Musica
Domani
Trimestrale di cultura e pedagogia musicale
Organo della Siem
Società Italiana per l’Educazione Musicale
www.siem-online.it
Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 411
del 23.12.1974 - ISSN 0391-4380
Anno XXXIII, numero 129 dicembre 2003
Direttore responsabile Rosalba Deriu
Redattori Francesco Bellomi e Franca Mazzoli
Segretaria di redazione Ilaria Rigoli
Comitato di redazione Maurizio Della Casa,
Franca Ferrari, Luca Marconi, Ester Seritti
Segreteria di redazione
Via Dell’Unione, 4
40126 Bologna
Tel. 349-6842783
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Indice
Ricerche e problemi
3
Strumenti e tecniche
9
Emma Bolamperti
La trascrizione musicale
16 Maurizio Spaccazocchi
Educare al rito musicale
Pratiche educative
24
Preparazione pellicole Cierre Grafica
Caselle di Sommacampagna - Verona
Tel. 045-8580900, Fax 045-8580907
30
Luca Marconi (a cura di)
TELECANTO: PER UNA DIDATTICA
32
Germano Mazzocchetti
Scoprire le funzioni della musica in rapporto alle immagini
Alberto Pellai
Evidenziare il ruolo del marketing
nell’offerta musicale giovanile
Franco Fabbri
Allenare i ragazzi a diventare spettatori televisivi agguerriti
Enrico Strobino
Organizzare a scuola uno sguardo polifonico sulla TV
DELLA FRUZIONE MUSICALE TELEVISIVA
33
Stampa Stampatre, Torino
Editore
EDT
srl, 19 Via Alfieri, 10121 Torino
Amministrazione
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Promozione, vendite e abbonamenti
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36
37
Libri e riviste
41
Pubblicità
Tel. e Fax 011-9364761
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Un fascicolo Italia e 4,50 - Estero e 6,00
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Elena Indellicati
Il punto sonoro: un approccio al pianoforte
Confronti e dibattiti
Impaginazione e grafica Davide Zambelli
Grafica copertina Raffaello Repossi
Louie Suthers
La musica dei primi passi: strategie di lavoro negli asili nido
42
43
44
46
47
Marina Maffioli
Idee e percorsi per fare danza nella scuola
[su M. Gough, A tu per tu con la danza,
Mousiké Progetti Educativi]
Francesco Bellomi
Come si sviluppa l’ascolto umano
[su E. Pozzi (a cura di), Recenti contributi italiani
all’analisi musicale, in Rivista di analisi e teoria musicale]
Luca Marconi, DA NON PERDERE
Roberto Albarea, RASSEGNA PEDAGOGICA
SCHEDE
Franca Mazzoli
Le qualità nascoste del suono a bassa definizione
[su F. Chiocci, G. Cardoni, P. Ortoleva, G. Sibillo,
La grana dell’audio – la dimensione sonora della televisione,
Rai Eri]
Rubriche
7
8
15
22
28
48
Augusto Pasquali, MUSICA IN INTERNET: Oggetti da suonare
Francesco Bellomi, PAROLE CHIAVE: Arpeggio
Arianna Sedioli, L’ATELIER DEI PICCOLI: Il dottore dei suoni
Emanuela Perlini - Davide Zambelli, DANZE A SCUOLA:
Quadriglia americana
John Paynter, INVENZIONI MUSICALI:
Una fortunata successione di avvenimenti
Annibale Rebaudengo, GIORNALE SIEM:
Percorsi di formazione per operatore musicale
Hanno collaborato
Roberto Albarea
Sabrina Alberti
Donatella Bartolini
Francesco Bellomi
Paola Bernardelli
Emma Bolamperti
Franco Fabbri
Elena Indellicati
Marina Maffioli
Luca Marconi
Germano Mazzocchetti
Erica Moro
Franca Mazzoli
Augusto Pasquali
John Paynter
Alberto Pellai
Emanuela Perlini
Annamaria Prinzivalli
Annibale Rebaudengo
Arianna Sedioli
Maurizio Spaccazocchi
Enrico Strobino
Louie Suthers
Davide Zambelli
docente di Pedagogia all’università di Udine
docente di pianoforte nella scuola media a indirizzo musicale, Bologna
docente di Pedagogia musicale, Modena
docente di Elementi di composizione per Didattica della musica, Milano
operatrice musicale, Suzzara (Mantova)
musicista, Milano
musicista e studioso di popular music, Torino
insegnante di Propedeutica e di avvio al pianoforte, Cesena
insegnante di danza, Bologna
docente di Pedagogia musicale, Como
compositore, Roma
docente di sostegno nella scuola media, Vicenza
pedagogista, Bologna
docente di Educazione musicale nella scuola media, Bologna
compositore, East Yorkshire, Inghilterra
ricercatore presso l’Istituto Universitario di medicina e chirurgia, Milano
docente di Educazione musicale nella scuola media, Verona
docente di Educazione musicale nella scuola media, Palermo
docente di Pianoforte, Milano
operatrice musicale, Ravenna
docente di Pedagogia musicale, Pesaro
docente di Educazione musicale nella scuola media, Biella
docente presso L’Institute of Early Childhood, Macquawe University, Australia
docente di Educazione musicale nella scuola media, Verona
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della
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Tel. 045 6340500 – Fax 045 6340510
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L’articolo illustra i risultati di una ricerca
condotta in un asilo nido australiano allo scopo
di verificare le possibilità di inserire la musica
durante le attività quotidiane e di studiare gli
effetti di tali attività sullo sviluppo globale dei
bambini.
LOUIE SUTHERS
Negli ultimi decenni, un crescente numero di bambini australiani sotto i tre anni sono stati iscritti agli asili nido (Ochiltree 1994 Wangmann 1995). Nel 1999
in tutto il paese 520.000 bambini, vale a dire il 40%
della popolazione australiana dai quattro anni in giù,
hanno usufruito di qualche tipo di assistenza istituzionale, mentre erano soltanto il 28% nel 1990
(Fleer, Udy 2002). La crescita maggiore nel corso di
questo periodo è avvenuta nel settore degli asili nido.
In Australia gli asili nido offrono un servizio in orario prolungato per bambini in età compresa fra le sei
settimane e l’inizio della scuola, che avviene in genere tra i quattro anni e mezzo e i cinque anni e mezzo.
Il personale che lavora nel nido è generico: alcuni
hanno una formazione da insegnante, altri da assistente d’infanzia o bambinaia, altri ancora vengono
assunti in qualità di ausiliari non specializzati. Le
norme per il riconoscimento legale in Australia impongono al nido un programma educativo che includa un ampio curriculum di esperienze adatte alla prima infanzia e che in più fornisca cure appropriate ai
bambini piccoli che usufruiscono del servizio. A ogni
modo, le esperienze musicali proposte a neonati e
bambini nelle stanze dei giochi di molti nido sono
piuttosto limitate.
Questo saggio presenta i risultati di un lavoro di ricerca di durata annuale, finalizzato a offrire esperienze musicali adatte a tutti i bambini di una sezione medi che usavano la stanza dei giochi di un grande nido
dell’area metropolitana di Sidney, in Australia. La ricercatrice ha preparato e realizzato il progetto assieme ai bambini, chiedendo e incoraggiando la partecipazione di tutto il personale della stanza dei giochi.
Questo saggio concentra l’attenzione sulla gamma di
esperienze musicali messe a disposizione dei bambini
e sulle loro risposte.
Il progetto
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
Ricerche e problemi
La musica dei primi passi:
strategie di lavoro negli asili nido
Al progetto hanno partecipato diciassette bambini di
un’età compresa fra i 12 e i 20 mesi all’inizio del lavoro. Nella sezione lavoravano tre persone: la capogruppo, che aveva studiato in un politecnico e stava
finendo l’università (Nita); la sua assistente, i cui studi universitari erano ancora in corso (Sally) e un’assistente d’infanzia non specializzata (Lyn). [In questo
articolo vengono utilizzati pseudonimi per i bambini
e per il personale.]
Nel progetto sono stati utilizzati tre diversi tipi di
esperienze musicali: la musica in quanto parte delle
attività di cura personale dei bambini; la musica come gioco; esperienze musicali collettive (Suthers
1998).
Ciascuno di questi tipi di esperienza musicale verrà
descritto in successione. Una selezione di quattro situazioni di gioco è stata utilizzata come strumento
euristico per esemplificare la qualità delle esperienze
abbracciate dal progetto e per illustrare la partecipazione dei bambini e la natura delle loro risposte.
La musica come attività di cura personale
Il lavoro di cura personale occupa una parte significativa di ogni giornata degli adulti che lavorano con i
bambini piccoli. Più volte al giorno bisogna cambiarli
e pulirli, lavare e asciugare loro le mani, farli mangiare, proteggerli dal sole (mettendo loro berretti e creme
solari), vestirli e spogliarli. Queste attività sono centrali nella cura dei bambini e devono essere eseguite
con la dovuta attenzione per l’igiene e la sicurezza, ma
anche la qualità dello scambio interpersonale tra il
bambino e l’adulto che lo accudisce è importante.
3
Ricerche e problemi
In questo progetto, il personale della sezione si è assunto direttamente l’impegno di incorporare le attività
musicali all’interno del lavoro di cura personale. La ricercatrice ha proposto una serie di attività divertenti,
tra cui canzoni, poesie, scherzi con le dita e giochi, che
potessero essere utilizzate durante pratiche quotidiane
come il cambio dei pannolini, il vestirsi, lavarsi le mani e durante l’attesa della merenda e dei pasti.
Il primo aneddoto illustra l’uso spontaneo della filastrocca durante il cambio dei pannolini.
Appena i bambini finiscono di prendere il té del mattino, Lyn (ausiliaria non specializzata) lava loro la
faccia e le mani; Sally, l’assistente, toglie loro i bavaglini e chiede loro di andare nella zona del cambio.
Ned (23 mesi) termina di mangiare la sua banana. «Giù?» chiede. «Vuoi ancora frutta, Ned?»
chiede Lynn. «No» dice Ned. «Va bene allora»
dice Lynn, lavandogli la faccia e le mani e togliendogli il bavaglino, «Vai da Sally adesso,
Ned. Lei ti cambierà il pannolino».
Ned si dirige verso la zona del cambio. «Ciao,
Ned» lo saluta Sally. «Sei venuto a prenderti un
pannolino pulito?» Sally solleva delicatamente
Ned sul tavolo e inizia a cambiarlo. Gli parla dolcemente mentre gli mette un pannolino pulito.
Prima di tirargli su i pantaloncini, fa un gioco del
solletico:
Hand is walking
Hand is walking
Walking up and over the hill
Hand is jumping
Hand is hopping
Now hand is standing still.
(Larkin, Suthers 1995, p. 31)1
Mentre pronuncia i primi tre versi, Sally fa avanzare la mano dalla punta dei piedi di Ned su per la
gamba e sopra il ginocchio. Ned ride tranquillo.
Durante la seconda metà della filastrocca Sally torna con la mano sulla punta dei piedi. «Ancora» dice Ned. «Va bene, Ned» dice Sally e ripete il gioco.
Questa volta, pronunciando l’ultimo verso, Sally
fa una pausa dopo la parola “standing”. «Still» dice Ned ridacchiando. Sally gli tira su i pantaloncini e gli rimbocca la maglia. «Vai via adesso» gli dice mentre lo mette giù. Ned corre via sorridendo.
Il personale del nido ha dimostrato che è possibile includere la musica in molte delle mansioni quotidiane di
cura della persona. Erano liete di usare attività basate
sulla rima con i bambini e di incorporarle in una serie
di occasioni. Inizialmente, la maggior parte dei giochi
utilizzava le filastrocche, ma col tempo sono state incluse anche alcune canzoncine basate su melodie tradizionali già note. Il personale ha notato che i bambini rispondevano positivamente all’inclusione di attività
musicali nelle pratiche quotidiane, unendosi spesso al
canto e alle filastrocche o richiedendo le loro preferite.
La musica come gioco
Il gioco libero con oggetti sonori è stato proposto regolarmente nel progetto. Un oggetto sonoro è qual4
siasi cosa possa essere usata per produrre un suono,
comprese suppellettili quotidiane come pentole, vassoi, tazze e cucchiai, oppure shaker fatti in casa con
bottiglie di plastica riempite di riso, pasta o lenticchie. La sicurezza dei bambini è di importanza assoluta, quindi tutti gli oggetti sonori devono essere controllati regolarmente per assicurarsi che siano privi di
angoli taglienti e di protuberanze, o di piccole componenti che potrebbero essere inghiottite o inalate.
In questo progetto, gli arnesi per le attività musicali
sono stati allestiti all’aperto, accanto ad altre attrezzature per il gioco libero. Sidney ha un clima temperato e soleggiato, e solo in due giornate, nell’arco dell’intera durata del progetto, l’area all’aperto è risultata inadatta al gioco dei bambini. In molti altri giorni
è stato possibile utilizzare solo le verande.
Fuori i bambini piccoli erano liberi di scegliere i giochi che decidevano di esplorare e di muoversi tra le
diverse attività. Ogni bambino poteva giocare nel
modo che preferiva; non c’era una maniera prestabilita, un modo giusto di usare i materiali.
Il gioco libero con i suoni sulle stuoie per la musica
incoraggiava i bambini a scoprire gli effetti acustici, a
trovare diversi modi per produrli, a combinarli fra loro e a creare schemi sonori.
Il gioco libero con i suoni e con la musica registrata
favoriva una reazione cinestetica da parte dei bambini, che si muovevano e ballavano producendo suoni o
in risposta alla musica. Il gioco libero musicale con
animali e libri noti, con burattini e bamboline stimolava i bambini al vocalizzo e al canto.
Il secondo aneddoto illustra il gioco libero con oggetti sonori: stuoia per il gioco musicale con tamburi.
Questo episodio ha avuto luogo durante la terza occasione di gioco musicale libero, e mostra alcune delle reazioni dei bambini ai materiali proposti. Queste
reazioni sono un esempio di quelle che in genere i
bambini avevano di fronte al gioco musicale.
Sulla stuoia per la musica è stato disposto un assortimento di dieci tamburi, tra cui tamburi veri
e propri, tamburelli, tamburini giocattolo e piccoli tamburi a due teste provenienti dalla Cina e
dall’Indonesia. Inizialmente, molti bambini si
raccolgono attorno alla stuoia, e tutti vogliono
provare i tamburi. La maggior parte di loro prova uno o due strumenti per poi spostarsi verso
gli altri giochi all’aperto a disposizione. Durante i 35 minuti di gioco all’aperto, sei dei tredici
bambini presenti tornano sulla stuoia per la musica una o più volte, dopo il primo episodio di
gioco. Quattro ci entrano solo una volta, compresa Bonnie (23 mesi) che aspetta per trenta
minuti che la stuoia sia libera prima di avventurarcisi sopra per provare da sola. Tre bambine
non vengono proprio sulla stuoia.
I maschietti del gruppo sembrano divertirsi particolarmente con i suoni forti che riescono a produrre con le mani e talvolta con i piedi sui tamburi. Nathan (23 mesi) usa la sua mano destra per
battere su di un tamburo. Lo rovescia e prova l’altro lato della pelle. Apparentemente preferisce
l’effetto iniziale, perché lo rigira e lo suona ancora
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
Nita (l’educatrice) ha commentato: «a loro piaceva
giocare con gli strumenti e con gli oggetti sonori. I
materiali li attraevano e si divertivano a produrre
suoni diversi».
Le esperienze di gioco libero soddisfacevano le esigenze di bambini piccoli a diversi livelli di sviluppo. Il carattere non definito delle esperienze proposte permetteva ai bambini di giocare in molti modi diversi – da
soli, in parallelo, o di impegnarsi nel gioco sociale
(Johnson, Christie, Yawkey 1987). Il personale era
molto favorevole a programmare esperienze di gioco
musicale, e vedeva un concreto beneficio nel dare la
possibilità ai bambini di giocare liberamente con la
musica, dal momento che questo soddisfaceva le loro
esigenze individuali. Inoltre, il gioco musicale era funzionale alla programmazione, in quanto parte del curriculum dei bambini, e facile da organizzare nello spazio all’aperto accanto ad altre attività di gioco libero.
La musica come esperienza sociale
Le esperienze musicali collettive hanno coinvolto
gruppi di bambini che hanno partecipato a una serie
di attività progettate e realizzate dal ricercatore. Le
esperienze comprendevano una varietà di pratiche e
di giochi imperniati sulla pratica strumentale, il canto, l’ascolto, il movimento e la danza. Le esperienze
sociali, così come le esperienze di gioco musicale, sono state realizzate nello spazio all’aperto accanto ad
altre esperienze di gioco e scelte autonomamente dai
bambini che potevano entrare nel gruppo e lasciarlo
per un’altra attività quando volevano. Il personale
spesso si è unito al gruppo durante queste esperienze.
Le esperienze musicali collettive si sono modificate significativamente nel corso del progetto, dalla prima
volta in cui vennero proposte, in aprile, fino a novembre. I cambiamenti hanno riguardato la loro durata, il coinvolgimento dei bambini e la qualità della
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
loro partecipazione. Negli ultimi mesi del progetto, le
esperienze in genere duravano all’incirca trenta minuti e comprendevano una decina o più di diverse attività brevi. Le esperienze iniziavano sempre con giochi
con i bastoncini, seguiti da semplici sequenze di movimento su musiche registrate. Poi venivano attività
come canzoncine, giochi cantati, suonare strumenti e
sonorizzare una storia. Una canzoncina di addio concludeva il tempo di gioco.
Durante il corso delle esperienze i bambini hanno
avuto la possibilità di usare una varietà di strumenti
come bastoncini, campanelli, zoccoli a sonagli e maracas. L’attività strumentale che preferivano era comunque quella con i bastoncini, semplici stecchette a
incastro fatte dagli insegnanti, che la ricercatrice portava in un cesto di plastica. Nel corso del progetto, i
bambini hanno preso confidenza con la struttura delle esperienze musicali collettive.
Il terzo aneddoto illustra un’esperienza musicale collettiva: l’attività con i bastoncini
Otto bambini si raggruppano attorno alla stuoia.
Cinque di loro si prendono da soli un paio di bastoncini dal cesto. Lesley (20 mesi), Yoshi (22
mesi) e Porter (17 mesi) aspettano che vengano
loro consegnati. Facciamo una canzone ben nota, Tap, tap. Ned (24 mesi) canta «Tap, tap, tap,
tap» per tutta la durata della canzone. Dopo
aver tamburellato e picchiato per terra con i bastoncini, chiedo ai bambini che cos’altro potremmo fare con le nostre stecchette. Ned risponde
«Martellare» (martellare con i bastoncini significa tenerne uno come se fosse un grosso chiodo e
batterlo con l’altro). Oliver (25 mesi) suggerisce
«Scarpa» (battersi i bastoncini sulla scarpa) e
Lesley dà la sua risposta sbattendo le punte dei
bastoncini fra loro.
Tutti i bambini partecipano a queste azioni, anche se Yoshi in genere le esegue soltanto dopo che
il gruppo ha terminato. Continua per esempio a
picchiare per terra mentre il gruppo sta martellando. Alla fine del gioco con i bastoncini tutti i
bambini ripongono le loro stecchette nel cesto.
Il quarto aneddoto racconta il gioco con i cubi, simulazione di quello con i bastoncini.
Nita, l’educatrice, ha registrato questa osservazione
durante una sessione di gioco all’interno. Aveva predisposto dei cubi di legno, accanto a puzzle, libri, pasta per giocare e un angolo da casetta.
Olivia (25 mesi), Bonnie (27 mesi) e Ned (26 mesi) sono tra i bambini che hanno giocato con i cubi. Bonnie e Ned hanno raccolto tutti i cubi piccoli in un mucchio. Ned ne raccoglie un paio e comincia a sbatterli uno contro l’altro. Bonnie si associa a lui e canta «I bastoncini tap, tap, tap.»
Anche Ned canta assieme a lei. Olivia smette di
impacchettare i suoi cubi in un sacchetto e si unisce a loro, battendo un cubo per terra e cantando
«Tap, tap, tap, tap, tap...»
In questo progetto, i giochi con i bastoncini hanno
soddisfatto un’ampia gamma di esigenze e di livelli di
sviluppo diversi. I bambini che hanno partecipato ai
5
Ricerche e problemi
per un altro mezzo minuto. «Bang. Bang!» urla
Edward (23 mesi) tamburellando. Baird (14 mesi)
mentre suona vocalizza: «Aaaaaah! Aaaaaah!».
Ned (22 mesi) torna sulla stuoia, dopo un primo
passaggio di esplorazione, quando c’è soltanto un
altro bambino, Porter (15 mesi) che sta succhiando il tamburino giocattolo a forma di tartaruga.
Ned si siede e tocca con prudenza tutti i tamburi
alla sua portata. Poi batte sistematicamente su
ciascuno, a quanto pare per ascoltarne l’effetto.
Dopo aver ripetuto il giro, si alza e si dirige verso
la buca della sabbia. Porter lo segue continuando
a succhiare il tamburino giocattolo.
Olivia (23 mesi) torna sulla stuoia quando Ned e
Porter se ne vanno. Prova il piccolo tamburo indonesiano, battendo sempre più forte. Smette improvvisamente di giocare. Si è ammaccata una
mano e la stende per mostrarla a Lyn. Lyn la consola e Olivia torna rapidamente a volgere la sua
attenzione ai tamburi. Dopo un momento recita
di nuovo la sequenza, fingendo di farsi male alla
mano e cercando il conforto degli adulti. Ripete
questa messa in scena in tutto quattro volte.
Ricerche e problemi
giochi con i bastoncini lo hanno fatto per scelta; hanno sempre avuto la possibilità di lasciare il gruppo se
lo desideravano, anche se pochissimi lo hanno fatto.
A seconda del loro livello di sviluppo, i bambini potevano giocare solo con i bastoncini, giocare con i bastoncini e cantare la canzoncina, oppure limitarsi a
guardare gli altri bambini che partecipavano. La natura sociale di queste attività li ha aiutati a sviluppare alcune delle capacità associate al fatto di far parte
di un gruppo: condividere lo spazio o l’attenzione di
un adulto, ascoltare altre persone, fare la stessa cosa
di altri bambini.
Il gioco musicale e le esperienze musicali collettive
hanno consentito la partecipazione dei bambini a diversi livelli, commisurati ai diversi gradi di sviluppo
dei singoli bambini presenti nella stanza dei giochi.
Nei giochi musicali i bambini potevano guardare,
partecipare alle azioni o compierle, così come potevano cantare oppure fare vocalizzi. Nelle attività con i
bastoncini potevano imitare esattamente il modo in
cui la ricercatrice giocava con i suoi bastoncini ed eseguire le azioni che lei proponeva, oppure rispondere
all’attività a modo loro: entrambe le risposte sono
state incoraggiate e sostenute. I giochi con i bastoncini favorivano inoltre lo sviluppo di capacità sociali e
di altri comportamenti non specificamente musicali,
come l’acquisizione di competenze linguistiche.
Sebbene le esperienze musicali collettive abbiano prodotto un risultato decisamente positivo dal punto di
vista musicale, il personale del nido appariva più consapevole ed entusiasta di alcuni esiti extra-musicali.
Nita, l’educatrice, dopo la conclusione della ricerca,
ha espresso le seguenti considerazioni: «I bastoncini
erano l’attività preferita dei bambini. Ricordo che la
prima volta che hanno avuto in mano i bastoncini
battevano su ogni cosa, dappertutto. Avevano bastoncini in bocca e nelle scarpe. Col tempo, hanno
iniziato a capire che servivano per tamburellare, battere, farli rotolare e sventolarli, e per tutte le altre
azioni che sperimentavano nei giochi. Era bello osservare il loro sviluppo corporeo. D’altronde il fatto che
durante il gioco dovessero pensare ad altri modi con
cui usare i bastoncini e suggerire nuove azioni era anche un’interessante sfida cognitiva».
Nita ha notato che i bambini che non erano di lingua
madre inglese riuscivano facilmente a partecipare ai
giochi con i bastoncini perché si trattava di esperienze non basate principalmente sul linguaggio. Ci ha
spiegato: «Yoshi non parlava molto l’inglese quando
è arrivato da noi (dal Giappone). I giochi con i bastoncini funzionavano con lui perché erano molto visivi. Non si trattava solo di una canzone, di cui avrebbe perso l’intero significato se non capiva le parole.
Nei giochi con i bastoncini tutto veniva fatto sia a livello verbale che corporeo, e in tal modo Yoshi poteva avere un aiuto. Questo ha davvero favorito il suo
sviluppo linguistico, e anche il suo sviluppo sociale».
Un ulteriore aspetto delle reazioni dei bambini era la
soddisfazione che trovavano nelle consuetudini, nei
riti e nelle ripetizioni. La struttura conosciuta delle
esperienze musicali collettive piaceva loro molto. Si
6
sentivano sicuri perché sapevano cosa veniva dopo,
quando alzarsi o sedersi, come fare giochi già noti,
conoscevano alcune parole delle loro canzoni preferite e quando era il momento di riporre i bastoncini nel
cesto. Questo aspetto dava loro una sensazione di
competenza e di successo. La ripetizione di canzoni e
giochi favoriva anche lo sviluppo della memoria uditiva. I bambini hanno preso dimestichezza con
un’ampia varietà di canzoni, giochi e registrazioni
grazie all’ascolto ripetuto.
Conclusione
Certo non è possibile fare delle generalizzazioni a
partire da un esperimento che ha coinvolto 17 bambini; tuttavia, questa ricerca mette in evidenza alcune
questioni legate alla programmazione e alla realizzazione di esperienze musicali con i bambini piccoli al
nido. Nello specifico, dimostra che è possibile inventare e mettere in pratica tutta una serie di esperienze
musicali adatte ai bambini di una sezione di nido
usando sia attività strutturate che il gioco libero; e dimostra che è possibile incorporare la musica in molte
delle attività quotidiane di cura personale.
La partecipazione attiva ed entusiasta del personale è
cruciale per l’effetto e l’efficacia di qualsiasi progetto
musicale con bambini al di sotto dei tre anni. Ogni
operatore di nido, quale che sia la sua formazione ed
esperienza, può comunque avere un ruolo nella costruzione delle esperienze musicali. Infatti, se da un
lato la conoscenza dei comportamenti musicali dei
bambini molto piccoli è una componente essenziale
per progettare e realizzare esperienze adatte ed efficaci, d’altra parte un acuto spirito d’osservazione, sensibilità e prontezza sono qualità altrettanto indispensabili per preparare e attrezzare il gioco musicale al
nido.
I bambini devono avere molte occasioni in cui giocare liberamente con la musica e i suoni: con strumenti
semplici, con giocattoli che producono suoni e con
oggetti sonori. Devono anche poter avere un rapporto musicale da soli con gli adulti e poter suonare fianco a fianco con altri bambini. Si divertono a condividere con gli altri le proprie scoperte musicali e il proprio gusto per i suoni. Inoltre apprezzano il carattere
partecipato delle esperienze musicali collettive che
possono scegliere da soli, come cantare, suonare gli
strumenti e muoversi danzando insieme. Se i bambini
sono in grado di scegliere se prender parte a un’attività musicale e di decidere la natura e la durata della
loro partecipazione al far musica assieme, allora
esperienze di questo tipo possono costituire la giusta
occasione per individui diversi fra loro. Il personale
del nido può trovare un modo per sostenere efficacemente lo sviluppo di ogni bambino affidatogli, garantendo la presenza quotidiana di esperienze musicali
nella stanza dei giochi.
[traduzione di Erica Moro]
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
Oggetti da suonare
AUGUSTO PASQUALI
Bottigliofono, baratteria, imbutromba, cartamburo: oggi abbiamo deciso di proporre alla nostra classe l’invenzione e la costruzione di strumenti musicali originali e un po’ matti. Sappiamo infatti come la progettazione e l’assemblaggio di un oggetto-strumento possa
rappresentare una tappa essenziale verso l’acquisizione di alcuni dei concetti base del mondo dei suoni,
quali il timbro, il colore, l’intensità, l’altezza, l’attacco e
l’estinzione. I ragazzi subito si entusiasmano, ma, come spesso accade, la loro creatività ha bisogno di
qualche stimolo per essere pienamente attivata (pena
il rischio di ritrovarsi con la cattedra piena di maracas
fatte con bicchierini da yogurt). Proviamo allora a chiedere aiuto a Internet: chissà che non ne scaturisca
qualche proposta sfiziosa o qualche idea sviluppabile
in maniera originale.
In effetti sono svariati i siti che possono fornire i primi
suggerimenti per la costruzione di uno strumento: fra
questi segnaliamo Energy In The Air: Sounds From
The Orchestra (tqjunior.thinkquest.org/5116/activities.htm), Homemade Instruments (www.nancymusic.com/PRINThomemade.htm) e The Mudcat for
Kids (www.mudcat.org/kids). In questi siti, attraverso
brevi spiegazioni e qualche foto o disegno, vengono
descritti sommariamente i materiali occorrenti e i passaggi necessari per realizzare alcuni semplici strumenti. A chi pretende qualche idea più complessa e articolata consigliamo invece una visitina a The Crafty Music
Teacher’s Page (www.outback.chi.il.us/~bonnysu/
craftymusicteachers) o a The Children’s Museum of
Indianapolis (www.childrensmuseum.org/artsworkshop/jam.html). È doveroso comunque sottolineare due
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
aspetti: il primo che si tratta di siti americani e quindi
le spiegazioni sono tutte in inglese; il secondo che
l’aiuto che ci viene da queste pagine web è assimilabile a quello che possiamo tranquillamente ricevere da
un buon libro illustrato sulla costruzione di strumenti
musicali.
