Ipsoa - Codice di procedura penale commentato - con Cd

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CODICE DI PROCEDURA PENALE COMMENTATO
PIANO DELL’OPERA E COORDINATORI
COSTITUZIONE
Prof. Oliviero Mazza, Ordinario di Procedura penale presso l’Università Bicocca di Milano
TRATTATO DI LISBONA
Prof. Angelo Giarda, Ordinario di Procedura penale presso l'Università Cattolica di Milano
LIBRO I - SOGGETTI
Dott. Stefano Corbetta, Magistrato presso il Tribunale di Milano
LIBRO II - ATTI
Prof. Giovanni Paolo Voena, Ordinario di Procedura penale presso l’Università di Torino
LIBRO III - PROVE
Prof. Paolo Tonini, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Firenze
LIBRO IV - MISURE CAUTELARI
Prof. Giulio Garuti, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Modena e
Reggio Emilia
LIBRO V - INDAGINI PRELIMINARI E UDIENZA PRELIMINARE
Prof. Angelo Giarda, Ordinario di Procedura penale presso l'Università Cattolica di Milano
LIBRO VI - PROCEDIMENTI SPECIALI
Prof. Giuseppe Di Chiara, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Palermo
LIBRO VII - GIUDIZIO
Prof. Adolfo Scalfati, Ordinario di Procedura penale presso l'Università Tor Vergata di Roma
LIBRO VIII - PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
Prof.ssa Adonella Presutti, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Verona
LIBRO IX - IMPUGNAZIONI
Prof. Francesco Peroni, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Trieste
LIBRO X - ESECUZIONE
Prof. Luigi Kalb, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Salerno
LIBRO XI – RAPPORTI GIURISDIZIONALI CON AUTORITÀ STRANIERE
Prof.ssa Maria Riccarda Marchetti, Ordinario di Procedura penale presso l'Università
di Sassari
CODICE DI PROCEDURA PENALE COMMENTATO
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NORME DI ATTUAZIONE, DI COORDINAMENTO E TRANSITORIE C.P.P.
Prof. Vincenzo Garofoli, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Bari
PROCESSO PENALE MINORILE E DISPOSIZIONI DI COORDINAMENTO
E TRANSITORIE
Prof. Paolo Pittaro, Associato di Diritto penale presso l'Università di Trieste
GIUDICE PENALE DI PACE
Prof.ssa Antonella Marandola, Associato confermato di Procedura penale presso l'Università di Trieste
RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI
Avv. Gianluca Varraso, Docente di Diritto penitenziario presso l'Università Cattolica di
Milano e Docente di Procedura penale presso l’Università Carlo Cattaneo di Castellanza
MANDATO D’ARRESTO EUROPEO
Prof.ssa Maria Riccarda Marchetti, Ordinario di Procedura penale presso l'Università
di Sassari
SPESE DI GIUSTIZIA E GRATUITO PATROCINIO
Prof. Giovanni Dean, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Perugia
ORDINAMENTO PENITENZIARIO
Prof. Carlo Fiorio, Associato di Procedura penale presso l'Università di Perugia
PROCEDIMENTO DI PREVENZIONE
Prof. Leonardo Filippi, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Cagliari
STUPEFACENTI
Prof. Sergio Lorusso, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Foggia
IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
Prof. Leonardo Filippi, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Cagliari
VIOLENZA NEGLI STADI
Prof. Leonardo Filippi, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Cagliari
LEGGE PINTO
Prof. Giorgio Spangher, Ordinario di Procedura penale presso l'Università La Sapienza di Roma
BANCA DATI DNA
Prof. Paolo Tonini, Ordinario di Procedura penale presso l'Università di Firenze
LEGITTIMO IMPEDIMENTO
Prof. Giorgio Spangher, Ordinario di Procedura penale presso l'Università La Sapienza di Roma
Art. 197 bis
PROVE
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Art. 197-bis Persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l’ufficio di
testimone (1)
1. L’imputato in un procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12 o di
un reato collegato a norma dell’articolo 371, comma 2, lettera b), può essere
sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata
sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della
pena ai sensi dell’articolo 444.
2. L’imputato in un procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12,
comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell’articolo 371, comma
2, lettera b), può essere sentito come testimone, inoltre, nel caso previsto dall’articolo 64, comma 3, lettera c).
3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 il testimone è assistito da un difensore.
In mancanza di difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio. (2)
4. Nel caso previsto dal comma 1 il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi
confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero
non aveva reso alcuna dichiarazione. Nel caso previsto dal comma 2 il testimone
non può essere obbligato a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti.
5. In ogni caso le dichiarazioni rese dai soggetti di cui al presente articolo
non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna
ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei
procedimenti e delle sentenze suddette.
6. Alle dichiarazioni rese dalle persone che assumono l’ufficio di testimone ai sensi
del presente articolo si applica la disposizione di cui all’articolo 192, comma 3. (2)
(1) Articolo inserito dall’art. 6, comma 1, L. 1° marzo 2001, n. 63. Per le modalità di applicazione delle presenti disposizioni ai processi penali in corso alla data di entrata in vigore
della L. 1° marzo 2001, n. 63, vedi l’art. 26 della medesima L. 63/2001.
(2) La Corte Costituzionale, con sentenza 21 novembre 2006, n. 381, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo, commi 3 e 6, nella parte in cui prevedono, rispettivamente, l’assistenza di un difensore e l’applicazione della disposizione di cui all’art.
192, comma 3, del presente codice di rito anche per le dichiarazioni rese dalle persone,
indicate al comma 1 del presente articolo nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza
di assoluzione "per non aver commesso il fatto" divenuta irrevocabile.
SOMMARIO: I. Questioni di legittimità costituzionale - II Ambito soggettivo - III. La
disciplina della testimonianza assistita - IV. Il privilegio contro l’autoincriminazione
I. Questioni di legittimità costituzionale
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La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dei c. 3 e 6 dell’art. 197 bis nella par-
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Mezzi di prova
Art. 197 bis
te in cui prevedono, rispettivamente, l’assistenza di un difensore e la necessità dei riscontri in relazione alle dichiarazioni rese dal testimone assistito, quando si tratta di persona
nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di assoluzione per non aver
commesso il fatto [C Cost. 381/2006, DPP 2007, 316, che ha ravvisato un contrasto
con l’art. 3 Cost.]. Ad avviso del Giudice delle leggi, tale ampia formula assolutoria è
idonea a dissolvere qualsivoglia stato di relazione tra il dichiarante ed il processo nel
quale egli è chiamato a deporre. Ciò accade anche in presenza di un legame di connessione forte (art. 12, lett. a) tra le regiudicande, proprio come si era verificato nel giudizio
a quo. Una soluzione differente - secondo la Consulta - sarebbe causa di disparità di trattamento tra il quivis de populo, che depone come teste comune, e la persona prosciolta
con ampia formula liberatoria divenuta definitiva. Viceversa, l’assoluzione irrevocabile
per non aver commesso il fatto comporta per l’innocente una piena restitutio in integrum. Tale epilogo processuale, stante anche la garanzia del ne bis in idem, ripristina la
terzietà dell’assolto rispetto al fatto oggetto dell’addebito e rende non necessaria una tutela del nemo tenetur se detegere [in senso critico, BONTEMPELLI (12) 815; CATALANO
(23) 315; CONTI C. (36) 316; FRIGO (60) 76]. Per la Corte, la necessità dell’assistenza difensiva e dei riscontri determinerebbe in capo all’assolto una sorta di capitis deminutio.
