Musica Domani Trimestrale di cultura e pedagogia musicale Organo della Siem Società Italiana per l’Educazione Musicale www.siem-online.it Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 411 del 23.12.1974 - ISSN 0391-4380 Anno XXXIII, numero 129 dicembre 2003 Direttore responsabile Rosalba Deriu Redattori Francesco Bellomi e Franca Mazzoli Segretaria di redazione Ilaria Rigoli Comitato di redazione Maurizio Della Casa, Franca Ferrari, Luca Marconi, Ester Seritti Segreteria di redazione Via Dell’Unione, 4 40126 Bologna Tel. 349-6842783 Fax 051-6143964 e-mail: [email protected] Indice Ricerche e problemi 3 Strumenti e tecniche 9 Emma Bolamperti La trascrizione musicale 16 Maurizio Spaccazocchi Educare al rito musicale Pratiche educative 24 Preparazione pellicole Cierre Grafica Caselle di Sommacampagna - Verona Tel. 045-8580900, Fax 045-8580907 30 Luca Marconi (a cura di) TELECANTO: PER UNA DIDATTICA 32 Germano Mazzocchetti Scoprire le funzioni della musica in rapporto alle immagini Alberto Pellai Evidenziare il ruolo del marketing nell’offerta musicale giovanile Franco Fabbri Allenare i ragazzi a diventare spettatori televisivi agguerriti Enrico Strobino Organizzare a scuola uno sguardo polifonico sulla TV DELLA FRUZIONE MUSICALE TELEVISIVA 33 Stampa Stampatre, Torino Editore EDT srl, 19 Via Alfieri, 10121 Torino Amministrazione Tel. 011-5591816, Fax 011-5591824 e-mail: [email protected] Promozione, vendite e abbonamenti Tel. 011-5591831, Fax 011-5591824 e-mail: [email protected] 36 37 Libri e riviste 41 Pubblicità Tel. e Fax 011-9364761 e-mail: [email protected] Un fascicolo Italia e 4,50 - Estero e 6,00 Abbonamenti annuali Italia e 16,00 - Estero e 20,00, comprensivo di quattro fascicoli della rivista. Gli abbonamenti possono essere effettuati inviando assegno non trasferibile intestato a EDT srl, versando l'importo sul c.c.p. 24809105 intestato a EDT srl, o tramite carta di credito (Cartasì, Visa, Mastercard) con l’indicazione “Musica Domani”. La rivista è inviata gratuitamente ai soci Siem in regola con l’iscrizione. Quote associative Siem per l’anno 2004 Soci ordinari e 36,00 – Studenti e 28,00. Soci sostenitori e 72,00 – Biblioteche e 36,00. Le quote associative si ricevono sul c.c.p. 19005404, intestato a Società Italiana per l’Educazione Musicale e vanno spedite a: Siem, Via Dell’Unione, 4 – 40126 Bologna. Per comunicazioni e richieste: tel. e fax 011-9364761 – e-mail: [email protected] – c.c.p.: 19005404. Iscrizione all’Isme per l’anno 2003 International Society for Music Education Socio individuale, senza rivista, $30; con le riviste $54. Le quote possono essere versate con carte di credito Visa, American Express, Master Card o chèque bancario a: ISME International Office, PO Box 909, Nedlands, 6909 Western, Australia – fax 00 61-8-9386 2658. Elena Indellicati Il punto sonoro: un approccio al pianoforte Confronti e dibattiti Impaginazione e grafica Davide Zambelli Grafica copertina Raffaello Repossi Louie Suthers La musica dei primi passi: strategie di lavoro negli asili nido 42 43 44 46 47 Marina Maffioli Idee e percorsi per fare danza nella scuola [su M. Gough, A tu per tu con la danza, Mousiké Progetti Educativi] Francesco Bellomi Come si sviluppa l’ascolto umano [su E. Pozzi (a cura di), Recenti contributi italiani all’analisi musicale, in Rivista di analisi e teoria musicale] Luca Marconi, DA NON PERDERE Roberto Albarea, RASSEGNA PEDAGOGICA SCHEDE Franca Mazzoli Le qualità nascoste del suono a bassa definizione [su F. Chiocci, G. Cardoni, P. Ortoleva, G. Sibillo, La grana dell’audio – la dimensione sonora della televisione, Rai Eri] Rubriche 7 8 15 22 28 48 Augusto Pasquali, MUSICA IN INTERNET: Oggetti da suonare Francesco Bellomi, PAROLE CHIAVE: Arpeggio Arianna Sedioli, L’ATELIER DEI PICCOLI: Il dottore dei suoni Emanuela Perlini - Davide Zambelli, DANZE A SCUOLA: Quadriglia americana John Paynter, INVENZIONI MUSICALI: Una fortunata successione di avvenimenti Annibale Rebaudengo, GIORNALE SIEM: Percorsi di formazione per operatore musicale Hanno collaborato Roberto Albarea Sabrina Alberti Donatella Bartolini Francesco Bellomi Paola Bernardelli Emma Bolamperti Franco Fabbri Elena Indellicati Marina Maffioli Luca Marconi Germano Mazzocchetti Erica Moro Franca Mazzoli Augusto Pasquali John Paynter Alberto Pellai Emanuela Perlini Annamaria Prinzivalli Annibale Rebaudengo Arianna Sedioli Maurizio Spaccazocchi Enrico Strobino Louie Suthers Davide Zambelli docente di Pedagogia all’università di Udine docente di pianoforte nella scuola media a indirizzo musicale, Bologna docente di Pedagogia musicale, Modena docente di Elementi di composizione per Didattica della musica, Milano operatrice musicale, Suzzara (Mantova) musicista, Milano musicista e studioso di popular music, Torino insegnante di Propedeutica e di avvio al pianoforte, Cesena insegnante di danza, Bologna docente di Pedagogia musicale, Como compositore, Roma docente di sostegno nella scuola media, Vicenza pedagogista, Bologna docente di Educazione musicale nella scuola media, Bologna compositore, East Yorkshire, Inghilterra ricercatore presso l’Istituto Universitario di medicina e chirurgia, Milano docente di Educazione musicale nella scuola media, Verona docente di Educazione musicale nella scuola media, Palermo docente di Pianoforte, Milano operatrice musicale, Ravenna docente di Pedagogia musicale, Pesaro docente di Educazione musicale nella scuola media, Biella docente presso L’Institute of Early Childhood, Macquawe University, Australia docente di Educazione musicale nella scuola media, Verona e n o i z u l’evol ica s u m della Via Regina Margherita, 15 – 37060 Mozzecane – Verona Tel. 045 6340500 – Fax 045 6340510 www.amadeusmusica.com L’articolo illustra i risultati di una ricerca condotta in un asilo nido australiano allo scopo di verificare le possibilità di inserire la musica durante le attività quotidiane e di studiare gli effetti di tali attività sullo sviluppo globale dei bambini. LOUIE SUTHERS Negli ultimi decenni, un crescente numero di bambini australiani sotto i tre anni sono stati iscritti agli asili nido (Ochiltree 1994 Wangmann 1995). Nel 1999 in tutto il paese 520.000 bambini, vale a dire il 40% della popolazione australiana dai quattro anni in giù, hanno usufruito di qualche tipo di assistenza istituzionale, mentre erano soltanto il 28% nel 1990 (Fleer, Udy 2002). La crescita maggiore nel corso di questo periodo è avvenuta nel settore degli asili nido. In Australia gli asili nido offrono un servizio in orario prolungato per bambini in età compresa fra le sei settimane e l’inizio della scuola, che avviene in genere tra i quattro anni e mezzo e i cinque anni e mezzo. Il personale che lavora nel nido è generico: alcuni hanno una formazione da insegnante, altri da assistente d’infanzia o bambinaia, altri ancora vengono assunti in qualità di ausiliari non specializzati. Le norme per il riconoscimento legale in Australia impongono al nido un programma educativo che includa un ampio curriculum di esperienze adatte alla prima infanzia e che in più fornisca cure appropriate ai bambini piccoli che usufruiscono del servizio. A ogni modo, le esperienze musicali proposte a neonati e bambini nelle stanze dei giochi di molti nido sono piuttosto limitate. Questo saggio presenta i risultati di un lavoro di ricerca di durata annuale, finalizzato a offrire esperienze musicali adatte a tutti i bambini di una sezione medi che usavano la stanza dei giochi di un grande nido dell’area metropolitana di Sidney, in Australia. La ricercatrice ha preparato e realizzato il progetto assieme ai bambini, chiedendo e incoraggiando la partecipazione di tutto il personale della stanza dei giochi. Questo saggio concentra l’attenzione sulla gamma di esperienze musicali messe a disposizione dei bambini e sulle loro risposte. Il progetto Musica Domani 129 – Dicembre 2003 Ricerche e problemi La musica dei primi passi: strategie di lavoro negli asili nido Al progetto hanno partecipato diciassette bambini di un’età compresa fra i 12 e i 20 mesi all’inizio del lavoro. Nella sezione lavoravano tre persone: la capogruppo, che aveva studiato in un politecnico e stava finendo l’università (Nita); la sua assistente, i cui studi universitari erano ancora in corso (Sally) e un’assistente d’infanzia non specializzata (Lyn). [In questo articolo vengono utilizzati pseudonimi per i bambini e per il personale.] Nel progetto sono stati utilizzati tre diversi tipi di esperienze musicali: la musica in quanto parte delle attività di cura personale dei bambini; la musica come gioco; esperienze musicali collettive (Suthers 1998). Ciascuno di questi tipi di esperienza musicale verrà descritto in successione. Una selezione di quattro situazioni di gioco è stata utilizzata come strumento euristico per esemplificare la qualità delle esperienze abbracciate dal progetto e per illustrare la partecipazione dei bambini e la natura delle loro risposte. La musica come attività di cura personale Il lavoro di cura personale occupa una parte significativa di ogni giornata degli adulti che lavorano con i bambini piccoli. Più volte al giorno bisogna cambiarli e pulirli, lavare e asciugare loro le mani, farli mangiare, proteggerli dal sole (mettendo loro berretti e creme solari), vestirli e spogliarli. Queste attività sono centrali nella cura dei bambini e devono essere eseguite con la dovuta attenzione per l’igiene e la sicurezza, ma anche la qualità dello scambio interpersonale tra il bambino e l’adulto che lo accudisce è importante. 3 Ricerche e problemi In questo progetto, il personale della sezione si è assunto direttamente l’impegno di incorporare le attività musicali all’interno del lavoro di cura personale. La ricercatrice ha proposto una serie di attività divertenti, tra cui canzoni, poesie, scherzi con le dita e giochi, che potessero essere utilizzate durante pratiche quotidiane come il cambio dei pannolini, il vestirsi, lavarsi le mani e durante l’attesa della merenda e dei pasti. Il primo aneddoto illustra l’uso spontaneo della filastrocca durante il cambio dei pannolini. Appena i bambini finiscono di prendere il té del mattino, Lyn (ausiliaria non specializzata) lava loro la faccia e le mani; Sally, l’assistente, toglie loro i bavaglini e chiede loro di andare nella zona del cambio. Ned (23 mesi) termina di mangiare la sua banana. «Giù?» chiede. «Vuoi ancora frutta, Ned?» chiede Lynn. «No» dice Ned. «Va bene allora» dice Lynn, lavandogli la faccia e le mani e togliendogli il bavaglino, «Vai da Sally adesso, Ned. Lei ti cambierà il pannolino». Ned si dirige verso la zona del cambio. «Ciao, Ned» lo saluta Sally. «Sei venuto a prenderti un pannolino pulito?» Sally solleva delicatamente Ned sul tavolo e inizia a cambiarlo. Gli parla dolcemente mentre gli mette un pannolino pulito. Prima di tirargli su i pantaloncini, fa un gioco del solletico: Hand is walking Hand is walking Walking up and over the hill Hand is jumping Hand is hopping Now hand is standing still. (Larkin, Suthers 1995, p. 31)1 Mentre pronuncia i primi tre versi, Sally fa avanzare la mano dalla punta dei piedi di Ned su per la gamba e sopra il ginocchio. Ned ride tranquillo. Durante la seconda metà della filastrocca Sally torna con la mano sulla punta dei piedi. «Ancora» dice Ned. «Va bene, Ned» dice Sally e ripete il gioco. Questa volta, pronunciando l’ultimo verso, Sally fa una pausa dopo la parola “standing”. «Still» dice Ned ridacchiando. Sally gli tira su i pantaloncini e gli rimbocca la maglia. «Vai via adesso» gli dice mentre lo mette giù. Ned corre via sorridendo. Il personale del nido ha dimostrato che è possibile includere la musica in molte delle mansioni quotidiane di cura della persona. Erano liete di usare attività basate sulla rima con i bambini e di incorporarle in una serie di occasioni. Inizialmente, la maggior parte dei giochi utilizzava le filastrocche, ma col tempo sono state incluse anche alcune canzoncine basate su melodie tradizionali già note. Il personale ha notato che i bambini rispondevano positivamente all’inclusione di attività musicali nelle pratiche quotidiane, unendosi spesso al canto e alle filastrocche o richiedendo le loro preferite. La musica come gioco Il gioco libero con oggetti sonori è stato proposto regolarmente nel progetto. Un oggetto sonoro è qual4 siasi cosa possa essere usata per produrre un suono, comprese suppellettili quotidiane come pentole, vassoi, tazze e cucchiai, oppure shaker fatti in casa con bottiglie di plastica riempite di riso, pasta o lenticchie. La sicurezza dei bambini è di importanza assoluta, quindi tutti gli oggetti sonori devono essere controllati regolarmente per assicurarsi che siano privi di angoli taglienti e di protuberanze, o di piccole componenti che potrebbero essere inghiottite o inalate. In questo progetto, gli arnesi per le attività musicali sono stati allestiti all’aperto, accanto ad altre attrezzature per il gioco libero. Sidney ha un clima temperato e soleggiato, e solo in due giornate, nell’arco dell’intera durata del progetto, l’area all’aperto è risultata inadatta al gioco dei bambini. In molti altri giorni è stato possibile utilizzare solo le verande. Fuori i bambini piccoli erano liberi di scegliere i giochi che decidevano di esplorare e di muoversi tra le diverse attività. Ogni bambino poteva giocare nel modo che preferiva; non c’era una maniera prestabilita, un modo giusto di usare i materiali. Il gioco libero con i suoni sulle stuoie per la musica incoraggiava i bambini a scoprire gli effetti acustici, a trovare diversi modi per produrli, a combinarli fra loro e a creare schemi sonori. Il gioco libero con i suoni e con la musica registrata favoriva una reazione cinestetica da parte dei bambini, che si muovevano e ballavano producendo suoni o in risposta alla musica. Il gioco libero musicale con animali e libri noti, con burattini e bamboline stimolava i bambini al vocalizzo e al canto. Il secondo aneddoto illustra il gioco libero con oggetti sonori: stuoia per il gioco musicale con tamburi. Questo episodio ha avuto luogo durante la terza occasione di gioco musicale libero, e mostra alcune delle reazioni dei bambini ai materiali proposti. Queste reazioni sono un esempio di quelle che in genere i bambini avevano di fronte al gioco musicale. Sulla stuoia per la musica è stato disposto un assortimento di dieci tamburi, tra cui tamburi veri e propri, tamburelli, tamburini giocattolo e piccoli tamburi a due teste provenienti dalla Cina e dall’Indonesia. Inizialmente, molti bambini si raccolgono attorno alla stuoia, e tutti vogliono provare i tamburi. La maggior parte di loro prova uno o due strumenti per poi spostarsi verso gli altri giochi all’aperto a disposizione. Durante i 35 minuti di gioco all’aperto, sei dei tredici bambini presenti tornano sulla stuoia per la musica una o più volte, dopo il primo episodio di gioco. Quattro ci entrano solo una volta, compresa Bonnie (23 mesi) che aspetta per trenta minuti che la stuoia sia libera prima di avventurarcisi sopra per provare da sola. Tre bambine non vengono proprio sulla stuoia. I maschietti del gruppo sembrano divertirsi particolarmente con i suoni forti che riescono a produrre con le mani e talvolta con i piedi sui tamburi. Nathan (23 mesi) usa la sua mano destra per battere su di un tamburo. Lo rovescia e prova l’altro lato della pelle. Apparentemente preferisce l’effetto iniziale, perché lo rigira e lo suona ancora Musica Domani 129 – Dicembre 2003 Nita (l’educatrice) ha commentato: «a loro piaceva giocare con gli strumenti e con gli oggetti sonori. I materiali li attraevano e si divertivano a produrre suoni diversi». Le esperienze di gioco libero soddisfacevano le esigenze di bambini piccoli a diversi livelli di sviluppo. Il carattere non definito delle esperienze proposte permetteva ai bambini di giocare in molti modi diversi – da soli, in parallelo, o di impegnarsi nel gioco sociale (Johnson, Christie, Yawkey 1987). Il personale era molto favorevole a programmare esperienze di gioco musicale, e vedeva un concreto beneficio nel dare la possibilità ai bambini di giocare liberamente con la musica, dal momento che questo soddisfaceva le loro esigenze individuali. Inoltre, il gioco musicale era funzionale alla programmazione, in quanto parte del curriculum dei bambini, e facile da organizzare nello spazio all’aperto accanto ad altre attività di gioco libero. La musica come esperienza sociale Le esperienze musicali collettive hanno coinvolto gruppi di bambini che hanno partecipato a una serie di attività progettate e realizzate dal ricercatore. Le esperienze comprendevano una varietà di pratiche e di giochi imperniati sulla pratica strumentale, il canto, l’ascolto, il movimento e la danza. Le esperienze sociali, così come le esperienze di gioco musicale, sono state realizzate nello spazio all’aperto accanto ad altre esperienze di gioco e scelte autonomamente dai bambini che potevano entrare nel gruppo e lasciarlo per un’altra attività quando volevano. Il personale spesso si è unito al gruppo durante queste esperienze. Le esperienze musicali collettive si sono modificate significativamente nel corso del progetto, dalla prima volta in cui vennero proposte, in aprile, fino a novembre. I cambiamenti hanno riguardato la loro durata, il coinvolgimento dei bambini e la qualità della Musica Domani 129 – Dicembre 2003 loro partecipazione. Negli ultimi mesi del progetto, le esperienze in genere duravano all’incirca trenta minuti e comprendevano una decina o più di diverse attività brevi. Le esperienze iniziavano sempre con giochi con i bastoncini, seguiti da semplici sequenze di movimento su musiche registrate. Poi venivano attività come canzoncine, giochi cantati, suonare strumenti e sonorizzare una storia. Una canzoncina di addio concludeva il tempo di gioco. Durante il corso delle esperienze i bambini hanno avuto la possibilità di usare una varietà di strumenti come bastoncini, campanelli, zoccoli a sonagli e maracas. L’attività strumentale che preferivano era comunque quella con i bastoncini, semplici stecchette a incastro fatte dagli insegnanti, che la ricercatrice portava in un cesto di plastica. Nel corso del progetto, i bambini hanno preso confidenza con la struttura delle esperienze musicali collettive. Il terzo aneddoto illustra un’esperienza musicale collettiva: l’attività con i bastoncini Otto bambini si raggruppano attorno alla stuoia. Cinque di loro si prendono da soli un paio di bastoncini dal cesto. Lesley (20 mesi), Yoshi (22 mesi) e Porter (17 mesi) aspettano che vengano loro consegnati. Facciamo una canzone ben nota, Tap, tap. Ned (24 mesi) canta «Tap, tap, tap, tap» per tutta la durata della canzone. Dopo aver tamburellato e picchiato per terra con i bastoncini, chiedo ai bambini che cos’altro potremmo fare con le nostre stecchette. Ned risponde «Martellare» (martellare con i bastoncini significa tenerne uno come se fosse un grosso chiodo e batterlo con l’altro). Oliver (25 mesi) suggerisce «Scarpa» (battersi i bastoncini sulla scarpa) e Lesley dà la sua risposta sbattendo le punte dei bastoncini fra loro. Tutti i bambini partecipano a queste azioni, anche se Yoshi in genere le esegue soltanto dopo che il gruppo ha terminato. Continua per esempio a picchiare per terra mentre il gruppo sta martellando. Alla fine del gioco con i bastoncini tutti i bambini ripongono le loro stecchette nel cesto. Il quarto aneddoto racconta il gioco con i cubi, simulazione di quello con i bastoncini. Nita, l’educatrice, ha registrato questa osservazione durante una sessione di gioco all’interno. Aveva predisposto dei cubi di legno, accanto a puzzle, libri, pasta per giocare e un angolo da casetta. Olivia (25 mesi), Bonnie (27 mesi) e Ned (26 mesi) sono tra i bambini che hanno giocato con i cubi. Bonnie e Ned hanno raccolto tutti i cubi piccoli in un mucchio. Ned ne raccoglie un paio e comincia a sbatterli uno contro l’altro. Bonnie si associa a lui e canta «I bastoncini tap, tap, tap.» Anche Ned canta assieme a lei. Olivia smette di impacchettare i suoi cubi in un sacchetto e si unisce a loro, battendo un cubo per terra e cantando «Tap, tap, tap, tap, tap...» In questo progetto, i giochi con i bastoncini hanno soddisfatto un’ampia gamma di esigenze e di livelli di sviluppo diversi. I bambini che hanno partecipato ai 5 Ricerche e problemi per un altro mezzo minuto. «Bang. Bang!» urla Edward (23 mesi) tamburellando. Baird (14 mesi) mentre suona vocalizza: «Aaaaaah! Aaaaaah!». Ned (22 mesi) torna sulla stuoia, dopo un primo passaggio di esplorazione, quando c’è soltanto un altro bambino, Porter (15 mesi) che sta succhiando il tamburino giocattolo a forma di tartaruga. Ned si siede e tocca con prudenza tutti i tamburi alla sua portata. Poi batte sistematicamente su ciascuno, a quanto pare per ascoltarne l’effetto. Dopo aver ripetuto il giro, si alza e si dirige verso la buca della sabbia. Porter lo segue continuando a succhiare il tamburino giocattolo. Olivia (23 mesi) torna sulla stuoia quando Ned e Porter se ne vanno. Prova il piccolo tamburo indonesiano, battendo sempre più forte. Smette improvvisamente di giocare. Si è ammaccata una mano e la stende per mostrarla a Lyn. Lyn la consola e Olivia torna rapidamente a volgere la sua attenzione ai tamburi. Dopo un momento recita di nuovo la sequenza, fingendo di farsi male alla mano e cercando il conforto degli adulti. Ripete questa messa in scena in tutto quattro volte. Ricerche e problemi giochi con i bastoncini lo hanno fatto per scelta; hanno sempre avuto la possibilità di lasciare il gruppo se lo desideravano, anche se pochissimi lo hanno fatto. A seconda del loro livello di sviluppo, i bambini potevano giocare solo con i bastoncini, giocare con i bastoncini e cantare la canzoncina, oppure limitarsi a guardare gli altri bambini che partecipavano. La natura sociale di queste attività li ha aiutati a sviluppare alcune delle capacità associate al fatto di far parte di un gruppo: condividere lo spazio o l’attenzione di un adulto, ascoltare altre persone, fare la stessa cosa di altri bambini. Il gioco musicale e le esperienze musicali collettive hanno consentito la partecipazione dei bambini a diversi livelli, commisurati ai diversi gradi di sviluppo dei singoli bambini presenti nella stanza dei giochi. Nei giochi musicali i bambini potevano guardare, partecipare alle azioni o compierle, così come potevano cantare oppure fare vocalizzi. Nelle attività con i bastoncini potevano imitare esattamente il modo in cui la ricercatrice giocava con i suoi bastoncini ed eseguire le azioni che lei proponeva, oppure rispondere all’attività a modo loro: entrambe le risposte sono state incoraggiate e sostenute. I giochi con i bastoncini favorivano inoltre lo sviluppo di capacità sociali e di altri comportamenti non specificamente musicali, come l’acquisizione di competenze linguistiche. Sebbene le esperienze musicali collettive abbiano prodotto un risultato decisamente positivo dal punto di vista musicale, il personale del nido appariva più consapevole ed entusiasta di alcuni esiti extra-musicali. Nita, l’educatrice, dopo la conclusione della ricerca, ha espresso le seguenti considerazioni: «I bastoncini erano l’attività preferita dei bambini. Ricordo che la prima volta che hanno avuto in mano i bastoncini battevano su ogni cosa, dappertutto. Avevano bastoncini in bocca e nelle scarpe. Col tempo, hanno iniziato a capire che servivano per tamburellare, battere, farli rotolare e sventolarli, e per tutte le altre azioni che sperimentavano nei giochi. Era bello osservare il loro sviluppo corporeo. D’altronde il fatto che durante il gioco dovessero pensare ad altri modi con cui usare i bastoncini e suggerire nuove azioni era anche un’interessante sfida cognitiva». Nita ha notato che i bambini che non erano di lingua madre inglese riuscivano facilmente a partecipare ai giochi con i bastoncini perché si trattava di esperienze non basate principalmente sul linguaggio. Ci ha spiegato: «Yoshi non parlava molto l’inglese quando è arrivato da noi (dal Giappone). I giochi con i bastoncini funzionavano con lui perché erano molto visivi. Non si trattava solo di una canzone, di cui avrebbe perso l’intero significato se non capiva le parole. Nei giochi con i bastoncini tutto veniva fatto sia a livello verbale che corporeo, e in tal modo Yoshi poteva avere un aiuto. Questo ha davvero favorito il suo sviluppo linguistico, e anche il suo sviluppo sociale». Un ulteriore aspetto delle reazioni dei bambini era la soddisfazione che trovavano nelle consuetudini, nei riti e nelle ripetizioni. La