondo luogo, viene riconosciuta la legittimità della norma secondo cui la prima
comunicazione deve essere trasmessa non solo alla Consob, ma anche al mercato e all’emittente; c) infine, si
afferma che determinati effetti (regole di correttezza e trasparenza) decorrono immediatamente dall’esecuzione
della prima comunicazione. Secondo V. SALAFIA, Il procedimento per il lancio di un’Opa, in Le società, 1999, p. 396, la
prima comunicazione (che l’A. ritiene non dovuta, ma possibile) non priverebbe il soggetto che l’ha effettuata del
potere di revocare l’offerta (se bene intendiamo: qualora cioè l’offerente dichiari espressamente l’irrevocabilità
nella prima comunicazione ex art. 37, comma 1, reg. ovvero, comunque, essa provochi l’immediata applicazione
della passivity rule). In senso contrario L.G. PICONE, op. cit., pp. 21 e 68 s.; per completezza v. pure i rilievi mossi
da F. CANNELLA, Commento sub art. 103, in MARCHETTI e BIANCHI (a cura di), La disciplina delle società
quotate nel testo unico della finanza. Commentario al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Milano, I, 1999, p. 225; in senso
dubitativo, cfr. M. CALLEGARI, Commento sub art. 102, in in G. COTTINO (diretto da), La legge Draghi e le società
quotate in borsa, Torino, 1999, p. 13.
297 L’opzione in esame postula di chiarire che il Testo unico della finanza non consentirebbe di riconoscere
all’offerta in violazione della procedura ex artt. 102 ss. gli effetti negoziali propri del tipo di appartenenza.
Prescindendosi dal modulo espressivo della dichiarazione – non rilevando cioè che essa si palesi o meno
attraverso una formale dichiarazione in incertam personam – la stessa risulterebbe equiparata al messaggio
promozionale e all’invito ad offrire in una medesima qualificazione di atto idoneo a far insorgere il già descritto
vincolo preliminare, ingenerando altresì la reazione sanzionatoria posta dal legislatore in caso di violazione delle
norme impositive del procedimento.
298 In proposito v. modifica del regolamento emittenti adottata con delibera Consob del 6 aprile 2000, n.
12475.
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I progetti di Opa sulle banche sono, pertanto, chiamati a superare una parallela
valutazione in cui la Banca d’Italia considera gli aspetti di stabilità per l’attività bancaria e la
Consob vigila a tutela della trasparenza e della correttezza dell’operazione299.
La procedura autorizzativa per l’acquisto di partecipazioni rilevanti al capitale delle
banche è stata infatti oggetto di importanti modifiche per il coordinamento con la disciplina
dell’offerta pubblica di acquisto contenuta nel Testo Unico della finanza e nei provvedimenti
attuativi.
Le modifiche si sono rese necessarie a seguito di alcuni problemi interpretativi che hanno
riguardato:
1) da un lato, tempi e modalità dell’adempimento a carico del potenziale acquirente
dell’obbligo di informativa preventiva alla Banca d’Italia, previsto nelle Istruzioni di vigilanza e
ora abrogato;
2) dall’altro, l’esatta determinazione del momento in cui sorge l’obbligo di chiedere
l’autorizzazione ex art. 19 T.u.b. in caso di operazioni di acquisizione mediante offerta pubblica
di acquisto;
3) più in generale, l’esigenza di garantire una tempestiva pubblicità del progetto di
acquisizione, onde scongiurare fenomeni di insider trading e di manipolazione del mercato.
8.1. (Segue): In particolare: il rapporto tra obbligo di “informativa preventiva” e obbligo di tempestiva
comunicazione alla Consob e al mercato nel sistema previgente.
Nelle Istruzioni di vigilanza sulle partecipazioni al capitale delle banche, fra i modi di
acquisizione è espressamente prevista anche l’offerta pubblica di acquisto e di scambio (v. infra
cap. 1, §. 4.1.). Come più volte ricordato nel corso del lavoro, prima che il Governatore
Draghi nel settembre del 2006 ne decretasse la soppressione, oltre alla richiesta di preventiva
autorizzazione ai sensi dell’art. 19 del T.u.b., le Istruzioni prevedevano anche l’obbligo per
colui che aspira ad acquisire il controllo di inviare alla Banca d’Italia l’informativa preventiva (al
fine di rendere possibile una prima verifica dell’esistenza di eventuali elementi ostativi alla
realizzazione delle operazioni stesse).
In particolare, le Istruzioni precisavano che l’adempimento di tale obbligo dovesse
precedere la delibera del consiglio di amministrazione (almeno sette giorni prima della
convocazione del consiglio per l’approvazione del progetto)300. Per contro, il regolamento
Emittenti obbligava chi avesse avuto intenzione di lanciare un’Opa a darne immediata (“senza
indugio”) comunicazione alla Commissione di vigilanza nonchè al mercato e all’emittente301.
Una pubblicità tempestiva e completa in merito alle intenzioni di offerta pubblica permette(va),
299 In proposito v. BANCA d’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza, cit., Sez. II, art. 5.2.2., “Acquisizione del
controllo. Il piano industriale”.
300 Si ricorda che, fin dalla prima versione emanata in attuazione del d.lgs. n. 481 del 1992, le Istruzioni di
vigilanza in materia di partecipazione al capitale dell’agosto 1993, affermavano l’utilità, prima della formalizzazione della
domanda di autorizzazione, dell’avvio tempestivo di contatti preliminari tra gli interessati all’acquisto del controllo
e la Banca d’Italia. Come osserva C. BRESCIA MORRA, L’impresa bancaria, cit, p. 208, tale previsione mirava, da
un lato, a rendere “più flessibile la procedura autorizzativa” e, dall’altro, a “evitare che notizie relative ad
operazioni, che potevano essere successivamente vietate dalle autorità di vigilanza, potessero comportare
oscillazioni nei prezzi delle azioni della banca oggetto di acquisizione”.
301 Come, all’epoca, previsto dall’art. 5 reg. Consob n. 11520/1998, poi modificato per effetto delle citate
pronunce della giurisprudenza amministrativa. Secondo L. SPAVENTA, Preliminare l’informazione del mercato, cit., “Il
momento informale, di moral suasion della Banca d’Italia su ipotesi di aggregazioni bancarie, non riguarda la
Consob, se non nella misura in cui ci siano dei rumors del mercato”.
- 90 -
infatti, di ridurre al minimo i rischi di insider trading sempre presenti in operazioni di questo
genere302.
Sebbene la Consob avesse stabilito che la comunicazione dell’intenzione di lanciare
un’offerta pubblica di acquisto dovesse essere presentata “contestualmente” alle richieste di
autorizzazione alle autorità competenti (Banca d’Italia, Isvap, Autorità garante), l’effetto pratico
generato dalle regole sull’informativa preventiva era principalmente quello di consentire alla
Banca d’Italia di “battere sul tempo la Consob (e, quindi, il mercato, al quale la Consob è
tenuta a dare immediata notizia)”303. Questo meccanismo contribuiva, pertanto, a rendere nota
l’esistenza di un progetto di acquisizione di una banca quando ancora molti contenuti della
proposta non potevano essere chiariti agli investitori ed alla stessa società bersaglio304. Del
resto, l’informativa preventiva, seppur riservata esclusivamente alla Banca d’Italia, era deputata
a convertirsi anticipatamente, non appena resa disponibile, in informazione utilizzabile da tutto
il mercato e, in questo senso, in mero supplemento di quanto il mercato avrebbe dovuto
conoscere solo in seguito e con maggior grado di dettaglio, in virtù della disciplina sulle offerte
pubbliche di acquisto305. Senza considerare, a tacer d’altro, come, in siffatte ipotesi, si
registrasse piena libertà d’azione da parte della Vigilanza bancaria nella gestione dei tempi e
delle procedure306, elementi questi che inevitabilmente concorrevano a generare fughe di
notizie307.
E pensare che già prima dell’emanazione di una vera e propria disciplina legislativa delle offerte
pubbliche di acquisto G. CASTELLANO, Le offerte pubbliche di acquisto: i problemi non risolti dalla legge di riforma, in
Giur. comm., 1975, I, p. 27, sottolineava l’importanza della “fase segreta dell’operazione”. In particolare si legge:
“Molteplici ragioni consigliano che, durante la fase cosiddetta segreta dell’offerta pubblica, non vengano diffuse
notizie sull’operazione progettata. Gli stessi iniziatori, se sono persone serie, hanno interesse a conservare il
riserbo più rigoroso: negli affari come in guerra, il << fattore sorpresa >> può essere determinante; dal loro
punto di vista è opportuno che il gruppo di comando della società presa di mira non possa predisporre difese
prima ancora che l’offerta sia resa pubblica. Ma vi sono anche esigenze obiettive, di interesse pubblico, ad imporre
che non circolino notizie o congetture: un mercato così delicato come quello di borsa potrebbe venirne
influenzato a tutto profitto della speculazione più dannosa”. A sostegno di tale interpretazione, v. anche i rilievi
formulati da G. NICCOLINI, Le offerte pubbliche di acquisto (O.P.A.), in Riv. dir. civ., 1974, p. 614.
303 Così P. ABBADESSA, op. cit., p. 40.
304 L’informazione preventiva e segreta alla Banca d’Italia di un’intenzone non formalizzata neanche da una
decisione del consiglio di amministrazione della banca proponente l’acqisizione (v. art. 3.1, ora abrogato, “Progetti
di acquisizione”, Sez. II, Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia, cit.) poneva l’organo di vigilanza bancaria “in
una posizione privilegiata rispetto alle altre valutazioni e agli altri organismi coinvolti”; così M. POLO, Concorrenza
e Opa nell’industria bancaria, in Mercato concorrenza regole, 1999, 2, p. 268. In altri termini, il diritto di rilasciare
un’autorizzazione preventiva sui progetti di Opa si traduceva, a livello regolamentare, nel diritto di esprimere un
“preventivo gradimento” prima ancora che il progetto fosse reso pubblico al mercato (v. BANCA d’ITALIA,
Istruzioni di Vigilanza, , cit., Tit. II, cap. I, sez. II, art. 5.2.1, “Elementi informativi”). Come risulta facile intuire, un
siffatto meccanismo consentiva alla Banca d’Italia di “battere sul tempo” la Consob. Di diverso avviso, seppur in
misura parziale, è l’opinione di D. LUCARINI ORTOLANI, Le offerte pubbliche di acquisto e scambio tra disciplina
generale societaria e disciplina speciale bancaria, in Banca, impr. soc., 2001, 2, p. 309, secondo cui “può valutarsi
positivamente la preventiva informazione della Banca d’Italia sui progetti imprenditoriali di acquisizioni bancarie,
soprattutto ostili, solo se preordinata ad assicurare la << gestione sana e prudente >> delle banche coinvolte,
…per la stabilità del sistema bancario, che potrebbe, in ipotesi, essere contrastata o minacciata dalla spontaneità
del mercato”.
305 Cfr. A. PATRONI GRIFFI, L’autonomia statutaria degli enti creditizi tra libertà e controlli, in Rass. dir. civ.,
1993, p. 387; M. LAMANDINI, Le concentrazioni bancarie. Concorrenza e stabilità nell’ordinamento bancario, Bologna,
1998, p. 102 ss.; C. BRESCIA MORRA, Società per azoni bancaria: proprietà e gestione, in Quad. giur. comm., n. 212,
Milano, 2000, p. 43.
306 La questione del grado di dettaglio delle norme merita qualche ulteriore considerazione. Norme, sia
nella legislazione primaria che in quella secondaria, vaghe o poco dettagliate, comportano l’uso di discrezionalità
da parte delle Autorità di vigilanza nell’esercizio dei propri poteri. Il pensiero economico di tradizione liberista
(F.A. HAYEK, The Constitution of Liberty, traduzione italiana La società libera, 1969, Firenze, 1960, p 76 ss.; S.J.
BURTON, Beach of Contract and the Common Law Duty to Perform in Good Faith, in Harward Law Review, 1980, p. 64
ss.) è ostile alla discrezionalità amministrativa, in quanto contribuisce a rendere meno certe le regole del gioco ed
302
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A rendere ancor più confuso il quadro normativo, contribuiva il fatto che le disposizioni
concernenti l’informativa preventiva non contemplavano l’emanazione di un provvedimento
formale della Banca d’Italia, in merito alla proseguibilità o meno del tentativo di acquisizione
del controllo, cui l’aspirante acquirente era vincolato a conformarsi. Di conseguenza, rimaneva
impregiudicata sia la facoltà dell’organo di gestione della società offerente di procedere in ogni
caso alla deliberazione dell’istanza di autorizzazione ai sensi dell’art. 19 del T.u.b., sia l’esito
della valutazione definitiva sull’operazione che l’Autorità di vigilanza avrebbe in seguito
assunto.
8.2. (Segue): Il perfezionamento del negozio di acquisto delle partecipazioni bancarie in caso di Opa.
Un ulteriore problema di coordinamento delle due discipline riguarda il momento in cui
deve essere rilasciato il provvedimento autorizzativo da parte della Banca d’Italia.
Come già ricordato nel primo capitolo, secondo la procedura prevista nei casi di
acquisizione realizzati mediante trattative fra due o più soggetti, il provvedimento di
autorizzazione deve intervenire prima del perfezionamento dell’operazione (è ammissibile,
peraltro, la stipula di contratti condizionati al rilascio dell’autorizzazione).
Diversamente, nei casi – come quello dell’Opa – in cui il perfezionamento interviene a
chiusura di una complessa procedura che coinvolge il mercato, la Banca d’Italia ha ritenuto
opportuno anticipare il momento del rilascio dell’autorizzazione alla fase che precede
l’assunzione da parte dell’offerente dell’impego irrevocabile308.
Nelle Istruzioni si prevede, infatti, che “nel caso di offerte pubbliche di vendita e di
sottoscrizione riguardanti le azioni di banche, stante il carattere irrevocabile e incondizionato
delle accettazioni (…), i soggetti interessati non possono aderire all’offerta se non hanno
ottenuto l’autorizzazione della Banca d’Italia. Ciò ovviamente nei soli casi in cui il quantitativo
di azioni che si intende sottoscrivere comporti il superamento delle soglie autorizzative”. Le
Istruzioni proseguono stabilendo che, “per l’acquisizione di partecipazioni nel capitale delle
banche che comportano l’obbligo di offerta pubblica di acquisto (…), i soggetti interessati non
possono promuovere l’offerta se non hanno ottenuto l’autorizzazione della Banca d’Italia”.
In base a tale normativa, pertanto, la procedibilità di un’offerta pubblica viene
condizionata e subordinata al rilascio dell’autorizzazione della Banca d’Italia309.
aumenta il “rischio regolamentare” generato dalla possibilità che le regole o la loro interpretazione si modifichino
frequentemente.
307 All’esigenza di garantire la parità di trattamento fra i possessori di titoli della società presa di mira si
affianca quella di sottoporre a controlli rigorosi i cosiddetti “iniziati”: gli amministratori, i direttori generali e tutte
le persone che, per ragione del loro ufficio, godono di informazioni privilegiate. Tutti costoro potrebbero giovarsi
del clima creato da un’offerta pubblica per ottenere ingiustificabili “capital gains”. Gli “iniziati” della società
destinataria dell’offerta infatti sono i principali destinatari delle proposte privilegiate e, inoltre, dispongono di
informazioni più ampie di quelle poste a conoscenza del pubblico degli azionisti. Per quanto riguarda, invece, gli
“iniziati” della società offerente, questi, si osserva, sono in condizioni ancora più favorevoli, specialmente durante
la fase che precede il lancio dell’Opa.
308 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per le banche, cit., Tit. II, cap. 1, sez. II, §. 4.2.
309 Cfr. art. 37, comma 2, lett. a), reg. Consob n. 11971/99, dove si richiede all’offerente di indicare nella
comunicazione da inoltrare alla Consob ai sensi dell'art. 102, comma 1, T.u.f., che siano “state contestualmente
presentate alle autorità competenti le richieste di autorizzazione necessarie per l'acquisto delle partecipazioni”.
Come già accennato, la normativa previgente prevedeva come possibile presupposto per l’avvio dell’istruttoria
della Consob, finalizzata alla pubblicazione del documento d’offerta, la presentazione della documentazione
concernente l’avvenuto rilascio delle necessarie autorizzazioni, senza specificare quali, ma che, nel caso di società
bancarie erano quelle rilasciate dalla Banca d’Italia in ordine sia alle partecipazioni nelle banche e delle banche, sia
alla tutela della concorrenza.
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Nella versione originale, il regolamento Consob, dal canto suo, prevedeva che la
comunicazione del documento di offerta alla Consob dovesse riportare anche l’avvenuto
rilascio delle necessarie autorizzazioni. Ciò significava che in assenza di autorizzazione il
documento di offerta pubblica non potesse essere pubblicato, perché incompleto. Il lancio
dell’Opa, pertanto, non poteva aver luogo fino a che la Banca d’Italia non avesse rilasciato
l’autorizzazione prescritta.
Nella versione attuale, l’art. 37, comma 2, lett. a), del regolamento Consob, supera questa
“indecisione”, stabilendo che è sufficiente che la comunicazione del documento d’offerta sia
contestuale alla presentazione alle autorità competenti delle richieste di autorizzazione
necessarie.
Il primo atto di informazione previsto dalla procedura dell’Opa è rappresentato dalla
“preventiva comunicazione” alla Consob con allegato il documento di offerta di cui all’art. 102
T.u.f. La comunicazione è dovuta, secondo quanto specificato dalla stessa Consob, solo a
seguito della delibera dell’organo di gestione della società offerente.
L’art. 40, comma 3, lett. c), tuttavia, precisa che il periodo di adesione non può avere
inizio “se non è stata rilasciata l'autorizzazione prevista dalla normativa di settore per l'acquisto
di partecipazioni al capitale di banche o di intermediari autorizzati alla prestazione di servizi
d'investimento” 310.
Il dato nuovo che sembra di poter cogliere è che, rispetto alla versione precedente, le
nuove disposizioni della Consob posticipino l’avvio della procedura autorizzativa prevista dalla
disciplina bancaria. Questa scelta risulta dettata dall’esigenza di ridurre il tempo intercorrente
fra la delibera del consiglio di amministrazione della società offerente e la presentazione del
documento d’offerta, attesa la cancellazione – a seguito delle note pronunce giurisprudenziali –
dell’obbligo di preventiva comunicazione al mercato.
D’altro canto, le stesse disposizioni Consob mitigano gli effetti dello spostamento in
avanti della procedura bancaria. La previsione del citato art. 40, comma 3, lett. c), infatti,
sembra muoversi nella stessa direzione sottesa alla disposizione presente nelle Istruzioni di
vigilanza, che impone il rilascio dell’autorizzazione prima che l’offerta divenga irrevocabile: in
entrambi i casi, si mira ad evitare che le scelte del mercato vengano effettuate prima della
pronuncia della Banca d’Italia che potrebbe vietare l’operazione311.
8.3. (Segue): Il conflitto fra le disposizioni della Consob e le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia.
Le asimmetrie informative sono quelle che, più di altre, vanno ad alterare la condizione
della trasparenza. La trasparenza, sul piano degli interessi privati, è funzionale alla tutela degli
investitori e dei soggetti interessati ad acquisire il controllo sulle società quotate, mentre sul
piano dell’interesse generale, rappresenta un presupposto imprescindibile al perseguimento
della competitività e del buon funzionamento del mercato.
310 Peraltro, al successivo comma 4 dell’art. 40, reg. Consob n. 11971/99, si stabilisce che “la notizia delle
intervenute autorizzazioni previste dalle normative di settore, dell'adozione della delibera di emissione degli
strumenti finanziari offerti in scambio, della sua intervenuta iscrizione nel registro delle imprese e dell'inizio del
periodo di adesione è immediatamente comunicata al mercato se non già contenuta nel documento d'offerta”.
311 Sotto un profilo formale, va tenuto in debito conto che la normativa Consob non fa riferimento al
momento in cui l’offerta diviene irrevocabile. Come è stato rilevato in dottrina, “anche ove si ritenga che
l’irrevocabilità dell’Opa coincida con il momento della pubblicazione del documento d’offerta, è possibile che
l’autorizzazione prevista dall’art. 19 in commento intervenga prima che l’Opa divenga irrevocabile, se viene
rilasciata nei quindici giorni successivi alla richiesta”; così C. BRESCIA MORRA, L’impresa bancaria, cit., p. 203.
Alla Consob compete infatti l’esame, da eseguirsi entro 15 giorni, dei profili di trasparenza dell’operazione e della
correttezza e completezza delle informazioni contenute nel documento d’offerta prima di autorizzarne la
pubblicazione (art. 102, comma 2, T.u.f.).
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Recenti e documentati contributi dottrinali, pur se orientati ad ottimismo, attestano
quanto sia difficile districarsi tra l’esigenza dei mercati di acquisire senza indugio informazioni
relative alle suddette operazioni e il bisogno di riservatezza delle parti coinvolte nelle iniziative
di subentro nel controllo312.
A fronte della dettagliata disciplina in tema di offerta pubblica di acquisto, incentrata
sulla comunicazione e pubblicazione del documento d’offerta, che ha natura preventiva e di cui
risultano beneficiari tutti gli investitori, si giustappone la constatazione che una documentata
informazione relativa alle operazioni di dismissione e acquisizione del controllo delle banche è
destinata a realizzarsi sul mercato soltanto ex post313.
La divulgazione di alcuni dati informativi, che avviene con l’inoltro della richiesta
preventiva di autorizzazione alla Banca d’Italia, può infatti dischiudere la conoscenza di
situazioni ancora incerte, laddove per esempio legate allo sviluppo di trattative che, per note
ragioni, non sono necessariamente destinate a concretizzarsi in una vicenda negoziale dagli
effetti definitivi ovvero che possono persino non approdare ad esiti di sorta314.
Diversamente, le regole in tema di offerta pubblica di acquisto sono generalmente
percorse, come quelle in tema di repressione dell’insider trading315 e di informazione permanente
del mercato, dalla preoccupazione di colmare (rectius, ridurre a livelli fisiologici) l’asimmetria
informativa che – è presumibile – sussista tra determinate controparti o categorie di
controparti316. Al tempo stesso, un comune substrato di market egalitarianism può essere
Per un’analisi cfr., ex multis, F. VELLA, Il corporate governance nelle banche tra regole di vigilanza e disciplina
di mercato, in Banca, impr. e soc., 1998, p. 83 che ipotizza “in un possibile conflitto tra le competenze attribuite
all’organo di vigilanza per l’autorizzazione all’acquisto di azioni delle banche e le norme in materia di Opa, una
prevalenza delle seconde in quanto strumento di monitoraggio di mercato sull’efficienza aziendale, tramite il
ricambio del controllo, e anche strumento di tutela dell’azionariato bancario; fermi restando naturalmente i limiti
di << separatezza >>, previsti dall’art. 19 T.u.b.”
313 Del resto, come è noto, gli effetti preliminari non possono però considerarsi di origine negoziale
allorquando gli stessi sorgano prima che sia addirittura iniziata la manifestazione di volontà. Un’espressa
dichiarazione, assoggettata al medesimo vincolo di pubblicazione prescritta per l’avvio della procedura, potrebbe
all’uopo risultare sufficiente allo scopo. Infatti, come rileva D. RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari,
Milano, 1939, p. 151, “la funzione mediata degli effetti preliminari consiste nell’assicurare la futura produzione
degli effetti definitivi, proteggendo il completarsi della fattispecie”.
314 Meno chiara, invece, è quale sia la configurazione del contenuto e dei limiti del bisogno di protezione,
riferito ai predetti azionisti, in ragione del quale il legislatore è intervenuto. In particolare, ci si può domandare se
questo bisogno di protezione sia identico o omologo a quello sotteso alla generalità delle norme di tutela degli
investitori nell’ambito del diritto del mercato finanziario; o se invece si è di fronte a un bisogno di protezione
speciale e diverso, tale da attribuire alle norme in tema di offerta pubblica una ratio e correlativamente un
contenuto e una portata del tutto peculiari nel quadro della disciplina giuridica del mercato. In merito cfr. F.
GUARRACINO, Commento sub art. 114, in Commentario del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria, a cura di G. ALPA e F. CAPRIGLIONE, 1998, p. 1031 ss.
315 Né, ancora, la revisione della disciplina dell’insider trading, che la recente introduzione della direttiva n.
2003/6/CE sugli abusi di mercato ha imposto, si prospetta idonea a superare tali oggettive difficoltà: la direttiva
ruota intorno all’assolvimento del prescritto obbligo di tempestiva disclosure dell’informazione privilegiata, ma
l’ampiezza della relativa nozione rende parimenti problematica, nei sensi suddetti, la selezione dei fatti e dei
comportamenti di cui sia da prescrivere la tempestiva trasparenza e divulgazione. Si è rilevato in proposito che
essa non consente di escludere che costituisca informazione privilegiata, oggetto di divulgazione, anche quella
concernente progetti ancora in itinere, ovvero informazioni di provenienza esterna all’emittente che però lo
riguardino direttamente; con quali conseguenze, in termini di speculazione, è lecito chiedersi. È noto infatti che la
tipologia di abuso di informazioni privilegiate maggiormente frequente è proprio quella relativa al mutamento di
controllo di società quotate, attuato sia attraverso offerte pubbliche di acquisto, sia attraverso la cessione di
partecipazioni rilevanti. Il punto meriterebbe un valido approfondimento; si rinvia pertanto ai contributi di R.
RORDORF, Importanza e limiti dell’informazione nei mercati finanziari, in Giur. Comm., 2002, I, p. 773 ss., ed ivi p. 776
ss.; F. ANNUNZIATA, Le norme del nuovo regolamento della Consob in materia di informazione societaria. Una prima lettura,
in Banca borsa, 1999, I, p. 500 ss.
316 Il problema è stato anche ampiamente studiato e posto in evidenza nel dibattito giuridico. In proposito
cfr. F. CESARINI, Mercato finanziario ed informazione societaria, in l’Informazione societaria, in Atti del convegno
312
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ravvisato tanto nelle regole in tema di insider trading e di informazione permanente del mercato,
quanto nelle regole in tema di offerta pubblica317.
Questo assunto appare ancor più scontato nel caso in cui l’offerente sia esso stesso una
società quotata; in tal caso gli obblighi di trasparenza riguardano anche l’acquirente e
conseguono non solo alla normativa sulle offerte pubbliche ma anche alla disciplina
dell’informazione price sensitive318.
Più in generale, ciò che si vuole sottolineare è che la finalità soggettiva di chi muove
verso l’acquisto di partecipazioni in misura tale da incidere sugli equilibri del controllo, si
configura quale informazione privilegiata oggetto di preventiva disclosure, in quanto
informazione che può influire in modo sensibile sull’evoluzione e la formazione dei prezzi, e la
cui divulgazione non sembra a rigore nemmeno ritardabile per la tutelata esigenza di non
pregiudicare i legittimi interessi degli azionisti della società emittente319.
internazionale di studi, Venezia 5-6-7 novembre 1981, Milano, 1982, p. 655; K.J. ARROW, L’informazione come
industria di servizi, in TAMBURINI (a cura di), Verso l’economia dei servizi, Il settore finanziario, Bologna, 1988, p. 29 ss.;
C.A. CIAMPI, Informazione, politica economica, sistema finanziario, Intervento presso l’Università Bocconi, Laboratorio
per la Comunicazione Economica e Finanziaria, Milano, 26 febbraio 1990; C. BENASSI, Mercati finanziari e
asimmetrie informative, Bologna, 1992; A. MACCHIATI, Decisioni finanziarie e mercati dei capitali, Bologna, 1992, p. 101
ss.; A. PREDIERI, Il nuovo assetto dei mercati finanziari ecc..., cit. 498 ss.; R. MAVIGLIA, Commento sub art. 104, in C.
RABITTI BEDOGNI (a cura di), Il Testo unico della intermediazione finanziaria. Commento al d.lgs. 24 febbraio 1998, n.
58, p. 422 ss.
317 Per un commento della disciplina sul contenuto e lo svolgimento dell’offerta, contenuta nell’art. 103
T.u.f. e negli artt. 41 e 42 del reg. emittenti n. 11971/1999, cfr. F. CANNELLA, Commento sub art. 103, in P.G.
MARCHETTI e L.A. BIANCHI (a cura di), La disciplina delle società quotate nel testo unico della finanza, cit., p. 218 ss.;
F. CHIAPPETTA, Commento sub art. 103, in G. ALPA e F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al testo unico
delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, cit., p. 958 ss.; M. LAMANDINI, Commento sub art. 103, in
Testo unico della finanza, Commentario diretto da G.F. CAMPOBASSO, cit., p. 878 ss.; G.L. PICONE, op. cit., p. 68
s.
318 Come si è già accennato, il regime della diffusione al pubblico delle informazioni privilegiate è
disciplinato dall’art. 114 del T.u.f., che, nella sua nuova formulazione, richiama, per l’individuazione delle
informazioni oggetto di comunicazione, quelle di cui all’art. 181 T.u.f. Il comma 1 del nuovo art. 114 T.u.f.
prevede, tra l’altro, uno specifico obbligo per gli emittenti quotati ed i soggetti che li controllano di comunicare
senza indugio al pubblico le informazioni privilegiate che riguardano direttamente gli stessi. La Consob, in
esecuzione della delega che le era stata conferita ai sensi della precedente versione dell’art. 114 del T.u.f., ha
disciplinato le modalità di diffusione di alcune informazioni tra il pubblico, distinguendo: (i) le informazioni su
fatti rilevanti (artt. 66-69); (ii) le informazioni su operazioni straordinarie (artt. 70-76); (iii) l’informazione periodica
(artt. 77-83) e (iv) le altre informazioni (artt. 84-89). L’individuazione delle informazioni privilegiate che
riguardano direttamente la società e le sue controllate è rimessa al prudente apprezzamento dell’amministratore,
con il supporto della direzione affari legali e societari.
In dottrina è considerata “informazione riservata” la conoscenza di: un progetto, una proposta,
un’iniziativa, una trattativa, un’intesa, un impegno, un accordo, un fatto o un evento, anche se futuro e incerto,
attinenti la sfera d’attività del gruppo e delle società ad esso collegate, che non sia di dominio pubblico e che, se
resa pubblica, potrebbe recare pregiudizio al gruppo o costituire “fatto rilevante” ai sensi dell’art. 114 del T.u.f. e
dell’art. 66 del reg. Consob n. 11971/99 e successive modificazioni. Di tal che, un’offerta pubblica d’acquisto, ad
esempio, può costituire un’informazione privilegiata anche se l’offerente non ha ancora deciso il prezzo
dell’offerta. È irrilevante che il dato non si riferisca ad un unico evento, d’imminente realizzazione, ma ad un
complesso e articolato progetto, di futura e incerta attuazione non essendovi nella fattispecie normativa una
presunta esigenza di contiguità temporale tra lo sfruttamento borsistico e la diffusione della stessa.
319 Del problema il legislatore comunitario sembra del resto consapevole. Con il recepimento della
Direttiva 2003/6/CE, il Titolo I-bis ha sostituito l’originario Capo IV (“Abuso di informazioni privilegiate e
aggiotaggio su strumenti finanziari”) del d.lgs. 58/1998 per effetto di quanto previsto all’art. 9, comma 2, lett. a),
legge 18 aprile 2005, n. 62. La definizione d’informazione privilegiata in sede comunitaria è prevista dall’art. 1 della
direttiva n. 89/592/CEE, ed ora riprodotta nella direttiva 2003/6/CE sugli abusi di mercato; direttiva,
quest’ultima che, secondo quanto si legge nel «considerando» n. 44, «rispetta i diritti fondamentali e osserva i
principi riconosciuti ...dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea», all’art. 49, sancisce a sua volta i
principi della legalità e proporzionalità dei reati e delle pene. Per “informazione privilegiata” si intende, pertanto,
“…qualsiasi …informazione che ha un …carattere preciso, che …non è stata resa pubblica e che concerne,
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Nulla esclude di ipotizzare, infatti, che la sola notizia di eventuali operazioni di
compravendita possa innescare manipolazioni di mercato se e quando, poiché protetta da
quell’opacità garantita per altre finalità (id est il controllo preventivo della Banca d’Italia),
fornisca indicazioni (spesso incomplete e pertanto fuorvianti) in merito all’offerta di acquisto
degli strumenti finanziari oggetto dell’iniziativa320.
Il paradigma della trasparenza, considerato “quale postulato di riduzione, nei limiti del
possibile, di ogni forma di privilegio informativo”321 garantisce che tutti i partecipanti al
mercato siano posti nella condizione di determinare correttamente il valore dei titoli quotati.
Non v’è dubbio che il legislatore, nell’adottare speciali norme in tema di offerta pubblica,
ha intenso tutelare in via esclusiva o principale la posizione degli azionisti della società
bersaglio. Sembra lecito dunque chiedersi sino a che punto la tutela del risparmio possa
giustificare una specifica peculiarità bancaria. Se infatti è opportuno tenere in debita
considerazione la tutela dei depositanti, analogamente non deve risultare contratta la tutela
degli altri soggetti che in altre forme affidano i loro risparmi alle imprese bancarie. Alla
necessaria riservatezza delle procedure connesse alle valutazioni della vigilanza bancaria non
può pertanto essere sacrificata tout court l’esigenza di assicurare la trasparenza sulla decisione di
promuovere l’operazione, condizione imprescindibile per garantire il buon funzionamento del
mercato.
E d’altro canto, il favor che il legislatore del Testo unico della finanza ha mostrato di
nutrire nei confronti degli azionisti di minoranza si giustifica in ragione di un particolare
principio: il convincimento, cioè, che non v’è momento, nell’operare del mercato capitalistico,
nel quale la trasparenza sia più utile e più giustificata di quello in cui si assiste al ricambio o
comunque a una rilevante modifica degli assetti di controllo in una società quotata322.
direttamente o indirettamente, uno o più emittenti di strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari.
Un’informazione che se resa pubblica potrebbe …influire in modo sensibile sull’evoluzione e la formazione dei
prezzi di un mercato regolamentato”.
Potrebbe, infatti, dimostrarsi, opportuno, se non prescritto, parametrare la disciplina di tali operazioni
altresì a quanto stabilito nel XVIII° considerando della Direttiva 2003/6/CE sugli abusi di mercato, ove si
richiede di interpretare ed attuare la direttiva “…in modo coerente con i requisiti per un’efficace regolamentazione
al fine di proteggere gli interessi dei detentori di valori mobiliari che godono di diritti di voto in una società…”,
non solo laddove la società sia fatta oggetto di offerta pubblica di acquisto, ma anche “…di altri proposti
cambiameni di controllo…”.
320 Illuminante la posizione espressa sull’argomento dal CESR, Advice on the Second Set of Level 2 Implementing
Measures for the Market Abuse Directive (Ref CESR/03-212c) a proposito delle “Suspicious Transactions” (ivi, sub VI, §.
49-63); richiesta dalla Commissione di individuare “…the criteria for determining how and when persons professionally
arranging transactions in financial instruments shall notify the competent authority of suspicious transactions…”. Vale la pena
ricordare che l’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato configurano illeciti passibili di
sanzione penale (artt. 184-187 del T.u.f.) e amministrativa (artt. 187-bis – 187-quater del T.u.f.) nei confronti di
coloro che lo hanno commesso e possono dare luogo a situazioni che comportano la responsabilità
amministrativa della società (artt. 187-quinquies del T.u.f. e 25-sexies del d.lgs. n. 231/2001).
321 Così Sul punto cfr. D. REGOLI, Offerte pubbliche di acquisto e comunicato agli azionisti, Torino, 1996, p. 200.
Come è stato diffusamente evidenziato in dottrina, soltanto una capillare distribuzione delle informazioni può
consentire la realizzazione di un mercato correttamente funzionante. Per questo le asimmetrie informative vanno
giudicate “non tollerabili” e, per quanto possibile, devono essere ridotte.
322 Obiettivamente, la complessità di fattori da cui dipende l’analisi posta in essere dalla Banca d’Italia nel
rilasciare l’autorizzazione – patrimonio di conoscenze sugli individui, “interdipendenze” fra essi e fra essi e i
capitali impiegati, e la soggettività insita in talune altre valutazioni – sconsigliano perentoriamente di tentare di
disegnare a tavolino i tratti di un’allocazione della proprietà che sia migliore di un’altra.
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9. Coordinamento e cooperazione tra supervisori in funzione del corretto funzionamento del mercato.
Nel caso delle Opa bancarie, il buon funzionamento del mercato e il principio della parità
di trattamento richiedono che le autorità adottino “provvedimenti tempestivi e il più possibile
sincroni, nel rispetto dei rispettivi ambiti di competenza e delle diverse finalità”. L’impegno da
parte delle Autorità preposte a “ridurre al minimo i tempi di reazione” ed un maggiore
coordinamento tra le Autorità e le relative procedure di autorizzazione “consentirebbe di
ridurre le fasi di incertezza e le conseguenti anomalie nelle quotazioni”.
A tal proposito, si è più volte messo in luce come l’integrazione intersettoriale evidenzi
con chiarezza l’esigenza di introdurre meccanismi di coordinamento tra le autorità competenti.
Il principio di fondo da cui muovere è il seguente: il rapporto tra norme sul mercato
finanziario e normativa del settore bancario richiede una loro applicazione coordinata, avendo
presente le rispettive finalità.
Sul punto la legge n. 262/2005 sul risparmio, dopo aver sottolineato che la cooperazione
tra le autorità di vigilanza interessate e lo scambio di informazioni sono elementi
imprescindibili di un’efficace azione di vigilanza (senza un adeguato flusso di informazioni tra
le imprese del mercato finanziario e le autorità di vigilanza e tra le autorità stesse, infatti,
nessuna misura di vigilanza proposta potrebbe funzionare efficacemente), riconosce l’urgenza
di accrescere la collaborazione tra le autorità incaricate di vigilare su enti creditizi, imprese di
assicurazione e imprese di investimento, compresa l’elaborazione di accordi ad hoc tra tali
Autorità.
Al tema del coordinamento e della collaborazione delle Autorità (Banca d'Italia, Consob,
Isvap, Covip, Autorità garante della concorrenza e del mercato) sono dedicati gli artt. 20-22
della legge n. 262/2005, che definiscono principi e strumenti attraverso i quali realizzare questa
finalità. A questo scopo si prevede che: a) restano ferme le previsioni contenute nel T.u.b. e nel
T.u.f. in materia di scambi di informazione e accordi di collaborazione fra Autorità nazionali e
Autorità di vigilanza CE ed extra CE; b) si prevede la possibilità di creare archivi gestiti
congiuntamente o, come già previsto per i dati contenuti nella Centrale dei rischi (cfr. art. 187octies, T.u.f.), possibilità di accesso a dati contenuti in archivi gestiti da una delle Autorità. Resta
confermato il vincolo contenuto nel T.u.f. del preventivo assenso dell’Autorità che per prima
ha acquisito o prodotto i dati ai fini di una successiva trasmissione a soggetti diversi. Sono in
corso di definizione le modalità con le quali la Consob potrà accedere in via telematica ai dati
contenuti nella Centrale dei Rischi, gestita dalla Banca d'Italia; c) è prevista la collaborazione
della Guardia di Finanza. Infine, tra le disposizioni attuative di questa parte della legge n.
262/2005, occorrerà definire gli accordi di collaborazione fra le Autorità.
Quanto alla cooperazione e allo scambio di informazioni tra autorità è previsto che esse,
fatte salve le rispettive responsabilità così come definite dalle norme settoriali, dovranno
reciprocamente fornirsi tutte le informazioni essenziali e pertinenti all’esercizio dei rispettivi
compiti di vigilanza323. La legge poi indica nel dettaglio quali sono gli elementi con riferimento
ai quali necessariamente non può mancare la raccolta e lo scambio di informazioni.
In particolare, a norma dell’art. 21, è imposto alle singole autorità l’obbligo di rimuovere
ogni ostacolo di natura giuridica che nel loro ordinamento possa impedire lo scambio di
informazioni, nonché di disporre che le altre autorità competenti preposte all’esercizio della
vigilanza sul mercato finanziario in ciascun settore possano accedere a tutte le informazioni
pertinenti per l’esercizio del controllo cui sono preposte, interpellando direttamente o
indirettamente le imprese controllate.
323 Al riguardo v. nuovo testo del comma 5 dell’art. 7 del T.u.b. Cfr. anche l’art. 4, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58
(CONSOB); l’art. 10, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (ISVAP); l’art. 17, commi 5 e 6, d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 (COVIP).
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Capitolo IV
LE PRINCIPALI IPOTESI DI OPA NEL SETTORE BANCARIO
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. L’ambito di applicazione della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto
obbligatorie. - 2.1. L’offerta pubblica di acquisto totalitaria. - 3. La supposta incompatibilità tra tutela della
“sana e prudente gestione” e Opa “ostili”. - 3.1. (Segue): Un giudizio sull’Opa “ostile” con particolare riguardo
al sistema bancario. - 3.2. Tutela degli azionisti e profili di responsabilità degli amministratori nel comunicato
della società emittente. - 4. La disciplina delle offerte “concorrenti” e delle offerte “in aumento”. - 4.1. Opa
bancarie concorrenti “travestite” da obbligatorie. - 5. Introduzione alla nozione di “acquisto di concerto”. 5.1. (Segue): Gli acquisti di concerto e l’obbligo di comunicazione degli accordi di voto nel settore bancario. - 6.
L’Opa e il nodo della “contendibilità” delle banche popolari. - 6.1. Adeguamenti della governance delle popolari:
autoregolamentazione statutaria dei singoli intermediari o intervento diretto del legislatore? - 6.2. (Segue):
L’inapplicabilità della break-through rule al modello delle banche cooperative quotate.
1. Premessa.
Come ricordato nell’introduzione, il trasferimento del controllo – genericamente inteso
come operazione, cioè come il complesso delle sequenze procedimentali e negoziali che
coprono la totalità dell’operazione – deve essere analizzato mettendo in conto un’Opa
successiva, quando si configurino i presupposti che la rendano obbligatoria. La disciplina per il
trasferimento del controllo delle banche rileva infatti anche in altre ipotesi di Opa quali, in
special modo, quelle obbligatorie.
La ratio fondante della previsione dell’Opa obbligatoria, è stata individuata da gran parte
della dottrina nell’esigenza di evitare che la cessione della partecipazione di controllo di una
società avvenga all’insaputa dei soci di minoranza e, conseguentemente, che l’incremento di
prezzo degli strumenti finanziari costituenti la partecipazione ceduta rispetto al corrispondente
valore di mercato dei medesimi (c.d. “premio di controllo”), sia acquisito soltanto dal titolare di
essa e non venga distribuito tra tutti gli azionisti, violando così il principio di parità di
trattamento.
La seconda finalità che giustifica l’introduzione della disciplina dell’Opa obbligatoria nel
nostro ordinamento si fonda sull’esigenza di consentire a tutti gli azionisti di uscire dalla
compagine sociale, nel caso, quest’ultima subisca modifiche dei propri assetti proprietari. È
evidente che il legislatore ha il compito di bilanciare gli interessi dicotomici della minoranza e
del gruppo di controllo324.
Lo studio delle problematiche prospettate dalle Opa bancarie richiede pertanto
un’integrazione alla luce dei più significativi segnali emersi dall’esperienza applicativa. La
descrizione della disciplina generale delle offerte pubbliche di acquisto richiamata nel capitolo
precedente, non dà, in effetti, conto del più vasto ambito di applicazione della normativa.
A completamento si è ritenuto opportuno, oltre ad illustrare la disciplina dell’Opa
obbligatoria (di cui agli artt. 105 ss. del T.u.f.), affrontare l’esame di alcune specifiche ipotesi di
Opa nel settore bancario, con particolare riferimento:
La prima investe con la speranza di massimizzare il capital gain al momento dello smobilizzo che può
coincidere con la cessione del controllo della società, il secondo si arrischia nell’acquisizione del controllo
societario con l’obiettivo di una migliore allocazione delle risorse societarie e dunque di un aumento del valore
dell’impresa. In proposito v. P. DE GIOIA CARABELLESE, Opa: inquadramento e definizioni, , in M.
PASSALACQUA (a cura di), Le offerte pubbliche di acquisto obbligatorie di strumenti finanziari), Interessi pubblici e
integrazione di imprese, Università degli Studi di Pisa, Collana “Jura Oeconomia”, Pisa, 2005, p. 80 ss.
324
- 98 -
1) al fenomeno delle Opa ostili;
2) alle incogruenze sorte in materia di offerte c.d. “incrociate” (offerte in aumento, Opa
concorrenti e modificazioni delle offerte);
3) ai problemi sperimentali emersi con riguardo all’accertamento di un “patto occulto” e
al successivo obbligo di lanciare un’Opa obbligatoria ex art. 109 T.u.f., con conseguente
sovrapposizione di competenze tra i due regulators (Consob e Banca d’Italia).
4) all’assenza di contendibilità per le banche popolari, da imputare alle peculiarità proprie
della struttura coopertiva.
2. L’ambito di applicazione della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto obbligatorie.
Le disposizioni in tema di offerte pubbliche di acquisto obbligatorie si applicano
limitatamente alle acquisizioni di “azioni ordinarie quotate in mercati regolamentati italiani con
diritto di voto sugli argomenti indicati dal’art. 105”, che comportino il superamento di
determinate soglie partecipative325. La definizione di partecipazione a tal fine rilevante è stata
rimodellata dal d.lgs. n. 37 del 2004 per adattarla alle disposizioni del nuovo diritto societario e,
per tener conto, sia della possibilità che le società abbiano adottato un modello di gestione
dualistico (in cui gli amministratori sono nominati dal consiglio di sorveglianza), sia del fatto
che l’autonomia statutaria può modellare il diritto di voto in modo da attribuire a certi soggetti
rilevanti poteri anche nell’ipotesi in cui non concorrano alla nomina degli amministratori.
Più precisamente, il nuovo art. 105 del T.u.f. stabilisce che “per partecipazione si intende
una quota, detenuta anche indirettamente per il tramite di fiduciari o per interposta persona,
del capitale rappresentato da azioni che attribuiscono diritto di voto nelle deliberazioni
assembleari riguardanti nomina o revoca o responsabilità degli amministratori o del consiglio di
sorveglianza”. Si tratta dunque di un campione più significativo di decisioni assembleari, in
grado di imprimere un cambiamento rilevante all’assetto proprietario dell’impresa326.
Senza voler, tuttavia, entrare nel merito del dibattito sull’individuazione degli interessi protetti dall’Opa
obbligatoria, si segnalano come utili i collaudati schemi analitici elaborati da R. SKOG, Se l’opa obbligatoria sia
davvero necessaria. Riflessioni critiche alla luce del sistema svedese (trad. F. ANNUNZIATA), in Riv. soc., 1995, p. 1004 e da
R. WEIGMANN, Le offerte pubbliche di acquisto, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. COLOMBO e G.B.
PORTALE, vol. 10, 2, Torino, 1993, p. 317 ss. In seguito all’emanazione del Testo Unico della finanza, si vedano
i risultati degli studi condotti da M. PAGANO, F. PANUNZI e L. ZINGALES, Osservazioni sulla riforma della
disciplina dell’Opa, degli obblighi di comunicazione del possesso azionario e dei limiti agli incroci azionari, in Riv. soc., 1998, p. 152
ss.; G. SICILIANO, La regolamentazione dei trasferimenti del controllo e delle acquisizioni di società quotate. Efficienza
economica e protezione degli azionisti di minoranza, in Banca, Impr. e soc., 1997, p. 345 ss. Più di recente cfr. L.
SPAVENTA, Testo predisposto per l’audizione alla VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati, e acquisito agli Atti
parlamentari, nell’ambito dell’“indagine conoscitiva sull’attuazione del Testo unico della finanza”, Roma 20 marzo 2002; L.
ENRIQUES, Mercato del controllo societario e tutela degli investitori, Bologna, 2002, p. 15 ss.; M. TONELLO, Offerte
pubbliche di acquisto e substantial share acquisition: breve rassegna aggiornata delle norme di diritto americano, in Contr. impr.,
2002, p. 208 ss.
326 La ricostruzione della disciplina dell’Opa – fino a ieri basata sulla sola categoria delle azioni ordinarie –
e la ridefinizione della nozione di partecipazione rilevante – in seguito alla possibilità riconosciuta agli emittenti,
per effetto degli interventi cui il legislatore ha posto mano con il d.lgs. n. 37/2004, di fare ricorso a diverse
tipologie di strumenti di raccolta del capitale, forniti di diritti patrimoniali e amministrativi ampiamente
diversificabili – sono affrontate da F. ANNUNZIATA, Nuovo diritto societario e modifica alla disciplina dell’Opa
obbligatoria, in Le società, n. 7/2004, p. 797 ss. Cfr. in proposito anche i contributi di S. MECHELLI, L’ambito di
applicazione della nuova normativa sulle Opa obbligatoria, in P. BELVEDERE e al. (a cura di), Le offerte pubbliche di
acquisto, Roma, 2000, p. 77 ss. Sulle finalità delle normative in materia di Opa obbligatoria, si rinvia alla sintesi delle
diverse posizioni operata da G. SICILIANO, La regolamentazione dei trasferimenti del controllo e delle acquisizioni delle
società quotate, in Consob, Quaderni di Finanza, n. 24, gennaio 1998, p. 7 ss.; M. CALLEGARI, Commento sub art.