In particolare, la speciale regola di valutazione muove dalla presunzione di inaffidabilità
del dichiarante, dovuta alla persistenza di un interesse in causa. Ancora, verrebbe a crearsi una assimilazione dell’innocente definitivamente giudicato all’imputato connesso
con procedimento pendente (art. 210), pur facendo difetto una identità delle situazioni di
tali soggetti: l’uno pienamente "assolto" dall’istanza punitiva, l’altro ancora sottoposto a
procedimento penale. In senso critico rispetto alla posizione del Giudice delle leggi, è
stato osservato che non tutte le sentenze di assoluzione si fondano su di una identica base
probatoria, anche alla luce del principio del ragionevole dubbio. Pertanto, non è possibile
affermare tout-court l’assenza di un qualsivoglia interesse del dichiarante nel momento
in cui è chiamato a deporre. Può darsi che egli, nel processo a suo carico, fosse rimasto
in silenzio per non ammettere la propria reità e, successivamente, sia stato assolto sulla
base del ragionevole dubbio. Tale soggetto, chiamato a deporre con obbligo di verità potrebbe trovarsi costretto ad ammettere la propria responsabilità con riferimento al fatto
coperto dal giudicato di assoluzione [CONTI C. (36) 316; DI BITONTO (47) 496; MAZZA
(75) 3981]. Occorre, peraltro, evidenziare che con la sentenza in parola la Corte non ha
sortito l’effetto di equiparare completamente i dichiaranti de quibus ai testimoni comuni.
Infatti, nella pronuncia non si rinviene alcun riferimento all’art. 197 bis c. 5. Tale norma,
che resta ancora applicabile ai soggetti in commento, stabilisce l’inutilizzabilità contra
se delle dichiarazioni, eventualmente rese, nei procedimenti civili o amministrativi relativi ai fatti oggetto delle sentenze emesse nei loro confronti. La persistente operatività
della disposizione appena ricordata impedisce, dunque, nell’ambito del sistema disegnato dalla stessa Corte, una piena assimilazione tra il testimone comune e quello prosciolto
con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto [CONTI C. (36) 316].
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Stante l’estrema precisione della pronuncia, che concerne la sola ipotesi dell’imputato
assolto irrevocabilmente “per non aver commesso il fatto”, resta fuori dal dictum della
Corte il caso dell’imputato assolto “perché il fatto non sussiste”, a meno di non ritenerlo già ricompreso nella declaratoria in oggetto sulla base dell’argumentum a fortio-
Art. 197 bis
PROVE
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ri [peraltro, il Giudice delle leggi, con ordinanza 115/2009, ha dichiarato manifestamente inammissibile per carenza di descrizione della fattispecie la questione di legittimità costituzionale dell’art. 197 bis c. 3 e 6 nella parte in cui si applicano all’assolto
perché il fatto non sussiste. In dottrina, per tutti, BARGIS (11) 1113]. Incertezze ancora
maggiori restano in relazione agli epiloghi assolutori meno favorevoli previsti dall’art.
530 c. 1 (il fatto non costituisce reato, il fatto non è previsto dalla legge come reato,
l’imputato non è punibile) [FRIGO (60) 76; CONTI C. (36) 316].
II. Ambito soggettivo
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L’art. 197 bis è stato introdotto dalla l. 1° marzo 2001 n. 63. Contestualmente
alla riduzione della incompatibilità a testimoniare, il legislatore ha voluto inserire una disciplina munita di garanzie per tutelare le persone in relazione alle
quali veniva configurato un inedito obbligo di verità [CONTI C. (32) 186 ss].
Per questa ragione ha creato la c.d. testimonianza assistita. L’istituto è così
denominato in ragione dell’assistenza difensiva che è riconosciuta ai dichiaranti
[C VI 7.2.2007, Catanzaro e altro, CED 235922; C V 25.9.2007, Costanza, CP
2008, 2812]. Si tratta di una disciplina già in qualche modo sperimentata in altri ordinamenti, come quello francese [AIMONETTO (1) 84; CATALDO (24) 160]
e quello tedesco [ORLANDI (79) 309], sia pure con differenti requisiti.
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Ove si seguano le cadenze della incompatibilità a testimoniare, delineata dall’art.
197, è possibile distinguere tra due categorie di testimoni assistiti: 1) gli imputati
connessi (art. 12 lett. a e c) o collegati (art. 371 c. 2 lett. b) nei cui confronti sia stata
emessa sentenza irrevocabile di proscioglimento, condanna o applicazione della
pena su richiesta delle parti, che diventano compatibili come testimoni automaticamente, per il solo fatto di essere stati "giudicati" (art. 197 bis c. 1) [nulla è detto circa il decreto penale di condanna. Prospettano una interpretazione correttiva, CAPRIOLI (18) 186; MARANDOLA (70) 448; VIGONI (98) 100. ORLANDI (80) 188, nota
83 auspica che a tale omissione si ponga rimedio]; 2) gli imputati connessi teleologicamente o collegati (artt. 12 lett. c e 371 c. 2 lett. b), il cui procedimento sia ancora pendente o chiuso con un provvedimento non irrevocabile (art. 197 bis c. 2).
Questi ultimi possono essere sentiti come testimoni assistiti se - previo avvertimento ex art. 64 c. 3 lett. c - hanno reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui; la compatibilità a testimoniare è limitata a tali fatti. L’escussione
può aver luogo anche nel procedimento riunito, giacché l’art. 197 bis nulla prevede
in proposito [Trib. Bologna, 9.4.2001, S.R., GM 2002, 510. Contra, AMODIO (2)
3597]. È stato da più parti rilevato come l’esame testimoniale dell’imputato nel
proprio procedimento rappresenti un istituto inedito nel nostro sistema [BARGIS (9)
233; CONTI G. (39) 25; ILLUMINATI (64) 400 e 402; LOZZI7 249; TONINI (93) 737].
In verità, a seguito della sentenza costituzionale n. 381/06, pare essersi delineata
una terza categoria di testimoni che potrebbero essere definiti non "assistiti" ma
comunque “garantiti” [CONTI C. (36) 316]. Si tratta degli imputati assolti con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto (cfr. supra, I, 1).
