1 CODICE DI PROCEDURA PENALE COMMENTATO PIANO DELL’OPERA E COORDINATORI COSTITUZIONE Prof. Oliviero Mazza, Ordinario di Procedura penale presso l’Università Bicocca di Milano TRATTATO DI LISBONA Prof. Angelo Giarda, Ordinario di Procedura penale presso l'Università Cattolica di Milano LIBRO I - SOGGETTI Dott. Stefano Corbetta, Magistrato presso il Tribunale di Milano LIBRO II - ATTI Prof. Giovanni Paolo Voena, Ordinario di Procedura penale presso l’Università di Torino LIBRO III - PROVE Prof. Paolo Tonini, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Firenze LIBRO IV - MISURE CAUTELARI Prof. Giulio Garuti, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Modena e Reggio Emilia LIBRO V - INDAGINI PRELIMINARI E UDIENZA PRELIMINARE Prof. Angelo Giarda, Ordinario di Procedura penale presso l'Università Cattolica di Milano LIBRO VI - PROCEDIMENTI SPECIALI Prof. Giuseppe Di Chiara, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Palermo LIBRO VII - GIUDIZIO Prof. Adolfo Scalfati, Ordinario di Procedura penale presso l'Università Tor Vergata di Roma LIBRO VIII - PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA Prof.ssa Adonella Presutti, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Verona LIBRO IX - IMPUGNAZIONI Prof. Francesco Peroni, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Trieste LIBRO X - ESECUZIONE Prof. Luigi Kalb, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Salerno LIBRO XI – RAPPORTI GIURISDIZIONALI CON AUTORITÀ STRANIERE Prof.ssa Maria Riccarda Marchetti, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Sassari CODICE DI PROCEDURA PENALE COMMENTATO 2 NORME DI ATTUAZIONE, DI COORDINAMENTO E TRANSITORIE C.P.P. Prof. Vincenzo Garofoli, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Bari PROCESSO PENALE MINORILE E DISPOSIZIONI DI COORDINAMENTO E TRANSITORIE Prof. Paolo Pittaro, Associato di Diritto penale presso l'Università di Trieste GIUDICE PENALE DI PACE Prof.ssa Antonella Marandola, Associato confermato di Procedura penale presso l'Università di Trieste RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI Avv. Gianluca Varraso, Docente di Diritto penitenziario presso l'Università Cattolica di Milano e Docente di Procedura penale presso l’Università Carlo Cattaneo di Castellanza MANDATO D’ARRESTO EUROPEO Prof.ssa Maria Riccarda Marchetti, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Sassari SPESE DI GIUSTIZIA E GRATUITO PATROCINIO Prof. Giovanni Dean, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Perugia ORDINAMENTO PENITENZIARIO Prof. Carlo Fiorio, Associato di Procedura penale presso l'Università di Perugia PROCEDIMENTO DI PREVENZIONE Prof. Leonardo Filippi, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Cagliari STUPEFACENTI Prof. Sergio Lorusso, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Foggia IMMIGRAZIONE CLANDESTINA Prof. Leonardo Filippi, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Cagliari VIOLENZA NEGLI STADI Prof. Leonardo Filippi, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Cagliari LEGGE PINTO Prof. Giorgio Spangher, Ordinario di Procedura penale presso l'Università La Sapienza di Roma BANCA DATI DNA Prof. Paolo Tonini, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Firenze LEGITTIMO IMPEDIMENTO Prof. Giorgio Spangher, Ordinario di Procedura penale presso l'Università La Sapienza di Roma Art. 197 bis PROVE 3 Art. 197-bis Persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l’ufficio di testimone (1) 1. L’imputato in un procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12 o di un reato collegato a norma dell’articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444. 2. L’imputato in un procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell’articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sentito come testimone, inoltre, nel caso previsto dall’articolo 64, comma 3, lettera c). 3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 il testimone è assistito da un difensore. In mancanza di difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio. (2) 4. Nel caso previsto dal comma 1 il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione. Nel caso previsto dal comma 2 il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti. 5. In ogni caso le dichiarazioni rese dai soggetti di cui al presente articolo non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti e delle sentenze suddette. 6. Alle dichiarazioni rese dalle persone che assumono l’ufficio di testimone ai sensi del presente articolo si applica la disposizione di cui all’articolo 192, comma 3. (2) (1) Articolo inserito dall’art. 6, comma 1, L. 1° marzo 2001, n. 63. Per le modalità di applicazione delle presenti disposizioni ai processi penali in corso alla data di entrata in vigore della L. 1° marzo 2001, n. 63, vedi l’art. 26 della medesima L. 63/2001. (2) La Corte Costituzionale, con sentenza 21 novembre 2006, n. 381, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo, commi 3 e 6, nella parte in cui prevedono, rispettivamente, l’assistenza di un difensore e l’applicazione della disposizione di cui all’art. 192, comma 3, del presente codice di rito anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del presente articolo nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione "per non aver commesso il fatto" divenuta irrevocabile. SOMMARIO: I. Questioni di legittimità costituzionale - II Ambito soggettivo - III. La disciplina della testimonianza assistita - IV. Il privilegio contro l’autoincriminazione I. Questioni di legittimità costituzionale 1 La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dei c. 3 e 6 dell’art. 197 bis nella par- 4 Mezzi di prova Art. 197 bis te in cui prevedono, rispettivamente, l’assistenza di un difensore e la necessità dei riscontri in relazione alle dichiarazioni rese dal testimone assistito, quando si tratta di persona nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di assoluzione per non aver commesso il fatto [C Cost. 381/2006, DPP 2007, 316, che ha ravvisato un contrasto con l’art. 3 Cost.]