Dove la navigazione in rete diventa preziosa è invece in
quei siti di istituzioni scolastiche che espongono le foto degli strumenti costruiti dagli alunni delle proprie
classi. Infatti è soprattutto il confronto con le esperienze altrui che può risultare per i nostri ragazzi assai fertile per nuove idee.
Ecco allora che presso siti come il francese Edumusic
(edumusic.free.fr/page1frame.shtml) o l’italiano Museo
virtuale degli strumenti musicali (iclame.scuole
.bo.it/museostrumenti) è possibile vedere alcuni strumenti inventati e costruiti da altri ragazzi, con relative
foto, istruzioni per la realizzazione e, a volte, persino
con esemplificazioni audio. Segnaliamo anche Exhibits-Virtual Museum of Music Inventions (www.op97
.k12.il.us/schools/longfellow/lrexford/base/page6.htm),
sito-raccolta di strumenti musicali costruiti da scolaresche americane (in genere di Elementary School), dove
anche si invitano i docenti ad arricchire la già vasta collezione inviando le foto degli strumenti costruiti dalle
proprie classi. Inutile sottolineare che la prospettiva di
veder “pubblicato” il proprio strumento musicale insieme a quelli di coetanei così lontani non può che far lievitare sensibilmente nei ragazzi la motivazione al fare.
Per concludere segnaliamo Oddmusic (oddmusic
.com/gallery/index.html) e Experimental Musical Instruments (windworld.com/emi), due siti che presentano strampalati oggetti sonori che non mancheranno
di affascinare i più curiosi fra i nostri alunni.
7
Ricerche e problemi
Bibliografia
FLEER M., UDY G., 2002, “Early years in education in Australia”, in Year Book Australia 2002, Australian Bureau of
Statistics, in: www.abs.gov.au/ausstats/[email protected]/0/F4FCE0
C540 F81D6BCA256B350018730D?Open.
GONZALES-MENA J., EYER D.W., 1998, Infants, toddlers
and caregivers, Mountain View, CA, Mayfield (4a edizione).
JOHNSON J.E., CHRISTIE J.F., YAWKEY T.D., 1987, Play
and early childhood development, SA, Harper Collins.
LARKIN V., SUTHERS L., 1995, What will we play today?
Drama, movement and music arts games for children 0-5
years, Sydney, Pademelon.
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SUTHERS L., 1998, Music experiences for toddlers in daycare: An Australian study, Unpublished doctoral dissertation,
Macquarie University, Sydney, Australia.
WANGMANN J., 1995, Towards integration and quality assurance in children’s services, Melbourne, Australian Institute of Family Studies.
Musica in Internet
Note
1
La mano cammina / La mano cammina / Cammina su e giù
per la collina / La mano zompa / La mano salta / La mano
adesso si è fermata [ndt].
Parole chiave
Arpeggio
FRANCESCO BELLOMI
Il verbo arpeggiare può suggerire l’idea che sia qualcosa di strettamente legato a uno strumento ben noto
a tutti: l’arpa. E questa è la prima definizione che di
solito fornisce il vocabolario: «Arpeggiare, suonare
l’arpa e, per estensione, altri strumenti a corda. Fare
arpeggi.» Solo a qualche pignolo verrebbe in mente di
scavare nell’altra, più antica, definizione: «moversi di
animali affetti da arpeggio».
Questa malattia misteriosa che si chiama arpeggio è
definita come: «grave difetto di andatura dei quadrupedi, consistente in una esagerata flessione dell’arto
con brusco appoggio del piede». Lasciamo dormire
per il momento questo secondo significato e andiamo
a vedere cos’è un arpeggio per i musicisti: «Arpeggio,
eseguire le note di un accordo una dopo l’altra anziché tutte insieme».
Tutti gli strumentisti sanno che eseguire in maniera eccellente scale e arpeggi è una delle abilità fondamentali per poter suonare senza fatica molti repertori. Ma
qualunque successione di suoni eseguiti in successione è un arpeggio? No, solo se questi suoni compongono un qualche accordo. Altrimenti si ha una scala o
una melodia o una semplice successione di suoni priva di qualsiasi denominazione specifica. Proprio il fatto che un determinato comportamento (arpeggiare)
possieda una specifica etichetta verbale ci fa capire
che questo comportamento ha delle caratteristiche
sue proprie che lo distinguono dagli altri. Esattamente
come avviene quando, ad esempio, una determinata
figura geometrica porta una precisa etichetta verbale
(quadrato, cerchio, triangolo rettangolo ecc.) che la distingue da tutte le altre infinite forme.
Proprio la geometria e gli studi sulla percezione delle
figure geometriche ci forniscono uno strumento utile
anche per i suoni. Leewenberg, in un suo saggio intitolato Metrical aspects of patterns and structural information theory, 1978, ha cercato di mettere a punto un
sistema formalizzato per la misurazione della salienza
percettiva di figure disegnate in base alla caratteristiche strutturali rilevate. I criteri da lui adottati consentono di descrivere una figura in modo formalizzato, sulla
base delle regolarità presenti nel pattern considerato.
Si ipotizza l’esistenza di “ordinatori” percettivi (parallellismo, perpendicolarità, equidistanza dal centro,
simmetria ecc.) la cui presenza riduce drasticamente
le unità di informazione necessarie per definire e per-
8
cepire o riconoscere la figura geometrica in questione.
«L’insieme di tutti i punti equidistanti da un punto detto centro»; questa definizione, estremamente economica ma completa della figura del cerchio è, da questo
punto di vista, esemplare.
Provate a descrivere compiutamente, con lo stesso numero di parole, la figura geometrica infinitamente più
complessa di una ragnatela stramba fabbricata da un
ragno fatto ubriacare in laboratorio. Un libro intero forse non basterebbe.
A pensarci bene l’arpeggio è un vero e proprio ordinatore percettivo. È in sostanza la ripetizione di una medesima gestualità su altezze diverse ma facilmente
prevedibili perché appartenenti a uno stesso accordo.
Forse non è un caso che grandi quantità di arpeggi siano adoperati dai musicisti del passato in quei momenti di passaggio fra un episodio e l’altro di certi brani. In
un articolo di Dratwicki intitolato Une typologe des
«Passages» dans le concerto pour piano romantique
(1800-1849) - l’exemple de Johann Nepomuk Hummel (1778-1837) e pubblicato sulla rivista di analisi
musicale Musurgia nel 2000, si analizzano proprio i
passaggi, cioè gli episodi di transizione nella scrittura
pianistica del concerto per piano e orchestra, in Hummel in particolare. Una volta fatto partire un arpeggio,
l’ascoltatore sa spesso fare delle previsioni attendibili
su come continuerà e questo è tipico delle situazioni
povere di unità di informazione.
Dal punto di vista motorio e sonoro, l’arpeggio consiste, su molti strumenti, in uno spostamento graduale
e prevedibile sulle corde o sui tasti o sulle chiavi.
Quasi una specie di scivolamento secondo precisi
schemi motori.
L’etimologia della parola arpa confonde spesso la radice
germanica harpa con quella di origine sannita herpex
(dalla quale l’italiano erpice: un attrezzo dentato che scivola sul terreno rivoltando le zolle) e con quella latina
herpes che deriva a sua volta dal greco hèrpein (= strisciare) e che è il nome di una infezione della cute così
chiamata perché è una malattia che striscia sulla pelle.
Siamo partiti da una lontana malattia dei quadrupedi e siamo arrivati a un’altra strisciante malattia. Se
poi qualche quadrupede arpeggiante, con il suo brusco appoggio del piede, perde il controllo e scivola,
la frittata è fatta, come sanno bene i musicisti che
quando scivolano su un arpeggio, sbagliando qualcosa, sono beccati senza pietà anche dall’ascoltatore più inesperto.
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
Strumenti e tecniche
La trascrizione musicale
La pratica della trascrizione viene indagata
nelle sue principali funzioni e in alcune
strategie operative utili all’insegnante e al
didatta. La varietà e ricchezza dei processi
musicali coinvolti in questa attività
costituiscono uno stimolo di sicuro interesse.
EMMA BOLAMPERTI
Trascrivere e variare sono pratiche molto usate nella
musica e mostrano numerosi punti di contatto; entrambe infatti ci permettono di intervenire sul materiale musicale intaccandolo nei suoi parametri costitutivi. In particolare il procedimento della variazione
contiene un ventaglio di possibilità ben più ampio dei
procedimenti, egualmente presenti nell’elaborazione
musicale, della ripetizione e del contrasto. Per variare
è necessario saper entrare nelle strutture e nei procedimenti compositivi con cognizione di causa. Al contrario della ripetizione e della contrapposizione, che
risultano essere spesso procedimenti più primitivi, la
variazione mette sempre in gioco capacità analitiche
non elementari.
riero o un codardo, un difensore o un attaccabrighe?
Galoppare si può sostituire con correre a briglia sciolta o fuggire via?
Con un po’ di lavoro otterremo risultati simili a questi:
• un nobiluomo, sul suo niveo destriero, corse con
briglie sciolte per distese erbose;
• un uomo sul dorso del suo equino fuggì per terreni
erbosi.
Confrontando la frase iniziale e le due risultanti dalla
trasformazione, esse si rivelano diverse per registro
linguistico e scelte descrittive. Nella seconda trasformazione, un po’ “stonata”, il cavaliere è semplicemente un uomo, non è più specificato il colore del cavallo, mentre nella prima è stata omessa la sella.
In conclusione per riscrivere questa espressione abbiamo dovuto analizzarne il significato e operare delle
scelte che ne hanno sacrificato o esaltato il contenuto.
Siamo stati fedeli alla frase di partenza o abbiamo agito con libertà.
Giochiamo a trascrivere
Un giorno normale, una lezione normale, in una normale scuola media. L’insegnante di lettere chiede ai ragazzi di prendere un foglio e detta: «Il cavaliere galoppò veloce in sella al suo cavallo bianco fra immense
praterie. Riscrivete questa frase usando parole che
non contengano la lettera a. Vietato usare il dizionario
dei sinonimi. Avete cinque minuti. Buon lavoro».
Al di là del valore letterario dell’esempio, può essere
divertente cimentarsi nell’esperimento del lipogramma, cioè della scrittura di un testo privo di una determinata lettera dell’alfabeto. Un famoso esempio si trova negli Esercizi di stile di Raymond Queneau. Questo
autore si era limitato al lipogramma che esclude dal
testo la vocale e. Umberto Eco, nella traduzione italiana, ha fatto sfoggio di bravura realizzando cinque diversi lipogrammi, uno per ogni vocale.
Il cavaliere diventerà: nobiluomo, difensore, uomo a
cavallo (al cavallo penseremo dopo), guerriero. Si noterà subito che ogni sinonimo possiede una sfumatura
di significato diversa e modifica più o meno profondamente il pensiero iniziale: il cavaliere sarà un guerMusica Domani 129 – Dicembre 2003
Il rapporto fra il trascrittore e la fonte
Il trascrittore si accosta all’opera oggetto della trascrizione ponendosi verso di essa con libertà ma, nel caso
di opere di indubbio valore, di capolavori riconosciuti, l’importanza della fonte può rivelarsi paralizzante.
Non è questo il caso del pianista Uri Caine, che nel
2002 ha “osato” rielaborare le Variazioni Goldberg di
Bach per pianoforte, due voci, violino, tromba, batteria, contrabbasso, sax, clarinetto e consolle, e che riproporrà alla Biennale di Venezia 2003. Il trascrittore
è vittima allora di quel sentimento di auctoritas, caro
al mondo latino che vincolava alla fedeltà a un modello ritenuto intoccabile, senza dimenticare che la fedeltà può essere anche frutto di una scelta stilistica
precisa e consapevole.
Nell’arte del dire (oratoria) sono presenti alcuni principi sui quali vale la pena di riflettere anche a proposito
9
Strumenti e tecniche
della trascrizione. Esiste l’inventio, cioè il concepire ex
novo un argomento da trattare, ma esistono anche
espositio e dispositio cioè come dire le cose e come organizzare il discorso. Considerando questi due elementi si può quindi affermare che accanto all’inventiva ha
pari dignità la rielaborazione di un contenuto. In questo senso la letteratura ci offre esempi straordinari come le diciassette versioni della storia di Tristano che si
succedono a partire da quella archetipica del 1150.
Trascrivere quindi vuol dire riscrivere diversamente,
trasformare. In campo musicale associamo al concetto di trascrizione i seguenti significati:
• convertire un brano scritto in notazione arcaica in
notazione moderna;
• destinare a uno strumento o gruppo strumentale
una composizione originariamente pensata per diverso organico;
• raccogliere in forma scritta, il più fedele possibile,
canti o forme musicali tramandate oralmente;
• anticamente trascrivere significava copiare una
parte musicale, mansione svolta dal copista fino e
oltre l’avvento della stampa musicale. Il termine
però non è univoco, comprendendo diversi sottosignificati: riduzione, orchestrazione, ornamentazione ecc.
Perché trascrivere?
Le motivazioni sono molte: per ampliare il repertorio, per esigenze di organico, per finalità divulgative,
per adattare il brano al gusto di un epoca, per esigenze pratiche, per rinnovare e sperimentare.
In ambito didattico le finalità della trascrizione possono essere: studiare un linguaggio, facilitare lo studio o incrementare progressivamente le difficoltà,
raccogliere materiale popolare, varcare i confini di un
genere. Analizziamo di seguito questi differenti aspetti della trascrizione uno a uno.
1. Ampliare il repertorio. Alcuni strumenti, per l’origine recente o per l’impiego particolare in orchestra, non
hanno sviluppato un’ampia letteratura specifica. È il caso del sassofono, o della fisarmonica, strumenti non ritenuti classici per molto tempo, o del clarinetto moderno il cui repertorio si forma solo a partire dalla fine del
settecento. Quando nasce un nuovo strumento, la prassi prevede che si saccheggi la letteratura già esistente per
adattarla a esso. Ad esempio gli arpisti, nei primi anni
di corso, eseguono la Sonatina op. 36 n. 1 di Clementi
(il cui originale è per pianoforte) mentre il programma
della scuola di fisarmonica prevede trascrizioni di contrappunti dell’Arte della fuga di Bach e del repertorio
cembalistico: Frescobaldi, Couperin ecc. I pianisti non
commettono operazione dissimile quando eseguono
Bach o Scarlatti al pianoforte. Apparentemente non
mutano molto della composizione originale, ma, essendo diverse le risorse espressive dello strumento, le composizioni subiscono cambiamenti sul piano della pronuncia delle frasi, dell’articolazione, della dinamica,
dell’agogica. Personalità importanti del mondo musica10
le hanno poi trascritto personalmente per il proprio
strumento: Segovia per la chitarra, Lionel Tertis per la
viola, Kempff per pianoforte ecc., e talvolta certi brani
sono arrivati al grande pubblico più attraverso una fortunata trascrizione che attraverso la versione originale.
2. Le esigenze di organico. L’esercizio della professione musicale può mettere di fronte alla possibilità di
formare, con amici o colleghi, un ensamble sui generis,
ad esempio con una chitarra, un clarinetto, un flauto.
Per qualche tempo ci si dedica allo studio delle partiture composte per questo organico e poi? Si propone
sempre lo stesso repertorio, si smette di suonare insieme, oppure si trascrive! Lo stesso fanno gli ensamble di
ottoni, le orchestre delle nostre scuole medie, la banda
cittadina. La strumentazione per banda, a cui è dedicato un corso di studi specifico in conservatorio, nasce all’epoca di Mozart. Da allora a composizioni originali
si sono affiancate le più svariate trascrizioni di Inni nazionali, arie d’opera, masterpiece classici, musica leggera, canzoni popolari ecc.
3. Le finalità divulgative. Trascrizione con questa funzione è nata e sostenuta da due princìpi apparentemente contrapposti, il profitto e l’amore per la conoscenza.
Da sempre nel repertorio musicale sono esistiti temi
strumentali e arie d’opera che più di altri hanno incontrato il favore del pubblico. Creare composizioni che
ricalcassero tali melodie poteva essere economicamente vantaggioso per il compositore e per l’editore, in
quanto il brano avrebbe sicuramente venduto. Ciò
avrebbe significato circolazione di quella musica nelle
case, nei borghi lontani dai grandi centri culturali e dai
teatri; incrementando la fama del compositore e permettendo la conoscenza dell’opera musicale.
Un esempio è rappresentato dalle numerose parafrasi, fantasie, trascrizioni di ouverture, arie d’opera,
sinfonie, melodie popolari ottocentesche a opera dei
grandi virtuosi della tastiera: Liszt, Thalberg, Kalkbrenner, Tausig ecc. Un’operazione simile era già stata compiuta nel secolo precedente per il clavicembalo
da D’Anglebert che pubblicò la trascrizione di alcune
Ouvertures di Lully o dall’editore Walsh di Londra
che pubblicò sessanta Ouvertures di Haendel per
questo strumento.
4. Adattare il brano al gusto di un epoca. Dal punto
precedente a questo il passo è breve. Ogni opera d’arte è figlia di una data cultura. È naturale che il trascrittore si trovi a integrare, in ciò che sta manipolando, gli stilemi propri della sua epoca. Per quanto riguarda l’Ottocento pianistico, ad esempio, esso è il
secolo del virtuosismo strumentale e la componente
acrobatica è quasi sempre presente nelle trascrizioni.
Così in Italia, nei primi anni del Novecento, si rivisita il repertorio antico: Toccate di Frescobaldi e Danze per liuto a cura di Respighi, sonate di Scarlatti per
opera di Longo intervenendo sul piano armonico, eliminando durezze e modificando, nel caso di Domenico Scarlatti, quelle che Longo riteneva delle «arditezze armoniche».
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
6. Rinnovare e sperimentare. Questa rappresenta una
tendenza nel panorama compositivo degli ultimi anni. Trattasi di rivisitare materiale pre-esistente con
tutte le risorse che la musica di oggi può offrire. Fra i
compositori che hanno operato in questa direzione si
citano Davies con Cauda Pavonis (dall’Impromptu
op. 90 n. 1 di Schubert) e Five Voluntaries (da Croft,
Clark, Attaignant, Couperin), Berio con i suoi Folksongs, Caine con le Variazioni Goldberg, Campogrande con il Concerto BWV 1052 di Bach, Stockhausen e i suoi Inni Nazionali in Hymnen.
7. Studiare un linguaggio. Questa è sicuramente la prima fra le finalità didattiche. Schönberg consigliava ai
giovani compositori di cimentarsi nella riduzione pia-
fig. 1
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
nistica di importanti brani di musica da camera per
carpirne gli elementi costruttivi. Dal punto di vista didattico il principio è ancora valido. Bene lo sanno gli
studenti di composizione a cui sarà capitato di eseguire riduzioni ma che avranno sperimentato anche l’operazione inversa, cioè orchestrare brani pianistici.
Bach docet nei concerti da Vivaldi, Marcello, Torelli.
8. Facilitare & facilitare. È questo un campo prettamente didattico e divulgativo. Per molto tempo in Italia i docenti di strumento, specialmente nei conservatori, hanno guardato la trascrizione come qualche cosa di dissacrante. Gli allievi non avrebbero dovuto
suonare un tema se non erano in grado di eseguirlo
nella versione originale; mentre nel mondo dell’insegnamento amatoriale, la trascrizione facilitata è sempre stata utilizzata. Si può ricordare la collana Perle
musicali edita da Ricordi negli anni Ottanta, un tempo molto diffusa. Il mondo anglo-sassone, americano
o dell’est europeo, non ha mai mostrato, invece, una
qualche forma di chiusura verso la pratica della facilitazione: pensiamo che nei primi anni del Novecento,
Peters pubblicava una serie di trascrizioni, per flauto
o violino con pianoforte, di brani pianistici celebri
dove il solista eseguiva la linea melodica principale e
il pianoforte eseguiva le sole figurazioni di accompagnamento. La collana si intitolava Meister für di Jugend. Apparve in tre fascicoli, uno dedicato a Haydn e Mozart,
un altro a Beethoven e Schubert, l’ultimo a Mendelsshon e Schumann (nel terzo volume ad esempio compare il terzo
brano dei Bilders aus Osten op. 66 di
Schumann, per pianoforte a quattro mani nell’originale, e trascritto qui per piano a due mani e flauto).
Oggi la situazione è profondamente
cambiata. Da un lato si è ampliato il repertorio originale dedicato ai primi anni
di studio, con piccoli brani facili un tempo sconosciuti alla didattica italiana, come la raccolta Pezzi facili per pianoforte
dei secoli XVII e XVIII (Türk, Dandrieu, Leopold Mozart ) a cura di Violeta Hemsy de Gainza, edito da Ricordi,
pubblicata in Italia dal 1998 ma in America dal 1976. Dall’altro sono apparse,
in metodi globali come Bastien di Bastien (edizioni Rugginenti), facilitazioni
di temi di Beethoven, Dvorak, Mozart.
La casa editrice Schott ha intrapreso dal
2001 la pubblicazione di una serie di volumetti intitolata Get to know classical
masterpiece. Curato nella veste grafica e
nei contenuti, ogni fascicolo è dedicato
alla facilitazione di un importante brano
di repertorio, accompagnato dalla presentazione dell’opera, e da un’essenziale
cronologia dell’autore. Fra i titoli apparsi sino a ora figurano opere sinfoniche: La Moldava di Smetana; classici co11
Ricerche e problemi
5. Le esigenze pratiche. È il caso dei vari spartiti canto e pianoforte, violino e pianoforte, dove il pianoforte è la riduzione della parte orchestrale mentre la parte solistica rimane invariata. Nel caso di balletti sono
diffuse versioni per pianoforte a quattro mani o due
pianoforti definite anche trascrizioni totali, in cui nessuna parte viene sacrificata nella riduzione.
Il motivo per cui si trascrive è pratico, economico e
ovvio: nessuno può permettersi di avere a disposizione un’orchestra per studiare un concerto o un’opera!
Strumenti e tecniche
fig. 2
fig. 3
me Il carnevale degli animali di Saint-Saens; pilastri
del repertorio pianistico da concerto: i Quadri di una
esposizione di Musorgskij (vedi figura 1 a pagina
precedente, e figure 2 e 3).
In direzione simile vanno le nuove pubblicazioni a uso
scolastico intitolate Muisc Kit di casa Curci. Si tratta
di brani facilitati di Telemann, Beethoven, Joplin per
organici variamente adattabili: pianoforte, chitarra,
flauto, percussioni.
Per essere precisi anche in passato alcune antologie
pianistiche hanno raccolto brani facilitati, senza però
dichiararli tali, cambiandone spesso il titolo. Cito a
proposito l’antologia pianistica in dieci fascicoli Cesi–Marciano. Nel primo fascicolo il minuetto di Mozart in sol maggiore non è altro che la semplificazione
del tema delle variazioni su Ah vous dira-je maman
dello stesso autore.
La facilitazione può anche essere una possibilità prevista dal compositore stesso. Si pensi alla duplice versione per pianoforte a due mani dei Valzer op. 39 di
Brahms (originali per pianoforte a quattro mani). La
prima è quasi il riassunto della versione a quattro mani, la seconda è decisamente più semplice, grazie a
cambi di tonalità, rinuncia ai passi in ottave ecc. Liszt
scrisse i 12 Studi di esecuzione trascendentale nel
1851 come semplificazione dei precedenti 12 grandi
studi (nel progetto dovevano essere 24!) del 1837 dedicati a Czerny, già a loro volta parte della raccolta di
esercizi del 1826. La versione del 1837 contiene successioni di ottave, sonorità orchestrali, doppie note,
canto alternato fra le due meni che si sposta dal registro acuto al mediano dello strumento ecc. Questi elementi appaiono anche nella versione del 1851 dove
però i tecnicismi più estremi vengono smussati in favore di una maggiore cantabilità.
l’insegnamento di questo genere di musica. In Francia
e in altri paesi, il Conservatorio porta avanti parallelamente una formazione professionale e una amatoriale di livello dove, contrariamente alla formazione
professionale italiana, è previsto si possa integrare nel
proprio piano di studi un corso dedicato alla musica
popolare. Altrove lo studio del proprio folklore è materia obbligatoria. L’est europeo è forse l’area geografica del vecchio continente che meglio ha conservato il
proprio patrimonio popolare. A ciò ha contribuito,
probabilmente, l’isolamento mediatico durato sino alla caduta del muro di Berlino nel 1989.
Nella musica popolare si è di fronte a tipi di emissione vocale particolari, ritmi non metrici, intervalli non
sempre corrispondenti a quelli del sistema temperato
o talvolta con intervalli inferiori al semitono. L’intervento del trascrittore può in modo non scientifico
edulcorare queste caratteristiche riconducendo la melodia ai parametri della nostra notazione; oppure può
servirsi della registrazione dei canti accompagnandola con schede che descrivano il più possibile l’ambiente, il cantante, la circostanza in cui il canto era
eseguito; o può ricorrere a notazioni non convenzionali. Molti musicisti colti hanno trovato problematico includere in propri lavori citazioni di melodie popolari. Racconta Stravinskij nelle Cronache della mia
vita che la struttura ritmica della Danza sacrificale
dell’eletta dal Sacre du Printemps non rientrava nel
modo occidentale di organizzare la durata dei suoni.
Avendo in mente la melodia, sperimentata più volte
al pianoforte, rimaneva il problema di come indicarla chiaramente in partitura. Stravinskij non fu mai
pienamente soddisfatto della scelta fatta.
9. Incrementare le difficoltà dello studio. Ci troviamo
qui di fronte al caso opposto. Brahms ce ne ha lasciato
testimonianza con cinque studi per pianoforte. Il primo è la rielaborazione (più difficile) dello studio op. 10
n. 2 di Chopin. Il quinto studio, per sola mano sinistra,
è la trascrizione della Ciaccona per violino solo in re
minore di Bach. Brahms interviene anche sull’Improvviso op. 90 n. 2 di Schubert, destinando le terzine di
crome alla mano sinistra anziché alla destra. Anche gli
studi di Godowski sugli studi di Chopin vanno inclusi
in questa categoria di trascrizioni.
10. Raccogliere materiale popolare. Il campo della
trascrizione della musica popolare meriterebbe specifiche trattazioni. Purtroppo l’Italia ha perso il contatto con il proprio patrimonio folklorico, questo perché
è sempre mancato un luogo istituzionale deputato al12
11. Varcare i confini di un genere. Anche questa modalità si potrebbe definire sperimentale. Essa prevede
la manipolazione di un tema per farlo rientrare in categorie musicali molto diverse da quella di origine. Il
Trio Loussier (pianoforte, batteria, contrabbasso) e il
Modern Jazz Quartet (pianoforte, vibrafono, batteria,
contrabbasso) hanno manipolato composizioni bachiane in chiave jazz. Così hanno fatto Les swingle
singers nel loro disco Jazz Sébastien Bach. Il gruppo
Emerson Lake & Palmer ha riletto i Quadri di una
esposizione di Musorgskij, il cantautore Al Bano ha
sfruttato il tema del primo Concerto per pianoforte e
orchestra di Caikovskij nella canzone Il mio concerto.
Negli anni ottanta Richard Clayderman, grazie ad arrangiamenti di successo, ha raggiunto una certa fama
con composizioni quali Bach Gammon su temi di
Bach, Caikovskij, Brahms, o proprie versioni dello
studio op. 10 n. 3 di Chopin o del Wiegenlied di
Brahms. Il gruppo rock dei Sex Pistols ha fornito negli
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
Come proporre la trascrizione?
Ripercorriamo brevemente le varie finalità e vediamo
come operare. Per quanto riguarda i punti 1, 2, 3, 4,
6, 7, spesso si tratterà di effettuare una riduzione. Si
tratterà, lo dice il termine, ridimensionare il numero
delle parti del brano originale, prevedendo un’analisi
preliminare della composizione per valutare cosa deve
essere conservato e cosa no, al fine di mantenere intatta la fisionomia della partitura. Come? Nel caso di
passaggio dalla scrittura orchestrale a quella pianistica vengono eliminati i raddoppi, intesi sia come raddoppio alla stessa altezza di una nota dei violini da
parte dei fiati (sul pianoforte risulterà essere la stessa
nota), sia raddoppi di terza, quinta, ottava, in un’armonia che esula da una posizione tastieristica. Si traspone, quando necessario, una melodia all’ottava superiore o inferiore secondo i limiti di estensione dello
strumento cui la si vuole affidare, tenendo conto se lo
strumento di partenza o destinatario è traspositore o
no. A queste operazioni se ne aggiungono altre quando ad esempio si deve facilitare una composizione.
Brani lunghi vengono abbreviati citando solo i temi
principali, armonie complesse sono ricondotte a gradi
principali eventualmente con impiego di settime, accordi di quattro, cinque suoni vengono possibilmente
ridotti tenendo conto dell’estensione della mano di
piccoli pianisti. Possono essere tolti gli abbellimenti
(acciaccature, trilli), il brano può essere trasportato in
una tonalità più facile: ad esempio fa maggiore invece
che fa diesis maggiore; si possono raddoppiare tutti i
valori per rendere più semplice la lettura.