struttura conosciuta delle esperienze musicali collettive piaceva loro molto. Si 6 sentivano sicuri perché sapevano cosa veniva dopo, quando alzarsi o sedersi, come fare giochi già noti, conoscevano alcune parole delle loro canzoni preferite e quando era il momento di riporre i bastoncini nel cesto. Questo aspetto dava loro una sensazione di competenza e di successo. La ripetizione di canzoni e giochi favoriva anche lo sviluppo della memoria uditiva. I bambini hanno preso dimestichezza con un’ampia varietà di canzoni, giochi e registrazioni grazie all’ascolto ripetuto. Conclusione Certo non è possibile fare delle generalizzazioni a partire da un esperimento che ha coinvolto 17 bambini; tuttavia, questa ricerca mette in evidenza alcune questioni legate alla programmazione e alla realizzazione di esperienze musicali con i bambini piccoli al nido. Nello specifico, dimostra che è possibile inventare e mettere in pratica tutta una serie di esperienze musicali adatte ai bambini di una sezione di nido usando sia attività strutturate che il gioco libero; e dimostra che è possibile incorporare la musica in molte delle attività quotidiane di cura personale. La partecipazione attiva ed entusiasta del personale è cruciale per l’effetto e l’efficacia di qualsiasi progetto musicale con bambini al di sotto dei tre anni. Ogni operatore di nido, quale che sia la sua formazione ed esperienza, può comunque avere un ruolo nella costruzione delle esperienze musicali. Infatti, se da un lato la conoscenza dei comportamenti musicali dei bambini molto piccoli è una componente essenziale per progettare e realizzare esperienze adatte ed efficaci, d’altra parte un acuto spirito d’osservazione, sensibilità e prontezza sono qualità altrettanto indispensabili per preparare e attrezzare il gioco musicale al nido. I bambini devono avere molte occasioni in cui giocare liberamente con la musica e i suoni: con strumenti semplici, con giocattoli che producono suoni e con oggetti sonori. Devono anche poter avere un rapporto musicale da soli con gli adulti e poter suonare fianco a fianco con altri bambini. Si divertono a condividere con gli altri le proprie scoperte musicali e il proprio gusto per i suoni. Inoltre apprezzano il carattere partecipato delle esperienze musicali collettive che possono scegliere da soli, come cantare, suonare gli strumenti e muoversi danzando insieme. Se i bambini sono in grado di scegliere se prender parte a un’attività musicale e di decidere la natura e la durata della loro partecipazione al far musica assieme, allora esperienze di questo tipo possono costituire la giusta occasione per individui diversi fra loro. Il personale del nido può trovare un modo per sostenere efficacemente lo sviluppo di ogni bambino affidatogli, garantendo la presenza quotidiana di esperienze musicali nella stanza dei giochi. [traduzione di Erica Moro] Musica Domani 129 – Dicembre 2003 Oggetti da suonare AUGUSTO PASQUALI Bottigliofono, baratteria, imbutromba, cartamburo: oggi abbiamo deciso di proporre alla nostra classe l’invenzione e la costruzione di strumenti musicali originali e un po’ matti. Sappiamo infatti come la progettazione e l’assemblaggio di un oggetto-strumento possa rappresentare una tappa essenziale verso l’acquisizione di alcuni dei concetti base del mondo dei suoni, quali il timbro, il colore, l’intensità, l’altezza, l’attacco e l’estinzione. I ragazzi subito si entusiasmano, ma, come spesso accade, la loro creatività ha bisogno di qualche stimolo per essere pienamente attivata (pena il rischio di ritrovarsi con la cattedra piena di maracas fatte con bicchierini da yogurt). Proviamo allora a chiedere aiuto a Internet: chissà che non ne scaturisca qualche proposta sfiziosa o qualche idea sviluppabile in maniera originale. In effetti sono svariati i siti che possono fornire i primi suggerimenti per la costruzione di uno strumento: fra questi segnaliamo Energy In The Air: Sounds From The Orchestra (tqjunior.thinkquest.org/5116/activities.htm), Homemade Instruments (www.nancymusic.com/PRINThomemade.htm) e The Mudcat for Kids (www.mudcat.org/kids). In questi siti, attraverso brevi spiegazioni e qualche foto o disegno, vengono descritti sommariamente i materiali occorrenti e i passaggi necessari per realizzare alcuni semplici strumenti. A chi pretende qualche idea più complessa e articolata consigliamo invece una visitina a The Crafty Music Teacher’s Page (www.outback.chi.il.us/~bonnysu/ craftymusicteachers) o a The Children’s Museum of Indianapolis (www.childrensmuseum.org/artsworkshop/jam.html). È doveroso comunque sottolineare due Musica Domani 129 – Dicembre 2003 aspetti: il primo che si tratta di siti americani e quindi le spiegazioni sono tutte in inglese; il secondo che l’aiuto che ci viene da queste pagine web è assimilabile a quello che possiamo tranquillamente ricevere da un buon libro illustrato sulla costruzione di strumenti musicali. Dove la navigazione in rete diventa preziosa è invece in quei siti di istituzioni scolastiche che espongono le foto degli strumenti costruiti dagli alunni delle proprie classi. Infatti è soprattutto il confronto con le esperienze altrui che può risultare per i nostri ragazzi assai fertile per nuove idee. Ecco allora che presso siti come il francese Edumusic (edumusic.free.fr/page1frame.shtml) o l’italiano Museo virtuale degli strumenti musicali (iclame.scuole .bo.it/museostrumenti) è possibile vedere alcuni strumenti inventati e costruiti da altri ragazzi, con relative foto, istruzioni per la realizzazione e, a volte, persino con esemplificazioni audio. Segnaliamo anche Exhibits-Virtual Museum of Music Inventions (www.op97 .k12.il.us/schools/longfellow/lrexford/base/page6.htm), sito-raccolta di strumenti musicali costruiti da scolaresche americane (in genere di Elementary School), dove anche si invitano i docenti ad arricchire la già vasta collezione inviando le foto degli strumenti costruiti dalle proprie classi. Inutile sottolineare che la prospettiva di veder “pubblicato” il proprio strumento musicale insieme a quelli di coetanei così lontani non può che far lievitare sensibilmente nei ragazzi la motivazione al fare. Per concludere segnaliamo Oddmusic (oddmusic .com/gallery/index.html) e Experimental Musical Instruments (windworld.com/emi), due siti che presentano strampalati oggetti sonori che non mancheranno di affascinare i più curiosi fra i nostri alunni. 7 Ricerche e problemi Bibliografia FLEER M., UDY G., 2002, “Early years in education in Australia”, in Year Book Australia 2002, Australian Bureau of Statistics, in: www.abs.gov.au/ausstats/[email protected]/0/F4FCE0 C540 F81D6BCA256B350018730D?Open. GONZALES-MENA J., EYER D.W., 1998, Infants, toddlers and caregivers, Mountain View, CA, Mayfield (4a edizione). JOHNSON J.E., CHRISTIE J.F., YAWKEY T.D., 1987, Play and early childhood development, SA, Harper Collins. LARKIN V., SUTHERS L., 1995, What will we play today? Drama, movement and music arts games for children 0-5 years, Sydney, Pademelon. OCHILTREE G., 1994, Effects of child care on young children, Melbourne, Australian Institute of Family Studies. SUTHERS L., 1998, Music experiences for toddlers in daycare: An Australian study, Unpublished doctoral dissertation, Macquarie University, Sydney, Australia. WANGMANN J., 1995, Towards integration and quality assurance in children’s services, Melbourne, Australian Institute of Family Studies. Musica in Internet Note 1 La mano cammina / La mano cammina / Cammina su e giù per la collina / La mano zompa / La mano salta / La mano adesso si è fermata [ndt]. Parole chiave Arpeggio FRANCESCO BELLOMI Il verbo arpeggiare può suggerire l’idea che sia qualcosa di strettamente legato a uno strumento ben noto a tutti: l’arpa. E questa è la prima definizione che di solito fornisce il vocabolario: «Arpeggiare, suonare l’arpa e, per estensione, altri strumenti a corda. Fare arpeggi.» Solo a qualche pignolo verrebbe in mente di scavare nell’altra, più antica, definizione: «moversi di animali affetti da arpeggio». Questa malattia misteriosa che si chiama arpeggio è definita come: «grave difetto di andatura dei quadrupedi, consistente in una esagerata flessione dell’arto con brusco appoggio del piede». Lasciamo dormire per il momento questo secondo significato e andiamo a vedere cos’è un arpeggio per i musicisti: «Arpeggio, eseguire le note di un accordo una dopo l’altra anziché tutte insieme». Tutti gli strumentisti sanno che eseguire in maniera eccellente scale e arpeggi è una delle abilità fondamentali per poter suonare senza fatica molti repertori. Ma qualunque successione di suoni eseguiti in successione è un arpeggio? No, solo se questi suoni compongono un qualche accordo. Altrimenti si ha una scala o una melodia o una semplice successione di suoni priva di qualsiasi denominazione specifica. Proprio il fatto che un determinato comportamento (arpeggiare) possieda una specifica etichetta verbale ci fa capire che questo comportamento ha delle caratteristiche sue proprie che lo distinguono dagli altri. Esattamente come avviene quando, ad esempio, una determinata figura geometrica porta una precisa etichetta verbale (quadrato, cerchio, triangolo rettangolo ecc.) che la distingue da tutte le altre infinite forme. Proprio la geometria e gli studi sulla percezione delle figure geometriche ci forniscono uno strumento utile anche per i suoni. Leewenberg, in un suo saggio intitolato Metrical aspects of patterns and structural information theory, 1978, ha cercato di mettere a punto un sistema formalizzato per la misurazione della salienza percettiva di figure disegnate in base alla caratteristiche strutturali rilevate. I criteri da lui adottati consentono di descrivere una figura in modo formalizzato, sulla base delle regolarità presenti nel pattern considerato. Si ipotizza l’esistenza di “ordinatori” percettivi (parallellismo, perpendicolarità, equidistanza dal centro, simmetria ecc.) la cui presenza riduce drasticamente le unità di informazione necessarie per definire e per- 8 cepire o riconoscere la figura geometrica in questione. «L’insieme di tutti i punti equidistanti da un punto detto centro»; questa definizione, estremamente economica ma completa della figura del cerchio è, da questo punto di vista, esemplare. Provate a descrivere compiutamente, con lo stesso numero di parole, la figura geometrica infinitamente più complessa di una ragnatela stramba fabbricata da un ragno fatto ubriacare in laboratorio. Un libro intero forse non basterebbe. A pensarci bene l’arpeggio è un vero e proprio ordinatore percettivo. È in sostanza la ripetizione di una medesima gestualità su altezze diverse ma facilmente prevedibili perché appartenenti a uno stesso accordo. Forse non è un caso che grandi quantità di arpeggi siano adoperati dai musicisti del passato in quei momenti di passaggio fra un episodio e l’altro di certi brani. In un articolo di Dratwicki intitolato Une typologe des «Passages» dans le concerto pour piano romantique (1800-1849) - l’exemple de Johann Nepomuk Hummel (1778-1837) e pubblicato sulla rivista di analisi musicale Musurgia nel 2000, si analizzano proprio i passaggi, cioè gli episodi di transizione nella scrittura pianistica del concerto per piano e orchestra, in Hummel in particolare. Una volta fatto partire un arpeggio, l’ascoltatore sa spesso fare delle previsioni attendibili su come continuerà e questo è tipico delle situazioni povere di unità di informazione. Dal punto di vista motorio e sonoro, l’arpeggio consiste, su molti strumenti, in uno spostamento graduale e prevedibile sulle corde o sui tasti o sulle chiavi. Quasi una specie di scivolamento secondo precisi schemi motori. L’etimologia della parola arpa confonde spesso la radice germanica harpa con quella di origine sannita herpex (dalla quale l’italiano erpice: un attrezzo dentato che scivola sul terreno rivoltando le zolle) e con quella latina herpes che deriva a sua volta dal greco hèrpein (= strisciare) e che è il nome di una infezione della cute così chiamata perché è una malattia che striscia sulla pelle. Siamo partiti da una lontana malattia dei quadrupedi e siamo arrivati a un’altra strisciante malattia. Se poi qualche quadrupede arpeggiante, con il suo brusco appoggio del piede, perde il controllo e scivola, la frittata è fatta, come sanno bene i musicisti che quando scivolano su un arpeggio, sbagliando qualcosa, sono beccati senza pietà anche dall’ascoltatore più inesperto. Musica Domani 129 – Dicembre 2003 Strumenti e tecniche La trascrizione musicale La pratica della trascrizione viene indagata nelle sue principali funzioni e in alcune strategie operative utili all’insegnante e al didatta. La varietà e ricchezza dei processi musicali coinvolti in questa attività costituiscono uno stimolo di sicuro interesse. EMMA BOLAMPERTI Trascrivere e variare sono pratiche molto usate nella musica e mostrano numerosi punti di contatto; entrambe infatti ci permettono di intervenire sul materiale musicale intaccandolo nei suoi parametri costitutivi. In particolare il procedimento della variazione contiene un ventaglio di possibilità ben più ampio dei procedimenti, egualmente presenti nell’elaborazione musicale, della ripetizione e del contrasto. Per variare è necessario saper entrare nelle strutture e nei procedimenti compositivi con cognizione di causa. Al contrario della ripetizione e della contrapposizione, che risultano essere spesso procedimenti più primitivi, la variazione mette sempre in gioco capacità analitiche non elementari. riero o un codardo, un difensore o un attaccabrighe? Galoppare si può sostituire con correre a briglia sciolta o fuggire via? Con un po’ di lavoro otterremo risultati simili a questi: • un nobiluomo, sul suo niveo destriero, corse con briglie sciolte per distese erbose; • un uomo sul dorso del suo equino fuggì per terreni erbosi. Confrontando la frase iniziale e le due risultanti dalla trasformazione, esse si rivelano diverse per registro linguistico e scelte descrittive. Nella seconda trasformazione, un po’ “stonata”, il cavaliere è semplicemente un uomo, non è più specificato il colore del cavallo, mentre nella prima è stata omessa la sella. In conclusione per riscrivere questa espressione abbiamo dovuto analizzarne il significato e operare delle scelte che ne hanno sacrificato o esaltato il contenuto. Siamo stati fedeli alla frase di partenza o abbiamo agito con libertà. Giochiamo a trascrivere Un giorno normale, una lezione normale, in una normale scuola media. L’insegnante di lettere chiede ai ragazzi di prendere un foglio e detta: «Il cavaliere galoppò veloce in sella al suo cavallo bianco fra immense praterie. Riscrivete questa frase usando parole che non contengano la lettera a. Vietato usare il dizionario dei sinonimi. Avete cinque minuti. Buon lavoro». Al di là del valore letterario dell’esempio, può essere divertente cimentarsi nell’esperimento del lipogramma, cioè della scrittura di un testo privo di una determinata lettera dell’alfabeto. Un famoso esempio si trova negli Esercizi di stile di Raymond Queneau. Questo autore si era limitato al lipogramma che esclude dal testo la vocale e. Umberto Eco, nella traduzione italiana, ha fatto sfoggio di bravura realizzando cinque diversi lipogrammi, uno per ogni vocale. Il cavaliere diventerà: nobiluomo, difensore, uomo a cavallo (al cavallo penseremo dopo), guerriero. Si noterà subito che ogni sinonimo possiede una sfumatura di significato diversa e modifica più o meno profondamente il pensiero iniziale: il cavaliere sarà un guerMusica Domani 129 – Dicembre 2003 Il rapporto fra il trascrittore e la fonte Il trascrittore si accosta all’opera oggetto della trascrizione ponendosi verso di essa con libertà ma, nel caso di opere di indubbio valore, di capolavori riconosciuti, l’importanza della fonte può rivelarsi paralizzante. Non è questo il caso del pianista Uri Caine, che nel 2002 ha “osato” rielaborare le Variazioni Goldberg di Bach per pianoforte, due voci, violino, tromba, batteria, contrabbasso, sax, clarinetto e consolle, e che riproporrà alla Biennale di Venezia 2003. Il trascrittore è vittima allora di quel sentimento di auctoritas, caro al mondo latino che vincolava alla fedeltà a un modello ritenuto intoccabile, senza dimenticare che la fedeltà può essere anche frutto di una scelta stilistica precisa e consapevole. Nell’arte del dire (oratoria) sono presenti alcuni principi sui quali vale la pena di riflettere anche a proposito 9 Strumenti e tecniche della trascrizione. Esiste l’inventio, cioè il concepire ex novo un argomento da trattare, ma esistono anche espositio e dispositio cioè come dire le cose e come organizzare il discorso. Considerando questi due elementi si può quindi affermare che accanto all’inventiva ha pari dignità la rielaborazione di un contenuto. In questo senso la letteratura ci offre esempi straordinari come le diciassette versioni della storia di Tristano che si succedono a partire da quella archetipica del 1150. Trascrivere quindi vuol dire riscrivere diversamente, trasformare. In campo musicale associamo al concetto di trascrizione i seguenti significati: • convertire un brano scritto in notazione arcaica in notazione moderna; • destinare a uno strumento o gruppo strumentale una composizione originariamente pensata per diverso organico; • raccogliere in forma scritta, il più fedele possibile, canti o forme musicali tramandate oralmente; • anticamente trascrivere significava copiare una parte musicale, mansione svolta dal copista fino e oltre l’avvento della stampa musicale. Il termine però non è univoco, comprendendo diversi sottosignificati: riduzione, orchestrazione, ornamentazione ecc. Perché trascrivere? Le motivazioni sono molte: per ampliare il repertorio, per esigenze di organico, per finalità divulgative, per adattare il brano al gusto di un epoca, per esigenze pratiche, per rinnovare e sperimentare. In ambito didattico le finalità della trascrizione possono essere: studiare un linguaggio, facilitare lo studio o incrementare progressivamente le difficoltà, raccogliere materiale popolare, varcare i confini di un genere. Analizziamo di seguito questi differenti aspetti della trascrizione uno a uno. 1. Ampliare il repertorio. Alcuni strumenti, per l’origine recente o per l’impiego particolare in orchestra, non hanno sviluppato un’ampia letteratura specifica. È il caso del sassofono, o della fisarmonica, strumenti non ritenuti classici per molto tempo, o del clarinetto moderno il cui repertorio si forma solo a partire dalla fine del settecento. Quando nasce un nuovo strumento, la prassi prevede che si saccheggi la letteratura già esistente per adattarla a esso. Ad esempio gli arpisti, nei primi anni di corso, eseguono la Sonatina op. 36 n. 1 di Clementi (il cui originale è per pianoforte) mentre il programma della scuola di fisarmonica prevede trascrizioni di contrappunti dell’Arte della fuga di Bach e del repertorio cembalistico: Frescobaldi, Couperin ecc. I pianisti non commettono operazione dissimile quando eseguono Bach o Scarlatti al pianoforte. Apparentemente non mutano molto della composizione originale, ma, essendo diverse le risorse espressive dello strumento, le composizioni subiscono cambiamenti sul piano della pronuncia delle frasi, dell’articolazione, della dinamica, dell’agogica. Personalità importanti del mondo musica10 le hanno poi trascritto personalmente per il proprio strumento: Segovia per la chitarra, Lionel Tertis per la viola, Kempff per pianoforte ecc., e talvolta certi brani sono arrivati al grande pubblico più attraverso una fortunata trascrizione che attraverso la versione originale. 2. Le esigenze di organico. L’esercizio della professione musicale può mettere di fronte alla possibilità di formare, con amici o colleghi, un ensamble sui generis, ad esempio con una chitarra, un clarinetto, un flauto. Per qualche tempo ci si dedica allo studio delle partiture composte per questo organico e poi? Si propone sempre lo stesso repertorio, si smette di suonare insieme, oppure si trascrive! Lo stesso fanno gli ensamble di ottoni, le orchestre delle nostre scuole medie, la banda cittadina. La strumentazione per banda, a cui è dedicato un corso di studi specifico in conservatorio, nasce all’epoca di Mozart. Da allora a composizioni originali si sono affiancate le più svariate trascrizioni di Inni nazionali, arie d’opera, masterpiece classici, musica leggera, canzoni popolari ecc. 3. Le finalità divulgative. Trascrizione con questa funzione è nata e sostenuta da due princìpi apparentemente contrapposti, il profitto e l’amore per la conoscenza. Da sempre nel repertorio musicale sono esistiti temi strumentali e arie d’opera che più di altri hanno incontrato il favore del pubblico. Creare composizioni che ricalcassero tali melodie poteva essere economicamente vantaggioso per il compositore e per l’editore, in quanto il brano avrebbe sicuramente venduto. Ciò avrebbe significato circolazione di quella musica nelle case, nei borghi lontani dai grandi centri culturali e dai teatri; incrementando la fama del compositore e permettendo la conoscenza dell’opera musicale. Un esempio è rappresentato dalle numerose parafrasi, fantasie, trascrizioni di ouverture, arie d’opera, sinfonie, melodie popolari ottocentesche a opera dei grandi virtuosi della tastiera: Liszt, Thalberg, Kalkbrenner, Tausig ecc. Un’operazione simile era già stata compiuta nel secolo precedente per il clavicembalo da D’Anglebert che pubblicò la trascrizione di alcune Ouvertures di Lully o dall’editore Walsh di Londra che pubblicò sessanta Ouvertures di Haendel per questo strumento. 4. Adattare il brano al gusto di un epoca. Dal punto precedente a questo il passo è breve. Ogni opera d’arte è figlia di una data cultura. È naturale che il trascrittore si trovi a integrare, in ciò che sta manipolando, gli stilemi propri della sua epoca. Per quanto riguarda l’Ottocento pianistico, ad esempio, esso è il secolo del virtuosismo strumentale e la componente acrobatica è quasi sempre presente nelle trascrizioni. Così in Italia, nei primi anni del Novecento, si rivisita il repertorio antico: Toccate di Frescobaldi e Danze per liuto a cura di Respighi, sonate di Scarlatti per opera di Longo intervenendo sul piano armonico, eliminando durezze e modificando, nel caso di Domenico Scarlatti, quelle che Longo riteneva delle «arditezze armoniche». Musica Domani 129 – Dicembre 2003 6. Rinnovare e sperimentare. Questa rappresenta una tendenza nel panorama compositivo degli ultimi anni. Trattasi di rivisitare materiale pre-esistente con tutte le risorse che la musica di oggi può offrire. Fra i compositori che hanno operato in questa direzione si citano Davies con Cauda Pavonis (dall’Impromptu op. 90 n. 1 di Schubert) e Five Voluntaries (da Croft, Clark, Attaignant, Couperin), Berio con i suoi Folksongs, Caine con le Variazioni Goldberg, Campogrande con il Concerto BWV 1052 di Bach, Stockhausen e i suoi Inni Nazionali in Hymnen. 7. Studiare un linguaggio. Questa è sicuramente la prima fra le finalità didattiche. Schönberg consigliava ai giovani compositori di cimentarsi nella riduzione pia- fig. 1 Musica Domani 129 – Dicembre 2003 nistica di importanti brani di musica da camera per carpirne gli elementi costruttivi. Dal punto di vista didattico il principio è ancora valido. Bene lo sanno gli studenti di composizione a cui sarà capitato di eseguire riduzioni ma che avranno sperimentato anche l’operazione inversa, cioè orchestrare brani pianistici. Bach docet nei concerti da Vivaldi, Marcello, Torelli. 