. Ad avviso del Giudice delle leggi, tale ampia formula assolutoria è idonea a dissolvere qualsivoglia stato di relazione tra il dichiarante ed il processo nel quale egli è chiamato a deporre. Ciò accade anche in presenza di un legame di connessione forte (art. 12, lett. a) tra le regiudicande, proprio come si era verificato nel giudizio a quo. Una soluzione differente - secondo la Consulta - sarebbe causa di disparità di trattamento tra il quivis de populo, che depone come teste comune, e la persona prosciolta con ampia formula liberatoria divenuta definitiva. Viceversa, l’assoluzione irrevocabile per non aver commesso il fatto comporta per l’innocente una piena restitutio in integrum. Tale epilogo processuale, stante anche la garanzia del ne bis in idem, ripristina la terzietà dell’assolto rispetto al fatto oggetto dell’addebito e rende non necessaria una tutela del nemo tenetur se detegere [in senso critico, BONTEMPELLI (12) 815; CATALANO (23) 315; CONTI C. (36) 316; FRIGO (60) 76]. Per la Corte, la necessità dell’assistenza difensiva e dei riscontri determinerebbe in capo all’assolto una sorta di capitis deminutio. In particolare, la speciale regola di valutazione muove dalla presunzione di inaffidabilità del dichiarante, dovuta alla persistenza di un interesse in causa. Ancora, verrebbe a crearsi una assimilazione dell’innocente definitivamente giudicato all’imputato connesso con procedimento pendente (art. 210), pur facendo difetto una identità delle situazioni di tali soggetti: l’uno pienamente "assolto" dall’istanza punitiva, l’altro ancora sottoposto a procedimento penale. In senso critico rispetto alla posizione del Giudice delle leggi, è stato osservato che non tutte le sentenze di assoluzione si fondano su di una identica base probatoria, anche alla luce del principio del ragionevole dubbio. Pertanto, non è possibile affermare tout-court l’assenza di un qualsivoglia interesse del dichiarante nel momento in cui è chiamato a deporre. Può darsi che egli, nel processo a suo carico, fosse rimasto in silenzio per non ammettere la propria reità e, successivamente, sia stato assolto sulla base del ragionevole dubbio. Tale soggetto, chiamato a deporre con obbligo di verità potrebbe trovarsi costretto ad ammettere la propria responsabilità con riferimento al fatto coperto dal giudicato di assoluzione [CONTI C. (36) 316; DI BITONTO (47) 496; MAZZA (75) 3981]. Occorre, peraltro, evidenziare che con la sentenza in parola la Corte non ha sortito l’effetto di equiparare completamente i dichiaranti de quibus ai testimoni comuni. Infatti, nella pronuncia non si rinviene alcun riferimento all’art. 197 bis c. 5. Tale norma, che resta ancora applicabile ai soggetti in commento, stabilisce l’inutilizzabilità contra se delle dichiarazioni, eventualmente rese, nei procedimenti civili o amministrativi relativi ai fatti oggetto delle sentenze emesse nei loro confronti. La persistente operatività della disposizione appena ricordata impedisce, dunque, nell’ambito del sistema disegnato dalla stessa Corte, una piena assimilazione tra il testimone comune e quello prosciolto con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto [CONTI C. (36) 316]. 2 Stante l’estrema precisione della pronuncia, che concerne la sola ipotesi dell’imputato assolto irrevocabilmente “per non aver commesso il fatto”, resta fuori dal dictum della Corte il caso dell’imputato assolto “perché il fatto non sussiste”, a meno di non ritenerlo già ricompreso nella declaratoria in oggetto sulla base dell’argumentum a fortio- Art. 197 bis PROVE 5 ri [peraltro, il Giudice delle leggi, con ordinanza 115/2009, ha dichiarato manifestamente inammissibile per carenza di descrizione della fattispecie la questione di legittimità costituzionale dell’art. 197 bis c. 3 e 6 nella parte in cui si applicano all’assolto perché il fatto non sussiste. In dottrina, per tutti, BARGIS (11) 1113]. Incertezze ancora maggiori restano in relazione agli epiloghi assolutori meno favorevoli previsti dall’art. 530 c. 1 (il fatto non costituisce reato, il fatto non è previsto dalla legge come reato, l’imputato non è punibile) [FRIGO (60) 76; CONTI C. (36) 316]. II. Ambito soggettivo 1 L’art. 197 bis è stato introdotto dalla l. 1° marzo 2001 n. 63. Contestualmente alla riduzione della incompatibilità a testimoniare, il legislatore ha voluto inserire una disciplina munita di garanzie per tutelare le persone in relazione alle quali veniva configurato un inedito obbligo di verità [CONTI C. (32) 186 ss]. Per questa ragione ha creato la c.d. testimonianza assistita. L’istituto è così denominato in ragione dell’assistenza difensiva che è riconosciuta ai dichiaranti [C VI 7.2.2007, Catanzaro e altro, CED 235922; C V 25.9.2007, Costanza, CP 2008, 2812]. Si tratta di una disciplina già in qualche modo sperimentata in altri ordinamenti, come quello francese [AIMONETTO (1) 84; CATALDO (24) 160] e quello tedesco [ORLANDI (79) 309], sia pure con differenti requisiti. 2 Ove si seguano le cadenze della incompatibilità a testimoniare, delineata dall’art. 197, è possibile distinguere tra due categorie di testimoni assistiti: 1) gli imputati connessi (art. 12 lett. a e c) o collegati (art. 371 c. 2 lett. b) nei cui confronti sia stata emessa sentenza irrevocabile di proscioglimento, condanna o applicazione della pena su richiesta delle parti, che diventano compatibili come testimoni automaticamente, per il solo fatto di essere stati "giudicati" (art. 197 bis c. 1) [nulla è detto circa il decreto penale di condanna. Prospettano una interpretazione correttiva, CAPRIOLI (18) 186; MARANDOLA (70) 448; VIGONI (98) 100. ORLANDI (80) 188, nota 83 auspica che a tale omissione si ponga rimedio]; 2) gli imputati connessi teleologicamente o collegati (artt. 12 lett. c e 371 c. 2 lett. b), il cui procedimento sia ancora pendente o chiuso con un provvedimento non irrevocabile (art. 197 bis c. 2). Questi ultimi possono essere sentiti come testimoni assistiti se - previo avvertimento ex art. 64 c. 3 lett. c - hanno reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui; la compatibilità a testimoniare è limitata a tali fatti. L’escussione può aver luogo anche nel procedimento riunito, giacché l’art. 197 bis nulla prevede in proposito [Trib. Bologna, 9.4.2001, S.R., GM 2002, 510. Contra, AMODIO (2) 3597]. È stato da più parti rilevato come l’esame testimoniale dell’imputato nel proprio procedimento rappresenti un istituto inedito nel nostro sistema [BARGIS (9) 233; CONTI G. (39) 25; ILLUMINATI (64) 400 e 402; LOZZI7 249; TONINI (93) 737]. In verità, a seguito della sentenza costituzionale n. 381/06, pare essersi delineata una terza categoria di testimoni che potrebbero essere definiti non "assistiti" ma comunque “garantiti” [CONTI C. (36) 316]. Si tratta degli imputati assolti con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto (cfr. supra, I, 1). 