Nel caso in cui ci si prefigga di alzare il livello tecnico
di una composizione (cfr. n. 9) una melodia potrà essere raddoppiata per terze, seste, ottave; un passo d’agilità, se prima affidato alla mano destra, potrà essere
eseguito da entrambe le mani per moto retto o contrario, o dalla sola sinistra.
Un tipo particolare di riduzione è lo spartito per canto e piano o la trascrizione di un concerto da strumento solista e orchestra a strumento solista e pianoforte. La riduzione pianistica tende spesso a conservare quanto più possibile della parte orchestrale, sfiorando situazioni di ineseguibilità, a scapito di una certa scorrevolezza.
Liszt aggiunge di norma scale, arpeggi, volatine, passi
d’ottava, artifici che il repertorio di un virtuoso prevede, ma si trova anche di fronte a problemi nel momento in cui, ad esempio, nel Liebestod di Isotta, dal
Tristano e Isotta di Wagner, decide di rendere il tremolo degli archi al pianoforte. Si susseguiranno a tal
proposito diverse stesure del brano, corredate da vari
«ossia», nessuna della quali pienamente soddisfacente
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
per il compositore. Per la dichiarata libertà con cui un
compositore può accostarsi alla trascrizione spesso
l’originale risulta profondamente mutato.
I trascrittori che si cimentano a inizio secolo con Frescobaldi sorvolano sulle indicazioni dell’autore: il prescritto non stare a battuta viene dimenticato, le quartine di semicrome sono eseguite in modo metronomico, le dissonanze vengono preparate e vengono aggiunte ottave di ripieno.
John Cage nel 1969 scrive un brano dal titolo Cheap
Imitation. Cage ha ricevuto l’incarico di trascrivere
per due pianoforti il Socrate di Satie per una coreografia di Cunningham, ma non ottiene il diritto di
sfruttare l’opera. Il corpo di ballo aveva già imparato
la coreografia e così Cage decide di sottoporre la musica originale a una serie di derivazioni aleatorie ottenute consultando l’antica raccolta di oracoli cinese
dell’I-Ching. Attraverso vari procedimenti di trasformazione ne risultò una semplice linea melodica, senza
contrappunto e armonia, che ricalcava la struttura ritmica e fraseologica del Socrate di Satie. Questa fedeltà alla struttura ritmica è funzionale, in questo caso, a
una coreografia già decisa e provata per quella struttura ritmica: una coreografia che non poteva cambiare all’ultimo momento.
Dice Campogrande a proposito della sua rilettura di
Bach: «Tra le musiche invisibili, quella che mi piace di
più, si ascolta a Parigi, all’ingresso del Louvre. Lì,
quando entri nella piramide di cristallo, ti trovi di fronte a due mondi accostati: decidendo cosa osservare,
puoi scegliere quale abitare. Se fissi lo sguardo sul cristallo, sull’acciaio, ti coglie il brivido della contemporaneità, […]; se invece metti a fuoco il palazzo che si
vede oltre il vetro allora ti ritrovi a bagno nell’Ottocento, […]. Su quel pezzetto d’ingresso, subito sotto la
Piramide […] a me piace immaginare una musica fantastica, in cui l’orecchio della contemporaneità può
ascoltare il passato, in cui la percezione è continuamente spostata in avanti e indietro lungo il tempo […].
Per scrivere questo mio concerto, per lavorare sull’originale bachiano, sulla strepitosa partitura per clavicembalo e archi, ho provato a immaginare di essere lì,
sotto la Piramide di Pei. Ho lasciato che l’architettura
di Bach fosse visibile, senza cambiare una sola nota
della parte tastieristica, e in qualche occasione riprendendo esattamente la scrittura degli archi; poi però, tra
noi e Bach, ho provato a costruire la mia piramide, fatta di cristalli che proiettano luce fino in fondo alla partitura, fatta di acciaio che ogni tanto vibra sotto la
spinta degli ottoni, fatta di cielo e di aria che improvvisamente irrompono dentro l’originale, come nell’Adagio, quando gli archi scompaiono e lasciano il posto al
vibrafono, ai clarinetti, a una smorfia tutta di fiati».
Uri Caine nelle sue Goldberg intercala le variazioni
originali con brani che in parte aderiscono all’originale, altri si rifanno a forme musicali dell’epoca, come
corali luterani, suites, canoni su intervalli e scansioni
ritmiche differenti, altri ancora utilizzano la successione armonica originale come base per una libera improvvisazione. Vi sono poi variazioni nello stile di Vivaldi, Mozart, Verdi, Rachmaninoff, Philip Glass, al13
Strumenti e tecniche
anni sessanta una versione fortemente dissacratoria,
anche per il testo, dell’inno inglese God save the
queen. Si citano anche i nomi di Chiaramello con il disco del 1967 Popoperaconcerto (brani d’opera da
Norma, Barbiere, Traviata) edito da Eumir Deodato
con manipolazioni di Schubert, Ravel, Strauss ecc.
Strumenti e tecniche
cune in chiave umoristica, altre immaginando di aver
commissionato loro una variazione. Come Bach incluse varie forme di danza, così Caine utilizza dei corrispondenti contemporanei, mambo, tango o valzer. Le
forme di danza diventano un pretesto per un excursus
nelle musiche di diverse culture e nei vari stili di jazz.
In queste trascrizioni i cambiamenti maggiori riguardano parametri quali timbro e ritmo con l’esaltazione
di quegli elementi, come sincopi e contrattempi, che
permettono di swingare Bach.
In questa prospettiva dunque trascrivere è inteso come
un modo per integrare il proprio stile in una composizione precedente senza rinunce, come aveva fatto
Bach stesso, trascrivendo alcuni concerti di Vivaldi,
aggiungendo nuovi contrappunti.
Didatticamente serve?
Ora che abbiamo visto perché e come si fa, ci chiediamo: praticamente a che cosa ci serve? Come in parte la
variazione, la trascrizione permette ai nostri allievi di
familiarizzare con alcuni parametri musicali: ritmo e
metro, timbro, altezza, agogica, dinamica.
L’analisi di un brano da trascrivere in classe insieme
agli alunni permette di introdurre elementi di armonia
e analisi musicale. Spesso, trascrivendo, è necessario
chiedersi che cosa è essenziale in un brano e che cosa
è accessorio e quindi eliminabile. Questo esercizio
porta velocemente ad acquisire delle consapevolezze
di tipo analitico, tocca direttamente le nostre capacità
di valutazione, mette in moto dei meccanismi percettivi e riflessivi assai raffinati.
La trascrizione: forma d’arte o storpiatura?
Molte polemiche hanno sempre accompagnato trascrizioni e arrangiamenti. Da un lato c’è chi in modo machiavellico ha sempre sostenuto che il fine giustifica i
mezzi, vale a dire che la musica è viva solo nel momento in cui la si usa, quindi ogni utilizzo è lecito, dalle trascrizioni didattiche ai jingle pubblicitari. Dall’altra c’è
chi si è interrogato sul valore estetico di una trascrizione, tollerando solamente la trascrizione d’arte e affossando le altre. Ma quali sono i criteri per ritenere una
trascrizione artisticamente valida? I criteri estetici cambiano di secolo in secolo, di società in società, di cultura in cultura. Ciò che può essere bello per noi oggi potrà non esserlo per la generazione futura e può non esserlo stato per la precedente. Certo non ci scandalizziamo di fronte all’orchestrazione mozartiana del Messiah di Haendel, o di quella di Ravel dei Quadri di una
esposizione di Musorgskij, ma solo recentemente ci si è
allontanati dalla orchestrazione brillante di Korsakov
del Boris Godunov di Musorgskij, il cui successo, per
molto tempo, ha impedito di ascoltare la scura, grezza
e primitiva orchestrazione originale. Sarebbe forse più
semplice e più giusto cercare di considerare che ogni
arrangiamento ha una propria storica ragion d’essere e
che a posteriori non è sempre facile capirne le ragioni.
14
Una conclusione provvisoria
Trascrivere è un processo di adattamento verso l’esterno e contemporaneamente verso l’interno. Ogni trascrizione ci racconta sia il brano originale sia il punto
di vista (il «punto d’ascolto» come direbbe Carlo Delfrati) del trascrittore. Spesso l’operazione del trascrivere, per la sua lentezza, che favorisce la riflessione, e
per la necessità di basarsi su consapevolezze di tipo
analitico, ha fatto scoprire al trascrittore dei capolavori nascosti. Così si esprimono tutti i grandi trascrittori da Malipiero in poi. Trascrivere è una di quelle attività che si pone a un crocevia di percorsi e di abilità.
Molte intelligenze si danno appuntamento in questa
pratica troppo spesso disprezzata e lasciata in ombra
rispetto a attività ritenute più creative. Solo chi riesca
a considerare quanta sottigliezza, fantasia e creatività
possano occorrere per trascrivere un brano lungo e
complesso per un organico piccolo, capace di suonare
solo cose molto facili, può capire come dietro a ogni
trascrizione facile ben fatta ci sia un intero mondo.
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Musica Domani 129 – Dicembre 2003
ARIANNA SEDIOLI
Anche il gioco del dottore, in cui i bambini amano
prendersi cura di pazienti bambole e orsacchiotti, può
essere ripensato in chiave musicale, come occasione
di scoperta e di rielaborazione delle sue componenti
sonore, spesso soltanto “vere per finta”.
Dall’osservazione dei bambini impegnati a simulare e
ascoltare colpi di tosse, starnuti, respiro e battito cardiaco dei loro pazienti immaginari, aiutandosi a volte
con strumenti-giocattolo come lo stetoscopio, è nata
l’idea di progettare un percorso di esplorazione sonora
che rendesse non solo possibile, ma anche coinvolgente e intimo, visitare le textures sonore degli oggetti
e dei materiali presenti nell’ambiente, di solito silenziosi, ma facilmente trasformabili in oggetti sonori tanto
misteriosi quanto interessanti.
Ho chiamato questa situazione di gioco “il dottore dei
suoni”, per sottolineare il legame con il gioco di finzione a cui ho fatto riferimento, in cui si crea una situazione di ascolto attivo attorno a un oggetto magico, lo
stetoscopio, che consente di ascoltare anche ciò che
non si sente.
Offrire ai bambini la possibilità di fare esperienze con
un vero stetoscopio medico rende possibile l’ascolto
delle vibrazioni del cartone ondulato, della carta velina,
della carta vetrata, delle stoffe di varie fogge, che li
mette a contatto con la concretezza della materia sonora, trasformata in traccia acustica forse poco musicale ma concretamente sonora e riconoscibile nelle
sue molte qualità.
Per giocare al dottore dei suoni è necessario però organizzare i bambini a piccoli gruppi e individuare uno
spazio che garantisca condizioni di comfort acustico di
base in cui sia facile ascoltare anche i suoni più lievi, e
individuare una serie di materiali e di superfici diverse
da esplorare individualmente attraverso le mani e le
orecchie. Si possono proporre ai bambini pezzetti di
stoffa, di plastiche da imballaggio, di carta e cartone e
di fettuccia, mobili o attaccati a parete come speciali
quadri d’ascolto, ma si possono esplorare anche pavimenti, finestre, armadietti, tavoli, tappeti, specchi.
In questa organizzazione di gioco lo stetoscopio è davvero l’oggetto magico che consente di mettere in contatto diretto il corpo con gli oggetti esplorati: strofinandolo sulle diverse superfici i bambini scoprono sonorità granulose, soffici, lisce, ondulate, appuntite, spesso
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
in contrasto con l’idea che gli occhi e le mani si sono
fatta. Vale dunque la pena di procurarsi uno strumento professionale (magari prestato da un pediatra collaboratore), al quale sarà utile affiancare molti altri stetoscopio-giocattolo di fabbricazione artigianale, facilmente realizzabili utilizzando un tubicino di gomma
con inseriti alle estremità due rivetti di metallo acquistabili in ferramenta.
Così come si visitano i materiali messi a disposizione
nello spazio interno, si possono scoprire anche insolite
forme sonore della natura quando si compiono uscite
mirate, curiosando in giardino con lo stetoscopio come
compagno di gioco che consente di catturare le voci
dell’erba, delle cortecce, delle foglie, dei fiori.
È molto importante che l’adulto che accompagna i
bambini in questo percorso riesca a osservare in che
modo l’ascolto guida i loro gesti e diventa elemento organizzatore dell’azione compiuta sui materiali, che via
via risulta sempre più finalizzata a seguire la scia sonora creata dal movimento. Spesso, durante queste
esplorazioni sonore, i bambini si fermano assorti, forse
per ricreare uno spazio vuoto, il silenzio, sul quale poter riprendere poi a disegnare suoni, con piccoli movimenti della mano, a catturare le sensazioni uditive. È
allora opportuno che l’adulto che accetta di giocare
con loro, provi a farsi guidare dai loro sguardi, cercando di indovinare le emozioni che stanno dietro ai loro
occhi, i desideri che guidano i loro movimenti, alternando l’ascolto attraverso lo stetoscopio professionale
a quello più artigianale, per confrontare le differenti
percezioni sonore.
Per condividere le scoperte e facilitare la loro memoria,
si potrà giocare a imitare con la voce i suoni che si sentono (tr tr, bz bz, dii dii dii), o anche utilizzare un microfono, strisciandolo sulle superfici e facendolo diventare una lente di ingrandimento uditivo che riesce
ad amplificare e a dilatare i suoni, per focalizzare l’attenzione dei bambini sulla dimensione sonora dell’azione.
Come ha sottolineato Delalande, l’utilizzo di un microfono consente infatti di separare il suono dall’atto che
lo produce, trasformandolo in un oggetto esterno che il
bambino può contemplare fino alla voglia di modificarlo e che, nel nostro caso, potrà diventare il modello di
riferimento da confrontare con le ulteriori scoperte sonore che il gioco del dottore dei suoni permetterà di
realizzare.
15
L’atelier dei piccoli
Il dottore dei suoni
Strumenti e tecniche
Educare al rito musicale
Recuperare e promuovere una didattica che
preveda anche la ritualità come elemento
importante nella pratica musicale può
contribuire a migliorare prassi esecutive
troppo fredde, riconsiderandone le
componenti psico-corporee.
Attraverso il racconto di un’esperienza
realizzata in una classe di Pedagogia della
musica, l’autore suggerisce alcuni elementi
pertinenti al rito musicale.
MAURIZIO SPACCAZOCCHI
L’esecuzione di un brano è troppo spesso vista come
qualcosa che va dalla prima all’ultima battuta di uno
spartito musicale. Acusticamente parlando diremmo
che questo spazio inizia con l’attacco della prima nota
del brano e termina con il release o con il troncamento
dell’ultima nota dello stesso. Questa idea di credere alla musica come a un evento astratto e isolato da eventuali altri coinvolgimenti umani trova i suoi più agguerriti fautori tanto nel comune e quotidiano ascoltare, quanto nella professionale e fredda pratica dell’analisi formale di un brano. Senza soffermarmi sulle
motivazioni storiche e sociologiche che possono aver
indotto l’ascoltatore comune o il colto analista all’assunzione di tali modelli mentali nei confronti della musica, affermo subito che tale ottica non può essere condivisa da una pedagogia della musica che si interessa
tanto dell’educazione musicale quanto di una specifica
didattica strumentale o vocale.
E quindi, come persona coinvolta professionalmente
all’interno di determinati parametri pedagogico-musicali, voglio subito dichiarare la base di questo mio
intervento: ogni evento musicale è sempre la risultante di complesse e intersecate condotte psico-corporee.
E sarà tanto più evento musicale quanto più al suo interno agirà una persona cosciente e attiva a livello
psico-corporeo.
Ecco allora che la musica non può più essere solo quella materia compresa in uno spazio fisico-acustico: la
musica è ora quell’intero spazio compreso all’interno
di ciò che una sana prassi esecutiva e un’umana pedagogia dovrebbero iniziare a definire come rito musicale. Credo sia giunto il momento in cui la pedagogia della musica presente all’interno delle pratiche di educazione, animazione, didattica dello strumento e del canto, possa prendere una chiara posizione nei confronti
del fare musica e della produzione musicale in genere.
Ogni brano cantato o suonato da bambini o da matu-
ri studenti di musica non è più da intendersi come isolata azione esecutiva, ma come la somma di condotte
psicologiche e gesto-corporee che vanno oltre l’atto
musicale stesso.
E questo affermo per ridare all’educazione e alle varie
didattiche strumentali (colte o popolari che siano)
quell’importante sfondo contenitore che credo si sia
perso per effetto di una scolarizzazione che, nel tempo,
si è sempre più resa asettica e raffreddante nei confronti del fare musica.
Mi sto riferendo a quel contenitore che, grazie a condotte artistiche, creative ed emotive, sa rendere una
qualsiasi pratica musicale attraente e magica, coinvolgente e convincente, com-presa e con-fusa sino al punto di riuscire a indossare quelle qualità tipiche del rito
musicale che, in quanto tale, supera il coinvolgimento
delle sole componenti musicali fisiche e acustiche, per
richiedere la messa in scena di atti non verbali più ampi di quelli compresi all’interno di una normale prassi
esecutiva.
Sono quindi interessato alla promozione di una pedagogia musicale che sappia rendere rituale ogni azione
sonora, che sappia rifuggire da un fare inteso come
pratica risolutrice di soli atti tecnici, che coscientemente non sia più interessata solo allo sviluppo di condotte fisiche che, anche se corrette da un punto di vista tecnico-articolatorio, offrono alla produzione musicale la
figura inaridita di un atto di manovalanza sonora.
16
Gli elementi del rito musicale
Come individuare i possibili elementi pertinenti al rito
musicale?
Cominciamo a proporre al gruppo di lavoro l’audiovisione analitica di un qualsiasi concerto (classico,
rock, jazz ecc.) che possa far emergere il maggior nuMusica Domani 129 – Dicembre 2003
Le condotte del rito musicale
Condotte esecutive. Nel reale atto del suonare l’azione corporea di Jarret permetteva all’ascoltatore di individuare anticipatamente, e in modo abbastanza evidente, i vari gesti-causa che potevano dare origine e
termine ai suoni: inizio del brano, avvio delle varie
parti musicali, gesti anticipatori del tipo di energia
sonora che poi sarebbe risultata sul piano uditivo,
chiusure delle frasi, gesti indicatori delle azioni musicali legate e staccate, gesti o respiri indicatori di pause più o meno brevi o lunghe ecc.
In questo specifico caso, se il musicista riesce a trasmetterci con i vari movimenti del corpo (più o meno
ampi o contenuti) tutte queste notizie relative alla materia musicale con la quale si sta relazionando, ci dimostra pure di essere molto cosciente, preso e attento
nei confronti di ogni sua gestazione fisica, mirata a essere la reale causa di vita e di morte del suono che sta
per realizzare.
Condotte fisiche. Durante l’attenta osservazione della performance musicale di Jarret abbiamo notato dei
gesti che, sul momento, non riuscivamo a giustificare
in modo così palese come avevamo fatto per gli altri.
Ma dopo una discussione che ci ha portato a paragonare l’esecuzione musicale a una performance sportiva, molti di noi hanno ricordato come in certi momenti, ad esempio durante una corsa, si fanno moviMusica Domani 128 – Settembre 2003
menti che potremmo definire come defaticanti, rilassanti; o come in altri momenti prepariamo uno sforzo più evidente con una presa di fiato più consistente
di quelle normali.
In breve, ci siamo accorti che la spalla sinistra o il collo che Jarret di tanto in tanto roteava, non potevano
che far parte di quei movimenti più o meno inconsci,
mirati alla risoluzione momentanea di una tensione o
di uno stress, dovuti ad esempio alla veloce azione ripetitiva di un ritmico e pesante ostinato eseguito con
la mano sinistra. Le roteazioni delle spalle e del collo
erano così frequenti da farci quasi intendere di essere
di fronte a un pianista molto interessato al mantenimento di elasticità delle vertebre cervicali e dei muscoli trapezio e deltoide. E della stessa categoria erano i gesti di ampia curvatura della colonna vertebrale, o l’abbassamento dei gomiti al di sotto del piano
della tastiera, così come l’allargamento delle braccia
verso l’esterno ecc.
Il jazzista Jarret dimostrava quindi di avere acquisito
ormai quasi meccanicamente una coscienza psicofisica
molto profonda, perché mentre suonava era in grado
di azionare parti del suo corpo con lo scopo di produrre una sorta di ginnastica utile al giusto mantenimento
tono-muscolare della sua azione corporea ed esecutiva.
Condotte espressivo-emotive. Ogni attività umana,
ogni azione pratica prevede una partecipazione, un coinvolgimento più o meno evidente e sentito dal produttore-esecutore stesso. In musica, questa com-prensione, si manifesta attraverso una condotta psicofisica di
tipo emozionale: il suonatore, il cantante, il danzatore
o il direttore d’orchestra sono in grado di comunicare,
attraverso la vasta gamma espressivo-corporea, quanto sono presi, rapiti, abbandonati, innamorati dell’atto
stesso che stanno realizzando.
Questa partecipazione dimostra che l’uomo musicale è
in grado di attivare anche una condotta psicofisica capace di aprire la porta a un fare musica a livelli superiori, cioè più com-presi e con-fusi all’interno di un atto che, grazie a questa ulteriore condotta, si trasforma
da semplice e fredda pratica meccanica a calda, vitale e
complessa azione crea-attiva.
Il corpo non è più inteso come agente articolatore finalizzato alla sola pratica di produzione del suono,
ma è corpo che vive ciò che sta per fare, che sta facendo e che ha finito di fare. E tutto ciò non potrà che
dar vita a una musica realizzata in forma più armonica tanto sul piano tono-muscolare che in quello psicofisico generale.
Così Jarret, mentre suonava il pianoforte, esprimeva il
suo coinvolgimento emotivo: attraverso le più diverse
espressioni del volto (facendo quelle che potremmo definire “le facce della musica”), mutando postura al capo, al tronco, alle spalle e alle gambe ecc.
In breve il musicista, nell’atto stesso del mettersi nei
panni di quella musica, si sintonizzava con più naturalezza verso l’assunzione di una fisicità che poteva di
certo risultare più in armonia e più in sintonia con le
richieste tecniche, formali ed espressive insite nell’evento musicale che stava realizzando. E lo stesso
17
Strumenti e tecniche
mero di livelli psicologici, emotivi, fisici, tecnico-musicali, scenografici, coreografici, teatrali, utili per l’individuazione e la possibile formulazione di una didattica del rito in musica, come il filmato del Solo Concert tenuto anni fa al Teatro alla Scala dal pianista
jazz Keith Jarret.
Dall’audio-visione in gruppo, di questo o di altri video
musicali, dovremo saper individuare e poi analizzare
tutte quelle condotte psicofisiche che riteniamo importanti per la buona riuscita dell’evento in termini di coinvolgimento e attrazione, da parte dello spettatoreascoltatore, e di convinzione e credibilità esecutiva da
parte del musicista.
Per esemplificare questo tipo di percorso cercherò di riportare, in forma molto sintetica, i risultati del lavoro
di gruppo svolto in un ciclo di lezioni di Pedagogia della Musica all’interno della Scuola di Didattica della
Musica del Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro.
Partendo dalla visione e dall’analisi del video musicale
di Jarret, abbiamo cercato di mettere a fuoco le informazioni che trasmette, in veste più o meno inconscia,
l’intera azione psicofisica che il pianista Jarret attiva
durante la sua performance.
Abbiamo potuto raccogliere le varie risposte all’interno delle seguenti condotte: esecutive, fisiche, espressivo-emotive, auditivo-percettive, moto-coreografiche,
prossemiche, rituali.
Ecco una sintesi esplicativa di queste principali condotte dedotte da un’attenta analisi delle azioni psicocorporee attivate da Jarret.
Strumenti e tecniche
ascoltatore, sulla base di questo mettersi nei panni
musicali, non farà a meno di notare un’azione sonora
e fisica che parlano della stessa emozione, dello stesso stato d’animo. Ecco come la magia e il rito musicale iniziano a prendere forma.
Condotte auditivo-percettive. Mentre suonava, Jarret
chiudeva spesso gli occhi e assumeva la postura tipica
dell’ascoltatore attratto dal suono in termini di pura e
semplice fisicità. Questo chiudere gli occhi e seguire il
suono in una o in tutte le sue fasi evolutive di attack,
dekay, sustain, release, ci può permettere di notare
un’altra azione psicofisica di non poca importanza all’interno del contesto rituale esecutivo: il suonatore è
tanto più cosciente e com-preso nel suo fare e nel suo
essere in musica quanto più è in grado di controllare e
partecipare auditivamente all’evento fisico-acustico
che sta realizzando. Seguire a occhi chiusi il fraseggio
melodico con il movimento del capo, i battimenti creati dall’accordo con il moto ondeggiante del capo, il sostegno sonoro con le spalle che si allargano, le pause e
le note lunghe respirate col naso, il release vibratorio e
sfumato dell’ultima nota o dell’ultimo accordo con la
caduta graduale del capo verso la tastiera ecc. sono solo alcuni dei segni tipici di un ascoltare co-involto e
molto frequenti in chi vuol entrare nei suoni attraverso
un’intensa percezione. E gli occhi chiusi sono molto
spesso il segnale di una audio-partecipazione tanto più
complessa da assumere se si è anche esecutori nello
stesso momento. Questo fare-sentire rende senz’altro
più coinvolgente e magica l’azione esecutiva anche agli
occhi degli spettatori.
Condotte moto-coreografiche. Dall’esecuzione di Jarret è stato possibile evidenziare un’altra condotta di tipo moto-coreografica: il pianista, mentre esegue brani
molto ritmici, di tanto in tanto, accenna passi di danza
in stretta sincronia con l’andamento musicale. Questo
aspetto, oltre a teatralizzare ulteriormente la modalità
esecutiva di questo musicista, rende l’intera azione musicale più partecipata, presa anche con il corpo, resa
agli occhi dei video-ascoltatori come un fare musica offerto dall’intero corpo, che alleggerisce pure l’azione
esecutiva dal momento che il suonare è ora sovrapposto a un “danzare”. E, forse, chissà che l’atto stesso del
commuovere non trovi in questa azione del con-muovere, cioè del muoversi con la musica, un’altra componente emotiva e primitiva del rito musicale?
Condotte prossemiche. Ogni esecuzione è sempre il
frutto di un gioco di rapporti che il musicista instaura con lo strumento musicale, e quanto più ne è cosciente tanto più questo gioco si esalta e diventa gesto
utile alla buona riuscita dell’esecuzione stessa. Jarret
è un campione di tale comportamento prossemico,
infatti nella sua costante relazione spaziale con il pianoforte mette in azione tutte le distanze più distaccabili e tutte le più intime vicinanze. Questo pianista
sembra comprendere con raffinatezza i momenti musicali in cui ritiene di dover esprimere questa intimità
o questo distacco corporeo-spaziale con il pianoforte.
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Jarret ci insegna inconsapevolmente a trattare un’esecuzione come fosse un incontro-dialogo tra strumento e persona, dove tutte quelle azioni di vicinanza e
lontananza rendono più articolata e ricca la relazione
stessa e dove si esaltano le letture emotive fra le azioni più intime e private e quelle più palesi e pubbliche.
Ecco così un’altra condotta che può rendere l’atto di
produzione musicale più centrato da un punto di vista espressivo e più carico di ulteriori aspetti tipici del
rituale con i suoni.
Condotte rituali. Il rito musicale, come tutti i riti, ha
bisogno di realizzarsi all’interno di un contenitore formale ben definito. Ha bisogno di uno spazio psicologico e temporale che, oltre a contenere tutte le condotte
che ho fin qui riportato, sappia indicare i reali confini
del rito stesso: il momento iniziale e quello finale. E il
reale momento di apertura e di chiusura del rito, come
ho già detto all’inizio di questo scritto, non corrisponde al tempo di durata del brano ma, come vedremo, è
più ampio.
Jarret entra in scena, la gente applaude la sua presenza
e, forse, questo per il pubblico è già un primo indice
iniziale del rito. Ma il vero momento introduttivo del
rito è un altro, è quello che Jarret crea nel momento in
cui in silenzio si siede… curva la schiena verso la tastiera e a occhi chiusi, sempre in silenzio… e sempre
fermo… quasi senza respirare… crea quello che mi
verrebbe da definire il sipario psicologico d’entrata nel
rito. È questo il momento magico in cui il pubblico si
blocca, ammutolisce, cambia respiro perché comprende che questo è il punto di passaggio che dalla realtà
vola verso il fantastico, il creativo, l’irreale. Allo stesso
modo, quando il release dell’ultima nota del brano non
si percepirà più, il corpo di Jarret rimarrà ancora fermo… silenzioso… come in un breve sonno… per poi
azionarsi in un propedeutico atto di rilascio psicofisico
prima del suo risveglio-ritorno. Queste azioni del dopo-suono fanno parte di quel sipario psicologico d’uscita dal rito. Un’uscita che indica al pubblico il momento di passaggio dalla magia alla realtà e che, subito dopo, stimolerà il gratificante battito di mani.
Verso una didattica del rito musicale
Dopo questa sintetica presentazione degli elementi musicali e paramusicali che contribuiscono alla nascita del
rito in musica potremmo iniziare a porci molte domande: quanto è importante la partecipazione forte ed
emotiva per realizzare questa globalità musicale? Come creare una didattica di questi eventi? Quanto è importante credere in quello che si fa per dare vita a quello che c’è di noi oltre la musica? Come stimolare la coscienza del sipario psicologico di apertura e di chiusura? Come invitare alla preparazione della causa fisica?