8. Facilitare & facilitare. È questo un campo prettamente didattico e divulgativo. Per molto tempo in Italia i docenti di strumento, specialmente nei conservatori, hanno guardato la trascrizione come qualche cosa di dissacrante. Gli allievi non avrebbero dovuto suonare un tema se non erano in grado di eseguirlo nella versione originale; mentre nel mondo dell’insegnamento amatoriale, la trascrizione facilitata è sempre stata utilizzata. Si può ricordare la collana Perle musicali edita da Ricordi negli anni Ottanta, un tempo molto diffusa. Il mondo anglo-sassone, americano o dell’est europeo, non ha mai mostrato, invece, una qualche forma di chiusura verso la pratica della facilitazione: pensiamo che nei primi anni del Novecento, Peters pubblicava una serie di trascrizioni, per flauto o violino con pianoforte, di brani pianistici celebri dove il solista eseguiva la linea melodica principale e il pianoforte eseguiva le sole figurazioni di accompagnamento. La collana si intitolava Meister für di Jugend. Apparve in tre fascicoli, uno dedicato a Haydn e Mozart, un altro a Beethoven e Schubert, l’ultimo a Mendelsshon e Schumann (nel terzo volume ad esempio compare il terzo brano dei Bilders aus Osten op. 66 di Schumann, per pianoforte a quattro mani nell’originale, e trascritto qui per piano a due mani e flauto). Oggi la situazione è profondamente cambiata. Da un lato si è ampliato il repertorio originale dedicato ai primi anni di studio, con piccoli brani facili un tempo sconosciuti alla didattica italiana, come la raccolta Pezzi facili per pianoforte dei secoli XVII e XVIII (Türk, Dandrieu, Leopold Mozart ) a cura di Violeta Hemsy de Gainza, edito da Ricordi, pubblicata in Italia dal 1998 ma in America dal 1976. Dall’altro sono apparse, in metodi globali come Bastien di Bastien (edizioni Rugginenti), facilitazioni di temi di Beethoven, Dvorak, Mozart. La casa editrice Schott ha intrapreso dal 2001 la pubblicazione di una serie di volumetti intitolata Get to know classical masterpiece. Curato nella veste grafica e nei contenuti, ogni fascicolo è dedicato alla facilitazione di un importante brano di repertorio, accompagnato dalla presentazione dell’opera, e da un’essenziale cronologia dell’autore. Fra i titoli apparsi sino a ora figurano opere sinfoniche: La Moldava di Smetana; classici co11 Ricerche e problemi 5. Le esigenze pratiche. È il caso dei vari spartiti canto e pianoforte, violino e pianoforte, dove il pianoforte è la riduzione della parte orchestrale mentre la parte solistica rimane invariata. Nel caso di balletti sono diffuse versioni per pianoforte a quattro mani o due pianoforti definite anche trascrizioni totali, in cui nessuna parte viene sacrificata nella riduzione. Il motivo per cui si trascrive è pratico, economico e ovvio: nessuno può permettersi di avere a disposizione un’orchestra per studiare un concerto o un’opera! Strumenti e tecniche fig. 2 fig. 3 me Il carnevale degli animali di Saint-Saens; pilastri del repertorio pianistico da concerto: i Quadri di una esposizione di Musorgskij (vedi figura 1 a pagina precedente, e figure 2 e 3). In direzione simile vanno le nuove pubblicazioni a uso scolastico intitolate Muisc Kit di casa Curci. Si tratta di brani facilitati di Telemann, Beethoven, Joplin per organici variamente adattabili: pianoforte, chitarra, flauto, percussioni. Per essere precisi anche in passato alcune antologie pianistiche hanno raccolto brani facilitati, senza però dichiararli tali, cambiandone spesso il titolo. Cito a proposito l’antologia pianistica in dieci fascicoli Cesi–Marciano. Nel primo fascicolo il minuetto di Mozart in sol maggiore non è altro che la semplificazione del tema delle variazioni su Ah vous dira-je maman dello stesso autore. La facilitazione può anche essere una possibilità prevista dal compositore stesso. Si pensi alla duplice versione per pianoforte a due mani dei Valzer op. 39 di Brahms (originali per pianoforte a quattro mani). La prima è quasi il riassunto della versione a quattro mani, la seconda è decisamente più semplice, grazie a cambi di tonalità, rinuncia ai passi in ottave ecc. Liszt scrisse i 12 Studi di esecuzione trascendentale nel 1851 come semplificazione dei precedenti 12 grandi studi (nel progetto dovevano essere 24!) del 1837 dedicati a Czerny, già a loro volta parte della raccolta di esercizi del 1826. La versione del 1837 contiene successioni di ottave, sonorità orchestrali, doppie note, canto alternato fra le due meni che si sposta dal registro acuto al mediano dello strumento ecc. Questi elementi appaiono anche nella versione del 1851 dove però i tecnicismi più estremi vengono smussati in favore di una maggiore cantabilità. l’insegnamento di questo genere di musica. In Francia e in altri paesi, il Conservatorio porta avanti parallelamente una formazione professionale e una amatoriale di livello dove, contrariamente alla formazione professionale italiana, è previsto si possa integrare nel proprio piano di studi un corso dedicato alla musica popolare. Altrove lo studio del proprio folklore è materia obbligatoria. L’est europeo è forse l’area geografica del vecchio continente che meglio ha conservato il proprio patrimonio popolare. A ciò ha contribuito, probabilmente, l’isolamento mediatico durato sino alla caduta del muro di Berlino nel 1989. Nella musica popolare si è di fronte a tipi di emissione vocale particolari, ritmi non metrici, intervalli non sempre corrispondenti a quelli del sistema temperato o talvolta con intervalli inferiori al semitono. L’intervento del trascrittore può in modo non scientifico edulcorare queste caratteristiche riconducendo la melodia ai parametri della nostra notazione; oppure può servirsi della registrazione dei canti accompagnandola con schede che descrivano il più possibile l’ambiente, il cantante, la circostanza in cui il canto era eseguito; o può ricorrere a notazioni non convenzionali. Molti musicisti colti hanno trovato problematico includere in propri lavori citazioni di melodie popolari. Racconta Stravinskij nelle Cronache della mia vita che la struttura ritmica della Danza sacrificale dell’eletta dal Sacre du Printemps non rientrava nel modo occidentale di organizzare la durata dei suoni. Avendo in mente la melodia, sperimentata più volte al pianoforte, rimaneva il problema di come indicarla chiaramente in partitura. Stravinskij non fu mai pienamente soddisfatto della scelta fatta. 9. Incrementare le difficoltà dello studio. Ci troviamo qui di fronte al caso opposto. Brahms ce ne ha lasciato testimonianza con cinque studi per pianoforte. Il primo è la rielaborazione (più difficile) dello studio op. 10 n. 2 di Chopin. Il quinto studio, per sola mano sinistra, è la trascrizione della Ciaccona per violino solo in re minore di Bach. Brahms interviene anche sull’Improvviso op. 90 n. 2 di Schubert, destinando le terzine di crome alla mano sinistra anziché alla destra. Anche gli studi di Godowski sugli studi di Chopin vanno inclusi in questa categoria di trascrizioni. 10. Raccogliere materiale popolare. Il campo della trascrizione della musica popolare meriterebbe specifiche trattazioni. Purtroppo l’Italia ha perso il contatto con il proprio patrimonio folklorico, questo perché è sempre mancato un luogo istituzionale deputato al12 11. Varcare i confini di un genere. Anche questa modalità si potrebbe definire sperimentale. Essa prevede la manipolazione di un tema per farlo rientrare in categorie musicali molto diverse da quella di origine. Il Trio Loussier (pianoforte, batteria, contrabbasso) e il Modern Jazz Quartet (pianoforte, vibrafono, batteria, contrabbasso) hanno manipolato composizioni bachiane in chiave jazz. Così hanno fatto Les swingle singers nel loro disco Jazz Sébastien Bach. Il gruppo Emerson Lake & Palmer ha riletto i Quadri di una esposizione di Musorgskij, il cantautore Al Bano ha sfruttato il tema del primo Concerto per pianoforte e orchestra di Caikovskij nella canzone Il mio concerto. Negli anni ottanta Richard Clayderman, grazie ad arrangiamenti di successo, ha raggiunto una certa fama con composizioni quali Bach Gammon su temi di Bach, Caikovskij, Brahms, o proprie versioni dello studio op. 10 n. 3 di Chopin o del Wiegenlied di Brahms. Il gruppo rock dei Sex Pistols ha fornito negli Musica Domani 129 – Dicembre 2003 Come proporre la trascrizione? Ripercorriamo brevemente le varie finalità e vediamo come operare. Per quanto riguarda i punti 1, 2, 3, 4, 6, 7, spesso si tratterà di effettuare una riduzione. Si tratterà, lo dice il termine, ridimensionare il numero delle parti del brano originale, prevedendo un’analisi preliminare della composizione per valutare cosa deve essere conservato e cosa no, al fine di mantenere intatta la fisionomia della partitura. Come? Nel caso di passaggio dalla scrittura orchestrale a quella pianistica vengono eliminati i raddoppi, intesi sia come raddoppio alla stessa altezza di una nota dei violini da parte dei fiati (sul pianoforte risulterà essere la stessa nota), sia raddoppi di terza, quinta, ottava, in un’armonia che esula da una posizione tastieristica. Si traspone, quando necessario, una melodia all’ottava superiore o inferiore secondo i limiti di estensione dello strumento cui la si vuole affidare, tenendo conto se lo strumento di partenza o destinatario è traspositore o no. A queste operazioni se ne aggiungono altre quando ad esempio si deve facilitare una composizione. Brani lunghi vengono abbreviati citando solo i temi principali, armonie complesse sono ricondotte a gradi principali eventualmente con impiego di settime, accordi di quattro, cinque suoni vengono possibilmente ridotti tenendo conto dell’estensione della mano di piccoli pianisti. Possono essere tolti gli abbellimenti (acciaccature, trilli), il brano può essere trasportato in una tonalità più facile: ad esempio fa maggiore invece che fa diesis maggiore; si possono raddoppiare tutti i valori per rendere più semplice la lettura. Nel caso in cui ci si prefigga di alzare il livello tecnico di una composizione (cfr. n. 9) una melodia potrà essere raddoppiata per terze, seste, ottave; un passo d’agilità, se prima affidato alla mano destra, potrà essere eseguito da entrambe le mani per moto retto o contrario, o dalla sola sinistra. Un tipo particolare di riduzione è lo spartito per canto e piano o la trascrizione di un concerto da strumento solista e orchestra a strumento solista e pianoforte. La riduzione pianistica tende spesso a conservare quanto più possibile della parte orchestrale, sfiorando situazioni di ineseguibilità, a scapito di una certa scorrevolezza. Liszt aggiunge di norma scale, arpeggi, volatine, passi d’ottava, artifici che il repertorio di un virtuoso prevede, ma si trova anche di fronte a problemi nel momento in cui, ad esempio, nel Liebestod di Isotta, dal Tristano e Isotta di Wagner, decide di rendere il tremolo degli archi al pianoforte. Si susseguiranno a tal proposito diverse stesure del brano, corredate da vari «ossia», nessuna della quali pienamente soddisfacente Musica Domani 129 – Dicembre 2003 per il compositore. Per la dichiarata libertà con cui un compositore può accostarsi alla trascrizione spesso l’originale risulta profondamente mutato. I trascrittori che si cimentano a inizio secolo con Frescobaldi sorvolano sulle indicazioni dell’autore: il prescritto non stare a battuta viene dimenticato, le quartine di semicrome sono eseguite in modo metronomico, le dissonanze vengono preparate e vengono aggiunte ottave di ripieno. John Cage nel 1969 scrive un brano dal titolo Cheap Imitation. Cage ha ricevuto l’incarico di trascrivere per due pianoforti il Socrate di Satie per una coreografia di Cunningham, ma non ottiene il diritto di sfruttare l’opera. Il corpo di ballo aveva già imparato la coreografia e così Cage decide di sottoporre la musica originale a una serie di derivazioni aleatorie ottenute consultando l’antica raccolta di oracoli cinese dell’I-Ching. Attraverso vari procedimenti di trasformazione ne risultò una semplice linea melodica, senza contrappunto e armonia, che ricalcava la struttura ritmica e fraseologica del Socrate di Satie. Questa fedeltà alla struttura ritmica è funzionale, in questo caso, a una coreografia già decisa e provata per quella struttura ritmica: una coreografia che non poteva cambiare all’ultimo momento. Dice Campogrande a proposito della sua rilettura di Bach: «Tra le musiche invisibili, quella che mi piace di più, si ascolta a Parigi, all’ingresso del Louvre. Lì, quando entri nella piramide di cristallo, ti trovi di fronte a due mondi accostati: decidendo cosa osservare, puoi scegliere quale abitare. Se fissi lo sguardo sul cristallo, sull’acciaio, ti coglie il brivido della contemporaneità, […]; se invece metti a fuoco il palazzo che si vede oltre il vetro allora ti ritrovi a bagno nell’Ottocento, […]. Su quel pezzetto d’ingresso, subito sotto la Piramide […] a me piace immaginare una musica fantastica, in cui l’orecchio della contemporaneità può ascoltare il passato, in cui la percezione è continuamente spostata in avanti e indietro lungo il tempo […]. Per scrivere questo mio concerto, per lavorare sull’originale bachiano, sulla strepitosa partitura per clavicembalo e archi, ho provato a immaginare di essere lì, sotto la Piramide di Pei. Ho lasciato che l’architettura di Bach fosse visibile, senza cambiare una sola nota della parte tastieristica, e in qualche occasione riprendendo esattamente la scrittura degli archi; poi però, tra noi e Bach, ho provato a costruire la mia piramide, fatta di cristalli che proiettano luce fino in fondo alla partitura, fatta di acciaio che ogni tanto vibra sotto la spinta degli ottoni, fatta di cielo e di aria che improvvisamente irrompono dentro l’originale, come nell’Adagio, quando gli archi scompaiono e lasciano il posto al vibrafono, ai clarinetti, a una smorfia tutta di fiati». Uri Caine nelle sue Goldberg intercala le variazioni originali con brani che in parte aderiscono all’originale, altri si rifanno a forme musicali dell’epoca, come corali luterani, suites, canoni su intervalli e scansioni ritmiche differenti, altri ancora utilizzano la successione armonica originale come base per una libera improvvisazione. Vi sono poi variazioni nello stile di Vivaldi, Mozart, Verdi, Rachmaninoff, Philip Glass, al13 Strumenti e tecniche anni sessanta una versione fortemente dissacratoria, anche per il testo, dell’inno inglese God save the queen. Si citano anche i nomi di Chiaramello con il disco del 1967 Popoperaconcerto (brani d’opera da Norma, Barbiere, Traviata) edito da Eumir Deodato con manipolazioni di Schubert, Ravel, Strauss ecc. Strumenti e tecniche cune in chiave umoristica, altre immaginando di aver commissionato loro una variazione. Come Bach incluse varie forme di danza, così Caine utilizza dei corrispondenti contemporanei, mambo, tango o valzer. Le forme di danza diventano un pretesto per un excursus nelle musiche di diverse culture e nei vari stili di jazz. In queste trascrizioni i cambiamenti maggiori riguardano parametri quali timbro e ritmo con l’esaltazione di quegli elementi, come sincopi e contrattempi, che permettono di swingare Bach. In questa prospettiva dunque trascrivere è inteso come un modo per integrare il proprio stile in una composizione precedente senza rinunce, come aveva fatto Bach stesso, trascrivendo alcuni concerti di Vivaldi, aggiungendo nuovi contrappunti. Didatticamente serve? Ora che abbiamo visto perché e come si fa, ci chiediamo: praticamente a che cosa ci serve? Come in parte la variazione, la trascrizione permette ai nostri allievi di familiarizzare con alcuni parametri musicali: ritmo e metro, timbro, altezza, agogica, dinamica. L’analisi di un brano da trascrivere in classe insieme agli alunni permette di introdurre elementi di armonia e analisi musicale. Spesso, trascrivendo, è necessario chiedersi che cosa è essenziale in un brano e che cosa è accessorio e quindi eliminabile. Questo esercizio porta velocemente ad acquisire delle consapevolezze di tipo analitico, tocca direttamente le nostre capacità di valutazione, mette in moto dei meccanismi percettivi e riflessivi assai raffinati. La trascrizione: forma d’arte o storpiatura? Molte polemiche hanno sempre accompagnato trascrizioni e arrangiamenti. Da un lato c’è chi in modo machiavellico ha sempre sostenuto che il fine giustifica i mezzi, vale a dire che la musica è viva solo nel momento in cui la si usa, quindi ogni utilizzo è lecito, dalle trascrizioni didattiche ai jingle pubblicitari. Dall’altra c’è chi si è interrogato sul valore estetico di una trascrizione, tollerando solamente la trascrizione d’arte e affossando le altre. Ma quali sono i criteri per ritenere una trascrizione artisticamente valida? I criteri estetici cambiano di secolo in secolo, di società in società, di cultura in cultura. Ciò che può essere bello per noi oggi potrà non esserlo per la generazione futura e può non esserlo stato per la precedente. Certo non ci scandalizziamo di fronte all’orchestrazione mozartiana del Messiah di Haendel, o di quella di Ravel dei Quadri di una esposizione di Musorgskij, ma solo recentemente ci si è allontanati dalla orchestrazione brillante di Korsakov del Boris Godunov di Musorgskij, il cui successo, per molto tempo, ha impedito di ascoltare la scura, grezza e primitiva orchestrazione originale. Sarebbe forse più semplice e più giusto cercare di considerare che ogni arrangiamento ha una propria storica ragion d’essere e che a posteriori non è sempre facile capirne le ragioni. 14 Una conclusione provvisoria Trascrivere è un processo di adattamento verso l’esterno e contemporaneamente verso l’interno. Ogni trascrizione ci racconta sia il brano originale sia il punto di vista (il «punto d’ascolto» come direbbe Carlo Delfrati) del trascrittore. Spesso l’operazione del trascrivere, per la sua lentezza, che favorisce la riflessione, e per la necessità di basarsi su consapevolezze di tipo analitico, ha fatto scoprire al trascrittore dei capolavori nascosti. Così si esprimono tutti i grandi trascrittori da Malipiero in poi. Trascrivere è una di quelle attività che si pone a un crocevia di percorsi e di abilità. Molte intelligenze si danno appuntamento in questa pratica troppo spesso disprezzata e lasciata in ombra rispetto a attività ritenute più creative. Solo chi riesca a considerare quanta sottigliezza, fantasia e creatività possano occorrere per trascrivere un brano lungo e complesso per un organico piccolo, capace di suonare solo cose molto facili, può capire come dietro a ogni trascrizione facile ben fatta ci sia un intero mondo. Bibliografia MANTELLI A., 1934, “Compositore e trascrittore” in La Rassegna Musicale, VII, 97, Torino. GUI V., 1936, “Sull’uso di trascrivere per orchestra” in La Rassegna Musicale, IX, 190, Firenze. HOWARD JONES E., 1935, “Arrangements and trascriptions” in Music and Letters, XVI, 305, Londra, The Manager, dal 1958 ed. Oxford University Press. OBUSSIER Ph., 1977, Arranging Music for young players, a handbook on basic orchestration, Novello, London. SILI S., 1971, Guida per l’arrangiamento moderno, Ricordi, Milano. CANINO B., 1997, Vacemecum del pianista da camera, Passigli, Firenze-Antella. Sulle questioni estetiche BALLO F., 1936, “Interpretazione e trascrizione”, in La Rassegna Musicale, IX, 190, Firenze. TERENZIO V., 1951, “La trascrizione musicale come arte”, in La Rassegna Musicale, XXI, 130, Firenze. MARINELLI C., 1956, “La trascrizione come opera d’arte”, in La Rassegna Musicale, XXVI, 40, Firenze. SCIONTI S., 1965, “Trascrizioni. Sono le trascrizioni un’offesa all’arte?”, in Rassegna musicale Curci, Curci, Milano. Sulle trascrizioni di classici TESTONI G.C., 18-VII-1964, “Il jazz di Bach”, in Tempo, Milano. PECHER BERIO T., (a cura di), 1985, “La trascrizione BachBusoni. Atti del convegno internazionale. Empoli, 23-26 ottobre”, in Quaderni della Rivista Italiana di Musicologia, 18, Firenze. TAGLIAPIETRA G., 1940, “F. Busoni trascrittore e revisore”, in La Rassegna Musicale, XIII, 12, Firenze. CAPORALI R., 1950, “Le trascrizioni pianistiche delle opere di J.S. Bach”, in La Rassegna Musicale, XXV, 40, Firenze. Trascrizione ed etnomusicologia BARTOK B., 1977, Scritti sulla musica popolare, Editore Boringhieri, Milano. STOCKMANN D., 1989, “Die Transkription in der Musikethnologie: Geschichte, Probleme, Methoden”, in Acta Musicologica, Bärenreiter, Basilea. Musica Domani 129 – Dicembre 2003 ARIANNA SEDIOLI Anche il gioco del dottore, in cui i bambini amano prendersi cura di pazienti bambole e orsacchiotti, può essere ripensato in chiave musicale, come occasione di scoperta e di rielaborazione delle sue componenti sonore, spesso soltanto “vere per finta”. Dall’osservazione dei bambini impegnati a simulare e ascoltare colpi di tosse, starnuti, respiro e battito cardiaco dei loro pazienti immaginari, aiutandosi a volte con strumenti-giocattolo come lo stetoscopio, è nata l’idea di progettare un percorso di esplorazione sonora che rendesse non solo possibile, ma anche coinvolgente e intimo, visitare le textures sonore degli oggetti e dei materiali presenti nell’ambiente, di solito silenziosi, ma facilmente trasformabili in oggetti sonori tanto misteriosi quanto interessanti. Ho chiamato questa situazione di gioco “il dottore dei suoni”, per sottolineare il legame con il gioco di finzione a cui ho fatto riferimento, in cui si crea una situazione di ascolto attivo attorno a un oggetto magico, lo stetoscopio, che consente di ascoltare anche ciò che non si sente. Offrire ai bambini la possibilità di fare esperienze con un vero stetoscopio medico rende possibile l’ascolto delle vibrazioni del cartone ondulato, della carta velina, della carta vetrata, delle stoffe di varie fogge, che li mette a contatto con la concretezza della materia sonora, trasformata in traccia acustica forse poco musicale ma concretamente sonora e riconoscibile nelle sue molte qualità. Per giocare al dottore dei suoni è necessario però organizzare i bambini a piccoli gruppi e individuare uno spazio che garantisca condizioni di comfort acustico di base in cui sia facile ascoltare anche i suoni più lievi, e individuare una serie di materiali e di superfici diverse da esplorare individualmente attraverso le mani e le orecchie. Si possono proporre ai bambini pezzetti di stoffa, di plastiche da imballaggio, di carta e cartone e di fettuccia, mobili o attaccati a parete come speciali quadri d’ascolto, ma si possono esplorare anche pavimenti, finestre, armadietti, tavoli, tappeti, specchi. In questa organizzazione di gioco lo stetoscopio è davvero l’oggetto magico che consente di mettere in contatto diretto il corpo con gli oggetti esplorati: strofinandolo sulle diverse superfici i bambini scoprono sonorità granulose, soffici, lisce, ondulate, appuntite, spesso Musica Domani 129 – Dicembre 2003 in contrasto con l’idea che gli occhi e le mani si sono fatta. Vale dunque la pena di procurarsi uno strumento professionale (magari prestato da un pediatra collaboratore), al quale sarà utile affiancare molti altri stetoscopio-giocattolo di fabbricazione artigianale, facilmente realizzabili utilizzando un tubicino di gomma con inseriti alle estremità due rivetti di metallo acquistabili in ferramenta. Così come si visitano i materiali messi a disposizione nello spazio interno, si possono scoprire anche insolite forme sonore della natura quando si compiono uscite mirate, curiosando in giardino con lo stetoscopio come compagno di gioco che consente di catturare le voci dell’erba, delle cortecce, delle foglie, dei fiori. È molto importante che l’adulto che accompagna i bambini in questo percorso riesca a osservare in che modo l’ascolto guida i loro gesti e diventa elemento organizzatore dell’azione compiuta sui materiali, che via via risulta sempre più finalizzata a seguire la scia sonora creata dal movimento. Spesso, durante queste esplorazioni sonore, i bambini si fermano assorti, forse per ricreare uno spazio vuoto, il silenzio, sul quale poter riprendere poi a disegnare suoni, con piccoli movimenti della mano, a catturare le sensazioni uditive. È allora opportuno che l’adulto che accetta di giocare con loro, provi a farsi guidare dai loro sguardi, cercando di indovinare le emozioni che stanno dietro ai loro occhi, i desideri che guidano i loro movimenti, alternando l’ascolto attraverso lo stetoscopio professionale a quello più artigianale, per confrontare le differenti percezioni sonore. Per condividere le scoperte e facilitare la loro memoria, si potrà giocare a imitare con la voce i suoni che si sentono (tr tr, bz bz, dii dii dii), o anche utilizzare un microfono, strisciandolo sulle superfici e facendolo diventare una lente di ingrandimento uditivo che riesce ad amplificare e a dilatare i suoni, per focalizzare l’attenzione dei bambini sulla dimensione sonora dell’azione. Come ha sottolineato Delalande, l’utilizzo di un microfono consente infatti di separare il suono dall’atto che lo produce, trasformandolo in un oggetto esterno che il bambino può contemplare fino alla voglia di modificarlo e che, nel nostro caso, potrà diventare il modello di riferimento da confrontare con le ulteriori scoperte sonore che il gioco del dottore dei suoni permetterà di realizzare. 