6 Mezzi di prova Art. 197 bis 3 La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che l’imputato connesso o collegato giudicato irrevocabilmente divenga compatibile con la qualifica di teste assistito a prescindere dal fatto che abbia ricevuto l’avvertimento ex art. 64 c. 3 lett. c e abbia in precedenza reso dichiarazioni sul fatto altrui [contra, CAIANIELLO (17) 1396]. Come si desume dalla parola "sempre", contenuta nel c. 1 dell’art. 197 bis, la compatibilità a testimoniare consegue automaticamente all’irrevocabilità della sentenza [C IV 18.2.2009, Mantegna, CED 242981; C I 9.5.2006, A., CP, 2007, 4261; C VI 4.4.2003, Vitale, CP 2004, 2963; C VI 7.5.2003, Brambilla, CP 2005, 557]. In particolare, l’art. 210, c. 1, nella parte in cui si riferisce ai soggetti nei cui confronti “si è proceduto” separatamente, non può indurre ad affermare che anche gli imputati “giudicati” divengano compatibili soltanto a seguito delle dichiarazioni sul fatto altrui. Infatti, tale clausola, se correttamente interpretata, concerne esclusivamente le persone nei cui confronti il procedimento si è chiuso con un epilogo differente dalla sentenza irrevocabile. Pertanto, gli imputati “giudicati” possono deporre come testimoni su tutti i fatti oggetto di prova, a prescindere dall’oggetto di eventuali precedenti dichiarazioni [C VI 6.11.2006, Simonetti, CP 2008, 2028. Si veda, peraltro, Trib. Rovereto, 17.6.2008, GM, 2008, 2635, secondo cui non può essere ascoltato con le forme di cui all’art. 197 bis l’ex coimputato che abbia visto definita la propria posizione con l’emissione del decreto penale di condanna opposto da altro coimputato, a ciò ostando il possibile effetto estensivo ex art. 464 c. 5]. 4 Quanto alla situazione dell’imputato connesso teleologicamente o collegato, che diviene testimone assistito prima della sentenza irrevocabile, ai sensi dell’art. 64 c. 3 lett. c, le critiche mosse dalla dottrina sono innumerevoli. Si sottolinea, infatti, come la scelta di rendere dichiarazioni non sia libera bensì coatta. Tale conclusione si fonda su due rilievi. Il primo stigmatizza l’individuazione della sede elettiva, nella quale le dichiarazioni erga alios possono trasformare l’imputato connesso in teste, nell’interrogatorio. Tale sede non è idonea ad assicurare la libertà morale del dichiarante [CONTI C. (32) 358; FRIGO (59) 405; TONINI (94) 77. Per differenti considerazioni, PATANÈ (81) 354]. In secondo luogo, e soprattutto, la natura coatta è dovuta al fatto che l’assunzione della qualifica di teste, anche quando avviene in forza di dichiarazioni rese dinanzi al giudice (ad es. in dibattimento, cfr. sub art. 210), consegue comunque ad una valutazione, circa l’"altruità" dei fatti dichiarati, compiuta da un soggetto differente rispetto al dichiarante. Dunque, la rinuncia al diritto al silenzio può essere non consapevole [CONTI C. (32) 358; FRIGO (59) 405; TONINI (94) 77. Sul concetto di “fatto altrui”, per tutti BARGIS (11) 1107; FERRUA (56) 185; ORLANDI (80) 169]. Tuttavia, in più occasioni, la Corte costituzionale ha considerato non irragionevole la disciplina allestita dal legislatore, escludendone l’illegittimità [C Cost. 291/2002, DPP 2002, 1213; C Cost. 451/2002, CP 2003, 476; C Cost. 485/2002, ibidem, 854]. 5 Nell’assetto normativo introdotto nel 2001, gli imputati connessi “forti” (art. 12, lett. a) restano radicalmente incompatibili con la qualifica di testimone fino alla sentenza irrevocabile, anche qualora si trovino a rendere dichiarazioni sul Art. 197 bis PROVE 7 fatto altrui [C I 18.10.2005, Sberna, CED 232448]. Una siffatta regolamentazione è stata ritenuta dalla Consulta come il frutto di scelte discrezionali non irragionevolmente esercitate dal legislatore che ha adeguatamente tutelato il diritto al silenzio “corollario essenziale dell’inviolabilità del diritto di difesa” [C Cost. 485/2002, CP 2003, 854; C Cost. 202/2004, GC 2004, 2063]. 6 L’art. 197 bis non disciplina espressamente lo status dell’indagato o dell’imputato connesso nei cui confronti sia stata pronunciata archiviazione o sentenza di non luogo a procedere. Il silenzio della legge ha dato luogo ad una spaccatura in giurisprudenza. Un primo indirizzo equipara i soggetti in esame agli imputati giudicati con sentenza irrevocabile, attraverso una integrazione analogica degli epiloghi procedimentali menzionati ex professo dall’art. 197 bis. In base a tale orientamento la corretta qualifica processuale è quella di testimoni assistiti [C V 25.9.2007, Costanza, CP, 2008, 2812; C VI 28.2.2007, Simonetti, CP 2008, 1490. In dottrina, FANULI-LAURINO (53) 3943; DI MARTINO (50) 1037]. Un secondo orientamento minoritario, accolto prevalentemente dalla giurisprudenza di merito, sostiene che tali soggetti debbano essere considerati testimoni comuni interpretando l’art. 197 in base al canone ubi lex voluit dixit [tra le tante pronunce, Trib. Fermo, 11.2.2003, ANPP 2003, 145]. Una ulteriore soluzione, fatta propria anche dalla Corte costituzionale [C Cost. 76/2003, GD 2003, 17, 52 e C Cost. 250/2003, GC 2003, 2097], consiste nell’equiparazione degli imputati de quibus a quelli con procedimento pendente [C III 8.6.2007, Pontoriero, CED 237073; C V 15.3.2007, Grimaldi, CP, 2008, 1987; C IV 19.2.2004, Cagnino, CP, 2005, 2038; C II 15.5.2003, Scumaci, CED 226279. In dottrina, BARGIS (11) 1103; CONTI C. (35) 663; DANIELE (43) 719]. Dunque, tali soggetti sono radicalmente incompatibili come testimoni se si tratta di ex indagati o imputati connessi per concorso nel medesimo reato. Se, viceversa, si trattava di indagati o imputati connessi teleologicamente o collegati, essi sono considerati compatibili come testimoni qualora rendano o abbiano reso dichiarazioni sulla responsabilità altrui e nei limiti dei fatti dichiarati [C II 9.7.2008, Manticello e altri, CED 241298; C II 10.4.2008, Dell’Utri, CED 240946; C VI 1.2.2005, Gilbo, CP 2006, 3710. In dottrina FERRUA (57) 176]. La soluzione in esame rinviene la propria ratio giustificatrice nel rilievo che sia l’archiviazione, sia la sentenza di non luogo a procedere sono provvedimenti definitivi soltanto allo stato degli atti e possono essere posti nel nulla sulla base di presupposti processuali alquanto evanescenti (artt. 414 e 434) [C IV 19.2.2004, Cagnino, CP 2005, 2038 con riferimento al decreto di archiviazione; C Cost. 76/2003 e C Cost. 