107, in Giur. it., 1998, p. 2455; M. LISANTI, L’abrogazione della l. n. 149/1992 fra il testo unico della finanza e la
325
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Il legislatore ha stabilito, altresì, che la Consob possa con regolamento includere nella
definizione di partecipazione rilevante categorie di azoni che attribuiscono diritti di voto su
uno o più argomenti diversi tenuto conto della natura e del tipo di influenza, anche congiunto,
sulla gestione della società.
La tecnica legislativa c.d. “a doppio binario” può essere valutata con favore in quanto, da
un lato, soddisfa esigenze di tutela degli investitori con riferimento al trasferimento del
controllo societario, dall’altro, limitando l’applicazione delle norme in tema di Opa e Ops
obbligatoria alle società quotate, consente di non “appesantire” la disciplina di applicazione
generale, in considerazione delle diverse realtà economiche che caratterizzano le società non
quotate327.
Il Testo unico della finanza prevede due fattispecie di offerte pubbliche di acquisto
obbligatorie: a) l’Opa totalitaria (art. 106) e l’Opa residuale (art. 108), non potendosi ritenere
tali né l’offerta pubblica di acquisto preventiva (art. 107), che configura un’ipotesi di offerta
pubblica di acquisto volontaria capace di esonerare dall’offerta totalitaria, né tanto meno il
diritto di acquisto disciplinato dall’art. 111 T.u.f. che prevede, anzi, un diritto del soggetto
controllore di acquisire coattivamente il capitale residuo quando questo si sia ridotto al di sotto
del 2 per cento (e non un obbligo a farlo).
L’incentivo ad un mercato del controllo societario più vivace viene realizzato
efficacemente attraverso la norma che concede la facoltà di recedere senza preavviso dal patto
parasociale in caso di Opa preventiva su almeno il 60% delle azioni ordinarie; la norma che
non pone limiti ai rilanci in caso di offerte concorrenti promuovendo l’ammissione di un
sistema “ad asta”; la norma che regola i rapporti tra Opa e partecipazioni reciproche e quella
che àncora ad un criterio più oggettivo la c.d. “Opa a cascata”.
Finalizzate al conseguimento dell’obiettivo della parità di trattamento dei destinatari
dell’offerta328 sono anche la regola dell’Opa di consolidamento e l’introduzione della nozione di
prossima direttiva UE sulle opa, cit.., 1998, p. 455; M. CUSMAI e R. D’AMBROSIO, Riflessioni sull’istituto dell’Opa
obbligatoria, in Riv. dir. comm., 1995, p. 407 ss.
327 In tal senso, assumono tradizionalmente risalto le osservazioni di G. COTTINO, Offerte pubbliche di
acquisto o di scambio, in Quaderni di Giur. it., 1999, p. 4; R. WEIGMANN, La nuova disciplina delle Opa, in AA.VV., La
riforma delle società quotate, Atti del Convegno di Santa Margherita Ligure 13-14 giugno 1998, Milano, 1998, p. 198;
M. LISANTI, L’abrogazione della l.n. 149 /1992 fra il Testo unico della finanza e la prossima direttiva U.E. sulle Opa, cit., p.
458; contra F. CARBONETTI, La nuova disciplina delle offerte pubbliche di acquisto, in Riv. soc., 1998, p. 1353 s., in cui
l’Autore ritiene ingiustificato estendere ad ogni offerta pubblica di acquisto, avente ad oggetto qualsiasi prodotto
finanziario, una regola nata nell’ambito della disciplina dei mercati regolamentati e circoscritta alle sole offerte
pubbliche su azioni quotate.
328 Cfr. M. DRAGHI, Commento sub art. 107, in G. ALPA e F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al
Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, II, Padova, 1998, p. 993. In giurisprudenza v., da
ultimo, Trib. Milano, 8 giugno 2005, in Le società, n. 9/2005, p. 1137, con commento di P. DE GIOIA
CARABELLESE, Responsabilità per violazione dell’Opa obbligatoria: epistemologia e fenomenologia di un passaggio a nord-ovest,
in Le società, 9/2005, p. 1142 ss., ove si afferma che “il socio di minoranza di una società italiana, le cui azioni sono
quotate in un mercato regolamentato italiano di strumenti finanziari, vanta un diritto soggettivo perfetto al lancio
di un’offerta pubblica di acquisto di tipo obbligatorio”. Nella motivazione si afferma, inoltre, che “l’obbligo
giuridico al lancio di un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria si configura come obbligo di rispettare il
principio di eguaglianza tra tutti i soci, sancito dall’art. 92 d.lgs. n. 58/1998, e si incorpora nell’azione detenuta,
inserendosi ex lege nel contratto sociale”. Sicchè, prosegue la sentenza, “la mancata osservanza, da parte
dell’azionista di una società quotata, dell’obbligo di promozione di un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria, al
verificarsi del presupposto di cui all’art. 106 T.u.f., è fonte di responsabilità contrattuale nei confronti del socio
pretermesso”.
Di natura diametralmente opposta è, invece, l’orientamento elaborato dalla Corte d’Appello di Milano,
sent. del 18 gennaio 2007, in Il Sole 24 Ore, 19 gennaio 2007, p. 42. I giudici hanno stabilito che il mancato lancio
di un’Opa obbligatoria non faccia scattare il diritto di risarcimento per gli azionisti di minoranza, dovendosi
ritenere che le sanzioni previste dal Testo unico della finanza già garantiscano gli interessi del mercato: i voti
sull’intera partecipazione vengono sterilizzati e le azioni eccedenti la soglia del 30% devono essre rivendute entro
dodici mesi. Per un completamento della cornice giurisprudenziale, con riferimento al quadro normativo
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acquisto di concerto in materia di Opa obbligatoria329.
Tra le novità introdotte dalla nuova normativa, è altresì significativa la previsione di una
delega alla Consob al fine di definire e puntualizzare la portata dei precetti contenuti nel testo
di legge e la definizione di ipotesi particolari in cui la disciplina dell’Opa può subire variazioni.
2.1. L’offerta pubblica di acquisto totalitaria.
Ai sensi dell’art. 106, comma 1, T.u.f., l’obbligo per il lancio di un’Opa sulla totalità delle
azioni quotate in mercati regolamentati italiani con diritto di voto sugli argomenti indicati
nell'art. 105 T.u.f. sorge in capo a chiunque, a seguito di acquisti a titolo oneroso, superi la
soglia del 30% del capitale. Tale previsione opera infatti come rimedio ex post a favore degli
azionisti di minoranza. Verificatisi i presupposti oggettivi che fanno sorgere l’obbligo di
lanciare un’Opa, questa deve essere promossa, per ciascuna categoria di azioni e/o strumenti
finanziari di cui al primo comma, entro trenta giorni da quello in cui è avvenuto l’ultimo
acquisto con cui si è superata la soglia rilevante, al prezzo individuato in base al disposto di cui
al secondo comma dell’art. 106 T.u.f.330.
La disciplina di attuazione emanata dalla Consob ha, infatti, il pregio di avere introdotto
margini di flessibilità soprattutto sulle offerte obbligatorie per le quali, come è stato rilevato in
precedentemente delineato dalla legge n. 149/1992, cfr. le pronunce del Trib. Milano, 20 marzo 2000, in Le società,
n. 11/2000, p. 1357 ss., con commento di P. DE GIOIA CARABELLESE, La responsabilità in caso di violazione
dell’Opa obbligatoria; App. Milano, 27 novembre 1998, in Foro It., 1999, p. 2712 ss., con commento di M. LISANTI,
Se l’Opa obbligatoria sia davvero tale; Trib. Milano, 23 giugno 1997, in Le società, 1998, p. 308.
329 Vale la pena osservare che l’art. 5 della dir. n. 2004/25/CE in materia di offerte pubbliche di acquisto
pare riguardare il solo soggetto controllante e non estendersi, come prevede invece l’art. 109 T.u.f., solidalmente a
tutti i soggetti che hanno agito di concerto. La disposizione italiana prevede, infatti, un obbligo solidale degli
aderenti ad un patto di promuovere un’Opa totalitaria quando vengano a detenere, a seguito di acquisti effettuati
anche da uno solo di essi, una partecipazione complessiva tale da consentire il controllo ovvero il superamento
della soglia rilevante. Una comparazione con le esperienze degli altri ordinamenti europei risulterebbe, peraltro,
oltremodo difficile, data l’impossibilità di definire un quadro chiaro di come le regole sull’acquisto di concerto
siano applicate negli altri Paesi. La letteratura americana ignora il tema, essenzialmente perché la legislazione non
regola le offerte pubbliche di acquisto obbligatorie. La dottrina inglese, dal suo canto, non è particolarmente
significativa, atteso che il tema dell’acquisto di concerto è raramente affrontato sul piano scientifico
(sull’argomento v. G. STEDMAN, Takeovers, Londra, 1999). Lo stesso vale per l’ordinamento francese (cfr., in
proposito, D. BORDE e A. PONCELET, La notion d’action de concert en droit français après trois ans d’application de la
loi boursière du aout 1989, in Riv. soc., 1992, p. 556 ss.; A. VIANDIER, Opa – Ope et autres offres pubbliques, Parigi,
1999). Anche la letteratura italiana non è particolarmente ricca: in particolare, si rinvia ai contributi di M.
CALLEGARI, Commento sub art. 109. La nuova disciplina delle società quotate in mercati regolamentati, Offerte pubbliche di
acquisto e di scambio, cit., in Giur. It., 1998, p. 2456 ss.; P. GIUDICI, L’acquisto di concerto, in Riv. soc., 2001, p. 490 ss.;
R. DI SALVO e S. PROVIDENTI, Esperienze in materia di azione di concerto e opa: i casi inglese e francese, in Quaderni di
finanza Consob, n. 24, 1998; P. FERRO LUZZI, Il “concerto grosso”; variazioni sul tema dell’opa, in Giur. comm., 2002, I,
p. 655 ss.; L.A. BIANCHI, Commento all’art. 109, in P.G. MARCHETTI e L.A. BIANCHI (a cura di), La disciplina
delle società quotate nel Testo unico della finanza. D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, I, Milano, 1999, p. 429 ss.
330 Sulla proposta di consentire alla Consob di imporre discrezionalmente l’Opa obbligatoria ogni volta che
si accerti il passaggio del controllo v. il commento di R. COSTI, Queste norme sono una babele, in www.lavoce.info, del 2
maggio 2007; nonché il parere di A. MACCHIATI e M. ONADO, Se il mercato di controllo proprietario assomiglia a
Chinatown, in www.lavoce.info, 7 giugno 2007; si inseriscono in questo dibattito anche le puntuali osservazioni
formulate da F. CAVAZZUTTI, L’effetto soglia sull’Opa, in www.lavoce.info, 14 maggio 2007; e più di recente ID.,
L’Opa e i sette vizi capitali, in www.lavoce.info, 19 giugno 2007. Di diverso tenore il commento di S. BRAGANTINI,
Sarebbe un errore tornare indietro, in Il Corriere della Sera, 22 maggio 2007, p. 42, il quale, tra l’altro, ricorda che “c’è un
ultimo fatto che taglia la testa al toro: la soglia fissa è imposta dalla direttiva UE sull’Opa”. Invero, nella proposta
originaria del Governo, in occasione della redazione del d.lgs. n. 58/1998, si faceva riferimento al potere della
Consob di « muovere » la soglia rispetto al 15 per cento che il Governo individuava, a seconda che fossimo o
meno in presenza di società ad alta capitalizzazione e ad azionariato diffuso, rimandando in tal modo all’autorità il
potere di modifica.
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dottrina, l'opzione legislativa a favore dell'Opa totalitaria, nel caso del superamento della soglia
del 30 per cento di possesso azionario, rischiava di trascurare fattispecie peculiari nelle quali,
pur verificandosi i presupposti di legge, potevano sussistere ragioni di opportunità che
giustificavano un'esenzione dall'obbligo di effettuare l'offerta331.
L’offerta deve essere promossa, attraverso l’invio della comunicazione di cui all’art. 102,
comma 1, per ciascuna delle categorie di azioni che attribuiscono i predetti diritti.
Inoltre, il superamento della soglia deve avvenire per effetto di “acquisti a titolo
oneroso”: non rilevano, pertanto,, gli acquisti titolo gratuito332.
Infine, resta da segnalare che, la disciplina dell’Opa totalitaria, che assicura a tutti gli
azionisti il diritto di “uscire” dalla società a seguito del mutamento del controllo, si
contraddistingue per una regola sul prezzo che, pur essendo premiante per gli investitori che
aderiscono all’Opa, in attesa del recepimento della direttiva comunitaria che propone una
soluzione più onerosa, non disincentiva troppo gli operatori interessati all’acquisizione del
controllo.333
3. La supposta incompatibilità tra tutela della “sana e prudente gestione” e Opa “ostili”.
La disciplina bancaria delle operazioni di acquisizione del controllo non distingue tra le
modalità di realizzazione della stessa. Non trova espressa disciplina neppure il tema dell’offerta
pubblica di acquisto c.d. ostile, ossia non concordata preventivamente con il management della
società oggetto di acquisto334.
Il manifestarsi di Opa ostili amplia i contrasti tra la regolamentazione promossa dalla
Consob, cui spetta il compito di salvaguardare il mercato, garantire parità di trattamento ai vari
soggetti coinvolti nell’operazione, tutelare i diritti dei risparmiatori, e la regolamentazione
prudenziale portata avanti dalla Banca d’Italia. È in questo contesto che si manifesta con tutta
evidenza la discrasia che esiste tra disciplina generale applicabile a tutte le società quotate e
disciplina speciale applicabile alle banche.
La possibilità di acquisire il controllo di una società in modo ostile dipende, in linea
teorica, da due ordini di fattori. Da un lato, vi sono degli ostacoli, creati per tutelare gli interessi
generali, che vengono talvolta usati dal governo o dalle autorità competenti per scoraggiare
Cfr. R. WEIGMANN, I principi del T.u.f. nelle offerte pubbliche di acqusto e di scambio (artt. 105-106-107-108109), in G.F. CAMPOBASSO (diretto da), Testo unico della finanza , t. II, Torino, 2002, p. 904.
332 Incertezze potevano sorgere con riferimento all’acquisizione di azioni a titolo di pegno o di usufrutto;
soprattutto nell’ambito di un ordinamento come quello originariamente accolto dal Testo unico della finanza, che
non faceva riferimento esplicito alle azioni con diritto di voto, bensì alle azioni ordinarie. La successiva
modificazione della norma per effetto del d.lgs. n. 37/2004 e l’esplicita rilevanza attribuita al diritto di voto,
coerentemente con l’esenzione dall’obbligo di offerta per le azioni prive di tale diritto, impongono di ritenere che,
al fine di stabilire se la soglia sia stata superata, sia decisiva proprio la titolarità del diritto di voto e che, quindi, si
dovrà tener conto della nuda proprietà o del diritto reale limitato a seconda dell’attribuizione del diritto di voto.
Inoltre, soltanto l’effettivo esercizio del diritto di voto integra l’acquisto a titolo oneroso; ragion per cui si ritiene
che neppure il diritto di acquistae le azioni (call) possa ritenersi rilevante quale presupposto dell’obbligo di lanciare
l’offerta pubblica.
333 Per rendere meno gravoso l’onere dell’Opa totalitaria il Testo unico ha previsto che il prezzo offerto
non può “essere inferiore alla media aritmetica fra il prezzo medio ponderato di mercato degli ultimi dodici mesi e
quello più elevato pattuito nello stesso periodo dall’offerente per acquisti di azioni della medesima categoria” e
“qualora non siano stati effettuati acquisti, l’offerta è promossa al prezzo medio ponderato di mercato degli ultim
dodici mesi o del minor periodo disponibile”.
334 Efficace e preziosa sul tema delle Opa “ostili” è l’analisi compiuta da L. ENRIQUES, Quale disciplina per
le acquisizioni ostili?, in Mercato concorrenza regole, 1999, II, p. 180. Per un esame delle ragioni teoriche ed empiriche
sottese a tali fenomeni cfr. S. GROSSMAN e O.D. HART, Takeovers Bids, the Free-Rider Problem and the Theory of the
Corporation, in Bell Journal of Economics, 1980, vol. 11; R. COMMENT e G.A. JARREL, Two-Tier and Negotiated Tender
Offers, in Journal of Financial Economics, 1987, vol. 19.
331
- 102 -
operazioni “poco gradite”. È difficile dare un giudizio sulla bontà di tali strumenti e sul peso
che avranno in futuro sul mercato del controllo societario. Dall’altro lato, esiste una serie di
“tattiche difensive”, previste dalla legge o dagli statuti delle società, che gli amministratori delle
società target possono adottare per scoraggiare l’acquisizione ostile del controllo da parte di
terzi. Su quest’ultimo punto, la parola definitiva è affidata alle scelte che vengono compiute in
sede legislativa nella definizione dei diritti degli azionisti di minoranza e degli altri stakeholders
nei confronti dell’impresa335.
Nei casi di Opa non concordata sulle banche l’analisi va condotta in relazione ad un
potenziale conflitto delle suddette operazioni con gli obiettivi di stabilità degli istituti di credito
su cui si estende il controllo della Banca centrale336. La natura ostile o amichevole dell’Opa
assume, infatti, rilievo proprio con riferimento alla sana e prudente gestione, che deve essere
assicurata a tutela dei depositanti337.
Quale concreto significato debba assegnarsi a questo richiamo in un contesto quale
quello dell’Opa è un ulteriore e non facile problema. Nel ricercare una valida giustificazione, si
sarebbe portati a ritenere che il pregiudizio negativo verso le scalate ostili sia consequenziale a
un quadro legislativo molto sbilanciato verso la stabilità: le Opa ostili danno luogo a una
battaglia dall'esito incerto, sottraggono mezzi finanziari trasferendoli dalla banca scalante agli
azionisti di quella scalata, sconvolgono gli assetti organizzativi della stessa e quelli operativi
dell'erogazione del credito338.
In tal senso v. M. LAMANDINI, Le concentrazioni bancarie, cit., p. 110.
Sulla nozione di offerte amichevoli o ostili v. R. WEIGMANN, Le offerte pubbliche di acquisto, in Trattato
delle società per azioni, diretto da G.E. COLOMBO e G.B. PORTALE, Torino, 1993, 10**, p. 319. Tra i numerosi
contributi dedicati allo studio di tali tematiche si segnalano, ex multis, i lavori di L.A. BEBCHUK, Toward and
understored choice and equal treatment in corporate takeover, in Harward Law Review, 1985, p. 245 s.; L. ENRIQUES, Quale
disciplina per le acquisizioni ostili? Alcuni modelli teorici e la soluzione italiana, in Mercato, concorrenza regole, n. 2, 1999, p. 179.
Sui problemi di regolamentazione inerenti ai trasferimenti del controllo di una società quotata concordati tra
l’azionista che ne detiene stabilmente il controllo e un terzo v. ancora L.A. BEBCHUK, Efficient and Inefficient Sales
of Control, in Quarterly Journal of Economics, vol. 109; FRANKS & MAYER, Hostile take-overs and the correction of
managerial failure, Journal of Financial Economics 40 (1996), p. 163 ss.; nonché M. PAGANO, F. PANUNZI e L.
ZINGALES, op. cit., p. 155 ss.; P. AGNELLET, Opa et stratégie santi-opa, une approche internazionale, Paris, 1989, p. 88
ss.
337 A sostegno della tesi secondo cui il problema della pressure to tender presuppone un mercato del controllo
societario non pienamente efficiente cfr. B. ARRUNADA, Crìtica a la regulaciòn de Opas, in Revista de derecho
Mercantil, 1992, I, p. 31 ss. Per chiarire se i processi di aggregazione accrescano o meno l’efficienza nel sistema
bancario, la dottrina economica, in numerosi contributi, ha sottoposto a verifica empirica due diverse ipotesi
teoriche. La prima di queste, fondata sulla minaccia credibile di takeover, sostiene che i processi di acquisizione e di
fusione costituiscano la risposta del mercato a carenze gestionali di almeno una delle banche coinvolte (nel caso, la
banca acquisita) con l’obiettivo di massimizzarne il valore attuale. La seconda ipotesi, più attenta ai complessi
rapporti di agenzia fra proprietari e manager, sostiene invece che – specie nei mercati finanziari – i processi di
acquisizione e di fusione non soddisfano tanto criteri di efficienza quanto interessi privati del management o più
generali scelte di policy.
338 Così M. CLERICETTI, ,“No ad un piano per le banche”, in La Repubblica, Affari & Finanza, 20 settembre
1999, p. 7. Sul problema della stabilità in caso di Opa ostili nei confronti delle banche, cfr. M. POLO, op. cit., p.
266 ss.; P. MICHELI, Concentrazioni, salvate le banche medio – piccole, in La Repubblica, Affari & Finanza, 17 gennaio
2000, p. 9. Il tema era stato affrontato dal Governatore della Banca d’Italia in occasione della mancata
autorizzazione delle offerte pubbliche di scambio, giudicate ostili, di Unicredito e di San Paolo-Imi su Comit e
Banca di Roma. Sul punto v. BANCA d’ITALIA, Considerazioni finali alla 105° Assemblea dei partecipanti, Roma,
maggio 1999. In particolare, nella fattispecie ivi richiamata, gli amministratori delle banche offerenti furono
ritenuti “colpevoli” di aver informato l’Autorità di vigilanza dopo che i progetti erano stati formalmente approvati
dal consiglio di amministrazione e resi noti al pubblico, come del resto richiesto dal combinato disposto delle
norme del T.u.f. e del relativo regolamento emittenti della Consob. Per maggiori dettagli sulla vicenda cfr. R.
SABBATINI, Opa, ecco le nuove regole di Fazio, in Il Sole 24 Ore, 2 settembre 1999. Così agendo, la Banca d’Italia si
pose in netto contrasto con quel principio di contendibilità del controllo societario che, nella disciplina generale
delle offerte pubbliche, “incoraggia” l’ammissibilità di offerte ostili, in quanto capaci di generare effetti benefici
sulla concorrenza. Il precedente ora richiamato non deve, tuttavia, consentirci di tralasciare come, in una diversa
335
336
- 103 -
Oltre che all’ipotesi classica di Opa “ostile” qui presa in considerazione, sia consentito
segnalare come, negli ultimi anni, si sia assistito al diffondersi di un modello di offerte
pubbliche di acquisto cosiddette “semi-ostili”. Si tratta cioè di Opa nate come ostili, ma che si
risolvono in un accordo tra le parti, al fine di far prevalere l’interesse degli azionisti. Se questo è
il senso dell’evoluzione occorsa nella fenomenologia delle offerte pubbliche di acquisto, la
regolamentazione delle Opa semi-ostili, capace di renderle la norma e non l’eccezione,
potrebbe pertanto essere un obiettivo delle Autorità di controllo.
3.1. (Segue): Un giudizio sull’Opa “ostile” con particolare riguardo al sistema bancario.
Le disposizioni di vigilanza non affermano, in via presuntiva e generale, un giudizio
negativo sull’Opa ostile, ma, come si è visto, affidano all’autorità di vigilanza un controllo del
piano industriale definito nel progetto di Opa, al fine di verificare se, in concreto, l’operazione
possa comportare una lesione dell’interesse alla sana e prunte gestione della banca.
Più in generale, la fondatezza del “pregiudizio” verso le offerte ostili manifestato in
passato dalla Banca d’Italia339 poggia sulla considerazione che l’utile e vantaggiosa
complementarietà del nuovo soggetto – che non dovrebbe presentarsi come un aggressore,
quanto piuttosto come un “cavaliere bianco” – non sempre si raggiunge solo affidandosi al
mercato, ma, come la prassi dei “salvataggi” bancari ha confermato, puntando ad una sagace
azione di consiglio, di conoscenza e di suggerimento delle autorità preposte al controllo
dell’attività bancaria340.
occasione, l’atteggiamento della Banca d’Italia fosse stato di tenore opposto. Il riferimento è alle Opa lanciate da
Banca Intesa su Comit e dal Monte dei Paschi di Siena sulla Banca Agricola Mantovana, valutate positivamente
con riguardo sia alla “sana e prudente gestione”, sia agli effetti sul mercato. In proposito v. AGCM, Bollettino n. 48,
1999, nonché il contenuto dei documenti informtivi delle due offerte riportati da B. QUATRARO e L.G.
PICONE, Le offerte pubbliche di acquisto e scambio, Milano, 2000, rispettivamente alle pp. 559, 597 e 623. Ed ancora,
parimenti, nessun ostacolo la vigilanza bancaria aveva posto nella vicenda dell’offerta pubblica di acquisto e
scambio delle Generali sull’Ina, con riferimento alle partecipazioni bancarie (per il 51%) di quest’ultimo istituto
sulla Holding Banco di Napoli. L’operazione, descritta da L. CAPRIO e L. ENRIQUES, Banconapoli, scissione con
obbligo di Opa, in Il Sole 24 Ore, 22 dicembre 1999, si è conlusa con l’autorizzazione della Banca d’Italia
(provvedimento 19 gennaio 2001) alla concentrazione San Paolo-IMI/Banco di Napoli, sia pure subordinata,
come indicato in AGCM, Bollettino n. 3, 2001) a misure compensative, quali la cessione di alcuni sportelli nella
provincia di Napoli e l’impegno di non aprire nuove dipendenze nella stessa zona per due anni.
339 In proposito v. G. TABELLINI, Comitato del credito, alcune domande, in Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2005, p. 1 e
p. 7. Inoltre, sull’argomento cfr. O. CARABINI, Fazio: contano stabilità ed efficienza, in Il Sole 24 Ore, 21 marzo 1999,
p. 3; R. BOCCIARELLI, Fazio: Le alleanze le guida Bankitalia, in Il Sole 24 Ore, 21 aprile 1999, p. 29, in cui sono
riportati i principali punti esposti dal Governatore della Banca d’Italia, convocato da senatori e deputati per
discutere del grande “risiko” all’epoca in corso nel mondo del credito. In tale occasione, il Governatore aveva
ribadito la regola-cardine poi, nei fatti, seguita dall’Istituto di Vigilanza: “In caso di offerte pubbliche di acquisto la
Banca centrale chiede di conoscere preventivamente, fra l’altro, se si tratta di operazione non amichevole oppure
consensuale. Ove venga in quest’ultima accezione presentata, è necessario che il consenso sia manifestato
informalmente e preliminarmente dalle parti in causa. Non da una sola delle parti, ma da ambedue le parti, se
l’operazione è consensuale”. Il Governatore aveva poi sostenuto che: “Le operazioni ostili nel settore del credito
sono un fenomeno raro e richiedono una vigilanza tutta particolare” per la necessità di tutelare i depositanti. È
ovvio che questo pregiudizio ha un prezzo: le scalate amichevoli, le fusioni concordate tra azionisti (e management)
delle due imprese mettono meno pressione verso l'efficienza. Siffatta impostazione ha portato ad assetti
proprietari frutto di una spartizione a tavolino, piuttosto che espressione di processi di mercato, col risultato di
produrre una soffocante ragnatela proprietaria che avviluppa i principali gruppi bancari.
340 Pertanto, come già rilevato, si è radicata in capo ai vertici della Banca d’Italia la presunzione che i
problemi di stabilità, di mantenimento di equilibrate condizioni di concorrenza, di visione strategica a lungo
termine, di intelligente previsione di scenari operativi, e via elencando, non sempre trovino soluzione
nell’aggressiva iniziativa di taluni competitori, non di rado inclini a volere sacrificare gli interessi di controparti
talvolta con forza contrattuale diminuita. In merito cfr. M. LISANTI, Quale tutela per gli azionisti di minoranza?, in
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Tuttavia, la formulazione delle Istruzioni di vigilanza in tema di Opa – come si è visto, in
verità un po' infelice – può anche legittimare una diversa interpretazione, in base alla quale la
ragione sottostante dell'acquisto (ossia l'esigenza di razionalizzazione o sinergia industriale) è
elemento costitutivo della fattispecie, da accertarsi caso per caso, nel suo disegno unitario, per
verificare: a) se vi siano elementi tali da far ritenere che il ricorso alla figura giuridica della
fusione ovvero dell’Opa amichevole (cioè concordata tra scalatori e scalati) sia una soluzione
preferibile; b) che il fine prevalente dell'operazione consista, invece, nell'acquisizione di una
partecipazione rilevante in una società quotata, in elusione alla disciplina dell'Opa
obbligatoria341.
La seconda tesi, invero, non ha mai trovato convincente verifica empirica342. La
spiegazione invece potrebbe essere un’altra.
Si è detto incisivamente – e non si può non concordare sull’assunto – che tale avversione
era frutto di un’ambiguità di fondo insita nel concetto stesso di vigilanza bancaria. Evitare le
crisi bancarie, compito dell’Istituto di Vigilanza, non significava che la Banca d’Italia potesse
decidere arbitrariamente quali operazioni si possono fare e quali sono da evitare343. Lasciare
Mercato concorrenza e regole, 2000, p. 152 ss. In tal senso, spicca l’autorevole quanto preoccupata presa di posizione
sullo strumento delle offerte pubbliche di acquisto espressa, in epoca non sospetta, dal Governatore della Banca
d’Italia Guido CARLI. Questi considerava la scalata avversaria (take-over bid) un rimedio soltanto per le deviazioni
più gravi, pur riconoscendo che la sola minaccia della sua possibilità fosse in grado di migliorare la condotta dei
dirigenti in carica. Tali dichiarazioni sono pubblicate in Riv. soc. del 1971, p. 1180 ss., con commento di P.G.
MARCHETTI, L’offerta pubblica di acquisto in Italia, cit., p. 1166 ss.
341 Cfr. L. ENRIQUES, Il conflitto di interessi nella gestione delle banche, in F. RIOLO e D. MASCIANDARO (a
cura di), Il governo delle banche in Italia, Roma, 1999, p. 335, ove, tra l’atro, si sottolinea come i controlli autorizzativi
sulle partecipazioni di controllo al capitale delle banche riducano “l’efficienza del mcato del controllo societario,
quanto meno allungando i tempi e dunque i rischi di tentativi di acquisizione ostile”.
342 Tale valutazione dovrebbe invece essere l’esito naturale dell’applicazione dei principi indicati dalle stesse
Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, cit., 1999, Tit. II, cap. I, sez. II, art. 5.2.2. Come già discusso in altra parte
del presente lavoro, infatti, nel caso di acquisizione del controllo di una banca, le verifiche della Banca d’Italia ai
fini della sana e prudente gestione si estendono anche al progetto industriale. Il soggetto interessato
all’acquisizione di controllo deve presentare il piano industriale relativo alla gestione della banca o del gruppo
risultante dall’operazione. In particolare deve fornire informazioni circa le modalità tecniche dell’operazione di
acquisizione, precise indicazioni delle ipotesi su cui si basano i programmi di espansione, sulle sinergie che si
intendono attivare e sui rendimenti attesi. L’impatto sui costi e sul patrimonio (coefficiente di solvibilità) sono le
variabili che assumono particolare rilevanza.
Se infatti interpretata sotto una diversa luce, la disposizione riguardante l’esame del “progetto industriale”
dell’integrazione tra due o più banche si tradurrebbe in un’apertura verso l’Opa “aggressiva”, che potrebbe essere
giudicata meritevole di essere portata a termine, seppur bisognosa di un vaglio più accurato da parte dell’Autorità
di controllo. Sennonché, l’offerta dovrebbe essere considerata “ostile”, nell’accezione negativa di cui sopra,
soltanto nell’ipotesi in cui corrispondesse fondamentalmente ad un piano industriale di crescita dello scalatore,
ma non anche al piano industriale della società bersaglio, tanto più se quest’ultima goda di una equilibrata
situazione economica e patrimoniale. Sarà dunque compito della Banca d’Italia accertare, senza pregiudizi di
fondo, se un’Opa “non concordata” con il management della banca target corrisponda o meno ad un concreto,
efficace piano di sviluppo e di crescita dell’attività creditizia, evitando che amministratori della società bersaglio e
Autorità di vigilanza colludano fra loro.
Secondo R. LENER, Audizione presso la Camera dei Deputati, Indagine conoscitiva, XIV Legislatura – VI
COMMISSIONE – Seduta del 4 dicembre 2001, p. 24, “vero, altresì, che abbiamo visto alcune operazioni di Opa
meramente finanziarie (e perciò più « cattive »), ma temo che non si possa fare molto. Pensare che una autorità di
vigilanza possa dire ad un’Opa « sì » e ad un’altra « no » a seconda della credibilità del progetto industriale è un po’
rischioso. Teoricamente – ma capisco che è solo teoria –, una banca che finanzia un’Opa dovrebbe credere nel
progetto che c’è dietro; ma mi rendo conto che questo è un discorso molto libresco”.
343 Cfr. M. PERASSI, Il ruolo delle banche come investitori istituzionali nella struttura partecipativa della società aperta,
in Giur. comm., I, 1998, p. 435 ss., ove, tra l’altro, si analizza un caso di scuola emblematico di una situazione di
possibile attrito dei due testi legislativi. Si tratta nello specifico della vicenda con cui si impose a Mediobanca di
lanciare un’offerta pubblica di acquisto sul capitale della Ferfin, consentendole in tal guisa di superare i limiti, di
separatezza e di concentrazione, previsti per le partecipazioni acquisibili in altre imprese. In quel caso si privilegiò
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senza possibilità di contro-informazione o contro-argomentazione l’offerente, significava
relegare nell’area delle scelte dettate dall’intuizione, dal pregiudizio la decisione di non
autorizzare l’offerta nonostante questa venisse lanciata in una situazione di trasparenza e di
piena conformità alle disposizioni dettate dalla legge.
Il mercato è l’unico giudice abilitato a esprimere un giudizio sulle operazioni proposte.
Vietando, più o meno apertamente, le scalate ostili si finisce per ridisegnare un mercato
protetto. Esattamente quello che è accaduto nei due decenni passati, con tutte le “storture”
(inefficienze) nell’allocazione del credito cui si è assistito. In concreto, anzi, il plus di un takeover
ostile rispetto ad un’Opa concordata risiede proprio nel fatto che, come insegna la prassi dei
mercati anglosassoni, le prime sono le uniche in grado di spostare il controllo di una società344,
spingendo il sistema fuori dal consociativismo degli assetti di controllo delle banche.
Per questa serie di ragioni occorre definire confini più netti tra il terreno della “vigilanza
prudenziale” e quello delle “regole di mercato”. Ipnotizzato da questi due poli, la cui
contrapposizione dipende dal modo in cui viene visualizzata la struttura o qualità del rapporto
tra Autorità di vigilanza, soggetti vigilati e investitori, il sistema sembra trascurare la soluzione
mediana e realistica che pur sarebbe razionalmente possibile. Icasticamente si potrebbe, difatti,
sostenere che il tema richiama di nuovo i rapporti tra disciplina del T.u.f. e disciplina del T.u.b.
e i vincoli alle acquisizioni azionarie delle e sulle banche, che derivano dalla eccessiva
discrezionalità della Banca d’Italia nell'utilizzo della clausola della “sana e prudente gestione” al
fine di condizionare le singole operazioni. Si tratterebbe cioè, ancora una volta, di conciliare la
supposta sovranità del mercato, attraverso la contendibilità delle società quotate, con “la
continuità della conduzione manageriale”, auspicata dall’Istituto di vigilanza bancaria.
Basti pensare che l’obbligo di “comunicazione preventiva”, di recente soppresso,
imposto allo scalatore, risultava sfavorevole alle Opa ostili sotto un duplice profilo: in primo
luogo, gli amministratori della società bersaglio potevano venire a conoscenza dell'offerta in
anticipo rispetto alla comunicazione e porre, così, in essere le misure difensive che rientrano
nei loro poteri, senza incorrere nel divito imposto dalla passivity rule ex art. 104 T.u.f.; in
secondo luogo, la società offerente risultava costretta ad usare ogni possibile accorgimento per
mantenere segreta l'operazione e fare ogni sforzo per redigere, ai sensi del combinato disposto
dell’art. 102 T.u.f. e dell’art. 37 reg. Consob, il documento d’offerta nel tempo più breve
possibile.
la disciplina societaria, mentre nei casi più recenti citati si è privilegiata la disciplina bancaria, con i noti
pronunciamenti negativi della Banca d’Italia in tema di offerte ostili.
344 Di grande interesse sono le considerazioni formulate da F.M. FRASCA, Le modalità di realizzazione dei
processi di concentrazione in Italia: il punto di vista dell’organo di vigilanza, in A. PROFUMO, C. SALVATORI, F.M.
FRASCA (a cura di), Le concentrazioni bancarie: aspetti organizzativi e di vigilanza, interventi tenuti nell’ambito del
Seminario “Nuovi modelli organizzativi per le banche e per i mercati”, Perugia, 1999. Peraltro, per un precedente
significativo v. M. RIGOTTI, L’Opa Credito Romagnolo, in Riv. soc., 1996, p. 158 ss.; ID., L’Opa ostile in Italia: il caso
Banco S. Geminiano e S. Prospero, in Riv. soc., 1995, p. 704 ss.; C. SILVETTI, Note a margine di un recente caso di Opa
ostile, in Banca borsa tit. cred., 1997, I, p. 74 ss. È noto, infatti, che le autorizzazioni prudenziali della Banca d’Italia
non venivano pubblicate ed erano scarsamene motivate, con la conseguenza che ne veniva precluso un sindacato
giurisdizionale. Sul piano sistematico, l’attribuzione di determinati compiti normativi alle fonti secondarie
comporta, anzi, una “riregolamentazione”, che, di là dalle descritte, non composte diversità di vedute, non è
escluso possa generare una regolamentazione maggiormente intrusiva. Basti pensare allo strumento della moral
suasion utilizzato per proibire le Opa ostili tra banche italiane, pratica di una vigilanza che privilegia il valore delle
relazioni rispetto alle forze del mercato, la discrezionalità alla trasparenza delle regole, il dirigismo alla
concorrenza, e che usa il pretesto dell’italianità per proteggere interessi costituiti. Questo approccio “dittatoriale”
non ha evitato in questi anni il prodursi di una lunga serie di dissesti bancari: prima della ex-Lodi, Bipop, Popolare
di Novara, Banco di Napoli, Banco di Sicilia, Sicilcassa, CaRiPuglia, CaRiCal, CaRiVenezia e tante altre minori. I
conseguenti salvataggi sono stati – per utilizzare un eufemismo – opachi, con la Banca d’Italia che,
discrezionalmente, decideva di volta in volta a chi dovesse andare il controllo, piuttosto che tutelare interessi di
creditori e azionisti con aste o competizioni aperte.
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Le offerte pubbliche non concordate sulle banche ripropongono, dunque, al legislatore
primario e al regolatore un difficile problema di contemperamento fra tre diversi obiettivi non
complementari fra loro: (i) la tempestiva informazione al mercato, onde impedire
un’asimmetria informativa a favore soltanto di taluni soggetti e per troppo tempo; (ii) la
contendibilità delle società, che costituisce uno stimolo per la creazione di valore a vantaggio
degli azionisti; (iii) la tutela dei legittimi interessi delle società bersaglio dell’offerta345.
Sia ben chiaro: non esiste un criterio generale per definire quale degli obiettivi indicati
debba essere privilegiato346.
3.2. Tutela degli azionisti e profili di responsabilità degli amministratori nel comunicato della società emittente.
A voler azzardare qualche riflessione conclusiva di fronte al quadro d’insieme sopra
tratteggiato in materia di Opa ostile per l’acquisto del controllo di una banca, la cautela è
d’obbligo, stante la vivacità ma anche la contraddittorietà degli stimoli che tale scenario offre.
Applicate alla disciplina specifica del comunicato, le considerazioni ora svolte consentono di
formulare alcune precisazioni e chiarimenti, che trovano a questo punto dell’indagine la loro
più corretta collocazione.
Nel caso di offerte “non amichevoli”, cioè respinte dal management della società-bersaglio,
il giudizio contenuto nel comunicato della società emittente ex art. 103, comma 3, del T.u.f.
può risultare, nella sostanza, determinate ai fini della decisione che la Banca d’Italia deve
assumere in merito all’autorizzazione dell’Opa347. La prassi recente, infatti, forse
345 In particolare, l’adeguamento delle Istruzioni di vigilanza dovrebbe vertere su tre punti cruciali: i tempi
della risposta, che dovrebbero diventare certi; la vigilanza prudenziale, che andrebbe esercitata sulla base di
standard predeterminati e non in modo discrezionale; la comunicazione del responso, che dovrebbe essere
immediatamente resa nota al mercato. In un contesto così rinnovato anche il giudizio sui piani di scalata ostile
diventerebbe fatalmente meno soggettivo.
Sul terreno delle regole di mercato, per porre rimedio a questa situazione sarebbe vantaggioso, in sede di
riesame del Testo unico della finanza, precisare l'ambito temporale di applicazione dell'art. 104 T.u.f. Sarebbe
necessario, inoltre, prevedere un obbligo di comunicazione dell'Opa non appena i termini essenziali dell'offerta
siano stati decisi dal bidder. Pertanto, oltre alla strada indicata dalle Istruzioni di vigilanza, anche l'art. 102 T.u.f.
dovrebbe essere modificato, dovendosi in sostanza prevedere, già a livello legislativo, quella prima comunicazione
che il regolamento Consob, poi modificato, già richiede.
346 Per una duplicità di strumenti tecnici e di prospettive, utili a portare a soluzione il problema, cfr. L.A.
BEBCHUK, The Pressure to Tender: An Analysis and a Proposed Remedy, in Delaware Journal of Corporate Law, 12, 1987,
p. 911 ss.; E.J.J. COFFEE e W. KLEIN, Bondholder Coercion: The Problem of Constrained Choice in Debt Tender Offers
and Recapitalizations, in University of Chicago Law Review, 58, 1991, p. 1207 ss.; A. PEACOCK e G. BANNOCK,
Corporate takeovers and the public interest, The David Hume Institue, Aberdeen, 1991. Cfr. C.W. CALOMIRIS e J.
KARCESKI, Is the bank merger wave of the 90s efficient? Lesson from nine case studies, in Merger and productivity, Chicago,
1998; L. CAPRIO, A. FLOREANI e L. RADAELLI, I trasferimenti del controllo di società quotate in Italia, cit.; M.
COMANA, Crescita esterna e performance bancarie: analisi di 34 casi recenti, AssBank, 1995; M.M. CORNETT e H.
TEHRAIAN, Changes in corporate performance associated with bank acquisitions, in Journal of Financial Economics, 31, 1992,
p. 211 e p. 234; W.F.M. DE BONDT e R. THALER, Does the stock market overreact?, in Journal of Finance, 11, 1985,
p. 793 e p. 807; T.H. HANNAN e J.D. WOLKEN, Returns to bidders and targets in the acquisition process: evidence from
the banking industry, in Journal of Financial service Research, 3, 1989, p. 5-16; A. PRESTI E G. SICILIANO, Le
acquisizioni di banche quotate creano valore per gli azionisti? Un confronto internazionale tra i prezzi di borsa ed i dati fondamentali
di alcune banche italiane, lavoro presentato al III Seminario Consob, novembre 1998; R.V. VANDER, The effect of
mergers and acquisitions on the efficiency and profitability of EC credit institutions, in Journal of Banking and Finance, 20, 1996,
pp. 1531-1558; cfr. A. MACCHIATI e G. SICILIANO, Gli effetti economici dell’offerta obbligatoria successiva, in Studi in
materia di Opa, Quaderni di Finanza Consob, n. 24, 1998, p. 4 ss.
347 Come è noto, tale prospettiva risale alle tesi formulate da D. REGOLI, Doveri di assistenza degli
amministratori e nuovo ruolo dei soci in pendenza di opa, in Riv. soc., 2000, p. 792 ss.; L. ENRIQUES, Il conflitto di interessi
degli amministratori di società per azioni, Milano, 2000, p. 379 ss.; nonché F.M. MUCCIARELLI, Combinazioni aziendali
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inconsapevolmente, aveva fornito un potere improprio al management della società bersaglio,
che poteva affondare qualsiasi offerta non concordata semplicemente definendola “ostile”348.
Il comunicato può infatti il più semplice strumento per contrastare l’offerta, secondo il
modello delle factual defenses, ovvero di quelle iniziative dirette a discreditare l’offerta presso
l’opinione pubblica, le forze sociali e, naturalmente, gli azionisti, ovvero ad annullare quel
differenziale informativo di cui eventualmente disponga l’offerente per favorire una più
corretta valorizzazione dei titoli349.
Per la legge il comunicato è, invece, la dichiarazione conclusiva di un processo interno di
verifica e di valutazione che, per il fatto di essere vincolato quanto al risultato (messa a
disposizioni di ogni dato utile per l’apprezzamento dell’offerente), è indirettamente vincolato
anche per ciò che attiene alla modalità per pervenirvi. In particolare, si ottiene che
l’esternazione finale del giudizio in forma di parere-consiglio debba essere coerente con la
necessaria attività preparatoria di verifica del documento di offerta, di controllo
dell’informazione interna e di formazione da parte degli amministratori, secondo criteri di
professionalità e imparzialità, della propria valutazione in ordine al contenuto dell’offerta350.
Le considerazione che precedono, se da un lato confermano un orientamento generale
oramai consolidato di favor del sistema verso la protezione degli interessi degli azionisti ad
e passivity rule, in Banca, borsa tit. cred., 2000, I, p. 230 ss. Vedi anche A. ANTONUCCI, Diritto delle anche, 3° ed.,
cit., p. 194.
348 Cfr. G. TAGI, Un’opa ostile e altre novità in Italia, in Banche e banchieri, 1999. S. BRAGANTINI, La vera
offerta ostile? Quella dei cavalieri bianchi, in Il Corriere della Sera, 9 aprile 2005, p. 29. Gli amministratori possono
“circulate their views on the offer”… per sostenere la tesi di un offerente e delegittimare quella di un concorrente; con
argomentazioni che a volte sembrano illogiche e altre volte frutto di una posizione preconcetta e strumentale.
Come è noto, infatti, uno dei capitoli più delicati della disciplina delle offerte pubbliche d’acquisto è quello che
concerne la posizione del management della società destinataria di un’offerta. Condizioni di legittimità delle varie
“tattiche difensive”, ambito degli obblighi di informazione nei confronti dei soci, liceità della prassi dei cc.dd.
golden parachutes (compensi particolari attribuiti agli amministratori che, in seguito al successo di un’Opa, debbano
abbandonare la propria carica) sono alcuni dei temi sui quali si è venuta sviluppando una discussione ormai
sufficientemente approfondita.
Come sostiene D. REGOLI, Offerte pubbliche di acquisto e comunicato agli azionisti, cit., p. 104, “il comunicato
rimane l’unico realistico mezzo di difesa contro un’offerta pubblica d’acquisto ostile, cui l’organo di
amministrazione della società bersaglio può ricorrere dopo l’annuncio dell’offerta; sarà proprio attraverso le
informazioni e le valutazioni ivi contenute che gli amministratori cercheranno di indurre gli oblati a respingerla”.
Successivamente (p. 105, nt. 105), l’Autore rinvia alla lettura dei comunicati (che si possono leggere in Il Sole 24
Ore del 12 gennaio 1995, p. 24 e del 29 gennaio 1995, p. 7, nonché in Riv. soc., 1996, p. 160 ss.) emessi dal Gruppo
Bancario Credito Romagnolo S.p.A. in occasione delle due offerte pubbliche di acquisto concorrenti presentate
dal Credito Italiano e dalla CARIPLO. Dall’esame di entrambi i documenti, risultava infatti evidente la volontà del
consiglio di amministrazione della società target di “raccomandare” agli azionisti l’offerta (negoziata) con il Credito
Italiano, in quanto ritenuta, a giudizio degli amministratori, più vantaggiosa di quella della CARIPLO.
349 Cfr. C. SALOMAO FILHO e M. STELLA RICHTER, Note in tema di offerte pubbliche di acquisto, ruolo degli
amministratori ed interesse sociale, in Riv. dir. comm., 1993, I, p. 113 ss. Il diritto di prendere decisioni che potrebbero
ostacolare il buon esito dell’offerta e pertanto il cambiamento di controllo dovrebbe risiedere negli azionisti della
società emittente e non nella sua dirigenza. Come si è più volte ricordato, i dirigenti potrebbero facilmente trovarsi
ad agire, al riguardo, in una situazione di conflitto di interessi. In altri termini, la contestabilità del controllo
richiede il conferimento di maggiori poteri agli azionisti come reazione contro eventuali forme di protezione
ingiustificata dei dirigenti (“management entrenchment”).