15 L’atelier dei piccoli Il dottore dei suoni Strumenti e tecniche Educare al rito musicale Recuperare e promuovere una didattica che preveda anche la ritualità come elemento importante nella pratica musicale può contribuire a migliorare prassi esecutive troppo fredde, riconsiderandone le componenti psico-corporee. Attraverso il racconto di un’esperienza realizzata in una classe di Pedagogia della musica, l’autore suggerisce alcuni elementi pertinenti al rito musicale. MAURIZIO SPACCAZOCCHI L’esecuzione di un brano è troppo spesso vista come qualcosa che va dalla prima all’ultima battuta di uno spartito musicale. Acusticamente parlando diremmo che questo spazio inizia con l’attacco della prima nota del brano e termina con il release o con il troncamento dell’ultima nota dello stesso. Questa idea di credere alla musica come a un evento astratto e isolato da eventuali altri coinvolgimenti umani trova i suoi più agguerriti fautori tanto nel comune e quotidiano ascoltare, quanto nella professionale e fredda pratica dell’analisi formale di un brano. Senza soffermarmi sulle motivazioni storiche e sociologiche che possono aver indotto l’ascoltatore comune o il colto analista all’assunzione di tali modelli mentali nei confronti della musica, affermo subito che tale ottica non può essere condivisa da una pedagogia della musica che si interessa tanto dell’educazione musicale quanto di una specifica didattica strumentale o vocale. E quindi, come persona coinvolta professionalmente all’interno di determinati parametri pedagogico-musicali, voglio subito dichiarare la base di questo mio intervento: ogni evento musicale è sempre la risultante di complesse e intersecate condotte psico-corporee. E sarà tanto più evento musicale quanto più al suo interno agirà una persona cosciente e attiva a livello psico-corporeo. Ecco allora che la musica non può più essere solo quella materia compresa in uno spazio fisico-acustico: la musica è ora quell’intero spazio compreso all’interno di ciò che una sana prassi esecutiva e un’umana pedagogia dovrebbero iniziare a definire come rito musicale. Credo sia giunto il momento in cui la pedagogia della musica presente all’interno delle pratiche di educazione, animazione, didattica dello strumento e del canto, possa prendere una chiara posizione nei confronti del fare musica e della produzione musicale in genere. Ogni brano cantato o suonato da bambini o da matu- ri studenti di musica non è più da intendersi come isolata azione esecutiva, ma come la somma di condotte psicologiche e gesto-corporee che vanno oltre l’atto musicale stesso. E questo affermo per ridare all’educazione e alle varie didattiche strumentali (colte o popolari che siano) quell’importante sfondo contenitore che credo si sia perso per effetto di una scolarizzazione che, nel tempo, si è sempre più resa asettica e raffreddante nei confronti del fare musica. Mi sto riferendo a quel contenitore che, grazie a condotte artistiche, creative ed emotive, sa rendere una qualsiasi pratica musicale attraente e magica, coinvolgente e convincente, com-presa e con-fusa sino al punto di riuscire a indossare quelle qualità tipiche del rito musicale che, in quanto tale, supera il coinvolgimento delle sole componenti musicali fisiche e acustiche, per richiedere la messa in scena di atti non verbali più ampi di quelli compresi all’interno di una normale prassi esecutiva. Sono quindi interessato alla promozione di una pedagogia musicale che sappia rendere rituale ogni azione sonora, che sappia rifuggire da un fare inteso come pratica risolutrice di soli atti tecnici, che coscientemente non sia più interessata solo allo sviluppo di condotte fisiche che, anche se corrette da un punto di vista tecnico-articolatorio, offrono alla produzione musicale la figura inaridita di un atto di manovalanza sonora. 16 Gli elementi del rito musicale Come individuare i possibili elementi pertinenti al rito musicale? Cominciamo a proporre al gruppo di lavoro l’audiovisione analitica di un qualsiasi concerto (classico, rock, jazz ecc.) che possa far emergere il maggior nuMusica Domani 129 – Dicembre 2003 Le condotte del rito musicale Condotte esecutive. Nel reale atto del suonare l’azione corporea di Jarret permetteva all’ascoltatore di individuare anticipatamente, e in modo abbastanza evidente, i vari gesti-causa che potevano dare origine e termine ai suoni: inizio del brano, avvio delle varie parti musicali, gesti anticipatori del tipo di energia sonora che poi sarebbe risultata sul piano uditivo, chiusure delle frasi, gesti indicatori delle azioni musicali legate e staccate, gesti o respiri indicatori di pause più o meno brevi o lunghe ecc. In questo specifico caso, se il musicista riesce a trasmetterci con i vari movimenti del corpo (più o meno ampi o contenuti) tutte queste notizie relative alla materia musicale con la quale si sta relazionando, ci dimostra pure di essere molto cosciente, preso e attento nei confronti di ogni sua gestazione fisica, mirata a essere la reale causa di vita e di morte del suono che sta per realizzare. Condotte fisiche. Durante l’attenta osservazione della performance musicale di Jarret abbiamo notato dei gesti che, sul momento, non riuscivamo a giustificare in modo così palese come avevamo fatto per gli altri. Ma dopo una discussione che ci ha portato a paragonare l’esecuzione musicale a una performance sportiva, molti di noi hanno ricordato come in certi momenti, ad esempio durante una corsa, si fanno moviMusica Domani 128 – Settembre 2003 menti che potremmo definire come defaticanti, rilassanti; o come in altri momenti prepariamo uno sforzo più evidente con una presa di fiato più consistente di quelle normali. In breve, ci siamo accorti che la spalla sinistra o il collo che Jarret di tanto in tanto roteava, non potevano che far parte di quei movimenti più o meno inconsci, mirati alla risoluzione momentanea di una tensione o di uno stress, dovuti ad esempio alla veloce azione ripetitiva di un ritmico e pesante ostinato eseguito con la mano sinistra. Le roteazioni delle spalle e del collo erano così frequenti da farci quasi intendere di essere di fronte a un pianista molto interessato al mantenimento di elasticità delle vertebre cervicali e dei muscoli trapezio e deltoide. E della stessa categoria erano i gesti di ampia curvatura della colonna vertebrale, o l’abbassamento dei gomiti al di sotto del piano della tastiera, così come l’allargamento delle braccia verso l’esterno ecc. Il jazzista Jarret dimostrava quindi di avere acquisito ormai quasi meccanicamente una coscienza psicofisica molto profonda, perché mentre suonava era in grado di azionare parti del suo corpo con lo scopo di produrre una sorta di ginnastica utile al giusto mantenimento tono-muscolare della sua azione corporea ed esecutiva. Condotte espressivo-emotive. Ogni attività umana, ogni azione pratica prevede una partecipazione, un coinvolgimento più o meno evidente e sentito dal produttore-esecutore stesso. In musica, questa com-prensione, si manifesta attraverso una condotta psicofisica di tipo emozionale: il suonatore, il cantante, il danzatore o il direttore d’orchestra sono in grado di comunicare, attraverso la vasta gamma espressivo-corporea, quanto sono presi, rapiti, abbandonati, innamorati dell’atto stesso che stanno realizzando. Questa partecipazione dimostra che l’uomo musicale è in grado di attivare anche una condotta psicofisica capace di aprire la porta a un fare musica a livelli superiori, cioè più com-presi e con-fusi all’interno di un atto che, grazie a questa ulteriore condotta, si trasforma da semplice e fredda pratica meccanica a calda, vitale e complessa azione crea-attiva. Il corpo non è più inteso come agente articolatore finalizzato alla sola pratica di produzione del suono, ma è corpo che vive ciò che sta per fare, che sta facendo e che ha finito di fare. E tutto ciò non potrà che dar vita a una musica realizzata in forma più armonica tanto sul piano tono-muscolare che in quello psicofisico generale. Così Jarret, mentre suonava il pianoforte, esprimeva il suo coinvolgimento emotivo: attraverso le più diverse espressioni del volto (facendo quelle che potremmo definire “le facce della musica”), mutando postura al capo, al tronco, alle spalle e alle gambe ecc. In breve il musicista, nell’atto stesso del mettersi nei panni di quella musica, si sintonizzava con più naturalezza verso l’assunzione di una fisicità che poteva di certo risultare più in armonia e più in sintonia con le richieste tecniche, formali ed espressive insite nell’evento musicale che stava realizzando. E lo stesso 17 Strumenti e tecniche mero di livelli psicologici, emotivi, fisici, tecnico-musicali, scenografici, coreografici, teatrali, utili per l’individuazione e la possibile formulazione di una didattica del rito in musica, come il filmato del Solo Concert tenuto anni fa al Teatro alla Scala dal pianista jazz Keith Jarret. Dall’audio-visione in gruppo, di questo o di altri video musicali, dovremo saper individuare e poi analizzare tutte quelle condotte psicofisiche che riteniamo importanti per la buona riuscita dell’evento in termini di coinvolgimento e attrazione, da parte dello spettatoreascoltatore, e di convinzione e credibilità esecutiva da parte del musicista. Per esemplificare questo tipo di percorso cercherò di riportare, in forma molto sintetica, i risultati del lavoro di gruppo svolto in un ciclo di lezioni di Pedagogia della Musica all’interno della Scuola di Didattica della Musica del Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro. Partendo dalla visione e dall’analisi del video musicale di Jarret, abbiamo cercato di mettere a fuoco le informazioni che trasmette, in veste più o meno inconscia, l’intera azione psicofisica che il pianista Jarret attiva durante la sua performance. Abbiamo potuto raccogliere le varie risposte all’interno delle seguenti condotte: esecutive, fisiche, espressivo-emotive, auditivo-percettive, moto-coreografiche, prossemiche, rituali. Ecco una sintesi esplicativa di queste principali condotte dedotte da un’attenta analisi delle azioni psicocorporee attivate da Jarret. Strumenti e tecniche ascoltatore, sulla base di questo mettersi nei panni musicali, non farà a meno di notare un’azione sonora e fisica che parlano della stessa emozione, dello stesso stato d’animo. Ecco come la magia e il rito musicale iniziano a prendere forma. Condotte auditivo-percettive. Mentre suonava, Jarret chiudeva spesso gli occhi e assumeva la postura tipica dell’ascoltatore attratto dal suono in termini di pura e semplice fisicità. Questo chiudere gli occhi e seguire il suono in una o in tutte le sue fasi evolutive di attack, dekay, sustain, release, ci può permettere di notare un’altra azione psicofisica di non poca importanza all’interno del contesto rituale esecutivo: il suonatore è tanto più cosciente e com-preso nel suo fare e nel suo essere in musica quanto più è in grado di controllare e partecipare auditivamente all’evento fisico-acustico che sta realizzando. Seguire a occhi chiusi il fraseggio melodico con il movimento del capo, i battimenti creati dall’accordo con il moto ondeggiante del capo, il sostegno sonoro con le spalle che si allargano, le pause e le note lunghe respirate col naso, il release vibratorio e sfumato dell’ultima nota o dell’ultimo accordo con la caduta graduale del capo verso la tastiera ecc. sono solo alcuni dei segni tipici di un ascoltare co-involto e molto frequenti in chi vuol entrare nei suoni attraverso un’intensa percezione. E gli occhi chiusi sono molto spesso il segnale di una audio-partecipazione tanto più complessa da assumere se si è anche esecutori nello stesso momento. Questo fare-sentire rende senz’altro più coinvolgente e magica l’azione esecutiva anche agli occhi degli spettatori. Condotte moto-coreografiche. Dall’esecuzione di Jarret è stato possibile evidenziare un’altra condotta di tipo moto-coreografica: il pianista, mentre esegue brani molto ritmici, di tanto in tanto, accenna passi di danza in stretta sincronia con l’andamento musicale. Questo aspetto, oltre a teatralizzare ulteriormente la modalità esecutiva di questo musicista, rende l’intera azione musicale più partecipata, presa anche con il corpo, resa agli occhi dei video-ascoltatori come un fare musica offerto dall’intero corpo, che alleggerisce pure l’azione esecutiva dal momento che il suonare è ora sovrapposto a un “danzare”. E, forse, chissà che l’atto stesso del commuovere non trovi in questa azione del con-muovere, cioè del muoversi con la musica, un’altra componente emotiva e primitiva del rito musicale? Condotte prossemiche. Ogni esecuzione è sempre il frutto di un gioco di rapporti che il musicista instaura con lo strumento musicale, e quanto più ne è cosciente tanto più questo gioco si esalta e diventa gesto utile alla buona riuscita dell’esecuzione stessa. Jarret è un campione di tale comportamento prossemico, infatti nella sua costante relazione spaziale con il pianoforte mette in azione tutte le distanze più distaccabili e tutte le più intime vicinanze. Questo pianista sembra comprendere con raffinatezza i momenti musicali in cui ritiene di dover esprimere questa intimità o questo distacco corporeo-spaziale con il pianoforte. 18 Jarret ci insegna inconsapevolmente a trattare un’esecuzione come fosse un incontro-dialogo tra strumento e persona, dove tutte quelle azioni di vicinanza e lontananza rendono più articolata e ricca la relazione stessa e dove si esaltano le letture emotive fra le azioni più intime e private e quelle più palesi e pubbliche. Ecco così un’altra condotta che può rendere l’atto di produzione musicale più centrato da un punto di vista espressivo e più carico di ulteriori aspetti tipici del rituale con i suoni. Condotte rituali. Il rito musicale, come tutti i riti, ha bisogno di realizzarsi all’interno di un contenitore formale ben definito. Ha bisogno di uno spazio psicologico e temporale che, oltre a contenere tutte le condotte che ho fin qui riportato, sappia indicare i reali confini del rito stesso: il momento iniziale e quello finale. E il reale momento di apertura e di chiusura del rito, come ho già detto all’inizio di questo scritto, non corrisponde al tempo di durata del brano ma, come vedremo, è più ampio. Jarret entra in scena, la gente applaude la sua presenza e, forse, questo per il pubblico è già un primo indice iniziale del rito. Ma il vero momento introduttivo del rito è un altro, è quello che Jarret crea nel momento in cui in silenzio si siede… curva la schiena verso la tastiera e a occhi chiusi, sempre in silenzio… e sempre fermo… quasi senza respirare… crea quello che mi verrebbe da definire il sipario psicologico d’entrata nel rito. È questo il momento magico in cui il pubblico si blocca, ammutolisce, cambia respiro perché comprende che questo è il punto di passaggio che dalla realtà vola verso il fantastico, il creativo, l’irreale. Allo stesso modo, quando il release dell’ultima nota del brano non si percepirà più, il corpo di Jarret rimarrà ancora fermo… silenzioso… come in un breve sonno… per poi azionarsi in un propedeutico atto di rilascio psicofisico prima del suo risveglio-ritorno. Queste azioni del dopo-suono fanno parte di quel sipario psicologico d’uscita dal rito. Un’uscita che indica al pubblico il momento di passaggio dalla magia alla realtà e che, subito dopo, stimolerà il gratificante battito di mani. Verso una didattica del rito musicale Dopo questa sintetica presentazione degli elementi musicali e paramusicali che contribuiscono alla nascita del rito in musica potremmo iniziare a porci molte domande: quanto è importante la partecipazione forte ed emotiva per realizzare questa globalità musicale? Come creare una didattica di questi eventi? Quanto è importante credere in quello che si fa per dare vita a quello che c’è di noi oltre la musica? Come stimolare la coscienza del sipario psicologico di apertura e di chiusura? Come invitare alla preparazione della causa fisica? Come invitare alle re-azioni fisiche nei confronti dei vari parametri musicali? Come creare una coscienza del rilascio psicofisico? Quali musiche far ascoltare e vedere per meglio evidenziare questi eventi? Quali strumenti far usare per meglio entrare in questi eventi? Musica Domani 129 – Dicembre 2003 Aprire e chiudere i sipari psicologici del rito musicale. Presentarsi in scena, disporsi in silenzio davanti a uno strumento e iniziare a prendere un postura fisica di concentrazione e di preparazione all’atto musicale. Dai segnali psicofisici che l’ipotetico esecutore realizzerà, un gruppo di compagni osservatori dovrà essere in grado di capire e indicare in modo chiaro l’avvenuto passaggio climatico. In breve se si è aperto o no il sipario d’entrata psicologica nel rito. E per chiudere il sipario d’uscita dal rito musicale, potremmo invitare lo stesso ipotetico interprete a battere un colpo sul tamburo o a suonare un accordo (o una cadenza di accordi) o a cantare una nota finale per poi lasciar sfumare il tutto e subito dopo mettere in azione il corpo per realizzare il giusto rilascio psicofisico per creare questo sipario psicologico finale. Anche in questo caso l’attenta osservazione del gruppo potrà funzionare come una valida verifica della condotta psicofisica e sonora realizzata. Preparare i gesti d’attacco e di chiusura del suono. Porsi davanti a un flauto dolce, un tamburo, uno xilofono, un pianoforte o in atto di cantare e, con le parti del corpo più coinvolte, anticipare e amplificare le movenze che subito dopo andranno a realizzare l’attacco del suono. Questi gesti-causa potranno essere svolti, a poco a poco, in forma sempre più mirata: un gesto evidente per un attacco sonoro deciso e forte, per un attacco deciso e debole, per un attacco piano e ritardato ecc. Le stesse modalità, se pur con gesti diversi, potranno essere svolte nel momento di sfumatura o di chiusura improvvisa del suono prima “attaccato”. Sarà sempre bene che il giovane esecutore (o il musicista) dichiari anticipatamente le sue intenzioni (es. Ora vorrei attaccare il suono così… e poi terminarlo così…) di fronte a un gruppo di uditori che potranno subito dopo riferire l’efficacia del gesto-causa in rapporto al suono-effetto. Tutte queste azioni gesto-sonore potranno anche essere svolte in gruppo, come ad esempio si potrebbe fare con un’intera classe che, con delle percussioni, potrebbe tentare di teatralizzare dei gesti-causa per realizzare un rullio con attacco sfumato che, dopo circa venti secondi in crescendo vada a troncarsi su un fortissimo, con una gestualità del gruppo molto chiara ed evidente. Ascoltare lo sviluppo del suono e seguirlo con il corpo. Trasmettere con un ottimo impianto di diffusione un breve brano musicale invitando un partecipante ad ascoltarlo a occhi chiusi, mentre un gruppo di osservatori-uditori studierà le sue diverse movenze: capo diretto verso la fonte sonora, capo e/o spalle che Musica Domani 129 – Dicembre 2003 seguono i movimenti melodici o ritmici, respirazioni o movimenti in sintonia con i fraseggi, dondolamenti del corpo che seguono i release sonori, contrazioni e rilassamenti tono-muscolari in rapporto alle diverse energie musicali ecc. Un passo più avanti si potrà realizzare facendo suonare o cantare a occhi chiusi un breve motivo a memoria e, con il corpo, dimostrare di seguire uno o più parametri sonori di ciò che si sta eseguendo. Subito dopo ogni esecuzione, al gruppo di osservatori-uditori spetterà il compito di rispondere alla seguente domanda: che cosa seguivano della musica le varie gestualità più o meno evidenziate dai vari esecutori (scansione isocrona, fraseggio ritmico e/o melodico, le espressioni dinamiche, il legato o lo staccato, l’attacco o le sfumature del suono, gli accenti, gli ambiti sonori ecc.)? Pronunciare con il corpo i silenzi musicali. Mentre si canta o si suona una melodia ricca di pause di diversa durata, invitare i singoli esecutori a “pronunciare” questi silenzi con appoggi o scatti del corpo, con respiri più o meno lunghi. Tutto il gruppo dovrà conoscere molto bene la melodia che l’interprete sta eseguendo, perché poi avrà il compito di indicare quanto e come le pause siano state pronunciate dal corpo. Avvicinare e allontanare il proprio corpo dallo strumento durante l’esecuzione. Ogni strumento ha una sua forma che permetterà tutta una serie di avvicinamenti e di allontanamenti che possono promuovere non solo il livello espressivo, ma anche quello tecnicoesecutivo. Per esempio, i rapporti di vicinanza o di lontananza che un pianista può avere con il suo strumento saranno probabilmente ben diversi da quelli che può istituire un violinista o un suonatore di armonica a bocca o di flauto dolce o di percussioni. Per questo sarà bene proporre ai singoli partecipanti diverse prove di avvicinamento verso lo stesso strumento e verso strumenti sempre diversi, per poi dare risposta alle seguenti domande: quale tipo di azione sonora si potrà meglio realizzare nelle diverse distanze e perché? Quando avvicinarsi molto e quando mantenersi a una corretta distanza da quello stesso strumento e perché? Perché il violino suonato in maniera classica si contatta molto più da vicino che il violino suonato alla maniera folk (appoggiato sul petto o sulla gamba)? Gesti defaticanti durante il suonare. Partendo dal principio che ogni attività dovrebbe essere fatta esercitando il minimo sforzo per ottenere il massimo risultato, inviteremo subito i vari esecutori a fare prove d’attacco, con la voce e con gli strumenti, di un suono fortissimo, mantenendo sempre una fisicità più rilassata e meno sforzata possibile. Per fare ciò sarà bene invitare i singoli esecutori a esprimere anticipatamente al gruppo la qualità e la tipologia fisico-meccanica che hanno di volta in volta intenzione di realizzare. Quando avremo raggiunto buoni risultati con questo attacco fisicamente “economico”, passeremo alla realizzazione di azioni defaticanti all’interno della produzione sonora: cantare una nota lunga e, nello stesso 19 Strumenti e tecniche Quali parametri sonori far produrre per la messa in scena fisica di questi eventi? Quali suoni, frammenti sonori e brani musicali far eseguire per realizzare questa globalità esecutiva interpretativa? Naturalmente dalle nostre lezioni sono nate alcune proposte operative in grado di dare una risposta, almeno parziale, a un buon numero di queste domande. Strumenti e tecniche momento, cercare di trovare le posture del corpo più rilassanti e sempre meno tese. Per memorizzare meglio questa azione fisico-sonora sarà bene anche far fare il contrario: invitare i partecipanti a cantare la stessa nota lunga, cercando di assumere con il corpo una tensione che manda in crisi l’emissione vocale stessa. Questa azione potrà essere seguita, subito dopo, dall’assunzione della giusta e spontanea postura. Con gli strumenti musicali si potrà applicare la stessa tattica operativa: eseguire un lungo rullare al tamburo e, durante l’azione esecutiva trovare, con le mani, le braccia, le spalle, il collo, il capo, il busto, le gambe e la respirazione, la postura o le posture più rilassanti e quindi più idonee a far sviluppare nel tempo quella stessa azione musicale. Così una melodia, una struttura armonico-accordale, una ritmica ostinata ecc. potranno essere eseguite nei vari strumenti con il compito di ricercare e di prendere coscienza dell’azione fisica personale più economica e naturale, più facilitante l’atto stesso di produzione e di prosecuzione dell’azione musicale o sonora. Partecipare emotivamente alla produzione sonora. La prima proposta non può che essere a sfondo decondizionante e cioè mirata a facilitare l’esternazione emotiva da parte di tutto il gruppo e dei singoli. Per esempio, far ascoltare una musica che espone un buon numero di mutazioni emotive e invitare tutte le persone del gruppo a “fare la faccia e il corpo” di questi diversi stati d’animo. A poco a poco sarà bene tramutare questa attività di gruppo in attività individuale, invitando il singolo a mettere in scena, davanti a tutti, i diversi livelli emotivi espressi da una sola musica o da un collage di brani emotivamente variegati. Quando si dimostrerà di aver raggiunto un decondizionato livello di espressività emotiva si potrà passare all’esecuzione musicale: ogni partecipate si presenterà davanti al gruppo per suonare o cantare una melodia che ritiene essere indicatrice di un tipico stato emotivo. Prima di suonare o di cantare dichiarerà al gruppo il carattere emotivo che andrà a realizzare sia con l’esecuzione musicale che con il suo coinvolgimento psicofisico. Al termine di ogni esecuzione il gruppo prenderà la parola per indicare quanto quel carattere emotivo sia emerso o meno e quanto il corpo dell’esecutore lo abbia espresso correttamente. Sempre in questa direzione si potrebbero stimolare esecuzioni dello stesso brano secondo il principio degli esercizi di stile emotivi, invitando l’interprete, per