Come invitare alle re-azioni fisiche nei confronti dei
vari parametri musicali? Come creare una coscienza
del rilascio psicofisico? Quali musiche far ascoltare e
vedere per meglio evidenziare questi eventi? Quali
strumenti far usare per meglio entrare in questi eventi?
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
Aprire e chiudere i sipari psicologici del rito musicale.
Presentarsi in scena, disporsi in silenzio davanti a uno
strumento e iniziare a prendere un postura fisica di
concentrazione e di preparazione all’atto musicale.
Dai segnali psicofisici che l’ipotetico esecutore realizzerà, un gruppo di compagni osservatori dovrà essere
in grado di capire e indicare in modo chiaro l’avvenuto passaggio climatico. In breve se si è aperto o no il sipario d’entrata psicologica nel rito. E per chiudere il
sipario d’uscita dal rito musicale, potremmo invitare
lo stesso ipotetico interprete a battere un colpo sul
tamburo o a suonare un accordo (o una cadenza di accordi) o a cantare una nota finale per poi lasciar sfumare il tutto e subito dopo mettere in azione il corpo
per realizzare il giusto rilascio psicofisico per creare
questo sipario psicologico finale. Anche in questo caso l’attenta osservazione del gruppo potrà funzionare
come una valida verifica della condotta psicofisica e
sonora realizzata.
Preparare i gesti d’attacco e di chiusura del suono. Porsi davanti a un flauto dolce, un tamburo, uno xilofono,
un pianoforte o in atto di cantare e, con le parti del corpo più coinvolte, anticipare e amplificare le movenze
che subito dopo andranno a realizzare l’attacco del
suono. Questi gesti-causa potranno essere svolti, a poco a poco, in forma sempre più mirata: un gesto evidente per un attacco sonoro deciso e forte, per un attacco deciso e debole, per un attacco piano e ritardato
ecc. Le stesse modalità, se pur con gesti diversi, potranno essere svolte nel momento di sfumatura o di
chiusura improvvisa del suono prima “attaccato”.
Sarà sempre bene che il giovane esecutore (o il musicista) dichiari anticipatamente le sue intenzioni (es. Ora
vorrei attaccare il suono così… e poi terminarlo così…) di fronte a un gruppo di uditori che potranno subito dopo riferire l’efficacia del gesto-causa in rapporto al suono-effetto.
Tutte queste azioni gesto-sonore potranno anche essere svolte in gruppo, come ad esempio si potrebbe
fare con un’intera classe che, con delle percussioni,
potrebbe tentare di teatralizzare dei gesti-causa per
realizzare un rullio con attacco sfumato che, dopo
circa venti secondi in crescendo vada a troncarsi su
un fortissimo, con una gestualità del gruppo molto
chiara ed evidente.
Ascoltare lo sviluppo del suono e seguirlo con il corpo. Trasmettere con un ottimo impianto di diffusione
un breve brano musicale invitando un partecipante
ad ascoltarlo a occhi chiusi, mentre un gruppo di osservatori-uditori studierà le sue diverse movenze: capo diretto verso la fonte sonora, capo e/o spalle che
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
seguono i movimenti melodici o ritmici, respirazioni
o movimenti in sintonia con i fraseggi, dondolamenti
del corpo che seguono i release sonori, contrazioni e
rilassamenti tono-muscolari in rapporto alle diverse
energie musicali ecc. Un passo più avanti si potrà realizzare facendo suonare o cantare a occhi chiusi un
breve motivo a memoria e, con il corpo, dimostrare
di seguire uno o più parametri sonori di ciò che si sta
eseguendo. Subito dopo ogni esecuzione, al gruppo di
osservatori-uditori spetterà il compito di rispondere
alla seguente domanda: che cosa seguivano della musica le varie gestualità più o meno evidenziate dai vari esecutori (scansione isocrona, fraseggio ritmico e/o
melodico, le espressioni dinamiche, il legato o lo staccato, l’attacco o le sfumature del suono, gli accenti,
gli ambiti sonori ecc.)?
Pronunciare con il corpo i silenzi musicali. Mentre si
canta o si suona una melodia ricca di pause di diversa
durata, invitare i singoli esecutori a “pronunciare”
questi silenzi con appoggi o scatti del corpo, con respiri più o meno lunghi. Tutto il gruppo dovrà conoscere
molto bene la melodia che l’interprete sta eseguendo,
perché poi avrà il compito di indicare quanto e come le
pause siano state pronunciate dal corpo.
Avvicinare e allontanare il proprio corpo dallo strumento durante l’esecuzione. Ogni strumento ha una
sua forma che permetterà tutta una serie di avvicinamenti e di allontanamenti che possono promuovere
non solo il livello espressivo, ma anche quello tecnicoesecutivo. Per esempio, i rapporti di vicinanza o di lontananza che un pianista può avere con il suo strumento saranno probabilmente ben diversi da quelli che può
istituire un violinista o un suonatore di armonica a
bocca o di flauto dolce o di percussioni. Per questo sarà bene proporre ai singoli partecipanti diverse prove
di avvicinamento verso lo stesso strumento e verso
strumenti sempre diversi, per poi dare risposta alle seguenti domande: quale tipo di azione sonora si potrà
meglio realizzare nelle diverse distanze e perché?
Quando avvicinarsi molto e quando mantenersi a una
corretta distanza da quello stesso strumento e perché?
Perché il violino suonato in maniera classica si contatta molto più da vicino che il violino suonato alla maniera folk (appoggiato sul petto o sulla gamba)?
Gesti defaticanti durante il suonare. Partendo dal principio che ogni attività dovrebbe essere fatta esercitando il minimo sforzo per ottenere il massimo risultato,
inviteremo subito i vari esecutori a fare prove d’attacco, con la voce e con gli strumenti, di un suono fortissimo, mantenendo sempre una fisicità più rilassata e
meno sforzata possibile. Per fare ciò sarà bene invitare
i singoli esecutori a esprimere anticipatamente al gruppo la qualità e la tipologia fisico-meccanica che hanno
di volta in volta intenzione di realizzare.
Quando avremo raggiunto buoni risultati con questo
attacco fisicamente “economico”, passeremo alla realizzazione di azioni defaticanti all’interno della produzione sonora: cantare una nota lunga e, nello stesso
19
Strumenti e tecniche
Quali parametri sonori far produrre per la messa in
scena fisica di questi eventi? Quali suoni, frammenti
sonori e brani musicali far eseguire per realizzare questa globalità esecutiva interpretativa?
Naturalmente dalle nostre lezioni sono nate alcune
proposte operative in grado di dare una risposta, almeno parziale, a un buon numero di queste domande.
Strumenti e tecniche
momento, cercare di trovare le posture del corpo più
rilassanti e sempre meno tese.
Per memorizzare meglio questa azione fisico-sonora
sarà bene anche far fare il contrario: invitare i partecipanti a cantare la stessa nota lunga, cercando di assumere con il corpo una tensione che manda in crisi l’emissione vocale stessa. Questa azione potrà essere seguita, subito dopo, dall’assunzione della giusta e spontanea postura. Con gli strumenti musicali si potrà applicare la stessa tattica operativa: eseguire un lungo
rullare al tamburo e, durante l’azione esecutiva trovare, con le mani, le braccia, le spalle, il collo, il capo, il
busto, le gambe e la respirazione, la postura o le posture più rilassanti e quindi più idonee a far sviluppare
nel tempo quella stessa azione musicale. Così una melodia, una struttura armonico-accordale, una ritmica
ostinata ecc. potranno essere eseguite nei vari strumenti con il compito di ricercare e di prendere coscienza
dell’azione fisica personale più economica e naturale,
più facilitante l’atto stesso di produzione e di prosecuzione dell’azione musicale o sonora.
Partecipare emotivamente alla produzione sonora. La
prima proposta non può che essere a sfondo decondizionante e cioè mirata a facilitare l’esternazione emotiva da parte di tutto il gruppo e dei singoli. Per esempio,
far ascoltare una musica che espone un buon numero
di mutazioni emotive e invitare tutte le persone del
gruppo a “fare la faccia e il corpo” di questi diversi stati d’animo. A poco a poco sarà bene tramutare questa
attività di gruppo in attività individuale, invitando il
singolo a mettere in scena, davanti a tutti, i diversi livelli emotivi espressi da una sola musica o da un collage di brani emotivamente variegati. Quando si dimostrerà di aver raggiunto un decondizionato livello di
espressività emotiva si potrà passare all’esecuzione
musicale: ogni partecipate si presenterà davanti al
gruppo per suonare o cantare una melodia che ritiene
essere indicatrice di un tipico stato emotivo. Prima di
suonare o di cantare dichiarerà al gruppo il carattere
emotivo che andrà a realizzare sia con l’esecuzione musicale che con il suo coinvolgimento psicofisico. Al termine di ogni esecuzione il gruppo prenderà la parola
per indicare quanto quel carattere emotivo sia emerso
o meno e quanto il corpo dell’esecutore lo abbia
espresso correttamente. Sempre in questa direzione si
potrebbero stimolare esecuzioni dello stesso brano secondo il principio degli esercizi di stile emotivi, invitando l’interprete, per esempio, a suonare o a cantare il
brano come se fosse calmo, arrabbiato, ammalato,
spaventato, sognante, preciso e puntiglioso ecc.
Danzare la propria esecuzione. Questo aspetto coreografico può essere più o meno presente nell’esecuzione
musicale e deve essere interpretato all’interno di esigenze musicali che vanno dal naturale e istintivo bisogno personale di espressione sincro-ritmico-motoria
alla teatralizzazione del corpo in musica. Naturalmente questo ampio campo di manifestazione del corpo
danzante sulla musica si adatterà pure alle diverse esigenze degli altrettanto diversi repertori e generi musi20
cali. Nel nostro caso, sarà comunque bene cercare di
praticare tutto il campo della sincronizzazione ritmicomotoria sia per arricchire le potenzialità espressive dei
partecipanti e sia per meglio abituarli a entrare nelle
varie forme del rito in musica. Come prima cosa, attraverso l’ascolto di musiche molto diverse sul piano
ritmico e motorio, potremo stimolare i partecipanti a
improvvisare in gruppo e da soli danze estemporanee,
possibilmente libere da ogni forma coreografica nota.
Questa prima attività d’improvvisazione corporea sulla musica avrà il preciso compito di permettere ai singoli di esprimere, almeno a tempo, movimenti con una
o più parti del corpo. Quando poi si passerà all’esecuzione musicale, come prima proposta, si potranno realizzare melodie cantate o suonate con un evidente andamento ritmico di danza sul quale ogni esecutore potrà produrre, in parte o per tutta la durata del brano,
una motricità in perfetta sincronia con l’andamento
ritmico delle frasi o con la scansione isocrona del brano stesso.
Un passo più avanti verrà fatto nel momento in cui inviteremo ogni partecipante a eseguire una melodia vocale o strumentale poco motoria, poco legata a un andamento ritmico-isocrono, per notare come sia possibile attuare momenti “danzanti” durante l’esecuzione.
Infine, ogni proposta in questa direzione, dovrà invitare il gruppo a porsi sempre la seguente domanda: quali gesti danzanti sono praticabili dal suonatore o dal
cantante in rapporto al brano musicale da eseguire,
senza intaccare la qualità dell’esecuzione?
Le prove del rito musicale. A questo punto ogni esecutore sceglierà un brano da eseguire in forma solistica applicando, sin dove è possibile, tutti i momenti
fin qui realizzati. Il gruppo di osservatori-uditori, al
termine di ogni esecuzione, indicherà gli aspetti del rito musicale che più o meno sono stati espressi con cura o con superficialità. Subito di seguito, sarà questa
volta l’intero gruppo di partecipanti che, in un’esecuzione musicale d’insieme, dovrà decidere di esaltare
tutti o alcuni aspetti del rito che qui abbiamo preso in
considerazione.
In occasione di quest’ultima esperienza sarà bene videoregistrare tutta l’azione rituale musicale, per poi
analizzarla e valutarla in gruppo.
Ridare alla musica la sua stupefazione
Per concludere queste mie riflessioni pedagogiche e didattiche, non posso fare a meno di invitare tutto il
mondo dell’educazione musicale, di base e professionale, a recuperare e promuovere una didattica dell’azione musicale in termini di ritualità, cercando così di
superare l’idea di musica come fredda prassi esecutiva.
Il piacere, il desiderio, l’attrazione per la musica come
fosse un vero atto d’amore avrà la sua grande storia e
la sua umana ricchezza quanto più riusciremo a far vivere nella mente e nel corpo dei nostri figli le pratiche
del suonare e del cantare come incomparabili e insostituibili momenti di vita stupefacente.
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
L’Assemblea Nazionale Ordinaria dei Soci è convocata domenica 14 marzo 2004 a Rimini, presso l’Istituto Musicale Pareggiato “G. Lettimi”, via Cairoli 44 (dalla stazione 10 minuti a piedi o
autobus linee 2, 19, 21, fermata Valturio; 7, 15, 16, 17, fermata Saffi) alle ore 9.00 in prima convocazione e alle ore 9.30 in seconda convocazione.
Ordine del giorno: relazione del presidente uscente; relazione della segretaria uscente; relazione
della responsabile delle sezioni uscente; presentazione del bilancio consuntivo 2003; presentazione del bilancio preventivo 2004; elezione della commissione elettorale e votazione per le cariche dell’associazione, biennio 2004-2005; varie ed eventuali.
I Soci che fossero impossibilitati a intervenire possono farsi rappresentare da altri Soci, munendoli dell’apposita delega (qui acclusa) debitamente compilata. Non sono ammesse più di tre deleghe per Socio. I partecipanti sono tenuti a esibire la tessera d’iscrizione alla Siem. I Soci Sostenitori con personalità giuridica possono essere rappresentati dal rispettivo titolare oppure delegato munito di attestato nominale. La presente comunicazione costituisce regolare convocazione
dell’Assemblea come da art. 9 dello Statuto.
Nel pomeriggio seguirà il Collegio dei presidenti delle sezioni territoriali.
CANDIDATURE PER LE CARICHE SOCIALI
CONSIGLIO DIRETTIVO NAZIONALE
LUCA BERTAZZONI – È titolare della cattedra di Pedagogia musicale presso il Conservatorio “G.B. Pergolesi” di Fermo (AP). Violinista,
saggista, caporedattore e collaboratore di riviste musicali, relatore in
numerosi convegni, è progettista e coordinatore di laboratori musicali e di corsi di formazione, aggiornamento e specializzazione professionale per conto di enti locali, istituzioni scolastiche e associazioni
culturali (A.I.M.C., AS.P.E.I., C.I.D.I.). Nell’ambito delle attività della
Siem, ha partecipato in qualità di membro del Comitato tecnico-scientifico dei Corsi estivi di Rimini 2003 e membro del Comitato scientifico (e moderatore della Tavola rotonda) del Convegno nazionale su
“La musica nella scuola primaria tra sperimentazioni e riforma” (Rimini, 2003).
MAURIZIO CERQUA – Laureato al DAMS di Bologna con una tesi
sulla didattica musicale nel circondario riminese, è docente di chitarra
e storia della musica presso l’Istituto Musicale Pareggiato “G. Lettimi” di Rimini e collabora a cicli di conferenze su tematiche musicali.
È stato membro della Commissione Consultiva Musica del Comune di
Rimini e cura la redazione dei programmi di sala per la Sagra Musicale Malatestiana. Dal 1988 è segretario nella sezione territoriale Siem di
Rimini. Membro del Consiglio direttivo nazionale uscente.
AUGUSTO DAL TOSO – Insegnante di Educazione musicale nella
scuola media. Già presidente della sezione di Vicenza. Responsabile di Siem-online. Membro del Direttivo Nazionale uscente. Esperto di progettazione didattica, docente in corsi di aggiornamento per
insegnanti.
DARIO DE CICCO – È diplomato in Pianoforte, Didattica della Musica e Musica Corale e Direzione di Coro. Svolge attività di insegnante nella scuola media e libero-professionale in vari ordini di scuola. È
referente per la regione Liguria del periodico Bequadro edito dal Centro di Ricerca e di Sperimentazione per la Didattica musicale di Fiesole. È presidente della sezione Siem di La Spezia.
ANDREA PAOLUCCI – Insegnante di Educazione musicale nella
scuola superiore. Già segretario della sezione di Milano. Responsabile
della commissione nazionale di studio Siem incaricata di seguire il riordino del sistema scolastico e fornire indicazioni curricolari per i diversi ordini di scuola (indirizzi non musicali).
MARIA MADDALENA PATELLA – È insegnante di Educazione musicale nella scuola media e si occupa di didattica della musica, formazione e aggiornamento dei docenti. Segretaria nazionale uscente, è responsabile dei corsi estivi della Siem, collabora alla redazione di Siemonline, è presidente della sezione territoriale di Rimini.
ANNA MARIA PRINZIVALLI – Insegnante di Educazione musicale
nella scuola media. Presidente della sezione di Palermo, specializzata
in didattica della musica, esperta in progettazione, promuove nel proprio territorio corsi di musica di base per bambini ragazzi e adulti
presso strutture pubbliche e private. Ha esperienza di aggiornamento
docenti. Membro del Direttivo Nazionale uscente.
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
ANNIBALE REBAUDENGO – È Presidente nazionale Siem uscente.
Docente di Pianoforte presso il Conservatorio “G. Verdi” di Milano,
insegna anche Didattica del pianoforte in corsi d’aggiornamento. Scrive su Musica Domani e ha pubblicato saggi sulla didattica strumentale per le edizioni Cappelli, EDT, ETS, Ricordi. Fa parte del gruppo di
studio ministeriale che progetta il nuovo liceo musicale e coreutico.
Affianca all’attività didattica e di studio quella concertistica in paesi
europei ed extraeuropei.
COLLEGIO DEI PROBIVIRI
CARLO DELFRATI – Insegnante di Metodologia della didattica musicale presso la SILSIS di Cremona. Già presidente nazionale della Siem
(1969-1977); vicepresidente (1977-1990). Membro del Collegio dei
probiviri uscente. Docente in corsi di aggiornamento per insegnanti.
PAOLA FACCIDOMO – Diplomata in pianoforte, insegnante di Educazione musicale nella scuola media. Formatrice IRRE e docente in numerosi corsi di aggiornamento per insegnanti. Membro del Consiglio
Direttivo Nazionale Siem dal 1992 al 2000; presidente della Sezione
Territoriale Siem di Marsala dal 1985 al 1997 e dal 2003 a oggi.
Membro del Comitato tecnico-scientifico dei Corsi estivi della Sicilia e
Direttore dei Corsi estivi organizzati dalla sezione Siem di Marsala. È
curatrice del volume Strumenti e oggetti sonori edito da Ricordi.
ESTER SERITTI – Ha svolto docenza nelle scuole medie inferiori e superiori e nei corsi propedeutici presso l’istituto musicale pareggiato
“A. Peri” di Reggio Emilia. Si è dedicata alla ricerca etnomusicologica, curando la registrazione di molti documenti di tradizione orale del
mondo infantile. Docente in seminari di aggiornamento per insegnanti, è autrice e coautrice di numerose pubblicazioni. È membro uscente
del Consiglio Direttivo Nazionale. Partecipa alle attività della Siem sin
dal 1969.
COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI
FRANCESCA PAGNINI – È docente di flauto presso il conservatorio
“G.B. Martini” di Bologna. Oltre all’attività concertistica si è dedicata ad approfondire problemi inerenti alla didattica strumentale. Ha
partecipato come relatrice a convegni internazionali.
CECILIA PIZZORNO – Svolge da anni attività di animazione musicale per bambini e ragazzi e corsi di propedeutica musicale. Esperta di
progettazione didattica, docente in corsi di aggiornamento per insegnanti. Già presidente della sezione di Savona. Membro del Direttivo
Nazionale uscente.
JOHANNELLA TAFURI – È docente di Pedagogia musicale presso il
Conservatorio di Bologna e nella Scuola di specializzazione all’Insegnamento Secondario (SSIS) dell’Università di Bologna. Docente in corsi d’aggiornamento per insegnanti sulla pedagogia, psicologia e didattica della musica, nonché sulla metodologia della ricerca per l’educazione musicale, collabora con numerose riviste italiane e straniere, ed
è autrice di diversi volumi. Attualmente è presidente della Commissione internazionale di ricerca dell’ISME. Membro uscente del Collegio dei
Revisori dei conti.
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Assemblea Siem
dei soci della Società Italiana per l’Educazione Musicale
ASSEMBLEA NAZIONALE
ASSEMBLEA NAZIONALE
Danze a scuola
Quadriglia americana
[USA]
Il materiale grafico
di queste pagine
(in formato pdf)
e la realizzazione,
con strumentazione sintetica,
della partitura
(in formato midi)
si possono scaricare
dalle pagine Web della Siem:
www.siem-online.it.
EMANUELA PERLINI
– DAVIDE ZAMBELLI
Posizione di partenza: fila di coppie, il cavaliere tiene la
dama alla propria destra.
Introduzione: 4 misure
La quadriglia americana deriva dalla quadriglia francese,
nella sua forma più popolare. Questa danza era ballata
sulle melodie più in voga al momento. Oltre alle due indicate si possono utilizzare Oh, Susanna, Glory Halleluya,
Red River Valley, Loch Lomond. Le figure sono numerose e varie, e in genere sono chiamate dal maestro di danza in un francese maccheronico. Ne indichiamo alcune,
tra le più semplici e di immediata esecuzione.
22
1. Promenade attorno alla sala; 2. le coppie si separano,
la dama gira a dx, il cavaliere a sx; 3. file di coppie: le coppie dispari girano a sx, le coppie pari a dx; 4. le due file di
coppie si uniscono in una fila di quattro; 5. una quadriglia
va a sx, la successiva a dx; 6. si formano file di 8 che si
fermano occupando tutta la sala; 7. il cavaliere che si trova a sx nella prima fila dirige una serpentina passando tra
la varie file, i ballerini rimangono allacciati con mano, l’ulMusica Domani 129 – Dicembre 2003
Danze a scuola
timo di una fila dà la mano al primo della successiva, rispettando la fronte; 8. farandola: il capofila stringe il cerchio, arrivato all’interno girandosi svolge il cerchio.
Proposte di lavoro. Attività di movimento. Gli alunni, divisi
in gruppi, vengono invitati a individuare una successione
di figure, riorganizzando quelle proposte dall’insegnante o
creandone altre. È interessante stimolare il confronto tra i
vari gruppi e la successiva rielaborazione delle proposte,
per arrivare a una coreografia finale. Attività strumentali.
La melodia Drunken Sailor, che si basa su una struttura
armonica elementare, si presta a essere utilizzata come
stimolo per un lavoro sulla variazione. Gli alunni possono
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
intervenire sul ritmo e sulle note rimanendo nell’ambito armonico, come da prassi esecutiva della musica popolare.
Proposta esecutiva. In base alla coreografia che si intende
costruire, si possono alternare le due melodie o aggiungerne altre a piacere. Le percussioni vengono variate di
conseguenza, sempre basandosi sul ritmo di marcia. L’accompagnamento di Drunken Sailor è molto semplice e
immediato, perché basato sull’alternanza di due accordi,
e quindi facilmente individuabile anche dagli alunni.
Drunken Sailor – struttura armonica
Discografia. Yankee
Doodle, Fidulafon 1192.
23
Pratiche educative
Il punto sonoro:
un approccio al pianoforte
La delicatissima fase dell’approccio al
pianoforte viene affrontata con una riflessione
didatticamente articolata e attraverso spunti
di lavoro tratti anche dagli scritti di
Kandinsky.
ELENA INDELLICATI
Se l’insegnamento della musica e il ruolo educativo
che essa ricopre fuori e dentro la scuola pubblica sono oggi al centro dell’interesse di musicisti e pedagogisti, di insegnanti e osservatori del mondo musicale,
è necessario soffermarsi a riflettere su alcuni nodi importanti che tale argomento racchiude. La ricerca in
ambito didattico e metodologico, infatti, ha necessità
di trovare nel proprio cammino l’occasione di diventare patrimonio comune e condivisibile, di segnare un
punto di arrivo che si trasformi a sua volta in nuovo
punto di partenza. Tra gli aspetti centrali trova un
posto di riguardo lo studio della musica in età infantile, in quanto – è ormai convinzione comune – i primi passi che un bambino compie verso la conoscenza
di uno strumento musicale sono determinanti per il
suo futuro di musicista o di semplice amateur della
musica.
Il primo approccio alla pratica strumentale, questo il
titolo del convegno della Siem svoltosi a Perugia dal
14 al 16 settembre del 2001 e di cui ritroviamo l’ideale prosecuzione nel Quaderno n. 18 della Siem curato da Anna Maria Freschi, ha tracciato una panoramica esauriente proprio riguardo a tale questione
che riteniamo fra le più delicate e attuali dell’insegnamento strumentale. Prospettive storiche e esperienze
sul campo, sguardi dall’alto e riflessioni metodologiche hanno scandito la tre giorni perugina, ma soprattutto hanno esaminato a trecentosessanta gradi le
problematiche legate allo studio della musica nei
bambini piccoli. Il dibattito non si deve fermare però
al convegno, all’incontro importante ma circoscritto
di un gruppo di addetti ai lavori; deve proseguire invece fra le mille e mille realtà scolastiche italiane, le
quali possono in tal modo contribuire ad arricchire e
allargare il dialogo in questo territorio di ricerca e di
indagine in continuo divenire. L’esperienza individuale dovrebbe infatti aprirsi il più possibile al confronto, allo cambio di idee e costituire occasione di cre-
scita per sé e per altri docenti disponibili a mettersi in
gioco. Questo consentirebbe infatti di evitare che il
proprio percorso didattico diventi una nicchia entro
cui rifugiarsi e che le proprie certezze si cementifichino in solidi quanto inattaccabili arroccamenti metodologici. «L’esperienza è una forma di paralisi» sosteneva Erik Satie.
Il mercato editoriale, dal canto suo, alimenta frequentemente una sclerotica produzione di pubblicazioni spesso molto simili fra loro e che, in parte, contribuiscono a limitare e imbrigliare la fantasia e la libertà di allievi e insegnanti: se da una parte troviamo
i metodi cioè «opere didattiche in cui la materia è presentata in modo sistematico, secondo un ordine di
difficoltà»,1 dall’altra compaiono invece le antologie:
raccolte cioè di brani di numerosi autori senza pretese didattiche anche se spesso ordinate in fascicoli progressivi. Al di là della valenza didattica dei vari metodi esistenti, l’utilizzazione di uno di essi può comportare diversi problemi quali la fossilizzazione su un
unico linguaggio o il passaggio acritico da un metodo
all’altro. Senza considerare che il metodo presuppone
un accrescimento di difficoltà fra un brano e l’altro.
In questo modo invece esso perde di fatto le sue connotazioni specifiche e viene usato alla stregua di
un’antologia.
In ogni caso vale la pena rimarcare che «non esiste
il “metodo-miracolo” il quale sollevi l’insegnante
dal suo vero compito, quello cioè di individuare
un’appropriata quanto valida strategia personale e
differenziata».2 La riflessione in merito all’approccio strumentale per alunni nella prima infanzia deve incentrarsi sul punto di vista, o meglio, di ascolto di ogni singolo bambino, la cui unicità deve determinare di volta in volta le scelte dell’insegnante
relativamente ai percorsi educativi da intraprendere. Proprio per questa ragione chi scrive ritiene importante ricordare come lo studio di uno strumento
24
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
Musica a colori
Le proposte che seguono sono piccoli tasselli di un
ideale percorso metodologico, pensato per avviare al
pianoforte un gruppo di bambini di otto anni che frequentano il primo anno del corso triennale di avvio al
pianoforte presso l’istituto A. Corelli di Cesena (FC).
Introdotte a metà dell’anno scolastico, le attività riprendono alcuni giochi senso-motori proposti all’inizio del corso. In questa fase incentriamo il nostro interesse verso un rapporto “extra-ordinario” con la
scrittura musicale, che si affranca, almeno nella fase
iniziale, dal linguaggio standardizzato e convenzionale della cultura occidentale. Il linguaggio “a colori”
che proponiamo si pone in maniera critica rispetto alle tinte «incolori», «silenziose»3 – il bianco e il nero,
cioè –, che per ovvie esigenze percettive, si utilizzano
nella musica scritta. I due non-colori per eccellenza
acquistano infatti, fin dai primi approcci con la musica, un ruolo privilegiato, assoluto, ma allo stesso
tempo riduttivo rispetto alle mille sfumature del suono, all’arcobaleno dei timbri, alle caleidoscopiche variazioni sonore. Inoltre, il binomio nota-suono, assurto ad assioma inconfutabile nella nostra cultura,
non è altro che un artificio, in quanto la nota appiattisce, uniforma e standardizza la vera essenza multiforme del suono, la cui intrinseca natura impone di
non essere mai uguale a se stesso, a meno che la sua
riproduzione non avvenga artificialmente.