350 Sulla portata e lo scopo dei doveri di corretta e completa informazione degli amministratori v. D.
REGOLI, op. cit., p. 30. Secondo l’Autore: “Il duty of care inquiry costituisce in generale uno degli obblighi in cui si
articolano i duties of care degli amministratori”. In senso conforme cfr. R. CLARK, Corporate Law, Little Brown &
Company, Boston-Toronto, 1986, p. 128 s.; M.A. EISENBERG, Obblighi e responsabilità degli amministratori e dei
funzionari delle società nel diritto americano, in Giur. comm, 1992, I, p. 620 s.; in particolare nel contesto di un takeover bid
v. S.G. BRADBURY, Corporate Auctions and Directors’ Fiduciari Duties: A Third Generation Business Judgment Rule, in
Michingan L. Rev., vol. 87, 1988, p. 286 s. e L.A. CUNNINGHAM e M. YABLON, Delaware Fiduciari Duty Law
After Qvc And Technicolor: A Unified Standard (and the End of Revlon Duties?) , in Business Lawyer, vol. 49, 1994, p. 1622
s.
- 108 -
un’informazione completa, dall’altro mettono in rilievo il timore che un coinvolgimento troppo
incisivo degli amministratori della società bersaglio nella fase di svolgimento dell’offerta possa
di per sé attentare allo svolgimento corretto del processo di scelta degli oblati.
Seguendo questo filone di indagine, si ricavano alcune soluzioni pratiche al problema
posto. In primo luogo, ad esempio, si può ritenere che, anche in tale ipotesi, gli amministratori
che violano i loro doveri siano chiamati a rispondere sia verso gli azionisti, per il danno loro
arrecato individualmente (ex art. 2395 c.c.), sia verso la società (come corollario implicito della
norma civilistica)351. Se non altro, essi sarebbero chiamati a rispondore verso la società qualora
non tentassero di sventare un’Opa che poi si rivelerà dannosa; oppure verso gli azionisti uti
singuli se impedissero loro di poter aderire all’offerta. Fermo restando che, per contestare agli
amministratori il loro operato, è necessario però dimostrare l’esistenza di gravi trascuratezze o
di interessi di parte, o il fatto che per scoraggiare o impedire le scalate, siano stati costruiti
ostacoli di ogni genere volti ad accrescerne il costo.
Tuttavia, si ritiene legittimo – come già chiarito in via interpretativa dalla stessa Consob –
che gli amministratori possano sollecitare Opa concorrenti anche senza essere autorizzati
dall’assemblea (art. 104 T.u.f.), ma solo se l’offerta concorrente non crei problemi d’azione
collettiva, cioè se non esistano alternative praticabili per sventare l’offerta senza pregiudicare gli
interessi proprietari degli azionisti352.
Anche per tali ragioni, la legge richiede apertamente che il comunicato debba rendere
noto se membri dell’organo amministrativo o di direzione della società bersaglio, che
eventualmente detengano titoli di questa, abbiano deciso di accettare o non accettare l’offerta.
Scopo di queste informazioni obbligatorie deve appunto essere quello di consentire agli oblati
di riconoscere e di poter valutare il grado di obiettività del parere espresso dall’organo di
amministrazione sull’offerta353.
Infatti, posto che tali informazioni devono essere obbligatoriamente inserite in ragione
della loro accennata funzione “rivelatrice” della obiettività del comunicato-parere (si pensi in
Sul tema v. ampiamente D. REGOLI, op. ult. cit., in particolare p. 153.
G. FERRARINI e M. LISANTI, La corporate governance nelle OPA ostili: a chi la difesa della società
bersaglio?, in Mercato concorrenza e regole, 2000, p. 142 ss.; A. DE NICOLA, Opa e banche: in difesa dell’ostilità, in La
Repubblica, Affari & Finanza, 22 novembre 1999, p. 8. Il rischio di un’interferenza o di un condizionamento del
socio di controllo nella redazione del comunicato non trova un correttivo nemmeno nell’ambito della disciplina
del City Code che pure, nel caso dei documenti o delle dichiarazioni diffuse da un offerente soggetto al controllo,
diretto o indiretto, di altra entità, legittima il Panel a chiedere anche agli amministratori della società controllante di
assumere la responsabilità per le informazioni diffuse dalla controllata nella sua posizione di offeror. In proposito
cfr. i General principles 5 e 6 e le rules 19.1, 23 e 28.1 della precedente versione del City Code spesso interpretate dal
Panel in termini assai rigorosi; in dottrina cfr. F.B. PALMER, Palmer’s Company Law, Sweet & Maxwell-W Green,
London-Edimburgh, 1992, nn. 12.335 e 12.338 e S. KENYON SLADE e M. ANDENAS, The Proposed Thirteenth
Directive on Takeovers: Unravelling the Kingdom’s Self-Regulatory Success?, in S. KENYON SLADE e M. ANDENAS (a
cura di), E.C. Financial Market Regulation and Company Law, Sweet & Maxwell, London, 1993, p. 167; in merito cfr.,
altresì, il Panel statement 1994/4, del 3 giugno 1994 nella vicenda Enterprise Oil plc./LASMO plc. (descritto nella
comunicazione su “Use of excessive statements in Take-over documents”, in Journal of Business Law, 1995, p 86 ss.), con il
quale veniva addirittura ristretto l’uso di affermazioni e commenti che, pur non essendo falsi o fuorvianti,
risultavano comunque eccessivi e/o tendenziosi.
353 La definizione più avanzata del contenuto e dell’ambito di applicazione del dovere di assistenza si legge
nella sentenza con la quale la Corte Suprema del Delaware si è pronunciata sul caso Paramount Comunications Inc. v.
QVC Network Inc. Ma già in precedenza, queste conclusioni erano state oggetto di un’importante puntualizzazione
nel caso Revlon v. McAndrews & Forbes Holdings Inc. Si è così affermata una nozione particolarmente ampia del
dovere di assistenza, che è effetto dell’intersecarsi di due componenti. Da un lato, si avverte l’incidenza della
concezione nordamericana di fiduciary relationship tra amministratori e soci, che, in occasione del passaggio del
corporate control, rende possibile ravvisare in capo agli amministratori il compito di agire come fiduciari degli
azionisti per consentire agli stessi di vendere le loro azioni al miglior prezzo. Dall’altro, si coglie invece il senso di
una scelta di fondo più favorevole a responsabilizzare che a proibire, da cui deriva un dovere di neutralità dal
momento dell’annuncio di un’offerta pubblica di acquisto e il parallelo configurarsi del dovere di prendere
posizione, perseguendo come obiettivo non l’interesse proprio ma quello degli oblati.
351
352
- 109 -
particolare ad eventuali accordi conclusi dall’incumbent management con l’offerente), la loro
diffusione sarà comunque dovuta in attuazione del dovere generale di disclosure di eventuali
situazioni di conflitto di interessi354.
Ne deriva, nei fatti, una configurazione del dovere di assistenza collocata pressoché
esclusivamente sul piano della dialettica informativa. In altri termini, tale dovere consiste
nell’analisi dell’offerta, nella verifica e nell’eventuale rettifica dell’informazione fornita
dall’offerente, nonché nella integrazione di tale informazione tanto con ulteriori dati e notizie,
anche a carattere valutativo e programmatico, quanto con il parere degli stessi amministratori
sul merito dell’offerta355.
4. La disciplina delle offerte “concorrenti” e delle offerte “in aumento”.
La disciplina in materia di offerte concorrenti e di offerte in aumento deve ispirarsi ai
seguenti principi: a) in primo luogo, il concorso di più offerte per i titoli di una società deve
essere vantaggioso per gli azionisti della società bersaglio; b) in secondo luogo, qualsiasi offerta
concorrente deve essere soggetta alle stesse norme dell’offerta iniziale; c) quindi, in presenza di
offerte concorrenti, l’offerente iniziale deve avere la possibilità di revocare la propria offerta; d)
infine, i destinatari che hanno già accettato l’offerta iniziale devono poter beneficiare
dell’offerta concorrente.
L’art. 103, comma 4, lett. c), demanda alla Consob il potere di regolamentare “le offerte
di aumento e quelle concorrenti, senza limitare il numero dei rilanci, effettuabili fino alla
scadenza di un termine massimo”356. Questo sistema favorisce, come era nelle intenzioni del
legislatore, l’instaurazione di una vera e propria asta.
354 Due punti devono, dunque, essere approfonditi: il primo riguarda il comportamento che gli
amministratori devono tenere, nel loro ruolo di auctioneers, in relazione agli offerenti, e nel prendere posizione in
merito al problema della liceità di comportamenti discriminatori nei confronti di competing bidders indipendenti; il
secondo, invece, riguarda l’indicazione delle operazioni non discriminatorie ammesse. Quanto al primo tema la
case law statunitense offre due linee interpretative che conducono a risultati antitetici. La prima, per la quale si fa
riferimento a Mills Acquisition Co. v. Macmillian [No. 415 & 416 (November 2, 1988), 1 M&A Law Rep., p. 918],
interpreta Revlon nel senso di richiedere the most scrupulous adherence to ordinary principles of fairness in the conduct of an
auction for the sale of a corporate enterprise. La conseguenza inevitabile è la richiesta di assoluta neutralità in relazione al
conflict. Diversa invece la seconda interpretazione con cui, in West Point-Pepperell, Inc. v. J.P. Stevens, Co. [542 A.2d
770 (Del. Ch. 1988)], la Corte Suprema del Delaware decise che “under Revlon, a target board may enter into agreements
with a white knight that tilt the playing field if, but only if, it is in the shareholders’ interest to do so”. La decisione enuncia il
principio per il quale le corti devono applicare un criterio più elastico quando l’azione del board consiste
esclusivamente nel favorire uno dei contendenti, senza però impedire altre offerte. La lettura che si ritiene
maggiormente rispettosa del dato positivo sembra essere la prima, formalmente aderente al principio di
uguaglianza degli azionisti. D’altra parte, però, si è accennato alla rilevanza sistematica che, in tale contesto,
assumono le misure “facilitative”, volte cioè ad incentivare l’intervento di white knights, e che richiederebbero un
attento esame in merito alla loro liceià o meno.
355 In proposito v. la ricostruzione del problema e del suo progressivo superamento nel lavoro di D.
REGOLI, op. ult. cit., p. 194 s. In particolare, l’Autore sottolinea che: “Proprio alla luce dell’esperienza del
comunicato assumono notevole rilievo, ai fini dell’accertamento in ordine alla sussistenza di un vinculum iuris: la
particolare qualificazione professionale del messaggio che, con la credibilità aggiuntiva derivante dal suo essere
imputabile alla persona giuridica, proviene materialmente da soggetti tenuti ad agire rispettando criteri di congrua
diligenza professionale; la specifica destinazione del comunicato (…) a quegli stessi soggetti cui è diretta la
proposta del bidder; l’influenza che il comunicato ha sugli azionisti, portati a fare affidamento sulle informazioni e
sulle valutazioni fornite da soggetti (gli amministratori), di cui è ragionevole supporre l’autorevolezza del giudizio
in ordine alle materie riflesse nel comunicato; la consapevolezza da parte degli amministratori dell’affidamento
risposto dagli azionisti sul contenuto del comunicato ai fini della loro decisione in merito alla proposta del bidder”.
356 Ci si limita a segnalare al riguardo che, per quanto riguarda le offerte concorrenti, il sistema predisposto
a seguito delle modifiche regolamentari è volto a chiarire lo svolgimento della competizione, realizzando
un’alternanza fra le proposte e spingendo gli acquirenti a fornire rapidamente al mercato informazioni sulle loro
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Non vi è dubbio, infatti, che, a differenza della previgente disciplina chiaramente
orientata, anche secondo l’interpretazione fornitane dalla Consob, a favorire la posizione
dell’offerente originario357, la scelta operata dal legislatore è quella di parificare le posizioni
dell’offerente originario e del concorrente358.
L’offerta concorrente, peraltro, non è vincolata nei contenuti dall’offerta originaria: è
quindi possibile fissare quantitativi, condizioni e modalità diversi359. La previsione in esame
risponde all’esigenza che l’offerta concorrente assicuri un beneficio rispetto alla precedente360.
Il legislatore, peraltro, sembra perseguire lo scopo di garantire una progressione dell’operazione
in senso complessivo piuttosto che un guadagno individuale dei singoli oblati, avendo omesso
ogni riferimento al corrispettivo unitario361. Inoltre, la diminuzione della soglia minima di
aumento del corrispettivo globale e, nel contempo, l’ammissione di un’offerta concorrente che
semplicemente elimini un’eventuale condizione dell’operazione pendente, rispondono alla
volontà di assicurare una più “accesa” competizione nella lotta per il controllo, rivelando un
atteggiamento di maggior favore per le offerte concorrenti rispetto a quanto previsto nella
precedente disciplina.
effettive intenzioni, limitando, se non eliminando del tutto, indecisioni e tatticismi che creano incertezza sugli esiti
della fase di concorrenza, non compatibili con il regolare svolgimento del mercato. La disciplina regolamentare
delle offerte in aumento e concorrenti è contenuta negli artt. 43 e 44 del regolamento Consob n. 11971/99.
357 Conformemente a quanto aveva statuito il Consiglio di Stato, sez. I, 18 gennaio 1995, pubblicato in
Banca, borsa e tit. cred., 1995, I, p. 349, interpretando l’art. 23 della legge n. 149 del 1992, in occasione dell’Opa
lanciata sul Credito Romagnolo.
358 Cfr. D’AMBROSIO, Commento sub artt. 102-112, in C. RABITTI BEDOGNI (a cura di), Il Testo unico
dell’intermediazione finanziaria, Commentario al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Milano, 1998, p. 598. Tale norma
rappresenta un’innovazione di indubbio rilievo rispetto al quadro normativo delineato dalla legge n. 149 del 1992,
che si ispirava ad un Il modello c.d. “a offerte chiuse o prefissate» (sealed bid) che limita i rilanci a disposizione
degli offerenti, come emergeva anche dalle comunicazioni interpretative della Consob (SOC/MI/95000675,
SOC/MI/95000677, SOC/MI/95000678 del 23.1.1995, in Bollettino Consob, gennaio 1995, p. 65 ss.), emanate in
seguito alla vicenda Credit-Rolo. In primo luogo, poiché essa fa ricorso alla disciplina secondaria in luogo di quella
primaria che era contenuta negli artt. da 22 a 26 della cit. legge n. 149. In secondo luogo, perché si sovverte il
rigido principio della sequenza procedimentale offerta originaria - offerta concorrente - aumento dell’offerta
originaria. In tal seso v. pure F. CHIAPPETTA, Commento sub art. 103, cit., p. 965.
359 In assenza di un’espressa previsione, deve, tuttavia, ritenersi che, in virtù del principio di parità di
trattamento, l’eventuale aumento del corrispettivo unitario, si estenda a tutti i titoli già depositati in adesione
all’offerta. Questa previsione, in precedenza, era contenuta nell’art. 22, comma 5, della legge n. 149 del 1992. In tal
senso, v. F. CHIAPPETTA, Ibidem. Si stabilisce, innanzitutto, che le offerte in aumento e le altre modifiche
dell’offerta sono comunicate, ai sensi dell’art. 37, alla Consob, al mercato ed all’emittente, e sono pubblicate con le
stesse modalità dell’offerta originaria fino a tre giorni prima della chiusura (art. 43, comma 1, reg.). I rilanci,
inoltre, devono essere pubblicati almeno “dieci giorni prima della data prevista per la chiusura dell’ultima offerta”
(art. 44, comma 2, reg.).
360 Come affermato dalla giustizia amministrativa e da autorevole dottrina, la legge sulle Opa ha tra i suoi
principali obiettivi quello di proteggere l’interesse degli azionisti alla dimensione finanziaria del loro investimento.
Tale riconoscimento è stato espressamente affermato dal Consiglio di Stato, Parere in ordine alla disciplina dell’offerta
concorrente di cui agli artt. 23-26 della legge 18 febbraio 1992, n. 149, in Banca, borsa tit. cred., 1995, I, p. 354. In dottrina si
segnalano i contributi di P. MONTALENTI, Il problema del “rilancio” del prezzo nell’Opa “concorrente”, p. 249 e di G.B.
PORTALE e A. DOLMETTA, Il cavaliere bianco è “dimezzato”? Due questioni cruciali per l’Opa concorrente, in Banca impr.
soc., 1995, p. 352.
361 Sul punto v. soprattutto R. LENER, La nuova disciplina delle offerte pubbliche di acquisto e scambio, in Riv. dir.
civ., 1999, II, p. 251 ss. Secondo l’ASSONIME, Circolare n. 13/1999, cit., p. 49, “atteso che la disciplina dei rilanci
risulta compresa nella disposizione che governa le offerte concorrenti, sembra che l’elemento caratterizzante
consista nella necessaria presenza di un’offerta concorrente. In altri termini, affinché una modifica dell’offerta
originaria venga qualificata come rilancio occorre che sia stata preceduta dal lancio di un’offerta concorrente. Cfr.,
inoltre, G. ROMAGNOLI, Le norme su Opa e Ops nel regolamento Consob sugli emittenti, in Le società, 11/1998, p. 1255.
- 111 -
4.1. Opa bancarie concorrenti “travestite” da obbligatorie.
Nell’ambito delle complesse procedure di autorizzazione delle Opa bancarie, due
problematiche emergono con riferimento alla disciplina delle offerte concorrenti e in aumento.
La prima, concernente la possibilità per lo scalatore di passare attraverso un’offerta
“premeditatamente obbligatoria”, meno costosa, piuttosto che un’Opa concorrente, aggirando
la legge Draghi, rende le offerte concorrenti non confrontabili e fa ripercuotere quindi sul
mercato i rischi legati al processo autorizzativo. In prossimità del termine di scadenza della
prima offerta, l’annuncio di una controfferta solo teorica – perché mancante dei nulla osta della
vigilanza bancaria e carente nell’informativa al mercato – rischia di interferire in modo sleale
con l’Opa in corso. Una situazione paradossale in cui gli azionisti sono costretti a decidere tra
un’offerta reale ed una solo annunciata.
Di fronte ad una pluralità di offerte concorrenti successive non vi è soltanto un
problema di autorizzazione e di coordinamento delle scadenze; vi è anche da salvaguardare la
posizione degli azionisti che hanno accettato la prima offerta362. Il principio di irrevocabilità
dell’adesione trova, infatti, un’implicita conferma proprio nel limite disposto dal regolamento
Consob: all’art. 44, comma 8, si prevede che, nel caso vi sia un’offerta concorrente, il soggetto
che abbia già aderito alla prima offerta, possa revocare l’adesione e accettare l’offerta
concorrente363. Il medesimo principio di revocabilità delle adesioni si applica ai rilanci364.
Pertanto, l’eventualità di considerare le due offerte non concorrenti sul piano giuridico,
fa sì che l’azionista che aderisca all’una non possa poi trasferire sull’altra la sua adesione. In tal
caso però l’Opa non realizzerebbe l’obiettivo di garantire l’exit. Una soluzione praticabile, che
consenta di correggere una simile “distorsione”, sembra potersi individuare nel potere della
Consob di accordare una “sospensiva” all’offerta obbligatoria “affinché i tempi della sua
raccolta si svolgano, almeno in parte, quando l’offerta volontaria” dell’altro contendente “si sia
già conclusa”365. Più in generale, la sensata richiesta che i provvedimenti autorizzativi in
occasione di cambiamenti di controllo siano possibilmente sincronizzati – legata ai problemi
sperimentali sorti nelle Opa bancarie concorrenti – potrà anch’essa, eventualmente, trovare
accoglimento solo in una nuova legge sull’Opa.
La seconda problematica, strettamente correlata alla prima, riguarda invece il pericolo
che la formula per determinare il prezzo dell’Opa obbligatoria successiva possa essere
“piegata” alle necessità degli offerenti di minimizzare l’esborso totale. Il corrispettivo dell’Opa
obbligatoria totalitaria – occorre ricordarlo – è stabilito da una formula: la media aritmetica fra
il prezzo medio di mercato degli ultimi dodici mesi e quello più elevato pattuito nello stesso
periodo dall’offerente per acquisti di azioni ordinarie (art. 106 T.u.f.). In siffatte ipotesi,
362 A tal riguardo cfr. CONSOB, Comunicazione n. 95000729 del 25 gennaio 1995, in Orientamenti interpretativi e
criteri applicativi della legge opa, Bollettino Speciale, n. 5/1997, p. 39.
363 Peraltro, sempre con riferimento al tema della revocabilità delle adesioni, la CONSOB, Relazione per
l’anno 2001, p. 17, disponibile sul sito www.consob.it, , ha specificato che “nel presupposto che spesso la notizia su
quale delle offerte sia prevalsa è disponibile soltanto dopo la chiusura del periodo di adsione, è stato consentito
agli azionisti che avessero aderito all’offerta risultata perdente di apportare le azioni all’offerta vincente, entro un
termine breve successivo alla pubblicazione dei risultati”.
364 Un ulteriore problema riguarda la revocabilità delle adesioni all’offerta concorrente presentate dopo la
pubblicazione dell’offerta in aumento da parte dell’offerente originario. In tal caso la Consob, già sotto la vigenza
della precedente normativa, ha affermato che tali adesioni non sono revocabili, atteso che il principio generale è
quello della irrevocabilità dell’adesione, a cui si deroga per espressa previsione legislativa, nei soli casi di offerta
concorrente o di rilancio. Sul punto cfr. CONSOB, Comunicazione n. 95000729 del 25 gennaio 1995, cit., p. 39.
365 Così P. GUALTIERI in un’intervista di R. SABBATINI, Finalmente un precedente, in Il Sole 24 ore, 12
maggio 2005, p. 2; al riguardo v., pure, i commenti di L. SPAVENTA, La sconfitta di Bankitalia, in La Repubblica, 12
maggio 2005, pp. 1 e 21; LAMBERTINI, Il caso Gildemeister: nella battaglia a colpi di Opa può vincere chi offre meno, in
Corr. giur., 2001, p. 662 ss.; e Trib. Milano, ord. 10 maggio 2000, in Giur. it., 2001, p. 334 ss.
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sarebbe invece più corretto considerare l’Opa obbligatoria anche concorrente e dunque tale da
dover essere lanciata ad un prezzo superiore rispetto all’offerta rivale già esistente. Il problema,
si auspica, dovrebbe comunque essere risolto grazie al recepimento della direttiva Ue, che si
riferisce al solo prezzo massimo pagato.
È solo il caso di ricordare, infine, che il fenomeno delle offerte concorrenti assume una
sua rilevanza esclusivamente nei casi di effettiva contendibilità del controllo, dato che esse
costituiscono una sottospecie delle offerte preventive, per le quali il passaggio del controllo
avviene per il tramite di una scalata e non per trattativa diretta con il management. Anzi, spesso
almeno una delle offerte concorrenti “altro non rappresenta che una sorta di meccanismo di
difesa dall’Opa ostile essendo riconducibile ad una società « amica » del management della società
scalata (in tal caso, l’offerente viene definito, secondo la dizione anglosassone, come «cavaliere
bianco» o, più propriamente, white knight)”366.
5. Introduzione alla nozione di “acquisto di concerto”.
L’art. 109 del T.u.f., rubricato, appunto, con il termine “acquisto di concerto”, segue gli
articoli che tipizzano le fattispecie da cui scaturisce l’obbligo di effettuazione dell’offerta
pubblica d’acquisto, ampliandone notevolmente l’ambito di operatività ed evitando così che
l’istituto dell’offerta pubblica obbligatoria si presti a facili elusioni.
L’art. 109 individua i casi in cui gli obblighi di lanciare un’Opa totalitaria o residuale, che
gli artt. 106 e 108 pongono a carico di soggetti singoli, spettano congiuntamente a più persone.
Con questa disposizione viene finalmente introdotta una definizione precisa di acquisto di
concerto nell’ambito della disciplina generale sulle offerte pubbliche367. Il legislatore ha
formulato la disciplina in questione rinunciando all’introduzione di una categoria generale,
Così C. RABITTI BEDOGNI, Opa e mercato, Roma, 1999, p. 64.
Le uniche norme, difatti, che prima del T.u.f. prendevano espressamente in considerazione l’azione in
concerto in relazione alle Opa, ponendo a carico dei partecipanti all’accordo la responsabilità solidale per la
conseguenza della loro condotta, si trovavano nell’art. 8 del d.l. 31 maggio 1994, n. 332 nel testo coordinato con la
legge di conversione 30 luglio 1994, n. 474. Secondo tale disposizione il comportamento concertato costituiva un
elemento indiziario dell’esistenza di un patto di sindacato, non anche un autonomo presupposto per il sorgere di
un obbligo di Opa. In tal senso v. P. DI SALVO e S. PROVIDENTI, Esperienze in materia di azione di concerto e Opa:
i casi inglese e francese, in Studi in materia di Opa, cit., p. 50; R. BASSO, Commento sub art. 109, in Commentario al testo
unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, cit., II, p. 1013. Sulla difficoltà di rendere di generale
applicazione tale nozione di acquisto di concerto, data la specificità della fattispecie, cfr. G. ROMAGNOLI, Le
offerte pubbliche di acquisto obbligatorie, Padova, 1996, p. 249 ss.; R. COSTI, I sindacati di blocco ed il voto nella legge
sull’Opa, in Banca, borsa tit. cred., 1992, I, p. 447 ss.; B. LIBONATI, La faticosa «accelerazione» delle privatizzazioni, in
Giur. comm., I, 1995, p. 20 ss.; M. STELLA RICHTER Jr., “Trasferimento del controllo” e rapporti tra i soci, Milano,
1996, p. 139 ss.
366
367
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causa di eccessiva vaghezza, quale l’azione di concerto368, ed ha strutturato la norma attraverso
l’elencazione di casi specifici369.
Pertanto, ai sensi del primo comma dell’art. 109, sono solidalmente tenuti agli obblighi previsti
dall’art. 106 e dall’art. 108: a) i soggetti aderenti ad un patto, anche nullo, previsto dall’art. 122
T.u.f.; b) un soggetto e le società da esso controllate; c) le società sottoposte a comune
controllo (c.d. società sorelle); d) una società e i suoi amministratori o direttori generali,
quando tali soggetti vengono a detenere, a seguito di acquisti a titolo oneroso, effettuati anche
da uno solo di essi, una partecipazione complessiva superiore alle percentuali indicate negli artt.
106 e 108 del T.u.f.
Il criterio adottato è un criterio soggettivo, nel senso che esso fa leva non già sui
comportamenti nei confronti della società, bensì sul tipo di rapporti intercorrenti tra soggetti
che detengono delle partecipazioni nella società.
Inoltre, come si è detto, l’obbligo di promuovere un’offerta discende, ai sensi dell’art.
109, non dal superamento delle soglie rilevanti in sé, bensì dal fatto che ciò avvenga a seguito
ad acquisti a titolo oneroso, compiuti anche da uno solo dei soggetti coinvolti nel concerto. Per
contro, la semplice detenzione delle partecipazioni, in presenza di una delle situazioni di
concerto elencate dalla norma, non comporta alcun obbligo di Opa.
Ai sensi del secondo comma dell’art. 109, si considerano rilevanti per la definizione di
concerto, con conseguente obbligo di Opa totalitaria370, non solo gli acquisti successivi al
Il sistema risultante dalla norma non è molto lontano dall’action de concert della legge sulle società
commerciali francese e dell’acting in concert del City Code on Takeovers and Mergers inglese, fattispecie nelle quali le
presunzioni soggettive di concerto fanno seguito, senza esaurirne la portata, ad una definizione generale di tale
nozione. Cfr., in proposito, P. DI SALVO e S. PROVIDENTI, Esperienze in materia di azione di concerto e Opa. I casi
inglese e francese, in Studi in materia di Opa, Quaderno di finanza della Consob, n. 24/1998, p. 47 ss. La norma in questione
consente di sanzionare condotte tese a realizzare forme di controllo congiunto, che possono dare origine a
strutture proprietarie scarsamente contendibili e dunque pressocchè permanenti. Questo per evitare che venga
violata la regola della par condicio fra gli azionisti, il principio alla base della disciplina dell’Opa nel Testo Unico
della Finanza, tanto che recentissimamente la giurisprudenza ha condannato al risarcimento del danno il soggetto
inadempiente all'obbligo di lanciare un'offerta pubblica totalitaria (Trib. Milano 26 maggio 2005, nel caso
Fondiaria-Sai).
369 Le ipotesi di concerto sono diventate tassative, mentre la primitiva versione proponeva una clausola
generale accompagnata da una casistica di ipotesi presuntive. In tal senso R. WEIGMANN, op. ult. cit., p. 205;
G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, Torino, 1999, p. 250; L.G. PICONE, op. cit., p. 272;
P. MONTALENTI, op. ult. cit., p. 156.
370 In realtà, per quanto sia valida e necessaria, la disciplina della fattispecie dell’acquisto di concerto è
risultata di difficile applicazione pratica, poiché difficile è risultato provare giuridicamente la sussistenza del
concerto. L’accertamento del concerto è fondamentalmente un processo indiziario, basato su elementi che
concordemente individuano l’azione congiunta; sulla “volontà di perseguire una determinata strategia comune”
quale “elemento qualificante” del concerto stesso cfr. M. CALLEGARI, Commento sub art. 109, in Corporate
Governance. La nuova disciplina delle società quotate in mercati regolamentati, cit., p. 2456 s.; L.G. PICONE, Patti parasociali
e opa obbligatoria, in Le società, 1999, p. 1492 ss.; P. GIUDICI, L’acquisto di concerto, in Riv. soc., 2001, p. 490 ss.; P.
FERRO LUZZI, Il “concerto grosso”; variazioni sul tema dell’opa, in Giur. comm., 2002, I, p. 661 ss. Per alcuni precedenti
alquanto significativi cfr. CONSOB, Comunicato stampa del 10 agosto 2001, Acquisto di azioni La Fondiaria da parte di
Sai spa, in www.consob.it/xpcom_stampa; e, più di recente, CONSOB, Delibera n. 15029 del 10 maggio 2005, disponibile
sul sito www.consob.it, con cui la Commissione di vigilanza ha formalizzato l’accertamento dell'avvenuta
stipulazione di un patto parasociale avente per oggetto l'acquisto concertato di azioni ordinarie della Banca
Antoniana Popolare Veneta s.p.a., patto rilevante ma non comunicato né pubblicato e depositato ai sensi dell'art.
122 del T.u.f. La Consob ammette, difatti, che l’accertamento “sconta la mancata conoscenza diretta di talune
circostanze e avvenimenti”, ma ritiene “legittimo, oltre che doveroso”, potersi “avvalere di ragionamenti di tipo
induttivo, atti a ricavare da una o più circostanze note altre circostanze non dotate di prova diretta”. Di tale
processo a carattere logico-induttivo la Consob si era già servita in passato, in circostanze analoghe, e la sua piena
legittimità è stata puntualmente riconosciuta dalle istanze giurisdizionali innanzi alle quali l’attività “ricostruttiva”
della Commissione è stata sottoposta a verifica. In merito v. Corte d’Appello di Milano, sez. I, decreti del 5/28
febbraio 2003 e del 21 giugno 2003; Corte d’Appello di Torino, decreti del 21/27 febbraio 2002; TAR Lazio,
sentenza del 23/30 ottobre 2002; per quanto concerne, inoltre, l’orientamento espresso dalla Commissione di
368
- 114 -
momento in cui il concerto è rinvenuto, ma anche gli acquisti compiuti al momento della
stipulazione del patto e addirittura quelli avvenuti nei dodici mesi precedenti371. Il legislatore,
infatti, non colpisce i patti fra i soci, in quanto tali, bensì l’adesione ad un patto, alla quale si
accompagni l’acquisto di azioni372, tale da portare, complessivamente in capo ai soggetti
aderenti al patto al superamento delle soglie rilevanti, rispettivamente, del 30% o del 90%373.
L’art. 109 impone l’obbligo di Opa totalitaria solidalmente in capo a ciascun aderente al
patto parasociale [comma 1, lett. a), T.u.f.]. In tal guisa, risulta del tutto superato il principio
della rilevanza del solo “controllo solitario”, a nulla rilevando la posizione di preminenza, o di
minoranza, di ciascun soggetto all’interno del patto374.
5.1. (Segue): Gli acquisti di concerto e l’obbligo di comunicazione degli accordi di voto nel settore bancario.
Di frequente il controllo sulla società bersaglio di un’Opa assume configurazioni
tipologiche complesse e meno evidenti all’esterno, alle quali aderiscono più soci con
partecipazioni di per sé minoritarie ma capaci, se organizzate e coordinate attraverso un patto
vigilanza v., in particolare, Consob informa, n. 40, 16 ottobre 2000; CONSOB, Deliberazione n. 13198 del 17 luglio
2001; CONSOB Comunicazione n. 1081336 del 26 ottobre 2001, e più di recente CONSOB, Delibera n. 15029 del 10
maggio 2005, disponibile sul sito www.consob.it. Più in generale, in merito alla applicabilità della disciplina dell’Opa
obbligatoria con riferimento all’ingresso di nuovi soci in un patto parasociale cfr. CONSOB, Comunicazione n.
DIS/99061705 del 13 agosto 1999. Sulle circostanze legate ad una possibile elusione della normativa in materia di
accordi parasociali cfr. pure CONSOB, Comunicazione n. DIS/99024712 del 31 marzo 1999, in Bollettino Consob, n.
3/1999, p. 262 nonché Comunicazione n. DAL/38036 del 18 maggio 2000, in Bollettino Consob, n. 5/2000.
371 Al riguardo cfr. L.G. PICONE, Le offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 277 ss., secondo cui “si potrebbe
cercare di eludere la norma effettuando acquisti di azioni prima di partecipare al patto”. E’ di parere contrario M.
LISANTI, op. cit., p. 479, che parla di “un eccesso di rigidità della norma”, dato che basterà attendere poco più di
un anno per la stipulazione del patto affinché la norma possa essere facilmente elusa. Pertanto, al fine di arginare
eventuali comportamenti elusivi, si rendono praticabili per il legislatore due strade: o si introduce una definizione
più ampia di concerto, che comprenda anche le ipotesi di pratiche concordate, oppure si provvede ad allungare il
termine dei dodici mesi.
372 Cfr. A. TUCCI, Condizioni dell’Opa obbligatoria e acquisizione del controllo mediante i patti di sindacato, in Le
società, 1999, p. 318 ss.; S. SIANI, L’applicabilità della disciplina dell’Opa obbligatoria con riferimento all’ingresso di nuovi soci
in un patto parasociale, in Rivista on line di diritto bancario e finanziario, disponibile su www.tidona.com, 2001, p. 3 ss.
Inoltre, nel silenzio della norma, si ritiene che siano rilevanti a tal fine anche gli acquisti tra i soggetti concertanti.
Occorre, tuttavia, precisare che l’obbligo di Opa dovrebbe aversi quando si passa da una situazione in cui un
soggetto non detiene azioni della società a quella in cui venga a detenerle a seguito della cessione da parte di un
altro soggetto rientrante nel concerto (in questo senso si spiega anche il riferimento all’acquisto contestuale alla
conclusione del patto). Rimarrebbero, invece, esclusi gli acquisti tra i soggetti interessati, quando al termine
dell’operazione non vi sia una partecipazione complessiva superiore a quella antecedentemente detenuta dal
concerto. Ciò perché è proprio il primo comma dell’art. 109 a richiedere che vi sia un nesso di consequenzialità tra
gli acquisti ed il superamento delle soglie da parte di due o più soggetti. In merito v. P. MONTALENTI, op. ult.
cit., p. 158. L’Autore, peraltro, non crede in una diversa soluzione secondo cui, essendo la quota del 30% una
quota di controllo presuntivo, quando il controllo si trasferisce da un soggetto ad un altro, come nel caso di
specie, l’Opa obbligatoria deve comunque essere lanciata.
373 Cfr., in argomento, R. BASSO, Commento sub art. 109, Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria, cit., p. 1019; in senso conforme R. WEIGMANN, La nuova disciplina delle Opa, cit., p. 203;
L.G. PICONE, Le offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 273.
374 Sul punto cfr. ASSONIME, in Circolare n. 13, cit., p. 27. In merito, P. MONTALENTI, op. ult. cit., p.
157, osserva come “L’opzione legislativa potrebbe essere criticata perché introduce una regola che non pare
pienamente conforme ai principi generali: l’obbligazione solidale sorge infatti in capo a tutti gli aderenti, per un
atto – l’acquisto da parte di un socio – del tutto indipendente dalla volontà degli altri soci e senza che possa
attribuirsi rilevanza esterna ad eventuali accordi di non superamento della soglia prefissata”.
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parasociale, di influenzare, magari in forme più sottili e meno palesi, il funzionamento della
società375.
L'eventuale esistenza di assetti proprietari della banca diversi da quelli dichiarati e gli
sviluppi cui potrebbe dar luogo il relativo accertamento costituiscono circostanze della
massima importanza sotto il profilo informativo, in particolar modo in pendenza di un'offerta
pubblica di acquisto: essi formano infatti parte integrante del patrimonio conoscitivo di cui le
Autorità di vigilanza preposte e i soggetti interessati all'offerta devono disporre al fine di un
regolare svolgimento della medesima.
Sennonché, tra le ipotesi contemplate dall’’art. 109 del T.u.f., il legislatore utilizza il patto
parasociale per farne elemento di una fattispecie di concerto abbandonando l’onere della
prova376. A norma di legge, infatti, detto accertamento costituisce il presupposto di operatività
dell'obbligo di promuovere un'Opa obbligatoria, il quale deve essere adempiuto, ai sensi
dell'art. 106, comma 1, del d.lgs. n. 58/1998, entro 30 giorni dal verificarsi dei relativi
presupposti377.
Si ricorda, inoltre, che la stipulazione di un patto, “in qualunque forma stipulato”, non
comunicato alla Consob e non pubblicato, oltre a rendere passibili i soggetti che vi concorrono
di una sanzione pecuniaria378, ha come primo effetto l’impossibilità per gli aderenti al patto di
Sul punto v. M. STELLA RICHTER Jr., “Trasferimento del controllo” e rapporti tra soci, Milano, 1996, p. 245
ss.; L. DE ANGELIS, L’informazione societaria nell’Opa: prospettive di regolamentazione in Italia e esperienze comparatistiche
degli Stati membri della Cee, in Riv. soc., 1987, p. 97 ss. Le ipotesi testé formulate rientrano, in termini di
inquadramento generale, in quel settore della fenomenologia del controllo societario che attiene all’area delle
interferenze informali da parte di certi azionisti forti nel processo di determinazione dell’azione collettiva dotata di
una sua non irrilevante specificità, in quanto sicuramente non assimilabile alla fattispecie più classica di ingerenza e
influenza del socio di controllo sul funzionamento dell’organizzazione e sulla gestione societaria fondata su una
partecipazione maggioritaria al capitale sociale.
376 Sul punto, A. PATRONI GRIFFI, I rapporti di gruppo, in La riforma delle società quotate. Quaderni di
giurisprudenza commerciale, n. 187, Milano, 1998, p. 285 s.; L. ENRIQUES, Trasferimento del controllo e offerte pubbliche
d’acquisto, 2000, p. 44 ss.; P. GIUDICI, L’acquisto di concerto, in Riv. soc., 2001, p. 501 ss.
377 N. MORESCHINI e C. TATOZZI, La nozione di concerto nella disciplina dell’Opa, in Le offerte pubbliche di
acquisto, La nuova disciplina delle Opa nel Testo Unico della Finanza, Il Sole 24 Ore, Roma, 2000, p. 165 ss. Dibattuta
resta, sia pure limitatamente alle ipotesi contemplate alle lett. a) e d) del primo comma dell’art. 109, la questione se
comportamenti uniformi, tenuti da più soggetti – soprattutto in sede assembleare – siano di per sé sufficienti ad
integrare l’ipotesi di azione di concerto (dando quindi rilievo alla fattispecie dei contratti conclusi per facta
concludentia). Se infatti, da un lato, tale soluzione consente di evitare il rischio di svuotare la norma (che resterebbe
altrimenti facilmente aggirabile attraverso la semplice non pubblicità dell’accordo), dall’altro essa può generare il
rischio di individuare, come fatti rilevanti ai fini dell’applicabilità dell’art. 109, anche i comportamenti « non
programmati », ma solo casualmente (ancorché ripetutamente) convergenti, arrivando a disegnare una nozione «
aperta » di accordo parasociale che, invece, il legislatore (discostandosi da quanto previsto in altri ordinamenti)
sembra aver rifiutato. In senso contrario il parere di ASSONIME, Circolare n. 13/1999, cit., p. 27, mentre su una
posizione più dubitativa P. MONTALENTI, op. ult. cit., p. 7.
378 In virtù dell’art. 122 T.u.f. i patti finalizzati ad un acquisto di azioni o altri strumenti finanziari, così
come in generale i sindacati di voto, di blocco, di consultazione, vanno pubblicizzati [commi 1 e 5, lett. c)] a pena
di nullità (comma 3). E’ evidente, in questo caso, l’intento del legislatore di dare rilevanza alla sostanza economica
del fenomeno. I patti parasociali, infatti, anche se nulli per effetto del mancato adempimento dei prescritti
obblighi di trasparenza, sono ritenuti comunque idonei ad incidere sui rapporti organizzativi instauratisi tra i soci
ad essi aderenti e a dar luogo, di conseguenza, a comportamenti concertati tra gli stessi. E’ da ritenere, tuttavia,
che tra i vari soggetti debba, in ogni caso, sussistere un vincolo di natura pattizia, dovendosi escludere che
comportamenti uniformi non derivanti da accordo alcuno siano suscettibili di dare luogo ad ipotesi di “acquisto di
concerto”. Secondo V. SALAFIA, op. ult. cit., p. 929, la scelta di passare dall’inefficacia alla nullità può essere intesa
come il riconoscimento della prevalenza degli interessi pubblici alla trasparenza e alla tutela degli investitori
rispetto agli interessi particolari dei soggetti che decidono di stipulare l’accordo; sul punto v. ASSONIME,
Circolare n. 13/1999, cit., p. 63 ss. Si dichiara, invece, perplesso L.G. PICONE, Le offerte pubbliche di acquisto, Milano,
1999, p. 274 ss., secondo cui tale disposizione normativa, riconoscendo valenza giuridica al contratto parasociale
nullo, tale potendosi intendere quello non formalizzato, può portare al riconoscimento della figura del contratto
375
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esercitare il diritto di voto, e, qualora tale divieto non venga rispettato, come secondo effetto la
nullità delle delibere assunte dall’assemblea con il voto determinante dei soci che avrebbero
dovuto astenersi (art. 122, comma 4, T.u.f.).
La decisione con cui la Consob denuncia l’esistenza di un’azione concertata tra i soci, con
la conseguenza di imporre in capo ai medesimi, in conformità alla legge, l’obbligo di un’Opa
sulle azioni della banca sortisce un effetto immediato, magari non voluto: quello di
contrapporre le due Autorità di vigilanza, Consob e Banca d'Italia, e rimettere sul tavolo il
nodo delle competenze tra i due Istituti379.
Sul versante della disciplina del Testo Unico bancario, l’art. 20, comma 2, impone ai
rappresentanti della banca o della società controllante di comunicare alla Banca d’Italia, entro
cinque giorni dalla stipulazione, ogni accordo, in qualsiasi forma concluso, in merito
all’esercizio del diritto di voto in una banca, anche cooperativa, ovvero in una società che la
controlla. La norma contiene un esplicito riferimento non solo agli accordi che regolano il
diritto di voto, ma anche a quelli “da cui comunque possa derivare l’esercizio concertato del
diritto di voto”, nonché agli accordi in forma di associazione380.
Invero, l’assoggettamento agli obblighi di comunicazione anche degli accordi dai quali
comunque “deriva l’esercizio concertato del voto” non sembra attribuire un’autonoma
rilevanza all’effettiva intenzione degli aderenti di realizzare la concertazione del voto, quanto
piuttosto esigere che la valutazione dell’idoneità dell’accordo a produrre tale risultato venga
effettuata ex ante.
Il T.u.b. riconosce alla Banca d’Italia il potere di sospendere il diritto di voto dei
partecipanti all’accordo, quando dallo stesso derivi una “concertazione del voto” tale da
pregiudicare la gestione sana e prudente della banca (art. 20, comma 2)381. La norma, infatti,
integra una fattispecie di “pericolo”, assoggettando a comunicazione anche situazioni che di
per sé non sembrerebbero postulare accordi finalizzati a concertare il voto, nella
consapevolezza che solo una conoscenza anticipata di alcuni fatti incidenti direttamente sul
parasociale di fatto, che deriva cioè da semplici comportamenti concludenti. Sulla questione cfr. anche R. BASSO,
Commento sub art. 109, cit., p. 1018; P. MONTALENTI, op. ult. cit., p. 156.
379 Si segnala, in merito, quanto avvenuto in occasione della scalata al controllo della banca Antonveneta.
Nell’occasione, la Consob denunciò l’esistenza di un’azione concertata tra i soci riuniti intorno alla BPI e impose,
in conformità alla legge, l’obbligo di una contro-Opa sulle azioni della banca Antonveneta, in contanti e
migliorativa rispetto a quella dell’istituto olandese Abn Amro. A molti commentatori parve che, nel caso di specie,
la Consob avesse nei fatti sconfessato il giudizio della Banca d’Italia, che di questa stessa “azione concertata”, tesa
a contrastare l’Opa straniera favorendo una scalata “occulta”, volente o nolente, aveva dato l’impressione di essere
la musa ispiratrice. Al riguardo v. il commento di M. ONADO, Vittoria di regole e mercati, in Il Sole 24 Ore, 12
maggio 2005, p. 1 s.; M. BAGLIONI, Il patto di concerto Antonveneta accertato da Consob, in Le società, 2005, p. 1041 ss.;
V. SANGIOVANNI, Impugnazione di deliberazione assembleare, conflitto di interessi e nomina del curatore speciale. La
battaglia giudiziaria per il controllo di Antonveneta, in Corr. Giur., 2005, p. 1260 ss. Presumibilmente, anche la Banca
d’Italia sapeva dell’esistenza di questo tacito accordo. Basti pensare che nella lettera con cui l’Autorità creditizia
aveva autorizzato la BPI a salire fino al 14,9% si parla della BPI come “soggetto individuato” da alcuni imprecisati
soci della banca padovana per “coordinarsi (…) allo scopo di raggiungere nuovi equilibri di governance”!
380 Così G.F. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, cit., p. 297; V. NASTASI, Commento
sub art. 20, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia,
Padova, 2001, p. 130.
381 Sul punto v. G.F. CAMPOBASSO; op. ult. cit., p. 297. Da un punto di vista contenutistico si può, anzi,
ritenere che nell’accordo di cui all’art. 20 trovi spazio anche la nozione di “intese”, rintracciabile, in materia di
concorrenza, nel Trattato istitutivo della CE e poi trasfusa nell’art. 2 della legge 287/1990. Tale nozione
ricomprende, da un lato, gli accordi formalizzati per iscritto, tra i quali vanno annoverati anche quelli che
prendono forma attraverso la costituzione di associazioni o comitati e, dall’altro, tutti gli accordi non risultanti da
patti scritti, in base ai quali sia comunque possibile individuare, nei confronti dei soggetti aderenti, un vincolo al
rispetto degli impegni assunti, supportato dalla previsione di una sanzione in caso di inadempimento.
- 117 -
funzionamento delle strutture societarie può consentire l’efficace perseguimento dell’obiettivo
della “sana e prudente gestione”382.
Una volta comminata tale sanzione, la Banca d’Italia è legittimata ad impugnare le
delibere assembleari adottate col voto determinante dei partecipanti all’accordo. Tale potere è
infatti previsto dall’art. 24, comma 2, T.u.b. solo per i casi in cui la sospensione del diritto di
voto consegua ex lege all’omissione delle comunicazioni previste dall’art. 20 T.u.b. 383.
Il caso di specie, consente tuttavia di sottolineare la necessaria autonomia della Banca
d’Italia rispetto all’atto di accertamento della Consob in ordine agli elementi che possono
pregiudicare la sana e prudente gestione.
Pur considerando che l'Opa obbligatoria, ex art. 109 del T.u.f., è prevista dalla legge come
rimedio ex post a favore degli azionisti di minoranza384, la comparazione dei diversi interessi può
condurre ad esiti istruttori confliggenti e incompatibili. Si può ritenere, in proposito, che, in
presenza di manifesta inidoneità dei soggetti partecipanti al patto a garantire la stabilità
dell'impresa bancaria oggetto dell'offerta385, la Banca d’Italia possa legittimamente negare la
propria autorizzazione ex art. 19 T.u.b.
In questo caso si finirebbe addirittura in un vicolo cieco: un’Autorità, la Banca d’Italia,
giudicherebbe non sostenibile un’Opa che, per effetto dell’atto di accertamento del concerto da
parte della Consob, il Testo Unico della finanza decreta come obbligatoria. Il pericolo più
immediato è che lo scontro si sposti, anche in tal caso, sul versante legale oltre che
procedurale.
Del resto, la possibilità di rilasciare o meno l’autorizzazione va ricondotta alla necessaria
autonomia della valutazione della Banca d’Italia rispetto all’atto di accertamento della Consob
in ordine agli elementi che possono pregiudicare la sana e prudente gestione.
6. L ’Opa e il nodo della “contendibilità” delle banche popolari.
L’esposizione delle strutture proprietarie delle banche alle regole del mercato presuppone
la necessità di affrontare anche alcuni specifici problemi inerenti alle forme giuridiche che
queste assumono. Quando si considerano le operazioni di concentrazione, si osserva che esse
poggiano, quasi sempre, su acquisizioni e su offerte pubbliche di acquisto e di scambio
382 Cfr. B. MANZONE, op. cit., p. 364, il quale osserva come, in quest’ottica, “l’obbligo di comunicazione,
lungi dal voler censurare l’associazionismo in genere, mira esclusivamente a portare alla luce forme di
coordinamento che, concentrando potere in capo a ristretti azionisti, possano costituire il presupposto per
l’esercizio di poteri condizionanti la gestione sana e prudente della banca”.