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Mezzi di prova
Art. 197 bis
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La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che l’imputato connesso o collegato giudicato irrevocabilmente divenga compatibile con la qualifica di teste assistito a prescindere dal fatto che abbia ricevuto l’avvertimento ex art. 64 c. 3 lett. c e abbia in
precedenza reso dichiarazioni sul fatto altrui [contra, CAIANIELLO (17) 1396]. Come si desume dalla parola "sempre", contenuta nel c. 1 dell’art. 197 bis, la compatibilità a testimoniare consegue automaticamente all’irrevocabilità della sentenza
[C IV 18.2.2009, Mantegna, CED 242981; C I 9.5.2006, A., CP, 2007, 4261; C VI
4.4.2003, Vitale, CP 2004, 2963; C VI 7.5.2003, Brambilla, CP 2005, 557]. In particolare, l’art. 210, c. 1, nella parte in cui si riferisce ai soggetti nei cui confronti “si
è proceduto” separatamente, non può indurre ad affermare che anche gli imputati
“giudicati” divengano compatibili soltanto a seguito delle dichiarazioni sul fatto altrui. Infatti, tale clausola, se correttamente interpretata, concerne esclusivamente le
persone nei cui confronti il procedimento si è chiuso con un epilogo differente dalla
sentenza irrevocabile. Pertanto, gli imputati “giudicati” possono deporre come testimoni su tutti i fatti oggetto di prova, a prescindere dall’oggetto di eventuali precedenti dichiarazioni [C VI 6.11.2006, Simonetti, CP 2008, 2028. Si veda, peraltro,
Trib. Rovereto, 17.6.2008, GM, 2008, 2635, secondo cui non può essere ascoltato
con le forme di cui all’art. 197 bis l’ex coimputato che abbia visto definita la propria posizione con l’emissione del decreto penale di condanna opposto da altro
coimputato, a ciò ostando il possibile effetto estensivo ex art. 464 c. 5].
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Quanto alla situazione dell’imputato connesso teleologicamente o collegato, che diviene
testimone assistito prima della sentenza irrevocabile, ai sensi dell’art. 64 c. 3 lett. c, le
critiche mosse dalla dottrina sono innumerevoli. Si sottolinea, infatti, come la scelta di
rendere dichiarazioni non sia libera bensì coatta. Tale conclusione si fonda su due rilievi. Il primo stigmatizza l’individuazione della sede elettiva, nella quale le dichiarazioni
erga alios possono trasformare l’imputato connesso in teste, nell’interrogatorio. Tale
sede non è idonea ad assicurare la libertà morale del dichiarante [CONTI C. (32) 358;
FRIGO (59) 405; TONINI (94) 77. Per differenti considerazioni, PATANÈ (81) 354]. In secondo luogo, e soprattutto, la natura coatta è dovuta al fatto che l’assunzione della qualifica di teste, anche quando avviene in forza di dichiarazioni rese dinanzi al giudice (ad
es. in dibattimento, cfr. sub art. 210), consegue comunque ad una valutazione, circa
l’"altruità" dei fatti dichiarati, compiuta da un soggetto differente rispetto al dichiarante. Dunque, la rinuncia al diritto al silenzio può essere non consapevole [CONTI C. (32)
358; FRIGO (59) 405; TONINI (94) 77. Sul concetto di “fatto altrui”, per tutti BARGIS (11)
1107; FERRUA (56) 185; ORLANDI (80) 169]. Tuttavia, in più occasioni, la Corte costituzionale ha considerato non irragionevole la disciplina allestita dal legislatore, escludendone l’illegittimità [C Cost. 291/2002, DPP 2002, 1213; C Cost. 451/2002, CP
2003, 476; C Cost. 485/2002, ibidem, 854].
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Nell’assetto normativo introdotto nel 2001, gli imputati connessi “forti” (art.
12, lett. a) restano radicalmente incompatibili con la qualifica di testimone fino
alla sentenza irrevocabile, anche qualora si trovino a rendere dichiarazioni sul
Art. 197 bis
PROVE
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fatto altrui [C I 18.10.2005, Sberna, CED 232448]. Una siffatta regolamentazione è stata ritenuta dalla Consulta come il frutto di scelte discrezionali non irragionevolmente esercitate dal legislatore che ha adeguatamente tutelato il diritto al silenzio “corollario essenziale dell’inviolabilità del diritto di difesa” [C
Cost. 485/2002, CP 2003, 854; C Cost. 202/2004, GC 2004, 2063].
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L’art. 197 bis non disciplina espressamente lo status dell’indagato o dell’imputato connesso nei cui confronti sia stata pronunciata archiviazione o sentenza di non luogo a
procedere. Il silenzio della legge ha dato luogo ad una spaccatura in giurisprudenza. Un
primo indirizzo equipara i soggetti in esame agli imputati giudicati con sentenza irrevocabile, attraverso una integrazione analogica degli epiloghi procedimentali menzionati
ex professo dall’art. 197 bis. In base a tale orientamento la corretta qualifica processuale
è quella di testimoni assistiti [C V 25.9.2007, Costanza, CP, 2008, 2812; C VI
28.2.2007, Simonetti, CP 2008, 1490. In dottrina, FANULI-LAURINO (53) 3943; DI
MARTINO (50) 1037]. Un secondo orientamento minoritario, accolto prevalentemente
dalla giurisprudenza di merito, sostiene che tali soggetti debbano essere considerati testimoni comuni interpretando l’art. 197 in base al canone ubi lex voluit dixit [tra le tante
pronunce, Trib. Fermo, 11.2.2003, ANPP 2003, 145]. Una ulteriore soluzione, fatta propria anche dalla Corte costituzionale [C Cost. 76/2003, GD 2003, 17, 52 e C Cost.
250/2003, GC 2003, 2097], consiste nell’equiparazione degli imputati de quibus a
quelli con procedimento pendente [C III 8.6.2007, Pontoriero, CED 237073; C V
15.3.2007, Grimaldi, CP, 2008, 1987; C IV 19.2.2004, Cagnino, CP, 2005, 2038; C II
15.5.2003, Scumaci, CED 226279. In dottrina, BARGIS (11) 1103; CONTI C. (35) 663;
DANIELE (43) 719]. Dunque, tali soggetti sono radicalmente incompatibili come testimoni se si tratta di ex indagati o imputati connessi per concorso nel medesimo reato. Se,
viceversa, si trattava di indagati o imputati connessi teleologicamente o collegati, essi
sono considerati compatibili come testimoni qualora rendano o abbiano reso dichiarazioni sulla responsabilità altrui e nei limiti dei fatti dichiarati [C II 9.7.2008, Manticello
e altri, CED 241298; C II 10.4.2008, Dell’Utri, CED 240946; C VI 1.2.2005, Gilbo, CP
2006, 3710. In dottrina FERRUA (57) 176]. La soluzione in esame rinviene la propria
ratio giustificatrice nel rilievo che sia l’archiviazione, sia la sentenza di non luogo a procedere sono provvedimenti definitivi soltanto allo stato degli atti e possono essere posti
nel nulla sulla base di presupposti processuali alquanto evanescenti (artt. 414 e 434) [C
IV 19.2.2004, Cagnino, CP 2005, 2038 con riferimento al decreto di archiviazione; C
Cost. 76/2003 e C Cost. 250/2003]. All’evidenza, il soggetto, nei cui confronti sia intervenuto uno dei predetti epiloghi, ove fosse sentito come teste, sia pure assistito, potrebbe
compromettere la propria posizione processuale. Successivamente ai ricordati interventi
della Corte costituzionale, la Cassazione ha riproposto la soluzione, che opta per la qualifica di testimoni assistiti, in una versione più “sofisticata”, definita “teoria della irrevocabilità sostanziale” [CONTI C. (38) 13]. Tale impostazione è stata prospettata con riferimento a quelle ipotesi nelle quali la sentenza di non luogo a procedere è stata pronunciata con una formula in relazione alla quale in concreto non appare profilabile un
provvedimento di revoca. Si tratta, in particolare, dei casi in cui il non luogo a procedere
è stato emesso per estinzione del reato [diffusamente, C VI 28.2.2007, Simonetti, CP
2008, 1490]. In senso contrario, la Cassazione ha affermato che la teoria in discorso non
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Mezzi di prova
Art. 197 bis
può essere accolta in quanto la sentenza di non luogo a procedere è sempre formalmente
revocabile indipendentemente dalle ragioni che ne hanno determinato la pronuncia [C I
2.12.2004, Narducci, CP, 2006, 1043, sul rilievo dirimente che l’irrevocabilità sostanziale non è prevista dall’ordinamento]. La tesi appena prospettata appare giuridicamente
più corretta in quanto la sentenza di non luogo a procedere, ancorché emessa per estinzione del reato, potrebbe essere revocata in presenza di una nuova prova che determini
un mutamento nella qualificazione giuridica del fatto. Inoltre, l’accoglimento della teoria
della irrevocabilità sostanziale comporterebbe la possibilità di allargare, a seconda del
caso concreto, il novero dei provvedimenti irrevocabili oltre la lettera degli artt. 197 e
197 bis. In tal modo, si opererebbe una estensione analogica di un elenco chiaramente
configurato come tassativo. Da tale discutibile opzione ermeneutica dipenderebbe in
concreto l’operatività o meno della fattispecie incriminatrice della falsa testimonianza
[CONTI C. (38) 13].