esempio, a suonare o a cantare il brano come se fosse calmo, arrabbiato, ammalato, spaventato, sognante, preciso e puntiglioso ecc. Danzare la propria esecuzione. Questo aspetto coreografico può essere più o meno presente nell’esecuzione musicale e deve essere interpretato all’interno di esigenze musicali che vanno dal naturale e istintivo bisogno personale di espressione sincro-ritmico-motoria alla teatralizzazione del corpo in musica. Naturalmente questo ampio campo di manifestazione del corpo danzante sulla musica si adatterà pure alle diverse esigenze degli altrettanto diversi repertori e generi musi20 cali. Nel nostro caso, sarà comunque bene cercare di praticare tutto il campo della sincronizzazione ritmicomotoria sia per arricchire le potenzialità espressive dei partecipanti e sia per meglio abituarli a entrare nelle varie forme del rito in musica. Come prima cosa, attraverso l’ascolto di musiche molto diverse sul piano ritmico e motorio, potremo stimolare i partecipanti a improvvisare in gruppo e da soli danze estemporanee, possibilmente libere da ogni forma coreografica nota. Questa prima attività d’improvvisazione corporea sulla musica avrà il preciso compito di permettere ai singoli di esprimere, almeno a tempo, movimenti con una o più parti del corpo. Quando poi si passerà all’esecuzione musicale, come prima proposta, si potranno realizzare melodie cantate o suonate con un evidente andamento ritmico di danza sul quale ogni esecutore potrà produrre, in parte o per tutta la durata del brano, una motricità in perfetta sincronia con l’andamento ritmico delle frasi o con la scansione isocrona del brano stesso. Un passo più avanti verrà fatto nel momento in cui inviteremo ogni partecipante a eseguire una melodia vocale o strumentale poco motoria, poco legata a un andamento ritmico-isocrono, per notare come sia possibile attuare momenti “danzanti” durante l’esecuzione. Infine, ogni proposta in questa direzione, dovrà invitare il gruppo a porsi sempre la seguente domanda: quali gesti danzanti sono praticabili dal suonatore o dal cantante in rapporto al brano musicale da eseguire, senza intaccare la qualità dell’esecuzione? Le prove del rito musicale. A questo punto ogni esecutore sceglierà un brano da eseguire in forma solistica applicando, sin dove è possibile, tutti i momenti fin qui realizzati. Il gruppo di osservatori-uditori, al termine di ogni esecuzione, indicherà gli aspetti del rito musicale che più o meno sono stati espressi con cura o con superficialità. Subito di seguito, sarà questa volta l’intero gruppo di partecipanti che, in un’esecuzione musicale d’insieme, dovrà decidere di esaltare tutti o alcuni aspetti del rito che qui abbiamo preso in considerazione. In occasione di quest’ultima esperienza sarà bene videoregistrare tutta l’azione rituale musicale, per poi analizzarla e valutarla in gruppo. Ridare alla musica la sua stupefazione Per concludere queste mie riflessioni pedagogiche e didattiche, non posso fare a meno di invitare tutto il mondo dell’educazione musicale, di base e professionale, a recuperare e promuovere una didattica dell’azione musicale in termini di ritualità, cercando così di superare l’idea di musica come fredda prassi esecutiva. Il piacere, il desiderio, l’attrazione per la musica come fosse un vero atto d’amore avrà la sua grande storia e la sua umana ricchezza quanto più riusciremo a far vivere nella mente e nel corpo dei nostri figli le pratiche del suonare e del cantare come incomparabili e insostituibili momenti di vita stupefacente. Musica Domani 129 – Dicembre 2003 L’Assemblea Nazionale Ordinaria dei Soci è convocata domenica 14 marzo 2004 a Rimini, presso l’Istituto Musicale Pareggiato “G. Lettimi”, via Cairoli 44 (dalla stazione 10 minuti a piedi o autobus linee 2, 19, 21, fermata Valturio; 7, 15, 16, 17, fermata Saffi) alle ore 9.00 in prima convocazione e alle ore 9.30 in seconda convocazione. Ordine del giorno: relazione del presidente uscente; relazione della segretaria uscente; relazione della responsabile delle sezioni uscente; presentazione del bilancio consuntivo 2003; presentazione del bilancio preventivo 2004; elezione della commissione elettorale e votazione per le cariche dell’associazione, biennio 2004-2005; varie ed eventuali. I Soci che fossero impossibilitati a intervenire possono farsi rappresentare da altri Soci, munendoli dell’apposita delega (qui acclusa) debitamente compilata. Non sono ammesse più di tre deleghe per Socio. I partecipanti sono tenuti a esibire la tessera d’iscrizione alla Siem. I Soci Sostenitori con personalità giuridica possono essere rappresentati dal rispettivo titolare oppure delegato munito di attestato nominale. La presente comunicazione costituisce regolare convocazione dell’Assemblea come da art. 9 dello Statuto. Nel pomeriggio seguirà il Collegio dei presidenti delle sezioni territoriali. CANDIDATURE PER LE CARICHE SOCIALI CONSIGLIO DIRETTIVO NAZIONALE LUCA BERTAZZONI – È titolare della cattedra di Pedagogia musicale presso il Conservatorio “G.B. Pergolesi” di Fermo (AP). Violinista, saggista, caporedattore e collaboratore di riviste musicali, relatore in numerosi convegni, è progettista e coordinatore di laboratori musicali e di corsi di formazione, aggiornamento e specializzazione professionale per conto di enti locali, istituzioni scolastiche e associazioni culturali (A.I.M.C., AS.P.E.I., C.I.D.I.). Nell’ambito delle attività della Siem, ha partecipato in qualità di membro del Comitato tecnico-scientifico dei Corsi estivi di Rimini 2003 e membro del Comitato scientifico (e moderatore della Tavola rotonda) del Convegno nazionale su “La musica nella scuola primaria tra sperimentazioni e riforma” (Rimini, 2003). MAURIZIO CERQUA – Laureato al DAMS di Bologna con una tesi sulla didattica musicale nel circondario riminese, è docente di chitarra e storia della musica presso l’Istituto Musicale Pareggiato “G. Lettimi” di Rimini e collabora a cicli di conferenze su tematiche musicali. È stato membro della Commissione Consultiva Musica del Comune di Rimini e cura la redazione dei programmi di sala per la Sagra Musicale Malatestiana. Dal 1988 è segretario nella sezione territoriale Siem di Rimini. Membro del Consiglio direttivo nazionale uscente. AUGUSTO DAL TOSO – Insegnante di Educazione musicale nella scuola media. Già presidente della sezione di Vicenza. Responsabile di Siem-online. Membro del Direttivo Nazionale uscente. Esperto di progettazione didattica, docente in corsi di aggiornamento per insegnanti. DARIO DE CICCO – È diplomato in Pianoforte, Didattica della Musica e Musica Corale e Direzione di Coro. Svolge attività di insegnante nella scuola media e libero-professionale in vari ordini di scuola. È referente per la regione Liguria del periodico Bequadro edito dal Centro di Ricerca e di Sperimentazione per la Didattica musicale di Fiesole. È presidente della sezione Siem di La Spezia. ANDREA PAOLUCCI – Insegnante di Educazione musicale nella scuola superiore. Già segretario della sezione di Milano. Responsabile della commissione nazionale di studio Siem incaricata di seguire il riordino del sistema scolastico e fornire indicazioni curricolari per i diversi ordini di scuola (indirizzi non musicali). MARIA MADDALENA PATELLA – È insegnante di Educazione musicale nella scuola media e si occupa di didattica della musica, formazione e aggiornamento dei docenti. Segretaria nazionale uscente, è responsabile dei corsi estivi della Siem, collabora alla redazione di Siemonline, è presidente della sezione territoriale di Rimini. ANNA MARIA PRINZIVALLI – Insegnante di Educazione musicale nella scuola media. Presidente della sezione di Palermo, specializzata in didattica della musica, esperta in progettazione, promuove nel proprio territorio corsi di musica di base per bambini ragazzi e adulti presso strutture pubbliche e private. Ha esperienza di aggiornamento docenti. Membro del Direttivo Nazionale uscente. Musica Domani 129 – Dicembre 2003 ANNIBALE REBAUDENGO – È Presidente nazionale Siem uscente. Docente di Pianoforte presso il Conservatorio “G. Verdi” di Milano, insegna anche Didattica del pianoforte in corsi d’aggiornamento. Scrive su Musica Domani e ha pubblicato saggi sulla didattica strumentale per le edizioni Cappelli, EDT, ETS, Ricordi. Fa parte del gruppo di studio ministeriale che progetta il nuovo liceo musicale e coreutico. Affianca all’attività didattica e di studio quella concertistica in paesi europei ed extraeuropei. COLLEGIO DEI PROBIVIRI CARLO DELFRATI – Insegnante di Metodologia della didattica musicale presso la SILSIS di Cremona. Già presidente nazionale della Siem (1969-1977); vicepresidente (1977-1990). Membro del Collegio dei probiviri uscente. Docente in corsi di aggiornamento per insegnanti. PAOLA FACCIDOMO – Diplomata in pianoforte, insegnante di Educazione musicale nella scuola media. Formatrice IRRE e docente in numerosi corsi di aggiornamento per insegnanti. Membro del Consiglio Direttivo Nazionale Siem dal 1992 al 2000; presidente della Sezione Territoriale Siem di Marsala dal 1985 al 1997 e dal 2003 a oggi. Membro del Comitato tecnico-scientifico dei Corsi estivi della Sicilia e Direttore dei Corsi estivi organizzati dalla sezione Siem di Marsala. È curatrice del volume Strumenti e oggetti sonori edito da Ricordi. ESTER SERITTI – Ha svolto docenza nelle scuole medie inferiori e superiori e nei corsi propedeutici presso l’istituto musicale pareggiato “A. Peri” di Reggio Emilia. Si è dedicata alla ricerca etnomusicologica, curando la registrazione di molti documenti di tradizione orale del mondo infantile. Docente in seminari di aggiornamento per insegnanti, è autrice e coautrice di numerose pubblicazioni. È membro uscente del Consiglio Direttivo Nazionale. Partecipa alle attività della Siem sin dal 1969. COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI FRANCESCA PAGNINI – È docente di flauto presso il conservatorio “G.B. Martini” di Bologna. Oltre all’attività concertistica si è dedicata ad approfondire problemi inerenti alla didattica strumentale. Ha partecipato come relatrice a convegni internazionali. CECILIA PIZZORNO – Svolge da anni attività di animazione musicale per bambini e ragazzi e corsi di propedeutica musicale. Esperta di progettazione didattica, docente in corsi di aggiornamento per insegnanti. Già presidente della sezione di Savona. Membro del Direttivo Nazionale uscente. JOHANNELLA TAFURI – È docente di Pedagogia musicale presso il Conservatorio di Bologna e nella Scuola di specializzazione all’Insegnamento Secondario (SSIS) dell’Università di Bologna. Docente in corsi d’aggiornamento per insegnanti sulla pedagogia, psicologia e didattica della musica, nonché sulla metodologia della ricerca per l’educazione musicale, collabora con numerose riviste italiane e straniere, ed è autrice di diversi volumi. Attualmente è presidente della Commissione internazionale di ricerca dell’ISME. Membro uscente del Collegio dei Revisori dei conti. 21 Assemblea Siem dei soci della Società Italiana per l’Educazione Musicale ASSEMBLEA NAZIONALE ASSEMBLEA NAZIONALE Danze a scuola Quadriglia americana [USA] Il materiale grafico di queste pagine (in formato pdf) e la realizzazione, con strumentazione sintetica, della partitura (in formato midi) si possono scaricare dalle pagine Web della Siem: www.siem-online.it. EMANUELA PERLINI – DAVIDE ZAMBELLI Posizione di partenza: fila di coppie, il cavaliere tiene la dama alla propria destra. Introduzione: 4 misure La quadriglia americana deriva dalla quadriglia francese, nella sua forma più popolare. Questa danza era ballata sulle melodie più in voga al momento. Oltre alle due indicate si possono utilizzare Oh, Susanna, Glory Halleluya, Red River Valley, Loch Lomond. Le figure sono numerose e varie, e in genere sono chiamate dal maestro di danza in un francese maccheronico. Ne indichiamo alcune, tra le più semplici e di immediata esecuzione. 22 1. Promenade attorno alla sala; 2. le coppie si separano, la dama gira a dx, il cavaliere a sx; 3. file di coppie: le coppie dispari girano a sx, le coppie pari a dx; 4. le due file di coppie si uniscono in una fila di quattro; 5. una quadriglia va a sx, la successiva a dx; 6. si formano file di 8 che si fermano occupando tutta la sala; 7. il cavaliere che si trova a sx nella prima fila dirige una serpentina passando tra la varie file, i ballerini rimangono allacciati con mano, l’ulMusica Domani 129 – Dicembre 2003 Danze a scuola timo di una fila dà la mano al primo della successiva, rispettando la fronte; 8. farandola: il capofila stringe il cerchio, arrivato all’interno girandosi svolge il cerchio. Proposte di lavoro. Attività di movimento. Gli alunni, divisi in gruppi, vengono invitati a individuare una successione di figure, riorganizzando quelle proposte dall’insegnante o creandone altre. È interessante stimolare il confronto tra i vari gruppi e la successiva rielaborazione delle proposte, per arrivare a una coreografia finale. Attività strumentali. La melodia Drunken Sailor, che si basa su una struttura armonica elementare, si presta a essere utilizzata come stimolo per un lavoro sulla variazione. Gli alunni possono Musica Domani 129 – Dicembre 2003 intervenire sul ritmo e sulle note rimanendo nell’ambito armonico, come da prassi esecutiva della musica popolare. Proposta esecutiva. In base alla coreografia che si intende costruire, si possono alternare le due melodie o aggiungerne altre a piacere. Le percussioni vengono variate di conseguenza, sempre basandosi sul ritmo di marcia. L’accompagnamento di Drunken Sailor è molto semplice e immediato, perché basato sull’alternanza di due accordi, e quindi facilmente individuabile anche dagli alunni. Drunken Sailor – struttura armonica Discografia. Yankee Doodle, Fidulafon 1192. 23 Pratiche educative Il punto sonoro: un approccio al pianoforte La delicatissima fase dell’approccio al pianoforte viene affrontata con una riflessione didatticamente articolata e attraverso spunti di lavoro tratti anche dagli scritti di Kandinsky. ELENA INDELLICATI Se l’insegnamento della musica e il ruolo educativo che essa ricopre fuori e dentro la scuola pubblica sono oggi al centro dell’interesse di musicisti e pedagogisti, di insegnanti e osservatori del mondo musicale, è necessario soffermarsi a riflettere su alcuni nodi importanti che tale argomento racchiude. La ricerca in ambito didattico e metodologico, infatti, ha necessità di trovare nel proprio cammino l’occasione di diventare patrimonio comune e condivisibile, di segnare un punto di arrivo che si trasformi a sua volta in nuovo punto di partenza. Tra gli aspetti centrali trova un posto di riguardo lo studio della musica in età infantile, in quanto – è ormai convinzione comune – i primi passi che un bambino compie verso la conoscenza di uno strumento musicale sono determinanti per il suo futuro di musicista o di semplice amateur della musica. Il primo approccio alla pratica strumentale, questo il titolo del convegno della Siem svoltosi a Perugia dal 14 al 16 settembre del 2001 e di cui ritroviamo l’ideale prosecuzione nel Quaderno n. 18 della Siem curato da Anna Maria Freschi, ha tracciato una panoramica esauriente proprio riguardo a tale questione che riteniamo fra le più delicate e attuali dell’insegnamento strumentale. Prospettive storiche e esperienze sul campo, sguardi dall’alto e riflessioni metodologiche hanno scandito la tre giorni perugina, ma soprattutto hanno esaminato a trecentosessanta gradi le problematiche legate allo studio della musica nei bambini piccoli. Il dibattito non si deve fermare però al convegno, all’incontro importante ma circoscritto di un gruppo di addetti ai lavori; deve proseguire invece fra le mille e mille realtà scolastiche italiane, le quali possono in tal modo contribuire ad arricchire e allargare il dialogo in questo territorio di ricerca e di indagine in continuo divenire. L’esperienza individuale dovrebbe infatti aprirsi il più possibile al confronto, allo cambio di idee e costituire occasione di cre- scita per sé e per altri docenti disponibili a mettersi in gioco. Questo consentirebbe infatti di evitare che il proprio percorso didattico diventi una nicchia entro cui rifugiarsi e che le proprie certezze si cementifichino in solidi quanto inattaccabili arroccamenti metodologici. «L’esperienza è una forma di paralisi» sosteneva Erik Satie. Il mercato editoriale, dal canto suo, alimenta frequentemente una sclerotica produzione di pubblicazioni spesso molto simili fra loro e che, in parte, contribuiscono a limitare e imbrigliare la fantasia e la libertà di allievi e insegnanti: se da una parte troviamo i metodi cioè «opere didattiche in cui la materia è presentata in modo sistematico, secondo un ordine di difficoltà»,1 dall’altra compaiono invece le antologie: raccolte cioè di brani di numerosi autori senza pretese didattiche anche se spesso ordinate in fascicoli progressivi. Al di là della valenza didattica dei vari metodi esistenti, l’utilizzazione di uno di essi può comportare diversi problemi quali la fossilizzazione su un unico linguaggio o il passaggio acritico da un metodo all’altro. Senza considerare che il metodo presuppone un accrescimento di difficoltà fra un brano e l’altro. In questo modo invece esso perde di fatto le sue connotazioni specifiche e viene usato alla stregua di un’antologia. In ogni caso vale la pena rimarcare che «non esiste il “metodo-miracolo” il quale sollevi l’insegnante dal suo vero compito, quello cioè di individuare un’appropriata quanto valida strategia personale e differenziata».2 La riflessione in merito all’approccio strumentale per alunni nella prima infanzia deve incentrarsi sul punto di vista, o meglio, di ascolto di ogni singolo bambino, la cui unicità deve determinare di volta in volta le scelte dell’insegnante relativamente ai percorsi educativi da intraprendere. Proprio per questa ragione chi scrive ritiene importante ricordare come lo studio di uno strumento 24 Musica Domani 129 – Dicembre 2003 Musica Domani 129 – Dicembre 2003 Musica a colori Le proposte che seguono sono piccoli tasselli di un ideale percorso metodologico, pensato per avviare al pianoforte un gruppo di bambini di otto anni che frequentano il primo anno del corso triennale di avvio al pianoforte presso l’istituto A. Corelli di Cesena (FC). Introdotte a metà dell’anno scolastico, le attività riprendono alcuni giochi senso-motori proposti all’inizio del corso. In questa fase incentriamo il nostro interesse verso un rapporto “extra-ordinario” con la scrittura musicale, che si affranca, almeno nella fase iniziale, dal linguaggio standardizzato e convenzionale della cultura occidentale. Il linguaggio “a colori” che proponiamo si pone in maniera critica rispetto alle tinte «incolori», «silenziose»3 – il bianco e il nero, cioè –, che per ovvie esigenze percettive, si utilizzano nella musica scritta. I due non-colori per eccellenza acquistano infatti, fin dai primi approcci con la musica, un ruolo privilegiato, assoluto, ma allo stesso tempo riduttivo rispetto alle mille sfumature del suono, all’arcobaleno dei timbri, alle caleidoscopiche variazioni sonore. Inoltre, il binomio nota-suono, assurto ad assioma inconfutabile nella nostra cultura, non è altro che un artificio, in quanto la nota appiattisce, uniforma e standardizza la vera essenza multiforme del suono, la cui intrinseca natura impone di non essere mai uguale a se stesso, a meno che la sua riproduzione non avvenga artificialmente. Suona pensando che il nome del tuo strumento sia alto-basso, lento-veloce, piano-forte: dopo aver sollecitato sia a livello verbale che motorio il gioco fonosimbolico delle parole (i bambini, sparsi nell’aula, danno corpo e suono alle parole di significato opposto, ribaltandone l’ordine, trasgredendone la logica sequenza), l’allievo prosegue l’esperienza sull’intera tastiera, alla scoperta dell’ampia gamma sonora e timbrica del pianoforte. Risulta più didascalica l’esecuzione in chi cerca di evidenziare tutti gli aspetti richiesti, mentre chi ha privilegiato un solo parametro tra quelli di altezza, durata, intensità, evidenzia una maggiore libertà esecutiva. Ora, con i colori a china soffiati con una cannuccia, rappresenta sul foglio la tua improvvisazione musicale; di seguito dai un titolo al disegno e risuona il tuo spartito di colore. Dopo l’esecuzione compiuta da tutti i bambini presenti (di solito da tre a sei), rendiamo visibili sulla carta le singole improvvisazioni; usiamo quindi dei colori a china, spruzzati con una cannuccia, e immaginiamo di ricreare tramite il colore le situazioni musicali evocate nella performance precedente. Se durante le esecuzioni si sarà posta attenzione all’uso di tutta la tastiera, sarà facile individuare tre fasce di altezze: al registro grave abbineremo il colore blu, a quello medio il rosso e a quello acuto il giallo, secondo la «teoria orizzontale dei colori» che Kandinsky riporta nel suo saggio Punto Linea Superficie.4 Dagli schizzi di colore ricaviamo strisce, punti colorati più o meno intensi, di diametri differenti, nei quali possiamo riconoscere elementi del linguaggio tradizionale, quali cluster, glissando o sin25 Pratiche educative rischi di essere a volte solo un fine per istruire e non un mezzo per educare. Lo studio di uno strumento come fine, in bambini dai tre ai cinque anni circa, può diventare una forma sterile e vuota di mero esercizio meccanico. È giusto quindi porre un distinguo fra il concetto di studio, il quale non può precedere di troppo l’età scolare, e un approccio alla musica in cui lo strumento musicale assuma inizialmente la funzione di un qualsiasi mezzo di produzione sonora. In questo caso pensiamo possa essere affrontato anche molto presto per divenire solo in seguito un percorso consapevole e strutturato sullo strumento. Determinare però hic et nunc l’età minima da cui partire per avviare il bambino all’apprendimento strumentale è impresa assai difficoltosa e dipende in genere da diverse variabili, quali, per esempio, gli stimoli provenienti dalla famiglia e dall’ambiente circostante e ancora, la disponibilità del bambino a accettare il gioco guidato dall’insegnante. Fondamentale è inoltre l’inscindibile rapporto con l’adulto-genitore e in particolare con la madre, soprattutto se ci si trova di fronte a un bambino in età prescolare. Il gioco guidato deve infatti continuare e rafforzarsi tra una lezione e l’altra; dunque la presenza a casa dell’adulto che prosegue il percorso avviato dall’insegnante può rivelarsi determinante ai fini dell’apprendimento. L’aspetto centrale sui cui si focalizza l’intera problematica dell’insegnamento strumentale ai bambini piccoli è tuttavia quello relativo al percorso metodologico, il quale non deve prescindere dalla globalità delle esperienze – sonora, visiva, motoria, tattile, emozionale – che un bambino vive nella sua quotidianità. Le conte imparate all’asilo, le canzoncine apprese alla televisione, i personaggi fantastici delle fiabe possono essere utili punti di partenza da cui sviluppare una serie di attività, quali l’improvvisazione (raccontiamo con i suoni la storia di Biancaneve), l’imitazione (suoniamo il girotondo), la produzione sonora di unità grafico-pittoriche: dall’esperienza motoria del muoversi liberamente su uno stimolo sonoro proposto dal docente, alla realizzazione di una partitura informale fino alla sua produzione sullo strumento. In bambini in età scolare, la lezione collettiva in piccoli gruppi di due o tre allievi, alternata a quella individuale, è senza dubbio un’occasione importante per sviluppare percorsi comuni con lo scopo di approfondire la capacità di ascolto di sé e degli altri. In sintesi, la ricerca di percorsi trasversali nel primo approccio alla pratica strumentale, non esclude nulla, a nostro parere, come anche la stessa strada della gradualità, cioè della concezione lineare dell’apprendimento strumentale, vista però con atteggiamento critico e consapevole. Per evitare di percorrere un’unica via, quella sperimentata e battuta più e più volte, è preferibile tenere aperti più sentieri di indagine anche se inesplorati e apparentemente portatori di difficoltà, di dubbi, di ripensamenti, ma che si traducono invece in reali occasioni di scoperta e di crescita. Pratiche educative Tavola 1 gole note. Una rilettura al pianoforte di questo spartito di colore potrà permettere di ricercare il suono, ora abbinato a un colore, oppure all’intensità o alla grandezza della macchia (tavola 1). Invitiamo i bambini a dare un titolo al proprio quadro astratto. Rappresentare