383 Sul punto v. G.F. CAMPOBASSO, Ibidem. La Banca d’Italia, avuta notizia dalla Consob dell’esistenza di
un patto parasociale “occulto”, è tenuta a inviare una lettera ai diretti interessati con la quale sterilizzare i diritti di
voto in base all’art. 20, comma 2, T.u.b. Sia ben inteso, questo è un atto dovuto ai sensi di legge: ciò non significa,
come si dirà a breve, che la Banca d’Italia debba condividere i risultati cui è giunta l’indagine promossa dalla
Consob.
384 Cfr. R. WEIGMANN, Nota a Tribunale di Milano, 9 giugno 2005, in Riv. dir. comm., 2005, p. 1645 ss.
385 Cfr. A. FAZIO, Aggiornamento del’informativa sul mutamento degli assetti di controllo di alcuni gruppi bancari
italiani. Relazione del Governatore della Banca d'Italia al C.I.C.R., Roma, 26 agosto 2005, in Il Sole 24 Ore, 27
agosto 2005, p. 6. Con riguardo ai fatti emersi dall’atto di accertamento della Consob, in relazione alla sussistenza
di un patto parasociale non dichiarato tra Bpl e altri soggetti, azionisti di Anton Veneta, avente per oggetto
l’acquisto concertato di azioni di Bapv e l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante sulla banca stessa,
sono stati valutati distintamente, dalla Banca d’Italia, i fatti ascrivibili agli esponenti e l’<< affidabilità >>
dell’impresa bancaria, che è l’effettivo richiedente l’autorizzazione e la cui idoneità a garantire la sana e prudente
gestione non è messa in discussione. Per quanto riguarda i procedimenti anzidetti la Banca d’Italia si è dunque
limitata ad avviare la procedura sanzionatoria di cui all’art. 24, comma 2, T.u.b.
- 118 -
fondate, a loro volta, sulla circostanza che la proprietà della “società bersaglio” (alla quale mira
l’iniziativa altrui, ancorché amichevole) sia contendibile386.
La questione è ritornata attuale, sorretta da una più generale rimeditazione sulle tipicità
delle società coopertaive quotate, id est le banche popolari.
La natura della proprietà della cooperativa impedisce che nelle popolari il ricambio del
controllo societario possa avvenire attraverso il tradizionale meccanismo dell’offerta pubblica
di acquisto: gli assetti proprietari delle società cooperative si discostano dal principio di
proporzionalità in quanto conferiscono un voto a prescindere dall’ammontare di capitale
apportato.
La precisazione incide sia sul profilo dogmatico sia su quello, al quale si vuole dedicare
un'ultima riflessione, della dimensione operativa del problema.
Per altro verso, è doveroso riconoscere che un sistema predefinito di limiti alla titolarità
individuale dei diritti sociali non sembra confliggere con la tutela dei diritti degl acquirenti titoli.
Il limite alla partecipazione individuale e il meccanismo della “clausola di gradimento”
costituiscono un tratto essenziale, almeno de jure condito, della causa e della struttura
cooperativa387. Come noto, infatti, lo “spirito della forma cooperativa” allude al
contemperamento tra “chiusura” tendenziale delle banche popolari e principio della “porta
aperta” della struttura organizzativa a carattere “democratico”, con conseguente esigenza di
fissazione di criteri che circoscrivono la discrezionalità dell’organo amministrativo. Del resto, è
evidente che neanche nelle cooperative di diritto comune la “porta aperta” significa diritto
soggettivo ad entrare nella compagine sociale. Questo principio si ricollega alla funzione
mutualistica propria delle ordinarie società cooperative. Non altrettanto può dirsi con riguardo
alle banche popolari, nelle quali l’ordinamento generale opera una scelta che è stata definita –
tra molte precisazioni – di “neutralità causale”388. Né trova più alcuna valida giustificazione il
386 In una logica di sistema è infatti emersa un’evidente anomalia che il caso Bnl-Unipol, come già l’assalto
della Banca Popolare Italiana alla Banca Antonveneta, hanno portato alla ribalta: quello della governance e della
contendibilità delle banche di natura cooperativa. In questa cornice è del massimo interesse richiamare le
riflessioni di B. MARSIGLIA e F. SARZANINI, Affari e contatti politici nella battaglia di Unipol, in Il Corriere della Sera,
12 agosto 2005, p. 7; nonché di S. BRAGANTINI, Una legge piena di buchi. Le Coop rischiano grosso, in Il Corriere della
Sera, 19 luglio 2005, p. 11, il quale denuncia: “Vediamo tra i cavalieri bianchi plotoni di cooperative, che si
lanciano in Opa ostili, approvate da Banca d’Italia che ancora ieri le aborriva…”. Secondo F. CAVAZZUTTI, Il
caso Unipol-Bnl tra mercato e autoreferenzialità, in www.la voce.info, il fatto “che una società per azioni di diritto privato
come Unipol (che non è una impresa cooperativa come molti hanno confuso) decida di scalare una banca è
assolutamente fisiologico in un contesto di liberi mercati degli assetti proprietari. L’idea che una s.p.a., quotata in
Borsa, non possa farlo perché presenta delle società cooperative non scalabili nella veste di soci di controllo pare
invece fuori da ogni ragionevolezza nel contesto italiano ove non esiste alcun mercato degli assetti proprietari
delle imprese quotate”.
387 Per una pregevole ricostruzione storica della disciplina delle partecipazioni nelle banche popolari v. R.
COSTI, L’ordinamento bancario, cit., p. 366 ss., ove si segnala una ricca rassegna bibliografica. Le difficoltà per
realizzare i desiderati processi di concentrazione sono da addebitarsi, principalmente, al limite di possesso
azionario di cui all’art. 30, comma 2, T.u.b., e al principio del voto capitario, in forza del quale i soci hanno
ciascuno un voto a disposizione quale che sia il numero di azioni posseduto. In particolare, l’art. 30, comma 2, del
T.u.b. ribadisce che “nessuno può detenere azioni in misura eccedente lo 0,50 per cento del capitale sociale”;
precisa poi che “la banca, non appena rileva il superamento di tale limite, contesta al detentore la violazione del
divieto”, e stabilisce, infine, che “le azioni eccedenti devono essere alienate entro un anno dalla contestazione “ e
che “trascorso tale termine, i relativi diritti vengono acquisiti dalla banca”.
388 Sebbene la legge delega n. 366/2001 escludesse le banche cooperative dall’applicazione dell’art. 5
relativo alle società cooperative, l’art. 223-terdecies della riforma del diritto societario (d.lgs. n. 6 del 2003), da un
lato, afferma che continuano ad applicarsi alle banche di credito cooperativo e alle banche popolari le disposizioni
vigenti alla data di entrata in vigore della legge delega, e, dall’altro, dichiara che le banche di credito cooperativo
hanno carattere di “mutualità prevalente”, introdotto nel codice proprio dalla riforma. Con le novità di cui al
successivo d.lgs. n. 37/2004 è stato modificato l’art. 28 T.u.b. prevedendo che ai fini fiscali la “mutualità
prevalente” delle banche di credito coopertivo va verificata con riferimento ai requisiti di cui all’art. 2514 c.c. e
all’operatività prevalente con i soci prevista dal T.u.b. Con l’introduzione, ad opera dell’art. 38 del d.lgs. 310/2004,
- 119 -
voto per teste, che aveva un senso all’epoca in cui le popolari non erano grandi imprese
quotate in borsa, ma mutue. È evidente, pertanto, quanto pesi l’incongruità dell’attuale
disciplina con la partecipazione ai mercati azionari, dove la regola è quella della partecipazione
dell’azionista effettuata per lo più in termini di investimento, e dove la figura stessa del socio
non assume il rilievo che riveste in una società cooperativa389.
Viene allora da chiedersi: è giusto che le società cooperative e le banche popolari, pur
non essendo del tutto contendibili, possano acquistare partecipazioni di controllo in società di
capitali, che di norma sono del tutto aperte al mercato? Finora questi interrogativi potevano
sembrare solo accademici390. In realtà, come le recenti burrascose vicende hanno segnalato, le
asimmetrie presenti nel sistema finanziario italiano sono più forti di quanto si potesse
immaginare391.
Quando le banche popolari raggiungono dimensioni significative e proiezione nazionale,
esse dovrebbero essere chiamate ad adeguare le regole di governo societario, così da “aprire” la
loro struttura proprietaria e rendere convenienti matrimoni esogamici. Allo stato attuale, risulta
di un nuovo art. 150-bis T.u.b., sono state indicate espressamente le norme del codice civile oggetto della riforma
che si applicano alle banche di credito cooperativo e alle banche popolari; in particolare, per queste ultime, non
trovano applicazione le disposizioni in materia di “mutualità prevalente”.
389 In tal senso v. S. BRAGANTINI, Una testa un voto in banca non funziona, in Il Corriere della Sera, 3
novembre 2006, p. 44; F. LOCATELLI, Non solo le coop devono cambiare, in Il Sole 24 Ore, 11 gennaio 2006, p. 42; S.
BOCCONI, Il Governatore ridisegna il perimetro del risiko, in Il Corriere della Sera, 2 novembre 2006, p. 26. Si consideri
peraltro che, nel caso di proprietà altamente diffusa, la mancata cessione della proprietà può derivare da un
fallimento di coordinamento dei micro-azionisti. Ciò premesso, non va nemmeno sottaciuto che proprio con
riguardo al sistema delle banche popolari quotate l’esperienza registra episodi di aggregazioni anomale di poteri
deliberativi, non congruenti con il principio cooperativo, più rispondenti a logiche di tutela di alcuni interessi
settoriali che, opportunamente organizzati, tendono a trarre vantaggio dalla naturale dispersione del potere di voto
e dalla scarsa partecipazione dei soci alla vita sociale nelle cooperative. Del resto, come la letteratura economica ha
ampiamente illustrato, la vischiosità dei meccanismi del market for corporate control può essere notevolmente
accentuata da previsioni statutarie che pongano limiti alle possibilità di vendita/acquisto o ai diritti esprimibili di
voto.
390 Cfr. R. DE BONIS, B. MANZONE e S. TRENTO, La proprietà cooperativa: teoria, storia e il caso delle
banche popolari. Temi di discussione n. 238, Banca d’Italia, Roma, 1994. Per ulteriori spunti di riflessione, cfr., tra gli
altri, D. MASCIANDARO, La corporate governance nelle banche popolari, in Bancaria, 1998, n. 12, p. 36 ss.; R.
COSTI, Il governo delle società cooperative: alcune annotazioni esegetiche, in Giur. comm., 2003, I, p. 233 ss.; M. CONDEMI,
L’esclusine dalla riforma delle banche costituite in forma cooperativa: questioni interpretative e prospettive di intervento, in F.
CAPRIGLIONE (a cura di), Nuovo diritto societario ed intermediazione bancaria e finanziaria, Padova, 2003, p. 218 ss.;
G. PRESTI, Il governo delle banche popolari e di credito cooperativo, in Banca impr. soc., 1998, p. 147 ss.; L. SCHIUMA,
Controllo, governo e partecipazione al capitale, Padova, 1997; P. SCHLESINGER, Un nuovo regime per le Popolari, in Il Sole
24 Ore, 29 maggio 2002, p. 6. Le banche popolari rappresentano un sistema per alcuni aspetti “diverso” da quello
delle banche ordinarie liberamente contendibili, ma non per questo “deviante”. La premessa da cui muovere è la
seguente: le società cooperative costituiscono una delle possibili forme dell’attività d’impresa, ossia l’operare come
impresa a tutti gli effetti è, insieme alla componente mutualistica, parte costituente dell’essere cooperativa. Invero,
le popolari oggi si caratterizzano solo per una propria organizzazione del diritto di proprietà che, lungi dall’essere
deviante, posa le sue radici su una lunga storia, ideale e pratica, che ha portato sino al suo rilievo costituzionale
(art. 45 cost.). Ne deriva che, a priori, non possano sussistere limiti settoriali o dimensionali alla libera crescita di
una cooperativa in quanto impresa.
391 Cfr. M. SARCINELLI, Bank Governance: Models and Reality, in AA.VV., Property Control and Corporate
Governance of Banks, 2000, p. 263 ss.; V. CONTI e A. FABBRI, Proprietà e controllo degli intermediari finanziari, in
AA.VV., Quali banche in Italia, mercati, assetti proprietari, controlli, a cura della Fondazione Rosselli, Milano, 1996, p. 97
ss. Nel corso della XIII Legislatura, l’utilità della molteplicità dei modelli bancari era stata riconosciuta anche dal
Parlamento che, nel Comitato ristretto, aveva raggiunto l’unanimità sulla conferma del sistema delle Popolari
seppur con alcuni corretti ed auspicabili emendamenti (aumento della quota massima di possesso individuale dallo
0,5% all’1%; limite di possesso derogabile sino al 5% non solo per gli investitori istituzionali ma anche per le
banche e per le fondazioni bancarie; eliminazione delle clausole di gradimento per le Popolari quotate); in tal
senso v. pure M. MUCCHETTI, Il caso Unipol: le piramidi delle coop e quelle degli altri, in Il Corriere della Sera, 28 agosto
2005, p. 24; F. LOCATELLI, L’esordio delle cooperative, in Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2005, p. 7; T. BIANCHI, Banche
Popolari, più contendibilità ma con giudizio, in Il Sole 24 Ore, 26 marzo 1999, p. 32.
- 120 -
invece piuttosto arduo prevederne l’aggregazione con intermediari finanziari a diversa forma
proprietaria392.
6.1. (Segue): Adeguamenti della governance delle Popolari: autoregolamentazione statutaria dei singoli
intermediari o intervento diretto del legislatore?
Come superare, allora, le presunte disparità tra le banche popolari e le altre società
quotate? Invero, fin dal 1998, cioè dall’approvazione del Testo unico della finanza, si tentò di
introdurre norme speciali per le popolari quotate, in modo da attenuare i limiti di
partecipazione per gli investitori istituzionali e rafforzare la protezione degli azionisti, pur
mantenendo i caratteri essenziali della forma cooperativa393. Il tentativo venne respinto,
sostenendosi che la soluzione andasse trovata nel quadro della riforma generale delle popolari.
Rendere più trasparenti e controllabili gli assetti di governo conservando il voto capitario
è possibile, purchè si consenta una effettiva partecipazione dei soci, con la previsione di
strumenti che garantiscano realistiche possibilità di organizzare il voto e assicurare maggiore
informazione ai soci.
Ferma restando l'esigenza di sviluppare su questi temi ulteriori approfondimenti non
possibili in questa sede, si potrebbe immaginare, nel solco delle novità delineate dalla riforma
societaria (d.lgs. 7 gennaio 2003, n. 6), un rafforzamento, all’interno del modello della “grande
cooperativa”, degli strumenti di corporate governance attualmente esistenti394.
La soluzione di questo problema consentirebbe di affrontare il tema della compatibilità del sistema delle
Popolari con l’Unione europea, le cui leggi e istituzioni sono ormai parte integrante del nostro sistema
costituzionale e di governo. La Commissione europea in data 15 ottobre 2003 aveva dato avvio ad una procedura
d’infrazione, poi conclusasi con esito negativo, contro l’Italia per presunta incompatibilità di alcuni tratti
caratteristici della normativa sulle Popolari (venivano contestati il tetto al possesso azionario, il principio del voto
capitario e i residui di clausola di gradimento) con l’art. 43 del Trattato CE (sulla libertà di stabilimento) e con l’art.
56 dello stesso (sulla libertà di circolazione dei capitali).
I giuristi indipendenti che hanno esaminato la questione hanno ritenuto che il sistema delle popolari in
nessun modo è in conflitto né con la libertà di stabilimento, né con la libera circolazione dei capitali e che, in base
al principio di sussidiarietà (ribadito dagli artt. 1-5 della nuova Costituzione europea), la Comunità non avrebbe
voce in capitolo su come ogni Paese organizza al suo interno i meccanismi della proprietà. Al riguardo v. CAFARI
PARICO, Parere pro veritate, in Il Sole 24 Ore, 5 gennaio 2003.
Al riguardo, va inoltre ricordato che l’art. 295 del Trattato CE “…lascia del tutto impregiudicato il regime
di proprietà esistente negli Stati membri”. Sempre in sede comunitaria, particolare considerazione va riservata alla
equiparazione tra voto capitario e golden share, che caratterizza la disciplina speciale della privatizzazione di enti
pubblici e conseguente trasformazione in società per azioni. A questi argomenti è tuttavia dato obiettare una
sostanziale diversità dei codici organizzativi sui quali tale equiparazione viene ad innestarsi: da un lato la golden share
è effettivamente un potere speciale che sortisce l’effetto di una sostanziale discriminazione (in termini di
uguaglianza e parità di trattamento) fra i componenti della compagine sociale; dall’altro, il voto capitario si innesta
nella organizzazione democratica funzionale alla causa mutualistica, come prevede il diritto comune delle società
cooperative. Per maggiori ragguagli sulla questione cfr. T. BALLARINO e L. BELLODI, La golden share nel
diritto comunitario. A proposito delle recenti sentenze della Corte comunitaria, in Riv. soc., 2004, p. 2 ss.
Cfr. G. OPPO, Credito cooperativo e testo unico sulle banche, in Riv. dir. civ., 1994, II, p. 653, ed ora Mutualità e
integrazione cooperativa, in Scritti giuridici, VI, Padova, 2000, p. 415; su posizioni diverse R. COSTI, Il governo delle società
cooperative, cit., p. 236 ss.; sempre in dottrina v. pure R. PENNISI, Il rifiuto del gradimento fondato sull’ “interesse della
società” e sullo “spirito della forma cooperativa” nelle banche popolari, in Banca e borsa, 2001, I, p. 693 ss.
393 Cfr. M. DRAGHI, Profili di corporate governance nelle banche di credito cooperativo e riforma del diritto
societario, in Credito Cooperativo, gennaio–febbraio, 1999, p. 32. Secondo l’Autore, nel tentativo di fonire una risposta
adeguata, occorre chiedersi, innazituuto, se siano immaginabili scelte di regolamentazione in grado di migliorare le
strutture di corporate governance incrementando nel contempo la “dinamicità” (rectius, contendibilità) dei diritti
proprietari.
394 Per utili spunti di discussione cfr. G.D. MOSCO e F. VELLA, L’autonomia delle banche tra nuovo diritto
societario e regole di vigilanza. Un doppio binario per la “governance”?, in Analisi giuridica dell’economia, 2004, p. 139 ss.
392
- 121 -
In assenza di strumenti che garantiscano alla compagine societaria maggiori possibilità di
voice, il voto capitario, seppur elemento essenziale e qualificante della forma coopertaiva,
indebolisce la capacità dei soci di monitorare l’operato degli amministratori. L'autoreferenzialità
del management delle grandi cooperative, non esposto alla “minaccia” legata al ricambio del
controllo proprietario, rischia in concreto di allentare l’efficacia tanto dei controlli interni
quanto di quelli esterni. Gli articoli del Testo Unico della finanza che escludono le società
cooperative dall’osservanza delle norme in materia di aumenti di capitale (art. 135) e dalle
disposizioni generali in materia di deleghe di voto (art. 137) contribuiscono a racchiudere in se
stesso il mondo della cooperazione e a rendere poco trasparenti ed efficaci i controlli
assembleari, come, ad esempio, nel caso delle operazioni con parti correlate395.
Tra i correttivi da adottare, la dottrina suggerisce di introdurre più forti deroghe al
principio del voto capitario a favore di particolari categorie di soci – gli investitori istituzionali
–, e nel contempo assicurare una più penetrante regolamentazione del voto per delega che
estenda sensibilmente i limiti alla raccolta396.
Queste modifiche consentirebbero di lanciare un’Opa sul capitale della banca con
contemporanea sollecitazione delle deleghe, quest’ultima necessaria per deliberare in assemblea
la trasformazione della popolare in società per azioni. In tal modo sarebbero i soci a decidere,
in maniera aperta e trasparente, se realizzare, vendendo le proprie azioni all’offerente, ovvero
conservare il rapporto cooperativo.
Sebbene la disciplina del Testo unico bancario e quella del codice civile consentano alle
banche popolari di trasformarsi in società per azioni397, la proposta di consentire alle popolari
quotate la trasformazione tout court in s.p.a. presenta notevoli rischi, sia perché si incammina
sulla pericolosa strada della configurazione di una società di diritto speciale, sia perché
comporta l'affermazione di una sorta di incompatibilità, non dimostrata, tra il modello
cooperativo e la quotazione.
Una soluzione accettabile dovrebbe infatti consentire alle popolari di mantenere
pressoché intatte le caratteristiche portanti del modello coniugando alcune modifiche essenziali
alla prosecuzione dello schema tipico. In termini più chiari, la banca popolare dovrebbe
sopravvivere assumendo però una struttura ibrida tra s.p.a. e società cooperativa. È forse
possibile conciliare le due cose; è assai più improbabile che questo difficile equilibrio possa
essere realizzato conservando tutte le caratteristiche (e i privilegi) della società cooperativa398.
Cfr. P. SANTELLA, Banche cooperative o fondazioni bancarie? Un’analisi di corporate governance delle banche di
credito cooperativo, in Bancaria, novembre 2001, p. 34 ss.
396 In tal senso v. F. VELLA, Amministrazione e controllo nelle cooperative “spa”e “srl”, Relazione al Convegno
“Gli statuti delle imprese cooperative dopo la riforma del diritto societario”, Associazione Disiano Preite, Bologna
7 febbraio 2003, datt., p. 4; ID., Popolari, un fronte ancora aperto, in www.lavoce.info, 12 dicembre 2006. L’Autore
ricorda che “quando fu redatto il T.u.f., in una sua prima versione si prevedeva che nelle popolari quotate, come
in tutte le altre società, ci fosse la possibilità di sollecitare le deleghe di voto, possibilità che fu poi esclusa nel testo
finale, per ragioni che non è facile comprendere”. Con riguardo a quest’ultimo punto si tratterebbe di intervenire
in una duplice direzione:
a) in primo luogo, aumentando i limiti alla raccolta delle deleghe di voto, con la definizione di soglie
percentuali rapportate alla dimensione del capitale (in luogo dei tetti quantitativi previsti dall’attuale disciplina);
b) in secondo luogo, ripristinando la possibilità, prevista dal Testo unico della finanza, di superare il
suddetto limite quando si pone in essere una vera e propria sollecitazione delle deleghe rivolta a tutti i soci.
397 Sul punto cfr. Corte Cass., sez. I, 8 gennaio 2007, n. 89. In proposito, è possibile rilevare
l’inadeguatezza della normativa antecedente alla riforma del diritto societario ed il pregio delle pronunce delle
Autorità giudiziarie che, nell’evolversi del tempo, hanno anticipano le scelte operate poi dal legislatore, che solo di
recente ha correttamente delineato la natura composita e bivalente delle banche popolari, da un lato cooperativa e
dall’altro società di natura commerciale che svolge inevitabilmente attività lucrativa. Si può quindi affermare che le
banche popolari sono enti atipici dell’ordinamento creditizio italiano.
398 Cfr. G. D’AMICO, Osservazioni in tema di Opa sulle azioni delle banche popolari, in Mondo Bancario, 1997, 3, p.
45 ss.; P.G. MARCHETTI, L’Opa sulla Banca Popolare di Cerea, in Riv. soc., 1995, p. 723 ss. La dottrina è concorde
nel ritenere che obiettivo di tali adeguamenti debba essere quello di una migliore e più effettiva declinazione dei
395
- 122 -
6.2. (Segue): L’inapplicabilità della break-through rule al modello delle banche cooperative quotate.
Il recepimento dei principi contenuti nella direttiva europea in materia di Opa spinge
ancor di più il nostro ordinamento finanziario verso soluzioni che impiegano come risorsa
strategica il valore stesso della “contendibilità”, quale “arma” essenziale per il buon
funzionamento dell’industria bancaria e dei mercati finanziari.
Tuttavia, sebbene le azioni delle società cooperative quotate rientrino in linea di principio
nel campo d’azione della direttiva, la regola di neutralizzazione di cui all’art. 11 non è ad esse
applicabile. L’art. 11 non cita la forma giuridica della società emittente tra le speciali misure
preesistenti all’offerta che possono venire annullate nell’eventualità di riuscita di un’Opa399.
Per tale ragione, l’estenzione del campo d’azione della break-through rule (che sembra
meno radicale delle soluzioni prospettate dalla stessa Commissione europea) alla struttura
proprietaria delle banche popolari risulta non praticabile400.
D’altra parte, anche qualora si volesse applicare la regola di neutralizzazione alla forma
giuridica della società emittente, ciò si tradurrebbe nella trasformazione obbligatoria della
banca popolare in una società per azioni, cosa che avverrebbe senza rispettare la normativa
societaria che regola tale tipo di trasformazione401. Una simile soluzione rappresenterebbe una
principi specifici propri delle banche di credito popolare, piuttosto che la loro contaminazione con queli tipici
delle società ordinarie. Ciò che porterebbe nel tempo alla loro diluizione o persino alla dispersione di quella
“diversità coopertativa” che è invece ragion d’essere nel tempo delle banche di credito popolare.
399 Si tratta dell’art. 11, comma 2, della dir. n. 2004/25/CE. Con la disposizione in esame il principio della
parità di trattamento tra gli azionisti viene salvaguardato attraverso la previsione di un meccanismo cosiddetto di
“neutralizzazione”. Il legislatore intende, infatti, colpire le restrizioni, statutarie e contrattuali, al trasferimento dei
titoli e ai diritti di voto che possono essere considerate come barriere alle offerte. La ratio e le modalità di
neutralizzazione delle restrizioni previste nell’art. 11 sono, in realtà, diverse in relazione al momento in cui la
regola si applica, se, cioè, “durante il periodo entro il quale l’offerta deve essere accettata” (§§. 2 e 3) oppure
successivamente alla conclusione della stessa (§. 4). Nel secondo caso, la direttiva ha strettamente legato il
funzionamento di tale regola ad una soglia percentuale del capitale di rischio (75%) a partire dalla quale l’offerente
acquisisce ampie prerogative decisionali nella società emittente. Per maggiori dettagli si rinvia all’analisi realizzata
da R. SKOG, The European Union’s proposed takeover directive, the “breakthrough “ rule..., cit., p. 1141 s.; sul punto sia
permesso rinviare anche a L. SCIPIONE, La direttiva europea in materia di Opa, cit., p. 184 ss.
400 Come sopra accennato, le restrizioni al trasferimento dei titoli ed ai diritti di voto oggetto della regola di
neutralizzazione possono essere distinte in due categorie: quelle di natura contrattuale (intendendo come tali
quelle previste sia nello statuto che in accordi parasociali) e quelle “strutturalmente connaturate” alla natura dello
strumento finanziario. I due casi sono sostanzialmente diversi. Nel primo, lo statuto o gli accordi parasociali
limitano convenzionalmente l’esercizio dei diritti inerenti alle azioni (ad esempio, clausole di prelazione o
gradimento che limitano la trasferibilità delle azioni ordinarie; sindacati di voto che limitano l’esercizio del diritto
di voto delle azioni ordinarie). Nel secondo caso, si tratta invece di categorie di azioni distinte in ragione dei diritti
di voto o patrimoniali (o dell’assenza di tali diritti) ad esse “strutturalmente connaturati”, come nel caso delle
azioni a voto limitato (ad esempio le azioni privilegiate o i nuovi strumenti finanziari che possono essere emessi ai
sensi del nuovo art. 2351 c.c.), quelle senza diritto di voto (ad esempio le azioni di risparmio) o quelle a voto
plurimo.
401 Secondo C. RABITTI BEDOGNI, Manuale di diritto dei mercati finanziari, cit., p. 291, per la scalabilità
delle banche popolari una soluzione praticabile sarebbe quella legata al lancio di un’Opa condizionata “alla previa
trasformazione delle stesse in società (bancarie) per azioni”. Si ricorda, tuttavia, che ai sensi del primo comma
dell’art. 40 reg. Consob n. 11971/1999 “l'efficacia dell'offerta non può essere sottoposta a condizioni il cui
verificarsi dipende dalla mera volontà dell'offerente”. Si pensi al successo dell’Opa lanciata dal Monte dei Paschi
sulla Banca Agricola Mantovana che già nel 1999 aveva aperto il dibattito sulla contendibilità delle banche
popolari e sulla possibilità di acquisirne il controllo mediante un’offerta pubblica di acquisto delle azioni,
condizionata a che i soci approvassero, in assemblea, la trasformazione da cooperativa in società per azioni.
Queste operazioni (di trasformazione e fusione) sono, tuttavia, assoggettate alle norme poste dall’art. 31 T.u.b.
Tale disposizione prevede un’apposita autorizzazione della Banca d’Italia, che è chiamata ad esaminarle sotto
l’aspetto tecnico-economico nell’interesse dei creditori ovvero nell’esigenza di rafforzamento patrimoniale ovvero
- 123 -
pesante interferenza con il diritto societario del singolo Stato, incompatibile con lo spirito della
direttiva e tale da far sorgere seri problemi di costituzionalità.
Inoltre, non si terrebbe in debita considerazione il fatto che l’investitore che sottoscrive o
acquisisce le azioni di società cooperative è o dovrebbe essere ben cosciente del fatto che
questi titoli, che si riferiscono ad un’entità societaria diversa dalle società per azioni,
conferiscono diritti di voto che non hanno lo stesso rilievo ai fini della lotta per il controllo
societario di quelli delle società per azioni.
In definitiva, sebbene la cooperativa rappresenti una forma societaria speciale che si
discosta dall’assetto base della s.p.a., essa non può considerarsi soggetta alla regola di
neutralizzazione.
Ciò detto, onestamente non pare facile intuire come questi argomenti verranno affrontati
dal legislatore; l’unica certezza è che gli interrogativi posti difficilmente potranno essere ancora
elusi. Nel disegnare le nuove regole del gioco, si auspicava che la riforma del risparmio potesse
contribuire alla formazione di un efficiente mercato degli assetti proprietari per le imprese
(cooperative e non) che fanno appello al pubblico risparmio: forse un’occasione mancata.
ai fini di razionalizzazione del sistema bancario. L’accertamento delle Autorità di vigilanza deve estendersi alla
verifica della coerenza dell’operazione con il criterio di sana e prudente gestione, come si evince dal rinvio agli
artt. 56 e 57 T.u.b., espressamente richiamati dal comma 3 dell’art. 31.
- 124 -
Capitolo V
LA DISCIPLINA ANTITRUST IN MATERIA DI CONCENTRAZIONI
BANCARIE
SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Vigilanza sulle acquisizioni bancarie e controllo delle concentrazioni. - 3. L’attribuzione
delle competenze in materia antitrust alla Banca d’Italia e le diverse linee interpretative. - 3.1. Riflessioni sull’esperienza
comparatistica. - 4. L’estensione della competenza sulla concorrenza delle banche al Garante nella legge n. 262/2005. Il
passaggio ad un modello di vigilanza per finalità. - 4.1. (Segue): L’iter condiviso tra le due Authorities. I profili procedurali e
applicativi legati alla previsione di un “unico atto”. - 4.2. (Segue): L’intervento correttivo del d.lgs. n. 303 del 2006. - 4.3.
L’esatta divisione di competenze tra le due Autorità di controllo in relazione alle fattispecie oggetto di valutazione: le
altre ipotesi dell’art. 19 del T.u.b. - 4.3.1. (Segue): L’analisi dei meccanismi concertativi negli organismi societari delle
banche. – 5. La commistione di obiettivi nell’applicazione della normativa antitrust. – 5.1. Autorizzazione di operazioni di
concentrazione per esigenze di stabilità e failing company doctrine. - 5.2. Ulteriori aspetti critici e interventi ipotizzabili a
confronto. - 6. Opa e operazioni di concentrazione. I legami fra disciplina della concorrenza e disciplina del mercato
mobiliare. - 7. Le concentrazioni bancarie nel diritto comunitario antitrust. Profili introduttivi. - 7.1. Il caso particolare di
svolgimento di un’offerta pubblica di acquisto. - 7.2. Deroghe alla competenza esclusiva della Commissione Europea a
favore dell’Autorità di vigilanza nazionale. - 7.3. Gli ostacoli regolamentari al cross border banking in europa.
1. Introduzione.
L’offerta pubblica di acquisto su una banca quotata può dare luogo ad una operazione di
concentrazione ai sensi della legge n. 287/90, disciplina che si applica anche alle “aziende ed
istituti di credito”.
Nel settore del credito si assiste ad un sovrapporsi dei piani della regolazione bancaria e
della concorrenza, dato che le norme riguardanti le fusioni e le acquisizioni di partecipazioni di
maggioranza sono contenute sia nella legge 287 del 1990, sia – come già ampiamente illustrato
– nel Testo unico bancario. Le concentrazioni bancarie danno luogo, pertanto, a processi
articolati in cui i profili di concorrenza e quelli di stabilità possono trovarsi in contraddizione402.
A ciò si aggiunga, con contestuale complicazione del quadro normativo-disciplinare, che
l’utilizzo delle offerte pubbliche di acquisto e di scambio in funzione di operazioni di
concentrazione pone all’interprete problemi di definizione in ordine agli ambiti di applicazione
della normativa specifica in tema di Opa, da un lato, e della normativa antitrust, dall’altro.
Prima delle modifiche di recente intervenute con la legge n. 262 del 2005, una diversa
valutazione delle operazioni di acquisizione, del tutto separata da quella orientata agli aspetti
prudenziali, veniva condotta dalla Banca d'Italia in relazione ai poteri di Autorità di tutela della
concorrenza nei mercati bancari, ad essa attribuiti dalla legge n. 287/1990.
Ove, infatti, l’acquisizione della partecipazione configurasse un’operazione di
concentrazione, la stessa andava comunicata alla Banca d’Italia anche ai sensi dell’art. 16 della
legge n. 287/1990. L’organo di vigilanza doveva in primis verificare che l’operazione non
contrastasse con il criterio della “sana e prudente gestione”, ex art. 19 T.u.b., per poi prendere
in esame gli effetti concorrenziali. Peraltro, la duplicità della procedura comportava
402 Cfr. D. CATERINO, Concentrazioni e attività bancaria, Bari, 2000, p. 178 ss.; A. ANTONUCCI, La
concorrenza bancaria, in Dir. banc. e merc. fin., 198, p. 531. L’espressa sanzione normativa del principio concorrenziale
nel settore bancario se, da un lato, ha permesso di fugare ogni dubbio in merito al rapporto tra attività bancaria e
concorrenza, dall’altro, non ha impedito la nascita di un dibattito in dottrina e tra le relative autorità
amministrative nazionali incentrato sulla questione di quale debba essere il reale “grado” di applicabilità della
normativa antitrust generale al settore bancario, nonché l’eventuale incidenza da riservare ai profili della stabilità e
dell’efficienza tutelati in sede di vigilanza prudenziale.
- 125 -
inevitabilmente sul piano tecnico-formale una dilatazione e sovrapposizione dei termini e dal
punto di vista sostanziale la possibilità che il rilascio della prima autorizzazione condizionasse il
rilascio della seconda403.
2. Vigilanza sulle acquisizioni bancarie e controllo delle concentrazioni.
La regolamentazione del mercato finanziario italiano – come è noto – si basa su un
modello ibrido, che fa coesistere la distinzione della vigilanza per finalità con quella della
vigilanza per soggetti. Questa commistione è spesso fonte di talune importanti distorsioni (che
danno luogo a volte a eccessi di regolamentazione). Il fatto che, nel sistema previgente la legge
n. 262/2005, un'unica Autorità di vigilanza dovesse, relativamente ad una categoria di soggetti,
garantire contestualmente il conseguimento di più obiettivi determinava il rischio di inefficacia
dell'attività di controllo, allorquando alcuni di essi, segnatamente la stabilità, da una parte, e la
tutela degli investitori e la concorrenza, dall'altra, risultassero prima facie confliggenti404.
La recente legge di riforma del risparmio mantiene in capo alla Banca d’Italia le
competenze attinenti la valutazione dell’impatto delle acquisizioni bancarie sulla sana e
prudente gestione, ma trasferisce all’Autorità garante della concorrenza la competenza in
merito ad operazioni di concentrazione tra banche. È un cambiamento che invita a una
riflessione sui temi della concorrenza bancaria non più condizionata dalla precedente
“anomalia”, posto che gli aspetti di maggiore criticità si ravvisano proprio in tema di
concentrazioni tra banche.
Un primo profilo di analisi in materia di vigilanza riguarda l’efficacia e la razionalità
dell’assetto complessivo, ovvero la sua adeguatezza rispetto all’obiettivo della tutela della
concorrenza e a quello della stabilità degli istituti di credito.
Lo sviluppo dell’ordinamento bancario in senso concorrenziale ha trovato la propria
consacrazione normativa sia nell’art. 5 del d.lgs. n. 385/1993, laddove si enumera tra le finalità
generali della vigilanza l’obiettivo della “competitività del sistema finanziario”, sia nell’art. 20
della l. n. 287/1990 che – come si diceva –, in linea di principio, ha esteso alle banche
l’applicabilità della normativa generale antitrust405.
In tal senso v. M. LAMANDINI, Le concentrazioni bancarie, cit., p. 98.
Sulle ragioni di tale scelta v. A. GENTILI, Disciplina della concorrenza e pluralità di garanti, in Riv. dir. comm.,
193, I, p. 231; L.C. UBERTAZZI, Diritto nazionale antitrust e imprese bancarie, in Dir. banc. e merc. fin., 1992, I, p. 448;
F. GHEZZI e M. NOTARI, La disciplina della concorrenza nei settori dell’informazione, del credito e delle assicurazioni (art.
20 della l. 10 ottobre 1990, n. 287), in Riv. soc., 1993, p. 168; R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 1994, p. 621;
A. PATRONI GRIFFI, Antitrust e concentrazioni bancarie, in Giur. comm., 1996, I, p. 395; G. ROTONDO,
L’attribuzione alla Banca d’Italia di poteri in materia di tutela della concorrenza (ex art. 20 della legge 10 ottobre 1990 n. 287)
alla luce dell’evoluzione normativa del settore creditizio, in Riv. dir. impr., 1996, 2, p. 388 ss.; ID, Il controllo antitrust nel
mercato finanziario, Napoli, 2004, p. 79 ss. Nel quadro normativo preesistente, la Banca d’Italia doveva, in primis,
verificare che l’operazione non contrastasse con il criterio della “sana e prudente gestione”, ex art. 19 T.u.b., per
poi preoccuparsi degli effetti di mercato. La duplicità della procedura comportava, indubbiamente, dal punto di
vista tecnico-formale una dilatazione e sovrapposizione dei termini e dal punto di vista sostanziale la possibilità
che il rilascio della prima autorizzazione condizionasse il rilascio della seconda. Così M. LAMANDINI, Le
concentrazioni bancarie, cit., p. 98; M. POLO, Concorrenza e Opa nell’industria bancaria, cit., p. 263.
405 Cfr. V. DESARIO, La nuova legge bancaria e l’attività di controllo, in Il controllo pubblico sull’ordinamento
finanziario, I, Bari, 1995, p. 136 s.; P. CIOCCA, La nuova finanza in Italia. Una difficile metamorfosi (1980-2000),
Torino, 2000, p. 205. In perfetta armonia con il modello adottato a livello comunitario, la l. n. 287/1990 si applica
a qualsiasi impresa, privata o pubblica, salvo poche eccezioni. Il legislatore italiano, tuttavia, ha voluto sancire
espressamente in una disposizione ciò che in ambito comunitario è stato frutto di un’interpretazione
giurisprudenziale, ossia che le banche sono sottoposte alle regole della concorrenza. Gli istituti di credito quindi
non rientrano nella deroga prescritta dall’art. 8, equivalente nazionale dell’art. 86 del Trattato CE.
403
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Sia ben chiaro, in sede europea non è prevista alcuna differenza di tipo regolamentare per
il settore creditizio che è sottoposto ad una disciplina comune come per le altre imprese406.
A livello nazionale il legislatore si è orientato diversamente, salvando le esigenze di
specificità dell’attività bancaria e la riconducibilità degli interessi pubblici ad essa connessi
all’art. 47 della Costituzione e non solo all’art. 41 della Carta407, derogando alla competenza
generale dell’Autorità garante e prevedendo l’attribuzione di poteri antitrust alla Banca d’Italia.
Questo approccio deriva, come affermato in una recente sentenza del Consiglio di Stato
del 16 ottobre 2002, da una lunga storia, istituzionale ed economica, nonché dagli avvenimenti
da cui è sorta la vecchia Legge bancaria, la cui presenza, insieme alla qualificazione dell’impresa
bancaria come impresa pubblica, faceva ritenere che nel settore creditizio la concorrenza
dovesse giocare un ruolo residuale408.
3. L’assetto normativo previgente: l’attribuzione delle competenze in materia antitrust alla Banca d’Italia e le
diverse linee interpretative.
Come già anticipato, fino all’entrata in vigore della legge sul risparmio, l’art. 20 della legge
n. 287/1990 prevedeva la competenza della Banca d’Italia ad applicare il diritto della
concorrenza nei confronti delle banche409. La legge n. 287/1990 assoggetta(va) le banche alle
disposizioni sostanziali relative alle fattispecie anticoncorrenziali vietate dalla legge antitrust
disponendo che “nei confronti delle aziende e istituti di credito l’applicazione degli articoli 2, 3
e 6 spetta alla competente autorità di vigilanza”410, ossia la Banca d’Italia, che era chiamata a
pronunciarsi entro trenta giorni dal ricevimento della documentazione posta a fondamento del
provvedimento; decorso inutilmente tale termine, l’Autorità di vigilanza poteva adottare i
provvedimenti di sua competenza411.
Cfr. Corte di Giustizia, 14 luglio 1981, causa 172/80, Zuchner, in Foro it., 1982, p. 473.
Per i primissimi commenti alla legge n. 287/1990 cfr. M.S. SPOLIDORO, La disciplina antitrust in Italia,
in Riv. soc., 1990, p. 1282 ss.; A. TOFFOLETTO, Antitrust: la legge italiana, in Giur. comm., 1990, II, p. 925 ss.; M.
MORI, Banca e impresa, Padova, 1988, p. 63 ss.; A. ZITO, Mercato, regolazione del mercato e legislazione antitrust: profili
costituzionali, in Jus, 1989, p. 219 ss.; M. NIGRO, Profili costituzionali della disciplina antitrust, Padova, 1994.
408 Cfr. F. GHEZZI, Il Consiglio di Stato e la “piccola rivoluzione” nella ripartizione delle competenze antitrust di
Banca d’Italia e Autorità garante (nota a Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 ottobre 2002, n. 5640), in Diritto e formazione,
2003, p. 1222.
409 La letteratura in materia di concorrenza bancaria è particolarmente vasta. Tra le numerose opere si
segnala P.L. CIOCCA, Pensieri in margine alla concorrenza bancaria, in Rivista Bancaria, 2, 1995; M. GRILLO,
Conclusioni, in Industria Bancaria e Concorrenza, a cura dell’Ente per gli studi monetari, bancari e finanziari L. Einaudi,
Bologna, 2000; N. IRTI, La concorrenza come stato normativo, in LIPARI e MUSU (a cura di), La concorrenza tra
economia e diritto, Bari, 2000; BANCA d’ITALIA, La tutela della concorrenza nel settore del credito, Roma, 1992; R.
COSTI, Le concentrazioni bancarie e la legge antitrust, in Banca, impresa e società, 1991, p. 399 ss.; M. SIRI, L’applicazione
delle regole di concorrenza nel settore bancario, finanziario e assicurativo, in Banca, impresa e società, 1993; A. GENTILI,
Disciplina della concorrenza e pluralità di garanti, in Riv. dir. comm., 1993, p. 205 ss.
410 Al riguardo v., da ultimo, M. CONDEMI, Ridimensionamento dei poteri della Banca d’Italia in materia di
concorrenza, cit., p. 200 s.
411 Accanto a questa prima regola generale, la legge prevede una serie di norme puntuali che riguardano per
diversi aspetti le banche e che, indirettamente, ne confermano la soggezione alla disciplina generale della
concorrenza. Si tratta nel dettaglio delle seguenti disposizioni: (i) l’art. 5, comma 2, relativo all’acquisizione di
partecipazioni a fini meramente finanziari che non realizza un’operazione di concentrazione; (ii) l’art. 16, comma
2, relativo al criterio di calcolo del fatturato bancario delle operazioni di concentrazione che devono essere
notificate (decimo del totale dell’attivo dello stato patrimoniale, esclusi i conti d’ordine); (iii) l’art. 20, comma 5,
secondo cui le intese delle banche possono essere esentate, oltre che nei casi dell’art. 4, anche “per esigenze di
stabilità del sistema monetario”; (iv) l’art. 20, comma 9, che disciplina la tematica dei rapporti e dei possibili
conflitti con la normativa antitrust e le altre disposizioni pubblicistiche di settore.
406
407
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Travalicando l’astratto dibattito se la vigilanza ai fini della concorrenza debba o meno
rientrare nelle competenze della Banca d’Italia, può essere utile ripercorrere l’evoluzione del
quadro normativo e proporre alcuni spunti di riflessione.
In primo luogo, si osserva che le decisioni della Banca d’Italia erano assunte tenendo
conto del parere (intervento consultivo) dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e
dei principi elaborati a livello comunitario. Tale parere, pur essendo obbligatorio, non era però
vincolante, in quanto la legge non richiedeva necessariamente l’emanazione di un
provvedimento conforme da parte dell’Autorità creditizia412.
Concentrare questi poteri con quelli di vigilanza era, come tutta la letteratura economica
ha dimostrato, un’assurdità, fonte di conflitti e di decisioni arbitrarie413. Questo assetto venne
delineato all’epoca dell’istituzione dell’Antitrust, nel 1990. A quei tempi la decisione aveva una
qualche logica: il sistema bancario italiano di allora era profondamente diverso da quello di
oggi. Ciò confermava, tra l’altro, la mancanza di un robusto e coerente schema teorico che
fosse in grado di indagare i legami fra aggregazioni bancarie e concorrenza del relativo mercato.
Porre nelle mani della Banca centrale poteri in materia di concorrenza ha portato alla creazione
di un ambiente protetto, che ha sì favorito l’aggregazione tra istituti di credito ma di certo non
secondo criteri di mercato414.
Le critiche alla scelta del legislatore di affidare le competenze antitrust alla Banca d’Italia
hanno enfatizzato, soprattutto, il rischio che nelle concrete decisioni di intervento l’Autorità
creditizia potesse perseguire (o tener conto) anche delle finalità di tutela degli interessi pubblici
ulteriori affidati alla sua cura, in tal guisa modulando l’antitrust bancario nelle scelte
amministrative di regolazione415.
Ad ogni modo, nella delimitazione delle competenze della legge n. 287/1990, il
legislatore aveva adottato un criterio soggettivo, poiché ancorato alla presenza di una banca
nell’ambito dei soggetti che avessero posto in essere un’intesa, un abuso di posizione
412 Cfr. I. CALBOLI, La concorrenza bancaria nei pareri dell’autorità garante della concorrenza e del mercato, in Banca,
borsa tit. cred., 1995, III, p. 302 ss. Guardando all’interpretazione dell’art. 20 della legge n. 287/90, relativo ai
rapporti tra l’Autorità garante e gli altri organi di controllo di specifici settori del mercato (Banca d’Italia per il
settore del credito, Isvap per il settore assicurativo e Garante per la Radio diffusione e l’Editoria nei relativi
settori), in dottrina si riteneva che quel ruolo, che a prima vista pareva essere definito di mera supervisione,
costituisse invece uno degli aspetti principali del coordinamento per l’applicazione della disciplina antitrust ai
diversi settori del mercato interno. Benché, infatti, si trattasse della manifestazione di un’attività di natura
consultiva, l’emanazione di pareri ex art. 20, comma 3, assumeva rilievo essenziale al fine di un’uniforme
applicazione delle regole di concorrenza anche ai settori speciali.
413 Cfr. A. PATRONI GRIFFI, A. ANTONUCCI e C. MOTTI, Norme in materia di partecipazioni al capitale
degli enti creditizi, in Diritto antitrust italiano, a cura di FRIGNANI, PARDOLESI, PATRONI GRIFFI,
UBERTAZZI, Bologna, 1993, II, p. 1175 ss.
414 In proposito v. G. TESAURO, Il controllo antitrust nel settore bancario. Intervento al convegno sul tema: “I nuovi
assetti dei mercati finanziari: quale organizzazione della vigilanza?”, Bologna, 4 maggio 2001, in Banca, impr. soc., 2001, 3,
p. 443 ss.; F. TERRANO, Armonie e dissonanze tra Autorità nell'applicazione della normativa antitrust al comparto creditizio,
in Banca, impr. soc., 2000, 3, p. 463 ss. Per un’ulteriore analisi del problema v. anche R. COSTI, L’ordinamento
bancario, cit., p. 675 ss., in particolare p. 690 ss.
