SETTIMANA 39-2013 v8:Layout 1 29/10/2013 14.12 Pagina 14 cultura PROPOSTI DALL’ASSOCIAZIONE CATTOLICA ESERCENTI CINEMA Tre documentari come opportunità pastorale L’ Acec (Associazione cattolica esercenti cinema) coglie l’occasione di nuove sfide e frontiere a supporto delle sue sale e delle parrocchie che desiderano utilizzare il cinema come opportunità pastorale. Con cuore puro, Fedele alla linea e L’ultima cima – da ottobre distribuiti da Acec – sono tre prodotti in bilico tra documentario e finzione che hanno la capacità di partire dalla realtà per estenderla ad altre “vette”. L’Acec ha scelto di rendere più semplice e raggiungibile la loro programmazione e fruizione perché i loro significati – a volte da partenze più laiche, altre volte da punti di vista credenti – possono diventare delle piattaforme di senso e di confronto su temi di straordinaria attualità per un pubblico disponibile a nuove proposte. Disponibili in dvd come in digitale per proiezioni pubbliche con costi contenuti, le tre opere sono una sperimentazione per percorsi dove i linguaggi s’impastano producendo appuntamenti tematici inediti.1 settimana 3 novembre 2013 | n° 39 L’ultima cima 14 Sacerdote, teologo, filosofo? È un quesito che potremmo porre a molti preti che in sé racchiudono ugualmente diverse “anime” le quali tendono – talvolta con difficoltà – ad integrarsi in una fondamentale unità di vita. A questa domanda che gli chiedeva di indicare l’ordine di priorità della sua vita, don Pablo rispose senza tentennamenti: «sacerdote, sacerdote, sacerdote». L’interrogazione che ben racchiude il senso de L’ultima cima, l’opera di Juan Manuel Cotelo su un prete spagnolo morto in montagna nel 2009, è il cuore di ogni vocazione – anche dei non consacrati – che sempre rappresenta e contiene in sé diverse dimensioni. Il regista le racconta tutte e tre cercando di comprenderne il legame e l’attendibilità che ciascuna di esse sapeva generare nelle altre. Il suo esercizio di ricerca diventa un’apprezzabile provocazione metodologica per chiunque desideri esplorare la propria complessità esistenziale e in essa ritrovare il bandolo della matassa. «Perché, dov’è il tuo tesoro – rassicura l’evangelista Matteo (6,21-23) – là sarà anche il tuo cuore. La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!». Don Pablo sapeva bene dov’era il suo cuore e, in questa sapienza, egli diventava un monito sano e leggero anche per gli altri. In questa prospettiva la sua straordinarietà assume la fisionomia della piena aderenza al vangelo, ai passi di Cristo che invita a godere dei tesori del mondo ma per farne occasioni di relazione, di fraternità e di dignità per l’altro. Le interviste raccolte dal regista dimostrano che Pablo accumulava speranza, coraggio e compagnia per trafficarli come beni preziosi. In essi egli trovava anche la luce della ragione – quella che lui chiamava la “ragionevolezza della fede” – che aveva sperimentato nello studio e nell’applicazione della filosofia e della teologia. L’invito di don Pablo, e di questo film, è diretto senza scorciatoie: dove sei? per cosa batte il tuo cuore? per cosa trovi il tempo? dove vorresti morire? Fedele alla linea «Sono stato allevato cattolico e felice. Poi con l’adolescenza ho scoperto il mondo moderno e la vita. Poi non ne potevo più». Sono queste le prime parole del documentario Fedele alla linea dedicato al graduale attraversamento e ricostruzione della vita di Giovanni Lindo Ferretti (frontman di gruppi punkrock di riferimento per più generazioni) e delle scelte che l’hanno accompagnata. In realtà, la fotografia meno nitida e la giovinezza del protagonista ci svelano che questa affermazione appartiene a molto tempo prima. È parte di un materiale d’archivio molto ampio con cui viene puntellata l’odierna narrazione del protagonista creando contrasti e collegamenti che esplicitano il presente già evocato nel prologo dedicato alla ferratura del cavallo da parte di un moderno maniscalco. In quel cavallo scopriremo un alter ego del protagonista: Giovanni Lindo Ferretti, un’anima ancora difficile da domare ma, al contempo, ormai forgiata dall’esistenza che, come uno zoccolo duro, impone delle priorità, delle decisioni, delle aderenze. Raccontare come i fili di un personaggio così poliedrico nelle competenze e nelle provocazioni