250/2003]. All’evidenza, il soggetto, nei cui confronti sia intervenuto uno dei predetti epiloghi, ove fosse sentito come teste, sia pure assistito, potrebbe compromettere la propria posizione processuale. Successivamente ai ricordati interventi della Corte costituzionale, la Cassazione ha riproposto la soluzione, che opta per la qualifica di testimoni assistiti, in una versione più “sofisticata”, definita “teoria della irrevocabilità sostanziale” [CONTI C. (38) 13]. Tale impostazione è stata prospettata con riferimento a quelle ipotesi nelle quali la sentenza di non luogo a procedere è stata pronunciata con una formula in relazione alla quale in concreto non appare profilabile un provvedimento di revoca. Si tratta, in particolare, dei casi in cui il non luogo a procedere è stato emesso per estinzione del reato [diffusamente, C VI 28.2.2007, Simonetti, CP 2008, 1490]. In senso contrario, la Cassazione ha affermato che la teoria in discorso non 8 Mezzi di prova Art. 197 bis può essere accolta in quanto la sentenza di non luogo a procedere è sempre formalmente revocabile indipendentemente dalle ragioni che ne hanno determinato la pronuncia [C I 2.12.2004, Narducci, CP, 2006, 1043, sul rilievo dirimente che l’irrevocabilità sostanziale non è prevista dall’ordinamento]. La tesi appena prospettata appare giuridicamente più corretta in quanto la sentenza di non luogo a procedere, ancorché emessa per estinzione del reato, potrebbe essere revocata in presenza di una nuova prova che determini un mutamento nella qualificazione giuridica del fatto. Inoltre, l’accoglimento della teoria della irrevocabilità sostanziale comporterebbe la possibilità di allargare, a seconda del caso concreto, il novero dei provvedimenti irrevocabili oltre la lettera degli artt. 197 e 197 bis. In tal modo, si opererebbe una estensione analogica di un elenco chiaramente configurato come tassativo. Da tale discutibile opzione ermeneutica dipenderebbe in concreto l’operatività o meno della fattispecie incriminatrice della falsa testimonianza [CONTI C. (38) 13]. 7 La compatibilità con la qualifica di teste assistito può scattare anche nel corso delle indagini preliminari, qualora l’indagato sentito dalla p.g. o dal p.m. renda, previo rituale avvertimento, dichiarazioni sulla responsabilità di imputati connessi teleologicamente o collegati. Da un lato, vi è chi afferma che il p.m. o la p.g., una volta che l’indagato abbia reso tali dichiarazioni, potrà chiudere l’interrogatorio ed aprire immediatamente un nuovo verbale di assunzione di informazioni dal possibile testimone [CONTI C. (32) 234]. Secondo altri, occorre che l’interrogatorio volga al termine prima di sentire il soggetto come persona informata sui fatti [GAETA (61) 443]. In ogni caso, il p.m. o la p.g. (sia delegata, sia in atti di iniziativa) potranno sentire l’imputato connesso teleologicamente o collegato (artt. 12 lett. c e 371 c. 2 lett. b) come "futuro testimone assistito" nel corso delle indagini. Infatti, l’art. 362 richiama, tra le norme applicabili all’assunzione di informazioni, l’art. 197 bis, relativo alla testimonianza assistita [BRESCIANI (13) 266]. Allo stesso modo, la norma relativa alle sommarie informazioni assunte dalla p.g. (art. 351) rinvia all’art. 362 e, conseguentemente, alla disposizione appena ricordata (art. 197 bis) [FERRUA (56) 80; NOBILI (78) 7]. Ovviamente la deposizione può essere resa anche in incidente probatorio, perché la testimonianza assistita è riconducibile al genus della testimonianza [sul punto CONTI C. (32) 270]. Sulle concrete dinamiche dell’acquisto della qualità di testimone assistito e dell’esame dibattimentale, cfr. sub art. 210. 8 La giurisprudenza ha esaminato l’ipotesi in cui un dichiarante, rientrante nell’ambito delle ricordate categorie, sia escusso nella veste di testimone comune, anziché in quella di testimone assistito. Accanto ad un orientamento che ha escluso sia la nullità, sia la inutilizzabilità delle dichiarazioni, sul rilievo che le cause di invalidità sono tassative [C VI 7.2.2007, Catanzaro e altro, CED 235922, fattispecie in cui il soggetto era stato sentito senza l’assistenza del difensore], esiste un differente indirizzo, secondo cui le dichiarazioni sono inutilizzabili [C V 25.9.2007, Costanza, CP 2008, 2812; C V 17.12.2008, Mastroianni, GD 2009, 11, 65, che hanno ritenuto inutilizzabili ai sensi dell’art. 64 Art. 197 bis PROVE 9 c. 3 bis le dichiarazioni della persona offesa dal reato commesso in danno reciproco qualora essa sia stata sentita come testimone senza l’osservanza delle garanzie del testimone assistito; C I 9.4.2009, Brancato ed altro, CED 243170, con riferimento alla possibilità di rinnovare l’audizione rituale in appello]. III. La disciplina della testimonianza assistita 1 Regola fondamentale per l’esame del testimone assistito è la presenza obbligatoria del difensore (c. 3). L’assistenza difensiva è esclusa soltanto per l’imputato assolto con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto [C Cost. 381/2006 sul rilievo che tale soggetto non necessita di garanzie maggiori rispetto al teste comune (cfr. supra, I)]. In mancanza di un difensore di fiducia è prevista la designazione di un difensore d’ufficio [C I 9.4.2009, Brancato ed altro, CED 243170]. Il legislatore ha omesso di riprodurre la locuzione, presente nell’art. 210 c. 3, secondo cui il difensore "ha il diritto di partecipare all’esame". Su tale base testuale, in dottrina si ritiene che egli non possa rivolgere domande [CASCINI (21) 307; SANTORO (86) 44]. La funzione dell’avvocato consiste nel tutelare il dichiarante assicurando che l’esame non si estenda oltre i limiti dell’obbligo di verità di volta in volta assunto con le dichiarazioni erga alios e che l’assistito non sia costretto a rispondere a domande autoincriminanti [GRE4 VI Prove, in CONSO-GREVI, CompPP 329; MOROSINI (76) 314, rileva che il difensore potrebbe sollecitare un accertamento preliminare circa la corretta qualifica della persona escussa]. Occorre ritenere che l’assenza dell’avvocato comporti nullità esclusivamente qualora rientri nei casi tassativi previsti agli artt. 178 e 179, che si riferiscono al solo difensore dell’"imputato" nel proprio procedimento [in termini problematici, CONTI C. (32) 279-280. Perplessità mostra anche DANIELE (42) 201-202]. 