415 Cfr. M. CONDEMI, Ridimensionamento dei poteri della Banca d’Italia in materia di concorrenza, in F.
CAPRIGLIONE (a cura di), La nuova legge sul risparmio. Profili societari, assetti istituzionali e tutela degli investitori,
Padova, 2006, p. 191 ss. La limitazione del controllo di ciascuna autorità alla specifica operazione di acquisizione
presenta il rischio di un eccessivo frazionamento di competenze e l'assenza di una supervisione unitaria sugli
operatori polifunzionali. Analogamente al modello istituzionale, l'approccio per attività può determinare, inoltre, il
conflitto tra obiettivi di vigilanza diversi concentrati in capo alla medesima autorità. Un ulteriore inconveniente
proprio del modello in esame consisterebbe nella sua inadeguatezza rispetto ai problemi di vigilanza non connessi
all'attività, ma strettamente riconducibili alla situazione del soggetto vigilato. Si tratterebbe, in particolare, dei
problemi di stabilità dell'attività bancaria tradizionale. Nel contesto dell'approccio per attività, pertanto, sarebbe
necessario comunque istituire un organismo che eserciti e garantisca specificamente la vigilanza sulla stabilità dei
soggetti.
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dominante o un’operazione di concentrazione416. Il legislatore, in sostanza, non riservava alla
Banca d’Italia la competenza a controllare il rispetto delle regole di concorrenza nel mercato
bancario in quanto tale, ma attribuiva alla stessa il potere di assumere i provvedimenti previsti
dalla legge n. 287/1990 nei confronti delle banche. In tal modo, erano escluse dalla
competenza della Banca d’Italia tutte quelle situazioni in cui l’intesa, l’abuso di posizione
dominante o la concentrazione, pur riguardando settori nei quali operano anche le banche, non
vedesse coinvolta alcuna di esse.
Ma sulla base dello stesso criterio soggettivo, si sarebbe dovuta respingere la tesi
dell’esclusività del controllo della AGCM sulle operazioni che, pur coinvolgendo le banche,
avessero inciso soltanto su mercati diversi da quello bancario nel senso stretto. Tale tesi non
solo non trovava nessun fondamento nella legge, ma, essendo ben noto che già allora non
esisteva una sola banca che esercitasse esclusivamente l’attività bancaria, la medesima avrebbe
portato all’abrogazione de facto della norma contenuta nel secondo comma dell’art. 20 della
legge 287/1990, che attribuiva alla Banca d’Italia la competenza ad applicare la disciplina
antitrust solo per le attività riservate alle banche.
Era, pertanto, più ragionevole sostenere che anche nell’ipotesi in cui l’operazione avesse
riguardato esclusivamente istituti di credito, l’AGCM avrebbe avuto il dovere di intervenire per
valutare l’incidenza che tale operazione avrebbe potuto avere su mercati diversi da quello
bancario, introducendo così un doppio controllo.
Peraltro, secondo parte della dottrina, il criterio soggettivo consentiva anche di risolvere i
problemi di competenza per le operazioni che, ex art. 20, comma 7, legge n. 287/1990,
avessero coinvolto banche e soggetti che banche non fossero. Si era al riguardo sostenuto che,
in siffatte ipotesi, la competenza avrebbe dovuto essere attribuita in via esclusiva, secondo
parte della dottrina, alla Banca d’Italia, per altri all’AGCM. Ma entrambe le tesi urtavano in
modo troppo netto con le disposizioni dell’art. 20, commi 2 e 7, per poter essere condivise.
A riprova delle menzionate connessioni, il tema dell’applicazione del diritto della
concorrenza alle banche è stato, dunque, riassorbito nell’ambito dei più ampi propositi di
riforma delle autorità di vigilanza del mercato finanziario e ha indotto il legislatore a rivedere la
decisione del 1990.
Sennonché, con due successivi interventi normativi, dapprima la legge 28 dicembre 2005,
n. 262, per la tutela del risparmio, e successivamente il decreto legislativo correttivo 29
dicembre 2006, n. 303, questo sistema è stato radicalmente trasformato.
3.1. Riflessioni sull’esperienza comparatistica.
Sotto il profilo comparatistico, la scelta del legislatore italiano di sottrarre la competenza
in materia di concentrazioni tra banche all’Autorità garante e di attribuirla alla Banca d’Italia417,
416 Cfr. A. LANDI e M. ONADO, Banche, intermediari finanziari e legislazione antitrust, in Banca, impr. soc.,
1993, p. 61 ss. Per A. GENTILI, Disciplina della concorrenza e del mercato, Torino, 1991, p. 231 ss., queste ragioni
erano da rintracciare “nei fini speciali del governo del credito”. Contra C.L. UBERTAZZI, Diritto nazionale antitrust
e imprese bancarie, in Dir. banca merc. finanz., 1993, p. 448, che sosteneva che la norma fosse priva di qualsiasi
giustificazione e che rispondesse “in realtà alla volontà degli organi di governo del credito di conservare e
rafforzare per quanto possibile i propri poteri nell’hortus, solo apparentemente concluso, del comparto bancario,
evitandovi intrusioni di autorità diverse (siano esse la Consob o l’Agcm)”. Ma questa interpretazione non poteva
essere condivisa perché smentita dalla prassi applicativa, come conferma il provv n. 21 del 17/1/1998, in Banca,
borsa tit. cred, 1999, II, p. 95, con nota di M. LAMANDINI, La “seconda svolta” del Banco di Sardegna (nuovi spunti in
tema di antitrust bancario), Ibidem, p. 97 ss.
417 È stato sottolineato che la competenza della Banca d’Italia in tema di regole di concorrenza andrebbe
determinata non con riferimento ai soggetti coinvolti nelle operazioni, ma in considerazione dei “fini speciali del
governo del credito”; in tal senso cfr. A GENTILI, Disciplina della concorrenza e pluralità di garanti, in Riv. dir. comm.,
- 129 -
risultava distante sia dalle scelte comunitarie sia da quelle adottate dagli altri Paesi membri
dell’Unione europea418. Impostazione analoga trova(va) dei validi riscontri limitatamente
all’esperienza statunitense, ove, nei settori regolamentati, l’applicazione dei principi contenuti
nello Sherman Act del 1890 e nel Clayton Act del 1914 è affidata alle competenti autorità di
settore con specifici adattamenti. Per contro, però, è doveroso sottolineare come in nessun
altro Paese la competenza ad applicare le norme di concorrenza sia interamente sottratta
all’Autorità antitrust e affidata all’Organo di vigilanza del settore bancario419.
1993, p. 208 ss.; contra R. COSTI, L’ordinamento bancario, cit., p. 676. Altri ancora tra cui v. C.L. UBERTAZZI,
Diritto nazionale antitrust e imprese bancarie, in Dir. banc e merc. fin., 1992, I, p. 448, hanno evidenziato il carattere
politico della scelta legislativa, indotta, per un verso, dalla diffidenza con cui la Banca d’Italia avrebbe accolto le
interferenze dell’Autorità Garante, scelta che avrebbe manifestato un cedimento “alla volontà degli organi di
governo del credito di conservare e rafforzare per quanto possibile i propri poteri nell’hortus, solo apparentemente
concluso, del comparto bancario, evitandovi intrusioni diverse (siano esse la Consob o l’Autorità garante della
concorrenza e del mercato)”; per altro verso, dal timore, come sostiene G. ROSSI, Il conflitto di obiettivi nell’esperienza
decisionale delle autorità, in Riv. soc., 1997, p. 265 ss., che l’affidamento della vigilanza antitrust ad un’Autorità di nuova
istituzione in un settore in transizione – transizione dovuta al passaggio, da una struttura caratterizzata da
interventi amministrativi diretti, ad una caratterizzata, invece, da un sistema basato su controlli indiretti, più
orientato al mercato – avrebbe potuto ostacolare piuttosto che agevolare l’obiettivo di un sistema bancario più
efficiente e concorrenziale.
Seguendo questa linea interpretativa, un’ulteriore conferma si rinviene dal contenuto dell’art. 20, comma 5,
della legge antitrust, in omaggio al quale le intese tra banche possono essere esentate, oltre che nei casi previsti
dall’art. 4, anche “per esigenze di stabilità del sistema monetario”. La norma dimostrerebbe, infatti, che ove il
legislatore ha voluto introdurre uno speciale temperamento ai principi concorrenziali, in favore della tutela della
stabilità, esclusivamente del sistema monetario, lo ha fatto esplicitamente, diversamente da quanto previsto per le
concentrazioni.
418 Cfr. F. BELLI e C. ROVINI, Riflessioni di massima su “concorrenza e concentrazioni bancarie”, in N.
RONZITTI (a cura di), Il mercato unico europeo nel settore bancario, Siena, 1992, p. 89 ss. Sottolinea come la disciplina
italiana in materia di concorrenza sia tardiva rispetto a quella introdotta negli altri Paesi dell’Unione europea, F.
SAJA, L’Autorità garante della concorrenza e del mercato: prime esperienze e prospettive di applicazione della legge, in Giur. comm.,
1991, p. 455. Invero, le leggi a tutela della concorrenza non sono identiche in tutti i Paesi, in particolare per
quanto concerne gli assetti istituzionali e le procedure. La legge antitrust canadese che risale al 1889 e quella
statunitense, lo Sherman Act del 1890, di cui si dirà a breve, sono state le prime normative nazionali a vietare le
intese restrittive della concorrenza e i tentativi di creare monopoli. Una crescente convergenza delle normative è
stata, tuttavia, realizzata all’interno dell’Unione europea, dove numerosi Paesi hanno recentemente modificato la
legislazione nazionale in materia di concorrenza allineandola a quella comunitaria, anche se permangono
differenze, di natura sia sostanziale che procedimentale, relativamente a particolari profili del diritto e della politica
della concorrenza.
419 Cfr. F. GHEZZI e P. MAGNANI, Banche e concorrenza. Riflesioni sull’esperienza antitrust statunitense,
comunitaria e italiana, Milano, 1999, p. 199 ss., ove ulteriore bibliografia. di avviso contrario M. LAMANDINI, Le
concentrazioni bancarie, cit., p. 244, che, richiamando i sistemi statunitense e tedesco, condivideva la scelta di
partenza del legislatore italiano ed auspicava che il controllo antitrust affidato alla Banca d’Italia si estendesse
quanto prima a tutti i mercati finanziari e agli intermediari in essi presenti sui quali già vigila(va) per i noti profili di
stabilità. Non condivide tale impostazione A. ROCCHETTI, Antitrust e banche: il punto di vista delle autorità, relazione
presentata al Convegno Regolamentazione antitrust e strategia delle banche, Macerata 15 marzo 2001, p. 4 del
dattiloscritto, che propone invece una lettura delle competenze basata sui mercati, affidando alla Banca d’Italia
l’enforcement delle regole di concorrenza solo nei mercati tipicamente bancari. Negli Stati Uniti il controllo è diviso
tra l’Antitrust Division del Department of Justice (DOJ), che è l’organo antitrust generale, e le autorità di settore (Board),
che pure hanno delle competenze in materia. L’Istituto di vigilanza può, infatti, essere rappresentato dalla Federal
Reserve, ossia dalla banca centrale, dalla Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), dall’Office of the Controller of the
Currency oppure dall’Office for Thrift Supervision, a seconda della competenza in materia di vigilanza dell’istituto di
credito coinvolto. L’Istituto di vigilanza valuta la concentrazione ai sensi della normativa bancaria federale, mentre
il Department of Justice la valuta ai sensi dell’art. 7 del Clayton Act, che costituisce la norma per il controllo
concorrenziale delle concentrazioni in tutti i settori dell’economia. Lo standard per l’esame concorrenziale delle
concentrazioni nel settore bancario derivante dalle due normative è sostanzialmente il medesimo: la
concentrazione non deve ridurre in misura sostanziale la concorrenza in alcun mercato rilevante. Ai sensi della
normativa bancaria, tuttavia, ci sono maggiori possibilità di compensare gli effetti anticoncorrenziali con
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La conclusione raggiunta è rafforzata dalla constatazione che in Europa non vi è riserva
di competenza in materia di concorrenza bancaria a favore dell’autorità di vigilanza sulla
stabilità420. Nel panorama europeo la competenza a tutelare la concorrenza è generalmente
affidata all’autorità antitrust, salvo, in alcuni ordinamenti, il coinvolgimento di un organo
diverso e, in alcuni Paesi, addirittura del Ministero dell’economia.
La Francia è uno dei Paesi nei quali la competenza è stata trasferita dall’autorità di
vigilanza settoriale all’autorità antitrust generale. Prima del 1986 l’attribuzione della competenza
sulla applicazione della disciplina antitrust relativa ad intese ed abusi di posizione dominante era
affidata all’autorità di vigilanza settoriale (Commission Bancaire) in base alla legge bancaria del
1984 (art. 89 della legge 24 gennaio 1984, n. 46). Successivamente tale competenza è stata
rimessa all’autorità generale per la concorrenza (il Conseil de la Concurrence) dalla Ordonnance n.
1243 du 1er dicembre 1986. Il Conseil de la Concurrence è solamente tenuto a comunicare alla
Commission bancarie i casi che coinvolgono soggetti sottoposti ai poteri di vigilanza di
quest’ultima. La Commission bancarie può emettere un proprio parere di cui il Conseil de la
Concurrence deve tenere conto nella propria decisione.
Anche per le concentrazioni, regolate dal Titolo V dell’Ordonnance n° 86-1286 du 1er
dicembre 1986 modifiée, nel settore bancario la competenza è affidata allo stesso soggetto,
principalmente il Ministro dell’Economia, competente anche per gli altri settori dell’economia.
In Germania l’autorità antitrust generale ha recentemente ottenuto la piena competenza
sull’applicazione della disciplina a tutela della concorrenza. Precedentemente, prima
dell’emanazione della V Novella del GWB, tale competenza era affidata congiuntamente
all’autorità antitrust ed all’autorità di vigilanza settoriale. Attualmente l’autorità antitrust generale
(il Bundeskartellamt) adotta le decisioni che riguardano le imprese bancarie o assicurative sentita
la rispettiva autorità di vigilanza settoriale.
Anche in Olanda – talvolta citata a sproposito come esempio di situazione simile a quella
italiana – , dopo una fase transitoria di due anni, si è verificato il previsto passaggio della
competenza dall’autorità di vigilanza (il Ministro delle finanze) a quella Antitrust.
In Spagna le norme a tutela della concorrenza nel settore bancario sono quelle previste
per gli altri settori generali e la competenza è attribuita (dalla Ley 16/1989 de 17/7/1989
modificada por RDL 7/1996 de 7 de junio) alle Autorità generali di concorrenza: il Tribunale della
concorrenza (Tribunal de Defensa de la Competencia) ed il Ministero dell’Economia (Ministro de
Economìa y Hacienda).
Infine, nel Regno Unito si applicano al settore bancario le norme generali a tutela della
concorrenza; l’autorità competente è l’autorità antitrust generale (Office of Fair Trading/Competition
Commission). Nel 1998 è stata adottata la nuova normativa entrata in vigore dal 1° marzo del
considerazioni di altro tipo, relativi agli effetti positivi che la concentrazione potrebbe produrre per “l’interesse e i
bisogni” della comunità.
Il Department of Justice comunica la propria valutazione all’Autorità di vigilanza. Se quest’ultima autorizza
una concentrazione che il DOJ ritiene in contrasto con il Clayton Act, il Department of Justice può ricorrere alle Corti
con un’istanza di divieto dell’operazione.
Per le intese e i comportamenti di monopolizzazione si applicano al settore bancario le sezioni 1 e 2 dello
Sherman Act, come previsto negli altri settori. In dottrina, per una migliore comprensione dei cardini e dei principi
ispiratori del modello statunitense, si segnalano i contributi di G. HENDERSON, The Federal Trade Commission,
Oxford, 1924, p. 16 ss.; cui adde T. BLAISDELL, The Federal Trade Commission. An Experiment in the Control of
Business, New York, 1932, p. 1-13; T. McCRAW, Prophets of Regulation, Cambridge-London, p. 80 ss.; M.
KOVACIC, The Federal Trade Commission and Congressional Oversight of Antitrust Enforcement: A Historical Perspective, in
R. MACKAY, Inside the Federal Trade Commission, Stanford, 1987, p. 69 ss.; sull’opportunità, a lungo oggetto di
dibattito, di mantenere in vita lo Sherman Act cfr. R. POSNER, The Federal Trade Commission, in 37 University of
Chicago Law Review (1969), p. 47 ss.
420 Inoltre, negli ordinamenti di Germania, Francia e Gran Bretagna, la concentrazione bancaria non è
sottoposta ad autorizzazione preventiva, ma solo ad un controllo ex post; per un raffronto v. L.C. UBERTAZZI,
Nuovi spunti sulle autorizzazioni alle concentrazioni bancarie, cit., p. 532.
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2000. La competenza su intese e abusi è attribuita all’Office of Fair Trading (OFT). Alla
Competition Commission è invece affidato il ruolo di “tribunale d’appello”. Per le concentrazioni
l’OFT è competente entro una certa soglia di fatturato e quota di mercato. Sopra tale soglia il
Segretario di Stato può rinviare l’operazione alla Competition Commission per l’attività istruttoria al
termine della quale il segretario di Stato adotterà una decisione. A tali regole fanno eccezione
solo i settori dell’elettricità, del gas, dell’acqua, delle telecomunicazioni e delle ferrovie, dove la
competenza è divisa tra l’autorità antitrust e le autorità di regolamentazione settoriale.
Da questa rapida panoramica emerge chiaramente come il passaggio « dall’anomalia » ad
una situazione di maggiore coerenza vada nella direzione della normalità, almeno per quanto
riguarda lo scenario europeo, che poi è quello che dovrebbe interessarci di più.
In Italia il nuovo ruolo dell’Autorità garante costituisce, come si andrà di seguito ad
analizzare, un’ulteriore segmentazione nell’esercizio della vigilanza sul settore creditizio, col
chiaro intento però di operare, nell’applicazione della normativa sulle concentrazioni bancarie,
un’attribuzione dei compiti differenziata a seconda della finalità perseguita421.
4. L’estensione della competenza sulla concorrenza delle banche al Garante nella legge n. 262 del 2005. Il
passaggio ad un modello di vigilanza per finalità.
La soluzione contenuta nel vecchio testo della legge antitrust costituiva fonte di gravi
distorsioni nel processo di allocazione dei diritti di proprietà delle banche. La posizione di
conflitto nel valutare la stabilità e la concorrenza era poi aggravata dal fatto che la Banca
d’Italia era solita comportarsi come autorità tutoria di indirizzo422. Come premesso,
l’affermazione non intende certo sminuire talune evidenze della pregressa esperienza.
L’art. 19 della legge n. 262/2005 viene ad incidere su due temi, ovvero l’assetto
istituzionale della Banca d’Italia e la ripartizione di competenze fra l’Autorità garante della
concorrenza e del mercato e la Banca stessa in materia di applicazione delle regole antitrust al
settore bancario423.
Diversamente, nella logica della legge n. 287/90, chiaro era l’intento di operare, nell’applicazione della
normativa sulla concorrenza, un’attribuzione dei compiti differenziata, a seconda della tipologia dell’impresa
sottoposta al controllo, ferma restando, tuttavia, la necessità di una sostanziale parità di trattamento nell’esercizio
delle rispettive attività d’impresa. Al riguardo cfr. R. COSTI, Le concentrazioni bancarie e la legge antitrust, in Banca,
impr. soc., 1991, p. 399 ss.
422 In proposito, v. G. TESAURO, Relazione del Presidente dell’AGCM nella seduta del 29 gennaio 2004 alla
Camera dei deputati, nell’ambito dell’Indagine conoscitiva – XIV Legislatura – Comm. riun. VI Camera e X Senato. Il vecchio
testo dell’art. 20, comma 2, l. n. 287/1990, come già ribadito, affermava che nei confronti delle banche
l’applicazione degli artt. 2, 3, 4 e 6 della legge spettava alla competente autorità di vigilanza; non era chiaro però, se
e in che limiti, la Banca d’Italia potesse discostarsi dalle regole fissate dai citati articoli. Il quesito viene
chiaramente enfatizzato dal fatto che la stessa Banca d’Italia è competente a rilasciare altri provvedimenti di natura
“autorizzatoria” in applicazione delle norme contenute nel T.u.b. Ad esempio, con riferimento alle operazioni di
fusione (e scissione) di banche, sono presi in considerazione i parametri di cui all’art. 57 T.u.b. (che fa riferimento
al criterio di una “sana e prudente gestione”); in riferimento alle fusioni in cui partecipano banche popolari e da
cui risultino società per azioni, fanno premio l’“interesse dei creditori”, ed esigenze di “rafforzamento
patrimoniale” e di “razionalizzazione del sistema” (art. 31 T.u.b.); infine, con riguardo alle fusioni tra banche di
credito cooperativo e banche di diversa natura da cui risultino banche popolari o banche società per azioni, da un
lato si mantiene in vigore la tutela dell’“interesse dei creditori”, dall’altro trovano ingresso le “ragioni di stabilità”
(art. 36 T.u.b.). Si tratta di parametri di valutazione che non coincidono con quelli previsti dalla l. n. 287/1990 in
sede di valutazione delle concentrazioni in prospettiva antitrust.
423 Sul punto v. L. CAMILLI, Commento sub artt. 19-22, Legge 28 dicembre 2005, n. 262 – Disposizioni sulla
tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, in CERADI (Centro di Ricerca per il Diritto di Impresa), LUISS,
Roma, 2006. La struttura dualistica dell’articolo è probabilmente dovuta alla repentina inclusione delle norme sulla
ripartizione delle competenze fra Banca d’Italia e AGCM proprio nella fase di conclusione dell’iter legislativo. È
infatti possibile individuare una netta distinzione tra i commi 1-10, che contengono principi e regole di
421
- 132 -
La legge sul risparmio rovescia, di fatto, il regime previgente e assegna all’Autorità
garante della concorrenza e del mercato le valutazioni relative all’assetto concorrenziale del
mercato bancario, ferme restando tutte le competenze e l’obbligo di autorizzazione da parte
della Banca d’Italia per le valutazioni relative alla sana e prudente gestione, cioè alla stabilità
creditizia424.
L’attuale, rivisitata formulazione dell’art. 20 della legge n. 287/90 rende più chiari sia
l’identificazione delle responsabilità di ciascuna Autorità, sia l’obiettivo perseguito425.
Ai sensi del nuovo comma 5, per le operazioni di acquisizione (di cui all’art. 19 del T.u.b.)
e per le operazioni di concentrazione (previste dall’art. 6 della l. 287/1990)426 che riguardano le
banche, sono infatti richieste sia l’autorizzazione dell’AGCM, per le valutazioni relative
all’assetto concorrenziale del mercato, sia l’autorizzazione della Banca d’Italia chiamata ad
esaminare le eventuali ricadute dell’operazione sulla stabilità del sistema creditizio.
L’Autorità garante dispone di poteri esclusivi per condurre le valutazioni necessarie ad
escludere o ritenere che l’operazione possa dare luogo alla creazione o al rafforzamento di una
posizione dominante tale da restringere in maniera sostanziale e durevole la concorrenza.
Peraltro, il passaggio della competenza ad applicare gli artt. 2, 3, e 6 della legge n. 287/1990 nei
confronti delle banche viene effettuato in modo netto, senza introdurre l’obbligo per l’Autorità
garante di sentire il parere della Banca d’Italia prima dell’adozione dei propri provvedimenti427.
Viene così eliminato quello che in passato era stato giudicato un aggravio in termini di durata
organizzazione e funzionamento della Banca d’Italia, e i commi 11-14. Questi ultimi, introdotti con un
emendamento del Governo su cui era stata posta la questione di fiducia, coinvolgono invece lo spostamento di
una parte delle funzioni in materia di tutela della concorrenza e del mercato e probabilmente avrebbero meritato
un articolo a parte, sulla falsariga del disegno di legge n. C2346 presentato alla Camera dei Deputati il 28 febbraio
2005.
424 Al comma 11 dell’art. 19 della legge n. 262/2005 è stata stabilita, sic et sempliciter, l’abrogazione di gran
parte del precedente modello di applicazione delle norme antitrust al settore bancario previsto dal citato art. 20
della legge n. 287/90. La legge sulla tutela del risparmio ha, infatti, eliminato i commi 2 (che attribuisce
l’applicazione della normativa antitrust nei confronti delle banche « alla competente autorità di vigilanza »), 3 (ove
si prevede che i provvedimenti della Banca d’Italia siano adottati « sentito il parere dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato ») e 6 dell’art. 20 della l. n. 287/1990 che attribuivano alla Banca d’Italia il compito di
applicare la normativa a tutela della concorrenza in materia di intese, abusi e concentrazioni riguardanti le banche
e che regolavano i rapporti con l’Autorità garante.
425 Cfr. Proposta di legge recante “Disposizioni per la tutela del risparmio e in materia di vigilanza”,
presentata il 24 gennaio 2004, in Atti parlamentari, Camera dei Deputati, 4639, XIV Legislatura – Disegni di Legge e
Relazioni – Documenti, 2004, p. 12. Anche l’aspetto dei rapporti tra Banca d’Italia ed Autorità antitrust fu oggetto di
un’audizione dell’allora presidente Tesauro all’inizio del 2004, con una replica del Governatore della Banca d’Italia
nell’ambito dell’indagine conoscitiva che è stata alla base del disegno di legge presentato, nella versione originaria,
il 16 febbraio 2004. Peraltro, non si tratta di una novità assoluta per il nostro ordinamento, il quale già prevede un
meccanismo simile per la valutazione delle concentrazioni nel settore dei media e delle comunicazioni.
426 In realtà, l’ultima versione del disegno di legge governativo non attribuiva all’Autorità antitrust le
competenze anche sulle materie di cui all’art. 19 del T.u.b., ma le lasciava alla Banca d’Italia. Si ricorda che ai sensi
dell’art. 6 della legge n. 287/1990 l’Autorità garante è chiamata a valutare se le operazioni di concentrazione
notificate comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale così da
eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza. Se l’Autorità ritiene che l’operazione non
determini il suddetto scenario, la valutazione positiva assume la forma di un nulla osta; se, al contrario, l’Autorità,
al termine dell’istruttoria di cui all’art, 16, comma 4, ritiene che l’operazione determina tali conseguenze, vieta
l’operazione oppure può consentirla (l’art. 6, comma 2, parla in questo caso di autorizzazione) prescrivendo le
misure atte a impedire queste conseguenze.
427 Va comunque ricordato che in virtù dell’art. 10, comma 4, della legge n. 287/1990, l’Autorità garante
può chiedere alla Banca d’Italia notizie e informazioni nonché la collaborazione per l’adempimento delle sue
funzioni. Si rammenta, inoltre, che nel vigore del vecchio art. 6 della legge n. 287/1990, l’AGCM, nell’emanare il
parere richiestole in materia di concentrazione, valutava se l’operazione sottoposta al suo esame comportasse “la
costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre
in modo sostanziale e durevole la concorrenza”.
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del procedimento: la previsione cioè in forza della quale la Banca d’Italia doveva provvedere
“sentito il parere dell’Autorità garante” (art. 20, comma 3, ora abrogato)428.
Con il nuovo sistema di competenze, si è inteso dunque rimuovere qualsiasi ipotesi di
soluzione estrema ad un conflitto non altrimenti sanabile: il rischio che le valutazioni attinenti
alla stabilità potessero implicitamente prevalere, nel processo decisionale dell’autorità di
vigilanza, sulle esigenze connesse alla tutela della concorrenza.
La legge sul risparmio, approvata in gran fretta, ha tuttavia, da subito, dimostrato di aver
bisogno di molte “ripuliture” e più di un intervento interpretativo, soprattutto in chiave di
semplificazione.
4.1. (Segue): L’iter condiviso tra le due Authorities. I profili procedurali e applicativi legati alla previsione
di un “unico atto”.
Le modalità di trasferimento delle competenze in materia di antitrust bancario non
sembrano dissolvere asimmetrie e incertezze nelle procedure valutative delle due Autorità e
negli esiti delle stesse. In sede di interpretazione della voluntas legis sottesa al dettato normativo,
le norme hanno destato taluni interrogativi pratici di non facile soluzione429.
Nelle intenzioni del legislatore, l’obiettivo era probabilmente quello di assicurare,
attraverso uno stretto coordinamento tra l’attività di vaglio preventivo delle acquisizioni di
banche (svolta dalla Banca d’Italia) e quella di controllo delle concentrazioni svolta
dall’Autorità garante, la massima trasparenza del processo decisionale. Sul piano procedurale
era stato disposto che i provvedimenti delle due Autorità di cui al secondo comma dell’art. 12
della legge n. 262/2005 fossero emanati con un “unico atto” entro sessanta giorni dalla
presentazione dell’istanza, completa della documentazione occorrente. L’atto unico doveva
contenere le specifiche motivazioni relative alle finalità attribuite alle due Autorità (art. 19,
comma 13, ora abrogato, l. n. 262/2005).
Sul piano squisitamente amministrativo-procedurale, la dottrina ha segnalato le difficoltà
incontrate nel procedere ad una corretta qualificazione dell’atto unico tramite il ricorso alle
categorie tradizionali del diritto amministrativo430.
Cfr. ASSONIME, Titolo IV della legge per la tutela del risparmio: disposizioni concernenti le autorità di vigilanza,
Circolare n. 21 del 29 maggio 2005, p. 12, ove si osserva come per le banche non sia “stato seguito il modello
previsto per i casi che coinvolgono le imprese assicurative e per quelli che coinvolgono operatori nel settore delle
comunicazioni, in cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato provvede sentito il parere, non
vincolante, rispettivamente dell’ISVAP (che ai sensi dell’art. 20, comma 4, della legge n. 287/1990 si pronuncia
entro trenta giorni dal ricevimento della documentazione posta a fondamento del provvedimento) e dell’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni [art. 1, comma 6, lett. c), n. 11 della legge n. 249/1997]”. Si segnala, tuttavia,
che il disegno di legge per il riordino delle autorità indipendenti approvato il 3 febbraio 2007 dal Consiglio dei
Ministri prevede l’introduzione nell’art. 20 della legge n. 287/1990 del parere preventivo non vincolante della
Banca d’Italia sui provvedimenti dell’Autorità garante che riguardano le banche o società appartenenti a gruppi
bancari.
429 In senso conforme cfr. W. NEGRINI, L’intervento della Banca d’Italia in materia di antitrust, in F.
CAPRIGLIONE (a cura di), La nuova legge sul risparmio. Profili societari, assetti istituzionali e tutela degli investitori,
Padova, 2006, p. 250 ss.
430 V. in proposito il laconico commeto di G. MINERVINI, La Banca d’Italia, oggi, cit., p. 624, secondo cui
“Non s’intende perché le due autorizzazioni debbano essere contenute in un unico provvedimento, come pure la
legge prevede… Forse la disposizione ha meri fini di semplificazione processuale. Certo essa merita di essere
riscritta, o meglio ancora soppressa”. Secondo V. DESARIO, Nuovi scenari per il sistema bancario tra cambiamenti
macroeconomici e innovazioni normative (Intervento del Direttore Generale della Banca d’Italia al XXX° Incontro di
Sadica, Perugia, 25 marzo 2006), in Bancaria, 2006, n. 1-2, p. 18, “indipendentemente dall’effettivo ambito di
applicazione dell’autorizzazione dell’Autorità garante, la previsione dell’emanazione di un unico atto da parte delle
due Autorità pone senza dubbio significativi problemi di carattere amministrativo. Non si ravvisa quale sia il
428
- 134 -
Per lo meno, si è stati concordi nel ritenere che dal punto di vista strutturale i due
procedimenti, pur essendo tra loro autonomi, fossero soggetti alle medesime regole previste
per le istruttorie dinanzi all’AGCM, le quali garantiscono trasparenza, rispetto del
contraddittorio e tempi di decisione rapidi. Era inoltre previsto, a tutela dei soggetti vigilati, la
possibilità di presentare un unico ricorso avverso i provvedimenti delle due Autorità davanti al
Tar del Lazio431. Si parlava – a ragione – di obbligatorietà del provvedimento, essendo
necessario che le Autorità competenti (Banca d’Italia e Autorità garante) procedessero
all’emanazione di un atto a natura provvedimentale, riguardante l’operazione sottoposta al loro
esame432. L’atto congiunto era in sostanza il risultato dell’unione in una stessa cartella e sotto
uno stesso titolo di due atti distinti.
Dunque, la previsione di un atto unico, oltre a presentare problemi applicativi, risultava
asistematica e poco utile rispetto agli obiettivi perseguiti. Essa vincolava strettamente sul piano
procedurale l’azione delle due Autorità senza comportare alcun evidente beneficio.
L’unica certezza legata alla previsione di un atto di motivazione unitario era, in sostanza,
che esso dovesse esprimere una posizione univoca, nel senso che se una delle due Autorità non
fosse stata d’accordo l’atto non poteva essere emanato. Il problema era, insomma, quello di
intrecciare e confondere insieme due valutazioni diverse che, tuttavia, dovevano, come si
evince dal dato normativo, restare distinte e autonome.
Le finalità e il tipo di analisi sottostante alle due valutazioni sono, beninteso, molto
diverse: la tutela della stabilità impone di esaminare gli effetti dell’operazione all’interno del
nuovo gruppo da un punto di vista dell’adeguatezza patrimoniale; la tutela della concorrenza
esige di valutare il più ampio contesto degli assetti concorrenziali dei mercati interessati, con
un’indagine che esamina soprattutto la presenza e il ruolo specicifico di altri operatori433. L’atto
unico, dunque, non poteva rappresentare una co-decisione nella quale potessero fondersi le
valutazioni di stabilità con quelle della concorrenza.
vantaggio di avere un unico atto rispetto alla previsione di atti separati, stabilendo esplicitamente, se necessario,
che per realizzare l’operazione occorrono a un tempo l’autorizzazione della Banca d’Italia e quella dell’Autorità”.
431 Cfr. art. 33, comma 1, legge n. 287/1990; art. 7 legge n. 205/2000; art. 24, comma 5, legge n. 262/2005.
Anche nel caso di parere discorde tra le due Autorità, i soggetti interessati devono essere posti nella condizione,
almeno potenziale, di ricorrere al Tar del Lazio; devono, in termini più espliciti, trovarsi di fronte ad un
provvedimento che, innanzi all’autorità giurisdizionale competente, possa obiettivamente formare oggetto di
un’azione processuale di impugnazione.
432 Cfr. D. SARTI, Presupposti e poteri di intervento antitrust sulle concentrazioni bancarie nazionali, in Banca, borsa
tit. cred., 1993, II p. 495; in senso più comprensivo M. LAMANDINI, Le concentrazioni bancarie, cit., p. 158 s.
Secondo l’interpretazione dominante, il parere dell’Autorità garante, ex art. 20, comma 3, legge 287/1990, veniva
ritenuto immancabilmente necessario, anche rispetto a decisioni di non apertura dell’istruttoria da parte della
Banca d’Italia. Inoltre, si riteneva che integrasse i requisiti del “provvedimento” anche l’eventuale “silenzio”
dell’Autorità amministrativa che, nell’interpretazione fornita dall’Autorità garante, “secondo il concorde
orientamento dottrinale e giurisprudenziale, non costituisce un fatto, bensì un atto soggetto alla disciplina generale
degli atti amministrativi”. In diverse occasioni, infatti, l’Autorità garante aveva sostenuto che il parere fosse
sempre e comunque necessario, affermando che “la richiesta di parere a questa Autorità da parte della Banca
d’Italia, deve essere effettuata anche nel caso di mancato avvio dell’istruttoria, ai sensi del combinato disposto
degli artt. 20, comma 8, e 16, comma 4, seconda parte, della legge n. 287/1990”, dato che “il comportamento
consiste nel non avvio dell’istruttoria, sia esso posto in essere da questa Autorità o da altra Autorità competente ai
sensi dell’art. 20, commi 1 e 2, della legge n. 287/1990, si sostanzia in un atto amministrativo e precisamente in un
provvedimento caratterizzato dalla volontà dell’organo che intende permettere il compimento dell’operazione”; in
merito cfr. AUTORITÀ GARANTE, Relazione per il 1991, Roma, 1992, p. 60 s. Di parere opposto si dichiarava,
invece, la Banca d’Italia che, dimostrando un atteggiamento alquanto reticente al riguardo, restringeva la necessità
della richiesta di parere soltanto al caso di apertura dell’istruttoria formale, non considerando pertanto sempre
obbligatorio il parere dell’Autorità garante.
433 Sull’argomento cfr. F. DENOZZA e A. TOFFOLETTO, Contro l’utilizzazione dell’“approccio economico”
nell’interpretazione del diritto antitrust, in Merc. conc. reg., 2006, 3, p. 563 ss.
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A ciò si aggiunga che il comma 14 dell’art. 19 della legge n. 262/2005 prevedeva un
obbligo specifico di coordinamento tra la Banca d’Italia e l’Autorità garante per agevolare
l’esercizio delle funzioni di cui al comma 12434. Tale coordinamento, da svolgersi nei modi
previsti dall’art. 21, doveva essere rivolto non solo ad assicurare un migliore esercizio della
discrezionalità amministrativa, ma anche a contenere i costi della supervisione a carico dei
soggetti vigilati435.
4.2. (Segue): L’intervento corettivo del d.lgs. n. 303 del 2006.
Tenendo conto dei principi della legislazione antitrust nonché di ragioni di coerenza
sistematica con l’ordinamento bancario e con la disciplina comunitaria in materia di
concorrenza e di libera circolazione dei capitali, gli artt. 2 e 4 del d.lgs. n. 303 del 2006 hanno
apportato modifiche all’art. 20 della legge 287/1990 e all’art. 19 della legge 262/2005, in
materia di poteri della AGCM e del suo rapporto con la Banca d'Italia436.
Il legislatore conferma che per le operazioni che costituiscono una concentrazione tra
banche soggetta a notifica l’Autorità garante è responsabile della valutazione degli aspetti
relativi all’assetto concorrenziale nel mercato, mentre la Banca d’Italia rimane responsabile
della valutazione della compatibilità della concentrazione con i requisiti di sana e prudente
gestione. In particolare, però, il decreto correttivo prevede l’abolizione dell’atto unico. I due
procedimenti, dunque, seguono, come era stato auspicato, uno sviluppo con percorsi
indipendenti l’uno dall’altro437.
Qualche ulteriore considerazione può, tuttavia, essere svolta con riferimento allo snodarsi
della procedura, non essendo chiaro quale sia il rapporto tra la disposizione contenuta nella
riforma e la disciplina procedimentale già stabilita dalla legge n. 287/1990. La nuova norma
434 Per una completa ricostruzione delle norme succedutesi v. art. 2 (Modifiche alla legge 10 ottobre 1990, n.
287), comma 1, lett. c), d.lgs. n. 303/2006; art. 19, comma 14, abrogato, e art. 21 legge n. 262/2005.
435 Occorre segnalare al riguardo che ai sensi dell’art. 10, comma 4, della legge n. 287/1990 l’Autorità
garante può chiedere alla Banca d’Italia notizie e informazioni nonché la collaborazione per l’adempimento delle
sue funzioni. Pertanto, nel vigente contesto normativo, anche in assenza di un parere obbligatorio, è previsto che
la Banca d’Italia metta a disposizione dell’Autorità di concorrenza le proprie specifiche conoscenze sui dati, le
caratteristiche economiche e le prospettive dei mercati sottoposti alla sua vigilanza.
436 Si tratta del d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 303 “Coordinamento con la Legge 28 dicembre 2005, n. 262, del
testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (T.u.b.) e del testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria (T.u.f.)”, c.d. Decreto correttivo della Legge sul risparmio n. 262/2005, in G.U. del 10
gennaio 2007, Serie Generale n. 7 - S.O. n. 5, adottato ai sensi dell’art. 43 della legge sul risparmio. In proposito si
rinvia all’analisi dei Pareri emessi dalle Commissioni VI° e X° di Camera e Senato che prendevano ad oggetto
l’esame dello schema di decreto del 30 agosto 2006.
437 L’art. 4, comma 2, lett. b), del d.lgs. n. 303/2006 ha abrogato i commi da 12 a 14 dell’art. 19 della legge
262/2005, che prevedevano che le autorizzazioni della AGCM e della Banca d’Italia riguardanti fusioni ed
acquisizioni nel settore bancario dovessero essere concesse con un atto congiunto. Al riguardo v. BCE, Parere
CON/2006/51 del 3 novembre 2006, disponibile sul sito www.ecb.int. su richiesta del Ministero italiano
dell’Economia e delle Finanze, in relazione a un progetto di decreto legislativo da emanarsi nell’esercizio della
delega contenuta nella legge recante interventi per la tutela del risparmio. In sede europea, tali nuove disposizioni
sono state accolte favorevolmente, in quanto conformi ai principi generali del diritto comunitario nel settore della
concorrenza, e perché seguono, altresì, i suggerimenti formulati in precedenza dalla BCE sulle medesime
questioni; in proposito v. il paragrafo 14 del parere CON/2004/16, del 11 maggio 2004, e i §§. 7 e 8 del parere
CON/2005/58, entrambi disponibili sul sito www.ecb.int. La raccomandazione di tenere chiaramente distinte le due
procedure risponde, infatti, all’esigenza che il valore della concorrenza e quello della tutela del risparmio (nella sua
accezione più ampia di tutela della stabilità del sistema bancario) stiano in rapporto diverso a seconda del fatto che
si debba analizzare una condotta abusiva o collusiva, da un lato, ovvero una strategia di crescita esterna (cioè una
concentrazione), dall’altro.
- 136 -
deroga alla disciplina generale come legge speciale, ma – data la sua eseguità – sembra lecito
chiedersi entro quali limiti.
In merito alla tempistica legata all’adozione dei due diversi provvedimenti, tenuto conto
della circostanza che le valutazioni della Banca d’Italia e dell’AGCM presuppongono attività
istruttorie non coincidenti e seguono regole procedurali diverse, non risulta agevole coordinare
lo svolgimento dei distinti procedimenti nel rispetto del termine stabilito dal comma 13 dell’art.
19438. Nonostante la soppressione dell’atto unico, si continua a prevedere che ciascun atto
debba essere emanato entro sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza completa della
documentazione occorrente. I tempi sono quindi diversi da quelli indicati in generale dalla
legge n. 287/1990 per i procedimenti di valutazione delle concentrazioni (l’art. 16 prevede
trenta giorni più altri quarantacinque nel caso in cui venga avviata un’istruttoria)439; tuttavia, essi
coincidono con i sessanta giorni previsti dalle Istruzioni di Vigilanza per le autorizzazioni ex
art. 19 del Testo unico bancario440. Tra l’altro, nel caso di offerta pubblica di acquisto le
Istruzioni di vigilanza prevedevano un termine di trenta giorni che, in seguito all’intervento
normativo, risulta ora lungo il doppio. La ragione di questo mancato intervento del decreto
correttivo può essere individuata nei limiti posti dalla delega legislativa di cui agli artt. 43 e 44
della legge 262/2005. Non è quindi escluso in futuro un intervento legislativo anche riguardo a
quest’ultimo profilo.
Inoltre, non ci può non interrogare circa l’effettiva permanenza dell’obbligo di
notificazione preventiva. Soprattutto, si rileva la mancata divisione in due fasi del
procedimento (una pre-istruttoria, seguita, ma solo se necessario, dall’apertura dell’istruttoria),
obbligando così l’Autorità garante ad aprire in ogni caso un’istruttoria formale (istruttoria nel
corso della quale dovrà consentirsi la difesa delle parti e – presumibilmente – la loro
audizione).
Sembra insomma generarsi sia un’incertezza di disciplina, dovuta al sovrapporsi, senza
specificazioni, del nuovo al vecchio schema procedurale in materia di controllo sulle
438 Si pensi, ad esempio, al problema legato al momento da cui decorre il termine prima previsto dall’art.
19, comma 13, ora abrogato, nel caso in cui le comunicazioni alle due Istituzioni fossero avvenute in giorni
diversi, oppure alle cause di sospensione e/o interruzione dei procedimenti dell’AGCM e della Banca d’Italia che
possono non coincidere. Ciò inevitabilmente poteva portare ad uno slittamento dell’emanazione dell’atto unico, a
svantaggio delle esigenze dei soggetti coinvolti nell’operazione. Queste discrasie procedimentali rischiano di
compromettere seriamente la possibilità che l’atto unico costituisca una “semplificazione” dell’azione
amministrativa e generano incertezza sui tempi del procedimento.
439 Del resto, un’effettiva inconciliabilità di termini si registrava anche nel sistema previgente. Dato che ai
sensi del terzo comma dell’art. 20 della legge n. 287/1990 l’Autorità garante aveva a disposizione trenta giorni dal
momento della notifica della richiesta (trascorsi i quali il silenzio equivaleva ad assenso) per esprimere il parere, si
verificava una potenziale incompatibilità di tale termine con il dettato del quarto comma dell’art. 16, ove si
prevedeva che, in materia di concentrazioni, l’istruttoria dovesse essere aperta entro trenta giorni dalla notifica,
salvo il caso dell’art. 7. Sulla base del dato letterale, ne scaturiva, pertanto, che la Banca d’Italia, una volta avviata
l’istruttoria formale, effettivamente non potesse usufruire dei quarantacinque giorni teoricamente previsti dall’art.
16, comma 8, legge n. 287/1990, per decidere riguardo all’operazione. D’altro canto, potendo l’Autorità garante
utilizzarne trenta per emanare il parere, ne restavano in concreto soltanto quindici alla Banca d’Italia.
440 Come osserva ASSONIME, Circolare n. 21, cit., “non si tratta solo dei problemi che possono sorgere nel
caso di sospensione o proroga dei termini in uno dei due procedimenti. Andrebbe affrontata anche l’ipotesi del
rinvio all’Autorità garante di un’operazione di concentrazione di dimensione comunitaria ai sensi dell’art. 9 del
regolamento CE n. 139/2004”. Tuttavia, per sgombrare il campo da difficoltà interpretative e d’attuazione, per
l’esame delle operazioni di cui al comma 19 legge n. 262/2005 si potrebbe più semplicemente rinviare alla già
collaudata disciplina del procedimento contenuta nella stessa legge n. 287/1990, sottoponendo anche la Banca
d’Italia, per l’esercizio della propria funzione di vigilanza prudenziale, ai termini e alle modalità procedimentali già
previsti dalla legge antitrust.
Per la valutazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in caso di offerta pubblica di
acquisto il discorso è diverso, in quanto un termine abbreviato di quindici giorni per la decisione circa l’avvio
dell’istruttoria è previsto a livello di normativa primaria, dall’art. 16, comma 6, della legge n. 287/1990.
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concentrazioni, sia un aggravio di compiti per l’Autorità garante, dovuto alla soppressione della
suddivisione in due fasi dell’attività da quest’ultima svolta441.
4.3. L’esatta divisione di competenze tra le due Autorità di controllo in relazione alle fattispecie oggetto di
valutazione: le altre ipotesi dell’art. 19 del T.u.b.
Nel portare a termine l’analisi sul contenuto dell’art. 19 della legge sul risparmio,
rimangono da affrontare ulteriori aspetti problematici che, ancora una volta, rilevano in ordine
agli esatti confini delle rispettive competenze delle due Autorità di vigilanza. Seppur con rapido
passo, il quadro di riferimento fin’ora descritto va dunque opportunamente completato.
La questione concerne la stessa materia oggetto dell’indagine congiunta. La formulazione
originaria dell’art. 19, comma 12, legittimava un’interpretazione letterale che ampliava il regime
di controllo preventivo da parte dell’Autorità garante a tutte le acquisizioni di partecipazioni
superiori al 5% rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 19 del T.u.b., anche qualora non
comportassero l’acquisizione del controllo o non raggiungessero le soglie di fatturato previste
dall’art. 16 della legge n. 287/1990442.
L’estenzione della vigilanza antitrust anche all’acquisizione di quote di capitale di
minoranza delle banche risultava nociva almeno per un duplice ordine di fattori. Per un verso
essa avrebbe aggravato gli oneri dell’Autorità garante e dei vigilati; per un altro avrebbe
ingenerato il dubbio che in questo settore il controllo antitrust potesse prescindere dalla
fattispecie di “concentrazione” delineata dalla legge n. 287/1990, orientandosi verso altri ed
incerti lidi. Si sarebbe finiti con l’introdurre, senza che ne fosse stato chiaro neppure lo scopo,
un obbligo di notifica ed esame ai fini antitrust di ogni accordo che avesse riguardato l’acquisto
di partecipazioni in banche superiore al 5%.
Per tali motivi, l’interpretazione letterale del comma 12 è stata da subito giudicata
“irragionevole”443, ritenendo preferibile accogliere una interpretazione più in linea con la ratio
della legge444. Un’esegesi << teleologica >> della citata disposizione, in base alla quale vanno
sottoposte al “doppio vaglio” delle due Autorità soltanto le operazioni rientranti nel campo di
applicazione sia dell’art. 19 del T.u.b., sia dell’art. 6 della legge n. 287 del 1990, è apparsa dotata
Con le modifiche al comma 4 dell’art. 19 legge n. 262/2005, si prevede anche la sospensione del
decorso del termine dei procedimenti nei quali è richiesto il parere dell’ISVAP, per il tempo da questa utilizzato.