si siano annodati, snodati e poi di nuovo riallacciati in tanti ambiti (politica, fede, famiglia e natura) è l’idea che sottende l’opera di Germano Maccioni. Tante volte esploso alla notorietà, altre volte sofferta e altre ancora abbandonata per ritrovare nuovi silenzi e parole più adeguati alla sua sete spirituale, Giovanni Lindo Ferretti narra con onestà, senza idealizzazioni o banalizzazioni, le epoche della sua vita. Evidenziandone lui stesso anche i limiti e le insidie che ha comunque cercato di allontanare con senso di fedeltà alla (sua) linea di pensiero, l’ex cantante – oggi in felice esilio sulla terra di mezzo dell’Appennino tosco-emiliano – mostra anche le contraddizioni e le tensioni vissute da un paese molto più grande di lui. Le sue parole sembrano ricalcare uno “schema”, quasi un meccanismo, che ha coinvolto una fetta molto più ampia della sua persona: l’educazione cattolica dell’infanzia, così naturalmente parte della famiglia italiana, spesso si sgretolava con il sopraggiungere delle nuove esperienze studentesche e della contestazione. A questo proposito si può, ad esempio, ricordare la breve biografia che Eugenio Scalfari traccia della sua giovinezza nella conversazione con papa Francesco avvenuta lo scorso 29 settembre a Santa Marta. «Santità, mi permette di dirle anch’io – propone il giornalista – qualche cosa sulla mia formazione culturale? Sono stato educato da una madre molto cattolica. A 12 anni vinsi addirittura una gara di catechismo tra tutte le parrocchie di Roma ed ebbi un premio dal Vicariato. Mi comunicavo il primo venerdì di ogni mese, insomma praticavo la liturgia e credevo. Ma tutto cambiò quando entrai al liceo…». Con cuore puro Lo studente «pensò che nulla è meno pratico dell’amore. In un mondo in cui la praticità è tutto, pensò fosse assai più utile lo studio della scienza e della filosofia». Se la prima edizione inglese de L’usignolo e la rosa (The Nightingale and the Rose di Oscar Wilde illustrato e decantato nel prologo di Con cuore puro) è del 1888, a distanza di più di un secolo chissà cosa è più utile in un mondo in cui tutto si mostra afferrabile, visitabile, intuitivo e acquisibile ma dove, al contempo, la maggior parte delle persone compie, invece, lavori ormai privi di ogni praticità. «Non è più tempo di nasconderselo: le nuove tecnologie – scrive il prof. Jean-Michel Besnier (Vita e Pensiero n. 1/2012) – non ci semplificano più la vita, semplificano fino alla caricatura i nostri comportamenti e i nostri pensieri, tanto da ridurci a semplice destinatario di un server vocale, semplice utilizzatore di un’automobile diventata scatola nera che risponde a comandi automatici, semplice digitatore di programmi di elaborazione di testi che assumono sempre più iniziativa nella redazione delle nostre corrispondenze. Siamo invitati a spogliarci degli elementi di complessità e di interiorità che ci inducevano a credere di essere qualcosa di diverso da una macchina». Una lunga premessa, come accade nel documentario di Lucrezia Moli, per dire la fondamentalità del discorso amoroso prescelto da Con cuore puro, ma anche la progressiva lontananza che l’epoca contemporanea determina con le sue caratteristiche rispetto ad una già difficile intrinseca familiarità con l’argomento. Eppure, anche se parlare dell’amore supportati dalla filosofia e dalla letteratura – gli intellettuali di Con cuore puro hanno risposte illuminanti – è un’esperienza intrigante che rivela sapientemente i passaggi e le insidie assolute e odierne dei sentimenti, viverlo però – le persone comuni sono titubanti di fronte ad alcune domande apparentemente banali – trova gli uomini e le donne comunque impreparati. Si tratta di una tematica a tutti gli effetti spinosa, che non si è più abituati a frequentare e che ci lascia attoniti nella sua semplicità. «Perché vuoi che lui ti ami?» è la domanda di base che, ad ogni buon conto, rimane senza risposta, sebbene le persone abbiano esperienza di tutto ma non più, a quanto pare, di se stessi. Consola però, in questo senso, che l’amore, essendo avventura – una delle parole fondamentali –, chiederà comunque conto perché ogni «storia d’amore è il tributo che l’innamorato deve pagare al mondo per riconciliarsi con se stesso». Arianna Prevedello 1 Per informazioni [email protected].