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La compatibilità con la qualifica di teste assistito può scattare anche nel corso
delle indagini preliminari, qualora l’indagato sentito dalla p.g. o dal p.m. renda, previo rituale avvertimento, dichiarazioni sulla responsabilità di imputati
connessi teleologicamente o collegati. Da un lato, vi è chi afferma che il p.m. o
la p.g., una volta che l’indagato abbia reso tali dichiarazioni, potrà chiudere
l’interrogatorio ed aprire immediatamente un nuovo verbale di assunzione di
informazioni dal possibile testimone [CONTI C. (32) 234]. Secondo altri, occorre che l’interrogatorio volga al termine prima di sentire il soggetto come persona informata sui fatti [GAETA (61) 443]. In ogni caso, il p.m. o la p.g. (sia delegata, sia in atti di iniziativa) potranno sentire l’imputato connesso teleologicamente o collegato (artt. 12 lett. c e 371 c. 2 lett. b) come "futuro testimone assistito" nel corso delle indagini. Infatti, l’art. 362 richiama, tra le norme applicabili all’assunzione di informazioni, l’art. 197 bis, relativo alla testimonianza assistita [BRESCIANI (13) 266]. Allo stesso modo, la norma relativa alle sommarie
informazioni assunte dalla p.g. (art. 351) rinvia all’art. 362 e, conseguentemente, alla disposizione appena ricordata (art. 197 bis) [FERRUA (56) 80; NOBILI
(78) 7]. Ovviamente la deposizione può essere resa anche in incidente probatorio, perché la testimonianza assistita è riconducibile al genus della testimonianza [sul punto CONTI C. (32) 270]. Sulle concrete dinamiche dell’acquisto
della qualità di testimone assistito e dell’esame dibattimentale, cfr. sub art. 210.
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La giurisprudenza ha esaminato l’ipotesi in cui un dichiarante, rientrante
nell’ambito delle ricordate categorie, sia escusso nella veste di testimone comune, anziché in quella di testimone assistito. Accanto ad un orientamento
che ha escluso sia la nullità, sia la inutilizzabilità delle dichiarazioni, sul rilievo
che le cause di invalidità sono tassative [C VI 7.2.2007, Catanzaro e altro, CED
235922, fattispecie in cui il soggetto era stato sentito senza l’assistenza del difensore], esiste un differente indirizzo, secondo cui le dichiarazioni sono inutilizzabili [C V 25.9.2007, Costanza, CP 2008, 2812; C V 17.12.2008, Mastroianni, GD 2009, 11, 65, che hanno ritenuto inutilizzabili ai sensi dell’art. 64
Art. 197 bis
PROVE
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c. 3 bis le dichiarazioni della persona offesa dal reato commesso in danno reciproco qualora essa sia stata sentita come testimone senza l’osservanza delle garanzie del testimone assistito; C I 9.4.2009, Brancato ed altro, CED 243170,
con riferimento alla possibilità di rinnovare l’audizione rituale in appello].
III. La disciplina della testimonianza assistita
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Regola fondamentale per l’esame del testimone assistito è la presenza obbligatoria
del difensore (c. 3). L’assistenza difensiva è esclusa soltanto per l’imputato assolto
con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto [C Cost. 381/2006 sul rilievo che tale soggetto non necessita di garanzie maggiori rispetto al teste comune
(cfr. supra, I)]. In mancanza di un difensore di fiducia è prevista la designazione di un
difensore d’ufficio [C I 9.4.2009, Brancato ed altro, CED 243170]. Il legislatore ha
omesso di riprodurre la locuzione, presente nell’art. 210 c. 3, secondo cui il difensore
"ha il diritto di partecipare all’esame". Su tale base testuale, in dottrina si ritiene che
egli non possa rivolgere domande [CASCINI (21) 307; SANTORO (86) 44]. La funzione
dell’avvocato consiste nel tutelare il dichiarante assicurando che l’esame non si estenda oltre i limiti dell’obbligo di verità di volta in volta assunto con le dichiarazioni erga
alios e che l’assistito non sia costretto a rispondere a domande autoincriminanti [GRE4
VI Prove, in CONSO-GREVI, CompPP 329; MOROSINI (76) 314, rileva che il difensore
potrebbe sollecitare un accertamento preliminare circa la corretta qualifica della persona escussa]. Occorre ritenere che l’assenza dell’avvocato comporti nullità esclusivamente qualora rientri nei casi tassativi previsti agli artt. 178 e 179, che si riferiscono
al solo difensore dell’"imputato" nel proprio procedimento [in termini problematici,
CONTI C. (32) 279-280. Perplessità mostra anche DANIELE (42) 201-202].
2
È discusso se i testimoni assistiti possano essere ammessi, in quanto tali, al patrocinio a spese dello Stato. In proposito, la Cassazione ha optato per una lettura di
segno contrario affermando che l’istituto si estende alle procedure derivate ed accidentali (art. 75 d.P.R. n. 115 del 2002) solo se connesse ad un procedimento nel
quale il richiedente sia già stato ammesso al beneficio in quanto titolare di una delle
qualifiche soggettive elencate nel primo comma dell’art. 74 del d.P.R. n. 115 del
2002 [C IV 11.6.2008, Di Bari e altro, CED 240898. Nel medesimo solco interpretativo, Trib. Roma, 24.5.2005, Marocchi, CP 2005, 2744. Prospettano una interpretazione estensiva dell’istituto, DIPAOLA (51) 2748; SECHI (89) 1673].