Tale previsione consente all’AGCM di disporre del tempo necessario a valutare il parere senza un eccessivo
allungamento dei tempi del procedimento.
442 In tal senso v. P.L. CIOCCA, Bankitalia: più coordinamento tra le autorità, in Il Sole 24 Ore, 8 giugno 2006, p.
29, che ribadisce la necessità di “definire i confini con l’Antitrust” e “le procedure dirette all’emanazione dell’atto
unico” per “assicurare la funzionalità dell’attività amministrativa e il contenimento degli oneri per i soggetti
vigilati”.
443 In tal senso cfr. R. COSTI, Concorrenza e stabilità nel mercato finanziario, in Analisi giuridica dell’economia,
2006, p. 116. Ugualmente critici e sostenitori dell’inevitabilità di un’interpretazione in senso contrario al tenore
della norma F. MERUSI, Diritto contro economia. Resistenza all’innovazione nella legge sulla tutela del risparmio, in Banca
impr. soc., 2006, p. 3 ss.; F. VELLA, La riforma della vigilanza: tanto rumore per nulla, in Analisi giuridica dell’economia,
2006, p. 123 ss.
444 Il relatore del disegno di legge sul risparmio in sede di quarta lettura al Senato, aveva denunziato la
“problematicità della formulazione del comma 12 dell’articolo 19”, con particolare riguardo “alle competenze
dell’Antitrust in materia di acquisizioni di partecipazioni che non determinano posizioni di controllo. Si andrebbe
a controllare in comunione acquisizioni che non c’entrano nulla con gli aspetti della concorrenza, perché questa fa
riferimento solo a concentrazioni disciplinate dalla normativa della legge n. 287/1990 che derivano dal diritto
comunitario. Sorge quindi un dubbio che va chiarito e che meriterebbe un intervento legislativo successivo”. In
proposito v. Legislatura XIV; Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 931 del 23 dicembre 2005; Ibidem,
allegato B.
441
- 138 -
di maggiore coerenza logico-sistematica445. D’altra parte, così interpretata la fattispecie risulta
coerente con la disciplina che la legge sul risparmio vi riconnette446.
Per giunta, non è dato riscontrare una completa coincidenza tra le operazioni di
acquisizione di cui all’art. 19 del Testo unico bancario e le operazioni di concentrazione
contemplate dall’art. 6 della legge n. 287/1990 che riguardano le banche447.
In sede legislativa, accogliendo i dubbi interpretativi da più parti sollevati, il decreto
correttivo n. 303/2006 è intervenuto precisando che l’autorizzazione dell’Autorità garante,
accanto a quella della Banca d’Italia, è necessaria solo nel caso del trasferimento del controllo
di una banca, e non per tutti i passaggi di “pacchetti” superiori al 5% come era parso
sostenibile in base alla lettera della legge.
L’eventuale attribuzione all’Autorità garante dei poteri di cui all’art. 19 del T.u.b., sul
piano applicativo, avrebbe sortito l’effetto di introdurre una grave distorsione del sistema dei
controlli; sistema che, al contrario, nello stesso spirito (per altro apprezzabile) della riforma,
deve essere orientato ad attuare una ripartizione delle competenze tra le Autorità per funzioni.
4.3.1. (Segue): L’analisi dei meccanismi concertativi negli organismi societari delle banche.
Sotto altro profilo, se con la normativa in esame si vuole garantire che l’Autorità garante
sia tenuta al corrente delle operazioni significative di acquisizione di partecipazioni nelle
banche, in modo da consentirle di monitorare la struttura concorrenziale dei mercati in cui
operano i soggetti bancari (così da facilitare l’eventuale individuazione di intese e/o abusi di
445 Come rileva ASSONIME, Circolare n. 21, cit., p. 18, vi è tuttavia anche una vasta serie di argomenti
contro un’interpretazione letterale. “Anzitutto, essa comporterebbe un ampliamento del regime di controllo
preventivo da parte dell’Autorità garante senza alcuna espressa giustificazione dei motivi di questo aggravio di
oneri amministrativi sull’attività di impresa. Ciò potrebbe risultare in contrasto con il diritto comunitario e
senz’altro non appare conforme ai principi della buona regolazione. In secondo luogo, l’adozione di una siffatta
soluzione interpretativa comporterebbe l’ulteriore problema legato all’individuazione dei criteri di valutazione che
l’Autorità garante dovrebbe adottare nel giudicare quelle acquisizioni di partecipazioni che non comportano il
trasferimento del controllo. In tal caso, infatti, “un mero richiamo a considerazioni << relative all’assetto
concorrenziale del mercato >> non sembra fornire un riferimento abbastanza trasparente e determinato da
permettere un effettivo controllo giurisdizionale sulle decisioni dell’Autorità e potrebbe risultare in contrasto con
il diritto comunitario”.
446 Tra le operazioni di concentrazione di cui all’art. 6 della legge n. 287/1990 si ricomprendono invece “le
operazioni di concentrazione soggette a comunicazione ai sensi dell’articolo 16” della stessa legge n. 287/1990.
Perché un’operazione di concentrazione sia soggetta a comunicazione ai sensi dell’art. 16 deve rientrare in una
delle categorie di cui all’art. 5 della legge n. 287/1990 e deve superare le soglie di fatturato a livello nazionale
previste dal citato art. 6. In particolare, muovendo da queste indicazioni, si è notato che numerose ipotesi
rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 19 T.u.b. non sono riconducibili in quello dell’art. 6 della legge n.
287/1990; ad esempio, “non costituiscono concentrazioni ai sensi dell’art. 6 della legge n. 287/1990 le acquisizioni
di partecipazioni non di controllo, le acquisizioni di partecipazioni di controllo da parte di una persona fisica che
non detiene il controllo di una o più imprese, le acquisizioni di controllo che non superano le soglie di fatturato di
cui all’art. 16. Similmente, non sono soggette ad autorizzazione della Banca d’Italia ai sensi dell’art. 19 del Testo
unico bancario alcune operazioni di concentrazione valutate dall’Autorità ai sensi dell’art. 6 della legge n.
287/1990: si pensi ad esempio alle acquisizioni da parte di banche di partecipazioni di controllo in società
strumentali (autorizzate dalla Banca d’Italia, in base a valutazioni relative alla sana e prudente gestione, ai sensi
dell’art. 53 del Testo unico bancario), alle fusioni autorizzate ai sensi dell’art. 57 o alle acquisizioni di parti di
impresa tramite l’acquisizione di rapporti giuridici, di cui all’art. 58 del Testo unico bancario”; così ASSONIME,
Circolare n. 21, cit., p. 17.
447 Del resto, l’acquisizione di partecipazioni bancarie non di controllo non costituisce un’operazione di
concentrazione ai sensi della legge n. 287/1990, quando non è in grado di dar luogo ad un mutamento nei
rapporti di direzione effettiva delle imprese sul mercato. Così A. CATRICALÀ, Indagine conoscitiva sulle questioni
attinenti all’attuazione della l. n. 262/2005, recante “Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari”,
in Audizione parlamentare, Roma, 10 ottobre 2006.
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posizione dominante o di concentrazioni dissimulate), allora questo scopo si potrebbe
raggiungere anche solo prevedendo un obbligo di comunicazione, da parte della Banca d’Italia
verso l’Autorità garante, delle autorizzazioni rese in forza dell’art. 19 T.u.b.
Si rileva allora ragionevole l’opinione secondo cui anche per la vigilanza antitrust non
sono del tutto irrilevanti eventuali trasferimenti di partecipazioni azionarie, pure di minoranza e
sin’anche inferiori al 5%, e gli incroci azionari. Queste forme di collegamento fra imprese,
infatti, possono integrare, unitamente ad altre evidenze che eventualmente emergano nelle
singole fattispecie concrete, i presupposti per asseverare l’esistenza di un controllo di fatto448,
oppure essere considerate di per sé indici rilevatori di un contesto nel quale la tensione
concorrenziale subisce un affievolimento, per l’instaurarsi di equilibri collusivi allo stato
diffuso.
Le implicazioni di natura concorrenziale connesse ad eventuali intrecci azionari (c.d.
interlocking shareholdings), sui mercati bancari o su altri mercati449, si manifestano in termini di
coordinamento tra le parti e le loro controllate, nonché con riguardo alla concessione di
finanziamenti (privilegi) a favore di soggetti partecipanti (c.d. “parti correlate”)450.
A conferma di quanto detto, vale osservare che un passaggio di quote può sin’anche
presentare profili concorrenziali connessi ai noti problemi di interlocking directories (o
directorship)451. Il riconoscimento sul piano legislativo del fenomeno in questione, indicante il
Cfr. sul punto M. MESSORI e A. ZAZZARO, Aggregazioni bancarie, riassetti proprietari e modelli di governo.
Come sono cambiate le banche italiane negli anni Novanta, in AA.VV., Il sistema bancario italiano. Le occasioni degli anni
Novanta e le sfide dell’euro, 2003, p. 99. La situazione di cui sopra si può verificare quando la partecipazione di
minoranza comporti l'attribuzione di diritti specifici, tra cui il potere, ad esempio, di designare più della metà dei
componenti del collegio sindacale o del consiglio di amministrazione. Si ricorda che questa situazione può essere
sufficiente, in determinate condizioni, a garantire il controllo dell'impresa. In relazione infatti alla normativa
italiana, l'art. 7 per l'attività di controllo testualmente recita: “Ai fini del presente titolo si ha controllo nei casi
contemplati dall'art. 2359 c.c. e, inoltre, in presenza di diritti, contratti od altri rapporti giuridici, che conferiscano,
da soli o congiuntamente, e tenuto conto delle circostanze di fatto e di diritto, la possibilità di esercitare
un'influenza determinante anche sulle attività di impresa anche attraverso: diritti, contratti o altri rapporti giuridici
che conferiscono un'influenza dominante sulle deliberazioni e sugli organi di un'impresa”. Relativamente poi alla
comunicazione della commissione sul concetto di concentrazione si afferma: “di norma si ha giuridicamente
acquisizione del controllo esclusivo quando un'impresa acquisisce la maggioranza del capitale sociale e dei diritti di
voto di una società. Il controllo esclusivo può essere acquisito anche attraverso una partecipazione di minoranza
qualificata. Può infatti essere stabilito in base ad elementi di natura giuridica e fattuale”.
449 Anche qualora si sostenga che la ragione dell’autorizzazione sia quella di dotare l’Autorità antitrust di un
archivio informativo sugli assetti proprietari delle banche a fini di tutela della concorrenza, va ricordato che tale
archivio è già disponibile presso la Banca d’Italia e, per quel che riguarda le banche quotate, le informazioni sono
addirittura pubbliche in base alle disposizioni della Consob e si estendono anche agli eventuali patti parasociali.
450 Cfr. P.L. CIOCCA, Audizione della Banca d’Italia presso il CNEL sul tema: “Aspetti attuativi della legge 28
dicembre 2005, n. 262”, 30 maggio 2006. Per la rilevanza dei conflitti di interesse connaturati al rapporto bancaimpresa e per le distorsioni che ne possono derivare nell’allocazione del credito, il tema (il finanziamento a
soggetti collegati) è stato oggetto di attenzione da parte del legislatore sin dalla legge bancaria del 1936. Un
ulteriore presidio è costituito dalle regole che impongono limiti all’erogazione di credito alle cc.dd. “parti
correlate”. L’esigenza di regolare il fenomeno è stata individuata opportunamente dal legislatore. Già la normativa
secondaria emanata nel luglio 2005 dal CICR (v. delibera n. 1057), su proposta della Banca d'Italia, era intervenuta
sull’argomento. La nuova disciplina è stata attuata con delibera del CICR del 22 febbraio 2006. Questa fissa un
tetto massimo alle esposizioni in una soglia non superiore al 20 per cento del patrimonio di vigilanza, limite
previsto dalla disciplina comunitaria sui “grandi fidi”; attribuisce alla Banca d'Italia il potere di estendere la
disciplina ad altri soggetti collegati e di prevedere limiti più stringenti. Per un esame della nuova disciplina cfr. C.
BRESCIA MORRA, I controlli sull’impesa bancaria, in L’impresa bancaria, cit., p. 274 ss.
451 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Warner-Lambert/Gilette e altri e BIC/Gilette e altri, decisione del 10
novembre 1992, in G.U.C.E. L116, p. 21. Stante il divieto medesimo, l’ipotesi considerata potrebbe costituire
un’opportunità per l’impresa creditizia di inserire nell’organo preposto alla gestione (come in quello a cui è
affidato il controllo sull’amministrazione) soggetti che rappresentano un veicolo di trasmissione ad altra banca
dell’expertise della propria imprenditoria, configurantesi quale conflitto sine qua non per la futura convergenza dei
due intermediari creditizi. Sotto un diverso, ma non per questo meno interessante, profilo, si pensi alla difficoltà
448
- 140 -
legame tra due o più imprese che si realizza attraverso la condivisione dei membri degli organi
di gestione delle stesse, ha acquisito nel tempo sempre maggiore interesse452.
In simili casi, come nell’ipotesi di coincidenza delle cariche amministrative in capo alla
medesima persona, possono determinarsi fattispecie di controllo senza che le medesime si
estrinsechino in rapporti contrattuali precisi. Tale fenomeno, a dir la verità meno tangibile da
un punto di vista meramente giuridico453, è in realtà, estremamente importante per capire se, da
tale comportamento, possa o meno discendere una situazione di potere atta a far scattare i
divieti posti dalla legislazione antitrust 454.
Da qui il manifestarsi dell’esigenza di una regolamentazione più stringente in materia di
cumulo di cariche sociali, che ponga dei limiti e/o dei requisiti di incompatibilità, e avente
come scopo preciso e prevalente la ricerca di una soluzione equilibrata al trade off tra l’esigenza
di prevenire gli effetti collusivi e distorsivi nell’attività decisionale interna dell’impresa creditizia
e l’opportunità di favorire una efficace e trasparente dialettica tra la banca e le Autorità di
vigilanza455.
concreta di individuare quando la condivisione dei membri del consiglio di amministrazione – lo stesso dicasi per i
componenti il collegio sindacale – dia origine ad una situazione di “influenza dominante”. L’interlock può pertanto
configurarsi come un potenziale meccanismo suscettibile di utilizzo da parte dei gruppi industriali al fine di
aggirare il divieto posto dall’art. 19, comma 6, acquisendo per il suo tramite una posizione di controllo effettivo
sull’impresa bancaria.
452 Cfr. O. CARABINI, Relazioni pericolose per la concorrenza, in Il Sole 24 Ore, 12 aprile 2007, p. 35. Come
segnala l’Autore, le tre grandi fusioni bancarie (Intesa-San Paolo, Bpvn-Bpi, Bpu-Banca lombarda) hanno segnato
l’esordio nei meccanismi di governance del sistema duale, basato cioè su un consiglio di sorvegliaza e su un consiglio
di gestione. La duplicazione degli incarichi e la separazione tra sorveglianza e gestione ha incoraggiato la tendenza
del sistema a favorire gli incroci di amministratori che riflettono incroci azionari.
Nel valutare gli aspetti “classici” in materia di concorrenza di sua competenza, legate alle operazioni in
questione, l’Antitrust è andata oltre. La filosofia non esplicita, ma neanche tanto implicita, da cui è partita
l’Autorità garante si fonda sulla necessità di superare quel “capitalismo di relazioni” al fine di “smontare” la catena
di “rapporti personali” che ingessano l’assetto di vertice delle maggiori società finanziarie italiane. O perlomeno,
in subordine, quello di segnalare al mercato che quei rapporti esistono, che le partecipazioni incrociate di
personaggi influenti negli organi amministrativi di imprese che operano nello stesso settore sono ostacoli
all’affermazione di valori quali la concorrenza e la contendibilità del controllo.
453 Peraltro, come sottolinea C. BRESCIA MORRA, I controlli sull’impresa bancaria, in L’impresa bancaria, cit.,
p. 319, per i comportamenti collusivi “il sistema normativo in materia antitrust non prevede interventi di tipo
autorizzativo dell’Autorità garante, ma solo di tipo repressivo, laddove essi integrino le fattispecie di intese o abusi
di posizione dominante”.
454 Cfr. A. CATRICALÀ, Relazione annuale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Roma, 26 giugno
2007, p. 8 s., che, in particolare, denuncia l’esistenza di “una fitta rete di intrecci azionari, partecipazioni e rapporti
di finanziamento tra imprese bancarie e tra queste e le imprese assicurative: un’equilibrio di mercato che può
evidenziare conflitti di ruolo e in alcuni casi rappresenta una grave patologia”. Si ritiene, pertanto, necessaria “la
ricostruzione di un quadro aggiornato, sotto il profilo normativo e fattuale, degli assetti di governo societario delle
banche e delle imprese di assicurazione italiane”, concentrando l’analisi “sugli elementi che influenzano il grado di
contendibilità delle imprese, sulla natura e composizione degli organi sociali, sui legami strutturali e personali”. Si
tenga presente, inoltre, che la Consob ha diffuso di recente le direttive per limitare la pluralità di incarichi da parte
dei consiglieri di amministrazione nelle società quotate. Un tetto che, pertanto, si incrocia (e va in conflitto?) con
quelli che l’Antitrust definisce i rischi delle “interferenze personali”. Dal canto suo, la dottrina, in larga parte,
sostiene che il cumulo di cariche sia il segnale di un controllo di fatto tra le società interessate, con conseguente
applicazione alle fattispecie in esame dell'art. 3 del regolamento CE n. 139/2004 e degli artt. 5 e 7 della legge n.
287/90 sul controllo delle concentrazioni. Più nel particolare si afferma che nel caso di unioni personali, cioè
coincidenza totale o parziale degli amministratori delle due società concorrenti (commistione di amministratori) si
può creare uniformità di indirizzo e la possibilità da parte della società controllante di agire direttamente sulla
gestione della controllata.
455 Cfr. F. VELLA, Il corporate governance nelle banche tra regole di vigilanza e disciplina di mercato, in Banca
impr. soc., 1998, I, p. 73; M. MORI, Banca e impresa, Padova, 1988, p. 366.
- 141 -
5. La commistione di obiettivi nell’applicazione della normativa antitrust.
L’asimmetria esistente tra le diverse filosofie sottese alle concentrazioni bancarie è palese,
al punto che le conseguenze di un loro possibile conflitto sono state evidenziate nelle diverse
posizioni della dottrina che ha proposto ipotesi interpretative varie, di preferenza per l’una o
per l’altra impostazione (funzionale o per soggetti), corrispondenti a configurazioni di
competenza esclusiva dell’Autorità garante ovvero della Banca d’Italia.
Il modello teorico proposto dalla legge n. 262 del 2005 con riferimento al comparto
bancario, implicando una chiara separazione fra vigilanza e tutela della concorrenza, si
prefiggeva di allontanare il pericolo di una sorta di “sudditanza” dell’obiettivo di tutela della
concorrenza rispetto alle altre finalità della vigilanza bancaria. Del resto, come è noto, queste
ultime, e in particolare la stabilità, sono poste su di un piano diverso da quello del controllo dei
comportamenti anticoncorrenziali e – come più volte sottolineato – possono condurre a
valutazioni talora antitetiche.
Il mantenimento, nella legge sul risparmio, di una doppia competenza (tale che ogni
concentrazione bancaria debba superare il vaglio sia della Banca d’Italia riguardo alla stabilità,
sia della AGCM riguardo alla concorrenza), in realtà, equivale a dotare ciascuna delle due
Autorità di un potere di veto “concorrente” rispetto alle decisioni dell’altra. La soluzione è
ottimale solo se si genera una fattiva collaborazione fra le due Authorities456.
Infatti, nonostante le cautele predisposte dal legislatore, conflitti di obiettivi
nell’esperienza decisionale delle due Autorità possono insorgere per l’esigenza di dare spazio
alla considerazione di specifici valori costituzionalmente protetti457. Come dimostrato nei fatti,
la diversità ora accennata, ossia l’identità dell’interesse pubblico perseguito in capo a Banca
d’Italia e AGCM, pur nei rispettivi ruoli, trova la propria ratio nella necessità di far fronte al
pericolo che l’Autorità di settore, nell’applicare la legge n. 287/1990, prenda in considerazione
valori, per quanto protetti dall’ordinamento, estranei alle finalità della normativa generale
antitrust.
In questa prospettiva di analisi, il modello proposto con riferimento al comparto
assicurativo si presenta probabilmente come il più congruo fra quelli ipotizzabili, dato che esso
realizza una chiara distinzione tra i valori tutelati dalla disciplina di settore e l’applicazione della
legge antitrust. Per il settore assicurativo, infatti, il comma 4 dell’art. 20 prevede un meccanismo
analogo a quello che vigeva nel sistema bancario, ma “inverso rispetto all’assetto delle
competenze e delle correlate procedure di coordinamento”458, nel senso che la competenza ad
applicare la disciplina della concorrenza resta affidata all’Autorità garante, mentre all’ISVAP
Nell’affrontare tali temi, il progetto d’articolo potrebbe prevedere una disposizione legislativa simile a
quella contenuta nel disegno di legge su cui è stato richiesto il parere della BCE. In proposito v. BCE, Parere
CON/2004/16 dell’11 maggio 2004, cit., §. 4. Del resto, l’impronta caratterizzante dovrebbe essere quella
dell’applicazione rigida della ripartizione delle competenze per finalità, anche se l’attuazione pratica di questo
principio non è impeccabile. Come spesso accade nella realtà, è forse impossibile definire e – ancor più –
realizzare una soluzione ottimale.
457 L’esercizio discrezionale di un reciproco potere di veto, di norma, favorisce comportamenti non
cooperativi fra gli attori. Sennonché, la previsione di due procedimenti distinti rende il sistema dell’art. 19 legge n.
262/2005 più o meno velatamente permeabile rispetto a obiettivi e valori estranei al tema della concorrenza. Si
attenua, infatti, ma non elimina la possibilità del verificarsi di comportamenti non cooperativi fra le due Autorità.
Affinché essa funzioni, un primo corollario essenziale è, quindi, che AGCM e Banca d’Italia diano conto – in
modo trasparente – delle procedure decisionali seguite (disclosure) e siano pronte a provare la conformità fra le
scelte compiute e le procedure dichiarate (accountability).
458 Così G. ROTONDO, Il controllo antitrust nel mercato finanziario, cit., p. 86 e p. 91, dove l’Autore
sottolinea come l’oggetto del parere dell’ISVAP debba “riguardare esclusivamente il profilo della << stabilità
patrimoniale delle imprese assicurative >> e la << verifica dell’afffidabilità e della stabilità delle imprese operanti
in questo settore >>, ovvero i profili in base ai quali la legge affida all’Istituto poteri propulsivi e di vigilanza in
materia assicurativa”.
456
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spetta un ruolo consultivo459. In tal modo, “l’intervento consultivo dell’ISVAP permette di
modulare l’applicazione delle regole di concorrenza, secondo le peculiarità del settore”460.
Da qui l’esigenza, in un prossimo futuro, di favorire l’instaurarasi di una corretta
dialettica fra l’attività di vigilanza bancaria – che può essere anteriore a quella di controllo della
concorrenza – ed il peso da attribuire al giudizio della Banca d’Italia nei confronti della
valutazione operata dall’Autorità antitrust (o, viceversa, dell’Antitrust nei confronti del sindacato
della Banca d’Italia)461. D’altro canto, la previsione di un regime autorizzatorio in materia di
controllo delle partecipazioni al capitale implica, inevitabilmente, una compressione dei canoni
concorrenziali, nonostante che la prassi del mercato abbia crecato di evolversi in senso
contrario462.
Con ciò, peraltro, non si vuole sostenere che debbano essere completamente sacrificate
le funzioni di vigilanza dirette a tutelare la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, ma
soltanto che l’applicazione di esse venga attuata coniugandole, ogniqualvolta ciò sia possibile,
con l’ineludibile e rigorosa applicazione della legislazione antitrust 463.
5.1. Autorizzazione di operazioni di concentrazione per esigenze di stabilità e failing company doctrine.
È proprio in questo contesto che emergono alcune delle questioni più importanti e
complesse da affrontare per assicurare la buona applicazione della normativa.
Si è poc’anzi evidenziato come il sistema proposto appaia, comunque, poco fluido,
prevedendo un intervento congiunto di Autorità garante e Banca d’Italia, quando la
459 Sul punto cfr. F. GHEZZI e M. NOTARI, La disciplina della concorrenza nei settori dell’informazione, del
credito e delle assicurazio, cit. p. 194; M. SIRI, L’applicazione delle regole di concorrenza nel settore bancario, finanziario e
assicurativo, cit., p. 397; A. ADOTTI, Appunti sul controllo del settore assicurativo e la tutela della libertà di concorrenza
nell’ordinamento italiano, in Dir. comun. scambi intern., 2000, p. 193 ss.; V. DONATI e G. VOLPE PUTZOLU,
Manuale di diritto delle assicurazioni, Milano, 1999; G. PARTESOTTI, I soggetti, in AA.VV., Diritto della banca e del
mercato finanziario, t. I, Bologna, 2000; C.G. CORVESE, Le nuove regole di vigilanza prudenziale per le imprese di
assicurazione vita e danni (Prime riflessioni sul d.lgs. 4 agosto 1999, n. 343), in Dir. banc., 2000, II, p. 8.
460 Così G. ROTONDO, Il controllo antitrust nel mercato finanziario, cit., p. 91.
461 Ai sensi degli artt. 20 e 21 della legge n. 262/2005 la Banca d’Italia e l’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato sono chiamate a coordinare la loro azione e a collaborare anche mediante scambio di
informazioni, per agevolare l’esercizio delle rispettive funzioni. AGCM e Banca d’Italia con il Protocollo d’intesa 2
aprile 2007 hanno, pertanto, provveduto a regolare i rapporti informativi (operazioni di consultazione e scambio
di informazioni in determinati ambiti istituzionali) tra le due autorità in caso di operazioni di concentrazione che
abbiano effetti sui mercati bancari (raccolta ed impieghi).
462 L’intervento della Banca d’Italia può anche essere rivolto ad assicurare l’efficienza, così come si
riconosce all’intervento dell’AGCM la medesima finalità. A tal proposito si richiama l’art. 57 del T.u.b. che regola
le fusioni, permesse quando non pregiudicano la sana e prudente gestione dell’impresa. Per quanto riguarda le
concentrazioni tra banche, si rende infatti necessario modificare anche il vigente testo dell’art. 57 del T.u.b.
disponendo che l’operazione debba essere preventivamente notificata sia all’AGCM che alla Banca d’Italia. A ciò
si aggiunge il controllo sull’efficienza dell’operazione esperito dall’AGCM. Si può obiettare che l’Autorità
bancaria, in questo modo, comunque eserciti una vigilanza strutturale di fatto, vietando o permettendo
determinate operazioni.
463 In teoria, la soluzione normativa solo in apparenza sembrerebbe semplice: la Banca d’Italia (l’AGCM)
deterrebbe il potere di valutazione di ogni concentrazione bancaria, sentito il parere dell’AGCM (della Banca
d’Italia) rispetto ai profili di concorrenza (di stabilità). Una soluzione del genere determinerebbe però effetti
perversi. Se fosse privilegiata la vigilanza sulla stabilità si tornerebbe ad una situazione analoga alla pecedente:
quantomeno nel caso delle concentrazioni, il trasferimento dell’antitrust bancario sarebbe solo formale. Se fosse,
invece, privilegiata la tutela della concorrenza, l’AGCM potrebbe indulgere alla pericolosa tentazione di sottrarre
alla Banca d’Italia l’unico strumento, forse astrattamente improprio ma di fatto cruciale, quale quello delle
concentrazioni, per il perseguimento della stabilità.
- 143 -
concentrazione riguardi banche, e la possibilità per la Banca d’Italia di vietare un’operazione,
qualora possa essere pregiudicata la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati464.
Occorre tener presente che, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 287/1990, non vi è la
possibilità per l’Autorità garante di autorizzare l’operazione senza eliminarne le conseguenze
pregiudizievoli. E, tra l’altro, l’art. 25, comma 1, della legge n. 287/1990, che in linea di
principio prevede questa possibilità, non ha ricevuto attuazione465.
Il conflitto – vero o presunto – tra stabilità e concorrenza può allora trovare adeguata
soluzione facendo proprio un condivisibile punto di vista, in più occasioni ribadito dalla
dottrina, secondo cui l’analisi sulla stabilità (che sostanzialmente è un’analisi di regolazione ex
ante) deve considerarsi a tutti gli effetti “anteriore” a qualsiasi giudizio in tema di concorrenza.
Si tratta, in termini più espliciti, di riconoscere l’esistenza di un prius logico nel giudizio
dell’organo di vigilanza bancaria attinente alle questioni di stabilità rispetto alla valutazione
dell’Antitrust466.
Il decreto correttivo n. 303/2006 è così intervenuto inserendo nell’art. 20 della legge n.
287/1990 una seconda regola “speciale” per l’autorizzazione in deroga di operazioni di
concentrazione riguardanti banche o gruppi bancari467. Per effetto di tale disposizione l’organo
L’ipotesi più frequente di contrasto tra stabilità e concorrenza è costituita dalle cc.dd. “concentrazioni
di crisi”, intese come “le operazioni che coinvolgono almeno una banca in crisi finanziaria e che hanno come
effetto un importante rafforzamento, almeno su alcuni mercati locali, della posizione competitiva da parte della
banca chiamata ad aggregare, con finalità di salvataggio, la banca in crisi”. In tali operazioni, l’equilibrio tra
stabilità e concorrenza si raggiunge, nella prassi applicativa della Banca d’Italia, con il meccanismo
“dell’autorizzazione condizionata”; così M. LAMANDINI, Disciplina e applicazione dell’antitrust bancario (qualche
nuova “riflessione”), relazione al Convegno Regolamentazione antitrust e strategie delle banche, Macerata 15 maggio 2001,
p. 6 del dattiloscritto. Per ulteriori spunti di analisi v. M. PERASSI, Autorità e giurisprudenza: la doppia tutela della
concorrenza nel settore bancario, in M. POLO (a cura di), Industria bancaria e concorrenza, Bologna, 2000, p. 433, che
analizza l’unico caso giurisprudenziale (TAR Lazio, sez. I (ordinanza) n. 1509 del 14 luglio 1993, in Banca, borsa tit.
cred., II, 1994, p. 94), relativo al conflitto di obiettivi tra stabilità e concorrenza in capo a Banca d’Italia emerso
nel’ipotesi di concentrazione tra il Banco di Sardegna e la Banca Popolare di Sassari. Un caso più eclatante di
autorizzazione subordinata a misure compensative è costituito dalla concentrazione del San Paolo-Imi con il
Banco di Napoli.
465 Purchè le operazioni autorizzate “non comportino limitazioni della concorrenza non strettamente
giustificate dagli interessi generali predetti”. Per utili spunti di riflessione cfr. G. BRUZZONE, Le regole antitrust nel
settore bancario dopo il decreto correttivo della legge sul risparmio, in Atti del Convegno “Diritto della concorrenza e banche:
analisi della disciplina e prospettive di riforma”, LUISS, Roma, 13 febbraio 2007, p. 17 ss. Tale norma prevede che il
Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Industria, possa determinare in linea generale e preventiva i
criteri sulla base dei quali l’Autorità garante può eccezionalmente autorizzare, per rilevanti interessi generali
dell’economia nazionale nell’ambito dell’integrazione europea, operazioni di concentrazione vietate ai sensi
dell’art. 6 sempreché esse non comportino l’eliminazione della concorrenza dal mercato o restrizioni alla
concorrenza non strettamente giustificate dagli interessi generali predetti. In tali casi, l’Autorità sarebbe comunque
tenuta a prescrivere le misure necessarie per il ristabilimento di condizioni di piena concorrenza entro un termine
stabilito.
466 Cfr. M. LAMANDINI, Le concentrazioni bancarie, cit., p. 91, secondo il quale l’art. 47 Cost. costituisce un
prius rispetto all’art. 41 Cost., sul quale sembra ravvisarsi il fondamento costituzionale della concorrenza. Inoltre,
v. D. CATERINO, I rapporti tra norme antitrust sulle concentrazioni e disciplina delle regulated industries nell’art. 20 della
legge 287 del 1990, in Riv. soc., 1995, p. 815 ss. e ID., Concentrazioni e attività bancaria, Bari, 2000, p. 141 ss., secondo la
quale l’art. 47 si pone “su un piano diverso da quello dell’ordinamento dei comportamenti di mercato delle
imprese, e cioè sul piano della preidentificazione di alcuni dei fini sociali cui non l’attività economica del singolo,
ma l’attività di controllo esercitata dal pubblico potere deve indirizzarsi”.
467 La legge n. 262/2005 non aveva risolto i problemi legati all’intesa che, in virtù del quinto comma
dell’art. 20, della legge n. 287/1990, la Banca d’Italia e l’AGCM devono raggiungere per la concessione in deroga,
per un periodo di tempo limitato, di un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 2 per “esigenze di
stabilità del sistema monetario”. Questa disposizione non era stata abrogata dalla legge n. 262/2005. Sicchè,
sempre al fine di una più razionale sistemazione dell’art. 20 legge n. 287/90, con il d.lgs. n. 303/2006 viene
trasferito nel comma 5-bis il principio generale per il quale, nonostante talune perplessità derivanti da valutazioni
di tipo concorrenziale, si prevede che la AGCM possa, su richiesta della Banca d’Italia, autorizzare: a) un’intesa,
per esigenze di funzionalità del sistema dei pagamenti e sempre che l’autorizzazione abbia una durata limitata; e/o
464
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di vigilanza bancaria (Banca d’Italia o Banca d’Italia di concerto con altri organi) prima della
decisione dell’Autorità Garante è autorizzata ad esprimere un parere motivato, ma “non
vincolante”, nei casi in cui vi siano ragioni di stabilità del sistema bancario a richiedere che
operazioni che potrebbero creare o rafforzare una posizione dominante vengano comunque
realizzate468. In tale circostanza, il parere della Banca d’Italia può essere ritenuto “fondato”
dall’Autorità antitrust per autorizzare operazioni altrimenti da vietare sotto il profilo
strettamente concorrenziale469. Non sfugge, tuttavia, come, sotto il profilo dei costi, la richiesta
di un parere comporti, in modo tanto ovvio quanto inevitabile, un allungamento del processo
decisionale che, mentre non sembrerebbe inficiare l’operato dell’autorità nel caso delle intese e
degli abusi di posizione dominante, potrebbe risultare significativamente nocivo proprio nel
caso delle concentrazioni470.
L’art. 2 del d.lgs. n. 303/2006 contiene una clausola ulteriore di garanzia, là dove si
richiede che tali eccezionali autorizzazioni da parte della AGCM non comportino restrizioni
non giustificate alla concorrenza. In sostanza, ci sarebbe da svolgere un vero e proprio “test di
proporzionalità”471.
b) una concentrazione bancaria che determini o rafforzi una posizione dominante, per esigenze di stabilità di uno
o più dei soggetti coinvolti. Nella Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo di coordinamento n.
303/2006, si legge: “Il nuovo comma 5-bis, in coerenza con l’attribuzione all’AGCM delle funzioni antitrust per il
settore bancario, trasferisce a tale Autorità il potere già accordato dal vigente comma 5 alla Banca d’Italia di
autorizzare intese in deroga alla legge n. 287/90. Tale potere autorizzatorio è inoltre esteso alle operazioni di
concentrazione. Sono specificate le finalità delle deroghe, e, al comma 5-ter, si precisa che esse debbono essere
accordate nel rispetto del principio di proporzionalità”. Viene, inoltre, abrogato il comma 8 dell’art. 20 legge n.
287/1990, “reso superfluo dall’attribuzione all’AGCM delle funzioni antitrust per il settore bancario”.
468 Cfr. F. VELLA, Il corporate governance nelle banche tra regole di vigilanza e disciplina di mercato, in Banca
impr. soc., 1998, I, p. 73; M. MORI, Banca e impresa, cit., p. 26. Si ricorda, a tal proposito, che nel sistema previgente
l’organo di vigilanza bancaria comunicava all’Autorità garante le operazioni poste in esame e ne richiedeva il
parere su quelle sottoposte ad istruttoria formale; sulla base di una generale obbligatorietà di comunicazione (v.
“nota integrativa”), le operazioni per le quali era necessario il parere dell’Autorità garante venivano, dunque,
ristrette a quelle “sottoposte ad istruttoria formale”; sul punto cfr. BANCA d’ITALIA, Relazione del Governatore per
il 1991, Roma, 1992, p. 289. L’Autorità garante basava infatti il proprio giudizio (da cui sarebbe scaturito l’atto di
parere) sull’operazione sottoposta al suo esame, sulle informazioni pervenute dalla Banca d’Italia, senza procedere,
autonomamente, ad ulteriori indagini riguardo alla congruità e agli effetti della decisione dell’Autorità bancaria. In
dottrina cfr. D. SARTI, Presupposti e poteri di intervento antitrust sulle concentrazioni bancarie nazionali, in Banca, borsa e tit.
cred., 1993, II, p. 483 ss.
469 Se però, per un verso, il parere preventivo presenta il vantaggio di rendere sistematico e trasparente il
contributo dell’Autorità settoriale al processo decisionale dell’Autorità garante, dall’altro “la richiesta di tale parere
comporta un allungamento del processo decisionale che può essere significativo nel caso delle concentrazioni,
mentre non sembra rilevante nel caso delle intese e degli abusi”; così G. BRUZZONE, op. cit., p. 7.
470 Sul punto cfr. A. CATRICALÀ, Audizione del Presidente dell'AGCM presso la I Commissione permanente del
Senato della Repubblica sul d.d.l. n. 1366 recante disposizioni in materia di regolazione e vigilanza sui mercati e di funzionamento
delle autorità indipendenti, 10 maggio 2007, p. 5, che, nel compiere una valutazione del disegno di legge n. 1366 del
febbraio 2007 in materia di Autorità amministrative indipendenti, non manca di sottolineare come all’art. 14,
comma 5, del medesimo si proponga “l’introduzione del parere della Banca d’Italia per le procedure relative alla
concorrenza tra gli istituti di credito. In effetti, riteniamo che sia opportuno acquisire anche il parere del soggetto
regolatore, incaricato di svolgere funzioni di vigilanza, tuttavia questo parere non può essere una duplicazione
della valutazione concorrenziale che spetta solo all’Autorità, né può essere una diversa visione antitrust
dell’operazione o del sistema sottoposto ad esame”. Peraltro, sarebbe opportuno specificare che il suddetto
“parere costituisce il veicolo attraverso il quale la Banca d’Italia segnala all’Autorità la necessità di derogare a
norme antitrust per esigenze di stabilità”.
471 Un possibile conflitto tra stabilità e concorrenza si ravvisa in presenza di situazioni di crisi, la cui
soluzione, con contestuale salvaguardia dei diritti dei depositanti, può solamente essere perseguita attraverso
un’operazione di concentrazione. In tale ipotesi, la banca che acquisisce il controllo dell’impresa in crisi, in cambio
del potere di mercato che dall’acquisizione ottiene, si accolla i costi del risanamento. Al fine di contemperare le
esigenze di stabilità con le esigenze di tutela della concorrenza può trovare applicazione, come di recente
riconosciuto dalla Corte di Giustizia, sent. 31 marzo 1998, relativa alla decisione della Commissione europea del
14 dicembre 1993, n. IV/M.302, in G.U.C.E. L 186, 21 luglio1994, riguardante l’operazione di concentrazione tra
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Il meccanismo proposto tiene pertanto conto, in maniera equilibrata, di finalità
potenzialmente confliggenti, quali la concorrenza nel mercato e la stabilità finanziaria, mediante
l’introduzione di tutele simili a quelle garantite a livello di diritto comunitario, seguendo inoltre
le raccomandazioni formulate in passato dalla BCE su questo argomento di assoluto rilievo472.
Spetta, però, al legislatore trovare ragioni non concorrenziali che consentano all’Autorità
garante di autorizzare una concentrazione “in deroga”473. Per esempio, un’ipotesi di
autorizzazione in nome del valore del risparmio si potrebbe prefigurare in presenza di
un’impresa che versa in una situazione di crisi non più reversibile, in applicazione del principio
della c.d. failure defence474. Questo sarebbe un caso di possibile deroga rispetto alle linee generali
delle analisi antitrust, poichè si riconoscerebbe per legge la possibilità di pesare il parere o la
decisione in vista di un valore sottostante importante come quello della tutela del risparmio,
naturalmente senza tradire il bilanciamento tra vigilanza e concorrenza475.
Kali und Salz Ag e Mitteldeutsche Kali AG, la c.d. failing firm doctrine, principio in voga nell’ordinamento statunitense,
in base al quale lo stato di insolvenza o il possibile fallimento di un’impresa può costituire un fattore rilevante
nell’ambito dell’analisi dell’impatto competitivo di un’operazione di mercato. In dottrina cfr., tra gli altri, W.
NEGRINI e M. TRIFILIDIS, Il ruolo della Banca d’Italia nell’applicazione della legge 287/90, in Scritti in memoria di Pietro
De Vecchis, Roma, Banca d’Italia, 1999, p. 675; nonché M. TRIFILIDIS, Il ruolo di tutela della concorrenza della Banca
d’Italia nel periodo 1999-2000, in Banche e banchieri, n. 1, 2001, p. 5 ss.
472 Al fine di una più razionale sistemazione dell’art. 20, in esame, viene inserito nel comma 3-bis il
principio generale (precedentemente contenuto nel comma 7 – che viene contestualmente abrogato) per il quale
qualora l’intesa, l’abuso di posizione dominante o la concentrazione riguardino imprese operanti in più settori
sottoposti alla vigilanza di più autorità ciascuna di esse adotta i provvedimenti di propria competenza. Di seguito,
si specificano i casi relativi alle aziende ed istituti di credito e alle società di assicurazione.
473 Una veloce rassegna dei poteri dell’Autorità garante, che fanno da contorno alla funzione fondamentale
di accertamento, va completata con due fattispecie di poteri amministrativi dalla forte connotazione discrezionale.
Si tratta di un potere, che l’art. 4 legge n. 287/1990 definisce di << autorizzazione in deroga >>, il cui esercizio
presuppone un apprezzamento discrezionale di interessi individuati direttamente dal legislatore. L’Autorità smette
infatti l’abito di organo neutrale di qualificazione di fatti e veste quelli di amministratore preposto alla cura di
interessi. Come si è visto, la legge n. 287/1990 contiene nell’art. 25 una disposizione analoga anche per le
concentrazioni. L’art. 25 prevede che l’Autorità possa autorizzare operazioni di concentrazione vietate ai sensi
dell’art. 6. Le due fattispecie, tuttavia, sembrano poco in linea con il ruolo neutrale dell’Autorità garante. In questo
modo, infatti, non vi è scissione tra il momento di valutazione tecnica e quello di apprezzamento politico. Inoltre,
come precisa M. CLARICH, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Milano, 2005, p. 108, “l’atto
amministrativo di dispensa è un elemento strutturale (o costitutivo) della fattispecie dell’intesa così autorizzata,
intesa che proprio per effetto del provvedimento diventa valida anche ai fini civilistici”.
474 Non ritiene possibile il ricorso alla failing firm defense intesa in senso tradizionale G. BRUZZONE, op. cit.,
p. 10, la quale sostiene che in virtù del “diritto comunitario e, grazie al vincolo interpretativo di cui all’art. 1,
comma 4, della legge n. 287/1990, anche nella normativa italiana a tutela della concorrenza la possibilità di
avvalersi della failing firm defense nel controllo delle concentrazioni è strettamente limitata”. Nel caso Kali und Salz la
Commissione europea ha sostenuto che se la concentrazione non avesse avuto luogo il fallimento dell’impresa
oggetto di acquisizione avrebbe comunque conferito all’impresa acquirente una posizione di monopolio su base
durevole. In proposito cfr. Corte di Giustizia delle Comunità europee, sentenza 31 marzo 1998, Repubblica francese
c. Commissione, C 68/94 e 30/95. Cfr. anche gli Orientamenti della Commissione europea relativi alla valutazione delle
concentrazioni orizzontali a norma del regolamento del Consiglio relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese,
2004/C/31/03 del 5 febbraio 2004, punti 89-91.
475 Cfr., tra gli altri, W.F. BAXTER, Remarks: The Failing Firm Doctrine, in Antitrust L. J., 1982, 50, p. 247; A.
TOFFOLETTO, op. cit., p. 505 s.; E.O. CORREIRA, Riexamining The Failing Company Defense, in Anttrust L. J.,
1996, 64, p. 683; P.E. NOEL, La théorie de l’entreprise en difficulté et la notion de position dominante collective en matière de
controle communautaire des concentrations, in Rev. dr. des affaires internationals, 1998, p. 893 ss.; P. MAPELLI e F.
STELLA, Concentrazioni tra imprese e failing company defense: un confronto tra l’esperienza statunitense e l’esperienza
comunitaria, in Giur. comm., 1999, I, p. 49; F. GHEZZI e P. MAGNANI, Banche e concorrenza. Riflessioni sull’esperienza
antitrust statunitense, comunitaria e italiana, Milano, 1999, p. 105 e p. 284 ss.; specificamente sull’intervento delle
autorità di vigilanza nella soluzione delle crisi bancarie v. M. RISPOLI FARINA, Autorità di vigilanza e soluzione delle
crisi bancarie: i casi “Crédit Lyonnais” e “Banco di Napoli”, in Riv. dir. impr., 2000, p. 172 ss.
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D’altro canto, le modifiche all’art. 20 della legge n. 287/1990 sono finalizzate a restituire
coerenza al sistema della ripartizione della competenza per finalità, eliminando illogicità più o
meno manifeste, difficoltà operative o problemi interpretativi476.
Va sottolineato, in proposito, che la legislazione italiana non contemplava espressamente
la possibilità di derogare alle disposizioni antitrust con riferimento a imprese in crisi, onde
l’introduzione di questa ipotesi applicativa nel nostro ordinamento deriva dall’occoglimento dei
principi interpretativi elaborati in sede europea477 (come consente l’art. 1, comma 4, della legge
n. 287/1990). È necessario, pertanto, “che tale strumento di valutazione sia applicabile solo
qualora risultino verificati gli stringenti criteri ai quali l’accoglimento di tale impostazione è
subordinato in sede comunitaria”. Si richiede, in altre parole, che “il fallimento dell’impresa che
si intende acquisire rappresenti un evento imminente e inevitabile (in assenza della
concentrazione l’impresa è destinata a uscire dal mercato) e, al contempo, manchino soluzioni
alternative di minore impatto concorrenziale”478.
5.2. Ulteriori aspetti critici e interventi ipotizzabili a confronto.
Volendo svolgere qualche ulteriore valutazione de iure condendo, in primo luogo viene da
chiedersi che cosa potrebbe accadere qualora ci fosse una diversità di giudizi tra le due
Autorità. Invero, da un’interpretazione letterale del dato normativo, non sembra potersi
scorgere alcun elemento/criterio che consenta di indicare chiaramente quale debba essere tra i
due il parere prevalente in caso di disaccordo (art. 21 della legge 262/2005)479.
Risultati apprezzabili, si ritiene, potrebbero essere raggiunti, ad esempio, definendo una
successione logico-temporale (sequenza) fra le scelte delle due Autorità. È evidente, infatti, che
l’Autorità che decide per prima seleziona ossia restringe lo spettro delle alternative accessibili
In tal senso v. Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo di coordinamento e di
adeguamento del T.u.b, del T.u.f. e delle altre leggi speciali alla legge per la tutela del risparmio, pp. 1 e 5, ove
testualmente si legge: “Le modifiche all’art. 20 della legge n. 287/1990 sono parte di un più ampio intervento, che
comprende anche l’abrogazione dei commi 12, 13 e 14 dell’art. 19 della legge n. 262/2005, con il quale, pur non
modificando, nel rispetto della delega, il contenuto precettivo della legge n. 262/2005, si è data soluzione a taluni
problemi applicativi derivanti dal trasferimento all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM)
delle funzioni in materia antitrust sul settore bancario prima attribuite alla Banca d’Italia”.
477 Questa teoria è stata accolta in ambito comunitario prima nel regolamento del Consiglio n.
1310/97/CE, e ora nel regolamento n. 139/2004/CE. In dottrina cfr. V. AMENDOLA e P.L. PARCU,
L’antitrust italiano. Le sfide della tutela della concorrenza, Torino, 2003, p. 293 ss.; V. MANGINI e G. OLIVIERI,
Diritto antitrust, Torino, 2005, p. 120; G. OLIVIERI, Concorrenza e stabilità nella riforma dell’antitrust bancario, in Analisi
giuridica dell’economia, 2004, p. 187 ss.
478 Così G. ROTONDO, Il controllo antitrust nel mercato finanziario, cit., p. 179. In senso conforme v. F.
AMMASSARI, La “failing firm defense” nella valutazione delle operazioni di concentrazione, in Concorrenza e mercato, 1999, p.
258 ss e p. 266 ss.; nonché C. BRESCIA MORRA, I controlli sull’impresa bancaria, in L’impresa bancaria, cit., p. 316 s.