un’immagine concreta e descrittiva di un paesaggio, di un’atmosfera, di un’azione, li coinvolge a tal punto da incoraggiarci a proseguire l’esperienza. Decidiamo perciò insieme a loro di unire due immagini scaturite dalle rispettive improvvisazioni e dare vita a una sorta di dittico grafico-sonoro (temporale estivo, l’arcobaleno, tavola 2), rappresentato graficamente e suonato da tutti i bambini. Il disegno rappresenta una guida sufficientemente chiara per ricostruire nella memoria il proprio percorso sonoro, di seguito però nasce l’esigenza di formalizzare le idee musicali proposte perché tutti siano in grado di condividere le rispettive composizioni riguardo a altezze e durate (tavola 3): la scrittura tradizionale è in questo caso non più fine ultimo, ostacolo fra compositore e esecutore, ma mezzo, meta-linguaggio sonoro. Nelle diverse proposte sono entrate in gioco altrettante attività, le quali insieme ci hanno indirizzato non solo verso l’esplorazione della tastiera, ma verso l’associazione sinestesica fra suono e colore; ci hanno permesso inoltre di individuare insieme ai bambini diversi elementi musicali non tradizionali. cordando che, come afferma Kandinsky: la «fattura del punto» dipende da diverse concause, quali il tipo di superficie di fondo, il tipo di strumento, il modo di applicazione del colore che può essere leggero, compatto, a punti, a spruzzo. Kandinsky esprime inoltre la possibilità che il punto si affranchi da una lettura semplicemente visiva e bi-dimensionale, per diventare invece spessore, prospettiva, materia nello spazio visivo, ma soprattutto acustico: «Così il suono fondamentale del punto è variabile in corrispondenza della sua grandezza e della sua forma».5 Trasferendo sul suono questi suggerimenti succede che la tastiera, le corde del piano, la cassa armonica, diventano per noi il fondo su cui le dita, l’avambraccio, il pugno, il palmo creano altrettanti «punti sonori». Nove punti in ascesa: suona questi punti nell’ordine che preferisci: si tratta della composizione grafica di Kandinsky, in appendice a Punto Linea Superficie, di cui si è occupato in passato Giovanni Piazza, esponendo interessanti soluzioni di sonorizzazione.6 Originali e multiformi sono state le risposte dei bambini. Il pianoforte, del resto, si presta più di ogni altro strumento a sperimentazioni estemporanee anche complesse. Così il punto è diventato l’idea da cui partire per reinventare uno spazio sonoro assolutamente personale. «Dentro a ogni punto ci sono tanti puntini»: Giada, otto anni, ha eseguito una sequenza melodica sostenuta da un ostinato, ripetuta per nove volte. Per Beatrice ogni punto ha rappresentato un accordo di do maggiore, prima eseguito in arpeggio, poi simultaneamente. Solo Riccardo ha interpretato ogni punto come un unico suono. «L’idea è il punto iniziale. Può essere qualcosa che si è sperimentato, visto o letto, qualcosa che è successo di recente o nel lontano passato, può essere un’altra opera d’arte […]. L’idea può essere anche il mezzo stesso, senza riferimenti a altro. Punti sonori Dopo un primo approccio informale alla tastiera, ma certamente “informante” sulla gestualità libera, sull’attenzione al timbro, al colore e all’improvvisazione, restringiamo il campo di azione verso la formalizzazione di elementi grafico-musicali. Continuiamo l’esperienza delle reciproche incursioni fra suono e segno, ri26 Tavola 2 Musica Domani 129 – Dicembre 2003 Il ruolo della scrittura Tavola 3 Una poesia può essere semplicemente una struttura di parole casuali, senza altro significato che il piacere (o divertimento) di sentire quelle parole insieme».7 L’idea di Paynter, scintilla iniziale per provocare nei bambini processi compositivi, si trasfigura dunque in invenzione pura, in reale scoperta fantastica di sé e del proprio essere nel suono. Valzer dei punti sonori: raggruppiamo i nove punti in tre triangoli – blu, rosso, giallo – la cui superficie colorata suggerisce il registro, mentre gli angoli rappresentano i tre accenti. Il battere corrisponde al punto più grande e i due levare sono stati numerati in considerazione della progressiva riduzione delle dimensioni dei punti. La forma ternaria proposta ci permette di guidare entro confini pre-determinati l’esecuzione dei bambini. Esecuzione che è controllata nella scelta del registro, mentre rimane aperta la possibilità di scegliere con quale successione realizzare i triangoli, e parimenti quali intensità e velocità utilizzare. Un ulteriore arricchimento a questo tipo di esperienza può essere rappresentato da una esecuzione dal forte al piano o viceversa, tutto sui tasti neri o sui tasti bianchi, in alternanza.8 Figure nello spazio: suona queste figure geometriche, evidenziando il primo accento di ognuna di esse. L’uso di diverse forme geometriche presuppone una presenza di accenti più complessa rispetto alla situazione precedente (Valzer dei punti sonori); lo stesso Bartók introduce fin dai primi volumi del Mikrokosmos brani in 7/8 e 5/8, nei quali il marcato degli accenti è parMusica Domani 129 – Dicembre 2003 Il nostro percorso “extra-ordinario”, partito dal puro gioco senso-motorio, è proseguito attraverso l’introduzione di nuovi elementi che ci hanno permesso di sperimentare diversi modi di presa del tasto, di definire prime forme arcaiche nelle quali il ritmo diventa elemento unificante; di mantenere la spazialità su tutta la tastiera. Soprattutto però, abbiamo stabilito un nuovo rapporto con la scrittura, non più limite esecutivo, ma occasione creativa e giocosa per attivare nell’allievo la conoscenza riguardo alle potenzialità sonore e espressive dello strumento. Sviluppare «un contesto, un campo esperienziale che potenzi e favorisca la conoscenza», un «campo di azione», usando le parole di Anna Maria Freschi, diviene dunque una strategia di ricerca, di invenzione, attraverso la quale mantenere aperto un canale privilegiato fra noi e il suono. Il suono, liberato dal vincolo della scrittura, ristabilisce il naturale rapporto con il gesto, e recupera in tal modo il suo ruolo centrale. La scrittura non è più segmento, porzione sterile di un processo più ampio. Il movimento, prima svuotato dei contenuti che gli sono propri, acquista ora un senso nuovo. Le altezze e i ritmi dei suoni in continuo mutamento avvolgono gli uomini, salgono turbinosamente e cadono all’improvviso paralizzati. Allo stesso modo i movimenti avvolgono gli uomini, li circondano – un gioco di tratti e di linee orizzontali, verticali, che attraverso il movimento si volgono in direzioni diverse, macchie di colore che si ammucchiano e si disperdono, che danno un suono ora alto, ora profondo. V. Kandinsky9 Note 1 Voce Metodo, in Dizionario enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, Utet, il Lessico III, Torino, 1984, p. 132 2 Colombini O., Marrucci L., “I piccoli al pianoforte – Nuove proposte metodologiche per l’insegnamento”, in beQuadro, anno 7, aprile/giugno 1987, n. 26, p. 12. 3 Kandinsky V., 1963 (rist. 1993) Punto Linea Sperficie, pp. 64-65, Adelphi, Milano. 4 Ibidem, p. 65 5 Kandinsky V., op. cit., p. 26. 6 Piazza G., 1994, “Spazio e suono: il punto prende vita”, in Musica Domani, n. 90, Ricordi, Milano. 7 Paynter J., 2002, “Solo Musica”, in Musica Domani, n. 125, EDT, Torino 8 Questa esperienza si collega idealmente alla esecuzione del Preludio e Valzer in do di Kurtag (Jatekok, I), coronamento dell’attività ritmica e spaziale compiuta in questa fase. 9 Kandinsky V., op. cit., pp. 7-8. 27 Pratiche educative te integrante di una corretta esecuzione. Al fine di concentrare l’attenzione verso l’esatta accentazione, gli esercizi ritmici sono tre, corrispondenti alle tre fasce di registro. In seguito, si potranno proporre esecuzioni miste, in cui cioè una forma blu precede una gialla e una rossa, e così via. Invenzioni musicali Una fortunata successione di avvenimenti JOHN PAYNTER Il processo creativo di un brano musicale inizia con una idea musicale, un’idea che nasce necessariamente da qualcosa. Frequentemente i compositori traggono spunto per le idee musicali da esperienze extra-musicali, vale a dire da situazioni che forniscono un contesto alla propria immaginazione musicale: memorie di sensazioni o sentimenti associate a eventi del mondo reale. In ogni caso lo scopo del compositore non è mai descrivere le situazioni con i suoni: la musica non lo può fare. Il contesto stimola l’immaginazione musicale del compositore, suggerendo particolari suoni e strutture, nonché il senso di un pezzo completo, cioè come suonerà quando sarà ultimato. Il contesto diventa così l’idea per un brano musicale. A questo punto il compositore comincia a inventare i materiali musicali: figure melodiche e ritmiche che diventeranno le basi su cui si edificherà il pezzo. Poi su questi lavorerà: i materiali di partenza saranno espansi, estesi, sviluppati, trasformati e integrati con altri, per fare in modo che la musica continui fino a soddisfare l’idea musicale. Il processo richiama alla mente un ben nota massima dell’architettura modernista del XX secolo: La Forma segue la Funzione. Ciò significa che prima di mettere mano alla creazione di qualsiasi tipo di “forma” artistica (un dipinto, una poesia, un brano musicale, un edificio) è necessario innanzitutto capire cosa si vuole ottenere. I modi di creare musica sono infiniti e non c’è nessuna regola che ci imponga di realizzare un pezzo secondo forme già sperimentate. Tutti possiamo esplorare altre possibilità. Ad esempio, l’idea per un brano musicale potrebbe essere addirittura l’assenza di un’idea! Dobbiamo semplicemente permettere alle cose di seguire il loro corso. Dopo tutto, questa non è esperienza del tutto insolita nella nostra vita quotidiana: noi iniziamo a fare qualcosa e prima che possiamo completarla la nostra attenzione è attirata da qualcosa d’altro che deve essere fatto. Così, lasciamo la prima attività e ne iniziamo un’altra completamente diversa. Prima di completarla, il telefono suona. Ci fermiamo per rispondere e mentre stiamo parlando notiamo un’altra cosa che cattura urgentemente la nostra attenzione. Probabilmente decidiamo di affrontare quest’ultimo compito appena abbiamo finito la conversazione telefonica. I giorni vanno avanti così, con una situazione che porta a un’altra, secondo 28 un ordine raramente lineare. Sebbene tutte le richieste siano differenti – e, forse, non torniamo mai alla prima (quella deve aspettare ancora un giorno!) – ciò nonostante, esse sono legate: ma precisamente in che modo sono legate? A volte gli avvenimenti si succedono, uno dopo l’altro, in una sequenza che sembra non essere sotto il nostro controllo; così siamo sorpresi quando, in qualche modo, raggiungiamo una conclusione soddisfacente. Ripensando a quanto è successo, comprendiamo che tutto avrebbe potuto concludersi verosimilmente con un disastro, ma ciò non è accaduto: è stata, diciamo, una fortunata successione di avvenimenti. L’idea che “non c’è idea” può essere la base per un brano musicale. In questo caso come può la Forma seguire la Funzione? La Funzione è avere un pezzo di musica (per esempio una Forma in suono) fatta interamente di elementi disconnessi. Bisogna creare una successione di “affermazioni” musicali, frammenti, o gesti corti e indipendenti, derivanti uno dall’altro fino a ottenere un risultato soddisfacente che equivalga a un pezzo musicale meritevole e interessante. Nessuno dei suoi elementi è da sviluppare nel modo convenzionale, ma affidandosi a una continua sperimentazione dei punti dove un’espressione finisce e un’altra inizia e ripetendo tutto più volte da capo per verificare il risultato sonoro. Considerando attentamente gli effetti, possiamo, poco a poco, far proseguire la musica. Tutto dipende dalle nostre abilità di giudicare il procedere della musica: è necessario essere persuasi – attraverso il nostro personale giudizio e non dall’opinione di qualcun altro – che ogni nuova espressione è “giusta”. Dobbiamo ricordare esattamente come ogni sezione si adatta a quanto viene prima e a cosa accade dopo, e da ultimo dobbiamo essere convinti dalla conclusione, e percepire la sequenza di espressioni come un pezzo “completo”. Le persone che conosciamo meglio le ricordiamo non solo per la loro apparenza, ma anche per la loro personalità. La parola “persona”, deriva dal latino persona, una maschera indossata da un attore per richiamare subito alla mente un personaggio particolare “nel suo insieme”. Noi riconosciamo una persona perché si presenta con un insieme di caratteristiche che le sono proprie e, anche se prese una a una tali caratteristiche si traducono in più qualità differenti e distinte, le percepiamo come sostanzialmente unitarie. Esattamente allo stesso modo si può comporre un brano musicale: esso deve convincerci della sua completezza suonanMusica Domani 129 – Dicembre 2003 L’attività Come in tutte le proposte di composizione presentate nei precedenti articoli di queste serie (in Musica Domani dal n. 122 al 128), gli alunni dovrebbero lavorare prima in piccoli gruppi, sviluppando i materiali musicali ed esercitando la loro capacità di giudizio, per decidere in che modo far proseguire i loro pezzi. Il compito dell’insegnante è muoversi fra i gruppi, incoraggiando l’attività, ponendo domande pertinenti su ciò che gli alunni hanno inventato, aiutandoli (ancora una volta con domande appropriate) a prendere le decisioni cruciali e a giudicare l’effetto della musica che hanno creato. In particolare questo progetto mira, più degli altri proposti, a comprendere l’importanza di un giudizio accurato: in che modo frammenti sonori apparentemente sconnessi possono essere uniti in una sequenza che abbia senso? Come può un pezzo simile suonare “giusto”? Molto dipende dal modo in cui diversi elementi sono tenuti insieme. Se i ragazzi che compongono la musica hanno qualche dubbio sulla correttezza di queste relazioni importanti, vanno incoraggiati a cercare un’altra possibilità e un’altra ancora, se necessario, fino a trovare quella che li soddisfa pienamente. Walt Disney rivolgeva ai colleghi che disegnavano i cartoni per i suoi film una domanda: «È il meglio che si possa ottenere?» Usando l’idea musicale descritta più sopra, gli alunni possono creare brani musicali a partire da indicazioni come: • in un gruppo di quattro o cinque costruite un brano che utilizzi solamente suoni “trovati”: vale a dire, suoni prodotti da qualsiasi oggetto a disposizione; • in un gruppo più piccolo (due o tre) create un pezzo per strumenti a percussione come tamburi, rullanti, maracas ecc.; • individualmente create un brano per un solo strumento (per esempio per pianoforte o violino o chitarra) o per tre, quattro o cinque “oggetti trovati”. Tutta la musica creata deve essere suonata e discussa. Insegnante Quando un pezzo è stato completato e suonato è essenziale che l’insegnante abbia qualcosa (preferibilmente incoraggiante) da dire su di esso. Esempi di tali commenti, che riguardano cinquanta registrazioni di composizioni di bambini e adulti, si trovano in “Che cosa si può dire sulla musica? Un progetto di ricerca sull’educazione musicale creativa”, in beQuadro n. 66/67, Centro di Ricerca e di Sperimentazione per la Didattica Musicale, 1997, San Domenico di Fiesole (FI). [Traduzione a cura di Paola Bernardelli] La pittura e la scultura sono la forma delle idee. La musica è il suono delle idee. Hans Hartung, T62/H41 (1961, olio su tela) Musica Domani 129 – Dicembre 2003 Lucio Fontana, Concetto spaziale-Attesa (1957, ceramica dipinta) 29 Invenzioni musicali do nell’insieme come se fosse un unico personaggio anche se, analizzandolo nei suoi dettagli, ha caratteristiche differenti, o addirittura contraddittorie. Confronti e dibattiti Telecanto: per una didattica della fruizione musicale televisiva Presenza importante e significativa nella tv di oggi, la musica assolve a svariate funzioni e costruisce nei telespettatori più giovani atteggiamenti e conoscenze che la scuola potrebbe considerare come ambito di indagine ed elaborazione. L’analisi delle molte funzioni e dei molti significati che la musica può assumere nel piccolo schermo si collega negli interventi alle concrete possibilità educative che possono essere offerte ai ragazzi in una logica di ascolto e dialogo costruttivo. a cura di LUCA MARCONI Conviene innanzitutto riflettere sul perché svolgere attività didattiche sulla presenza della musica nella televisione: in altri termini, esplicitare come si collochino tali attività rispetto ai compiti dell’educazione musicale. Una prima indicazione a tale proposito viene fornita da Enrico Strobino. Nel suo contributo rileva che, se uno dei principali compiti dell’educazione musicale è quello di migliorare il modo in cui gli studenti affrontano la musica che essi incontrano tutti i giorni fuori dalla scuola, risulta fondamentale occuparsi della fruizione televisiva, giacché essa corrisponde a «un’area tra le più forti e importanti di quel paesaggio sonoro, musicale e culturale, che tutti noi quotidianamente abitiamo». Possiamo poi aggiungere che tali attività didattiche hanno una valenza non solo relativa al presente degli studenti, ma anche al loro futuro: trasformarli in spettatori agguerriti dei programmi televisivi significa prepararli come cittadini ad assistere criticamente a tali pratiche sociali. Infine, va tenuto presente che, come avevano già notato anni fa Baroni e Nanni (1989, p. 62) e come è stato più recentemente ribadito da Ferrari (2002, p. 846), la televisione (così come altri mass-media) fa acquisire competenze musicali ai suoi spettatori, e dunque anche agli adolescenti, e propone modelli di comportamento che incidono sulla loro identità e sulla loro musicalità. Sarebbe dunque estremamente ri- schioso non assumersi la responsabilità di aiutare gli studenti ad affrontare la relazione tra le competenze e i modelli provenienti dalla scuola e dalla televisione. Un’altra sollecitazione proposta da Franca Ferrari è la distinzione fra diversi tipi di atteggiamento che un insegnante può assumere nei confronti dei mass-media in generale, e della musica televisiva in particolare: evitando che le posizioni più apocalittiche portino ad assumere una tendenza rinunciataria, si tratterà di essere un insegnante «eclettico», «etnologo» o «simpatico» (Ferrari 2002, pp. 853-858). Sulla base di tali premesse, si possono poi distinguere fondamentalmente due tipi di musica televisiva: quella che, insieme alle immagini, al parlato e ai rumori, funziona come componente del programma e quella che invece ne è protagonista. Le riflessioni didattiche dovrebbero occuparsi di entrambi i fenomeni e necessariamente richiedono percorsi differenziati: così come bisogna tener presente le differenze nella fruizione musicale dei messaggi televisivi che gli studenti frequentano ripetutamente (spot pubblicitari, sigle1 o videoclip), di quelli seriali, che ripropongono a cadenze regolari, dietro una superficie ogni volta diversa, un format sempre uguale, e dei media events2 (come il Festival di Sanremo) dotati di una maggiore unicità. Per chi voglia trovare caso per caso l’approccio più adeguato, sono stati pubblicati recentemente scritti di notevole interesse: un primo filone è costituito dagli 30 Musica Domani 129 – Dicembre 2003 Musica Domani 129 – Dicembre 2003 luogo quali musiche inserire e quali no, e in secondo luogo come realizzare tale inserimento. L’esplicitazione di tali regole può allora portare a rendersi conto delle funzioni dei diversi generi di programmi musicali televisivi, dei valori e delle ideologie che li guidano, e dunque della persuasione sulla musica e su altri contenuti che essi cercano di realizzare nei confronti dei loro spettatori, adolescenti o adulti, spesso in modo occulto, cioè apparentemente senza fare alcuna affermazione e senza esprimere alcuna opinione o alcun giudizio. Una tendenza affine si può trovare nel contributo di Strobino, che sposta l’attenzione su un ben preciso format televisivo, quello dei «programmi strutturati sul modello della scuola»: la pertinenza pedagogica di una riflessione su tali programmi è particolarmente scottante e di grande attualità. Last but not least, va considerata la presenza nei programmi televisivi di repertori musicali molto diversi da quelli che gli studenti preferiscono e frequentano quando ascoltano i cd, le cassette o la radio. I percorsi su tale tema possono conseguire diversi obiettivi: innanzitutto far notare agli studenti i significati che essi attribuiscono ai repertori non giovanili sulla base della loro associazione con i contesti televisivi nei quali appaiono più frequentemente;3 in secondo luogo si può far riflettere gli studenti sul fatto che un brano musicale non giovanile può risultare per loro poco piacevole e poco interessante se ascoltato nelle occasioni nelle quali sono abituati a trarre piacere e interesse solo dalle musiche giovanili (e, anche al loro interno, solo da certi generi) e risultare invece molto più interessante e piacevole se ascoltato in contesti audiovisivi. Infine, il confronto tra il modo in cui sono inseriti nei programmi televisivi musicali4 il repertorio colto e quello popular5 può aiutare a impostare una riflessione sulle funzioni e sul valore che la nostra società attribuisce loro. [L. M.] Note 1 Per una riflessione sulle sigle televisive, vedi Simonelli 1994. 2 Lo studio dei media events è stato approfondito soprattutto da Dayan e Katz 1993. 3 Utili spunti per realizzare tali percorsi possono essere tratti, in particolare, da Tagg 1994 e Ferrari e Piazza 2001. 4 Una storia dei programmi musicali della televisione italiana si trova in Cardini e Bolla 1997; interessanti riflessioni sull’uso della musica nella “neotelevisione” italiana si trovano in Rubbi 2000-2001. Sulla dimensione sonora della televisione si concentrano invece Chiocci, Cordoni, Ortoleva e Sibilla 2002. 5 Sulla relazione tra la televisione e la popular music, vedi Sibilla 2003, pp. 272-275. 