3
Altra importante garanzia riconosciuta al testimone assistito è costituita dalla inutilizzabilità contra se delle dichiarazioni eventualmente rese. Tutto ciò che viene affermato nel corso della testimonianza è inutilizzabile sia nel procedimento a carico
del dichiarante, sia nel giudizio di revisione della sentenza di condanna, sia, infine,
in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo ai fatti concernenti la propria
responsabilità (art. 197 bis c. 5). Naturalmente le dichiarazioni saranno utilizzabili
in un eventuale procedimento a carico del testimone assistito in ordine ai reati di calunnia o falsa testimonianza che egli abbia commesso nel corso della deposizione
10
Mezzi di prova
Art. 197 bis
[CONTI C. (32) 295; DANIELE (42) 211]. Si tratta all’evidenza di una norma di chiusura che riveste una duplice funzione. Per un verso, mira ad indurre il dichiarante a
non avvalersi del privilegio contro l’autoincriminazione (cfr. infra, IV) e a rendere
dichiarazioni anche sulla propria responsabilità, confidando nella inutilizzabilità
contra se delle stesse [CONTI C. (32) 295]. Per un altro verso, la disposizione appare finalizzata a coprire tutte quelle ipotesi nelle quali gli ambigui confini che separano fatto proprio e fatto altrui, obbligo testimoniale e facoltà di tacere, possono
provocare una lesione del diritto di difesa [GREVI, Prove, in CONSO-GREVI,
CompPP4 331. Per il rilievo che tale disciplina non riconosce una tutela completa,
giacché le dichiarazioni potrebbero comunque avere una qualche valenza contra
reum quanto meno come fonte informale di ulteriori indagini nei confronti
dell’imputato connesso, CONTI C. (32) 294; DANIELE (42) 213; ILLUMINATI (64)
404; NOBILI (78) 8]. La Cassazione ha sottolineato che la sanzione
dell’inutilizzabilità è prevista solo nel caso in cui di queste dichiarazioni si faccia
uso contro la persona che le ha rilasciate [C II 9.7.2004, Ambrosio ed altro, CED
230364; C VI 26.11.2007, Ferraro, CED 238720]. Come precisato cfr. supra I, 1),
la norma resta applicabile agli imputati assolti irrevocabilmente per non aver commesso il fatto, anche a seguito della sentenza costituzionale n. 381/2006.
4
L’ultimo comma dell’art. 197 bis stabilisce che al contributo probatorio dei testimoni
assistiti si applica l’art. 192 c. 3, in base al quale le dichiarazioni rese dall’imputato
connesso "sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano
l’attendibilità". Dunque, occorre che il contributo probatorio del teste assistito trovi riscontri nelle altre risultanze probatorie. La norma tiene conto della scarsa attendibilità
di soggetti che potrebbero avere un forte interesse a mentire [secondo BARGIS (11)
1101, la disciplina conferma il fatto che la qualità di testimone assistito non cancella
quella attuale o pregressa di “imputato”]. Il legislatore ha allestito un complicato meccanismo per ridurre l’incompatibilità a testimoniare, inserendosi nelle più delicate dinamiche dei rapporti tra diritto al silenzio e diritto a confrontarsi con l’accusatore. Eppure non si è fidato fino in fondo dei nuovi testimoni che ha reclutato e ha imposto la
necessità dei riscontri [CARCANO-MANZIONE (19) 20; CONTI C. (32) 298; MOROSINI
(76) 320]. La Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla disciplina nella
parte in cui prevede la necessità dei riscontri anche per le dichiarazioni rese dai testimoni assistiti ex coimputati del medesimo reato nei cui confronti sia stata emessa sentenza di patteggiamento. Il Giudice delle leggi ha ritenuto che tali soggetti non possano essere equiparati ai testimoni comuni. Per la Consulta, la necessità dei riscontri,
lungi dal determinare un vulnus del principio di uguaglianza, si risolve in un esercizio
non irragionevole della discrezionalità del legislatore [C Cost. 265/2004, ANPP 2005,
135]. Successivamente sollecitata a pronunciarsi in relazione alla medesima norma, ha
dichiarato la incostituzionalità dell’art. 197 bis c. 6 nella parte in cui si applica anche
all’imputato assolto con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto [C
Cost. 381/2006, cfr. supra, I, 1] Infatti, in base al principio di graduazione tra i diversi
status dei dichiaranti a seconda del legame tra le regiudicande, quella appena indicata
costituisce la situazione più simile alla posizione del teste comune.
Art. 197 bis
PROVE
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5
Dal canto suo, la giurisprudenza di legittimità, ha avuto occasione di cimentarsi in più
occasioni con il quantum di riscontri necessario in relazione alla qualifica del dichiarante [C V 10.4.2006, Brancatelli e altri, GD, 2006, 25, 95]. Da qualche giudice di
merito si era prospettato che la qualità di testimone assistito, con il relativo obbligo di
verità, rendesse meno pregnante l’esigenza dei riscontri [C Ass. Palermo, IV,
18.4.2007, R. e altro, GM 2008, 2607]. Secondo la Cassazione, viceversa, una simile
distinzione sarebbe non soltanto arbitraria (in forza del brocardo ubi lex non distinguit
nec nos distinguere debemus), ma anche priva di qualsiasi logica e coerenza sistematica, posto che la valutazione di attendibilità presuppone verifiche variabili che non
possono porsi in rapporto esclusivo con le qualità processuali del dichiarante, ma devono tener conto di tutta l’ampia e innominata gamma dei parametri (anche di ordine
logico) che possono fungere da criteri di apprezzamento dei riscontri esterni del narrato [C II 3.5.2005, Tringali, Famb, 2005, 298]. Sotto un differente profilo, la Suprema
Corte ha chiarito che la dichiarazione liberatoria di un coimputato o di un testimone
assistito non può costituire da sola prova nuova tale da giustificare una richiesta di
revisione, stante la necessaria corroboration [C I 4.4.2007, Procida, CP 2008, 2979].
IV. Il privilegio contro l’autoincriminazione
1
Tra le garanzie riconosciute al testimone assistito, fondamentale importanza riveste
il privilegio contro l’autoincriminazione [sulla differenza teorica che intercorre
tra "diritto al silenzio", regola generale, e "privilegio contro l’autoincriminazione",
che spetta al testimone e costituisce una deroga eccezionale al regime ordinario, costituito dall’obbligo di rispondere secondo verità, TONINI (94) 71]. Occorre distinguere la disciplina riservata ai testimoni assistiti con processo pendente, o definito
con provvedimento non irrevocabile, da quella prevista per i "giudicati".