479 Sull’argomento cfr. ASTRID, La Banca d’Italia e l’assetto della vigilanza bancaria. Proposte di riforma,
novembre 2005, disponibile sul sito www.astrid.it, dove puntualmente si osserva: “Neppure è pensabile, come
alternativa drastica alla situazione odierna, l’attribuzione esclusiva dei poteri di autorizzazione (o preferibilmente di
opposizione) in materia di concentrazioni bancarie all’AGCM, poiché resta pur sempre l’esigenza di valutare
l’esito di un’aggregazione in termini di stabilità. Una soluzione intermedia, nel caso di fusioni e acquisizioni, può
consistere nell’introduzione di in un doppio filtro: una previa valutazione (vincolante) dell’AGCM circa la
compatibilità della operazione con l’obiettivo di tutela della concorrenza; in caso di valutazione positiva della
AGCM, successiva valutazione (vincolante) di Banca d’Italia circa il soddisfacimento delle esigenze di stabilità.
Questa procedura di doppio filtro richiede, ovviamente, che siano soddisfatte due condizioni, una generale e una
specifica: trasparenza piena delle procedure decisionali seguite; eliminazione dell’obbligo di comunicazione
preventiva alla Banca d’Italia”. La proposta elaborata dagli esperti prevede, dunque, che la competenza in materia
di concorrenza nel settore bancario venga trasferita all’Autorità garante, fermo restando che “in caso di fusioni e
acquisizioni, la Banca d’Italia potrà opporsi, con provvedimento motivato, alle operazioni autorizzate dalla
ACGM, qualora le ritenga pregiudizievoli alla stabilità del sistema”.
476
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per l’altra; così come è altrettanto evidente che l’Autorità chiamata ad effettuare l’ultima scelta
rischia determinare il risultato finale, pur se sotto il vincolo fissato dalla scelta precedente.
Ciò premesso, nessuna preclusione formale impedirebbe di fare ricorso ad una procedura
basata su una sequenza di controlli che, pur ispirandosi al criterio della “doppia barriera”,
configurasse la seguente griglia:
a) ogni concentrazione bancaria dovrebbe passare al vaglio dell’AGCM riguardo ai profili
rilevanti per la concorrenza;
b) se sopravvissuta al primo filtro, la concentrazione avrebbe il definitivo via libera solo
dopo aver superato anche il secondo filtro della Banca d’Italia relativo ai profili di stabilità.
Questo approccio consentirebbe di non sacrificare la tutela della concorrenza sull’altare
della stabilità, e nel contempo di lasciare in capo alla Banca d’Italia una sorta di diritto di veto
(cioè l’ultima decisione).
Qualora, infatti, si volesse sostenere, capovolgendo l’ipotesi iniziale, che le competenze
attinenti all’accertamento dei requisiti di solvibilità delle parti, a loro volta strettamente
connessi alla garanzia di stabilità, richiedano l’intervento dell’organo di vigilanza bancaria in
una fase anteriore alla notifica all’Autorità antitrust, occorrerebbe invertire la sequenza di cui
sopra. In tal caso l’Autorità garante sarebbe deputata a valutare, sotto il profilo della
concorrenza, solo le operazioni che la Banca d’Italia giudica “neutre” per la stabilità dell’intero
sistema bancario (ad esempio, per il rischio di “contagio”)480. E del resto, sembrerebbe che, sul
punto, l’architettura della riforma si ispiri a tale ultima dottrina481.
Quale che sia il modello da preferire, resta fermo comunque che la decisione di una delle
due Autorità assunta per esigenze di stabilità (concorrenza), ma in contrasto con i principi di
tutela della concorrenza (stabilità), può sottoporsi al vaglio dell’autorità giudiziaria competente,
che provvederà ad annullarla ove, a conclusione del processo di valutazione dei diversi interessi
in gioco, la ritenga illegittima482. Inoltre, vale la pena ricordare che, a differenza della
valutazione posta in essere dalla Banca d’Italia, l’autorizzazione concessa dall’Autorità garante
in merito alle operazioni di concentrazione non configura l’esercizio di un potere discrezionale.
Quando ci sono le condizioni per l’aurtorizzazione, l’Autorità ha l’obbligo di autorizzare;
quando quelle condizioni non sussistono l’AGCM può non autorizzare.
480 Cfr. ASSONIME, Circolare n. 21, cit., p. 20, secondo cui: “ciò non impedirebbe un eventuale
coordinamento della tempistica dell’esame della fattispecie da parte delle due Autorità. Anche in questa ipotesi,
naturalmente, resterebbe necessaria la valutazione positiva di entrambe per potere realizzare l’operazione”.
481 Cfr. F. DENOZZA e A. STABILINI, Rapporti e possibili conflitti tra le autorità preposte all’applicazione della
normativa sulla ncorrenza con riferimento al settore bancario, in M. POLO (a cura di), Industria bancaria e concorrenza,
Bologna, 2000, p. 427. Gli Autori ritenendo possibile e giustificabile che gli obiettivi del diritto antitrust vengano
parzialmente sacrificati ad altri scopi ritenuti più rilevanti, auspica che sia il legislatore e non le Autorità
amministrative a “farsi caico di scegliere se e in che misura comprimere gli obiettivi di tutela della concorrenza a
favore di obiettivi differenti, fornendo alle Autorità incaricate la possibilità di applicare la disciplina secono criteri
di valutazione chiari, trasparenti e preterminati”. Secondo l’opinione espressa da M.C. CARDARELLI, Concorrenza
e stabilità nel settore del credito, cit., p. 381, il necessario coordinamento dei due valori comporta che la concorrenza
subisca una trasformazione: nel senso che, da dinamica qual è in altri settori del mercato, diventi stabile.
482 L’esigenza che nella valutazione delle pratiche anticoncorrenziali, e quindi anche delle concentrazioni
bancarie, al pari d’altronde di quanto avviene in qualsiasi altro campo dell’azione amministrativa, si debba
provvedere ad un bilanciamento di interessi della stabilità e della concorrenza, si desume da una decisione del
TAR Lazio, sez. I, 15 febbraio 1995. Nel caso di specie, il giudice amministrativo, ancorché con riferimento ad
una vicenda riguardante il settore assicurativo, ha censurato un provvedimento del Garante ritenuto responsabile
di non avere “in alcun modo tenuto conto delle raccomandazioni che provenivano dall’organo di vigilanza sulle
assicurazioni private (…) in un procedimento che prevede il coordinamento degli interessi pubblici in gioco e non
la apodittica prevalenza di uno di essi sull’altro”.
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6. Opa e operazioni di concentrazione. I legami fra disciplina della concorrenza e disciplina del mercato
mobiliare.
Nell’ordinamento attuale le Opa rientrano nel novero delle operazioni di
concentrazione483 e, pertanto, necessitano anch’esse di un’autorizzazione che ne valuti l’impatto
dal punto di vista antitrust, secondo una procedura abbreviata disciplinata dall’art. 16 della legge
10 ottobre 1990, n. 287484. Del resto, le ipotesi più importanti e frequenti nelle quali può
verificarsi un’intersezione fra la disciplina della concorrenza e la disciplina contenuta nel d.lgs.
n. 58 del 24 febbraio 1998 (T.u.f.) sono costituite da operazioni di concentrazione fra imprese
conseguenti al buon esito di un’offerta pubblica di acquisto.
Ed è proprio in relazione a tali fattispecie che la disciplina sulla concorrenza introduce
alcuni importanti principi. L’art. 6 della legge 287/1990, infatti, afferma testualmente che
“L’offerta pubblica d’acquisto che possa dar luogo ad operazioni di concentrazione soggetta
alla comunicazione di cui al comma 1 (il quale a sua volta prevede che le operazioni di
concentrazione previste dall’art. 5 della legge n. 287/1990 debbano essere preventivamente
comunicate all’Autorità garante) deve essere comunicata all’Autorità contestualmente alla sua
comunicazione alla Commissione nazionale per le società e la borsa”.
Si tratta, in realtà, di una procedura “abbreviata”, dato che il termine entro il quale
l’Autorità garante deve notificare l’eventuale avvio dell’istruttoria si riduce, nel caso di Opa, dai
normali trenta a quindici giorni dal ricevimento della comunicazione. La ratio di tale riduzione è
da ravvisarsi nella peculiare natura dell’Opa e degli interessi coinvolti nell’operazione.
Tale termine può essere prorogato qualora le informazioni fornite siano gravemente
inesatte, incomplete o non veritiere; tuttavia, entro il termine perentorio di quarantacinque
giorni dall’inizio dell’istruttoria, l’Autorità garante deve dare comunicazione alle imprese
interessate delle proprie conclusioni nel merito dell’operazione.
Nella disciplina antitrust, in caso di offerta pubblica di acquisto, non si prevede, a
differenza di quanto accade nel settore bancario, un diritto dell’Autorità garante di essere
informata prima della Consob. A tutela dei soggetti interessati all’operazione, si prospetta
pertanto una diversa soluzione al problema del rapporto tra autorizzazioni previste da leggi
speciali e disciplina dell’Opa. Difatti, mentre per l’acquisto di partecipazioni bancarie la
procedibilità dell’offerta è subordinata al rilascio dell’autorizzazione, la legge n. 287/1990, al
contrario, prevede espressamente che l’offerta possa svolgersi in pendenza di istruttoria, anche
se, sino all’esito della stessa, viene “paralizzato” l’esercizio dei diritti di voto in capo
all’acquirente (art. 17, comma 2)485.
Si può essere certi che le diverse soluzioni proposte trovino la loro ragion d’essere nelle
differenti esigenze poste dalle discipline di settore: la stabilità del sistema per la disciplina
bancaria, la concorrenzialità per la legislazione antitrust.486
Come si è accennato, quando, infatti, la concentrazione riguardi società quotate in un
mercato regolamentato in Italia o in un altro Paese dell’Unione europea, e avvenga tramite
offerta pubblica di acquisto (Opa), si prevede che le parti interessate debbano comunicare
contestualmente l’operazione anche alla Consob ai sensi dell’art. 102 del T.u.f. (v. infra,
483 Come emerge dalla definizione di cui all’art. 5, comma 1, della l. n. 287/1990, le forme di
concentrazione prese in considerazione dalla legge antitrust sono la fusione per incorporazione (lett. a),
l’assunzione del controllo su un’altra entità economica (lett. b) e, caso meno frequente nella prassi, la costituzione
di un’impresa comune (lett. c).
484 Sul punto v. C. RABITTI BEDOGNI, op. ult. cit., p. 287.
485 Cfr. R. WEIGMANN, Le offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 375, secondo il quale l’Opa può
legittimamente essere condizionata alla valutazione positiva dell’Autorità garante.
486 In dottrina v. G. CANNIZZARO e S. PROVIDENTI, Riflessioni sull’Opa del dopo-Telecom Italia, in Il Sole
24 Ore, 10 luglio 1999.
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diffusamente, cap. III)487. La comunicazione alla Consob è identificata con quella di cui all’art.
102, comma 2, T.u.f., intendendosi la “contestualità” come “non precedenza” della
comunicazione all’Autorità garante rispetto alla comunicazione alla Commissione di vigilanza
per le società. La ricordata intervenuta modifica dell’art. 37 del regolamento Consob ha
determinato, del resto, anche il superamento dell’interrogativo se la suddetta “contestualità”
dovesse determinarsi in relazione alla “prima comunicazione” alla Consob, oppure alla
comunicazione integrata dalla bozza di regolamento, ovvero ancora alla pubblicazione del
documento informativo488.
La legge n. 287/1990 specifica in dettaglio anche il procedimento secondo il quale
l’Autorità preposta deve condurre il proprio esame, prevedendone la suddivisione in due fasi489.
In una prima fase, che potremmo definire di pre-istruttoria, l’Autorità garante valuta, sulla base
del fatturato realizzato a livello nazionale490 – rispettivamente dalle imprese interessate (nel loro
complesso) e dall’impresa da acquistare (singolarmente) – se occorra o meno approfondire con
una apposita indagine l’impatto concorrenziale dell’operazione491.
La seconda fase ha invece luogo solo qualora l’Autorità antitrust ritenga che l’operazione
“sia suscettibile di essere vietata ai sensi dell’art. 6”. Segue, in tal caso, l’apertura di
un’istruttoria formale, che si svolge nel contraddittorio delle parti e che può chiudersi con un
provvedimento che autorizza l’operazione o la vieta, oppure ancora che ne subordina
l’autorizzazione all’assunzione delle misure ritenute necessarie per la tutela della concorrenza492.
Infine, resta da segnalare che a norma dell’art. 17, comma 1, della l. n. 287/1990
l’Autorità antitrust, a seguito di apertura dell’istruttoria, può ordinare alle imprese interessate di
sospendere la realizzazione della concentrazione fino alla conclusione dell’istruttoria (con
evidenti ripercussioni sul corso dei titoli della società bersaglio), cioè entro il termine
487 Si ricorda inoltre che ai sensi dell’art. 40 reg. emittenti n. 11971/99 il documento informativo richiesto
ai fini del valido avvio della procedura di Opa deve essere corredato dall’autorizzazione dell’Autorità garante.
488 Cfr. L.G. PICONE, L e offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 35, che, nel vigore del vecchio testo dell’art. 37
regolamento emittenti, riteneva rilevante la comunicazione del documento informativo. In tal senso v. pure G.
FALCONE, Le offerte pubbliche di acquisto: la disciplina generale, in Le offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 88.
489 Al riguardo v. i limiti di applicazione della normativa antitrust delineati nell’art. 16, comma 1 e 2, della
legge n. 287/1990.
490 Cfr. art. 1, comma 1, legge n. 287/1990. In merito alla competenza dell’autorità nazionale in tema di
rapporti con l’ordinamento comunitario, la legge n. 287/1990 adotta una posizione “intermedia” tra la teoria della
“doppia barriera” e la teoria della “barriera unica”, col preciso scopo di evitare ex ante tutti i possibili equivoci
nell’applicazione delle due normative.
491 Sul divorzio tra stabilità e concorrenza esiste oggi in Parlamento un largo consenso bipartisan. Alcune
delle iniziative di legge sul riassetto delle Autorità indipendenti convergono verso lo schema c.d. “tripartito”:
stabilità a Banca d’Italia, concorrenza all’Autorità garante del mercato e trasparenza alla Consob. Una tale
soluzione dovrebbe consentire, in linea di massima, di stemperare eventuali tensioni che possono sorgere tra
l’obiettivo di tutela della concorrenza e quello di un efficiente funzionamento del mercato dei capitali. In alcuni
casi il primo potrà porre condizioni più stringenti del secondo, qualora un’Opa, seppur regolare dal punto di vista
della regolamentazione dei mercati di borsa, possa determinare effetti anticompetitivi. Viceversa, in altri casi, non
sussistendo preoccupazioni di tipo anticoncorrenziale, l’adeguato svolgimento dell’Opa secondo le regole fissate
dalla Consob garantirebbe anche il conseguimento di obiettivi antitrust. Per utili approfondimenti sull’applicazione
della disciplina antitrust all’Opa si rinvia ancora a M. POLO, Concorrenza e Opa nell’industria bancaria, cit., p. 265 s.
L’Autore, tra l’altro, osserva che “una soluzione che quindi distingua tra autorizzazione preventiva della
concentrazione da parte dell’organo preposto all’intervento antitrust e sorveglianza delle procedure di acquisizione
da parte dell’istituto di vigilanza di borsa sembra raggiungere la necessaria flessibilità ed efficacia”. In tal senso cfr.
anche G.L. PICONE, le offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 35; R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2001, p.
693.
492 Qualora, invece, l’Autorità garante non ritenga necessario aprire il procedimento, deve darne
comunicazione, entro trenta giorni (quindici nel caso di Opa) dal ricevimento della modifica, ai soggetti interessati
e al Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, esprimendo, al contempo, le proprie conclusioni
circa il caso di specie.
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perentorio massimo di quarantacinque giorni, previsto dall’art. 16, comma 8, della l. n.
287/1990493.
Si segnala, comunque, l’opportunità di operare in modo da circoscrivere temporalmente
la durata dell’istruttoria, sì da evitare che la stessa possa perdurare oltre il limite di chiusura
dell’offerta.
7. L’esame delle concentrazioni bancarie nel diritto comunitario antitrust. Profili introduttivi.
Il rapporto tra diritto antitrust europeo e normative nazionali è peculiare. La competenza
antitrust non può definirsi “esclusiva”, perché non impedisce agli Stati membri di emanare
normative antitrust, e/o normative non antitrust che si applicano alle fattispecie regolate dagli
artt. 81 e 82 CE. “Allo stesso tempo non può neanche definirsi come << ripartita >>, perché
gli artt. 81 e 82 CE hanno effetto diretto e sono direttamente applicabili”494.
La disciplina antitrust sopra analizzata non si applica alle operazioni di concentrazione di
dimensione comunitaria, il cui esame spetta alla Commissione europea ai sensi l’art. 21, comma
3, del regolamento CE n. 139/2004 del Consiglio.
D’altro canto, la stessa legge n. 287 del 1990, oltre a disciplinare il fenomeno
concorrenziale bancario, definisce il suo ambito di intervento ed i necessari collegamenti con la
normativa comunitaria495. La legge nazionale precisa, infatti, che essa trova applicazione
soltanto in via residuale rispetto al diritto comunitario, laddove la condotta restrittiva della
concorrenza (intese, abusi di posizione dominante e concentrazioni di imprese) non abbia
valenza comunitaria, cioè non ricada nell’ambito di applicazione degli artt. 81 e 82 del Trattato
493 Volendo porre l’attenzione sull’interesse del mercato e dei piccoli azionisti torna alla mente quanto
verificatosi in occasione del lancio dell’Opa Seat-Tin.it. Nel documento di offerta si prevedeva come condizione
risolutiva che l’Antitrust autorizzasse, peraltro senza riserve e condizioni, il piano di integrazione tra le due società
interessate. L’Opa in questione risultava, pertanto, irrevocabile solo apparentemente. In pratica, per conoscere il
buon esito dell’Opa gli oblati avrebbero dovuto attendere sessanta giorni, nel corso dei quali chi avesse aderito
all’offerta non avrebbe potuto fare altro che aspettare. Durante questo arco di tempo viene meno sia la
disponibilità del titolo, che quindi non può essere venduto, sia la disponibilità del corrispettivo dell’offerta, il tutto
senza avere neanche la certezza di aver effettivamente ceduto le azioni all’offerente. La responsabilità di questa
strana situazione evidentemente non era addebitabile all’Autorità Garante del mercato, chiamata per legge a
verificare, entro i termini previsti, che per effetto dell’operazione non si creassero nei settori interessati posizioni
dominanti tali da alterare la concorrenza. La responsabilità era semmai imputabile alla Consob, che aveva
autorizzato un prospetto contenente una condizione risolutiva così drastica e tale da porre l’azionista della società
target in una posizione di assoluto svantaggio per un periodo di tempo eccessivamente lungo. Accettabile e
rispettosa del mercato sarebbe stata piuttosto la previsione di una condizione risolutiva legata all’effettiva
realizzazione della fusione. In tal modo si sarebbe collegata l’inefficacia dell’Opa solo all’ipotesi in cui le
condizioni poste dall’Antitrust fossero risultate tali da spingere le due società a rinunciare al loro progetto. In quel
caso ci sarebbe stato, nel rispetto del principio del market egalitarianism, un’equilibrata ponderazione tra l’interesse
dell’offerente e quello degli azionisti della società da acquisire, e un rapporto logico tra la rinuncia all’integrazione
e l’inefficacia dell’Opa, che, in forza del noto meccanismo del way-out, è stata presentata come una forma di
recesso per quegli azionisti che non intendano partecipare al progetto. Inoltre, di fronte all’evidente diversità di
trattamento tra piccoli e grandi azionisti della società target, e alla natura così assurdamente formale della
condizione risolutiva venuta a pesare sull’efficacia dell’Opa, sarebbe stato auspicabile da parte della Consob
quanto meno la concessione di una proroga della durata dell’offerta o addirittura la sospensione della stessa fino
alla conclusione dell’indagine dell’Antitrust.
494 In tal senso v. A. FRIGNANI e R. PARDOLESI, La concorrenza, Torino, 2006, p. 7, che, in particolare,
rinvia alle osservazioni della Corte di Giustizia, sent. del 17 luglio 1992, causa C-67/91, Direcciòn general de Defensa
de la competencia v. Asociaciòn Espanola de Banca Privada ed altri (Banca Spagnola), in Raccolta, 1992, I-4785; e al
commento di L.F. PACE, I fondamenti del diritto antitrust europeo, Milano, 2005, p. 150.
495 In proposito v. M. D’ALBERTI, La “Rete europea di concorrenza” e la costruzione del diritto antitrust,
Relazione al VI Convegno “Antitrust fra diritto nazionale e diritto comunitario”, Treviso, 13-14 maggio 2004.
- 151 -
dell’Unione496 e del citato regolamento CE 139/2004 del 20 gennaio 2004 sul controllo delle
concentrazioni497.
Peraltro, la Commissione Europea funge, seppur indirettamente, da arbitro della
competenza attribuita all’Autorità nazionale498.
Il Trattato CE, al fine di garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato
interno499, prevede nella parte terza, sotto la rubrica “Regole di Concorrenza”, specifiche
disposizioni antitrust che vanno dall’art. 81 all’art. 89. Tali norme sono suddivise in due sezioni:
la prima, con il titolo “Regole applicabili alle imprese”, contiene gli artt. 81 e 82 che
rispettivamente vietano: l’uno, gli accordi e le pratiche concordate che abbiano per oggetto o
per effetto di pregiudicare la concorrenza; l’altro, lo sfruttamento abusivo di posizione
dominante; la seconda, con il titolo “Aiuti concessi dagli Stati”, contiene gli artt. 87 e 88500.
In subjecta materia va, tuttavia, precisato che la modifica normativa di cui all’art. 19,
comma 11, della legge n. 262/2005 (che ha abrogato i comma 2, 3, e 6 dell’art. 20 della legge 10
ottobre 1990, n. 287 sulla tutela della concorrenza), si riflette anche sulla competenza ad
applicare le disposizioni comunitarie in materia di intese e abuso di posizione dominante. La
legge 6 febbraio 1996, n. 52 (legge comunitaria 1994) aveva infatti previsto la competenza
dell’Autorità garante della concorrenza del mercato ad applicare gli artt. 81 e 82 del Trattato “in
quanto autorità nazionale competente in materia di concorrenza” facendo però salvo quanto
disposto dall’art. 20 della legge n. 287/1990. Mentre, quindi, prima delle recenti modifiche
Per un confronto puntuale delle disposizioni contenute nella legge n. 287/1990 e nel Trattato Cee, cfr.
R. ALESSI e G. OLIVIERI, La disciplina della concorrenza e del mercato (Commento alla l. 10 ottobre 1990, n. 287 ed al
Regolamento Cee n. 4064/89 del 21 dicembre 1989), Torino, 1991, specialmente pp. 16 ss., 34-35, 49 ss.; M.TODINO,
La riforma del controllo comunitario delle concentrazioni, in Contratto e Impresa Europa, n. 2, 2004, p. 1079 ss.; F. STELLA,
Il regolamento CE n. 1310/1997 del Consiglio che modifica il regolamento CEE n. 4064/89 relativo al controllo delle
concentrazioni tra imprese: un primo commento, in Diritto del commercio internazionale, 1998, p. 31 ss.; M. MILANESI,
Antitrust e concentrazioni tra imprese nel diritto comunitario, Milano,1992, p. 38 s.
497 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione del 2 marzo 1998, sulla nozione di concentrazione a norma
del regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese (98/C 66/02),
in G.U.C.E. C066. Inoltre, in seguito all’entrata in vigore del Regolamento CE n. 1/2003 sulla c.d.
modernizzazione, le autorità antitrust nazionali operano come organi decentrati della Commissione UE
nell’applicazione degli artt. 81 e 82 del Trattato in materia di concorrenza. In merito cfr. L.F. PACE, Fondamenti del
diritto antitrust europeo, cit., p. 87 ss..
498 La legge 287/1990 prevede, infatti, all’art. 1, comma 2, che il Garante informi la Commissione CE,
trasmettendo altresì tutte le informazioni in suo possesso, qualora la fattispecie sottoposta al suo esame assuma
valenza comunitaria, e, al successivo comma 4, che “l’interpretazione delle norme contenute nella legge sia
effettuata in base ai principi dell’ordinamento della Comunità europea in materia di disciplina della concorrenza”.
Qualora invece l’Autorità abbia già avviato un’istruttoria per l’accertamento di una violazione in relazione alla
quale anche la Commissione abbia avviato una procedura, l’Autorità è tenuta a sospendere la propria istruttoria,
salvo che per gli eventuali aspetti di esclusiva rilevanza nazionale (art. 1, comma 2 e 3, della legge n. 287/1990).
499 Sui rapporti tra la legge n. 287/1990 e il diritto comunitario cfr. F. MERUSI, La legge n. 287 del 1990 e i
suoi rapporti col diritto comunitario. Primi appunti, in Dir. comm. int., 1991, p. 173 ss.; G. GUARINO, Sul rapporto tra la
nuova legge antitrust e la disciplina comunitaria della concorrenza, in Contr. e impresa, 1990, p. 639 ss. Per la realizzazione
delle finalità del Trattato istitutivo della Comunità Europea, versione consolidata contenuta in G.U.C.E. n. C
325/33 del 24.12.2002, l’art. 3, par. 1, lett. g), assegna come obiettivo alla Comunità il compito di creare un regime
inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno. Inoltre, l’art. 4, par. 1, del Trattato
stabilisce che l’azione degli Stati membri e della Comunità è condotta conformemente al principio di un’economia
di mercato aperta e in libera concorrenza.
500 Che il diritto comunitario della concorrenza sia applicabile anche alle imprese bancarie è, da tempo,
dato pacificamente accolto in dottrina; al riguardo v. A. PATRONI GRIFFI, La concorrenza nel sistema bancario,
Napoli, 1979; L.C. UBERTAZZI, Imprese bancarie e diritto comunitario antitrust, in L.C. UBERTAZZI (a cura di), La
concorrenza bancaria, Milano, 1985; ID, Imprese bancarie e diritto comunitario antitrust: nuove riflessioni, in Banca impr. soc.,
1986, p. 31; A.F. PANZERA, Disciplina comunitaria della concorrenza e sistema bancario italiano, in Banca, borsa e tit. cred.,
1990, p. 152; P. MENGOZZI, La disciplina comunitaria sulla concorrenza e attività bancaria, in Banca impr. soc., 1992, 2,
p. 215. Ma tale principio aveva trovato conferma anche nella sentenza della Corte di Giustizia, 14 luglio 1981,
causa 172/80, Gerhard Zùchner c. Bayerische Vereinsbank, in Raccolta, 1981, 2021; e in Foro It., 1982, IV, 473.
496
- 152 -
normative, l’applicazione di tali disposizioni nei confronti delle banche italiane era affidata alla
Banca d’Italia, nell’ordinamento attuale tale compito spetta all’Autorità garante501.
7.1. Il caso particolare di svolgimento di un’offerta pubblica di acquisto.
In una prospettiva di razionalizzazione sistemica, il reg. 4064/89/CE, del 21 dicembre
1989 (successivamente modificato prima dal reg. 1310/97/CE502 e, da ultimo, dal reg.
139/2004/CE503) aveva introdotto alcune previsioni concernenti specificamente il settore
finanziario, comprensivo di tutti i suoi comparti (banche, assicurazioni, intermediari finanziari
e mobiliari)504.
A norma del regolamento una concentrazione di dimensione comunitaria non può essere
realizzata prima di essere notificata, né prima di essere stata dichiarata compatibile con il
mercato comune505. La Commissione UE può vietare l’operazione allorché la concentrazione
ostacoli in modo significativo una concorrenza effettiva nel mercato comune o in una parte
rilevante di esso, in particolare mediante la creazione o il rafforzamento di una posizione
dominante506.
Nel caso particolare di svolgimento di un’offerta pubblica di acquisto, occorre però
considerare alcune disposizioni che tengono conto proprio delle peculiarità legate al fenomeno
dei takeovers.
In primo luogo, per venire incontro alle esigenze delle imprese, il nuovo regolamento
prevede anche la possibilità di notificare la concentrazione prima della conclusione di un
accordo vincolante. A norma del par. 2 dell’art. 4, è ammessa, infatti, anche la notificazione di
“progetti di concentrazione” quando le imprese interessate dimostrino che hanno in buona
fede intenzione di concludere un accordo o, in caso di offerta pubblica, quando hanno
pubblicamente annunciato che intendono procedervi.
In proposito, v. ASSONIME, Circolare n. 21, cit.
Sulla versione del regolamento modificata dal regolamento n. 1310/97/CE v. A. ANTONUCCI, La
disciplina comunitaria delle concentrazioni tra imprese: le recenti modifiche al regolamento n. 4064/89, in Giur. comm., 1998, I, p.
412 ss.
503 Il nuovo regime comunitario di controllo delle concentrazioni è stato introdotto con il reg. CEE n.
139/04. Si tratta di una riforma ambiziosa che interviene in maniera incisiva su alcuni aspetti del previgente
sistema di controllo delle concentrazioni, pur lasciando nel complesso inalterata l’architettura del medesimo e i
suoi principi fondanti, su tutti lo “sportello unico” e la celerità dei procedimenti. Quattro sono i profili, sostanziali
e procedurali, su cui incide la riforma introdotta dal nuovo Regolamento al regime comunitario sul controllo delle
concentrazioni. Essi riguardano: la ripartizione delle competenze tra Commissione e autorità nazionali ed il
connesso sistema dei rinvii, il test di valutazione delle concentrazioni, le procedure e i poteri della Commissione.
504 Come suggerisce G. ROTONDO, Diritto Antitrust e Intermediazione Finanziaria, Napoli, 2000, p. 23,
nell’ambito del regolamento in esame è possibile, in linea di massima, adottare la seguente suddivisione:
“1) norme che tengono conto della specificità delle categorie di intermediari (banche e società finanziarie,
da un lato, e assicurazioni, dall’altro) e che si traducono essenzialmente in regole ad hoc per la determinazione del
fatturato rilevante ai fini della valutazione della concentrazione;
2) norme che tengono in considerazione il funzionamento complessivo del mercato finanziario e azionario
nell’applicazione del regolamento sulle concentrazioni (deroghe alla nozione di concentrazione, Opa, etc)”.
505 V. sul punto, P. CASSANIS e P. SABA, La riforma comunitaria sul controllo delle concentrazioni, in Le nuove
leggi civili, n. 3, 2004, pp. 405-448.
506 L’art. 3, §§. 2 e 3, fornisce la nozione di controllo, sulla quale si rinvia, seppur con riferimento alla
precedente disciplina (sostanzialmente invariata), alle specificazioni contenute nella Comunicazione della Commissione
sul concetto di concentrazione a norma del regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio, del 21 dicembre 1989, relativo al controllo
delle operazioni di concentrazione tra imprese, in G.U.C.E. C385 del 31 dicembre 1994, p. 6 ss.
501
502
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Sempre nell’interesse delle imprese notificanti, è stato reso più flessibile l’obbligo di
sospensione di cui all’art. 7 del regolamento507. In particolare, per le Opa si prevede che tale
adempimento ricada in capo all’offerente (art. 7, par. 1, reg. 139/2004), precludendo così alla
società bersaglio di adoperarsi per ritardare la scalata. Di regola, l’esecuzione dell’operazione
prima di tre settimane dalla data della stessa (così come la mancata esecuzione) comporta
l’assoggettamento dell’impresa inadempiente a sanzioni pecuniarie.
A conferma del regime di favore per le Opa, il regolamento stabilisce, inoltre,
l’inapplicabilità della norma relativa alla sospensione della concentrazione qualora si sia in
presenza di un’offerta pubblica d’acquisto o di scambio regolarmente notificata508. In questi
casi, si ritiene sufficiente imporre all’offerente la sospensione dell’esercizio del diritto di voto
relativo alle partecipazioni, così da non recare pregiudizio alla molteplicità di interessi sottesi
all’operazione509.
La validità delle transazioni realizzate in violazione dell’obbligo di sospensione resta,
dunque, condizionata alla decisione della Commissione sulla compatibilità dell’operazione con
il mercato comune.
Tuttavia, va ricordato che tale decisione non incide sulla validità delle transazioni
effettuate su mercati mobiliari vigilati, salvo che si dimostri che le parti fossero a conoscenza (o
perlomeno che dovessero esserlo) della violazione dell’obbligo di sospensione510.
7.2. Deroghe alla competenza esclusiva della Commissione Europea a favore dell’Autorità di vigilanza
nazionale.
Al di là di ogni questione e critica che possa muoversi in ordine all’ipotizzata sussistenza
del suddetto vincolo, la sua stessa prospettazione necessita di dar conto di alcuni risvolti
problematici. La qualificazione dell’operazione, che comporta l’acquisizione del controllo
esclusivo di un’impresa, è tesa ad accertare se la stessa costituisca o meno una concentrazione
ai sensi dell’art. 3 del regolamento CE n. 139/2004, e rientri, pertanto, nell'ambito di
applicazione di detto regolamento (poiché tale da soddisfare le condizioni previste dall'art. 1
del medesimo) e, di conseguenza, nella competenza esclusiva della Commissione.
Nel nuovo art. 9, come modificato dal regolamento 139/04, è prevista la possibilità per la
Commissione di rinviare parzialmente il caso allo Stato membro richiedente511.
507 Cfr. art. 17, reg. 139/2004. A presidio del carattere preventivo della comunicazione, la disciplina
comunitaria introduce un divieto di realizzazione dell’operazione o una sospensione automatica dei suoi effetti.
Nel nuovo testo si è ampliato l’ambito di applicazione della deroga automatica di cui all’art. 7, §. 2, a tutte le
acquisizioni dette “striscianti” – ossia effettuate raccogliendo valori mobiliari da più venditori – che beneficiano
ora dello stesso trattamento dell’Opa. Come noto, il regolamento 4064/89 già prevedeva una deroga automatica
per le offerte pubbliche di acquisto e la possibilità di ottenere una deroga ad hoc purché la domanda fosse
debitamente motivata.
508 Cfr. art. 21, reg. 139/2004. La Commissione Ue può esaminare con “procedura semplificata” le offerte
pubbliche di acquisto, una modalità usata per i casi meno problematici che “non sollevano preoccupazioni per la
concorrenza” e che generalmente incassano il via libera. La notifica dell’operazione viene pubblicata sulla
Gazzetta della Commissione e da quel momento gli interessati possono formulare eventuali osservazioni.
509 Cfr. art. 17, comma 2, reg. 139/2004.
510 Sul punto cfr. A. TOFFOLETTO, Le concentrazioni nel diritto comunitario antitrust, in Giur. comm., 1990, I,
p. 523 s. Il regolamento consente, infatti, all’acquirente di esercitare i diritti di voto inerenti ai valori mobiliari
“soltanto ai fini di mantenere il pieno valore dei suoi investimenti in base a una deroga accordata dalla
Commissione conformemente al paragrafo 3” [art. 7, comma 2, lett. b), reg. 139/2004]. La prima deroga dovrebbe
essere interpretata in senso restrittivo, ossia con riferimento alle delibere che, ad esempio, mirano a modificare il
capitale della società oggetto dell’acquisizione, rischiando così di vanificare gli effetti del takeover, oppure che
tendono a realizzare ristrutturazioni aziendali in grado di trasformare la fisionomia dell’impresa.
- 154 -
Come anticipato, il rinvio parziale si risolve essenzialmente in una suddivisione della
competenza ad esaminare la stessa operazione tra organismi posti a due livelli diversi, nazionale
e comunitario. Appare sorprendente come tale possibilità, introdotta con la riforma del 1997512,
sia stata contemplata anche dalla nuova disciplina del regolamento n. 139/04 che, tra l’altro,
doveva essere finalizzata al rafforzamento del principio dello sportello unico e quindi ad evitare
alle imprese la notificazione presso più autorità nazionali (e risolvere, pertanto, il c.d. problema
dei multiple filings)513.
L’esperienza ha dimostrato514 come molto spesso le decisioni delle Autorità nazionali e
della Commissione possano divergere significativamente.
Situazioni del genere non aiutano a creare presso le imprese un clima di fiducia nel
trattamento uniforme delle concentrazioni di dimensione comunitaria, ma soprattutto mettono
a repentaglio il concetto stesso di “supremazia” dell’ordinamento comunitario sugli
ordinamenti nazionali515.
L’istituto del rinvio parziale sembra pertanto obbedire ad un eccessivo riguardo nei
confronti del principio di sussidiarietà rendendo il sistema potenzialmente confliggente non
solo con il principio dell’one stop shop (a maggior ragione nei casi in cui l’esame di un’operazione
sarà rinviato a più autorità516), ma anche con quello della certezza del diritto e della uniformità
del controllo delle concentrazioni517.
511 Cfr. art. 9, comma 3, lett. b), reg. 139/04, ove si dice: “la Commissione se ritiene che tale minaccia e tale
mercato distinto esistano…rinvia il caso interamente o in parte alle autorità competenti dello Stato membro
interessato..”.
512 La possibilità di un rinvio parziale non era contemplata nel regolamento 4064/89 che prevedeva
soltanto il rinvio della totalità di un caso ad uno Stato membro. In modo poco ortodosso, tuttavia, la
Commissione aveva già proceduto al rinvio parziale anche prima dell’entrata in vigore del regolamento del 1997
(per i casi M.180 Steetley/Tarmac, M.460 Holdercim/Cedest, M.894 Rheinmetal/British Aerospace/Syn Atlas, M.991
Promodès/Casino, M.1019 Preussag/Tvi cfr. sito della DG Concorrenza www.europa.eu.int/comm/competition/merger/cases).
513 Nella maggior parte dei casi, infatti, non è chiaro come l’esame delle operazioni di concentrazione possa
essere suddiviso in diversi tronconi, affidandone ciascuno ad una diversa Autorità. In questo senso v. M.
MEGLIANI, La riforma della disciplina comunitaria sulle concentrazioni tra imprese, in Diritto del commercio internazionale,
vol. 18, n. 3, 2004, p. 685.
514 Cfr. Corte di Giustizia delle Comunità europee, sentenza 31 marzo 1998, Repubblica francese c.
Commissione, C 68/94 e 30/95, cit. A rafforzare la sensazione di una defaillance del meccanismo di controllo
provvede la circostanza, alquanto sorprendente, che il provvedimento francese sia stato giustificato sulla base della
teoria della società in stato di insolvenza (failing company defence) benchè la Commissione avesse già ritenuto che i
criteri per l’applicazione di tale teoria non fossero soddisfatti nella fattispecie. Lo stesso Tribunale di primo grado
nella causa T-119/02 tra Royal Philips NV c. Commissione del 3 aprile 2003, aveva auspicato un intervento del
legislatore che assicurasse l’uniformità dei provvedimenti. Anche nell’ordinamento italiano, nell’ambito della
valutazione di operazioni di concentrazione nel settore bancario, vi sono state alcune decisioni della Banca d’Italia
in cui l’autorizzazione è stata concessa – nonostante le operazioni creassero una posizione dominante in grado di
restringere in misura sostanziale la concorrenza – facendo ricorso ai principi della failing company doctrine. Cfr. Banca
d’Italia, provv. n. 1 del 7 gennaio 1993, Banco di Sardegna/Banca Popolare di Sassari, in Boll., 1993, n. 7; e Banca
d’Italia, provv. n. 22 del 3 aprile 1998, Banco di Sicilia/Sicilcassa/Mediocredito Centrale, in Boll., 1998, n. 15, con
commento di F. GHEZZI e P. MAGNANI, Banche e concorrenza…, cit., p. 287 ss. Si segnalano, per completezza, le
opinioni divergenti dell’AGCM, nel parere Banco di Sicilia/Sicilcassa/Mediocredito Centrale, cit., par. 17.
515 Se si tiene conto della più volte affermata complementarietà ed unità di scopi tra diritto nazionale e
diritto comunitario della concorrenza, può senz’altro affermarsi che il principio di supremazia dell’ordinamento
comunitario non tollera che le autorità nazionali, alle quali viene rinviato l’esame di una concentrazione di
dimensione comunitaria, applichino una teoria che la Commissione ha già respinto nella fattispecie in esame.
516 Si vedano, ad esempio, il caso M.1030 Lafarge/Redland, parzialmente rinviato alle autorità nazionali
francese ed inglese e, più recentemente, il caso M.2898 Leroy/Brico, parzialmente rinviato a ben tre autorità
nazionali (francese, spagnola e portoghese).
517 Sul punto cfr. M. MEROLA e L. ARMATI, La riforma del controllo comunitario delle concentrazioni, in Il
Diritto dell’Unione Europea, n. 1, 2004, p. 150.
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Del resto, il rinvio delle Autorità nazionali alla Commissione è rimasto, fino all’entrata in
vigore del nuovo regolamento, uno strumento di riequilibrio della sfera di giurisdizione
comunitaria quasi esclusivamente teorico.
Nello scenario sopra delineato, la Banca d’Italia esamina(va) ogni ipotesi di aggregazione
o di rilevante partecipazione al capitale, tra banche italiane, di banche italiane in banche estere,
di banche estere in banche italiane. L’Autorità di vigilanza applicava la legislazione nazionale e
comunitaria, assolvendo al mandato, assegnatole dall’ordinamento, sia di garantire la sana e
prudente gestione del credito, così da tutelare la stabilità degli intermediari e del sistema nel suo
complesso, sia di promuovere la concorrenza.
Le recenti decisioni della Banca d’Italia in merito alle scalate straniere su banche italiane,
e le polemiche che ne sono seguite, hanno però dato attualità ad un interrogativo più generale:
chi deve svolgere la funzione di vigilanza e supervisione sulle operazioni di concentrazione
bancaria nell’Europa della moneta unica?518
Come premesso, la procedura standard delineata dal reg. 139/2004 prevede che sia la
Commissione UE ad occuparsi delle aggregazioni bancarie che abbiano “dimensione
europea”519, per verificare se la concentrazione determina un eccesso di potere in capo allo
stesso soggetto sul piano del mercato europeo.
Ad un secondo e più rilevatore livello di analisi, il regolamento sulle fusioni stabilisce,
tuttavia, che gli Stati membri possano “intervenire” per garantire il rispetto di “norme
prudenziali”520. L’art. 21, par. 4, reg. 139/2004 prevede, infatti, un’eccezione alla competenza
esclusiva della Commissione, lasciando gli Stati membri liberi di “adottare opportuni
provvedimenti per tutelare interessi legittimi”, quali la sicurezza pubblica, la pluralità dei mezzi
di informazione, le norme prudenziali”, ossia la stabilità dei sistemi creditizi e finanziari521.
518 Cfr. Indagine conoscitiva su “I rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio”,
Camera dei Deputati, XIV Legislatura, seduta del 20 gennaio 2004. In quella sede è emersa con chiarezza una
diversità di impostazione tra Banca d’Italia e Autorità antitrust sulle questioni dell’applicazione della normativa
antitrust al settore bancario e dell’esercizio dei poteri autorizzatori in materia di acquisizioni di pacchetti azionari di
banche italiane da parte di istituti di credito europei. Da un lato, la Banca d’Italia ha esercitato in via informale un
ruolo di protettore dei “campioni nazionali”, promovendo piuttosto le aggregazioni nazionali. Dall’altro, l’AGCM
si è dichiarata favorevole ad aprire il mercato italiano a concorrenti stranieri, come ha precisato il presidente G.
Tesauro: “l’interesse nazionale è un ingrediente eccentrico rispetto al valore della concorrenza, così come <<
reciprocità >> è una bellissima parola ma estranea al sistema comunitario”.
519 In proposito v. art. 1, §. 1, reg UE 139/2004, secondo cui un’Opa ha “dimensione comunitaria”
quando “il fatturato totale realizzato a livello mondiale dall’insieme delle imprese interessate è superiore a 5
miliardi di euro, e il fatturato totale realizzato individualmente nella Comunità da almeno due delle imprese
interessate è superiore a 250 milioni di euro”. Tuttavia, il riferimento al fatturato come parametro dimensionale
non è stato ritenuto adeguato a rappresentare la realtà economica di settori connotati da evidenti peculiarità
operative e, pertanto, non si applica a banche, istituti finanziari e imprese di assicurazione, in sostanza ai soggetti
che svolgono attività di intermediazione finanziaria (art. 5, §. 3).
520 Sulle difficoltà di precisare il concetto di “norme prudenziali”, in particolare per quanto attiene alla
disciplina comunitaria delle concentrazioni, v. G. ROTONDO, Il controllo antitrust nel mercato finanziario, Napoli,
2004, p. 166. Riguardo ai regimi di autorizzazione preventiva la Corte di Giustizia ha sancito che affinché vi sia
compatibilità con il diritto comunitario è necessario che lo stesso obiettivo non possa essere conseguito con
modalità meno restrittive. Sul punto cfr. Corte di Giustizia, sentenza 14 dicembre 1995, cause riunite C-163/94,
C-165/94 e C-250/94, Sanz de Lera, punti 23-28; sentenza 1° giugno 1999, causa C-302/97, Konle, punto 44;
sentenza 20 febbraio 2001, causa C-205/99, Analir et al., punto 35. Si segnala, peraltro, che nella Proposta di
direttiva comunitaria 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sui Servizi nel Mercato interno è
disposto che i regimi di autorizzazione sono ammissibili soltanto se sono non discriminatori, necessari per
esigenze imperative di interesse generale e proporzionati; in caso contrario, essi devono essere eliminati o sostituiti
da meccanismi di controllo a posteriori; gli Stati membri sono tenuti a notificare alla Commissione europea i
propri regimi di autorizzazione, giustificandoli espressamente alla luce dei suddetti criteri (artt. 9 e 39).
521 Cfr., ad esempio, Corte di Giustizia, decisione 18 giugno 1996, Sun Alliance/Royal Insurance, in Celex, n.
396M759.
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Si configura, pertanto, al ricorrere di tali fattispecie, un’applicazione parallela del
regolamento e delle norme nazionali alle operazioni di concentrazione aventi dimensione
comunitaria522.
Come dato di partenza, due sembrano gli argomenti meritevoli di essere rapidamente
segnalati.
In primo luogo, è fuor di dubbio che nessuna disposizione normativa consente ad
autorità pubbliche interne di ergersi a tutori di malintesi valori nazionalistici (sub specie la difesa
dell’“italianità” del sistema bancario)523, soprattutto nel campo dei rapporti economici e delle
connesse libertà sancite dai Trattati europei524.
In secondo luogo, rileva il mancato rispetto del canone di imparzialità, quando i
contendenti non versano in situazioni talmente differenziate da giustificare un diverso
trattamento, nonché la violazione del “principio di non discriminazione” in base alla
nazionalità (art. 12 Trattato CE)525.
522 Sul punto cfr. F. GHEZZI, Il provvedimento CIR/Cartiera di Ascoli e l’applicazione dell’articolo 20 della legge
antitrust, in Riv. soc., 1992, p. 1013 ss; A. RIZZA e BAJARDO, La normativa comunitaria sul controllo delle concentrazioni
tra imprese alla luce delle disposizioni di attuazione del Regolamento n. 4064/89 e dei recenti documenti interpretativi della
Commissione, in Dir. comun. scambi intern., 1990, 4, p. 759; R. ALESSI e G. OLIVIERI, La disciplina della concorreza e del
mercato, cit., p. 109 e p. 294; C.J. COOK & C.S. KERSE, E.C. Merger control, London-Dublin-Hong Kong, 1996, p.
219. Si tenga presente, per altro, che gli Stati membri sono tenuti a notificare alla Commissione europea i propri
regimi di autorizzazione, giustificandoli espressamente alla luce dei suddetti criteri. In proposito cfr. Commissione
europea, Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno,
COM(2006) 160 del 4 aprile 2006, artt. 9 e 41.
523 Nonostante le obiezione della Commissione UE, l’Italia, con decreto del Presidente del Consiglio del 23
marzo 2006, su proposta del Ministro dell’economia e d’intesa con il Ministro delle Attività produttive, ha inteso
riconoscere al Tesoro poteri speciali in caso di scalata. Più precisamente si è stabilito che talune aziende statali
debbano prevedere nel proprio statuto delle norme che danno all’azionista pubblico particolari poteri di controllo
e di veto. Il provvedimento si richiama alla legge n. 474 del 1994 che prevede, tra le società controllate
direttamente o indirettamente dallo Stato che operano nel settore delle fonti di energia, la possibilità di introdurre
una clausola che attribuisca al ministro dell’Economia la titolarità “di uno o più dei poteri speciali”. Tuttavia –
come si legge nella premessa del decreto – il mantenimento dei poteri di veto sulle scelte strategiche di tali società
potrà avvenire “solo per il tempo e nella misura in cui essi sono necessari a garantire i rilevanti interessi pubblici e
lo sviluppo della liberalizzazione del mercato”.