Suona pensando che il nome del tuo strumento sia alto-basso, lento-veloce, piano-forte: dopo aver sollecitato sia a livello verbale che motorio il gioco fonosimbolico delle parole (i bambini, sparsi nell’aula,
danno corpo e suono alle parole di significato opposto, ribaltandone l’ordine, trasgredendone la logica
sequenza), l’allievo prosegue l’esperienza sull’intera
tastiera, alla scoperta dell’ampia gamma sonora e
timbrica del pianoforte. Risulta più didascalica l’esecuzione in chi cerca di evidenziare tutti gli aspetti richiesti, mentre chi ha privilegiato un solo parametro
tra quelli di altezza, durata, intensità, evidenzia una
maggiore libertà esecutiva.
Ora, con i colori a china soffiati con una cannuccia,
rappresenta sul foglio la tua improvvisazione musicale; di seguito dai un titolo al disegno e risuona il tuo
spartito di colore. Dopo l’esecuzione compiuta da
tutti i bambini presenti (di solito da tre a sei), rendiamo visibili sulla carta le singole improvvisazioni;
usiamo quindi dei colori a china, spruzzati con una
cannuccia, e immaginiamo di ricreare tramite il colore le situazioni musicali evocate nella performance
precedente. Se durante le esecuzioni si sarà posta attenzione all’uso di tutta la tastiera, sarà facile individuare tre fasce di altezze: al registro grave abbineremo il colore blu, a quello medio il rosso e a quello
acuto il giallo, secondo la «teoria orizzontale dei colori» che Kandinsky riporta nel suo saggio Punto Linea Superficie.4 Dagli schizzi di colore ricaviamo strisce, punti colorati più o meno intensi, di diametri differenti, nei quali possiamo riconoscere elementi del
linguaggio tradizionale, quali cluster, glissando o sin25
Pratiche educative
rischi di essere a volte solo un fine per istruire e non
un mezzo per educare. Lo studio di uno strumento
come fine, in bambini dai tre ai cinque anni circa,
può diventare una forma sterile e vuota di mero
esercizio meccanico. È giusto quindi porre un distinguo fra il concetto di studio, il quale non può
precedere di troppo l’età scolare, e un approccio alla musica in cui lo strumento musicale assuma inizialmente la funzione di un qualsiasi mezzo di produzione sonora. In questo caso pensiamo possa essere affrontato anche molto presto per divenire solo in seguito un percorso consapevole e strutturato
sullo strumento.
Determinare però hic et nunc l’età minima da cui
partire per avviare il bambino all’apprendimento
strumentale è impresa assai difficoltosa e dipende in
genere da diverse variabili, quali, per esempio, gli
stimoli provenienti dalla famiglia e dall’ambiente
circostante e ancora, la disponibilità del bambino a
accettare il gioco guidato dall’insegnante. Fondamentale è inoltre l’inscindibile rapporto con l’adulto-genitore e in particolare con la madre, soprattutto se ci si trova di fronte a un bambino in età prescolare. Il gioco guidato deve infatti continuare e
rafforzarsi tra una lezione e l’altra; dunque la presenza a casa dell’adulto che prosegue il percorso avviato dall’insegnante può rivelarsi determinante ai
fini dell’apprendimento.
L’aspetto centrale sui cui si focalizza l’intera problematica dell’insegnamento strumentale ai bambini
piccoli è tuttavia quello relativo al percorso metodologico, il quale non deve prescindere dalla globalità
delle esperienze – sonora, visiva, motoria, tattile,
emozionale – che un bambino vive nella sua quotidianità. Le conte imparate all’asilo, le canzoncine
apprese alla televisione, i personaggi fantastici delle
fiabe possono essere utili punti di partenza da cui
sviluppare una serie di attività, quali l’improvvisazione (raccontiamo con i suoni la storia di Biancaneve), l’imitazione (suoniamo il girotondo), la produzione sonora di unità grafico-pittoriche: dall’esperienza motoria del muoversi liberamente su uno stimolo sonoro proposto dal docente, alla realizzazione
di una partitura informale fino alla sua produzione
sullo strumento.
In bambini in età scolare, la lezione collettiva in piccoli gruppi di due o tre allievi, alternata a quella individuale, è senza dubbio un’occasione importante per
sviluppare percorsi comuni con lo scopo di approfondire la capacità di ascolto di sé e degli altri.
In sintesi, la ricerca di percorsi trasversali nel primo
approccio alla pratica strumentale, non esclude nulla,
a nostro parere, come anche la stessa strada della gradualità, cioè della concezione lineare dell’apprendimento strumentale, vista però con atteggiamento critico e consapevole. Per evitare di percorrere un’unica
via, quella sperimentata e battuta più e più volte, è
preferibile tenere aperti più sentieri di indagine anche
se inesplorati e apparentemente portatori di difficoltà, di dubbi, di ripensamenti, ma che si traducono invece in reali occasioni di scoperta e di crescita.
Pratiche educative
Tavola 1
gole note. Una rilettura al pianoforte di questo spartito di colore potrà permettere di ricercare il suono,
ora abbinato a un colore, oppure all’intensità o alla
grandezza della macchia (tavola 1). Invitiamo i bambini a dare un titolo al proprio quadro astratto. Rappresentare un’immagine concreta e descrittiva di un
paesaggio, di un’atmosfera, di un’azione, li coinvolge
a tal punto da incoraggiarci a proseguire l’esperienza.
Decidiamo perciò insieme a loro di unire due immagini scaturite dalle rispettive improvvisazioni e dare
vita a una sorta di dittico grafico-sonoro (temporale
estivo, l’arcobaleno, tavola 2), rappresentato graficamente e suonato da tutti i bambini. Il disegno rappresenta una guida sufficientemente chiara per ricostruire nella memoria il proprio percorso sonoro, di seguito però nasce l’esigenza di formalizzare le idee musicali proposte perché tutti siano in grado di condividere le rispettive composizioni riguardo a altezze e durate (tavola 3): la scrittura tradizionale è in questo caso non più fine ultimo, ostacolo fra compositore e
esecutore, ma mezzo, meta-linguaggio sonoro.
Nelle diverse proposte sono entrate in
gioco altrettante attività, le quali insieme
ci hanno indirizzato non solo verso l’esplorazione della tastiera, ma verso l’associazione sinestesica fra suono e colore;
ci hanno permesso inoltre di individuare
insieme ai bambini diversi elementi musicali non tradizionali.
cordando che, come afferma Kandinsky:
la «fattura del punto» dipende da diverse
concause, quali il tipo di superficie di fondo, il tipo di strumento, il modo di applicazione del colore che può essere leggero,
compatto, a punti, a spruzzo. Kandinsky
esprime inoltre la possibilità che il punto
si affranchi da una lettura semplicemente
visiva e bi-dimensionale, per diventare invece spessore, prospettiva, materia nello
spazio visivo, ma soprattutto acustico:
«Così il suono fondamentale del punto è
variabile in corrispondenza della sua
grandezza e della sua forma».5
Trasferendo sul suono questi suggerimenti succede che la tastiera, le corde del
piano, la cassa armonica, diventano per
noi il fondo su cui le dita, l’avambraccio,
il pugno, il palmo creano altrettanti
«punti sonori».
Nove punti in ascesa: suona questi punti nell’ordine
che preferisci: si tratta della composizione grafica di
Kandinsky, in appendice a Punto Linea Superficie, di
cui si è occupato in passato Giovanni Piazza, esponendo interessanti soluzioni di sonorizzazione.6 Originali e multiformi sono state le risposte dei bambini.
Il pianoforte, del resto, si presta più di ogni altro strumento a sperimentazioni estemporanee anche complesse. Così il punto è diventato l’idea da cui partire
per reinventare uno spazio sonoro assolutamente personale. «Dentro a ogni punto ci sono tanti puntini»:
Giada, otto anni, ha eseguito una sequenza melodica
sostenuta da un ostinato, ripetuta per nove volte. Per
Beatrice ogni punto ha rappresentato un accordo di
do maggiore, prima eseguito in arpeggio, poi simultaneamente. Solo Riccardo ha interpretato ogni punto
come un unico suono. «L’idea è il punto iniziale. Può
essere qualcosa che si è sperimentato, visto o letto,
qualcosa che è successo di recente o nel lontano passato, può essere un’altra opera d’arte […]. L’idea può
essere anche il mezzo stesso, senza riferimenti a altro.
Punti sonori
Dopo un primo approccio informale alla
tastiera, ma certamente “informante”
sulla gestualità libera, sull’attenzione al
timbro, al colore e all’improvvisazione,
restringiamo il campo di azione verso la
formalizzazione di elementi grafico-musicali. Continuiamo l’esperienza delle reciproche incursioni fra suono e segno, ri26
Tavola 2
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
Il ruolo della scrittura
Tavola 3
Una poesia può essere semplicemente una struttura di
parole casuali, senza altro significato che il piacere (o
divertimento) di sentire quelle parole insieme».7 L’idea di Paynter, scintilla iniziale per provocare nei
bambini processi compositivi, si trasfigura dunque in
invenzione pura, in reale scoperta fantastica di sé e
del proprio essere nel suono.
Valzer dei punti sonori: raggruppiamo i nove punti in
tre triangoli – blu, rosso, giallo – la cui superficie colorata suggerisce il registro, mentre gli angoli rappresentano i tre accenti. Il battere corrisponde al punto
più grande e i due levare sono stati numerati in considerazione della progressiva riduzione delle dimensioni dei punti. La forma ternaria proposta ci permette
di guidare entro confini pre-determinati l’esecuzione
dei bambini. Esecuzione che è controllata nella scelta
del registro, mentre rimane aperta la possibilità di
scegliere con quale successione realizzare i triangoli, e
parimenti quali intensità e velocità utilizzare. Un ulteriore arricchimento a questo tipo di esperienza può
essere rappresentato da una esecuzione dal forte al
piano o viceversa, tutto sui tasti neri o sui tasti bianchi, in alternanza.8
Figure nello spazio: suona queste figure geometriche,
evidenziando il primo accento di ognuna di esse. L’uso di diverse forme geometriche presuppone una presenza di accenti più complessa rispetto alla situazione
precedente (Valzer dei punti sonori); lo stesso Bartók
introduce fin dai primi volumi del Mikrokosmos brani in 7/8 e 5/8, nei quali il marcato degli accenti è parMusica Domani 129 – Dicembre 2003
Il nostro percorso “extra-ordinario”, partito dal puro
gioco senso-motorio, è proseguito attraverso l’introduzione di nuovi elementi che ci hanno permesso di
sperimentare diversi modi di presa del tasto, di definire prime forme arcaiche nelle quali il ritmo diventa
elemento unificante; di mantenere la spazialità su tutta la tastiera. Soprattutto però, abbiamo stabilito un
nuovo rapporto con la scrittura, non più limite esecutivo, ma occasione creativa e giocosa per attivare nell’allievo la conoscenza riguardo alle potenzialità sonore e espressive dello strumento. Sviluppare «un
contesto, un campo esperienziale che potenzi e favorisca la conoscenza», un «campo di azione», usando
le parole di Anna Maria Freschi, diviene dunque una
strategia di ricerca, di invenzione, attraverso la quale
mantenere aperto un canale privilegiato fra noi e il
suono. Il suono, liberato dal vincolo della scrittura,
ristabilisce il naturale rapporto con il gesto, e recupera in tal modo il suo ruolo centrale. La scrittura non
è più segmento, porzione sterile di un processo più
ampio. Il movimento, prima svuotato dei contenuti
che gli sono propri, acquista ora un senso nuovo.
Le altezze e i ritmi dei suoni in continuo mutamento
avvolgono gli uomini, salgono turbinosamente
e cadono all’improvviso paralizzati.
Allo stesso modo i movimenti avvolgono gli uomini,
li circondano –
un gioco di tratti e di linee orizzontali, verticali,
che attraverso il movimento si volgono in direzioni diverse,
macchie di colore che si ammucchiano e si disperdono,
che danno un suono ora alto, ora profondo.
V. Kandinsky9
Note
1
Voce Metodo, in Dizionario enciclopedico Universale della
Musica e dei Musicisti, Utet, il Lessico III, Torino, 1984, p.
132
2
Colombini O., Marrucci L., “I piccoli al pianoforte – Nuove
proposte metodologiche per l’insegnamento”, in beQuadro,
anno 7, aprile/giugno 1987, n. 26, p. 12.
3
Kandinsky V., 1963 (rist. 1993) Punto Linea Sperficie, pp.
64-65, Adelphi, Milano.
4
Ibidem, p. 65
5
Kandinsky V., op. cit., p. 26.
6
Piazza G., 1994, “Spazio e suono: il punto prende vita”, in
Musica Domani, n. 90, Ricordi, Milano.
7
Paynter J., 2002, “Solo Musica”, in Musica Domani, n. 125,
EDT, Torino
8
Questa esperienza si collega idealmente alla esecuzione del
Preludio e Valzer in do di Kurtag (Jatekok, I), coronamento
dell’attività ritmica e spaziale compiuta in questa fase.
9
Kandinsky V., op. cit., pp. 7-8.
27
Pratiche educative
te integrante di una corretta esecuzione. Al fine di
concentrare l’attenzione verso l’esatta accentazione,
gli esercizi ritmici sono tre, corrispondenti alle tre fasce di registro. In seguito, si potranno proporre esecuzioni miste, in cui cioè una forma blu precede una
gialla e una rossa, e così via.
Invenzioni musicali
Una fortunata
successione di avvenimenti
JOHN PAYNTER
Il processo creativo di un brano musicale inizia con
una idea musicale, un’idea che nasce necessariamente da qualcosa. Frequentemente i compositori
traggono spunto per le idee musicali da esperienze
extra-musicali, vale a dire da situazioni che forniscono un contesto alla propria immaginazione musicale:
memorie di sensazioni o sentimenti associate a eventi del mondo reale. In ogni caso lo scopo del compositore non è mai descrivere le situazioni con i suoni:
la musica non lo può fare.
Il contesto stimola l’immaginazione musicale del
compositore, suggerendo particolari suoni e strutture, nonché il senso di un pezzo completo, cioè come
suonerà quando sarà ultimato. Il contesto diventa così l’idea per un brano musicale.
A questo punto il compositore comincia a inventare i
materiali musicali: figure melodiche e ritmiche che
diventeranno le basi su cui si edificherà il pezzo. Poi
su questi lavorerà: i materiali di partenza saranno
espansi, estesi, sviluppati, trasformati e integrati con
altri, per fare in modo che la musica continui fino a
soddisfare l’idea musicale. Il processo richiama alla
mente un ben nota massima dell’architettura modernista del XX secolo: La Forma segue la Funzione. Ciò
significa che prima di mettere mano alla creazione di
qualsiasi tipo di “forma” artistica (un dipinto, una
poesia, un brano musicale, un edificio) è necessario
innanzitutto capire cosa si vuole ottenere.
I modi di creare musica sono infiniti e non c’è nessuna regola che ci imponga di realizzare un pezzo secondo forme già sperimentate. Tutti possiamo esplorare altre possibilità. Ad esempio, l’idea per un brano
musicale potrebbe essere addirittura l’assenza di
un’idea! Dobbiamo semplicemente permettere alle
cose di seguire il loro corso. Dopo tutto, questa non è
esperienza del tutto insolita nella nostra vita quotidiana: noi iniziamo a fare qualcosa e prima che possiamo completarla la nostra attenzione è attirata da
qualcosa d’altro che deve essere fatto. Così, lasciamo
la prima attività e ne iniziamo un’altra completamente diversa. Prima di completarla, il telefono suona. Ci
fermiamo per rispondere e mentre stiamo parlando
notiamo un’altra cosa che cattura urgentemente la
nostra attenzione. Probabilmente decidiamo di affrontare quest’ultimo compito appena abbiamo finito
la conversazione telefonica. I giorni vanno avanti così, con una situazione che porta a un’altra, secondo
28
un ordine raramente lineare. Sebbene tutte le richieste siano differenti – e, forse, non torniamo mai alla
prima (quella deve aspettare ancora un giorno!) – ciò
nonostante, esse sono legate: ma precisamente in
che modo sono legate?
A volte gli avvenimenti si succedono, uno dopo l’altro,
in una sequenza che sembra non essere sotto il nostro controllo; così siamo sorpresi quando, in qualche
modo, raggiungiamo una conclusione soddisfacente.
Ripensando a quanto è successo, comprendiamo
che tutto avrebbe potuto concludersi verosimilmente
con un disastro, ma ciò non è accaduto: è stata, diciamo, una fortunata successione di avvenimenti.
L’idea che “non c’è idea” può essere la base per un
brano musicale. In questo caso come può la Forma
seguire la Funzione? La Funzione è avere un pezzo di
musica (per esempio una Forma in suono) fatta interamente di elementi disconnessi. Bisogna creare una
successione di “affermazioni” musicali, frammenti, o
gesti corti e indipendenti, derivanti uno dall’altro fino
a ottenere un risultato soddisfacente che equivalga a
un pezzo musicale meritevole e interessante. Nessuno dei suoi elementi è da sviluppare nel modo convenzionale, ma affidandosi a una continua sperimentazione dei punti dove un’espressione finisce e un’altra inizia e ripetendo tutto più volte da capo per verificare il risultato sonoro.
Considerando attentamente gli effetti, possiamo, poco a poco, far proseguire la musica. Tutto dipende
dalle nostre abilità di giudicare il procedere della musica: è necessario essere persuasi – attraverso il nostro personale giudizio e non dall’opinione di qualcun
altro – che ogni nuova espressione è “giusta”. Dobbiamo ricordare esattamente come ogni sezione si
adatta a quanto viene prima e a cosa accade dopo, e
da ultimo dobbiamo essere convinti dalla conclusione, e percepire la sequenza di espressioni come un
pezzo “completo”.
Le persone che conosciamo meglio le ricordiamo non
solo per la loro apparenza, ma anche per la loro personalità. La parola “persona”, deriva dal latino persona,
una maschera indossata da un attore per richiamare
subito alla mente un personaggio particolare “nel suo
insieme”. Noi riconosciamo una persona perché si
presenta con un insieme di caratteristiche che le sono
proprie e, anche se prese una a una tali caratteristiche
si traducono in più qualità differenti e distinte, le percepiamo come sostanzialmente unitarie. Esattamente
allo stesso modo si può comporre un brano musicale:
esso deve convincerci della sua completezza suonanMusica Domani 129 – Dicembre 2003
L’attività
Come in tutte le proposte di composizione presentate
nei precedenti articoli di queste serie (in Musica Domani dal n. 122 al 128), gli alunni dovrebbero lavorare prima in piccoli gruppi, sviluppando i materiali
musicali ed esercitando la loro capacità di giudizio,
per decidere in che modo far proseguire i loro pezzi.
Il compito dell’insegnante è muoversi fra i gruppi, incoraggiando l’attività, ponendo domande pertinenti
su ciò che gli alunni hanno inventato, aiutandoli (ancora una volta con domande appropriate) a prendere
le decisioni cruciali e a giudicare l’effetto della musica che hanno creato. In particolare questo progetto
mira, più degli altri proposti, a comprendere l’importanza di un giudizio accurato: in che modo frammenti sonori apparentemente sconnessi possono essere
uniti in una sequenza che abbia senso? Come può un
pezzo simile suonare “giusto”?
Molto dipende dal modo in cui diversi elementi sono
tenuti insieme. Se i ragazzi che compongono la musica hanno qualche dubbio sulla correttezza di queste
relazioni importanti, vanno incoraggiati a cercare
un’altra possibilità e un’altra ancora, se necessario,
fino a trovare quella che li soddisfa pienamente. Walt
Disney rivolgeva ai colleghi che disegnavano i cartoni
per i suoi film una domanda: «È il meglio che si possa ottenere?»
Usando l’idea musicale descritta più sopra, gli alunni
possono creare brani musicali a partire da indicazioni come:
• in un gruppo di quattro o cinque costruite un brano che utilizzi solamente suoni “trovati”: vale a dire, suoni prodotti da qualsiasi oggetto a disposizione;
• in un gruppo più piccolo (due o tre) create un pezzo per strumenti a percussione come tamburi, rullanti, maracas ecc.;
• individualmente create un brano per un solo strumento (per esempio per pianoforte o violino o chitarra) o per tre, quattro o cinque “oggetti trovati”.
Tutta la musica creata deve essere suonata e discussa.
Insegnante
Quando un pezzo è stato completato e suonato è essenziale che l’insegnante abbia qualcosa (preferibilmente incoraggiante) da dire su di esso.
Esempi di tali commenti, che riguardano cinquanta
registrazioni di composizioni di bambini e adulti, si
trovano in “Che cosa si può dire sulla musica? Un
progetto di ricerca sull’educazione musicale creativa”, in beQuadro n. 66/67, Centro di Ricerca e di
Sperimentazione per la Didattica Musicale, 1997,
San Domenico di Fiesole (FI).
[Traduzione a cura di Paola Bernardelli]
La pittura e la scultura sono la forma delle idee. La musica è il suono delle idee.
Hans Hartung, T62/H41 (1961, olio su tela)
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
Lucio Fontana, Concetto spaziale-Attesa
(1957, ceramica dipinta)
29
Invenzioni musicali
do nell’insieme come se fosse un unico personaggio
anche se, analizzandolo nei suoi dettagli, ha caratteristiche differenti, o addirittura contraddittorie.
Confronti e dibattiti
Telecanto: per una didattica
della fruizione musicale televisiva
Presenza importante e significativa nella tv di
oggi, la musica assolve a svariate funzioni e
costruisce nei telespettatori più giovani
atteggiamenti e conoscenze che la scuola
potrebbe considerare come ambito di
indagine ed elaborazione.
L’analisi delle molte funzioni e dei molti
significati che la musica può assumere nel
piccolo schermo si collega negli interventi alle
concrete possibilità educative che possono
essere offerte ai ragazzi in una logica di
ascolto e dialogo costruttivo.
a cura di LUCA MARCONI
Conviene innanzitutto riflettere sul perché svolgere
attività didattiche sulla presenza della musica nella
televisione: in altri termini, esplicitare come si collochino tali attività rispetto ai compiti dell’educazione
musicale.
Una prima indicazione a tale proposito viene fornita
da Enrico Strobino. Nel suo contributo rileva che, se
uno dei principali compiti dell’educazione musicale è
quello di migliorare il modo in cui gli studenti affrontano la musica che essi incontrano tutti i giorni fuori
dalla scuola, risulta fondamentale occuparsi della
fruizione televisiva, giacché essa corrisponde a «un’area tra le più forti e importanti di quel paesaggio sonoro, musicale e culturale, che tutti noi quotidianamente abitiamo».
Possiamo poi aggiungere che tali attività didattiche
hanno una valenza non solo relativa al presente degli
studenti, ma anche al loro futuro: trasformarli in
spettatori agguerriti dei programmi televisivi significa
prepararli come cittadini ad assistere criticamente a
tali pratiche sociali.
Infine, va tenuto presente che, come avevano già notato anni fa Baroni e Nanni (1989, p. 62) e come è
stato più recentemente ribadito da Ferrari (2002, p.
846), la televisione (così come altri mass-media) fa
acquisire competenze musicali ai suoi spettatori, e
dunque anche agli adolescenti, e propone modelli di
comportamento che incidono sulla loro identità e sulla loro musicalità. Sarebbe dunque estremamente ri-
schioso non assumersi la responsabilità di aiutare gli
studenti ad affrontare la relazione tra le competenze e
i modelli provenienti dalla scuola e dalla televisione.
Un’altra sollecitazione proposta da Franca Ferrari è
la distinzione fra diversi tipi di atteggiamento che un
insegnante può assumere nei confronti dei mass-media in generale, e della musica televisiva in particolare: evitando che le posizioni più apocalittiche portino
ad assumere una tendenza rinunciataria, si tratterà di
essere un insegnante «eclettico», «etnologo» o «simpatico» (Ferrari 2002, pp. 853-858).
Sulla base di tali premesse, si possono poi distinguere
fondamentalmente due tipi di musica televisiva: quella che, insieme alle immagini, al parlato e ai rumori,
funziona come componente del programma e quella
che invece ne è protagonista.
Le riflessioni didattiche dovrebbero occuparsi di entrambi i fenomeni e necessariamente richiedono percorsi differenziati: così come bisogna tener presente le
differenze nella fruizione musicale dei messaggi televisivi che gli studenti frequentano ripetutamente
(spot pubblicitari, sigle1 o videoclip), di quelli seriali,
che ripropongono a cadenze regolari, dietro una superficie ogni volta diversa, un format sempre uguale,
e dei media events2 (come il Festival di Sanremo) dotati di una maggiore unicità.
Per chi voglia trovare caso per caso l’approccio più
adeguato, sono stati pubblicati recentemente scritti di
notevole interesse: un primo filone è costituito dagli
30
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
luogo quali musiche inserire e quali no, e in secondo
luogo come realizzare tale inserimento. L’esplicitazione di tali regole può allora portare a rendersi conto
delle funzioni dei diversi generi di programmi musicali televisivi, dei valori e delle ideologie che li guidano, e dunque della persuasione sulla musica e su altri
contenuti che essi cercano di realizzare nei confronti
dei loro spettatori, adolescenti o adulti, spesso in modo occulto, cioè apparentemente senza fare alcuna affermazione e senza esprimere alcuna opinione o alcun
giudizio.
Una tendenza affine si può trovare nel contributo di
Strobino, che sposta l’attenzione su un ben preciso
format televisivo, quello dei «programmi strutturati
sul modello della scuola»: la pertinenza pedagogica
di una riflessione su tali programmi è particolarmente scottante e di grande attualità.
Last but not least, va considerata la presenza nei programmi televisivi di repertori musicali molto diversi
da quelli che gli studenti preferiscono e frequentano
quando ascoltano i cd, le cassette o la radio. I percorsi su tale tema possono conseguire diversi obiettivi:
innanzitutto far notare agli studenti i significati che
essi attribuiscono ai repertori non giovanili sulla base
della loro associazione con i contesti televisivi nei
quali appaiono più frequentemente;3 in secondo luogo si può far riflettere gli studenti sul fatto che un
brano musicale non giovanile può risultare per loro
poco piacevole e poco interessante se ascoltato nelle
occasioni nelle quali sono abituati a trarre piacere e
interesse solo dalle musiche giovanili (e, anche al loro
interno, solo da certi generi) e risultare invece molto
più interessante e piacevole se ascoltato in contesti
audiovisivi.
Infine, il confronto tra il modo in cui sono inseriti nei
programmi televisivi musicali4 il repertorio colto e
quello popular5 può aiutare a impostare una riflessione sulle funzioni e sul valore che la nostra società attribuisce loro. [L. M.]
Note
1
Per una riflessione sulle sigle televisive, vedi Simonelli 1994.
2
Lo studio dei media events è stato approfondito soprattutto
da Dayan e Katz 1993.
3
Utili spunti per realizzare tali percorsi possono essere tratti,
in particolare, da Tagg 1994 e Ferrari e Piazza 2001.
4
Una storia dei programmi musicali della televisione italiana si
trova in Cardini e Bolla 1997; interessanti riflessioni sull’uso
della musica nella “neotelevisione” italiana si trovano in Rubbi 2000-2001. Sulla dimensione sonora della televisione si
concentrano invece Chiocci, Cordoni, Ortoleva e Sibilla 2002.
5
Sulla relazione tra la televisione e la popular music, vedi Sibilla 2003, pp. 272-275.
31
Confronti e dibattiti
studi sulla musica degli spot pubblicitari, tema spesso
affrontato sia con taglio teorico (Stefani 1976, Ala e
Ghezzi 1983, Cano 1990, Julien 1992, Marconi
2001) che con un’impostazione prettamente didattica
(Gatta 1987, Deriu, Pasquali, Tugnoli, Ventura 2000,
pp. 121-127, Mazzoli 2001 pp. 35-37 e 71-73, Delfrati 2003 pp. 53-57).
Anche il ruolo giocato dalla musica nelle colonne sonore dei film è stato ampiamente studiato, sia teoricamente (Miceli 1982 e 2000, Cano e Cremonini
1990, Chion 1997, Michelone e Valenzise 1998, Poirier 2001) che in scritti didattici (Simeon 1993, Miceli 1994, Deriu, Pasquali, Tugnoli, Ventura 2000 pp.
128-135, Maule 2001 e 2002, Ceccarelli 2002, Delfrati 2003 pp. 58-63). Da tali scritti si possono trarre
spunti per affrontare in classe l’analisi non solo dei
film, ma anche di altri programmi televisivi, tenendo
comunque presente le differenze tra la fruizione dei
prodotti audiovisivi al cinema e quella realizzata di
fronte allo schermo televisivo.
Per sollecitare tale confronto, un utile contributo viene qui fornito da Germano Mazzocchetti, autore di
musiche per programmi di fiction televisiva, come il
recente Carabinieri. Una delle principali differenze
tra la fruizione di questo tipo di programmi e quella
che si realizza al cinema consiste nel fatto che assai
spesso nel primo caso lo spettatore si imbatte nel
messaggio audiovisivo praticando uno zapping più o
meno sfrenato e dunque con molte meno aspettative
nei suoi confronti di quelle di cui è dotato il pubblico
cinematografico. Di conseguenza, la musica televisiva, insieme ad altre componenti, ha tra le sue funzioni principali quella di guidare le aspettative dello
spettatore-zapper, collocando il programma nell’ambito di un certo genere. In classe conviene allora non
solo segnalare tale funzione orientativa delle musiche
televisive, ma anche considerare ed esplicitare la competenza degli studenti nei confronti della relazione di
tali musiche con i principali generi televisivi.