2 È discusso se i testimoni assistiti possano essere ammessi, in quanto tali, al patrocinio a spese dello Stato. In proposito, la Cassazione ha optato per una lettura di segno contrario affermando che l’istituto si estende alle procedure derivate ed accidentali (art. 75 d.P.R. n. 115 del 2002) solo se connesse ad un procedimento nel quale il richiedente sia già stato ammesso al beneficio in quanto titolare di una delle qualifiche soggettive elencate nel primo comma dell’art. 74 del d.P.R. n. 115 del 2002 [C IV 11.6.2008, Di Bari e altro, CED 240898. Nel medesimo solco interpretativo, Trib. Roma, 24.5.2005, Marocchi, CP 2005, 2744. Prospettano una interpretazione estensiva dell’istituto, DIPAOLA (51) 2748; SECHI (89) 1673]. 3 Altra importante garanzia riconosciuta al testimone assistito è costituita dalla inutilizzabilità contra se delle dichiarazioni eventualmente rese. Tutto ciò che viene affermato nel corso della testimonianza è inutilizzabile sia nel procedimento a carico del dichiarante, sia nel giudizio di revisione della sentenza di condanna, sia, infine, in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo ai fatti concernenti la propria responsabilità (art. 197 bis c. 5). Naturalmente le dichiarazioni saranno utilizzabili in un eventuale procedimento a carico del testimone assistito in ordine ai reati di calunnia o falsa testimonianza che egli abbia commesso nel corso della deposizione 10 Mezzi di prova Art. 197 bis [CONTI C. (32) 295; DANIELE (42) 211]. Si tratta all’evidenza di una norma di chiusura che riveste una duplice funzione. Per un verso, mira ad indurre il dichiarante a non avvalersi del privilegio contro l’autoincriminazione (cfr. infra, IV) e a rendere dichiarazioni anche sulla propria responsabilità, confidando nella inutilizzabilità contra se delle stesse [CONTI C. (32) 295]. Per un altro verso, la disposizione appare finalizzata a coprire tutte quelle ipotesi nelle quali gli ambigui confini che separano fatto proprio e fatto altrui, obbligo testimoniale e facoltà di tacere, possono provocare una lesione del diritto di difesa [GREVI, Prove, in CONSO-GREVI, CompPP4 331. Per il rilievo che tale disciplina non riconosce una tutela completa, giacché le dichiarazioni potrebbero comunque avere una qualche valenza contra reum quanto meno come fonte informale di ulteriori indagini nei confronti dell’imputato connesso, CONTI C. (32) 294; DANIELE (42) 213; ILLUMINATI (64) 404; NOBILI (78) 8]. La Cassazione ha sottolineato che la sanzione dell’inutilizzabilità è prevista solo nel caso in cui di queste dichiarazioni si faccia uso contro la persona che le ha rilasciate [C II 9.7.2004, Ambrosio ed altro, CED 230364; C VI 26.11.2007, Ferraro, CED 238720]. Come precisato cfr. supra I, 1), la norma resta applicabile agli imputati assolti irrevocabilmente per non aver commesso il fatto, anche a seguito della sentenza costituzionale n. 381/2006. 4 L’ultimo comma dell’art. 197 bis stabilisce che al contributo probatorio dei testimoni assistiti si applica l’art. 192 c. 3, in base al quale le dichiarazioni rese dall’imputato connesso "sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità". Dunque, occorre che il contributo probatorio del teste assistito trovi riscontri nelle altre risultanze probatorie. La norma tiene conto della scarsa attendibilità di soggetti che potrebbero avere un forte interesse a mentire [secondo BARGIS (11) 1101, la disciplina conferma il fatto che la qualità di testimone assistito non cancella quella attuale o pregressa di “imputato”]. Il legislatore ha allestito un complicato meccanismo per ridurre l’incompatibilità a testimoniare, inserendosi nelle più delicate dinamiche dei rapporti tra diritto al silenzio e diritto a confrontarsi con l’accusatore. Eppure non si è fidato fino in fondo dei nuovi testimoni che ha reclutato e ha imposto la necessità dei riscontri [CARCANO-MANZIONE (19) 20; CONTI C. (32) 298; MOROSINI (76) 320]. La Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla disciplina nella parte in cui prevede la necessità dei riscontri anche per le dichiarazioni rese dai testimoni assistiti ex coimputati del medesimo reato nei cui confronti sia stata emessa sentenza di patteggiamento. Il Giudice delle leggi ha ritenuto che tali soggetti non possano essere equiparati ai testimoni comuni. Per la Consulta, la necessità dei riscontri, lungi dal determinare un vulnus del principio di uguaglianza, si risolve in un esercizio non irragionevole della discrezionalità del legislatore [C Cost. 265/2004, ANPP 2005, 135]. Successivamente sollecitata a pronunciarsi in relazione alla medesima norma, ha dichiarato la incostituzionalità dell’art. 197 bis c. 6 nella parte in cui si applica anche all’imputato assolto con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto [C Cost. 381/2006, cfr. supra, I, 1] Infatti, in base al principio di graduazione tra i diversi status dei dichiaranti a seconda del legame tra le regiudicande, quella appena indicata costituisce la situazione più simile alla posizione del teste comune. Art. 197 bis PROVE 11 5 Dal canto suo, la giurisprudenza di legittimità, ha avuto occasione di cimentarsi in più occasioni con il quantum di riscontri necessario in relazione alla qualifica del dichiarante [C V 10.4.2006, Brancatelli e altri, GD, 2006, 25, 95]. Da qualche giudice di merito si era prospettato che la qualità di testimone assistito, con il relativo obbligo di verità, rendesse meno pregnante l’esigenza dei riscontri [C Ass. Palermo, IV, 18.4.2007, R. e altro, GM 2008, 2607]. Secondo la Cassazione, viceversa, una simile distinzione sarebbe non soltanto arbitraria (in forza del brocardo ubi lex non distinguit nec nos distinguere debemus), ma anche priva di qualsiasi logica e coerenza sistematica, posto che la valutazione di attendibilità presuppone verifiche variabili che non possono porsi in rapporto esclusivo con le qualità processuali del dichiarante, ma devono tener conto di tutta l’ampia e innominata gamma dei parametri (anche di ordine logico) che possono fungere da criteri di apprezzamento dei riscontri esterni del narrato [C II 3.5.2005, Tringali, Famb, 2005, 298]. Sotto un differente profilo, la Suprema Corte ha chiarito che la dichiarazione liberatoria di un coimputato o di un testimone assistito non può costituire da sola prova nuova tale da giustificare una richiesta di revisione, stante la necessaria corroboration [C I 4.4.2007, Procida, CP 2008, 2979]. IV. Il privilegio contro l’autoincriminazione 1 Tra le garanzie riconosciute al testimone assistito, fondamentale importanza riveste il privilegio contro l’autoincriminazione [sulla differenza teorica che intercorre tra "diritto al silenzio", regola generale, e "privilegio contro l’autoincriminazione", che spetta al testimone e costituisce una deroga eccezionale al regime ordinario, costituito dall’obbligo di rispondere secondo verità, TONINI (94) 71]. Occorre distinguere la disciplina riservata ai testimoni assistiti con processo pendente, o definito con provvedimento non irrevocabile, da quella prevista per i "giudicati". 