31 Confronti e dibattiti studi sulla musica degli spot pubblicitari, tema spesso affrontato sia con taglio teorico (Stefani 1976, Ala e Ghezzi 1983, Cano 1990, Julien 1992, Marconi 2001) che con un’impostazione prettamente didattica (Gatta 1987, Deriu, Pasquali, Tugnoli, Ventura 2000, pp. 121-127, Mazzoli 2001 pp. 35-37 e 71-73, Delfrati 2003 pp. 53-57). Anche il ruolo giocato dalla musica nelle colonne sonore dei film è stato ampiamente studiato, sia teoricamente (Miceli 1982 e 2000, Cano e Cremonini 1990, Chion 1997, Michelone e Valenzise 1998, Poirier 2001) che in scritti didattici (Simeon 1993, Miceli 1994, Deriu, Pasquali, Tugnoli, Ventura 2000 pp. 128-135, Maule 2001 e 2002, Ceccarelli 2002, Delfrati 2003 pp. 58-63). Da tali scritti si possono trarre spunti per affrontare in classe l’analisi non solo dei film, ma anche di altri programmi televisivi, tenendo comunque presente le differenze tra la fruizione dei prodotti audiovisivi al cinema e quella realizzata di fronte allo schermo televisivo. Per sollecitare tale confronto, un utile contributo viene qui fornito da Germano Mazzocchetti, autore di musiche per programmi di fiction televisiva, come il recente Carabinieri. Una delle principali differenze tra la fruizione di questo tipo di programmi e quella che si realizza al cinema consiste nel fatto che assai spesso nel primo caso lo spettatore si imbatte nel messaggio audiovisivo praticando uno zapping più o meno sfrenato e dunque con molte meno aspettative nei suoi confronti di quelle di cui è dotato il pubblico cinematografico. Di conseguenza, la musica televisiva, insieme ad altre componenti, ha tra le sue funzioni principali quella di guidare le aspettative dello spettatore-zapper, collocando il programma nell’ambito di un certo genere. In classe conviene allora non solo segnalare tale funzione orientativa delle musiche televisive, ma anche considerare ed esplicitare la competenza degli studenti nei confronti della relazione di tali musiche con i principali generi televisivi. Un terzo filone da consultare considera la relazione tra la televisione e gli spettatori non adulti (Dorr 1990, D’Amato 1997, Morcellini 1999, Pellai 1999 e 2001, Mazzoli 2001 pp. 27-37). A questo proposito abbiamo posto una serie di domande sul ruolo della musica nella relazione tra la televisione e l’adolescente ad Alberto Pellai, tra gli autori che si sono maggiormente occupati di queste tematiche. Tra i prodotti televisivi nei quali la musica è protagonista, il più analizzato recentemente è stato indubbiamente il videoclip (Baroni e Nanni 1989, Albarello 1994, Simeon 1996, Sibilla 1999, Baldini 2000, Deriu, Pasquali, Tugnoli, Ventura 2000 pp. 136-141, Di Marino 2001, Marconi 2001, Mazzoli 2001 pp. 32-34). In questo Confronti e dibattiti, Franco Fabbri e Enrico Strobino propongono riflessioni su altre tematiche finora poco esplorate in ambito didattico, che risultano invece di notevole portata: nel caso di Fabbri, è da sottolineare soprattutto l’invito a far riflettere gli studenti sulle “regole del gioco” che governano i programmi musicali televisivi, determinando in primo Confronti e dibattiti Scoprire le funzioni della musica in rapporto alle immagini GERMANO MAZZOCCHETTI Ci sono differenze tra i modi in cui la musica è inserita nella fiction televisiva e in quella cinematografica, anche se all’interno della fiction televisiva bisogna distinguere tra i film-tv come Montalbano e la fiction seriale, come Carabinieri. In Montalbano, l’approccio di Francerco Piersanti è cinematografico: scrive una certa musica per una certa scena ben precisa, rispondendo di solito a una richiesta del regista del tipo «ci vuole una musica da questo istante a quest’altro istante». Nel caso di Carabinieri, per la quale sono io l’autore delle musiche, si tratta di una fiction giunta ormai alla terza serie, con un numero di puntate piuttosto ampio (24 puntate da 50 minuti l’una, che vanno in onda a due a due a serata). Di conseguenza, l’approccio alla musica è diverso da quello cinematografico: realizzare una colonna sonora apposita per ogni scena con musica di ogni puntata richiederebbe una quantità eccessiva di tempo, energie e denaro. Si fa invece una registrazione unica all’inizio, con temi che siano più o meno tagliabili, e si prevedono diverse ipotesi di trattamento e di utilizzo di tali temi. Una volta incisi tutti i temi, ci si concentra molto sul montaggio, che occupa la parte più consistente del lavoro. In Carabinieri non c’è mai una musica sfumata perché troppo lunga rispetto alla scena corrispondente. Sfumare una musica è poco professionale e dunque cerco di evitarlo il più possibile: durante il montaggio, col montatore del suono, facciamo in modo che la musica finisca con la scena. Ma perché questo sia possibile, nella precedente fase di composizione, mi preoccupo che i miei temi possano essere tagliabili 32 in punti e modi diversi e siano aderenti alle funzioni per le quali sono pensati. Quando la musica non viene ascoltata da sola, ma insieme alle immagini, deve seguire alcuni codici che ne regolino la relazione con ciò che si vede; ad esempio può sottolineare una certa atmosfera o invece contrastarla, o in alcuni casi indirizzare chi guarda (e ascolta) sull’atmosfera della scena. Per questo motivo, quando montiamo la musica, evitiamo di usarla come tappeto sonoro, cioé come puro sottofondo: la presenza di musica deve sempre avere un suo senso. Piuttosto che usare la musica come puro sottofondo, preferiamo evitare di metterla. Un’attenzione particolare viene data dai committenti alla musica della sigla che deve essere molto riconoscibile e in grado di caratterizzare la serie. Quando ho scritto la musica scelta come sigla di Carabinieri, non sapevo che proprio quella sarebbe diventata la sigla: tra i vari temi proposti alla fine è stato scelto quello, neanche credendoci fino in fondo. Mi dicono che è stata molto apprezzata dal pubblico. Noi compositori siamo dei mediatori tra il regista e il pubblico. Come quando lavora per il teatro, il musicista deve sottostare a un’idea registica che non sempre condivide. Comunque, veniamo chiamati anche sulla base del nostro stile: chi mi chiede di scrivere musica per immagini lo fa anche perché sente di aver bisogno di uno stile musicale come quello che io ho costruito nel tempo. Quando devo lavorare per una fiction televisiva in genere leggo qualche puntata o vedo le immagini di qualche puntata già interamente girata: così capisco quali sono i topoi di quel tipo di fiction e di conseguenza scrivo alcuni temi conduttori. Ad esempio, per Carabinieri, che prevede un po’ di commedia e un po’ di detection, qualche schermaglia amorosa e altri ingredienti, ho preparato temi adatti a questo tipo di situazioni. Ma alla fine è il regista che sceglie: gli faccio sentire i temi al pianoforte, poi li orchestro e si va in sala. Fondamentale è comunque il momento del montaggio, nel quale è necessaria la presenza di qualcuno che sappia come tagliare la musica (in Carabinieri, io o il mio assistente). Il montatore del suono realizza materialmente i tagli anche della musica, ma chi decide in che modo usarla è il musicista d’accordo col regista o, nel caso di Carabinieri, con la produttrice. Insieme si decide quale relazione ci deve essere tra le immagini e le musiche inserite e quale atmosfera deve avere la scena, anche grazie alla musica. Sulla base di tali decisioni scegliamo quale musica inserire e come inserirla, non tanto pensando alle reazioni del pubblico, ma considerando soprattutto se per noi quella musica sta bene con quelle immagini. Ovviamente, nel caso di Carabinieri abbiamo tenuto conto che non si trattava di cinema impegnato o intellettualistico, ma di un programma da prima serata di Canale5, dunque di un prodotto popolare, per famiglie. Come sempre, bisogna fare scelte abbastanza comunicative senza per questo perdere di vista la qualità. In altri termini, si tratta di sottolineare certe atmosfere senza cadere nell’astruso. È comunque quello che cerco di fare anche quando scrivo musica per il teatro: per me comunicare conservando la qualità è molto importante. Pensando a un pubblico di adolescenti davanti a una puntata di Carabinieri e alle loro possibili reazioni, non sono in grado di scendere troppo nello specifico, perché non seguo da vicino la musica pop e dunque non so quali siano le musiche più alla moda per gli adolescenti, né mi metto a scrivere musiche pensate appositaMusica Domani 129 – Dicembre 2003 porre ai ragazzi di considerare innanzitutto quale tipo di musica viene inserito insieme alle immagini, e come appare la scena alla luce dell’inserimento di tale tipo di musica. Ad esempio, si tratta di capire se la musica inserita è più da detection, da commedia o da suspense, e dunque se orienta la scena a cui corrisponde a uno di questi indirizzi legati ai generi cinematografici e televisivi, o se crea altre possibili atmosfere. Un secondo consiglio è quello di provare a cambiare la musica cor- Evidenziare il ruolo del marketing nell’offerta musicale giovanile ALBERTO PELLAI I programmi musicali per gli adolescenti non pensano certo a rappresentare l’adolescente, ma a cooptarlo nel ruolo di consumatore e di oggetto di mercato. Per questo motivo la TV tende a presentare sostanzialmente due tipi di adolescente: o quello bello e dal look perfettamente curato, che funziona come modello da imitare e/o idolatrare, o quello disperato e problematico che fa notizia. Consideriamo uno dei fenomeni più recenti ed eclatanti del mondo musicale rivolto ai teen agers: le boy-band. Questi gruppi producono una musica costruita a tavolino da strateghi del marketing. Tutto in una boy-band è selezionato artificialmente per fare il gran botto sul mercato. Negli Stati Uniti, in Florida, hanno addirittura creato una scuola per aspiranti membri di boy-band. È naturale che quando tutto è così studiato con il solo obiettivo del profitto, la musica perda la sua originalità e spontaMusica Domani 129 – Dicembre 2003 neità per divenire un prodotto, uno dei tanti oggetti acquistabili. Si perde l’aspetto emotivo e creativo, la dimensione dell’originalità e soprattutto l’adolescente diventa un oggetto di studio per i colossi e le multinazionali che in lui vedono solo un potenziale acquirente. La musica, invece di essere il momento della scoperta dei piaceri dell’ascolto, diventa la vetrina di una serie di merci da consumare e di comportamenti da imitare. Le boy-band hanno inventato il paradigma che domina l’attuale cultura di Music Television: una canzone non ha alcuna appetibilità se non può essere vista. Il video sostiene una canzone molto più dell’ascolto. Fenomeni come le Spice Girls o i Take That non avrebbero avuto senso al di fuori di una cultura dell’immagine. Il valore aggiunto di queste produzioni del marketing è che sono universalmente commercializzabili e rispondono bene ai principi del mercato rispondente a certe immagini con altre musiche, domandandosi se questo diverso accostamento funziona o non funziona, e confrontando diversi abbinamenti. Questo metodo di lavoro è spesso utilizzato in fase di montaggio: non solo proviamo diversi accostamenti musicali rispetto alle stesse immagini, ma ne realizziamo anche più versioni, lasciando la decisione definitiva nell’ultima fase di preparazione del prodotto, e cioè nel mixaggio, durante il quale si dosano i livelli del parlato, della musica e degli effetti sonori. globale. Impongono mode e consumi che si diffondono velocemente in tutti gli angoli del mondo. Un gruppo musicale serve così a vendere cd, ma anche magliette, bibite, riviste, figurine, cosmetici e potenzia il pesante lavoro di spremitura commerciale che in breve uccide il futuro dei cosiddetti artisti, facendoli durare lo spazio di un attimo. I programmi musicali parlano di musica da guardare e non di musica da ascoltare. Prodotti visivamente poveri, anche se musicalmente molto alti, hanno poco accesso nel mondo dell’immagine e sono poche le fortunate eccezioni a queste regole della visibilità. Tra cinque anni non resterà nulla della musica di questi mesi, mentre tutt’ora il mondo intero acquista i dischi dei Beatles e dei Rolling Stones, le canzoni di Mina e di Lucio Battisti. Un fenomeno a parte e molto nuovo è legato alle accademie di canto che hanno spettacolarizzato la fatica e il duro lavoro a cui un bravo cantante si deve sottoporre per sfondare nel mondo dello spettacolo. Penso che il merito di questi programmi sia stato mostrare che per essere bravi si deve sudare e che il talento va esercitato e messo al servizio dello studio e della tecnica. D’altro canto, l’intero formato di questi programmi mi sembra comunque fragile e fasullo: gli aspiranti studenti sono messi al 33 Confronti e dibattiti mente per loro. Ma penso che il modo in cui i più giovani si immergono nel mondo delle trasmissioni televisive, e quindi anche della fiction, consenta di cogliere qualcosa un po’ di tutto: degli attori, della qualità della fotografia, che è eccellente, e qualcosa anche della musica. I giovani prendono il prodotto come un unico testo e non come la somma di elementi separati. Proprio per questo motivo, credo che l’insegnante che intende sviluppare un approccio critico alla musica delle fiction televisive debba pro- Confronti e dibattiti voto e al vaglio dei telespettatori attraverso un sistema telefonico a pagamento che produce profitto per la società che produce la trasmissione. Inoltre, è naturale che la vera aspirazione di tutti i ragazzi che compaiono in queste trasmissioni è quella di diventare famosi e bucare lo schermo. La musica è, anche in questi programmi, uno strumento per conquistare la visibilità e il successo. Mi sembra, inoltre, che questi programmi riconfermino la tendenza totalmente visivocentrica dei programmi musicali di oggigiorno: i più votati quasi sempre sono anche i più belli. Insomma, anche se a vincere dovrebbe essere il talento, ciò che fa la differenza è il look e l’immagine. La TV tende a far acquisire agli adolescenti un modello di felicità consumistico, nel quale tutto quanto serve a sentirsi bene pare non solo giusto ma anche desiderabile. Mi piace citare a questo proposito alcune considerazioni tratte dal bellissimo libro Ragazze che diventano donne di Mary Pipher (Frassinelli, 1999): «Il supermercato incoraggia le ragazze a consumare prodotti come Coca, jeans firmati e sostanze come alcol e nicotina per calmare il loro dolore naturale e comprensibile. Come ben sanno le industrie del tabacco, le adolescenti sono un bersaglio perfetto per chi vuole spacciare cose sofisticate. Infatti, le adolescenti sono l’unica parte della popolazione che ha aumentato il consumo di sigarette negli ultimi vent’anni. La pubblicità ci insegna che il dolore può essere affrontato acquistando e consumando. Si possono guadagnare dei bei soldi creando bisogni per poi convincere i consumatori che si tratta di cose indispensabili, persino di diritti irrinunciabili. Ci insegnano a comperare. Ci incoraggiano a pensare che se è piacevole allora è giusto. E ci viene detto “Non preoccuparti, spendi”. L’America degli anni Novanta pone un forte accento sulla gratificazione di ogni bisogno. Come società abbiamo sviluppato una mentalità del “mi fa sentire bene”. Dobbiamo riconsiderare i nostri valori per rompere il legame tra sentimenti negativi e l’uso di alcol e 34 droghe. Idealmente dovremmo offrire ai nostri figli nuove definizioni dell’essere adulti che vanno oltre l’essere abbastanza grandi da consumare sostanze pericolose, fare sesso e spendere denaro. Dovremmo insegnare loro nuovi modi per rilassarsi, godersi la vita e affrontare lo stress. Abbiamo la responsabilità d’insegnare ai nostri figli come trovare piacere nelle cose giuste». Mi sembra che sempre più spesso la cultura dell’immagine abbia cannibalizzato anche gli artisti e i cantanti per diffondere un’idea di eccitazione e sballo da inseguire e rincorrere a ogni costo. Molta musica è stata creata per trasformare l’esperienza del ballo del sabato sera in sballo, da sostenere con suoni e sostanze dagli effetti psichedelici. Non solo la musica sembra un oggetto di consumo, ma sempre più spesso è usata per veicolare un messaggio che la vita sia una serie di esperienze da provare per il potenziale piacere che possono generare senza preoccuparsi delle loro conseguenze. L’esaltazione che molti artisti fanno di sostanze ad azione psicotropa, l’uso personale dagli stessi dichiarato è un’ulteriore conferma di quanto mercato, sballo, eccitazione e ricerca del piacere a tutti i costi possano trovare nella musica commerciale una potente alleata. I video musicali raccontano spesso trame ad alto potenziale di rischio. Per i ragazzi è difficile orientarsi in tutto questo caos di messaggi ambivalenti. Auspico che nei programmi musicali si faccia pulizia e non si conceda a chicchessia di proporsi come falso profeta di esperienze che possono bruciare l’enorme potenzialità insita in ogni adolescente. La musica deve continuare a essere poesia, emozione e arte. Nel passato molti artisti hanno più volte celebrato l’uso funzionalecreativo delle sostanze ad azione psicotropa. Le sostanze sono state viste come “amplificatori” del processo creativo in grado di migliorare la qualità della musica o dei testi prodotti. L’artista era una figura da molti considerata come originale e alternativa e in questo quadro di diversità rientrava anche la sua espe- rienza di abuso di sostanze. Può essere considerata lecita una auto-somministrazione di sostanze a scopo creativo-artistico? Non sta a me dare la risposta, ma credo che la potenzialità dell’artista non stia nella sua capacità di stravolgere il proprio flusso cosciente per accedere a un livello incosciente più libero e non condizionato dalla lucidità del livello logico-razionale della mente. Naturalmente, parlo a titolo puramente personale. In quanto operatore di sanità pubblica, rimango colpito nel vedere come multinazionali dell’alcol e del tabacco cerchino in ogni modo di associare il proprio marchio a eventi musicali. Mi sembra che ciò venga fatto non per potenziare il potenziale creativo, ma a puri scopi commerciali. Inoltre, non credo molto all’artista maledetto che con la sostanza psicotropa esalta il suo potenziale artistico. Basta leggere i diari di Kurt Kobain, recentemente pubblicati anche in Italia da Mondadori. Il lettore si confronta con l’esperienza di un uomo debole e vulnerabile incapace di reggere alla pressione dello star system, alla popolarità mondiale precipitatagli addosso, per far fronte alla quale l’eroina diventa una sorta di autoterapia necessaria. Le pagine dedicate all’uso di droga non sembrano proprio derivare dal desiderio di un’amplificazione del processo creativo. La vita maledetta di Kurt Kobain magnificata dai media e dal mercato è divenuta fonte di ispirazione per migliaia di ragazzi. Forse Kobain era davvero un grande artista, ma non credo moralistico definirlo un “uomo povero” in ogni senso. Lui stesso parla della sua vita in modo alienante e a volte disperato nel suo diario. Perché il mondo della musica non rivela l’imbroglio a cui molti dei suoi adepti devono soggiacere per reggere il ritmo serrato del mercato fatto da interminabili tournée, giri del mondo in una settimana per promuovere un singolo o un video? Perché, anzi, spesso il marketing delle case discografiche utilizza il “profilo maledetto” dell’artista per consentire a molti adolescenti di identificarsi con lui in baMusica Domani 129 – Dicembre 2003 Musica Domani 129 – Dicembre 2003 dotati di un corpo adulto. Il corpo si sessualizza e porta l’adolescente a esplorare, almeno mentalmente, il suo stare per diventare uomo e donna in grado di dare e provare piacere, oltre che di procreare. Sono tutte scoperte che, in ogni adolescente, generano sentimenti contrastanti, piacevoli e spiacevoli, negativi e positivi. Molti ragazzi provano una paura fisiologica a doverli affrontare. Vorrebbero rimanere ancora per un po’ in una fase di indefinitezza, vivere dentro un corpo non ancora maschile o femminile, abitare un organismo infantile che non richieda così tanti adattamenti e che non fornisca così tanti stimoli difficili da elaborare. Ecco perché Marylin Manson può diventare tanto affascinante. La sua “coltivata” ambiguità sessuale offre ai ragazzi la possibilità concreta di sfuggire alla necessità di prefigurarsi idealmente un sé corporeo, con una chiara identità sessuale. Inoltre, l’incarnare il male e la trasgressione come fa Manson lo rendono ancora più attraente: molti adolescenti per separarsi e affrancarsi dall’autorità degli adulti, utilizzano lo strumento della trasgressione che li porta nel territorio della non convenzionalità alle regole e alle leggi stabilite da un’etica stabilita dagli adulti. Marylin Manson incarna tutto ciò: ambiguità sessuale, trasgressione, culto del male (con relativa idolatria dell’orrido e del paranormale, fenomeni che di nuovo hanno particolare fascino su una popolazione di teen ager). Il suo personaggio è intrigante e affascinante e può essere un incredibile stimolo all’azione trasgressiva in adolescenti che ancora combattono non tanto per la conquista della propria identità di genere, quanto con la conquista di un’identità. A chi si chiede “Chi sono?”, Chi sarò?” “Chi voglio essere?” (tutte domande che l’adolescente si pone assai spesso sia a livello conscio che inconscio) Manson offre un modello di ruolo che regala l’antidoto alla più grande paura degli adolescenti: l’invisibilità. Non credo che diventino delinquenti per questo, ma certamente il potere di fascinazione dell’orrido e del male incarnato in un soggetto adorato da platee mondiali può aiutare a rendere attraente a livello intrapsichico ciò che sul piano concreto è orrendo e terribile. È tutto studiato a tavolino, ma chi guarda lo schermo ne rimane comunque uncinato e non elabora ciò con cui si confronta. Per essere in grado di compiere un’elaborazione concreta di ciò che il mercato induce nei suoi consumatori, bisognerebbe aiutare gli adolescenti a conoscere e riconoscere le leggi del marketing strategico con cui vengono agganciati e spinti a comperare e spendere. Questa è oramai diventata una delle componenti obbligate dei nostri modelli di lavoro educativo nelle scuole o con gruppi di adolescenti in contesti informali. Noi pensiamo che solo se i ragazzi conoscono le regole del mercato, saranno in grado di controllarle realmente e di poter veramente autodeterminare le proprie scelte, anche in campo musicale. Credo sia utile portare all’interno del gruppo degli adolescenti i materiali della cultura televisiva non per una semplice fruizione, ma per un’attenta analisi, fornendo elementi per comprendere quanto il ruolo del marketing sia spesso prioritario rispetto a quello artistico, creativo e musicale. Quando le ragazze assistono a video di musica pop e – guidate da domande che sostengono un’analisi ad hoc – scoprono che quasi sempre le donne vengono rappresentate semi-nude, passive e disponibili all’uomo predatore, che ha connotati attivi e potenti, si arrabbiano molto e cominciano a vedere in modo critico ciò che prima consumavano in modo diretto e immediato. Dall’analisi dell’immagine si può poi passare all’analisi dei testi e delle partiture musicali. Molte canzoni non dicono davvero niente a chi le ascolta, sono solo un refrain che bombarda la memoria e si fanno ricordare perché sincopate e avvolgenti. Come in tutti i campi della creazione umana, c’è la forma e la sostanza. Portare i programmi musicali in un setting educativo, può aiutare gli adolescenti a comprendere la differenza esistente tra queste due diverse dimensioni. 35 Confronti e dibattiti se alle istanze trasgressive che ogni teen ager sperimenta nel corso di questa specifica fase della propria esistenza? Ogni lettore dovrà a questo punto decidere se il punto di vista che qui propongo è puro moralismo, oppure reale convinzione di chi studia i media che parlano agli adolescenti e ne identifica meccanismi che possono risultare disfunzionali nella percezione e nel percorso di crescita di un teen ager. In Teen television ho espresso una serie di preoccupazioni sull’incidenza negativa della TV sulla vita degli adolescenti, soprattutto per quanto riguarda il modo in cui affronta le tematiche del sesso, della violenza e dell’uso dell’alcol, del fumo e delle droghe. Non occorre fare di tutta l’erba un fascio, ma penso che chi si imbatte nei video presenti in rotazione su TV musicali rimanga spesso colpito dalla quantità di allusioni sessuali, cumulazione di stereotipi di genere e dall’aggressività che spesso li connota. Alcuni generi musicali, anche per il tipo di messaggio che lanciano, hanno particolare bisogno di questo genere di iconografia: si pensi all’hard rock oppure al rap. La musica ha in sé potenzialità infinite. Come queste potenzialità vengono declinate è responsabilità dell’artista e del suo team di produzione artistica. Certo, al pari della TV in cui è immersa, molti materiali televisivi di natura musicale hanno assunto le caratteristiche peggiori del mezzo che li trasmette. Come per la cattiva TV, i pretesti più utilizzati in tale senso sono quelli che toccano e muovono le pulsioni più primordiali e profonde di ogni uomo e donna: il sesso, la violenza, l’aggressività. Si pensi al fenomeno Marylin Manson e a quanto deviante, amorale e illegale sia ciò che mostra, racconta e porta nella sua musica: ragazzi adolescenti possono rimanerne davvero affascinati. Non va trascurato che preadolescenti e adolescenti in questa fase della vita devono “mentalmente” fronteggiare una serie infinita di sfide. Il corpo reale di cui sono dotati cambia in modo impressionante e veloce. Si perdono i connotati del corpo bambino e ancora non si è Confronti e dibattiti Allenare i ragazzi a diventare spettatori televisivi agguerriti FRANCO FABBRI Mi domando se si possa parlare specificamente di uno spettatore musicale televisivo. Certo, in Italia esistono reti televisive come Mtv e Allmusic, focalizzate sulla trasmissione di video musicali (e in misura quasi marginale su inchieste, documentari, talk show di argomento musicale o giovanile) e una minoranza dei telespettatori ha accesso a reti culturali dedicate in misura non trascurabile alla musica, ma mi è difficile pensare (perfino nel caso di Mtv) a uno spettatore musicale, e non invece a un telespettatore generico al quale capita di vedere programmi o parti di programmi in cui la musica ha un ruolo di primo piano. Più che altro, mi sembra che la questione sia distinguere fra telespettatori “agguerriti” e non, a prescindere dalla musica. Certo, la musica si presta molto – in un paese dall’educazione musicale insufficiente – a mistificazioni tipiche di una gestione scorretta del mezzo televisivo, ma non vedo grande differenza fra l’uso volgare del playback e l’uso volgare delle partecipazioni e del diritto di parola in salotti come Porta a porta. Un telespettatore critico conosce il “trucco del burino” (la spilletta luccicante all’occhiello di Berlusconi in un celebre confronto televisivo di qualche anno fa, quando il fondatore di Mediaset e capo del governo ancora vi si prestava: il trucco fu rivelato da un operatore di Cinecittà) tanto quanto la diversità di trattamento nelle presentazioni al Festival di Sanremo. Certo il Festival di Sanremo è di gran lunga moralmente superiore, e la ragione del suo successo televisivo di massa sta anche in una continua verifica del rispetto dei codici, per le violazioni ai quali ancora non si invoca l’immunità. 