2
In relazione agli imputati connessi teleologicamente o collegati prima della sentenza
irrevocabile, l’art. 197 bis c. 4, secondo periodo, stabilisce che il teste assistito non può
essere obbligato a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al
reato per il quale si procede o si è proceduto nei suoi confronti. Poiché l’obbligo testimoniale è limitato a quei fatti altrui che siano stati oggetto delle precedenti dichiarazioni
(artt. 197 lett. b e 64 c. 3 lett. c), l’unico caso in cui l’escussione in qualità di teste assistito può investire la propria responsabilità è l’ipotesi nella quale le precedenti dichiarazioni vertano su fatti inscindibili [CONTI C. (32) 283]. Si tratta di una ipotesi frequente:
quando tra le regiudicande vi sia un collegamento o una connessione quasi sempre i fatti
che riguardano altri possono concernere anche la propria responsabilità [DANIELE (42)
204]. La Corte costituzionale ha ritenuto legittimo il riconoscimento del privilegio contro l’autoincriminazione giustificandolo con il fine di evitare che l’imputato connesso o
collegato, che abbia assunto la qualità di testimone assistito, si trovi costretto a rendere
dichiarazioni autoincriminanti [C Cost. 291/2002, DPP 2002, 1213]. In definitiva, nelle
situazioni descritte, il testimone assistito è obbligato a deporre soltanto sul fatto altrui già
dichiarato, mentre resta incompatibile con riguardo ad ulteriori fatti. Inoltre, anche in re-
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Mezzi di prova
Art. 197 bis
lazione al fatto dichiarato può valersi del privilegio contro l’autoincriminazione se si tratta di un fatto inscindibile. In proposito si è coniata l’espressione "testimone ad intermittenza" [TONINI (95) 37]. Se, tuttavia, il soggetto in parola accetta di deporre sui fatti inscindibili, egli è obbligato a rispondere secondo verità, perché in relazione ad essi è divenuto testimone [CONTI C. (32) 306]. La disciplina è di difficile applicazione pratica;
continue eccezioni in merito allo status del dichiarante e all’esistenza o meno del privilegio contro l’autoincriminazione rischiano di paralizzare l’efficacia dell’esame [MARINI-PEPINO (72) 1029]. Una questione problematica concerne, poi, l’ipotesi in cui il testimone assistito non si avvalga del privilegio contro l’autoincriminazione e renda dichiarazioni false. In tali situazioni potrebbe astrattamente prospettarsi l’operatività della
scusante prevista dall’art. 384 c. 1 c.p. Ebbene, in proposito, occorre ricordare la soluzione di recente fatta propria dalle Sezioni Unite con riferimento al prossimo congiunto
che non si sia avvalso della facoltà di astenersi dal deporre. Secondo il Supremo Collegio, tale soggetto - una volta che abbia rinunciato alla facoltà di non deporre - ha
l’obbligo di rispondere secondo verità a pena di falsa testimonianza e non può più invocare in suo favore la predetta scusante [C SU 29.11.2007, Genovese, CP 2008, 2339].
L’interpretazione appena prospettata è destinata a riverberarsi anche sulla disciplina della testimonianza assistita, qualora la persona escussa non si avvalga del privilegio contro
l’autoincriminazione.
3
Nell’ambito degli imputati “giudicati” l’art. 197 bis c. 4 primo periodo riconosce uno
speciale privilegio al solo condannato. La facoltà di tacere opera in favore di colui che
nel processo a suo carico "aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva
reso alcuna dichiarazione" [per un esame delle ipotesi nelle quali si può affermare che
l’imputato abbia negato la propria responsabilità, BRICCHETTI (14) 1272-1273; CORBETTA (40) 681; MADDALENA (67) 26]. Pertanto quel condannato, che sia sempre rimasto in
silenzio o si sia proclamato innocente, può tacere sui fatti oggetto del giudicato. Vi è chi
rileva che tale disciplina finisce con il condizionare la strategia difensiva di ogni imputato nel processo a proprio carico [SANTORO (86) 42. Secondo ILLUMINATI (64) 403, la
norma costituisce un incentivo a tacere]. La garanzia in esame è posta essenzialmente a
tutela dell’onore, giacché è attribuita ad una persona ormai condannata irrevocabilmente. Il privilegio è riconosciuto soltanto qualora la sentenza sia stata pronunciata in giudizio. Il legislatore esclude inequivocabilmente dall’ambito applicativo della garanzia in
discorso quei soggetti nei cui confronti sia stata emessa sentenza di patteggiamento
[Trib. Milano, 27.1.2004, Famb 2004, 189]. Tale disciplina era stata concepita tenendo
conto del fatto che il codice non prevedeva espressamente la possibilità di sottoporre a
revisione la sentenza di patteggiamento. Si riteneva pertanto che le dichiarazioni contra
se rese con obbligo di verità non potessero in alcun modo pregiudicare il soggetto che
aveva patteggiato. Dal canto suo l’art. 197 bis c. 5 prevedeva espressamente
l’inutilizzabilità dei relata nel procedimento di “revisione della sentenza di condanna”.
La successiva l. n. 134 del 2003 ha esteso alla applicazione della pena su richiesta
l’istituto della revisione, senza modificare in alcun modo l’art. 197 bis. Dunque, oggi colui che ha patteggiato, a differenza del condannato, non è garantito né ex ante dal privilegio contro l’autoincriminazione, né - stando alla tenore testuale della norma - ex post
dalla inutilizzabilità delle proprie dichiarazioni nel giudizio di revisione [sulla problema-
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PROVE
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tica, BARGIS (11) 1102; CONTI C. (32) 199-200]. La disciplina appena esposta ha dato
luogo a dubbi di compatibilità con la Carta fondamentale. Tuttavia, la Corte costituzionale [C Cost. 456/2007, GC 2007, 4920] ha dichiarato manifestamente infondata la
questione di incostituzionalità dell’art. 197 bis c. 4 nella parte in cui non riconosce il privilegio al soggetto che ha patteggiato quando questi nel procedimento a suo carico aveva
negato la propria responsabilità o non aveva reso alcuna dichiarazione. A parere della
Consulta, l’imputato, nell’optare per il rito alternativo è posto ex ante nella condizione di
apprezzare le conseguenze che scaturiscono da tale scelta, tra le quali, appunto, anche
quella di non essere esonerato dal deporre come teste assistito in altri processi, anche se
strettamente collegati a quello per il quale ha subito la applicazione della pena. Resta,
tuttavia, problematico negare ai soggetti in parola, che si trovino costretti a rendere false
dichiarazioni l’applicazione della scusante prevista dall’art. 384 c. 1 c.p. [secondo la
giurisprudenza di merito, nel caso in cui si proceda per il reato di false informazioni al
p.m., non è punibile la persona, imputata in un procedimento connesso che abbia già definito la propria posizione processuale con sentenza di patteggiamento passata in giudicato, che sia stata sentita ai sensi dell’art. 197 bis nell’ambito del procedimento a carico
degli originari concorrenti, allorché le dichiarazioni false o reticenti siano giustificate
dall’esigenza di salvare il proprio onore ai sensi dell’art. 384 c.p. Così, Trib. Genova,
16.9.2006, CM 2007, 761. Con riferimento all’imputato irrevocabilmente assolto, v. anche Trib. Genova, 14.10.1997, Fortunato, CP 1998, 3419. Si veda amplius CONTI C.
(32) 365]. L’imputato prosciolto, colui che ha patteggiato e il condannato, fuori delle ipotesi sopra ricordate, sono obbligati a rispondere secondo verità sui fatti coperti dal
giudicato [ritengono ingiustificata la negazione di ogni tutela a tali soggetti AMODIO (2)
3592; CORBETTA (40) 681].
4
La chiarificazione dell’ambito applicativo della garanzia riconosciuta dall’art. 197 bis c.
4 è estremamente importante ove si abbia riguardo alle conseguenze processuali che
sortisce la negazione della stessa. Se il giudice non riconosce il privilegio, pur correttamente eccepito, e obbliga il dichiarante a deporre, le dichiarazioni eventualmente rese
saranno inutilizzabili (art. 191). Nella medesima situazione, dal punto di vista del diritto
penale sostanziale, una eventuale reticenza o falsità non è punibile giacché il teste non
avrebbe potuto essere obbligato a rispondere (art. 384 c. 2 c.p.) [CONTI C. (35) 666].