2 In relazione agli imputati connessi teleologicamente o collegati prima della sentenza irrevocabile, l’art. 197 bis c. 4, secondo periodo, stabilisce che il teste assistito non può essere obbligato a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per il quale si procede o si è proceduto nei suoi confronti. Poiché l’obbligo testimoniale è limitato a quei fatti altrui che siano stati oggetto delle precedenti dichiarazioni (artt. 197 lett. b e 64 c. 3 lett. c), l’unico caso in cui l’escussione in qualità di teste assistito può investire la propria responsabilità è l’ipotesi nella quale le precedenti dichiarazioni vertano su fatti inscindibili [CONTI C. (32) 283]. Si tratta di una ipotesi frequente: quando tra le regiudicande vi sia un collegamento o una connessione quasi sempre i fatti che riguardano altri possono concernere anche la propria responsabilità [DANIELE (42) 204]. La Corte costituzionale ha ritenuto legittimo il riconoscimento del privilegio contro l’autoincriminazione giustificandolo con il fine di evitare che l’imputato connesso o collegato, che abbia assunto la qualità di testimone assistito, si trovi costretto a rendere dichiarazioni autoincriminanti [C Cost. 291/2002, DPP 2002, 1213]. In definitiva, nelle situazioni descritte, il testimone assistito è obbligato a deporre soltanto sul fatto altrui già dichiarato, mentre resta incompatibile con riguardo ad ulteriori fatti. Inoltre, anche in re- 12 Mezzi di prova Art. 197 bis lazione al fatto dichiarato può valersi del privilegio contro l’autoincriminazione se si tratta di un fatto inscindibile. In proposito si è coniata l’espressione "testimone ad intermittenza" [TONINI (95) 37]. Se, tuttavia, il soggetto in parola accetta di deporre sui fatti inscindibili, egli è obbligato a rispondere secondo verità, perché in relazione ad essi è divenuto testimone [CONTI C. (32) 306]. La disciplina è di difficile applicazione pratica; continue eccezioni in merito allo status del dichiarante e all’esistenza o meno del privilegio contro l’autoincriminazione rischiano di paralizzare l’efficacia dell’esame [MARINI-PEPINO (72) 1029]. Una questione problematica concerne, poi, l’ipotesi in cui il testimone assistito non si avvalga del privilegio contro l’autoincriminazione e renda dichiarazioni false. In tali situazioni potrebbe astrattamente prospettarsi l’operatività della scusante prevista dall’art. 384 c. 1 c.p. Ebbene, in proposito, occorre ricordare la soluzione di recente fatta propria dalle Sezioni Unite con riferimento al prossimo congiunto che non si sia avvalso della facoltà di astenersi dal deporre. Secondo il Supremo Collegio, tale soggetto - una volta che abbia rinunciato alla facoltà di non deporre - ha l’obbligo di rispondere secondo verità a pena di falsa testimonianza e non può più invocare in suo favore la predetta scusante [C SU 29.11.2007, Genovese, CP 2008, 2339]. L’interpretazione appena prospettata è destinata a riverberarsi anche sulla disciplina della testimonianza assistita, qualora la persona escussa non si avvalga del privilegio contro l’autoincriminazione. 3 Nell’ambito degli imputati “giudicati” l’art. 197 bis c. 4 primo periodo riconosce uno speciale privilegio al solo condannato. La facoltà di tacere opera in favore di colui che nel processo a suo carico "aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione" [per un esame delle ipotesi nelle quali si può affermare che l’imputato abbia negato la propria responsabilità, BRICCHETTI (14) 1272-1273; CORBETTA (40) 681; MADDALENA (67) 26]. Pertanto quel condannato, che sia sempre rimasto in silenzio o si sia proclamato innocente, può tacere sui fatti oggetto del giudicato. Vi è chi rileva che tale disciplina finisce con il condizionare la strategia difensiva di ogni imputato nel processo a proprio carico [SANTORO (86) 42. Secondo ILLUMINATI (64) 403, la norma costituisce un incentivo a tacere]. La garanzia in esame è posta essenzialmente a tutela dell’onore, giacché è attribuita ad una persona ormai condannata irrevocabilmente. Il privilegio è riconosciuto soltanto qualora la sentenza sia stata pronunciata in giudizio. Il legislatore esclude inequivocabilmente dall’ambito applicativo della garanzia in discorso quei soggetti nei cui confronti sia stata emessa sentenza di patteggiamento [Trib. Milano, 27.1.2004, Famb 2004, 189]. Tale disciplina era stata concepita tenendo conto del fatto che il codice non prevedeva espressamente la possibilità di sottoporre a revisione la sentenza di patteggiamento. Si riteneva pertanto che le dichiarazioni contra se rese con obbligo di verità non potessero in alcun modo pregiudicare il soggetto che aveva patteggiato. Dal canto suo l’art. 197 bis c. 5 prevedeva espressamente l’inutilizzabilità dei relata nel procedimento di “revisione della sentenza di condanna”. La successiva l. n. 134 del 2003 ha esteso alla applicazione della pena su richiesta l’istituto della revisione, senza modificare in alcun modo l’art. 197 bis. Dunque, oggi colui che ha patteggiato, a differenza del condannato, non è garantito né ex ante dal privilegio contro l’autoincriminazione, né - stando alla tenore testuale della norma - ex post dalla inutilizzabilità delle proprie dichiarazioni nel giudizio di revisione [sulla problema- Art. 197 bis PROVE 13 tica, BARGIS (11) 1102; CONTI C. (32) 199-200]. La disciplina appena esposta ha dato luogo a dubbi di compatibilità con la Carta fondamentale. Tuttavia, la Corte costituzionale [C Cost. 456/2007, GC 2007, 4920] ha dichiarato manifestamente infondata la questione di incostituzionalità dell’art. 197 bis c. 4 nella parte in cui non riconosce il privilegio al soggetto che ha patteggiato quando questi nel procedimento a suo carico aveva negato la propria responsabilità o non aveva reso alcuna dichiarazione. A parere della Consulta, l’imputato, nell’optare per il rito alternativo è posto ex ante nella condizione di