Un terzo filone da consultare considera la relazione
tra la televisione e gli spettatori non adulti (Dorr
1990, D’Amato 1997, Morcellini 1999, Pellai 1999 e
2001, Mazzoli 2001 pp. 27-37). A questo proposito
abbiamo posto una serie di domande sul ruolo della
musica nella relazione tra la televisione e l’adolescente ad Alberto Pellai, tra gli autori che si sono maggiormente occupati di queste tematiche.
Tra i prodotti televisivi nei quali la musica è protagonista, il più analizzato recentemente è stato indubbiamente il videoclip (Baroni e Nanni 1989, Albarello 1994, Simeon 1996, Sibilla 1999, Baldini 2000,
Deriu, Pasquali, Tugnoli, Ventura 2000 pp. 136-141,
Di Marino 2001, Marconi 2001, Mazzoli 2001 pp.
32-34).
In questo Confronti e dibattiti, Franco Fabbri e Enrico Strobino propongono riflessioni su altre tematiche
finora poco esplorate in ambito didattico, che risultano invece di notevole portata: nel caso di Fabbri, è da
sottolineare soprattutto l’invito a far riflettere gli studenti sulle “regole del gioco” che governano i programmi musicali televisivi, determinando in primo
Confronti e dibattiti
Scoprire le funzioni della musica
in rapporto alle immagini
GERMANO MAZZOCCHETTI
Ci sono differenze tra i modi in cui
la musica è inserita nella fiction televisiva e in quella cinematografica, anche se all’interno della fiction televisiva bisogna distinguere
tra i film-tv come Montalbano e la
fiction seriale, come Carabinieri.
In Montalbano, l’approccio di
Francerco Piersanti è cinematografico: scrive una certa musica
per una certa scena ben precisa,
rispondendo di solito a una richiesta del regista del tipo «ci
vuole una musica da questo istante a quest’altro istante». Nel caso
di Carabinieri, per la quale sono
io l’autore delle musiche, si tratta
di una fiction giunta ormai alla
terza serie, con un numero di
puntate piuttosto ampio (24 puntate da 50 minuti l’una, che vanno in onda a due a due a serata).
Di conseguenza, l’approccio alla
musica è diverso da quello cinematografico: realizzare una colonna sonora apposita per ogni
scena con musica di ogni puntata
richiederebbe una quantità eccessiva di tempo, energie e denaro. Si
fa invece una registrazione unica
all’inizio, con temi che siano più o
meno tagliabili, e si prevedono diverse ipotesi di trattamento e di
utilizzo di tali temi.
Una volta incisi tutti i temi, ci si
concentra molto sul montaggio,
che occupa la parte più consistente del lavoro. In Carabinieri non
c’è mai una musica sfumata perché troppo lunga rispetto alla scena corrispondente. Sfumare una
musica è poco professionale e
dunque cerco di evitarlo il più
possibile: durante il montaggio,
col montatore del suono, facciamo in modo che la musica finisca
con la scena. Ma perché questo sia
possibile, nella precedente fase di
composizione, mi preoccupo che i
miei temi possano essere tagliabili
32
in punti e modi diversi e siano
aderenti alle funzioni per le quali
sono pensati.
Quando la musica non viene
ascoltata da sola, ma insieme alle
immagini, deve seguire alcuni codici che ne regolino la relazione
con ciò che si vede; ad esempio
può sottolineare una certa atmosfera o invece contrastarla, o in alcuni casi indirizzare chi guarda (e
ascolta) sull’atmosfera della scena. Per questo motivo, quando
montiamo la musica, evitiamo di
usarla come tappeto sonoro, cioé
come puro sottofondo: la presenza di musica deve sempre avere un
suo senso. Piuttosto che usare la
musica come puro sottofondo,
preferiamo evitare di metterla.
Un’attenzione particolare viene
data dai committenti alla musica
della sigla che deve essere molto
riconoscibile e in grado di caratterizzare la serie. Quando ho scritto
la musica scelta come sigla di Carabinieri, non sapevo che proprio
quella sarebbe diventata la sigla:
tra i vari temi proposti alla fine è
stato scelto quello, neanche credendoci fino in fondo. Mi dicono
che è stata molto apprezzata dal
pubblico.
Noi compositori siamo dei mediatori tra il regista e il pubblico. Come quando lavora per il teatro, il
musicista deve sottostare a un’idea registica che non sempre condivide. Comunque, veniamo chiamati anche sulla base del nostro
stile: chi mi chiede di scrivere musica per immagini lo fa anche perché sente di aver bisogno di uno
stile musicale come quello che io
ho costruito nel tempo.
Quando devo lavorare per una fiction televisiva in genere leggo
qualche puntata o vedo le immagini di qualche puntata già interamente girata: così capisco quali
sono i topoi di quel tipo di fiction
e di conseguenza scrivo alcuni temi conduttori. Ad esempio, per
Carabinieri, che prevede un po’ di
commedia e un po’ di detection,
qualche schermaglia amorosa e altri ingredienti, ho preparato temi
adatti a questo tipo di situazioni.
Ma alla fine è il regista che sceglie:
gli faccio sentire i temi al pianoforte, poi li orchestro e si va in sala. Fondamentale è comunque il
momento del montaggio, nel quale è necessaria la presenza di qualcuno che sappia come tagliare la
musica (in Carabinieri, io o il mio
assistente). Il montatore del suono
realizza materialmente i tagli anche della musica, ma chi decide in
che modo usarla è il musicista
d’accordo col regista o, nel caso di
Carabinieri, con la produttrice.
Insieme si decide quale relazione
ci deve essere tra le immagini e le
musiche inserite e quale atmosfera
deve avere la scena, anche grazie
alla musica. Sulla base di tali decisioni scegliamo quale musica inserire e come inserirla, non tanto
pensando alle reazioni del pubblico, ma considerando soprattutto
se per noi quella musica sta bene
con quelle immagini. Ovviamente, nel caso di Carabinieri abbiamo tenuto conto che non si trattava di cinema impegnato o intellettualistico, ma di un programma
da prima serata di Canale5, dunque di un prodotto popolare, per
famiglie.
Come sempre, bisogna fare scelte
abbastanza comunicative senza
per questo perdere di vista la qualità. In altri termini, si tratta di
sottolineare certe atmosfere senza
cadere nell’astruso. È comunque
quello che cerco di fare anche
quando scrivo musica per il teatro: per me comunicare conservando la qualità è molto importante.
Pensando a un pubblico di adolescenti davanti a una puntata di
Carabinieri e alle loro possibili
reazioni, non sono in grado di
scendere troppo nello specifico,
perché non seguo da vicino la musica pop e dunque non so quali
siano le musiche più alla moda per
gli adolescenti, né mi metto a scrivere musiche pensate appositaMusica Domani 129 – Dicembre 2003
porre ai ragazzi di considerare innanzitutto quale tipo di musica
viene inserito insieme alle immagini, e come appare la scena alla luce dell’inserimento di tale tipo di
musica.
Ad esempio, si tratta di capire se
la musica inserita è più da detection, da commedia o da suspense,
e dunque se orienta la scena a cui
corrisponde a uno di questi indirizzi legati ai generi cinematografici e televisivi, o se crea altre possibili atmosfere.
Un secondo consiglio è quello di
provare a cambiare la musica cor-
Evidenziare il ruolo del marketing
nell’offerta musicale giovanile
ALBERTO PELLAI
I programmi musicali per gli adolescenti non pensano certo a rappresentare l’adolescente, ma a cooptarlo nel ruolo di consumatore
e di oggetto di mercato.
Per questo motivo la TV tende a
presentare sostanzialmente due tipi di adolescente: o quello bello e
dal look perfettamente curato, che
funziona come modello da imitare
e/o idolatrare, o quello disperato e
problematico che fa notizia.
Consideriamo uno dei fenomeni
più recenti ed eclatanti del mondo
musicale rivolto ai teen agers: le
boy-band. Questi gruppi producono una musica costruita a tavolino
da strateghi del marketing. Tutto
in una boy-band è selezionato artificialmente per fare il gran botto
sul mercato. Negli Stati Uniti, in
Florida, hanno addirittura creato
una scuola per aspiranti membri di
boy-band. È naturale che quando
tutto è così studiato con il solo
obiettivo del profitto, la musica
perda la sua originalità e spontaMusica Domani 129 – Dicembre 2003
neità per divenire un prodotto,
uno dei tanti oggetti acquistabili.
Si perde l’aspetto emotivo e creativo, la dimensione dell’originalità e
soprattutto l’adolescente diventa
un oggetto di studio per i colossi e
le multinazionali che in lui vedono
solo un potenziale acquirente. La
musica, invece di essere il momento della scoperta dei piaceri dell’ascolto, diventa la vetrina di una serie di merci da consumare e di
comportamenti da imitare.
Le boy-band hanno inventato il
paradigma che domina l’attuale
cultura di Music Television: una
canzone non ha alcuna appetibilità
se non può essere vista. Il video sostiene una canzone molto più dell’ascolto. Fenomeni come le Spice
Girls o i Take That non avrebbero
avuto senso al di fuori di una cultura dell’immagine. Il valore aggiunto di queste produzioni del
marketing è che sono universalmente commercializzabili e rispondono bene ai principi del mercato
rispondente a certe immagini con
altre musiche, domandandosi se
questo diverso accostamento funziona o non funziona, e confrontando diversi abbinamenti. Questo metodo di lavoro è spesso utilizzato in fase di montaggio: non
solo proviamo diversi accostamenti musicali rispetto alle stesse
immagini, ma ne realizziamo anche più versioni, lasciando la decisione definitiva nell’ultima fase di
preparazione del prodotto, e cioè
nel mixaggio, durante il quale si
dosano i livelli del parlato, della
musica e degli effetti sonori.
globale. Impongono mode e consumi che si diffondono velocemente
in tutti gli angoli del mondo. Un
gruppo musicale serve così a vendere cd, ma anche magliette, bibite,
riviste, figurine, cosmetici e potenzia il pesante lavoro di spremitura
commerciale che in breve uccide il
futuro dei cosiddetti artisti, facendoli durare lo spazio di un attimo.
I programmi musicali parlano di
musica da guardare e non di musica
da ascoltare. Prodotti visivamente
poveri, anche se musicalmente molto alti, hanno poco accesso nel
mondo dell’immagine e sono poche
le fortunate eccezioni a queste regole della visibilità. Tra cinque anni
non resterà nulla della musica di
questi mesi, mentre tutt’ora il mondo intero acquista i dischi dei Beatles e dei Rolling Stones, le canzoni
di Mina e di Lucio Battisti.
Un fenomeno a parte e molto nuovo è legato alle accademie di canto
che hanno spettacolarizzato la fatica e il duro lavoro a cui un bravo
cantante si deve sottoporre per
sfondare nel mondo dello spettacolo. Penso che il merito di questi
programmi sia stato mostrare che
per essere bravi si deve sudare e
che il talento va esercitato e messo
al servizio dello studio e della tecnica. D’altro canto, l’intero formato di questi programmi mi sembra
comunque fragile e fasullo: gli
aspiranti studenti sono messi al
33
Confronti e dibattiti
mente per loro. Ma penso che il
modo in cui i più giovani si immergono nel mondo delle trasmissioni televisive, e quindi anche della fiction, consenta di cogliere
qualcosa un po’ di tutto: degli attori, della qualità della fotografia,
che è eccellente, e qualcosa anche
della musica.
I giovani prendono il prodotto come un unico testo e non come la
somma di elementi separati. Proprio per questo motivo, credo che
l’insegnante che intende sviluppare un approccio critico alla musica
delle fiction televisive debba pro-
Confronti e dibattiti
voto e al vaglio dei telespettatori
attraverso un sistema telefonico a
pagamento che produce profitto
per la società che produce la trasmissione. Inoltre, è naturale che
la vera aspirazione di tutti i ragazzi che compaiono in queste trasmissioni è quella di diventare famosi e bucare lo schermo. La musica è, anche in questi programmi,
uno strumento per conquistare la
visibilità e il successo. Mi sembra,
inoltre, che questi programmi riconfermino la tendenza totalmente
visivocentrica dei programmi musicali di oggigiorno: i più votati
quasi sempre sono anche i più belli. Insomma, anche se a vincere dovrebbe essere il talento, ciò che fa
la differenza è il look e l’immagine.
La TV tende a far acquisire agli
adolescenti un modello di felicità
consumistico, nel quale tutto quanto serve a sentirsi bene pare non solo giusto ma anche desiderabile.
Mi piace citare a questo proposito
alcune considerazioni tratte dal
bellissimo libro Ragazze che diventano donne di Mary Pipher
(Frassinelli, 1999): «Il supermercato incoraggia le ragazze a consumare prodotti come Coca, jeans
firmati e sostanze come alcol e nicotina per calmare il loro dolore
naturale e comprensibile. Come
ben sanno le industrie del tabacco,
le adolescenti sono un bersaglio
perfetto per chi vuole spacciare cose sofisticate. Infatti, le adolescenti
sono l’unica parte della popolazione che ha aumentato il consumo di
sigarette negli ultimi vent’anni. La
pubblicità ci insegna che il dolore
può essere affrontato acquistando
e consumando. Si possono guadagnare dei bei soldi creando bisogni
per poi convincere i consumatori
che si tratta di cose indispensabili,
persino di diritti irrinunciabili. Ci
insegnano a comperare. Ci incoraggiano a pensare che se è piacevole allora è giusto. E ci viene detto “Non preoccuparti, spendi”.
L’America degli anni Novanta pone un forte accento sulla gratificazione di ogni bisogno. Come società abbiamo sviluppato una mentalità del “mi fa sentire bene”. Dobbiamo riconsiderare i nostri valori
per rompere il legame tra sentimenti negativi e l’uso di alcol e
34
droghe. Idealmente dovremmo offrire ai nostri figli nuove definizioni dell’essere adulti che vanno oltre l’essere abbastanza grandi da
consumare sostanze pericolose, fare sesso e spendere denaro. Dovremmo insegnare loro nuovi modi per rilassarsi, godersi la vita e
affrontare lo stress. Abbiamo la responsabilità d’insegnare ai nostri
figli come trovare piacere nelle cose giuste».
Mi sembra che sempre più spesso
la cultura dell’immagine abbia
cannibalizzato anche gli artisti e i
cantanti per diffondere un’idea di
eccitazione e sballo da inseguire e
rincorrere a ogni costo. Molta
musica è stata creata per trasformare l’esperienza del ballo del sabato sera in sballo, da sostenere
con suoni e sostanze dagli effetti
psichedelici. Non solo la musica
sembra un oggetto di consumo,
ma sempre più spesso è usata per
veicolare un messaggio che la vita
sia una serie di esperienze da provare per il potenziale piacere che
possono generare senza preoccuparsi delle loro conseguenze.
L’esaltazione che molti artisti fanno di sostanze ad azione psicotropa, l’uso personale dagli stessi dichiarato è un’ulteriore conferma di
quanto mercato, sballo, eccitazione e ricerca del piacere a tutti i costi possano trovare nella musica
commerciale una potente alleata. I
video musicali raccontano spesso
trame ad alto potenziale di rischio.
Per i ragazzi è difficile orientarsi in
tutto questo caos di messaggi ambivalenti. Auspico che nei programmi musicali si faccia pulizia e
non si conceda a chicchessia di proporsi come falso profeta di esperienze che possono bruciare l’enorme potenzialità insita in ogni adolescente. La musica deve continuare a essere poesia, emozione e arte.
Nel passato molti artisti hanno più
volte celebrato l’uso funzionalecreativo delle sostanze ad azione
psicotropa. Le sostanze sono state
viste come “amplificatori” del processo creativo in grado di migliorare la qualità della musica o dei testi
prodotti. L’artista era una figura da
molti considerata come originale e
alternativa e in questo quadro di diversità rientrava anche la sua espe-
rienza di abuso di sostanze.
Può essere considerata lecita una
auto-somministrazione di sostanze a scopo creativo-artistico? Non
sta a me dare la risposta, ma credo
che la potenzialità dell’artista non
stia nella sua capacità di stravolgere il proprio flusso cosciente per
accedere a un livello incosciente
più libero e non condizionato dalla lucidità del livello logico-razionale della mente.
Naturalmente, parlo a titolo puramente personale. In quanto operatore di sanità pubblica, rimango
colpito nel vedere come multinazionali dell’alcol e del tabacco cerchino in ogni modo di associare il proprio marchio a eventi musicali.
Mi sembra che ciò venga fatto non
per potenziare il potenziale creativo, ma a puri scopi commerciali.
Inoltre, non credo molto all’artista
maledetto che con la sostanza psicotropa esalta il suo potenziale artistico. Basta leggere i diari di Kurt
Kobain, recentemente pubblicati
anche in Italia da Mondadori. Il lettore si confronta con l’esperienza di
un uomo debole e vulnerabile incapace di reggere alla pressione dello
star system, alla popolarità mondiale precipitatagli addosso, per far
fronte alla quale l’eroina diventa
una sorta di autoterapia necessaria.
Le pagine dedicate all’uso di droga non sembrano proprio derivare
dal desiderio di un’amplificazione
del processo creativo. La vita maledetta di Kurt Kobain magnificata dai media e dal mercato è divenuta fonte di ispirazione per migliaia di ragazzi. Forse Kobain era
davvero un grande artista, ma non
credo moralistico definirlo un
“uomo povero” in ogni senso. Lui
stesso parla della sua vita in modo
alienante e a volte disperato nel
suo diario.
Perché il mondo della musica non
rivela l’imbroglio a cui molti dei
suoi adepti devono soggiacere per
reggere il ritmo serrato del mercato fatto da interminabili tournée,
giri del mondo in una settimana
per promuovere un singolo o un
video? Perché, anzi, spesso il marketing delle case discografiche utilizza il “profilo maledetto” dell’artista per consentire a molti adolescenti di identificarsi con lui in baMusica Domani 129 – Dicembre 2003
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
dotati di un corpo adulto. Il corpo
si sessualizza e porta l’adolescente a
esplorare, almeno mentalmente, il
suo stare per diventare uomo e
donna in grado di dare e provare
piacere, oltre che di procreare. Sono tutte scoperte che, in ogni adolescente, generano sentimenti contrastanti, piacevoli e spiacevoli, negativi e positivi. Molti ragazzi provano una paura fisiologica a doverli
affrontare. Vorrebbero rimanere
ancora per un po’ in una fase di indefinitezza, vivere dentro un corpo
non ancora maschile o femminile,
abitare un organismo infantile che
non richieda così tanti adattamenti
e che non fornisca così tanti stimoli
difficili da elaborare.
Ecco perché Marylin Manson può
diventare tanto affascinante. La sua
“coltivata” ambiguità sessuale offre ai ragazzi la possibilità concreta
di sfuggire alla necessità di prefigurarsi idealmente un sé corporeo,
con una chiara identità sessuale.
Inoltre, l’incarnare il male e la trasgressione come fa Manson lo rendono ancora più attraente: molti
adolescenti per separarsi e affrancarsi dall’autorità degli adulti, utilizzano lo strumento della trasgressione che li porta nel territorio della non convenzionalità alle regole e
alle leggi stabilite da un’etica stabilita dagli adulti. Marylin Manson
incarna tutto ciò: ambiguità sessuale, trasgressione, culto del male
(con relativa idolatria dell’orrido e
del paranormale, fenomeni che di
nuovo hanno particolare fascino su
una popolazione di teen ager). Il
suo personaggio è intrigante e affascinante e può essere un incredibile
stimolo all’azione trasgressiva in
adolescenti che ancora combattono
non tanto per la conquista della
propria identità di genere, quanto
con la conquista di un’identità. A
chi si chiede “Chi sono?”, Chi sarò?” “Chi voglio essere?” (tutte domande che l’adolescente si pone assai spesso sia a livello conscio che
inconscio) Manson offre un modello di ruolo che regala l’antidoto alla più grande paura degli adolescenti: l’invisibilità.
Non credo che diventino delinquenti per questo, ma certamente il
potere di fascinazione dell’orrido e
del male incarnato in un soggetto
adorato da platee mondiali può
aiutare a rendere attraente a livello
intrapsichico ciò che sul piano concreto è orrendo e terribile.
È tutto studiato a tavolino, ma chi
guarda lo schermo ne rimane comunque uncinato e non elabora ciò
con cui si confronta. Per essere in
grado di compiere un’elaborazione
concreta di ciò che il mercato induce nei suoi consumatori, bisognerebbe aiutare gli adolescenti a conoscere e riconoscere le leggi del
marketing strategico con cui vengono agganciati e spinti a comperare e spendere. Questa è oramai
diventata una delle componenti
obbligate dei nostri modelli di lavoro educativo nelle scuole o con
gruppi di adolescenti in contesti informali. Noi pensiamo che solo se i
ragazzi conoscono le regole del
mercato, saranno in grado di controllarle realmente e di poter veramente autodeterminare le proprie
scelte, anche in campo musicale.
Credo sia utile portare all’interno
del gruppo degli adolescenti i materiali della cultura televisiva non
per una semplice fruizione, ma per
un’attenta analisi, fornendo elementi per comprendere quanto il
ruolo del marketing sia spesso
prioritario rispetto a quello artistico, creativo e musicale. Quando le
ragazze assistono a video di musica pop e – guidate da domande
che sostengono un’analisi ad hoc
– scoprono che quasi sempre le
donne vengono rappresentate semi-nude, passive e disponibili all’uomo predatore, che ha connotati attivi e potenti, si arrabbiano
molto e cominciano a vedere in
modo critico ciò che prima consumavano in modo diretto e immediato. Dall’analisi dell’immagine
si può poi passare all’analisi dei
testi e delle partiture musicali.
Molte canzoni non dicono davvero niente a chi le ascolta, sono solo un refrain che bombarda la memoria e si fanno ricordare perché
sincopate e avvolgenti. Come in
tutti i campi della creazione umana, c’è la forma e la sostanza. Portare i programmi musicali in un
setting educativo, può aiutare gli
adolescenti a comprendere la differenza esistente tra queste due diverse dimensioni.
35
Confronti e dibattiti
se alle istanze trasgressive che ogni
teen ager sperimenta nel corso di
questa specifica fase della propria
esistenza? Ogni lettore dovrà a
questo punto decidere se il punto
di vista che qui propongo è puro
moralismo, oppure reale convinzione di chi studia i media che parlano agli adolescenti e ne identifica
meccanismi che possono risultare
disfunzionali nella percezione e nel
percorso di crescita di un teen ager.
In Teen television ho espresso una
serie di preoccupazioni sull’incidenza negativa della TV sulla vita degli
adolescenti, soprattutto per quanto
riguarda il modo in cui affronta le
tematiche del sesso, della violenza e
dell’uso dell’alcol, del fumo e delle
droghe. Non occorre fare di tutta
l’erba un fascio, ma penso che chi si
imbatte nei video presenti in rotazione su TV musicali rimanga spesso
colpito dalla quantità di allusioni
sessuali, cumulazione di stereotipi
di genere e dall’aggressività che
spesso li connota. Alcuni generi
musicali, anche per il tipo di messaggio che lanciano, hanno particolare bisogno di questo genere di iconografia: si pensi all’hard rock oppure al rap. La musica ha in sé potenzialità infinite. Come queste potenzialità vengono declinate è responsabilità dell’artista e del suo
team di produzione artistica.
Certo, al pari della TV in cui è immersa, molti materiali televisivi di
natura musicale hanno assunto le
caratteristiche peggiori del mezzo
che li trasmette. Come per la cattiva TV, i pretesti più utilizzati in
tale senso sono quelli che toccano
e muovono le pulsioni più primordiali e profonde di ogni uomo
e donna: il sesso, la violenza, l’aggressività. Si pensi al fenomeno
Marylin Manson e a quanto deviante, amorale e illegale sia ciò
che mostra, racconta e porta nella
sua musica: ragazzi adolescenti
possono rimanerne davvero affascinati.
Non va trascurato che preadolescenti e adolescenti in questa fase
della vita devono “mentalmente”
fronteggiare una serie infinita di sfide. Il corpo reale di cui sono dotati
cambia in modo impressionante e
veloce. Si perdono i connotati del
corpo bambino e ancora non si è
Confronti e dibattiti
Allenare i ragazzi a diventare
spettatori televisivi agguerriti
FRANCO FABBRI
Mi domando se si possa parlare
specificamente di uno spettatore
musicale televisivo. Certo, in Italia esistono reti televisive come
Mtv e Allmusic, focalizzate sulla
trasmissione di video musicali (e
in misura quasi marginale su inchieste, documentari, talk show
di argomento musicale o giovanile) e una minoranza dei telespettatori ha accesso a reti culturali
dedicate in misura non trascurabile alla musica, ma mi è difficile
pensare (perfino nel caso di Mtv)
a uno spettatore musicale, e non
invece a un telespettatore generico al quale capita di vedere programmi o parti di programmi in
cui la musica ha un ruolo di primo piano. Più che altro, mi sembra che la questione sia distinguere fra telespettatori “agguerriti” e
non, a prescindere dalla musica.
Certo, la musica si presta molto –
in un paese dall’educazione musicale insufficiente – a mistificazioni
tipiche di una gestione scorretta
del mezzo televisivo, ma non vedo
grande differenza fra l’uso volgare
del playback e l’uso volgare delle
partecipazioni e del diritto di parola in salotti come Porta a porta.
Un telespettatore critico conosce il
“trucco del burino” (la spilletta
luccicante all’occhiello di Berlusconi in un celebre confronto televisivo di qualche anno fa, quando
il fondatore di Mediaset e capo del
governo ancora vi si prestava: il
trucco fu rivelato da un operatore
di Cinecittà) tanto quanto la diversità di trattamento nelle presentazioni al Festival di Sanremo.
Certo il Festival di Sanremo è di
gran lunga moralmente superiore,
e la ragione del suo successo televisivo di massa sta anche in una
continua verifica del rispetto dei
codici, per le violazioni ai quali
ancora non si invoca l’immunità.
36
Insomma, mi sentirei a disagio a
proporre una qualsiasi attività didattica volta a formare uno “spettatore musicale televisivo agguerrito” che non implichi una sua
crescita parallela come telespettatore critico tout court. Anche perché il problema di gran lunga più
importante che vedo nell’uso attuale dei media è di carattere del
tutto generale: è il problema dell’accesso. Prima ancora di riflettere su come la televisione presenta
la musica (quando lo fa) la domanda è: che cosa entra nella televisione e cosa no? E se ci entra, a
quali condizioni?
Non per amore del paradosso, ma
come conseguenza di quanto precedentemente affermato, proporrei di analizzare non le presenze,
ma soprattutto le assenze.
Per quanto ne so, tanto per cominciare, esiste un insieme molto ampio di musiche che riscuotono l’interesse degli adolescenti e che non
compaiono mai alla televisione.
Gruppi punk e ska amatissimi, come i Punkreas, i Pornoriviste, eccetera. Hanno spesso fama regionale,
ma anche nazionale (e nell’elenco
potrebbero certo figurare anche
star internazionali). Fa parte dell’esperienza ordinaria dei ragazzi che
si interessano di musica (e che guardano la televisione) avere una certa
familiarità con gruppi, cantanti, album, musiche che non arrivano in
TV. Quindi ci si potrebbe domandare perché questo avvenga; quali caratteristiche musicali e paramusicali abbiano questi cantanti e gruppi,
da far sì che il loro accesso al mezzo sia problematico; e quali caratteristiche abbiano cantanti e gruppi
che invece appaiono in televisione
di frequente, o senza problemi. Che
cosa distingue i Pornoriviste dalle
Vibrazioni o dai Lùnapop? E quali
altre musiche di cui i ragazzi hanno
esperienza non si vedono mai alla
E l’insegnante può aggiungere
qualche esempio? E cosa hanno in
comune (se ce l’hanno) le musiche
che vanno in TV senza problemi? E
quelle che non ci vanno mai?
Credo che si verificherebbe rapidamente che non si ha a che fare
con un “mezzo” che si offre alle
musiche per farle arrivare al pubblico dei telespettatori, ma di un
sistema ampiamente integrato che
produce musiche e le distribuisce,
filtrando via quelle che non sono
omogenee.
Le cose – si sa – non sono proprio così semplici, e una delle dimostrazioni (quanto mai utile) è
che esistono musiche prodotte da
quello stesso sistema integrato
che ugualmente non passano in
TV, ma proprio per questo ottengono un’attenzione particolare.
Sebbene non si tratti forse delle
musiche più seguite dai ragazzi
più giovani, non deve essere loro
del tutto ignoto che molti cantautori (da Franco Battiato a Ivano Fossati, per non dire di Paolo
Conte o Fabrizio De André) sono
deliberatamente estranei alla televisione, e nonostante questo
sono fra gli artisti più ricercati
dalle case discografiche per il loro costante successo di vendita.
Quindi, la televisione non solo
non è un “mezzo”, ma può addirittura risultare un ostacolo per la
stessa industria dell’intrattenimento. Sotto quale aspetto la televisione può essere un ostacolo alla
canzone d’autore? E di quali altre
cose non si parla mai in televisione? E quali non vengono pubblicizzate?
Si può affrontare questa ricerca in
modo generalista, mettendo insieme anche reti televisive con caratteristiche diverse, oppure in modo
molto selettivo, ragionando quindi anche su questioni di genere: si
tratta comunque (anche se l’espressione può suonare eufemistica) di “regole del gioco”.