524 Cfr. R. BRUNETTA e A. PRETO, La reciprocità dirigista del modello italiano, in Il Sole 24 Ore, 1° marzo
2006. Il fenomeno è già noto e ha portata generalizzata, cioè non specificamente legata al problema delle Opa.
Riguardo al criterio della “reciprocità”, si tenga presente che l’art. 25, comma 2, della legge italiana antitrust
consente infatti al Presidente del Consiglio dei ministri, su delibera del Consiglio dei ministri e proposta del
Ministro delle Attività produttive, nei casi di concentrazioni (fusioni o acquisizioni), “alle quali partecipano enti o
Stati che non tutelano l’indipendenza degli enti o delle imprese con norme di effetto equivalente a quello italiano,
o applicano disposizioni discriminatorie o impongono clausole aventi effetti analoghi nei confronti di acquisizioni
da parte di imprese o enti italiani, di vietare l’operazione per ragioni essenziali di economia nazionale”.
525 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Cabinet of Commissioner Charlie McCreevy, 27.4.2005 D/000806,
Bruxelles, in Milano Finanza, 28 aprile 2005, p. 10, volta a stigmatizzare la condotta dell’amministrazione consistita
nell’aver irragionevolmente impresso diverse velocità a procedimenti aventi finalità e caratteristiche identiche. I
provvedimenti della Banca d’Italia avevano indotto, proprio nel dicembre 2005, la Commissione europea a inviare
all’Italia una lettera di messa in mora (2005/2422). La procedura di infrazione è stata successivamente archiviata. Il
12 settembre 2006 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva che modifica la direttiva
2006/48/CE per quanto riguarda le regole procedurali e i criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e
incrementi di partecipazioni nel settore finanziario (v. infra cap. II, §. 6). In merito, cfr. SEC(2006) 1117;
SEC(2006) 1118.
Questo vizio si configura quando l’autorità amministrativa nazionale competente, nell’esercizio di potestà
discrezionali, riservi in concreto un trattamento differenziato a situazioni oggettivamente identiche (non
semplicemente analoghe), in assenza di elementi atti a spiegare la diversità degli assetti configurati: il che
costituisce un chiaro sintomo della irrazionalità dell’azione amministrativa. Con riferimento al panorama italiano
cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2001, n. 5721; Cons. Stato, sez. V, 10 febbraio 2000, n. 726; Cons.
Stato, sez. V, 6 maggio 1997, n. 476, là dove il vizio trova un riferimento normativo nel principio costituzionale di
uguaglianza (art. 3) e nella violazione del principio di imparzialità (art. 97 Cost.). Qui ci si limita a ricordare che il
- 157 -
Nel caso di specie, la deroga è giustificata dall’esigenza di calibrare l’interesse alla
concorrenzialità del mercato con quello alla stabilità del sistema creditizio. Muovendo da
quest’ultimo rilievo, occorre tuttavia farsi carico di verificare se possano effettivamente
sussistere, con particolare riferimento ai casi di acquisizioni tra banche, le condizioni e i
presupposti per l’applicabilità della disciplina “derogatoria” in esame.
A ben vedere, infatti, gli Stati membri possono avvalersi della norma in questione solo in
uno dei due modi teoricamente possibili. Possono cioè intervenire vietando una
concentrazione notificata a livello comunitario ovvero sottoponendone la realizzazione a
condizioni e oneri supplementari, al fine di tutelare interessi legittimi diversi da quelli presi in
considerazione dal regolamento.
Maggiore cautela si impone, invece, nell’ipotesi inversa: in virtù di un’applicazione in
senso esclusivamente restrittivo accolta in sede europea, gli Stati non possono, infatti,
modificare una decisione di divieto già assunta dalla Commissione Europea. Nessun potere, in
altre parole, è attribuito alle autorità nazionali per riabilitare concentrazioni già vietate a livello
comunitario, mentre nessuna disposizione esclude un loro intervento censorio nell’ipotesi
contraria526.
Per chiarire la diversità di spessore tra questi due diversi parametri di valutazione rilevanti
ai fini del supposto conflitto, converrà impegnarsi in uno sforzo di chiarimento delle opzioni
qualificatorie introdotte dal legislatore europeo.
In linea di principio, tale “asimmetria” è importante perché impedisce alle autorità
nazionali competenti di sfruttare le porte aperte dall’art. 21 per salvaguardare gli interessi dei
campioni nazionali a cui, per ipotesi, la Commissione avesse sbarrato la strada con una
decisione di divieto527. Più in generale, è lecito affermare che nel caso di un eventuale conflitto
tra istanze di tutela della concorrenza e istanze legate all’interesse pubblico, il legislatore
comunitario abbia scelto di far valere le prime528. E del resto depone a favore di tale
convincimento il fatto che nell’ipotesi in cui si vieta una concentrazione già autorizzata a livello
comunitario non vi è alcuna necessità di ponderare tra istanze potenzialmente configgenti529.
rilievo del vizio di discriminazione postula dunque un confronto tra distinte determinazioni alla luce delle
situazioni fattuali su cui esse si proiettano, occorrendo all’uopo la previa individuazione di un legittimo tertium
comparationis (v. Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2001, n. 2798; Cons. Stato, sez. VI, 18 dicembre 1987, n. 975); si
tratta cioè di svolgere una inferenza di tipo analogico, che, muovendo dalla evidenziazione di profili di identità tra
situazioni fattuali, porti al risultato della applicazione della medesima regola o di regole uniformi.
526 Cfr. G. ROTONDO, Il controllo antitrust nel mercato finanziario, cit., p. 165 s.
527 In tal senso v. A. MACCHIATI e L. PROSPERETTI La politica dei campioni nazionali: tra rinascita e crisi, in
Mercato concorrenza regole, 2006, 3, p. 455 ss.
528 In merito v. ancora G. ROTONDO, ult. op. cit., p. 165 s. Con riguardo all’applicazione del presente
regolamento e in materia di competenza, l’art. 21, §. 4, reg. UE 139/2004 così recita: “Nonostante i paragrafi 2 e
3, gli Stati membri possono adottare opportuni provvedimenti per tutelare interessi legittimi diversi da quelli presi
in considerazione dal presente regolamento e compatibili con i principi generali e le altre disposizioni del diritto
comunitario”. La norma prosegue specificando che “sono considerati interessi legittimi, ai sensi del primo
paragrafo, la sicurezza pubblica, la pluralità dei mezzi di informazione, le norme prudenziali”. Si prevede, inoltre,
che “qualsiasi altro interesse pubblico è comunicato dallo Stato membro interessato alla Commissione ed
accettato dalla stessa, previo esame della sua compatibilità con i principi generali e le altre disposizioni del diritto
comunitario, prima che i provvedimenti di cui sopra possano essere presi. La Commissione notifica la sua
decisione allo Stato membro interessato entro 25 giorni lavorativi dalla data della suddetta comunicazione”.
529 Sul bilanciamento possibile tra concorrenza, stabilità e addirittura interesse nazionale cfr. G. TESAURO,
(Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato), Indagine conoscitiva dinanzi alle Commissioni riunite
VI Camera e X Senato, Camera dei Deputati, seduta del 29 gennaio 2004, p. 26, che ritiene “ L’interesse nazionale
un ingrediente eccentrico rispetto al valore della concorrenza, ma forse anche rispetto al valore della stabilità”.
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7.3. Gli ostacoli regolamentari al cross border banking in Europa.
Se anche si volesse prescindere dagli stimoli suggeriti dalla prospettiva comparitistica (v.
infra cap. 2), è al piano dell’attività di normazione che vanno ricondotti l’esame e l’eventuale
soluzione del problema legato all’elevato grado di discrezionalità che la legislazione nazionale
riconosce all’autorità di settore, strumento di cui si è rilevato il palese contrasto con il processo
di armonizzazione ormai in atto nei Paesi dell’Unione europea530. Non è un problema di
concorrenza, ma di cattivo uso delle norme, anche di quelle comunitarie, per creare barriere
all’ingresso di imprese (non solo bancarie) nel proprio Paese531.
Conviene qui riprendere succintamente le fila di un rilievo iniziale, al fine di illustrare
come esso possa a questo punto trovare adeguata risposta.
La Commissione europea ha più volte affermato che le misure restrittive agli investimenti
intra-UE risultano incompatibili con il Trattato e i principi fondamentali dell’Unione. Sono
ammesse azioni restrittive, ma solo se attuate con criteri oggettivi, coerenti e noti, e se
giustificate dalla necessità di salvaguardare l’interesse generale532.
Per evitare un uso strumentale degli spazi lasciati liberi dal regolamento, la Commissione
agisce in una duplice direzione. Da un lato, interpreta in modo alquanto restrittivo il concetto
di interesse legittimo, che deve essere comunque pienamente compatibile con i principi
Molte delle differenze osservate derivano da priorità di natura politica quali la dimensione della
proprietà pubblica degli intermediari, le politiche per la concorrenza, il finanziamento della sicurezza sociale:
a) in primo luogo, rilevano l’esistenza di ostacoli regolamentari e la moral suasion esercitata dalle autorità di
vigilanza, da cui dipendono l’ulteriore consolidamento dell’industria finanziaria e la creazione di intermediari
genuinamente paneuropei;
b) in secondo luogo, la differenziazione riguarda le caratteristiche degli istituti giuridici che influenzano
direttamente la protezione dell’investitore (ossia, la normativa societaria e fallimentare, nonché la legislazione in
materia di takeover e antitrust) e i poteri sanzionatori (a disposizione delle autorità di vigilanza, della magistratura e
degli stessi operatori di mercato), cui una letteratura sempre più cospicua attribuisce un importante potere
esplicativo del ruolo relativo dei mercati nell’intermediazione finanziaria;
c) ìnfine, vi è evidenza che le diverse componenti della corporate governance (concentrazione della proprietà,
ruolo degli insiders, esistenza di partecipazioni incrociate, trasparenza contabile) contribuiscono a spiegare il
“modello” di finanza prevalente in ciascun Paese.
531 Cfr. D. SARTI, Presupposti e poteri di intervento antitrust sulle concentrazioni bancarie nazionali, in Banca, borsa e
tit. cred., 1993, II, p. 495 ss.; M. LAMANDINI, Le concentrazioni bancarie. Concorrenza e stabilità nell’ordinamento
bancario, Bologna, p. 158 ss. Nelle grandi concentrazioni, quando i 2/3 del fatturato di una delle imprese coinvolte
deriva dal mercato nazionale, la competenza a giudicarne la legittimità spetta alle Autorità nazionali, non alla
Commissione UE. Questa regola, di fatto, presenta delle incoerenze, perché a fronte di ristrutturazioni simili,
consente che le operazioni siano giudicate nei vari Paesi secondo criteri diversi.
La storia recente ne ha dato inequivocabili conferme. È proprio il caso, ad esempio, dei mercati finanziari,
assicurativi e bancari, nei quali anche concentrazioni tra imprese di notevoli dimensioni sono sfuggite al controllo
della Commissione. Basti pensare, limitandosi al settore bancario, ad operazioni quali Banco de Santander/Central
Hispano (in proposito si veda Tribunal de defensa de la Competencia, espediente n. 39/99, Banco Santander/Banco Central
Hispano), o BNP/Société Gènérale/Paribas (sulle alterne vicende che hanno infine condotto al fallimento
dell’acquisto di Société Gènérale da parte di Paribas, a seguito dell’intervento del Comité des établissement des crédit cfr.
F. SANTONOSTASO, Le società di interesse nazionale, Milano, 2002, p. 46 ss., e pp. 129-208, ove l’Autore descrive
con un cura le politiche dei “campioni nazionali” in Francia, Regno Unito e Repubblica federale tedesca), le quali,
pur comportando un significativo rafforzamento del potere di imprese che potrebbero ritenersi campioni
nazionali, sono state giudicate esclusivamente dalle Autorità nazionali, non integrando le soglie che identificano la
“dimensione comunitaria”. Con riferimento alla Germania, la Corte di Giustizia europea si approssima ad abolire
la c.d. VW Gesetz, legge approvata nel 1960 al momento della privatizzazione del gruppo Volkswagen, che
protegge la casa di Wolfsburg da scalate ostili. La VW Gesetz prevede infatti che nessun azionista possa esercitre
più del 20% dei diritti di voto, anche se si detiene una quota partecipativa più ampia. Essa, inoltre, riserva due
posti di diritto nell’organo di sorveglianza al Land della Bassa Sassonia, indipendentemente dalla quantità di azioni
in suo possesso. Si tratta in entrambi i casi di disposizioni in palese violazione con il principio del libero
movimento dei capitali.
532 Cfr. F. RAMPINI, OPA. Come scalzare il protezionismo, in La Repubblica, 3 marzo 2006, p. 51.
530
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generali e le altre decisioni del diritto comunitario533. Dall’altro, la Commissione vigila affinché
gli Stati membri rispettino lo spirito della norma sotto il duplice profilo della verifica della
rispondenza del divieto imposto dal singolo Stato con l’interesse pubblico invocato e della sua
compatibilità con la disciplina e gli obiettivi comunitari534.
Gli ostacoli posti dalla vigilanza assumerebbero, pertanto, la forma di comportamenti
discriminatori verso l’entrata di capitali esteri in partecipazioni di controllo. Comportamenti,
cioè, atti a favorire la protezione di “campioni nazionali” o a creare la percezione che tali
operazioni non siano gradite, così da scoraggiarne anche solo l’iniziativa. L’imboccare questa
strada avrebbe, è innegabile, un effetto considerevole di strappo rispetto allo jus receptum.
L’utilizzo “distorto” dei poteri di vigilanza da parte delle autorità creditizie dei Paesi membri
spesso finisce con il piegare la “sana e prudente gestione” non alle finalità di controllo
prudenziale (per le quali è stata introdotta dalla normativa comunitaria), ma a scopi di
conformazione del mercato o di promozione degli intermediari nazionali535.
Il concetto di salvaguardia dell’interesse generale è ripreso più volte anche nella
direttiva 2000/12/CE (attualmente trasfusa nella dir. n. 2006/48/CE) e rappresenta, in fondo,
uno degli elementi più discussi a causa della discrezionalità della sua valutazione e dell’assenza
di criteri oggettivamente forniti dal legislatore europeo. Vale la pena sottolineare, inoltre, come
sia sempre stata esclusa la possibilità che le Autorità di vigilanza nazionali possano dare
interpretazioni di tipo economico nella valutazione di operazioni, in particolare di quelle crossborder, che da sempre hanno suscitato numerose perplessità e incontrato numerose
resistenze536. La stessa Corte di Giustizia europea ha precisato che le restrizioni sono
ammissibili: 1) se esse sono state applicate in maniera non discriminatoria; 2) se sono
giustificate da cause importanti relative all’interesse generale; 3) se le restrizioni non vanno
oltre ciò che è necessario per garantire l’interesse generale; 4) se esse sono in grado di
533 Cfr. dichiarazioni del Ministro delle Finanze portoghese a “Visao”, come riportate nei punti 21 e 22
della Decisione 20 luglio 1999, A. de Sommer Champalimaud/Banco Santander Central Hispanoamericano, in Celex, n.
399M1616; per un dettagliato esame del caso si rinvia a R. DAMY, Les aspects juridiques des fusions et acquisitions
bancaires nationales et européennes, Paris, 2005, p. 305 ss.; M.R. RODRIGUEZ, Caso Champalimaud: UEM, Concentration
y Competencia en el sector financiero, in www.ucm.es/BUCM/cee(cjm/0001/simposium_1.pdf.). Nel caso de quo, la
Commissione aveva escluso che l’interesse nazionale potesse rientrare nell’ambito dell’art. 21, §. 3, ritenendo
invece che tale interesse risultava contrario al principio di non discriminazione fondato sulla nazionalità,
contenuto nell’art. 12 del Trattato, e in apparente violazione dei principi di libertà di stabilimento e di libertà di
movimento dei capitali dell’Unione europea. Il che rendeva di per sé illegittima la decisione del governo
portoghese ai sensi del quarto paragrafo dell’art. 21 reg. 4064/89.
A dire il vero, seppur a posteriori, le Autorità portoghesi tentarono invano di dimostrare che l’operazione
ledesse la legislazione bancaria portoghese in relazione ai principi di “sana e prudente gestione”. La decisione
dunque dimostrò come la Commissione fosse pronta ad esaminare nel merito anche gli interessi contemplati
dall’art. 21, §. 3, qualora vi fosse il fondato sospetto che, nella concreta applicazione delle norme prudenziali, le
Autorità degli Stati membri mirassero a conseguire obiettivi diversi da quelli dichiarati ed accettati a livello
comunitario (cfr. decisioni del 3 agosto 1999 e del 20 ottobre 1999, A. de Sommer Champalimaud/Banco Santander
Central Hispanoamericano, che possono leggersi in Celex, n. 399M1616).
534 Peraltro, come rileva M CLARICH, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, cit., p. 109, “Il
problema sorge perché nel diritto comunitario le decisioni della Commissione europea che hanno per oggetto la
compatibilità con il Trattato Cee di operazioni di concentrazione hanno un contenuto in parte discrezionale. Si
spiega così perché il provvedimento della Commissione che autorizza o vieta un’operazione di concentrazione ha
natura costitutiva e preclude l’intervento da parte di qualsiasi giudice nazionale o comunitario”.
535 Sul punto v. COMMISSIONE EUROPEA, Rapporto sugli ostacoli alle fusioni e alle acquisizioni transfrontaliere
presentato dal Commissario McCreevy all’Ecofin nella riunione dell’8 novembre 2005. In dottrina cfr. R.V.
VANDER, Cross-border Merger in European Banking and Bank Efficiency, in ECB Working Paper series, n. 398, ottobre
2004, disponibile sul sito http://www.ecb.int/pub/pdf/scpwps/ecbwp398.pdf.
536 Cfr., in proposito, art. 9 dir. n. 2000/12/CE, e ora art. 8 dir. n. 2006/48/CE.
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conseguire l’obiettivo che si prefiggono537. Qualsiasi deviazione da questi principi costituirebbe,
difatti, un’infrazione alle disposizioni normative europee.
Ne consegue che il diritto di veto può ostacolare la libertà di movimento dei capitali
solo se le quattro condizioni citate non sono riscontrate538. Nella ratio delle decisioni della Corte
di Giustizia ciò che emerge è che “l’interesse nazionale” non è un principio sufficientemente
trasparente per giustificare l’introduzione di misure atte a porre in essere discriminazioni verso
investitori non domestici, causando incertezza giuridica rispetto a queste operazioni539
La domanda radicale che allora è lecito porsi è se nelle vicende che attengono ad
operazioni di concentrazione cross border (nell’accezione comunitaria sopra delineata) la regola
ordinaria debba continuare a coincidere con la regola, fondata sulle ragioni prudenziali, di
imputazione (rectius, “traslazione”) alle autorità nazionali, come emblematicamente avviene nel
settore delle banche, della competenza a decidere; ovvero se il sistema debba invece
affrancarsene – sempre o in determinate fattispecie – in favore dell’adozione di una diversa
regola di imputazione e conseguentemente di una diversa regola di responsabilità in capo alle
autorità di vigilanza nazionali.
Resta ancora un dubbio: si può essere pienamente convinti che le regole europee sulla
vigilanza bancaria siano l’unico problema da risolvere? Prospettare una sorta di sindacato nel
merito delle decisioni di vigilanza da parte della Commissione UE – si sostiene – potrebbe
profilare una fattispecie riconducibile allo sviamento di potere. Vi è il pericolo, cioè, che
l’attuale pressione della Commissione porti ad allentare alcuni strumenti di controllo sulle
partecipazioni al capitale degli istituti di credito, che pare invece di poter considerare pur
sempre essenziali. Nessuno dubita che vi siano ancora meccanismi di intervento “politico” che
ostacolano il consolidamento bancario transnazionale, ma è necessario che le autorità di
vigilanza continuino ad effettuare uno scrutinio dei futuri azionisti delle banche e dei potenziali
effetti delle operazioni proposte, per garantire la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati.
537 CEBS (Committee of European Banking Supervisors), Advice in Cross border merger and acquisitions,
Publications 05/76, Londra, 31 maggio 2005, in http://www.c-ebs.org/pdfs/cebs0576.pdf.; COMMISSIONE
EUROPEA, The legal aspects of Intra-UE investment, in Official Journal, C220, Bruxelles, 19 luglio 1997.
538 La Corte di Giustizia della Comunità Europea, intervenuta spesso in caso di giudizi in merito al diritto
di veto esercitato da alcuni Paesi Europei sulla circolazione dei capitali, ha interpretato il concetto di movimento
di capitali in senso ampio. Tale principio/formula comprende, è stato specificato, anche acquisizioni tra Paesi
membri e tra Paesi membri e terzi, di azioni e titoli emessi da istituzioni domestiche al puro scopo di investimento
finanziario, senza il fine di esercitare alcuna influenza sul management delle istituzioni considerate. Soprattutto,
però, esso include operazioni di acquisto di partecipazioni di controllo in un’istituzione finanziaria. Queste ultime,
infatti, sono tutelate non solo dal principio di libera circolazione dei capitali, ma anche dal diritto di stabilimento.
A ciò si aggiunga che secondo un principio generale dell'ordinamento comunitario, affermato dalla giurisprudenza
consolidata, gli Stati membri non possono adottare, per la tutela di propri interessi nazionali, misure unilaterali
contrarie al diritto comunitario (c.d. “divieto di autotutela”). In proposito cfr. CGCE, sentenza 14 dicembre 1962,
Commissione contro Belgio e Lussemburgo, causa 2/62 e 3/62, in Raccolta, p. 813; sentenza 7 febbraio 1973, Commissione
contro Italia, causa 39/72, in Raccolta, p. 101; sentenza 7 febbraio 1979, Commissione contro Regno Unito, causa 128/78,
in Raccolta, p. 419. Forti dubbi erano stati sollevati in sede europea riguardo alle disposizioni contenute nel d.l. 25
maggio 2001, n. 192, norme che, appunto, sembravano avere carattere unilaterale, non compatibili con il diritto
comunitario primario e derivato, soprattutto con riferimento alle disposizioni in materia di diritto di stabilimento,
di cui agli artt. 43-48 del Trattato CE e di libera circolazione dei capitali, di cui agli artt. 56-60 del medesimo
Trattato.
539 Il riferimento primario ai diritti fondamentali europei discende dal principio della supremazia del diritto
comunitario sul diritto nazionale ad ogni livello, che la Corte di Giustizia europea ha sostenuto in una serie
coerente di sentenze sin dal 1963. La Corte di Giustizia europea ha ripetutamente sottolineato che questo
principio di supremazia si applica altresì senza restrizioni al diritto costituzionale degli Stati membri. Negli Stati
membri, questa dottrina semplice, ma severa, adottata dalla CGCE è stata sostanzialmente riconosciuta, specie
dalle corti. Si veda in particolare: Corte di Giustizia europea, sentenza n. 14.5.1974, Nold, causa 4/73, in Racc.,
1974, p. 491, §§. 13-14; ID., sentenza 13 dicembre 1979, Hauer, causa 44/79, in Racc., 1979, p. 3727, §§. 15-23.
- 161 -
In estrema sintesi, e per non restar fuori di metafora, alla fine di questa strada sta un esito
che permetterebbe a tutte le operazioni di concentrazione – tranne che ad alcune motivamente
selezionate – di sfuggire alla “strettoia” concettuale che oggi affligge il sistema in ragione,
essenzialmente, del ruolo ipertrofico assegnato alla nozione di “norme prudenziali”.
- 162 -
Osservazioni conclusive
L’irrompere sulla scena di rilevanti vicende finanziarie riguardanti alcuni tra i più
importanti istituti di credito nazionali ha evidenziato il carattere incompleto e, soprattutto, i
molteplici aspetti di controversa applicazione ed interpretazione della disciplina bancaria in
materia di assetti proprietari. In particolare, nel caso delle offerte pubbliche di acquisto, lo
svolgimento delle funzioni di vigilanza e supervisione della Banca d’Italia è spesso avvenuto in
conflitto oggettivo con altri poteri.
A voler azzardare qualche breve riflessione di fronte al quadro d’insieme tratteggiato nel
corso del lavoro, la cautela è d’obbligo, stante la vivacità ma anche la contraddittorietà degli
stimoli che tale scenario offre.
Si sono distinti a tal fine tre insiemi di questioni:
a) in primo luogo, quello del perimetro di intervento e dell’area di discrezionalità
nell’autorizzazione di acquisizioni consentiti alla vigilanza dal Testo unico bancario e dalla
normativa secondaria, in difformità dallo spirito della legislazione europea;
b) in secondo luogo, il tema del trasferimento del controllo delle banche quando si
impone il ricorso all’istituto delle offerte pubbliche di acquisto;
c) in terzo luogo, quello dell’attribuzione delle competenze antitrust anche in materia
bancaria alla ACGM, e il persistere di un potenziale conflitto fra i compiti di tutela della
concorrenza e quelli di vigilanza sulla stabilità.
Riguardo al primo punto, la ricerca di una corretta interpretazione della lettera e della
ratio della normativa nazionale e comunitaria ha permesso di dimostrare che la disciplina sugli
assetti proprietari delle banche è il frutto di una combinazione di intervento pubblico e di
meccanismi di mercato; tale complesso sistema di regole è necessario per garantire il
raggiungimento degli obiettivi di fondo della “sana e prudente gestione”, nonché della
separatezza banca e industria. È emerso, tuttavia, come la discrezionalità “politica” da parte
della Banca d’Italia nell’esercizio di queste competenze e l’eccessiva burocratizzazione del
sistema dei controlli costituiscono i fattori che possono mettere in crisi l’impianto
dell’autorizzazione all’acquisto di partecipazioni rilevanti nelle banche.
La tendenza di fondo del mutamento tutt’ora in atto può individuarsi nella progressiva
eliminazione dei meccanismi di tipo dirigistico (v. in proposito la soppressione dell’obbligo di
informativa preventiva) e programmatorio e delle varie forme di protezione, riservate in
particolare alle banche, che finivano per sostituire alle logiche imprenditoriali schemi di tipo
amministrativo; mentre, infatti, era assicurato un quadro di sostanziale stabilità degli
intermediari, venivano fortemente condizionati i livelli di efficienza allocativa e operativa del
sistema finanziario540.
Con riguardo al caso italiano – come è stato rimarcato in sede comunitaria – la
responsabilità è parsa in primo luogo addebitabile alla contraddittorietà di alcune scelte di
regolamentazione. Si tratta di regole create in tempi in cui gli assetti del sistema creditizio
mutavano solo a livello nazionale, e la Banca d’Italia li influenzava direttamente attraverso la
moral suasion e spesso senza atti formali; tali regole si sono mostrate gravemente inadeguate in
un contesto ormai europeo dove le Autorità operano secondo regole precise, con decisioni di
carattere collegiale, in un regime di trasparenza.
Il rischio denunciato anzitempo dalla dottrina si è tramutato nella sostanziale
conservazione della ingessatura degli assetti proprietari delle banche italiane e nell'ulteriore
540
Sul punto cfr. F. VELLA, Il corporate governance nelle banche tra regole di vigilanza e disciplina di mercato,
cit., p. 83.
- 163 -
allontanamento da quelle esigenze di ricambio del controllo che meriterebbero invece di essere
valorizzate541.
Come indicato nel secondo punto, quando il trasferimento del controllo avviene
attraverso il ricorso all’istituto delle offerte pubbliche di acquisto, i problemi più rilevanti
sorgono dalla difficoltà di raggiungere un equilibrio accettabile tra l’esigenza di garantire la
contendibilità di una società quotata (cercando, nel contempo, di non porre limiti troppo stretti
alla libertà della sua azione) e quella di preservare la stabilità del sistema bancario542.
La ricostruzione del quadro normativo ha consentito di evidenziare come l’iter
autorizzativo di ogni Opa bancaria (che prevede il giudizio positivo della Banca d’Italia e il via
libera della Consob alla pubblicazione del documento di offerta) appaia incardinato su controlli
strutturalmente e funzionalmente non omogenei fra loro, riguardando ciascuno aspetti diversi.
Il contrasto si palesa proprio tra i regolamenti che presiedono all’attività di vigilanza,
rispettivamente della Banca d’Italia e della Consob, in particolare con riferimento ai momenti
di definizione della data ufficiale di avvio dell’offerta pubblica, degli adempimenti e delle
modalità di comunicazione nonché di attuazione dell’operazione.
A ciò si deve aggiungere un ulteriore elemento di criticità, emerso nel corso dell’indagine,
costituito dall’intrecciarsi e dal sovrapporsi in modo disorganico delle competenze delle
Autorità di controllo coinvolte, fattore che contribuisce anch’esso a delineare un sistema di
vigilanza in più punti incoerente e lacunoso.
Andando più in profondità, alla ricerca cioè delle peculiarità degli interessi sottesi alla
disciplina dell’Opa e delle argomentazioni a sostegno dell’intervento autorizzativo della Banca
d’Italia, ci si è trovati di fronte ad un rovesciamento di prospettiva: mentre nell’offerta pubblica
di acquisto l’applicazione della disciplina muove dall’esigenza primaria di tutela degli investitori
(che l’art. 91 T.u.f. postula con riguardo al mercato del controllo societario), nella disciplina
degli assetti proprietari delle banche (ex art. 19 T.u.b.) le norme e i vincoli della procedura
indicata dal Testo unico bancario e dalle Istruzioni di vigilanza appaiono particolarmente
attente alle conseguenze dell’iniziativa di chi sollecita sulla “sana e prudente gestione” della
banca.
Il conflitto degli interessi coinvolti in siffatte operazioni è apparso evidente soprattutto al
ricorrere di particolari fattispecie di Opa bancarie543.
Come sostenuto in dottrina, la strada seguita dal legislatore sembra ispirata alla
convinzione che l’affiancamento alle regole vigenti per le banche di norme finalizzate alla
Cfr. G. OLIVIERI, Banche e Antitrust, in Mercato concorrenza regole, 2004, 2, p. 389 ss. D. SINISCALCO,
La credibilità è la dote chiave, in Il Sole 24 Ore, 3 settembre 2005, p. 1.
542 Sul punto cfr. V. PONTILLO, Finalità e destinatari della vigilanza (commento all’art. 5 T.u.b.), in F.
CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Padova, 2001, p. 56.
In tal senso v. pure le considerazioni di L. CARDIA, Audizione del presidente della Consob, nella Indagine conoscitiva su “i
rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio”, Camera dei Deputati, XIV Legislatura,
seduta del 20 gennaio 2004. Più in generale, R. COSTI, Queste norme sono una babele, in www.lavoce.info, del 2 maggio
2007, denuncia la “sia necessaria una rilettura coordinatrice di questa massa straripante di norme, dal punto di vista
sia dei contenuti sia delle tecniche legislative, sia dei limiti entro i quali è opportuna la delegificazione”.
543 Come è noto, la disciplina dell’Opa amplia, in un’ottica di maggiore tutela sul piano patrimoniale degli
azionisti di minoranza, le ipotesi in cui il socio può “uscire” dalla società, ottenendo la liquidazione della propria
partecipazione azionaria. Per contro, la Banca d’Italia afferma che questo interesse debba essere contemperato
con quello dei depositanti.
Si è cercato, quindi, di evidenziare come una siffatta impostazione si ponga in palese contrapposizione con
chi, nell’attuale assetto normativo, non ritiene più coerente la qualificazione della posizione giuridica degli azionisti
della s.p.a. bancaria in maniera sostanzialmente diversa da quella utilizzabile per i soci di società con oggetto
sociale diverso.
541
- 164 -
trasparenza e alla tutela degli azionisti non contrasti con le esigenze di stabilità e che, anzi, in
alcuni casi possa favorirle544.
Pertanto, volendo accogliere siffatte argomentazioni e muovendo dall’assunto che gli
obiettivi finali della sorveglianza pubblica non possono essere raggiunti senza che se ne
configuri il transito per obiettivi intermedi545, è sembrato possibile ritenere: a) in primo luogo,
che il principio di trasparenza possa attuarsi nelle garanzie di informazioni predisposte a favore
del pubblico degli investitori destinatari dell’offerta546; b) in secondo luogo, che il principio di
correttezza si realizzi nelle garanzie di partecipazione su un piano di parità degli investitori
oblati; c), infine, che il principio di stabilità, intesa in questo caso come rispetto delle esigenze
di continuità aziendale, si debba attuare nelle garanzie di contraddittorio tra soggetti offerenti,
amministratori della società bersaglio e Autorità di controllo547.
Si è giunti, così, alla conclusione che né la stabilità in sé, né la tutela dei depositanti, ma
l’inerenza di tali peculiari profili all’esercizio di un’attività, quale quella bancaria548, ritenuta
meritevole di una particolare considerazione disciplinare, costituisca il vero fattore
544 Come rileva D. LUCARINI ORTOLANI, op. ult. cit., p. 305, “L’interesse pubblico alla << sana e
prudente gestione >> dell’impresa bancaria per la << stabilità >>, l’<< efficienza >> e la << competitività >>
del sistema bancario nel suo complesso, come bene aggregato, deve, pertanto, guidare la funzione dell’organo di
vigilanza e non interferire con la stabilità delle singole imprese bancarie e, soprattutto, con l’autonomia decisionale
e la responsabilità di coloro che la gestiscono, ai quali sono estranei interessi pubblici… È indubbio che i criteri
indicati impongono dei limiti all’autonomia privata, statutaria e gestionale, estranei al diritto comune, ma – come
si è detto – costitiscono limiti esterni in quanto fissati da disposizioni generali, valide per tutti gli operatori bancari,
giustificati dal particolare oggetto sociale della società bancaria… ”. In senso conforme v. R. COSTI, Relazione di
sintesi, al Convegno su << Assetti proprietari e “corporate governance” delle banche italiane: problemi prospettive >>, cit.,
p. 216; C. BRESCIA MORRA, Società per azioni bancaria: proprietà e gestione, in Quad. giur. comm., n. 212, Milano,
2000., p. 44. Contra v. A. GUACCERO, La partecipazione del socio industriale nella società per azioni quotata, cit., p. 321
ss.
545 In tal senso v. L. SPAVENTA, La ristrutturazione del sistema bancario, cit., p. 3, il quale, tra l’altro, sostiene
che “quando il legislatore non ha previsto un esplicito coordinamento, come nel caso delle offerte pubbliche, le
norme, anche quelle preesistenti, vanno interpretate in modo da rendere compatibili con i principi della disciplina
del mercato finanziario”.
546 Diversa è, infatti, nell’uno e nell’atro caso la qualità e la funzione delle disclosure. Portando a svolgimento
l’ipotesi – che pure meriterebbe una compiuta verifica alla stregua dei principi comunitari e della stessa normativa
nazionale (cfr. art. 5 T.u.b.) –, ne sortirebbe che la stabilità e la concorrenza sono obiettivi complementari.
Ambedue fanno riferimento all’efficienza allocativa e operativa, che è alla base della sana e prudente gestione del
credito. Si veda in proposito R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2001, p. 140 ss.; M. LAMANDINI, Le
concentrazioni bancarie. Concorrenza e stabilità nell’ordinamento bancario, Bologna, 1988, p. 243 ss. Sull’argomento v. anche
il Parere della VI Commissione, Finanza e Tesoro del Senato, del 4 agosto di 1993, in Quaderni di ricerca giuridica della
Consulenza legale, n. 32, II, p. 287, con cui si riferiva che “…la normativa dovrà essere ispirata a criteri che orientino
le attività creditizie e finanziarie verso la concorrenza e il mercato, perseguendo in tal modo l’efficienza
economica”. È con questo scopo che s’inserisce il termine competitività, consolidando in questa maniera il nuovo
orientamento della vigilanza, che il disegno originale del Testo unico non contemplava.
547 Cfr. C. RABITTI BEDOGNI, Opa e mercato, Roma, 1999, p. 31. Secondo l’Autore “La complementarità
di tali garanzie è disposta dall’ordinamento nell’intento di conferire coerenza al sistema e massimizzare l’efficacia
delle potestà di vigilanza costituite dal legislatore, in funzione della tutela degli investitori (nel senso di integrità
patrimoniale e libertà di investimento) nonché dell’efficienza del mercato del controllo societario e del mercato dei
capitali. In questa chiave dunque dovranno essere esercitate le competenze che l’art. 91 del T.u.f. attribuisce alla
Consob nell’ambito della disciplina relativa agli emittenti, le quali vanno inquadrate secondo le linee
programmatiche ricavabili dall’esame congiunto degli artt. 5, 74 e 91 del T.u.f. Come è stato sottolineato, pur
attenendo a diversi settori dell’ordinamento del mercato finanziario, i citati articoli finiscono, infatti, per
influenzarsi e spiegarsi l’uno con gli altri”.
548 Cfr. L. ENRIQUES, Il conflitto di interessi nella gestione delle banche, in F. RIOLO e D. MASCIANDARO, Il
governo delle banche in Italia, Roma, 1999, p. 343 ss.; R. COSTI, Tutela degli interessi e mercato finanziario, in Riv. trim. dir.
e proc. civ., 1999, p. 769, il quale rileva che “le norme dettate per la stabilità delle banche hanno come obiettivo
ultimo l’organizzazione ottima dell’intermediazione finanziaria, come obiettivo immediato la sana e prudente
gestione della banca, ma come ulteriore obiettivo mediato la protezione di una classe di interessi << in carne ed
ossa >>, i depositanti”.
- 165 -
giustificativo dell’introduzione di un così ingerente apparato di controlli pubblici in occasione
del passaggio di quote “significative” del capitale delle banche549.
L’efficienza e la trasparenza del mercato del controllo societario sono, del resto, valori
strumentali, da rendere funzionali all’ottimizzazione della tutela degli investitori, sia nelle scelte
che il legislatore sarà chiamato a compiere, sia nell’azione regolamentare di Consob e Banca
d’Italia550.
Sulla base di tali premesse “teoriche”, si possono anche trarre alcune conclusioni di
carattere più concreto. Proprio perché il contrasto non è di fondo (o meglio, se esiste, è in
parte indipendente da come sono scritte le norme dei due testi legislativi che regolano la
materia), si ritiene possibile individuare alcuni punti essenziali che, in una prospettiva di
riforma dell’impianto normativo a livello di fonte subprimaria, garantiscano le esigenze di
entrambe le forme di vigilanza551:
a) come primo passo, ritengo che sarebbe opportuno procedere ad una riformulazione
delle modalità con cui è gestito il potere di autorizzazione delle acquisizioni del controllo. In
questa direzione muove la recente soppressione dell’istituto della comunicazione preventiva,
quale strumento-retaggio di una concezione antica che ha il profumo inconfondibile degli anni
’30, e dimostratosi tale da esautorare gli organi sociali e impedire al mercato di svolgere la sua
funzione di disciplina;
b) in particolare, allo scopo di assicurare che norme e procedure non favoriscano un
contendente a scapito dell’altro e, in particolare, un operatore nazionale a scapito di un
investitore europeo, le decisioni della Banca d’Italia volte ad autorizzare o negare l’acquisto di
quote di una banca al di sopra delle soglie indicate dovrebbero basarsi su criteri più specifici e
vincolanti, ai quali dare preventiva pubblicità, calibrati su requisiti oggettivi, fissati dall’Autorità
di vigilanza o, ancor meglio, dal legislatore, secondo quanto prevede la direttiva CE di
prossima attuazione, recante nuove norme sulle fusioni bancarie transfrontaliere;
c) se non previsti da norme specifiche, dovrebbero essere chiariti i tempi normalmente
seguiti dalla Banca d’Italia per la comunicazione di queste notifiche e la tempistica con la quale
il mercato e le altre parti interessate vengono informate;
d) nel caso di successive richieste da parte dello stesso soggetto a superare le varie soglie
occorrerebbe precisare chiaramente se la precedente autorizzazione relativa alla soglia più bassa
consenta di ridurre i tempi previsti;
e) infine, non sembrano ravvisarsi ragioni valide ad escludere che la procedura di
autorizzazione della Banca d’Italia possa svolgersi in parallelo con la procedura che va
dall’annuncio dell’operazione all’approvazione del documento d’offerta alla Consob, come
avviene in tutti gli altri settori soggetti a regolamentazione552.
V. in proposito le soluzioni prescelte dal Bank Holding Company Act statunitense o quelle, di marca più
prettamente organizzativa, adottate nell’ordinamento anglosassone. De jure condendo, l’introduzione di un termine
dilatorio per il rilascio del placet all’acquisizione, tale che l’Autorità di vigilanza bancaria non possa pronunciarsi
prima del decorso di un certo spatium deliberandi, e la contestuale riduzione del termine finale consentirebbero di
limitare considerevolmente le possibilità di conflitto tra tali interessi.
550 In senso conforme v. G. ROTONDO, L’applicazione della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto al settore
bancario, cit., p. 216 s.; S. BRAGANTINI, Unico rimedio, tornare alla regole, in Il Corriere delle Sera, 29 luglio 2005, p. 30.
551 Vale la pena ricordare uno dei principali casi di clamoroso conflitto tra le due Autorità che riguardò
l’insolvenza del Banco Ambrosiano. Sulla vicende v. il commento di G. MINERVINI, Banca d’Italia e Consob nel
caso Ambrosiano. Il problema del coordinamento delle organizzazioni di controllo, in Giur. comm., II, 1985, p. 833 ss.; M.
CERA, Insolvenza del Banco Ambrosiano e responsabilità degli organi pubblici di vigilanza, in Giur. comm., II, 1986, p. 427;
G. ROSSI, Il conflitto di obiettivi nell’esperienza decisionale delle autorità, in Riv. soc., 1997, p. 267 ss.
552 In merito alla gestione delle vicende bancarie – come ha sottolineato il Presidente della Consob L.
CARDIA, nella Relazione Consob. Incontro annuale con il mercato finanziario, 15 luglio 2005, disponibile sul sito
www.consob.it, – il buon funzionamento del mercato e il principio della parità di trattamento richiedono che le
autorità adottino “provvedimenti tempestivi e il più possibile sincroni, nel rispetto dei rispettivi ambiti di
competenza e delle diverse finalità”. L’impegno da parte delle Autorità preposte a “ridurre al minimo i tempi di
549
- 166 -
L’esempio più rilevante e comune al riguardo è rappresentato dal procedimento di
approvazione da parte dell’Antitrust553. Certo, in tal senso pensata, la procedura conserva un
elevato grado di complessità, così come alti rimangono i rischi di incertezza, tanto per lo
scalatore quanto per gli azionisti, la cui sorte è legata all’esito dell’istruttoria dell’Autorità di
vigilanza.
Questa soluzione consentirebbe però di evitare che il vaglio della vigilanza bancaria
avvenga prima di quello del mercato, situazione tecnicamente inaccettabile e ignota alla prassi
dei principali ordinamenti stranieri.
In termini più espliciti, l’operazione dovrebbe essere resa nota al mercato non appena
uscita dalla fase progettuale (prima ancora cioè dell’assunzione definitiva della decisione di
proporre un’Opa). E questo dovrebbe avvenire anche nell’eventualità in cui l’offerente non
disponga ancora di alcuni presupposti di procedibilità dell’offerta (come delibere assembleari,
autorizzazioni richieste da normative di settore), che gli consentano di redigere un testo
definitivo del documento di offerta.
Per porre rimedio a questa situazione si dovrebbe, dunque, prevedere un obbligo di
comunicazione dell’Opa non appena i termini essenziali dell’offerta siano stati decisi.
Pertanto, anche l’articolo 102 del T.u.f. dovrebbe essere modificato, in sostanza
prevedendo, a livello legislativo, la prima comunicazione che il regolamento Consob, poi
sostituito, già prevedeva.
Sembra d'altronde utile a chi scrive ribadire che, come dimostrato nei fatti e come più
volte sottolineato nel corso del lavoro, non rendere pubblica l’esistenza di un progetto di
acquisizione del controllo di una società aumenta i rischi di abuso, pregiudicando l’esito del
progetto stesso, ancor prima che ne sia stata accertata pienamente la praticabilità da parte delle
Autorità di vigilanza competenti.
Delineato l’ambito degli interventi ipotizzabili per sostenere un corretto bilanciamento
tra disciplina generale societaria e disciplina speciale bancaria, restano da formulare alcune
brevi riflessioni riguardo al tema dei profili concorrenziali delle Opa bancarie. Si è cercato
anche in tale ambito di affrontare la soluzione di un problema di conflitto che, in concreto, si
pone fra le valutazioni di vigilanza e quelle antitrust. La nuova legge sul risparmio ha cancellato
la speciale competenza della Banca d’Italia per l’applicazione delle regole antitrust alle banche,
attribuendola all’Autorità garante della concorrenza. Si tratta di una modifica da tempo e da più
parti auspicata, volta a conferire maggiore coerenza al principio di tutela della concorrenza
sinora rimasto sempre all’ombra delle esigenze di stabilità; e costituisce un passo significativo
verso il modello di regolazione dei mercati finanziari articolato “per finalità”.
Nell’articolazione dei controlli, il legislatore ha tenuto presente che le operazioni di
concentrazione fra banche assumono rilievo da due diversi punti di vista: quello della vigilanza
prudenziale sugli intermediari creditizi e quello della concorrenza del mercato. Di conseguenza
ha ribadito che sono necessarie sia l’autorizzazione della Banca d’Italia, per le valutazioni di
sana e prudente gestione, sia l’autorizzazione (ovvero il nulla osta) dell’Autorità garante della
concorrenza, a seguito della valutazione dell’assetto concorrenziale del mercato.
reazione” ed un maggiore coordinamento tra le Autorità e le relative procedure di autorizzazione “consentirebbe
di ridurre le fasi di incertezza e le conseguenti anomalie nelle quotazioni”.
553 L’analisi condotta ha permesso, infatti, di rilevare come nella disciplina antitrust, in caso di offerta
pubblica di acquisto, non si preveda un diritto della Banca d’Italia di essere informata prima della Consob e si
prospetti, invece, una diversa soluzione al problema del rapporto tra autorizzazioni previste da leggi speciali o da
offerte pubbliche di acquisto. Mentre, infatti, per l’acquisto di partecipazioni bancarie la procedibilità dell’offerta è
subordinata al rilascio dell’autorizzazione, la disciplina antitrust, al contrario, prevede espressamente che l’offerta
possa svolgersi in pendenza di istruttoria, anche se è paralizzata l’esercizio dei diritti di voto in capo all’acquirente,
sino all’esito dell’istruttoria stessa.
- 167 -
Sul piano procedurale era stato disposto, in un primo momento, che i provvedimenti
delle due Autorità in materia di concentrazioni bancarie fossero emanati con un “unico atto”.
Questa soluzione vincolava strettamente sul piano procedurale l’azione delle due Autorità,
accrescendo l’area di potenziale e problematica sovrapposizione, senza comportare – come
unanimemente sostenuto dalla dottrina – alcun evidente beneficio.
L’unica certezza legata alla previsione di un atto unico era, in sostanza, che esso dovesse
esprimere una posizione univoca, nel senso che se una delle due Autorità non fosse stata
d’accordo l’atto non poteva essere emanato. Il problema era, insomma, quello di intrecciare e
confondere insieme due valutazioni diverse che, tuttavia, dovevano, come si evinceva dal dato
normativo, restare distinte e autonome.
L’intervento correttivo operato con il d.lgs. n. 303 del 2006 ha consentito l’abolizione
dell’atto unico554. Attualmente i due procedimenti seguono, pertanto, uno sviluppo con
percorsi indipendenti l’uno dall’altro.
Nonostante ciò, restano ancora irrisolti taluni problemi applicativi e interpretativi che le
nuove disposizioni sollevano e che rendono l’assetto normativo per certi versi criticabile555.
Il mantenimento, nella legge sul risparmio, di una doppia competenza (tale che ogni
concentrazione bancaria debba superare il vaglio sia della Banca d’Italia riguardo alla stabilità,
sia della AGCM riguardo alla concorrenza), in realtà, equivale a dotare ciascuna delle due
Autorità di un potere di veto “concorrente” rispetto alle decisioni dell’altra. Anche in tal caso,
la soluzione è ottimale solo se si genera una fattiva collaborazione fra le due Authorities.
Per concludere, a parte la prevedibile riforma in un senso o nell’altro dei due sistemi (del
T.u.b. e del T.u.f.) ed il meno prevedibile successo dei tentativi di riforma delle Autorità di
vertice, è facile profezia che saranno le direttive comunitarie a segnare le linee di successivo
sviluppo della materia, come, d’altro canto, è normale che sia in una struttura di mercati
fortemente integrati come quella europea.
Tale abrogazione è da accogliersi con favore in quanto risponde positivamente alla raccomandazione già
espressa dalla BCE di mantenere le due procedure chiaramente distinte (v. §. 8 del parere CON/2005/58, cit.). Va
tenuto presente, infatti, che il valore della concorrenza e quello della tutela del risparmio (nella sua accezione più
ampia di tutela della stabilità del sistema bancario) stanno in rapporto diverso a seconda del fatto che si debba
analizzare una condotta abusiva o collusiva, da un lato, ovvero una strategia di crescita esterna (cioè una
concentrazione), dall’altro.
555 La legge sul risparmio doveva colmare le lacune del sistema e avere una visione organica e strategica.
Invece, numerosi sono stati gli appunti mossi al suo impianto. Cfr. R. COSTI, Sul coordinamento fra autorità di
vigilanza, in Banca impr. soc., 2001, p. 418; F. CAVAZZUTTI, La Consob e la regolazione dei mercati finanziari, in
Quaderni di finanza Consob, n. 38, 2000, p. 21 ss.
554
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