5
Prima di concludere con la problematica in oggetto, è appena il caso di ricordare che tutti i testimoni assistiti, oltre a vedersi riconosciuto il privilegio speciale
disciplinato dall’art. 197 bis c. 4, godono altresì del comune privilegio contro
l’autoincriminazione previsto dall’art. 198 c. 2 su fatti diversi da quelli per i
quali si procede o si è proceduto nei loro confronti [CONTI C. (32) 294, nt.
194]. Allo stesso modo, sono applicabili tutte le altre norme previste per il testimone e, in particolare, l’art. 497 sull’impegnativa, gli artt. 498-499
sull’esame incrociato e l’art. 500 sulle contestazioni [secondo C IV 9.3.2009,
Cacchiarelli, CED 244042, le dichiarazioni utilizzate per le contestazioni che
siano state successivamente confermate - anche se in termini laconici - vanno
recepite e valutate come dichiarazioni rese direttamente in sede dibattimentale].
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Mezzi di prova
Art. 197 bis
BIBLIOGRAFIA: (1) AIMONETTO, Le recenti riforme della procedura penale francese.
Analisi, riflessioni e spunti di comparazione, Torino 2002; (2) AMODIO, Giusto processo, diritto al silenzio e obblighi di verità dell’imputato sul fatto altrui, CP 2001, 3589;
(3) ANDREAZZA, Profili problematici di applicazione dell’art. 197-bis c.p.p., DPP 2003,
242; (4) ID., Considerazioni a margine della sentenza sez. un. Genovese: la causa di non
punibilità dell’art. 384 c.p. e la rinuncia alla facoltà di astenersi, CP 2008, 2339; (5) ID.,
Imputati di "reati reciproci" e incompatibilità a testimoniare: mutamento di rotta nella
giurisprudenza della Corte?, CP 2008, 2814; (6) ID., Sub artt. 197 e 197 bis, in Codice
di procedura penale commentato, a cura di TRANCHINA, Milano 2008, 1544; (7) ID., La
valutazione delle dichiarazioni rese dal testimone assistito e l’esigenza di gradazione dei
riscontri richiesti dall’art. 192 comma 3 c.p.p., GM 2008, 2614-2619; (8) ANDREAZZABALSAMO, La prova dichiarativa, GM 2006, 1604; (9) BARGIS, Sub art. 8, l. 1° marzo
2001, n. 63, LP 2002, 233; (10) ID., Sub art. 18 l. 1° marzo 2001, n. 63, LP 2002, 315;
(11) ID., voce Testimonianza, in Enc. dir., Annali, t. II, Milano 2009, 1099; (12) BONTEMPELLI, L’efficacia della sentenza di assoluzione irrevocabile tra garanzie di autodifesa e “terzietà” del testimone, RIDPP 2007, 790; (13) BRESCIANI, Sub art. 13, l. 1°
marzo 2001, n. 63, LP 2002, 266; (14) BRICCHETTI, Le figure soggettive della legge sul
giusto processo, DPP 2001, 1270; (15) ID., Regole generali dell’interrogatorio: i nuovi
avvertimenti, in AA.VV., Giusto processo e prove, 100; (16) ID., L’eventualità di una
riapertura delle indagini non basta a giustificare il diverso trattamento, GD 2003, 17,
52; (17) CAIANIELLO, Giusto processo e procedimenti in corso: le conseguenze derivanti
dall’omissione dell’avvertimento prescritto dall’art. 64 c.p.p., IP 2001, 1396; (18) CAPRIOLI, Sub art. 5, l. 1° marzo 2001, n. 63, LP 2002, 177; (19) CARCANO-MANZIONE, Il
giusto processo. Commento alla legge 1° marzo 2001, n. 63, Quad. DGius, Milano
2001; (20) CARINI, La testimonianza, in GAITO, II, 505; (21) CASCINI, Contraddittorio e
limiti del diritto al silenzio. (Prime note a margine della legge 1° marzo 2001, n. 63),
QG 2001, 318; (22) CASIRAGHI, Le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria non possono generare la figura del testimone assistito, IP 2006, 681 s.; (23) CATALANO, I confini della testimonianza assistita nel prisma del sindacato di ragionevolezza, RIDPP
2007, 301; (24) CATALDO, Imputato e "testimone assistito": la recente riforma in Francia, in TONINI, Giusto processo, 160; (25) CIARAVOLO-TRANQUILLO, L’audizione della
persona già indagata di reato, DPP 2002, 493; (26) COLETTA, Diritto al silenzio della
persona già sottoposta ad indagini preliminari e compatibilità con l’ufficio di testimone,
ANPP 2002, 701; (27) CONTI C., La Consulta valuta la testimonianza assistita: un istituto coerente con l’intento del legislatore, DPP 2002, 1215; (28) ID., Profili penalistici
della testimonianza assistita: l’esimente dell’art. 384 c.p. tra diritto al silenzio e diritto a
confrontarsi con l’accusatore, RIDPP 2002, 840; (29) ID., Le nuove norme
sull’interrogatorio dell’indagato (art. 64 c.p.p.), in TONINI, Giusto processo, 192; (30)
ID., La riduzione dell’incompatibilità a testimoniare (art. 197 c.p.p.), in TONINI, Giusto
processo, 280; (31) ID., L’esame di persona imputata in un procedimento connesso o
collegato (art. 210 c.p.p.), in TONINI, Giusto processo, 335; (32) ID., L’imputato nel procedimento connesso. Diritto al silenzio e obbligo di verità, Padova 2003; (33) ID., Esame dell’imputato e avvisi ex art. 64 c.p.p.: la Consulta suggerisce l’interpretazione "analogica", DPP 2004, 85; (34) ID., Le dichiarazioni dell’imputato connesso che diventa
testimone in dibattimento, DPP 2005, 355-358; (35) ID., Questioni controverse in tema
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di prova dichiarativa a quattro anni dalla legge n. 63 del 2001, CP 2005, 658; (36) ID.,
Imputato assolto per non aver commesso il fatto: deve essere equiparato al testimone
comune, DPP 2007, 316; (37) ID., voce Testimonianza assistita, in Il Diritto - Enciclopedia giuridica del Sole 24 ore, 16, Milano 2008, 50; (38) ID., Il testimone assistito: incertezze legislative e soluzioni giurisprudenziali, DPP 2009, 11; (39) CONTI G., Un freno alla facoltà di non rispondere per non vanificare il contraddittorio, DGius 2001, 24,
312; (40) CORBETTA, Principio del contraddittorio e riduzione del diritto al silenzio,
DPP 2001, 680; (41) CORDÌ, Il regime delle dichiarazioni testimoniali rese
dall’imputato in procedimento connesso o per reato collegato assolto per non aver
commesso il fatto, FI 2007, 2023-2026; (42) DANIELE, La testimonianza "assistita" e
l’esame degli imputati in procedimenti connessi, in KOSTORIS, Gproc, 200; (43) ID., Lacune della disciplina sulla testimonianza assistita, CP 2005, 713; (44) DE CAROLI, Orientamenti giurisprudenziali in tema di testimonianza assistita, LP 2006, 331; (45)
DELL’ANNA, L’esame del coimputato in reato connesso e la chiamata di correo, in GAITO, II, 557; (46) DELL’ORCO, Tra diritto al silenzio e obbligo di dire la verità: la nuova