Sembrerà banale, ma ci si potrebbe chiedere che cosa permetta a certe canzoni di andare al
Festival di Sanremo e altre no, e
che cosa c’entri la televisione.
Oppure (ricerca davvero interessante, se estesa negli anni) quali
TV?
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
quell’evento musical-televisivo?
Per restare in tema, e conciliare il
senso della domanda che mi è
stata posta con la risposta data
fin qui, sarebbe curioso esaminare qualcuno dei casi in cui una
musica abitualmente esclusa dalla televisione vi viene (per qualche ragione) improvvisamente
inclusa, e cercare di notare insieme le alterazioni che questo comporta alla trama abituale del tessuto televisivo, oltre che alla musica. Un esempio recente quasi
da manuale è stata la partecipazione di Francesco De Gregori
con Giovanna Marini alla trasmissione condotta da Gianni
Organizzare a scuola
uno sguardo polifonico sulla TV
ENRICO STROBINO
Penso che la scuola debba essere
luogo di scambio di opinioni, in
cui si possono confrontare punti
di vista sulle cose, in modo da riflettere sui valori in cui ognuno di
noi crede e in base ai quali compie
le proprie scelte. Mi sembra dunque opportuno proporre in classe
percorsi che consentano uno
scambio di vedute sui programmi
televisivi che più interessano e coinvolgono ragazzi e ragazze. Non
è facile quantificare quanto spazio
si debba dedicare a questi temi; mi
sembra importante intanto sottolineare il contesto in cui collocare
questo tipo di proposta: la fruizione televisiva si inserisce nella progettazione didattica come un’area
tra le più forti e importanti di quel
paesaggio sonoro, musicale e culturale, che tutti noi quotidianamente abitiamo.
Dal mio punto di vista, che è quello di un insegnante di educazione
musicale, potrei dire che ciò che
mi interessa maggiormente non è
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
“la musica televisiva” di per sé,
bensì la musica di tutti i giorni, da
qualsiasi fonte provenga. È chiaro
quindi che in questo senso un programma come Amici diventi molto importante, in quanto condiziona abbastanza profondamente
i valori e le abitudini culturali di
ragazzi e ragazze. Credo anche
che il concentrare l’attenzione sui
prodotti della televisione non sia
l’unico mezzo per fare una didattica della fruizione televisiva: tanto
per fare un esempio, la tattica del
playback, tipicamente televisiva,
si può discutere a vari livelli, ma
senza dubbio l’aver sperimentato
una pratica musicale reale, attiva,
fisica, corporea, fa indirettamente
nascere un punto di vista critico
verso la fiction musicale che comanda in televisione.
Personalmente mi pare che negli
ultimi anni a livello di musica televisiva siano successe alcune cose
degne di attenzione:
• il permanere del successo di
Morandi. Quali canzoni sono
state scelte per il “passaggio”?
Come venivano presentate? Quali cose sono state dette, e quali
taciute? Quali violazioni ci sono
state alle etichette, quali imbarazzi e balbettii? In generale il
linguaggio televisivo (e non solo
quello, ovviamente) risulta più
penetrabile attraverso le crepe
che si formano quando la routine
è spezzata dall’imprevisto: non
insegno nulla, basta guardare
Blob. Ma questo è tanto più vero
in un sistema ipercodificato come quello del “numero” musicale in un varietà. Si tratta solo di
andare a caccia.
programmi in cui i bambini fanno il verso agli adulti, sia dal
punto di vista musicale che da
quello dei comportamenti (dalla storica Piccoli Fans a Bravo
Bravissimo);
• la contaminazione che questo
modello ha operato via via anche sui programmi per adulti,
come per esempio il Festival di
Sanremo, con il fenomeno delle
boy-band e di artisti-bambini
sempre più giovani;
• la diffusione massiccia, anche a
livello didattico, di alcune pratiche nate in televisione, come
ad esempio il karaoke: cantare
con le basi, certamente utile e
gratificante in qualche caso, ha
assunto un peso nella didattica
della musica a volte assolutamente debordante;
• la nascita di programmi a quiz
specificamente musicali, come
Sarabanda;
• la nascita di programmi strutturati sul modello della scuola,
come Operazione Trionfo e Saranno Famosi.
Negli ultimi tempi i programmi di
riferimento delle discussioni in
classe sono stati soprattutto Sarabanda e Saranno famosi (oggi
Amici). Come ho già accennato
credo che questi programmi siano
tra quelli che maggiormente hanno influito nell’ultimo periodo
sulla cultura dei ragazzi a vari li37
Confronti e dibattiti
siano i criteri di selezione degli
artisti per il Concerto del Primo
Maggio: un caso davvero esemplare di “regole del gioco” in
conflitto, dove l’ideologia (nel
senso storico di falsa coscienza)
ha un ruolo primario. Perché al
Concerto del Primo Maggio,
promosso dai sindacati confederali, nessuno suona mai l’Internazionale? Perché la presentazione “politica” di un cantautore fa scandalo? E perché, viceversa, non vengono invitati cantanti chiaramente ed esclusivamente (per quanto possibile)
“commerciali”? Qual è, quindi,
il “nocciolo duro” ideologico di
Confronti e dibattiti
velli. Personalmente sono stato
particolarmente attratto dal programma di Maria De Filippi per
vari motivi: senza dubbio quella di
fondare una scuola televisiva è
un’idea originale; trattandosi poi
di una scuola d’arte, o meglio, di
spettacolo, l’impostazione pedagogica del programma mi interessa ancora di più e sembra degna di
essere osservata. Non condivido
nulla di questa impostazione: il
modello è quello della competizione e della selezione, assunti come
unici criteri, oltretutto basati su
valutazioni altamente opinabili,
espresse direttamente dal pubblico
e influenzate da molti aspetti
esterni alle esibizioni degli studenti; la forma scelta per selezionare è
una delle più violente, la sfida a
eliminazione diretta. La proposta
televisiva è molto articolata e potente e rende il programma simile
per alcuni aspetti al Grande Fratello: una trasmissione settimanale
in prima serata e un appuntamento giornaliero con telecamere
pronte a cogliere la vita quotidiana all’interno della scuola; il tutto
è poi contornato da una serie di
supporti esterni (dischi, una rivista, gadget vari ecc...). Questo
programma, come altri ascrivibili
al genere del reality-show, pone in
primo piano il rapporto tra realtà
e finzione, certamente centrale per
definizione in tutta la televisione
ma che qui assume connotazioni
più ambigue e sottili. In questa direzione Amici raccoglie suggestioni di molti altri programmi: alla
competizione fra i partecipanti fa
da contrappeso il sostegno di parenti e insegnanti, che esprimono
in diretta i sentimenti di vicinanza
più profondi, quasi sempre problematici o comunque emozionalmente forti, con numerosi riferimenti a precedenti proposte curate dalla De Filippi, tutte caratterizzate dall’uso della piazza televisiva per fare ammenda pubblica
delle proprie mancanze, errori,
sensi di colpa e così via.
Il programma ha cambiato alcune
abitudini di ragazzi e ragazze: ho
notato per esempio una grande rivincita del canto e del ballo, cosa
che in ambito di scuola media è
sempre difficile proporre; nell’ulti38
mo periodo queste pratiche hanno
molto successo proprio grazie ai
modelli di Amici. Mi è capitato di
incontrare ragazze che hanno acquisito un’apprezzabile competenza nell’uso del microfono anche a
livello tecnico, grazie all’osservazione attenta dei personaggi del
programma.
D’altra parte la grande importanza data alla visibilità fa sì che questo diventi spesso il valore dominante e a volte unico: è importante tutto ciò che televisivamente
funziona. Non è un caso che la
scuola di spettacolo televisiva non
si occupi di formare musicisti o
che nelle varie specialità (canto,
ballo e recitazione) si punti esclusivamente all’aspetto tecnico-esecutivo, tralasciando completamente quello creativo-artistico. In
questa direzione è ovvio che anche
l’aspetto fisico sia da porre in primo piano: ragazzi e ragazze sono
tutti belli, magari problematici,
ma belli.
Riguardo agli obiettivi, sinceramente, non mi faccio grandi illusioni: non penso che una proposta
didattica possa più di tanto spostare i giudizi di valore che i ragazzi esprimono su un programma di grande successo. Credo tuttavia che l’obiettivo sia, come dire, esterno al contenuto della proposta didattica stessa: l’obiettivo
sta nell’abituare alla discussione,
al confronto, al dubbio, che, forse,
potrebbe contribuire a un abito
mentale critico, come si usa dire.
Continuo a ritenere importante
che a scuola si possa incontrare
qualcuno che, senza sensi di superiorità, si metta a discutere anche
animatamente con ragazzi e ragazze, che sostenga idee e valori diversi o proponga comunque punti di
vista sulle cose per loro inconsueti.
Certo ci si scontra con un potere
enorme a cui a volte si ha l’impressione di gettare addosso qualche
piccola pietrolina assolutamente
trascurabile. D’altra parte questo è
il nostro lavoro, che è esattamente
il contrario di quello televisivo:
non è visibile, è organizzato su piccole dimensioni, lavora su cambiamenti di dettaglio, è centrato sullo
scambio e sulla relazione diretta.
Il metodo che utilizzo per proporre
attività di questo tipo si basa sulle
tecniche dell’animazione. In sintesi
si tratta di accogliere le esperienze
di ragazzi e ragazze come luogo
educativo in cui si può fare ricerca
sui valori della cultura; fare proposte che attivino il confronto, sia
orizzontale che verticale; proporre
un lavoro di gruppo, un’attività
che vede appunto il gruppo come
soggetto che apprende.
Normalmente questo tipo di proposta inizia con il raccogliere una
serie materiali utili a documentare
l’oggetto del discorso. Proseguendo con l’esempio di Amici, in classe ci siamo organizzati per raccogliere i seguenti materiali:
• la registrazione di alcuni momenti della trasmissione del
martedì sera, cercando di documentare i vari momenti (l’esibizione-sfida, la lettera dell’insegnante, la lettera del genitore, il pubblico, la conduzione
ecc.);
• la registrazione di alcuni momenti della trasmissione pomeridiana, anche qui cercando
vari elementi (lo studio, la relazione tra i ragazzi, il rapporto
con l’insegnante ecc.);
• alcuni numeri della rivista
omonima;
• alcuni materiali scaricati dal sito
internet del programma, come
per esempio il regolamento per
la partecipazione al programma
stesso.
Dopo aver raccolto e selezionato i
documenti raccolti, ragazzi e ragazze sono stati invitati a organizzarne la fruizione in laboratorio,
predisponendo i mezzi necessari:
uno o più video registratori, computer, riviste e altri materiali cartacei “in mostra”.
Una volta organizzata la visibilità
della documentazione si è trattato
di organizzare i tempi per poter
consentire ai singoli studenti di
passare da un materiale all’altro e
di esprimere opinioni, osservazioni, giudizi. Quest’ultima proposta
è stata articolata in due fasi: la prima consiste nell’appuntare brevi
frasi o singole parole da apporre
in un cartellone posto in prossimità del documento stesso. Non è
obbligatorio che ciascuno scriva
su tutti i cartelloni. Ognuno non
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
della competizione su quella
della cooperazione?
• quali regole potremmo inventare? Quali premi?
• sarebbe oggigiorno televisivamente accattivante? Perché?
Questo tipo di lavoro pone più
che dei problemi delle esigenze: è
necessario che la proposta non si
dilunghi per periodi molto estesi,
di conseguenza si rende quasi
obbligatoria la collaborazione di
insegnanti di altre discipline, sia
a livello organizzativo che di
contenuto. D’altra parte quello
della televisione mi sembra un
campo in cui dovrebbe essere facile e particolarmente auspicabile attivare uno sguardo polifoni-
Riferimenti bibliografici
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videorap”, in FERRARI F., STROBINO E. (a cura di),
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JULIEN J.R., 1992, Musica e pubblicità, Ricordi-Unicopli,
Milano.
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
co, in cui quindi applicare la famosa “interdisciplinarità”.
Questo genere di proposta didattica
trova gli spunti maggiori direttamente nel bagaglio che i ragazzi
stessi possono proporre: basta davvero mettersi in ascolto e si ha la
possibilità di raccogliere materiali e
idee di ogni tipo. Il lavoro dell’insegnante sta poi nell’aiutarli nella fase
organizzativa, in modo da orientare
il tutto a un confronto e non soltanto a una semplice fruizione. Certo
occorre poi essere disponibili a passare qualche serata davanti alla televisione, anche se non con il proprio
programma preferito: di questi tempi, comunque, non è che si corra il
rischio di perdere chissà che!
MARCONI L., 2001, “Muzak, jingle, videoclip”, in Enciclopedia della musica vol.1, Einaudi, Torino.
MAULE E., 2001, La musica dei cartoni, Edizioni Junior,
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MAULE E., 2002, “Le musiche dei cartoni: una prospettiva
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MAZZOLI F., 2001, C’era volta un re, un mi, un fa.…, EdT,
Torino.
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dentro la TV, Franco Angeli, Milano.
PELLAI A., 2001, Il (nuovo) bambino che addomesticò il televisore: la guida per crescere bambini felici e teleducati,
Franco Angeli, Milano.
POIRIER A., 2001, Le funzioni della musica nel cinema, in
Enciclopedia della musica vol.1, Einaudi, Torino
RUBBI M., 2000-2001, Usi della musica nella neotelevisione: una proposta di tassonomia, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Bologna, reperibile in Internet all’indirizzo http://tesionline.corriere.it/default/tesi.asp?idt=6154.
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aperto”, in Musica domani n. 98.
SIMONELLI G., 1994, Le sigle televisive. Nascita e metamorfosi, Eri-Rai/VQPT, Roma.
STEFANI G., 1976, “Denotazione e connotazione nei caroselli”, in Introduzione alla Semiotica della musica, Sellerio, Palermo.
TAGG Ph., 1994, “Stereotipi nella musica televisiva”, in Popular music. Da Kojak al Rave, Clueb, Bologna.
39
Confronti e dibattiti
può scrivere più di due cose di seguito sullo stesso cartellone, ma
può tornarvi quante volte vuole.
Chi desideri ribadire un’idea già
espressa da altri, può sottolinearla; una stessa idea può essere evidenziata più volte da più persone.
Nella seconda fase i cartelloni
sono stati utilizzati per la discussione collettiva, in cui hanno trovato posto anche alcune mie domande:
• vi piacerebbe che la scuola
“normale”, quella di tutti i
giorni, fosse organizzata in base agli stessi criteri di Amici?
• sarebbe possibile ideare un
programma simile a questo basandosi invece che sulla logica
Siem
diventa socio
L’associazione alla Siem è un’occasione preziosa per:
• partecipare e far progredire il dibattito pedagogico e didattico
in ambito musicale;
• conoscere esperienze, tecniche e metodi nuovi per l’educazione musicale;
• intervenire nelle sedi istituzionali per ampliare e migliorare la
formazione musicale in Italia.
I soci, oltre a partecipare alle attività e alle iniziative della Siem,
ricevono:
• la rivista Musica Domani;
• i Quaderni di ricerca e di didattica della Siem.
I soci Siem hanno diritto a sconti:
• per l’acquisto di libri EDT (riduzione del 15%);
• per l’abbonamento al Giornale della Musica (offerto al costo
di 8 25 anziché 34).
Quote annuali 2004:
• soci ordinari
• studenti*
• biblioteche
• soci sostenitori
8
8
8
8
36,00
28,00
36,00
72,00
Quote triennali 2004-2005-2006
Da quest’anno viene introdotta per i soci ordinari e sostenitori la
possibilità di iscriversi per un triennio versando una quota ridotta.
La spedizione della tessera avverrà annualmente a cura della segreteria.
• soci ordinari
8 100,00
• biblioteche
8 100,00
• soci sostenitori da 8 200,00
Versamenti
Versamento in ccp: n. 19005404 intestato a Siem – Società Italiana per l’Educazione Musicale – via dell’Unione, 4 – 40126 Bologna.
Bonifico: sul ccp 19005404, ABI 07601, CAB 02400.
Carta di credito: utilizzare il modulo allegato (da inoltrare via fax
per ragioni di sicurezza).
N.B.: per velocizzare le operazioni di registrazione dell’iscrizione,
si consiglia di inoltrare via fax o e-mail alla segreteria (vedi sotto)
la ricevuta del versamento.
Informazioni
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telefono e fax 011/9364761
lunedì dalle ore 9.00 alle 12.00
mercoledì e venerdì dalle ore 15.30 alle 18.00
e-mail: [email protected]
* persone fisiche fino a 25 anni che dimostrano, anche attraverso autocertificazione, di non svolgere alcuna attività lavorativa regolare e continuativa.
MODULO PER IL PAGAMENTO DELLA QUOTA ASSOCIATIVA SIEM CON CARTA DI CREDITO
da fotocopiare e spedire via fax allo 011/9364761
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e-mail
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❏ Socio ordinario triennale 2004-2006
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❏ Socio sostenitore 2004
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Versa e
con carta di credito
n. ■■■■
❏ VISA
❏ Mastercard
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■■■■ ■■■■ ■■■■
Nome del Titolare
data di scadenza
data
Firma
Siem – Società Italiana per l’Educazione Musicale
CONVEGNO
Musica + Liceo = Liceo Musicale?
Sabato 13 marzo 2004 – ore 10.00/18.00
RIMINI DISMA MUSICSHOW
Quartiere Fieristico - Via Emilia 155 (RIMINI)
In collaborazione con Disma Musica, Coram, Musica!, Rimini Fiera e Scuola Musicafestival
MARINA MAFFIOLI
Musica
Domani
in libreria?
Anche se negli ultimi tempi il
mondo della scuola sembra esprimere un crescente interesse per le
attività che consentono ai bambini
di potenziare le proprie capacità
di immaginazione e creatività in
ambito motorio e corporeo, non
sono molti i testi che propongono
la danza come pratica educativa
attuabile nella scuola di base, al di
fuori di un contesto formativo
professionalizzante.
Per questo motivo è certamente
utile segnalare l’edizione italiana
di In touch with dance di Marion
Gough, testo ampiamente sperimentato nella sua efficacia teorica
e metodologica e ancor oggi riferimento importante per gli educatori come manuale che riesce a coniugare chiarezza e originalità delle proposte didattiche.
La decisione di tradurre In touch
with dance, pubblicato in Gran
Bretagna una decina d’anni fa, appare quindi molto opportuna,
considerata l’attualità e l’originalità delle indicazioni e delle riflessioni della Gough, autrice di un testo che certamente contribuisce a
colmare una carenza ancor oggi
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
riscontrabile in Italia nel campo
della didattica e pedagogia della
danza.
Esperta di problematiche e tematiche inerenti alla danza nell’educazione e per molti anni insegnante
presso il Laban Centre di Londra,
Marion Gough conduce tuttora
seminari in Europa e negli USA, rivolti a insegnanti di danza e danzatori, con la convinzione che «la
danza nella scuola non è meno impegnativa né ha minor valore della danza professionale» e sia importante quindi sostenere concretamente chi desidera approfondire
e ampliare le proprie conoscenze,
per valorizzare il ruolo delle attività di danza nella scuola.
Anche l’edizione italiana, dal titolo A tu per tu con la danza, traduzione di Laura Delfini e Franca
Zagatti, si rivolge a tutti gli insegnanti (di danza, della scuola, agli
educatori di area artistica ed
espressiva) che desiderano acquisire idee, informazioni, consigli su
come strutturare un percorso di
educazione alla danza intesa come
arte del movimento che mette al
centro del discorso la persona.
«La persona-insegnante viene guidata e spronata, valorizzata e accudita, a partire dalla storia individuale e dalle caratteristiche personali, di conseguenza i suggerimenti e le tecniche di lavoro illustrate non sono mai delle prescrizioni, ma piuttosto una rosa di
possibilità a cui poter attingere e
su cui poter ragionare per scegliere liberamente in base all’obiettivo
del momento».
Nel testo possiamo individuare tre
parti: nella prima si evidenziano
quali siano gli obiettivi di movimento da perseguire per attivare
un’educazione alla danza che non
si proponga come generica acquisizione di passi e codici prestabiliti, ma stimoli l’allievo stesso a
esplorare, scoprire e familiarizzare
con gli elementi base del movimento. Gli obiettivi indicati dalla
Gough derivano dall’analisi di
tradizione labaniana: corpo, spazio, dinamica, relazione sono i
grandi contenitori che forniscono
il materiale e gli attrezzi per realizzare la propria danza e costruire
nello stesso tempo un rapporto armonico con il corpo migliorando
«la consapevolezza di sé e del
mondo circostante».
Nella seconda parte del testo l’autrice prende in considerazione diverse strategie che concorrono a
sostenere la qualità dell’insegnamento e, conseguentemente, l’apprendimento degli allievi. Ad
esempio riflette sui diversi stili di
conduzione della lezione distinguendone caratteristiche specifi-
La trovate qui.
Torino, Beethoven Haus
Milano, Mitarotonda
Padova, Musica e Musica
Bologna, Ut Orpheus
Firenze, Ceccherini
Roma, Hortus Musicus
Roma, Musicarte
Napoli, Simeoli
Palermo, Matilde Sacco
Nelle Librerie Feltrinelli di:
Ancona, Bari, Bologna, Brescia,
Ferrara, Firenze, Genova, Milano,
Modena, Napoli, Padova, Pescara,
Pisa, Parma, Ravenna, Roma,
Salerno, Siena e Torino
e nelle Librerie Fernet di:
Piacenza, Alessandria e Vigevano
41
Libri e riviste
Idee e percorsi
per fare danza nella scuola
Libri e riviste
che; sottolinea l’importanza di
una buona presentazione rispetto
al successo della modalità di conduzione; giudica fondamentale la
cura nello scegliere lo stimolo iniziale che non deve però assumere
un ruolo eccessivamente preponderante e ostacolare così la ricerca, l’esplorazione e la rielaborazione degli elementi del movimento; approfondisce infine riflessioni
inerenti la valutazione del progredire degli allievi.
«La maggior parte degli insegnanti desidera vedere e misurare i progressi e i risultati dei propri studenti. È anche molto comune (e
frustrante) l’impressione di non riuscire né ad avanzare nel programma né ad allontanarsi dai
primi rudimenti. L’insegnamento
rischia così di diventare un percorso a circuito chiuso, in cui l’insegnante si sente in dovere di proporre continuamente sempre nuovi stimoli, il che non fa altro che
alimentare negli studenti una richiesta continua di nuovi input.
Forse questa è anche la vostra
esperienza. Cosa si può fare?».
Sempre nella prospettiva di un
buon insegnamento vengono approfonditi, analizzati e chiariti da
esemplificazioni pratiche i tre pro-
cessi base che sostengono l’atto del
danzare: la composizione, che per
la Gough include il momento dell’esplorazione e dell’improvvisazione; l’esecuzione, ovvero la performance; l’apprezzamento, termine tradotto direttamente dall’inglese appreciating che implica «lo
sviluppo di capacità di osservazione e analisi, nonché di elaborazione critica».
La terza parte del testo fornisce infine esempi di lezione e di progetti
a più ampio respiro che si rivolgono a ragazzi dai 9 ai 13 anni: viene indicato lo stimolo, ossia l’idea
da cui partire, l’obiettivo di movimento da esplorare e ne viene suggerito il tipo di accompagnamento
musicale, insieme a una serie articolata di attività da proporre.
Non mancano utili schemi riassuntivi e numerose immagini fotografiche, estremamente funzionali
in un testo che si propone sia come manuale pratico che come
strumento di riflessione sul fare e
pensare la danza.
La lettura risulta piacevole e nello
stesso tempo produttiva sul piano
della rielaborazione personale: la
vasta e approfondita esperienza di
insegnamento dell’autrice traspare
infatti nella scelta di parole chiare
Il punto sugli sviluppi
dell’analisi musicale
FRANCESCO BELLOMI
Il Bollettino di Analisi e Teoria
Musicale cambia nome: è diventato Rivista di Analisi e Teoria
Musicale. Cambia anche editore,
che ora è la Libreria Musicale Italiana. Per fortuna non cambia
contenuti e si mantiene fedele alla linea precedente offrendo al
lettore italiano un prezioso stru42
mento di conoscenza. Nella prima parte della pubblicazione in
oggetto il lettore troverà quattro
dei cinque contributi italiani presentati al V Convegno Europeo
di Analisi Musicale tenutosi a
Bristol (UK) dal 4 al 7 aprile
2002. Nella seconda parte sono
presenti due delle relazioni pre-
e nell’uso di un linguaggio concreto, facilmente accessibile anche ai
non addetti ai lavori, che la traduzione è riuscita a mantenere grazie
a un’evidente attenzione al dettaglio terminologico.
Questa cura lessicale ed espositiva
fa di A tu per tu con la danza un testo che potrà sicuramente rispondere alle attese degli insegnanti alla
ricerca di indicazioni per fare danza (ma anche riflettere su ciò che si
realizza attraverso la danza), per
progettare concretamente laboratori con i bambini e ragazzi nel
contesto scolastico (tutte le proposte sono frutto di sperimentazione
sul campo e arricchite da esempi
chiarificatori), per strutturare percorsi di creatività del movimento
grazie a riferimenti didattici significativi che collocano «l’apprendimento e la crescita degli studenti al
centro del processo educativo, artistico ed estetico».
Marion Gough, A tu per tu con
la danza, Mousikè Progetti
Educativi, Bologna, 2002, pp.
120, 7 20,00. Da richiedere a:
[email protected]
tel.051-505528.
sentate al Secondo Incontro di
Studio di Analitica, svoltosi al
Conservatorio di Castelfranco
Veneto il 30 e 31 marzo 2001.
Il primo intervento “La macroforma nella musica post-tonale.
Ascolto e Analisi” a firma di Mario Baroni, dopo aver focalizzato
alcuni principi dal punto di vista
teorico, metodologico e storico (il
concetto di macroforma nella musica d’avanguardia, la pratica analitica della segmentazione, gli effetti di tensione e distensione, il tematismo, il concetto di convergenza o coerenza parametrica
ecc.) descrive sinteticamente ed efficacemente il lavoro di ricerca
scientifica effettuato da alcuni
membri del Gruppo di Analisi e
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
Libri e riviste
Teoria Musicale coordinati da
Rossana Dalmonte e dallo stesso
Baroni. Nella ricerca tre gruppi di
ascoltatori si sono dati l’obiettivo
di identificare la forma del secondo tempo del quartetto in due
tempi che Bruno Maderna pubblicò nel 1955 presso le edizioni
Suvini-Zerboni, secondo le seguenti diverse strategie. Il primo
gruppo analizzava la partitura, il
secondo gruppo analizzava la
partitura e ascoltava anche attentamente l’esecuzione, il terzo
gruppo si basava unicamente sull’ascolto dell’esecuzione.
I tre gruppi avevano compiti in
comune: separazione in parti del
brano, «differenziazione» (secondo le teorie di Irène Deliège) delle
parti, organizzazione in gerarchie
dai livelli più minuti a quelli più
ampi. I risultati mostrano somiglianze ma anche differenze significative fra le conclusioni dei vari
gruppi. Mettendo a fuoco, ad
esempio, come il timbro, la dinamica, la tessitura, il movimento
ritmico siano molto più importanti per la percezione dell’ascoltatore che non le altezze e le durate che sono invece al centro nell’analisi basata sulla partitura.
Nel secondo intervento, “René
Leibowitz e la fedeltà al testo”,
Rossana Dalmonte illustra le sottili operazioni analitiche implicite
che si possono dedurre dalle annotazioni autografe di Leibowitz
sulla partitura della quinta sinfonia di Beethoven. Partitura presente nella biblioteca del Dipartimento di Musica e Spettacolo di
Bologna. Molto interessanti le argomentazioni intorno alla presenza di un macro-ritmo interno al
capolavoro beethoveniano, ben
noto a chiunque si voglia cimentare nella direzione dei questo celeberrimo brano.
Il contributo di Piero Gargiulo e
Marco Mangani, “Sul protomadrigale di Philippe Verdelot: metodo analitico e primi risultati”,
affronta invece, con meticolosa
precisione, il problema delle relazioni formali tra musica e testo
tenendo presenti le ipotesi di James Haar e di Iain Fenlon sulla
“invenzione” del madrigale italiano.
DA NON PERDERE di Luca Marconi
Vincenzo Perna, “Il fantasma dell’autenticità. Utilità e limiti della world
music”, Musica/Realtà, n. 69, 2002/3, pp. 55-77; Paolo Prato, “La
musica nell’era della globalizzazione”, Musica/Realtà, n. 69, 2002/3,
pp. 127-134; Shuhei Hosohawa, “Salsa no tiene frontera. Orquestra
de la Luz e la globalizzazione della musica”, Musica/Realtà, n. 70,
2003/1, pp. 91-122; Maurizio Disoteo, “Ecco s’avanza uno strano meticcio… La musica nel traffico delle culture all’alba del nuovo secolo”,
Musica/Realtà, n. 71, 2003/2, pp. 125-137; Maurizio Disoteo, “Intrecci musicali tra globale e locale”, Musicheria, Rivista Telematica di Educazione Musicale, www.csmdb.it/musicheria/default.htm.