apprezzare le conseguenze che scaturiscono da tale scelta, tra le quali, appunto, anche quella di non essere esonerato dal deporre come teste assistito in altri processi, anche se strettamente collegati a quello per il quale ha subito la applicazione della pena. Resta, tuttavia, problematico negare ai soggetti in parola, che si trovino costretti a rendere false dichiarazioni l’applicazione della scusante prevista dall’art. 384 c. 1 c.p. [secondo la giurisprudenza di merito, nel caso in cui si proceda per il reato di false informazioni al p.m., non è punibile la persona, imputata in un procedimento connesso che abbia già definito la propria posizione processuale con sentenza di patteggiamento passata in giudicato, che sia stata sentita ai sensi dell’art. 197 bis nell’ambito del procedimento a carico degli originari concorrenti, allorché le dichiarazioni false o reticenti siano giustificate dall’esigenza di salvare il proprio onore ai sensi dell’art. 384 c.p. Così, Trib. Genova, 16.9.2006, CM 2007, 761. Con riferimento all’imputato irrevocabilmente assolto, v. anche Trib. Genova, 14.10.1997, Fortunato, CP 1998, 3419. Si veda amplius CONTI C. (32) 365]. L’imputato prosciolto, colui che ha patteggiato e il condannato, fuori delle ipotesi sopra ricordate, sono obbligati a rispondere secondo verità sui fatti coperti dal giudicato [ritengono ingiustificata la negazione di ogni tutela a tali soggetti AMODIO (2) 3592; CORBETTA (40) 681]. 4 La chiarificazione dell’ambito applicativo della garanzia riconosciuta dall’art. 197 bis c. 4 è estremamente importante ove si abbia riguardo alle conseguenze processuali che sortisce la negazione della stessa. Se il giudice non riconosce il privilegio, pur correttamente eccepito, e obbliga il dichiarante a deporre, le dichiarazioni eventualmente rese saranno inutilizzabili (art. 191). Nella medesima situazione, dal punto di vista del diritto penale sostanziale, una eventuale reticenza o falsità non è punibile giacché il teste non avrebbe potuto essere obbligato a rispondere (art. 384 c. 2 c.p.) [CONTI C. (35) 666]. 5 Prima di concludere con la problematica in oggetto, è appena il caso di ricordare che tutti i testimoni assistiti, oltre a vedersi riconosciuto il privilegio speciale disciplinato dall’art. 197 bis c. 4, godono altresì del comune privilegio contro l’autoincriminazione previsto dall’art. 198 c. 2 su fatti diversi da quelli per i quali si procede o si è proceduto nei loro confronti [CONTI C. (32) 294, nt. 194]. Allo stesso modo, sono applicabili tutte le altre norme previste per il testimone e, in particolare, l’art. 497 sull’impegnativa, gli artt. 498-499 sull’esame incrociato e l’art. 500 sulle contestazioni [secondo C IV 9.3.2009, Cacchiarelli, CED 244042, le dichiarazioni utilizzate per le contestazioni che siano state successivamente confermate - anche se in termini laconici - vanno recepite e valutate come dichiarazioni rese direttamente in sede dibattimentale]. 14 Mezzi di prova Art. 197 bis BIBLIOGRAFIA: (1) AIMONETTO, Le recenti riforme della procedura penale francese. Analisi, riflessioni e spunti di comparazione, Torino 2002; (2) AMODIO, Giusto processo, diritto al silenzio e obblighi di verità dell’imputato sul fatto altrui, CP 2001, 3589; (3) ANDREAZZA, Profili problematici di applicazione dell’art. 197-bis c.p.p., DPP 2003, 242; (4) ID., Considerazioni a margine della sentenza sez. un. Genovese: la causa di non punibilità dell’art. 384 c.p. e la rinuncia alla facoltà di astenersi, CP 2008, 2339; (5) ID., Imputati di "reati reciproci" e incompatibilità a testimoniare: mutamento di rotta nella giurisprudenza della Corte?, CP 2008, 2814; (6) ID., Sub artt. 197 e 197 bis, in Codice di procedura penale commentato, a cura di TRANCHINA, Milano 2008, 1544; (7) ID., La valutazione delle dichiarazioni rese dal testimone assistito e l’esigenza di gradazione dei riscontri richiesti dall’art. 192 comma 3 c.p.p., GM 2008, 2614-2619; (8) ANDREAZZABALSAMO, La prova dichiarativa, GM 2006, 1604; (9) BARGIS, Sub art. 8, l. 1° marzo 2001, n. 63, LP 2002, 233; (10) ID., Sub art. 18 l. 1° marzo 2001, n. 63, LP 2002, 315; (11) ID., voce Testimonianza, in Enc. dir., Annali, t. 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DGius, Milano 2001; (20) CARINI, La testimonianza, in GAITO, II, 505; (21) CASCINI, Contraddittorio e limiti del diritto al silenzio. (Prime note a margine della legge 1° marzo 2001, n. 63), QG 2001, 318; (22) CASIRAGHI, Le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria non possono generare la figura del testimone assistito, IP 2006, 681 s.; (23) CATALANO, I confini della testimonianza assistita nel prisma del sindacato di ragionevolezza, RIDPP 2007, 301; (24) CATALDO, Imputato e "testimone assistito": la recente riforma in Francia, in TONINI, Giusto processo, 160; (25) CIARAVOLO-TRANQUILLO, L’audizione della persona già indagata di reato, DPP 2002, 493; (26) COLETTA, Diritto al silenzio della persona già sottoposta ad indagini preliminari e compatibilità con l’ufficio di testimone, ANPP 2002, 701; (27) CONTI C., La Consulta valuta la testimonianza assistita: un istituto coerente con l’intento del legislatore, DPP 2002, 1215; (28) ID., Profili penalistici della testimonianza assistita: l’esimente dell’art. 384 c.p. tra diritto al silenzio e diritto a confrontarsi con l’accusatore, RIDPP 2002, 840; (29) ID., Le nuove norme sull’interrogatorio dell’indagato (art. 64 c.p.p.), in TONINI, Giusto processo, 192; (30) ID., La riduzione dell’incompatibilità a testimoniare (art. 197 c.p.p.), in TONINI, Giusto processo, 280; (31) ID., L’esame di persona imputata in un procedimento connesso o collegato (art. 210 c.p.p.), in TONINI, Giusto processo, 335; (32) ID., L’imputato nel procedimento connesso. Diritto al silenzio e obbligo di verità, Padova 2003; (33) ID., Esame dell’imputato e avvisi ex art. 64 c.p.p.: la Consulta suggerisce l’interpretazione "analogica", DPP 2004, 85; (34) ID., Le dichiarazioni dell’imputato connesso che diventa testimone in dibattimento, DPP 2005, 355-358; (35) ID., Questioni controverse in tema Art. 197 bis PROVE 15 di prova dichiarativa a quattro anni dalla legge n. 63 del 2001, CP 2005, 658; (36) ID., Imputato assolto per non aver commesso il fatto: deve essere equiparato al testimone comune, DPP 2007, 316; (37) ID., voce Testimonianza assistita, in Il Diritto - Enciclopedia giuridica del Sole 24 ore, 16, Milano 2008, 50; (38) ID., Il