figura dell’imputato-testimone, in AA.VV., Giusto processo e prove, 117; (47) DI BITONTO, La Corte costituzionale riapre il dibattito sulla testimonianza assistita, CP 2007,
491; (48) ID., Quali garanzie per la deposizione del tossicodipendente cessionario di sostanze stupefacenti?, CP 2007, 4067; (49) DI CHIARA, Dichiarazioni erga alios e letture
acquisitive: i meccanismi di recupero del sapere preacquisito dall’imputato in un procedimento connesso, in KOSTORIS, Gproc, 25; (50) DI MARTINO, L’incompatibilità a testimoniare: problemi vecchi e nuovi, IP 2002, 1037; (51) DIPAOLA, Sull’applicabilità
della disciplina del patrocinio a spese dello Stato alle ipotesi di testimonianza assistita,
CP 2005, 2746; (52) FANULI, La semiplena probatio delle dichiarazioni del “testimone
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giusto processo: un nodo apparentemente irrisolto, CP 2002, 3943; (54) ID., Le mobili
frontiere del testimone comune, del testimone assistito e del dichiarante ex art. 210
c.p.p. Dubbi interpretativi e difficoltà applicative, ANPP 2003, 399; (55) FERRUA,
L’attuazione del giusto processo con la legge sulla formazione e valutazione della prova. Introduzione, DPP 2001, 590; (56) ID., L’indagine entra in dibattimento solo attraverso il contraddittorio, ivi 2001, 7, 79; (57) ID., Il “giusto processo”, Bologna 2005;
(58) FINOTTO, La nuova disciplina della incompatibilità a testimoniare, GP 2002, 488;
(59) FRIGO, "Giusto processo" e funzione della difesa, in KOSTORIS, Gproc, 405; (60)
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2006, 46, 76; (61) GAETA, Le modifiche alla disciplina delle informazioni assunte dal
pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria (artt. 351 e 362 c.p.p.), in TONINI, Giusto
processo, 439; (62) GIANNUZZI, Dichiarazioni dell’indagato nei cui confronti sia stata
pronunziata archiviazione: incompatibilità con l’ufficio di testimone? Annosa questione
mai risolta, CP 2005, 2233; (63) GREVI, Alla ricerca di un processo penale "giusto",
Milano 2000; (64) ILLUMINATI, L’imputato che diventa testimone, IP 2002, 397; (65)
IZZO, I limiti di operatività delle garanzie dell’imputato in processo connesso, DGius
2003, 15, 70; (66) MADDALENA, "Giusto processo" e funzione dell’accusa, con particolare riferimento alla criminalità organizzata, in KOSTORIS, Gproc, 363; (67) ID., Riforma del sistema probatorio e ruolo del pubblico ministero, in AA.VV., Giusto processo e
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Mezzi di prova
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prove, 25-26; (68) MAGI, Le figure normative del dichiarante: in particolare il testimone
assistito, QG 2002, 1307; (69) MANZIONE, Sub art. 2, l. 1° marzo 2001, n. 63, LP 2002,
158; (70) MARANDOLA, Il testimone assistito, SI 2003, 448; (71) ID., L’assolto con sentenza irrevocabile in un altro processo è testimone (C Cost. 381 del 2006), SI 2007, 502;
(72) MARINI-PEPINO, Crisi di un modello o crisi del processo?, QG 2001, 1029; (73)
MARCIANÒ, La concreta incidenza dell’obbligo di verità a carico del dichiarante: un
criterio essenziale per la valutazione del contributo probatorio delle dichiarazioni rese,
ANPP 2008, 595; (74) MAZZA, L’interrogatorio e l’esame dell’imputato nel suo procedimento, Milano 2004; (75) ID., Lo strano caso del testimone-imputato assolto per non
aver commesso il fatto, GC 2008, 3978; (76) MOROSINI, Il "testimone assistito" tra esigenze del contraddittorio e tutela contro l’autoincriminazione (art. 197 bis c.p.p.), in
TONINI, Giusto processo, 303; (77) ID., Associazione di stampo mafioso e "testimonianza" dell’imputato aliunde, DPP 2003, 481; (78) NOBILI, Giusto processo e indagini difensive: verso una nuova procedura penale?, DPP 2001, 6; (79) ORLANDI, Coimputato
e imputato di un reato connesso nel processo germanico, in AA.VV., Le nuove leggi penali, Padova 1998, 309; (80) ID., Dichiarazioni dell’imputato su responsabilità altrui:
nuovo statuto del diritto al silenzio e conseguenti restrizioni in tema d’incompatibilità a
testimoniare, in KOSTORIS, Gproc, 153; (81) PATANÈ, Il diritto al silenzio dell’imputato,
Torino 2006; (82) PAULESU, Giudice e parti nella "dialettica" della prova testimoniale,
Torino 2002; (83) RIVIEZZO, La verità processuale e il divieto delle dichiarazioni contra
se. Così la Consulta ha conciliato due contrastanti esigenze, DGius 2003, 18, 76; (84)
RUARO, La testimonianza “assistita” del concorrente condannato ex art. 444 c.p.p.:
presupposti e garanzie, GI 2004, 1691; (85) SANNA, L’interrogatorio e l’esame
dell’imputato nei procedimenti connessi, 2^ ed., Milano 2007; (86) SANTORO, Il cambio
da coimputato a teste esalta il confronto, GD 2001, 13, 42; (87) SCAGLIONE, Dichiarazioni procedimentali e giusto processo, Torino 2005; (88) SCALFATI, Aspetti
dell’acquisizione dibattimentale di fonti dichiarative, IP 2003, 637; (89) SECHI, Esame
dell’imputato in procedimento connesso ed estensione del patrocinio per i non abbienti,
GI 2002, 1673; (90) ID., Il patrocinio dei non abbienti nei procedimenti penali, Milano
2006; (91) SURACI, La Corte costituzionale rivede la disciplina della testimonianza assistita, SI 2008, 517-520; (92) TETTO, Capacità di testimoniare e garanzie difensive del
"dichiarante": la difficile collocazione processuale dell’esame del "testimone"/indagato
per un reato probatoriamente collegato destinatario di provvedimento di archiviazione,
ANPP 2003, 307; (93) TONINI, Giusto processo, diritto al silenzio ed obbligo di verità:
la possibile coesistenza, in AA.VV., Studi in ricordo di Giandomenico Pisapia, II, Milano 2000, 729; (94) ID., Diritto al silenzio e tipologia dei dichiaranti, in AA.VV., Giusto
processo e prove, 71; (95) ID., L’alchimia del nuovo sistema probatorio: una attuazione
del giusto processo?, in TONINI, Giusto processo, 3; (96) ID., Il diritto al silenzio tra giusto processo e disciplina di attuazione, CP 2002, 839; (97) VALENTINI, Il recepimento
dei princìpi del giusto processo nella nuova formulazione dell’art. 111 Cost. e nelle disposizioni di attuazione, CP 2002, 2229; (98) VIGONI, Ius tacendi e diritto al confronto
dopo la l. n. 63 del 2001: ipotesi ricostruttive e spunti critici, DPP 2002, 100.
Dott.ssa Carlotta Conti
Ricercatrice di diritto processuale penale nell’Università di Firenze