In questi ultimi anni la parola “globalizzazione” sembra aprire tutte le
porte per affrontare un qualsiasi discorso sulla società attuale e sulla
sua cultura. Encomiabile è allora la decisione della rivista
Musica/Realtà di ospitare nei suoi tre numeri più recenti una serie di
saggi che da diverse angolazioni cercano di affrontare dei fenomeni
musicali che in qualche modo con la globalizzazione hanno a che fare. Nel numero 69, Paolo Prato apre il suo saggio distinguendo due
fondamentali processi ai quali spesso si fa riferimento con il termine
“globalizzazione”: da una parte, la moltiplicazione del sapere e dei
prodotti culturali propria dell’era della comunicazione di massa e dall’altra la diffusione-imposizione in un’area che si cerca di ampliare
sempre maggiormente di particolari modelli culturali.
Fornite tali coordinate, si passa poi a mostrare come la globalizzazione della musica sia una realtà da oltre un secolo (individuando alcuni
fenomeni socio-culturali avvenuti prima in musica che in altri ambiti)
e a elencare alcune sue conseguenze negative rilevabili nella condizione musicale attuale, quali il declino dell’ascolto e la dissipazione
sociale del suono.
Nello stesso numero, Vincenzo Perna si concentra sulla world music,
mostrando come per comprendere a fondo questo genere sia necessario rivedere alcuni cliché assai diffusi sull’esistenza di un sincretismo stilistico globale e di un’autenticità mitologicamente radicata nelle culture locali; Perna annuncia anche una seconda parte dell’articolo più esemplificativa, sul recente boom della musica cubana, che
non è apparsa sui due successivi numeri della rivista; si può comunque leggere il suo libro, apparso nel frattempo, Timba – Il suono della
crisi cubana (Roma, Arcana, 2003).
Di tematiche vicine a quelle trattate da Perna si occupa Maurizio Disoteo, che sviluppa alcune riflessioni da lui esposte nel secondo capitolo del libro Antropologia della musica per educatori (Milano, Guerini Studio, 2001). Con un approccio interdisciplinare, Disoteo affronta non solo la world music ma anche altri fenomeni musicali considerabili come risultati di un processo di meticciato, cioè dell’incontro tra paesi e culture musicali diverse. Un caso emblematico in questo senso è quello considerato da Shuhei Hosokawa, che analizza
con notevole acume il successo riscosso sia in patria che all’estero
tra il 1990 e il 1997 (anno del suo scioglimento) dal gruppo giapponese Orquestra de la Luz, specializzato in un repertorio, spesso composto dal gruppo stesso, di musica salsa. Anche se si tratta di un
esempio molto specifico e poco noto al lettore italiano, alcune delle riflessioni di Hosokawa sulle relazioni tra il globale e il locale nelle musiche d’oggi possono fornire utili spunti per affrontare esempi a noi
più vicini e più noti.
43
Libri e riviste
Mauro Mastropasqua, in “Fenomenologia dell’ermeneutica analitica. Il caso degli schemi archetipi
nelle forme tonali”, tocca un problema di scottante attualità nel
mondo analitico: quello del rapporto fra dogmatismo e relativismo delle diverse pratiche analitiche. Mastropasqua si chiede:
«Che cosa significa costruire un
consenso intorno a una prassi
analitica? Non mi sto riferendo a
una correttezza formale degli
enunciati analitici (delle “regole”
del sistema che li sottende): un’analisi può essere giudicata irreprensibile in questi termini, ma
perfettamente incapace di cogliere
gli aspetti essenziali della musica».
La ricca serie di argomentazioni di
Mastropasqua tocca vari aspetti e
varie teorie, con una attenzione
particolare a quelle di Meyer sui
meccanismi mnemonici di ritenzione e protensione.
In “Appunti per un modello generale di segmentazione melodica”
Fabio Cifariello Ciardi affronta un
nodo concettuale strategico dell’analisi, non solo musicale: quello
delle procedure di segmentazione.
Sono le stesse per qualsiasi stile
musicale e quindi generalizzabili?
Il riferimento alle teorie percettive
della Gestalt è d’obbligo. Nell’esaminare l’utilizzo dei principi gestaltici in riferimento ai vari parametri del suono emergono però
differenze significative. Ad esempio: «Il parametro forse più significativo e rilevante in una grande
varietà di contesti acustici, è la dinamica che influenza fortemente la
nostra capacità di localizzazione
del suono nello spazio (Scheirer
2000). La sua utilità in un modello
di segmentazione è però limitata
dal fatto che la nostra sensibilità
alle variazioni dinamiche è decisamente inferiore rispetto alla sensibilità che dimostriamo nella percezione dell’altezza e della durata
(Patterson 1974). […] Tenendo
conto di questo tipo di problemi le
categorie legate alla durata e all’altezza del suono sembrano quelle
che meglio si prestano a essere utilizzate per prime da un modello
generale di segmentazione melodica.» L’articolo passa in rassegna le
più importanti ricerche sull’argo44
RASSEGNA PEDAGOGICA di Roberto Albarea
Lorena Milani, Peer mediation. Educare alla gestione dei conflitti, Tirrenia Stamp, Torino, 2002, pp. 118, 7 10,00.
Questo volumetto indaga sulla difficoltà delle relazioni e, in particolare, della relazione educativa: la conflittualità e la sua gestione.
Essa in genere è interpretata come segno di disagio e di sofferenza; invece il libro parte proprio dal presupposto che il conflitto sia
una realtà connaturata alle relazioni umane e che costituisca una
sfida e una risorsa per la formazione. Rapportandosi alla valenza e
all’ambivalenza del conflitto, il fine della ricerca educativa è quello
di pervenire a un dialogo autentico che non escluda, bensì accetti
la realtà del conflitto. «La sfida della scuola di oggi risiede, in sostanza, nel farsi comunità: l’esperienza comunitaria risulta sempre
meno presente nella vita dei soggetti e la socializzazione risulta
spesso ridotta a livelli di massificazione e di falsa partecipazione.
La conflittualità, paradossalmente, potrebbe divenire una leva positiva se in grado di produrre dialettica e confronto, non solo scontro e violenza» (p. VII).
Partendo da questa stimolante ipotesi, l’autrice esplora le diverse
forme del conflitto sino a giungere alla Peer Mediation (la meditazione fra i paro) in cui l’ottica è spostata sul livello microsociale dei
conflitti. Attraverso la Frame Analysis (E. Goffman) si tenta di interpretare e spiegare la realtà secondo il concetto di frame, una
struttura o cornice che dà nuovo senso a gesti, suoni, situazioni e
messaggi quotidiani, così che occorra un processo di riflessione e
di mediazione che viene denominato reframing, una sorta di riformulazione che consente di mettere in evidenza i punti in comune,
rivedere le proprie posizioni, porsi in confronto e in ascolto dell’altro e dell’alterità.
La gestione del conflitto è legato altresì all’educazione alla pace, in
quanto si perviene a essa solo attraverso la (faticosa) esplicitazione
dei conflitti latenti e non con un’ingenua e superficiale posizione di
serenità incosciente; possiamo affermare con Luciano Corradini
che «cercare la pace non vuole dire stare in pace, ma non darsi pace di fronte alle ingiustizie» (p. 6).
Il conflitto si esprime anche in forme paradossali non facili da gestire: l’accettazione incondizionata dell’altro in quanto persona non ha
nulla a che fare con una supposta neutralità o una non intromissione. L’educatore può addirittura generare conflitto (sempre nei termini di una sua gestibilità), se questo serve a promuovere la crescita del soggetto: In sintesi il conflitto resta utile quando lascia aperta
la possibilità di dialogo e di mediazione. La mediazione prima di essere una tecnica, uno strumento, è un processo; essa tenta di ristabilire un dialogo per consentire di giungere a un obiettivo, passando
per il riconoscimento delle parti in questione. Il mediatore a sua volta non è un consulente bensì un facilitatore e un animatore e può
adottare diversi stili di mediazione: il modello facilitativo, il modello
valutativo, il modello trasformativo, il modello narrativo.
La Peer Mediation nasce e si sviluppa dal Peer Helping di tradizione anglosassone: il principio alla base di entrambi è quello di riconoscere a ogni persona la capacità e la competenza di risolvere problemi di relazione e convivenza. Non è sufficiente, perciò, insegna-
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
mento e su specifici argomenti a
esso collegati, come la percezione
dell’accento e del metro, il concetto di continuità e discontinuità.
Vengono inoltre richiamate ricerche ormai storiche come quella di
George Miller (1959) sul «magico
numero 7 più o meno 2». L’articolo si conclude illustrando efficacemente alcune ricerche sperimentali
dello stesso Cifariello Ciardi, anche in collaborazione con altri, su
«Intensità e soglie per la discontinuità d’altezza, Intensità e soglie
per la discontinuità di durata, Intensità e soglie per la continuità
della pulsazione».
L’articolo di Anna Damiani, Fabio Cifariello Ciardi, Marta Olivetti Berardinelli intitolato “Influenza di tonalità e salienza sul
riconoscimento di melodie in età
evolutiva” si propone di «verificare se la percezione e la seguente elaborazione di una sequenza
musicale discreta siano facilitate
dalle microvariazioni temporali e
dinamiche inserite nel tessuto sonoro, microvariazioni che si ipotizza agiscano sulle continuità e
discontinuità percepite durante
l’ascolto». Nelle poche pagine si
delineano sinteticamente e chiaramente alcuni problemi e teorie
connesse ai meccanismi della memoria utilizzati nel riconoscimento di melodie. Le ricerche citate confermano «l’esistenza di
due sistemi di memoria distinti,
l’episodica e la semantica, caratterizzati da un diverso livello di
consapevolezza, rilevabile, e rilevato, a livello comportamentale
mediante due categorie diverse di
risposte di riconoscimento».
Nella conclusione si afferma: «Il
contributo empirico che abbiamo esposto verifica l’ipotesi generale di un miglioramento della
prestazioni di riconoscimento di
stimoli musicali conosciuti,
quando questi vengono presentati con un’accentuazione e un’articolazione tale da evidenziare
una loro possibile segmentazione». Si può ben immaginare
quanto un interprete possa essere
interessato alla conoscenza di
questi risultati strettamente connessi al fraseggio musicale.
L’articolo conclusivo di Luisa
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Libri e riviste
re comportamenti, ma occorre far sperimentare la coerenza e l’autenticità delle condotte umane e delle proprie azioni alla luce di valori e criteri guida che mantengano le motivazioni sul piano del rispetto e della dignità umana.
«Nella mediazione tra pari coloro che svolgono il ruolo di mediatori
non sono professionisti, bensì volontari che, nella maggior parte dei
casi, hanno partecipato a un breve, ma non superficiale, iter di formazione» (p. 41). Nel caso di quella scolastica essa è attuata da
studenti che aiutano i loro pari a risolvere le dispute.
Mi permetto di avanzare qualche perplessità sulle effettive capacità di mediazione raggiunte dopo un breve corso di formazione:
ahimè, questa è una ricorrente ed efficientistica impostazione
che si ritrova anche nella formazione iniziale e in servizio dei docenti, in cui il possesso e l’esercizio di capacità relazionali non
sono da paragonare all’acquisizione di abilità informative intorno
a un qualsiasi argomento, in quanto tempi e modalità richiedono
processi meno accelerati e più ponderati rispetto a un corso di
addestramento: è la differenza tra sapere agito e informazione.
Comunque le osservazioni del testo sono un’importante fonte di
riflessione e la mediazione tra pari può anche realizzarsi se si utilizza il senso della misura e il concetto di livello soglia. Cioè: fino
a che punto un’attività di Peer Mediation può essere assunta da
un pari e fino a che punto questa deve essere sostituita o supportata dall’azione autorevole dell’adulto?
In un capitolo si focalizza la sequenza delle fasi di attuazione della mediazione fra pari. Fase A: proposta e sviluppo della motivazione del corpo docente: analisi del contesto, definizione dei criteri per la scelta dei mediatori, formazione dei coordinatori, creazione di uno staff allestito all’uopo. Fase B: presentazione agli studenti che coinvolge: motivazione, creazione di una cultura della
mediazione, apprendimento di alcune abilità di gestione dei conflitti, presentazione del ruolo e delle abilità del mediatore. Fase C:
creazione del gruppo dei mediatori e conseguente educazione all’ascolto, distanziamento e preparazione di esperienze guidate
compreso l’esercizio alle capacità di autoanalisi e di critica. Fase
D: gestione dei casi che implica: ricerca del luogo per la mediazione, progettazione dell’orario e di momenti di consulenza e di
formazione continua dei peer mediators, gestione della fase di follow-up. Fase E che riguarda la verifica e la valutazione, è presente alla fine di ogni stadio della sequenza.
La Conflict Resolution Education, con le sue finalità generali e specifiche, si inserisce nella struttura del curriculum effettuando correlazioni con l’educazione multiculturale e antipregiudizi, con la mediazione scolastica tra pari, con le forme all’educazione civica, con
l’apprendimento sociale e emozionale e anche con gli aspetti organizzativi. Si tratta in sostanza di un modo di porsi di fronte alle relazioni umane che ne sottolinea l’aspetto interdipendente, il gioco tra
le parti, la consapevolezza che l’azione e il pensiero di un soggetto
o dei soggetti sono fittamente intrecciati a quelli degli altri, che le
scelte e le decisioni in ambito scolastico e sociale devono tener conto non solo delle mete individuali, legittime, di ciascuno, ma anche
delle loro conseguenze e che queste scelte e decisioni (atteggiamento sostenibile) hanno un riverbero nella complessa dinamica
dello stare insieme, a livello intellettivo, affettivo e operativo, e si traducono in opzioni eticamente fondate.
Libri e riviste
Curinga, “Percorsi paralleli: contributi storico-documentari e
analitici per l’interpretazione di
Syrinx di Claude Debussy”, svolge una approfondita analisi di
questo celeberrimo brano articolata su due livelli: quello storicodocumentario (con una appassionante ricerca e comparazione
delle fonti) e quello propriamente analitico (con una ricca rassegna dei numerosi contributi analitici pubblicati su questo brano).
Un articolo che ogni flautista dovrebbe conoscere a menadito.
AA. VV., Recenti contributi italiani all’analisi musicale, (a cura
di Egidio Pozzi) in Rivista di
Analisi e Teoria Musicale (periodico dell’associazione «Gruppo
di Analisi e Teoria Musicale»
GATM), Anno VII n. 1 – 2002/1,
LIM – Libreria Musicale Italiana, Lucca.
SCHEDE
Aldo Bova, Giocare con la Musica, 95 giochi musicali per insegnanti, educatori, genitori e per divertirsi con gli amici, Erickson, 2003, pp. 139
Giocando si impara, si diceva un tempo. Impariamo a giocare con la musica, questo è l’accorato messaggio che Aldo Bova vuole trasmetterci per
meglio comprendere la vera essenza del fare musica. Giocare con la musica, si rivolge a un’ampia gamma di destinatari – insegnanti, educatori,
genitori e gruppi di bambini o adulti – con l’intento di rendere l’esperienza
musicale viva ed entusiasmante, di certo priva di meccanismi o di concetti
troppo astratti. L’autore propone vari spunti operativi per ascoltare, inventare e fare musica a tutti i livelli, sempre sotto forma di gioco. Il libro è suddiviso in tre parti. La prima è dedicata ai giochi che favoriscono lo sviluppo
della percezione e della memoria uditiva, lo sviluppo dell’attenzione e del
coordinamento audio-motorio. La seconda riguarda i giochi destinati al fare
musica attraverso l’utilizzo di strumenti musicali, della voce o del proprio
corpo. Infine, la terza parte punta l’attenzione sulla creatività, proponendo
numerosi giochi per comporre brani musicali o rielaborare brani conosciuti. Nella seconda parte del libro l’autore riserva particolare attenzione all’improvvisazione da svolgere in ambito tonale, modale e pentafonico, oppure
in ambito ritmico e in taluni casi senza vincoli preposti. Ogni gioco presenta
un titolo, il grado di difficoltà – sia per chi propone, sia per chi pratica – e
una spiegazione sintetica del tipo di attività con possibili varianti. Il volume
si presta a essere utilizzato per trovare idee e materiali da inserire nei propri percorsi didattici, o può essere impiegato nella vita di tutti i giorni, scegliendo un approccio diretto con l’esperienza musicale. Inoltre l’autore inserisce nelle ultime pagine un indice alfabetico di obiettivi e un’utile bibliografia che potrà essere consultata anche dai meno “esperti” del settore. (Sabrina Alberti)
Andrea Valle, La notazione musicale contemporanea,
no 2003, pp. 224, 8 18,00
NOTIZIE
I docenti di Didattica del Conservatorio di Foggia (Gianna Fratta, Augusta Dall’Arche, Massimo Di Sandro, Luciano Di Giandomenico, Michele Gasbarro) hanno fondato CINQUE SPAZI – Giornale della scuola di
Didattica della Musica.
Cinque Spazi perché cinque sono le
materie con le quali riflettere su problematiche legate alla concreta attività didattica. Un bimestrale che allievi e docenti riempiono di progetti,
percorsi e saggi del lavoro svolto
(partiture, ricerche, sperimentazioni…). L’ultimo numero si è occupato
di un musical per bambini andato in
scena a Foggia lo scorso giugno,
Toys: musical per due orchestre, tre
voci soliste, due cori, sei ballerini,
tre attori e cinque burattini, completamente inventato dagli allievi della
Scuola.
Per informazioni: [email protected][email protected]
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EDT/De
Sono, Tori-
È stato soprattutto negli anni compresi tra 1950 e il 1970 che compositori quali Earle Brown, Cage, Boulez, Logothetis, Stockhausen e molti altri si
sono dedicati allo studio di nuovi sistemi di notazione. Dopo questo periodo di intenso fervore, la sperimentazione grafica ha progressivamente
esaurito la propria carica di interesse, tanto da apparire ormai come un
capitolo chiuso e definitivamente archiviato. Sotto la spinta delle ardite
esperienze realizzate in quegli anni, anche la didattica musicale ha iniziato un proprio autonomo percorso di ricerca. Percorso che, per contro, costituisce ancora un oggetto di attenzione, indagine e continuo aggiornamento. Proprio in virtù di questa origine comune, ogni riflessione tesa a ricostruire un panorama della produzione musicale appena trascorsa, ogni
ripensamento sulle radici storiche dell’esperienza grafico-musicale non
può che arricchire l’approccio didattico. Un contributo in tal senso ci è
offerto dal giovane Andrea Valle con La notazione musicale contemporanea pubblicato da EDT in collaborazione con l’associazione De Sono
per la collana Tesi – una nuova iniziativa editoriale dedicata a valorizzare i contributi più interessanti emersi dalle tesi di laurea e di dottorato.
Il saggio, che non si prefigura affatto come un lavoro dedicato alla didattica, tenta invece di analizzare il vastissimo ambito delle sperimentazioni grafiche essenzialmente sotto una angolazione semiotica e estetica. Piuttosto faticoso, il testo si rivela comunque ricco di materiali interessanti, di esempi (molti dei quali tratti da altri testi famosi sull’argomento: Karkoschka, Lombardi ecc.) capaci di illustrare le innumerevoli direzioni, gli orientamenti e le tendenze percorse (e percorribili) dalla
sperimentazione grafica. (Donatella Bartolini)
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
FRANCA MAZZOLI
Quasi sempre i volumi della collana Rai VQPT offrono ai lettori la
possibilità di conoscere i risultati
di ricerche relative a aspetti specifici del mondo della TV e di acquisire strumenti preziosi per migliorare la propria condizione di fruitore televisivo o, quando si insegna, per elaborare percorsi didattici da proporre ai propri allievi. E
anche il testo numero 118, La grana dell’audio, la dimensione sonora della televisione, può essere un
libro veramente prezioso per gli
insegnanti di educazione musicale,
sia per l’originalità e il rigore dell’approccio teorico su cui si basa
la ricerca che in esso viene presentata, sia per la grande quantità di
spunti operativi che la lettura del
testo offre a chi desidera affrontare a scuola un lavoro di ascolto e
analisi di ciò che di solito si ascolta davanti (ma sempre più spesso
soltanto vicino) al televisore.
«La bassa definizione dell’audio
televisivo ha sicuramente contribuito a tenere lontani dall’interessarsi al piccolo schermo molti degli studiosi più attenti al suono
nella sua complessità e nelle sue
potenzialità estetiche [...] e ha forse favorito il radicarsi dell’idea
che l’audio, nella televisione, sia
effettivamente secondario se non
irrilevante.» Da qui la mancanza
di studi approfonditi sulle caratteristiche dell’audio della TV, in realtà sempre più importante nella
neotelevisione, e il desiderio degli
autori di puntualizzarne invece alcune caratteristiche importanti,
applicando al medium televisivo le
idee e gli spunti critici sviluppati,
soprattutto nel mondo anglosassone, sul paesaggio sonoro, sulla
radio e sui media legati alla registrazione e riproduzione di suoni.
L’audio della televisione viene presentata nel testo come una “grana
Musica Domani 129 – Dicembre 2003
sonora” che mescola in modo
sempre più complesso il parlato
(in italiano, ma non solo) e i suoni
d’ambiente, la musica e gli effetti
speciali, creando un flusso al tempo stesso continuo e disomogeneo, che richiede all’ascoltatore di
attivare processi di interpretazione e ricomposizione pertinenti all’alfabeto sonoro e musicale che
ogni genere televisivo ci ha abituato a conoscere e riconoscere. La
bassa definizione dell’audio televisivo viene presentata non come
una qualità negativa, ma come caratteristica addirittura funzionale
alle condizioni di un ascolto domestico, perché più compatibile (e
integrabile) con gli altri suoni presenti nelle nostre case: le voci delle persone, i piccoli rumori degli
elettrodomestici, la sovrapposizione di azioni e funzioni diverse.
Il testo nasce dunque da una ricerca che considera il sonoro come
parte essenziale dell’ambiente che
la televisione costruisce ogni giorno nelle nostre case «sia per le caratteristiche stesse del sonoro elettronico, sia per la tendenza a una
fruizione sempre più sonora della
televisione, rilevata da molti osservatori».
La ricerca ha finalità conoscitive
(la costruzione di modelli interpretativi degli usi e delle forme del
suono televisivo e una revisione
della dinamica sensoriale e sinestesica della TV), ma anche strategiche, in quanto vuole offrirsi come strumento funzionale a accrescere negli operatori la consapevolezza dei motivi e delle funzioni
che determinano scelte audio spesso poco consapevoli.
E forse per rispondere a questa
duplice finalità, la ricerca fa ricorso a tre diversi strumenti: un’analisi accurata della letteratura esistente sul suono nei media; mo-
menti di discussione che mettono
a confronto professionisti della radio, della televisione e della musica; e una schedatura approfondita
di un centinaio di programmi televisivi di ieri e di oggi.
Conseguentemente, anche il testo
si offre a percorsi di lettura differenti, alcuni più orientati a un’analisi sociologica (i capitoli Suoni
e contesti: modelli interpretativi
delle scienze umane e La televisione come oggetto sonoro), altri più
specificamente semantici (Suono,
produzione e programmazione,
L’audio nel sistema dei generi televisivi).
Particolarmente interessanti i capitoli 5, Suono, produzione e programmazione, che analizza i motivi per cui l’audio della televisione
tende ad appiattirsi su una qualità
bassa, determinando così le sue
particolari modalità dell’ascolto, e
il capitolo 6, L’audio nel sistema
dei generi televisivi, che traccia
un’interessante storia evolutiva
dell’audio televisivo dagli esordi
fino ai nostri giorni, attraverso l’analisi della marca sonora dei vari
generi televisivi: informazione, intrattenimento, fiction, fino ai microtesti come clip, trailer e spot
pubblicitari. In quest’ultimo capitolo, in particolare, gli insegnanti
potranno trovare riferimenti analitici molto precisi, facilmente utilizzabili anche per lavorare sul testo televisivo in classi di scuola
elementare e media.
Vale infine la pena di segnalare le
due interessanti appendici che
completano il volume, e riportano
sinteticamente la prima il lavoro
di schedatura dei programmi, e la
seconda la trascrizione dei dibattiti radiofonici che mettono a confronto punti di vista professionali
differenti.
Francesca Chiocci, Giovanni
Cordoni, Peppino Ortoleva,
Gianni Sibilla, La grana dell’audio – La dimensione sonora della televisione, Rai Eri VQPT n.
188, Roma, 2002, pp. 280, 7
16,00.
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Libri e riviste
Le qualità nascoste del suono
a bassa definizione
Giornale Siem
Percorsi di formazione
per operatore musicale
a cura di Annibale Rebaudengo
ANNA MARIA PRINZIVALLI
Dicono che le persone del Sud sono testarde, infatti, riflettendo, si capisce che soltanto la caparbia e la tenacia di alcuni siciliani è riuscita a portare avanti un’iniziativa che sembrava impossibile da realizzare.
Il Percorso per Operatore Musicale è frutto di un coordinamento tra le sezioni siciliane della Siem: Agrigento,
Catania, Marsala e Palermo. Nasce dalla necessità di
porre attenzione alla formazione di una figura professionale musicale adeguata ai bisogni del territorio. Le
sezioni citate operano in coordinamento da parecchi
anni. In sede di commissione dei corsi estivi nazionali
in Sicilia nell’autunno 2001, è stata individuata la necessità di approfondire una proposta di formazione per
una figura di sistema chiamata “operatore musicale”.
Nella definizione che fa parte del progetto di avvio
questa figura viene concepita come un operatore che
sappia orientarsi in vari contesti sociali – scuola,
scuola di musica, centri sociali in cui l’animazione
musicale è presente – utilizzando la musica al fine di
attivare processi culturali innovativi. L’operatore dovrà quindi essere in grado di analizzare il contesto e i
relativi bisogni di un’utenza; dovrà essere capace di
progettare il suo intervento con conoscenza delle risorse e essere in grado di attivare percorsi d’intervento musicale a vantaggio sociale e culturale. Il percorso non si propone di avviare un itinerario esaustivo per la formazione di personale specializzato, ma
vuole condurre i giovani a conseguire una solida formazione di base che all’occorrenza, può essere approfondita. Nella fase conclusiva è prevista una valutazione delle competenze raggiunte dai corsisti attraverso delle prove e un colloquio.
Il percorso di 120 ore complessive è stato così proposto: una settimana nell’estate 2002 di 42 ore di formazione suddivise in 4 insegnamenti specificatamente
musicali, 2 weekend invernali di 12 ore ciascuno di
formazione su tematiche trasversali: a) le dinamiche
gruppo e la relazione educativa, b) analisi di bisogni e
tecniche di progettazione; una seconda settimana nell’estate 2003 di 42 ore che riprendeva gli insegnamenti musicali e il colloquio finale con presentazione di un
elaborato e una simulazione di lezione.
Le competenze musicali individuate sono state: saper
cantare e saper far cantare, saper usare il proprio corpo e il movimento con /e per la musica e saper far usare il corpo e il movimento con/e per la musica, saper
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suonare con gli altri e saper animare situazioni per fare musica con altri.
Si è formato un comitato scientifico costituito da Carlo
Delfrati, Elena Asero, Paola Faccidomo, Nino Faro, Anna Maria van der Poel e Anna Maria Prinzivalli.
È un vero successo: il percorso pensato per un massimo di 25 iscritti conta più di 50 adesioni. È necessario
raddoppiare i corsi appesantendo il lavoro per i docenti che sono Carlo Delfrati, Elisa Posdomani, Sabine
Oetterli, Maurizio Spaccazocchi. Durante la settimana
si svolge un gran lavoro per collegare e coordinare gli
insegnanti che non si erano potuti confrontare precedentemente. Alla fine del corso avviene una magia: i
corsisti si esibiscono per gruppi in brevi esibizioni e
commuovono organizzatori e docenti. Sono gruppi che
suonano, danzano, recitano, cantano e che ci comunicano emozioni forti. Attraverso il loro fare, ci rendiamo
conto che hanno rielaborato e prodotto in modo originale espressioni/emozioni utilizzando le forme e le tecniche insegnate loro.
Il percorso è proseguito a Palermo il gennaio 2003 con
24 iscritti e poi a Catania nel maggio 2003 con 20
iscritti. Per i due weekend di ambito trasversale, i docenti sono stati la psicologa Giovanna Perticone e l’esperto in progettazione Rosangela Granata.
Nell’estate 2003 si iscrivono 24 corsisti che hanno
già frequentato nell’estate precedente: è un successo. I docenti hanno proposto un maggior numero di
ore, si sono coordinati splendidamente e gli esiti sono
stati oltre le aspettative. I corsisti hanno lavorato 8 ore
al giorno per 6 giorni frequentando 4 ambiti condotti
da Sabine Oetterli, Elisa Posdomani, Paolo Cerlati e
Maurizio Spaccazocchi. Lo spettacolo conclusivo ha
mostrato un gruppo di persone brillanti nelle proposte musicali, preparate nelle competenze musicali e
soprattutto in quelle sociali e relazionali. Nell’imminente autunno è programmato il colloquio finale che
attesterà le competenze raggiunte attraverso la sperimentazione di una lezione reale da proporre individualmente agli stessi compagni per dimostrare, oltre
le competenze musicali, quelle relazionali, di gestione di un gruppo. I corsisti presenteranno inoltre un
elaborato frutto di un’esperienza/intervento musicale
in un contesto sociale, dimostrando così le personali
competenze di progettazione e analisi.
Ancora l’avventura non si è conclusa. Il coordinamento siciliano sta già discutendo sul prossimo percorso
per l’estate 2004, perché diversi vorrebbero frequentarlo e ci stiamo già lavorando.
Musica Domani 129 – Dicembre 2003