testimone assistito: incertezze legislative e soluzioni giurisprudenziali, DPP 2009, 11; (39) CONTI G., Un freno alla facoltà di non rispondere per non vanificare il contraddittorio, DGius 2001, 24, 312; (40) CORBETTA, Principio del contraddittorio e riduzione del diritto al silenzio, DPP 2001, 680; (41) CORDÌ, Il regime delle dichiarazioni testimoniali rese dall’imputato in procedimento connesso o per reato collegato assolto per non aver commesso il fatto, FI 2007, 2023-2026; (42) DANIELE, La testimonianza "assistita" e l’esame degli imputati in procedimenti connessi, in KOSTORIS, Gproc, 200; (43) ID., Lacune della disciplina sulla testimonianza assistita, CP 2005, 713; (44) DE CAROLI, Orientamenti giurisprudenziali in tema di testimonianza assistita, LP 2006, 331; (45) DELL’ANNA, L’esame del coimputato in reato connesso e la chiamata di correo, in GAITO, II, 557; (46) DELL’ORCO, Tra diritto al silenzio e obbligo di dire la verità: la nuova figura dell’imputato-testimone, in AA.VV., Giusto processo e prove, 117; (47) DI BITONTO, La Corte costituzionale riapre il dibattito sulla testimonianza assistita, CP 2007, 491; (48) ID., Quali garanzie per la deposizione del tossicodipendente cessionario di sostanze stupefacenti?, CP 2007, 4067; (49) DI CHIARA, Dichiarazioni erga alios e letture acquisitive: i meccanismi di recupero del sapere preacquisito dall’imputato in un procedimento connesso, in KOSTORIS, Gproc, 25; (50) DI MARTINO, L’incompatibilità a testimoniare: problemi vecchi e nuovi, IP 2002, 1037; (51) DIPAOLA, Sull’applicabilità della disciplina del patrocinio a spese dello Stato alle ipotesi di testimonianza assistita, CP 2005, 2746; (52) FANULI, La semiplena probatio delle dichiarazioni del “testimone assistito” al vaglio della Consulta: un’occasione mancata, ANPP 2005, 137; (53) FANULI-LAURINO, Incompatibilità a testimoniare e archiviazione dopo la legge sul c.d. giusto processo: un nodo apparentemente irrisolto, CP 2002, 3943; (54) ID., Le mobili frontiere del testimone comune, del testimone assistito e del dichiarante ex art. 210 c.p.p. 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Annosa questione mai risolta, CP 2005, 2233; (63) GREVI, Alla ricerca di un processo penale "giusto", Milano 2000; (64) ILLUMINATI, L’imputato che diventa testimone, IP 2002, 397; (65) IZZO, I limiti di operatività delle garanzie dell’imputato in processo connesso, DGius 2003, 15, 70; (66) MADDALENA, "Giusto processo" e funzione dell’accusa, con particolare riferimento alla criminalità organizzata, in KOSTORIS, Gproc, 363; (67) ID., Riforma del sistema probatorio e ruolo del pubblico ministero, in AA.VV., Giusto processo e 16 Mezzi di prova Art. 197 bis prove, 25-26; (68) MAGI, Le figure normative del dichiarante: in particolare il testimone assistito, QG 2002, 1307; (69) MANZIONE, Sub art. 2, l. 1° marzo 2001, n. 63, LP 2002, 158; (70) MARANDOLA, Il testimone assistito, SI 2003, 448; (71) ID., L’assolto con sentenza irrevocabile in un altro processo è testimone (C Cost. 381 del 2006), SI 2007, 502; (72) MARINI-PEPINO, Crisi di un modello o crisi del processo?, QG 2001, 1029; (73) MARCIANÒ, La concreta incidenza dell’obbligo di verità a carico del dichiarante: un criterio essenziale per la valutazione del contributo probatorio delle dichiarazioni rese, ANPP 2008, 595; (74) MAZZA, L’interrogatorio e l’esame dell’imputato nel suo procedimento, Milano 2004; (75) ID., Lo strano caso del testimone-imputato assolto per non aver commesso il fatto, GC 2008, 3978; (76) MOROSINI, Il "testimone assistito" tra esigenze del contraddittorio e tutela contro l’autoincriminazione (art. 197 bis c.p.p.), in TONINI, Giusto processo, 303; (77) ID., Associazione di stampo mafioso e "testimonianza" dell’imputato aliunde, DPP 2003, 481; (78) NOBILI, Giusto processo e indagini difensive: verso una nuova procedura penale?, DPP 2001, 6; (79) ORLANDI, Coimputato e imputato di un reato connesso nel processo germanico, in AA.VV., Le nuove leggi penali, Padova 1998, 309; (80) ID., Dichiarazioni dell’imputato su responsabilità altrui: nuovo statuto del diritto al silenzio e conseguenti restrizioni in tema d’incompatibilità a testimoniare, in KOSTORIS, Gproc, 153; (81) PATANÈ, Il diritto al silenzio dell’imputato, Torino 2006; (82) PAULESU, Giudice e parti nella "dialettica" della prova testimoniale, Torino 2002; (83) RIVIEZZO, La verità processuale e il divieto delle dichiarazioni contra se. Così la Consulta ha conciliato due contrastanti esigenze, DGius 2003, 18, 76; (84) RUARO, La testimonianza “assistita” del concorrente condannato ex art. 444 c.p.p.: presupposti e garanzie, GI 2004, 1691; (85) SANNA, L’interrogatorio e l’esame dell’imputato nei procedimenti connessi, 2^ ed., Milano 2007; (86) SANTORO, Il cambio da coimputato a teste esalta il confronto, GD 2001, 13, 42; (87) SCAGLIONE, Dichiarazioni procedimentali e giusto processo, Torino 2005; (88) SCALFATI, Aspetti dell’acquisizione dibattimentale di fonti dichiarative, IP 2003, 637; (89) SECHI, Esame dell’imputato in procedimento connesso ed estensione del patrocinio per i non abbienti, GI 2002, 1673; (90) ID., Il patrocinio dei non abbienti nei procedimenti penali, Milano 2006; (91) SURACI, La Corte costituzionale rivede la disciplina della testimonianza assistita, SI 2008, 517-520; (92) TETTO, Capacità di testimoniare e garanzie difensive del "dichiarante": la difficile collocazione processuale dell’esame del "testimone"/indagato per un reato probatoriamente collegato destinatario di provvedimento di archiviazione, ANPP 2003, 307; (93) TONINI, Giusto processo, diritto al silenzio ed obbligo di verità: la possibile coesistenza, in AA.VV., Studi in ricordo di Giandomenico Pisapia, II, Milano 2000, 729; (94) ID., Diritto al silenzio e tipologia dei dichiaranti, in AA.VV., Giusto processo e prove, 71; (95) ID., L’alchimia del nuovo sistema probatorio: una attuazione del giusto processo?, in TONINI, Giusto processo, 3; (96) ID., Il diritto al silenzio tra giusto processo e disciplina di attuazione, CP 2002, 839; (97) VALENTINI, Il recepimento dei princìpi del giusto processo nella nuova formulazione dell’art. 111 Cost. e nelle disposizioni di attuazione, CP 2002, 2229; (98) VIGONI, Ius tacendi e diritto al confronto dopo la l. n. 63 del 2001: ipotesi ricostruttive e spunti critici, DPP 2002, 100. Dott.ssa Carlotta Conti Ricercatrice di diritto processuale penale nell’Università di Firenze