36 Insomma, mi sentirei a disagio a proporre una qualsiasi attività didattica volta a formare uno “spettatore musicale televisivo agguerrito” che non implichi una sua crescita parallela come telespettatore critico tout court. Anche perché il problema di gran lunga più importante che vedo nell’uso attuale dei media è di carattere del tutto generale: è il problema dell’accesso. Prima ancora di riflettere su come la televisione presenta la musica (quando lo fa) la domanda è: che cosa entra nella televisione e cosa no? E se ci entra, a quali condizioni? Non per amore del paradosso, ma come conseguenza di quanto precedentemente affermato, proporrei di analizzare non le presenze, ma soprattutto le assenze. Per quanto ne so, tanto per cominciare, esiste un insieme molto ampio di musiche che riscuotono l’interesse degli adolescenti e che non compaiono mai alla televisione. Gruppi punk e ska amatissimi, come i Punkreas, i Pornoriviste, eccetera. Hanno spesso fama regionale, ma anche nazionale (e nell’elenco potrebbero certo figurare anche star internazionali). Fa parte dell’esperienza ordinaria dei ragazzi che si interessano di musica (e che guardano la televisione) avere una certa familiarità con gruppi, cantanti, album, musiche che non arrivano in TV. Quindi ci si potrebbe domandare perché questo avvenga; quali caratteristiche musicali e paramusicali abbiano questi cantanti e gruppi, da far sì che il loro accesso al mezzo sia problematico; e quali caratteristiche abbiano cantanti e gruppi che invece appaiono in televisione di frequente, o senza problemi. Che cosa distingue i Pornoriviste dalle Vibrazioni o dai Lùnapop? E quali altre musiche di cui i ragazzi hanno esperienza non si vedono mai alla E l’insegnante può aggiungere qualche esempio? E cosa hanno in comune (se ce l’hanno) le musiche che vanno in TV senza problemi? E quelle che non ci vanno mai? Credo che si verificherebbe rapidamente che non si ha a che fare con un “mezzo” che si offre alle musiche per farle arrivare al pubblico dei telespettatori, ma di un sistema ampiamente integrato che produce musiche e le distribuisce, filtrando via quelle che non sono omogenee. Le cose – si sa – non sono proprio così semplici, e una delle dimostrazioni (quanto mai utile) è che esistono musiche prodotte da quello stesso sistema integrato che ugualmente non passano in TV, ma proprio per questo ottengono un’attenzione particolare. Sebbene non si tratti forse delle musiche più seguite dai ragazzi più giovani, non deve essere loro del tutto ignoto che molti cantautori (da Franco Battiato a Ivano Fossati, per non dire di Paolo Conte o Fabrizio De André) sono deliberatamente estranei alla televisione, e nonostante questo sono fra gli artisti più ricercati dalle case discografiche per il loro costante successo di vendita. Quindi, la televisione non solo non è un “mezzo”, ma può addirittura risultare un ostacolo per la stessa industria dell’intrattenimento. Sotto quale aspetto la televisione può essere un ostacolo alla canzone d’autore? E di quali altre cose non si parla mai in televisione? E quali non vengono pubblicizzate? Si può affrontare questa ricerca in modo generalista, mettendo insieme anche reti televisive con caratteristiche diverse, oppure in modo molto selettivo, ragionando quindi anche su questioni di genere: si tratta comunque (anche se l’espressione può suonare eufemistica) di “regole del gioco”. Sembrerà banale, ma ci si potrebbe chiedere che cosa permetta a certe canzoni di andare al Festival di Sanremo e altre no, e che cosa c’entri la televisione. Oppure (ricerca davvero interessante, se estesa negli anni) quali TV? Musica Domani 129 – Dicembre 2003 quell’evento musical-televisivo? Per restare in tema, e conciliare il senso della domanda che mi è stata posta con la risposta data fin qui, sarebbe curioso esaminare qualcuno dei casi in cui una musica abitualmente esclusa dalla televisione vi viene (per qualche ragione) improvvisamente inclusa, e cercare di notare insieme le alterazioni che questo comporta alla trama abituale del tessuto televisivo, oltre che alla musica. Un esempio recente quasi da manuale è stata la partecipazione di Francesco De Gregori con Giovanna Marini alla trasmissione condotta da Gianni Organizzare a scuola uno sguardo polifonico sulla TV ENRICO STROBINO Penso che la scuola debba essere luogo di scambio di opinioni, in cui si possono confrontare punti di vista sulle cose, in modo da riflettere sui valori in cui ognuno di noi crede e in base ai quali compie le proprie scelte. Mi sembra dunque opportuno proporre in classe percorsi che consentano uno scambio di vedute sui programmi televisivi che più interessano e coinvolgono ragazzi e ragazze. Non è facile quantificare quanto spazio si debba dedicare a questi temi; mi sembra importante intanto sottolineare il contesto in cui collocare questo tipo di proposta: la fruizione televisiva si inserisce nella progettazione didattica come un’area tra le più forti e importanti di quel paesaggio sonoro, musicale e culturale, che tutti noi quotidianamente abitiamo. Dal mio punto di vista, che è quello di un insegnante di educazione musicale, potrei dire che ciò che mi interessa maggiormente non è Musica Domani 129 – Dicembre 2003 “la musica televisiva” di per sé, bensì la musica di tutti i giorni, da qualsiasi fonte provenga. È chiaro quindi che in questo senso un programma come Amici diventi molto importante, in quanto condiziona abbastanza profondamente i valori e le abitudini culturali di ragazzi e ragazze. Credo anche che il concentrare l’attenzione sui prodotti della televisione non sia l’unico mezzo per fare una didattica della fruizione televisiva: tanto per fare un esempio, la tattica del playback, tipicamente televisiva, si può discutere a vari livelli, ma senza dubbio l’aver sperimentato una pratica musicale reale, attiva, fisica, corporea, fa indirettamente nascere un punto di vista critico verso la fiction musicale che comanda in televisione. Personalmente mi pare che negli ultimi anni a livello di musica televisiva siano successe alcune cose degne di attenzione: • il permanere del successo di Morandi. Quali canzoni sono state scelte per il “passaggio”? Come venivano presentate? Quali cose sono state dette, e quali taciute? Quali violazioni ci sono state alle etichette, quali imbarazzi e balbettii? In generale il linguaggio televisivo (e non solo quello, ovviamente) risulta più penetrabile attraverso le crepe che si formano quando la routine è spezzata dall’imprevisto: non insegno nulla, basta guardare Blob. Ma questo è tanto più vero in un sistema ipercodificato come quello del “numero” musicale in un varietà. Si tratta solo di andare a caccia. programmi in cui i bambini fanno il verso agli adulti, sia dal punto di vista musicale che da quello dei comportamenti (dalla storica Piccoli Fans a Bravo Bravissimo); • la contaminazione che questo modello ha operato via via anche sui programmi per adulti, come per esempio il Festival di Sanremo, con il fenomeno delle boy-band e di artisti-bambini sempre più giovani; • la diffusione massiccia, anche a livello didattico, di alcune pratiche nate in televisione, come ad esempio il karaoke: cantare con le basi, certamente utile e gratificante in qualche caso, ha assunto un peso nella didattica della musica a volte assolutamente debordante; • la nascita di programmi a quiz specificamente musicali, come Sarabanda; • la nascita di programmi strutturati sul modello della scuola, come Operazione Trionfo e Saranno Famosi. Negli ultimi tempi i programmi di riferimento delle discussioni in classe sono stati soprattutto Sarabanda e Saranno famosi (oggi Amici). Come ho già accennato credo che questi programmi siano tra quelli che maggiormente hanno influito nell’ultimo periodo sulla cultura dei ragazzi a vari li37 Confronti e dibattiti siano i criteri di selezione degli artisti per il Concerto del Primo Maggio: un caso davvero esemplare di “regole del gioco” in conflitto, dove l’ideologia (nel senso storico di falsa coscienza) ha un ruolo primario. Perché al Concerto del Primo Maggio, promosso dai sindacati confederali, nessuno suona mai l’Internazionale? Perché la presentazione “politica” di un cantautore fa scandalo? E perché, viceversa, non vengono invitati cantanti chiaramente ed esclusivamente (per quanto possibile) “commerciali”? Qual è, quindi, il “nocciolo duro” ideologico di Confronti e dibattiti velli. Personalmente sono stato particolarmente attratto dal programma di Maria De Filippi per vari motivi: senza dubbio quella di fondare una scuola televisiva è un’idea originale; trattandosi poi di una scuola d’arte, o meglio, di spettacolo, l’impostazione pedagogica del programma mi interessa ancora di più e sembra degna di essere osservata. Non condivido nulla di questa impostazione: il modello è quello della competizione e della selezione, assunti come unici criteri, oltretutto basati su valutazioni altamente opinabili, espresse direttamente dal pubblico e influenzate da molti aspetti esterni alle esibizioni degli studenti; la forma scelta per selezionare è una delle più violente, la sfida a eliminazione diretta. La proposta televisiva è molto articolata e potente e rende il programma simile per alcuni aspetti al Grande Fratello: una trasmissione settimanale in prima serata e un appuntamento giornaliero con telecamere pronte a cogliere la vita quotidiana all’interno della scuola; il tutto è poi contornato da una serie di supporti esterni (dischi, una rivista, gadget vari ecc...). Questo programma, come altri ascrivibili al genere del reality-show, pone in primo piano il rapporto tra realtà e finzione, certamente centrale per definizione in tutta la televisione ma che qui assume connotazioni più ambigue e sottili. In questa direzione Amici raccoglie suggestioni di molti altri programmi: alla competizione fra i partecipanti fa da contrappeso il sostegno di parenti e insegnanti, che esprimono in diretta i sentimenti di vicinanza più profondi, quasi sempre problematici o comunque emozionalmente forti, con numerosi riferimenti a precedenti proposte curate dalla De Filippi, tutte caratterizzate dall’uso della piazza televisiva per fare ammenda pubblica delle proprie mancanze, errori, sensi di colpa e così via. Il programma ha cambiato alcune abitudini di ragazzi e ragazze: ho notato per esempio una grande rivincita del canto e del ballo, cosa che in ambito di scuola media è sempre difficile proporre; nell’ulti38 mo periodo queste pratiche hanno molto successo proprio grazie ai modelli di Amici. Mi è capitato di incontrare ragazze che hanno acquisito un’apprezzabile competenza nell’uso del microfono anche a livello tecnico, grazie all’osservazione attenta dei personaggi del programma. D’altra parte la grande importanza data alla visibilità fa sì che questo diventi spesso il valore dominante e a volte unico: è importante tutto ciò che televisivamente funziona. Non è un caso che la scuola di spettacolo televisiva non si occupi di formare musicisti o che nelle varie specialità (canto, ballo e recitazione) si punti esclusivamente all’aspetto tecnico-esecutivo, tralasciando completamente quello creativo-artistico. In questa direzione è ovvio che anche l’aspetto fisico sia da porre in primo piano: ragazzi e ragazze sono tutti belli, magari problematici, ma belli. Riguardo agli obiettivi, sinceramente, non mi faccio grandi illusioni: non penso che una proposta didattica possa più di tanto spostare i giudizi di valore che i ragazzi esprimono su un programma di grande successo. Credo tuttavia che l’obiettivo sia, come dire, esterno al contenuto della proposta didattica stessa: l’obiettivo sta nell’abituare alla discussione, al confronto, al dubbio, che, forse, potrebbe contribuire a un abito mentale critico, come si usa dire. Continuo a ritenere importante che a scuola si possa incontrare qualcuno che, senza sensi di superiorità, si metta a discutere anche animatamente con ragazzi e ragazze, che sostenga idee e valori diversi o proponga comunque punti di vista sulle cose per loro inconsueti. Certo ci si scontra con un potere enorme a cui a volte si ha l’impressione di gettare addosso qualche piccola pietrolina assolutamente trascurabile. D’altra parte questo è il nostro lavoro, che è esattamente il contrario di quello televisivo: non è visibile, è organizzato su piccole dimensioni, lavora su cambiamenti di dettaglio, è centrato sullo scambio e sulla relazione diretta. Il metodo che utilizzo per proporre attività di questo tipo si basa sulle tecniche dell’animazione. In sintesi si tratta di accogliere le esperienze di ragazzi e ragazze come luogo educativo in cui si può fare ricerca sui valori della cultura; fare proposte che attivino il confronto, sia orizzontale che verticale; proporre un lavoro di gruppo, un’attività che vede appunto il gruppo come soggetto che apprende. Normalmente questo tipo di proposta inizia con il raccogliere una serie materiali utili a documentare l’oggetto del discorso. Proseguendo con l’esempio di Amici, in classe ci siamo organizzati per raccogliere i seguenti materiali: • la registrazione di alcuni momenti della trasmissione del martedì sera, cercando di documentare i vari momenti (l’esibizione-sfida, la lettera dell’insegnante, la lettera del genitore, il pubblico, la conduzione ecc.); • la registrazione di alcuni momenti della trasmissione pomeridiana, anche qui cercando vari elementi (lo studio, la relazione tra i ragazzi, il rapporto con l’insegnante ecc.); • alcuni numeri della rivista omonima; • alcuni materiali scaricati dal sito internet del programma, come per esempio il regolamento per la partecipazione al programma stesso. Dopo aver raccolto e selezionato i documenti raccolti, ragazzi e ragazze sono stati invitati a organizzarne la fruizione in laboratorio, predisponendo i mezzi necessari: uno o più video registratori, computer, riviste e altri materiali cartacei “in mostra”. Una volta organizzata la visibilità della documentazione si è trattato di organizzare i tempi per poter consentire ai singoli studenti di passare da un materiale all’altro e di esprimere opinioni, osservazioni, giudizi. Quest’ultima proposta è stata articolata in due fasi: la prima consiste nell’appuntare brevi frasi o singole parole da apporre in un cartellone posto in prossimità del documento stesso. Non è obbligatorio che ciascuno scriva su tutti i cartelloni. Ognuno non Musica Domani 129 – Dicembre 2003 della competizione su quella della cooperazione? • quali regole potremmo inventare? Quali premi? • sarebbe oggigiorno televisivamente accattivante? Perché? Questo tipo di lavoro pone più che dei problemi delle esigenze: è necessario che la proposta non si dilunghi per periodi molto estesi, di conseguenza si rende quasi obbligatoria la collaborazione di insegnanti di altre discipline, sia a livello organizzativo che di contenuto. D’altra parte quello della televisione mi sembra un campo in cui dovrebbe essere facile e particolarmente auspicabile attivare uno sguardo polifoni- Riferimenti bibliografici ALA N., GHEZZI E., 1983, “Musica e pubblicità nella televisione italiana”, in Musica/Realtà n. 12. ALBARELLO D., 1994, “Rotte immaginarie: costruire un videorap”, in FERRARI F., STROBINO E. (a cura di), Imparerock? A scuola con la popular music, Ricordi, Milano. BALDINI D., 2000, MTV, Il nuovo mondo della televisione, Castelvecchi, Roma. BARONI M., NANNI F., 1989, Crescere con il rock, Clueb, Bologna. CANO C., 1990, “Il registro sonoro”, in MERONI V. (a cura di), Marketing della pubblicità, Il Sole 24 Ore Libri, Milano. CANO C., CREMONINI G., 1990, Musica e cinema. Il racconto per sovrapposizioni, Vallecchi, Firenze. CARDINI F., BOLLA L., 1997, Macchina sonora. La musica nella televisione italiana, Eri-Rai/VQTP, Roma. CECCARELLI S., 2002, “Vedere i suoni, ascoltare le immagini”, in Musica domani n.124. CHIOCCI F., CORDONI G., ORTOLEVA P., SIBILLA G., 2002, La grana dell’audio. La dimensione sonora della televisione, Eri-Rai/VQTP, Roma. CHION M., 1997, L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, Lindau, Torino. D’AMATO M., 1997, Bambini e TV, Il Saggiatore, Milano. DAYAN D., KATZ E., 1993, Le grandi cerimonie dei media. La storia in diretta, Baskerville, Bologna. DELFRATI C., 2003, I colori della musica, Principato, Milano. DERIU R., PASQUALI A., TUGNOLI P., VENTURA M., 2000, Prova d’orchestra, Bompiani, Milano. DI MARINO B., 2001, Clip. 20 anni di musica in video (1981-2001), Castelvecchi, Roma. DORR A., 1990, Televisione e bambini, Nuova Eri, Torino. FERRARI F., 2002, “Educazione musicale e mass media”, Enciclopedia della musica vol. 2, Einaudi, Torino. FERRARI F., PIAZZA G., 2001, “Identikit di un brano”, in Progetto Muse 2000. Musica e suono nella scuola di base, Franco Angeli, Milano. GATTA F., 1987, “Sopra tutto, la musica”, in DELFRATI C. (a cura di), Esperienze d’ascolto, Ricordi, Milano. JULIEN J.R., 1992, Musica e pubblicità, Ricordi-Unicopli, Milano. Musica Domani 129 – Dicembre 2003 co, in cui quindi applicare la famosa “interdisciplinarità”. Questo genere di proposta didattica trova gli spunti maggiori direttamente nel bagaglio che i ragazzi stessi possono proporre: basta davvero mettersi in ascolto e si ha la possibilità di raccogliere materiali e idee di ogni tipo. Il lavoro dell’insegnante sta poi nell’aiutarli nella fase organizzativa, in modo da orientare il tutto a un confronto e non soltanto a una semplice fruizione. Certo occorre poi essere disponibili a passare qualche serata davanti alla televisione, anche se non con il proprio programma preferito: di questi tempi, comunque, non è che si corra il rischio di perdere chissà che! MARCONI L., 2001, “Muzak, jingle, videoclip”, in Enciclopedia della musica vol.1, Einaudi, Torino. MAULE E., 2001, La musica dei cartoni, Edizioni Junior, Bergamo. MAULE E., 2002, “Le musiche dei cartoni: una prospettiva interdisciplinare”, in Musica domani n. 122. MAZZOLI F., 2001, C’era volta un re, un mi, un fa.…, EdT, Torino. MICHELONE G., VALENZISE G., 1998, Bibidi Bobidi Bu, Castelvecchi, Roma. MICELI S., 1982, La musica nel film, Discanto, FiesoleFirenze. MICELI S., 1994, “Musica e cinema: un approccio metodologico”, in Musica domani n. 92. MICELI S., 2000, Musica e cinema nella cultura del Novecento, Sansoni, Milano. MORCELLINI M., 1999, La TV fa bene ai bambini, Meltemi, Roma. PELLAI A., 1999, Teen television: gli adolescenti davanti e dentro la TV, Franco Angeli, Milano. PELLAI A., 2001, Il (nuovo) bambino che addomesticò il televisore: la guida per crescere bambini felici e teleducati, Franco Angeli, Milano. POIRIER A., 2001, Le funzioni della musica nel cinema, in Enciclopedia della musica vol.1, Einaudi, Torino RUBBI M., 2000-2001, Usi della musica nella neotelevisione: una proposta di tassonomia, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Bologna, reperibile in Internet all’indirizzo http://tesionline.corriere.it/default/tesi.asp?idt=6154. SIBILLA G., 1999, Musica da vedere. Il videoclip nella televisione italiana, Eri-Rai/VQTP, Roma. SIBILLA G., 2003, I linguaggi della musica pop, Bompiani, Milano. SIMEON E., 1993, “Musica e immagine: un rapporto da indagare”, in Musica domani n. 86. SIMEON E., 1995, Per un pugno di note, Rugginenti, Milano. SIMEON E., 1996, “Pro o contro il videoclip: un dibattito aperto”, in Musica domani n. 98. SIMONELLI G., 1994, Le sigle televisive. Nascita e metamorfosi, Eri-Rai/VQPT, Roma. STEFANI G., 1976, “Denotazione e connotazione nei caroselli”, in Introduzione alla Semiotica della musica, Sellerio, Palermo. TAGG Ph., 1994, “Stereotipi nella musica televisiva”, in Popular music. Da Kojak al Rave, Clueb, Bologna. 39 Confronti e dibattiti può scrivere più di due cose di seguito sullo stesso cartellone, ma può tornarvi quante volte vuole. Chi desideri ribadire un’idea già espressa da altri, può sottolinearla; una stessa idea può essere evidenziata più volte da più persone. Nella seconda fase i cartelloni sono stati utilizzati per la discussione collettiva, in cui hanno trovato posto anche alcune mie domande: • vi piacerebbe che la scuola “normale”, quella di tutti i giorni, fosse organizzata in base agli stessi criteri di Amici? • sarebbe possibile ideare un programma simile a questo basandosi invece che sulla logica Siem diventa socio L’associazione alla Siem è un’occasione preziosa per: • partecipare e far progredire il dibattito pedagogico e didattico in ambito musicale; • conoscere esperienze, tecniche e metodi nuovi per l’educazione musicale; • intervenire nelle sedi istituzionali per ampliare e migliorare la formazione musicale in Italia. I soci, oltre a partecipare alle attività e alle iniziative della Siem, ricevono: • la rivista Musica Domani; • i Quaderni di ricerca e di didattica della Siem. I soci Siem hanno diritto a sconti: • per l’acquisto di libri EDT (riduzione del 15%); • per l’abbonamento al Giornale della Musica (offerto al costo di 8 25 anziché 34). Quote annuali 2004: • soci ordinari • studenti* • biblioteche • soci sostenitori 8 8 8 8 36,00 28,00 36,00 72,00 Quote triennali 2004-2005-2006 Da quest’anno viene introdotta per i soci ordinari e sostenitori la possibilità di iscriversi per un triennio versando una quota ridotta. La spedizione della tessera avverrà annualmente a cura della segreteria. • soci ordinari 8 100,00 • biblioteche 8 100,00 • soci sostenitori da 8 200,00 Versamenti Versamento in ccp: n. 19005404 intestato a Siem – Società Italiana per l’Educazione Musicale – via dell’Unione, 4 – 40126 Bologna. Bonifico: sul ccp 19005404, ABI 07601, CAB 02400. Carta di credito: utilizzare il modulo allegato (da inoltrare via fax per ragioni di sicurezza). N.B.: per velocizzare le operazioni di registrazione dell’iscrizione, si consiglia di inoltrare via fax o e-mail alla segreteria (vedi sotto) la ricevuta del versamento. Informazioni Segreteria Siem: telefono e fax 011/9364761 lunedì dalle ore 9.00 alle 12.00 mercoledì e venerdì dalle ore 15.30 alle 18.00 e-mail: [email protected] * persone fisiche fino a 25 anni che dimostrano, anche attraverso autocertificazione, di non svolgere alcuna attività lavorativa regolare e continuativa. MODULO PER IL PAGAMENTO DELLA QUOTA ASSOCIATIVA SIEM CON CARTA DI CREDITO da fotocopiare e spedire via fax allo 011/9364761 Cognome e nome Via CAP Città Telefono Stato Fax ❏ Socio ordinario 2004 e-mail ❏ Socio studente 2004 ❏ Socio ordinario triennale 2004-2006 ❏ Biblioteca 2004 ❏ Socio sostenitore triennale 2004-2006 ❏ Socio sostenitore 2004 ❏ Biblioteca triennale 2004-2006 Versa e con carta di credito n. ■■■■ ❏ VISA ❏ Mastercard ❏ Eurocard ■■■■ ■■■■ ■■■■ Nome del Titolare data di scadenza data Firma Siem – Società Italiana per l’Educazione Musicale CONVEGNO Musica + Liceo = Liceo Musicale? Sabato 13 marzo 2004 – ore 10.00/18.00 RIMINI DISMA MUSICSHOW Quartiere Fieristico - Via Emilia 155 (RIMINI) In collaborazione con Disma Musica, Coram, Musica!, Rimini Fiera e Scuola Musicafestival MARINA MAFFIOLI Musica Domani in libreria? Anche se negli ultimi tempi il mondo della scuola sembra esprimere un crescente interesse per le attività che consentono ai bambini di potenziare le proprie capacità di immaginazione e creatività in ambito motorio e corporeo, non sono molti i testi che propongono la danza come pratica educativa attuabile nella scuola di base, al di fuori di un contesto formativo professionalizzante. Per questo motivo è certamente utile segnalare l’edizione italiana di In touch with dance di Marion Gough, testo ampiamente sperimentato nella sua efficacia teorica e metodologica e ancor oggi riferimento importante per gli educatori come manuale che riesce a coniugare chiarezza e originalità delle proposte didattiche. La decisione di tradurre In touch with dance, pubblicato in Gran Bretagna una decina d’anni fa, appare quindi molto opportuna, considerata l’attualità e l’originalità delle indicazioni e delle riflessioni della Gough, autrice di un testo che certamente contribuisce a colmare una carenza ancor oggi Musica Domani 129 – Dicembre 2003 riscontrabile in Italia nel campo della didattica e pedagogia della danza. Esperta di problematiche e tematiche inerenti alla danza nell’educazione e per molti anni insegnante presso il Laban Centre di Londra, Marion Gough conduce tuttora seminari in Europa e negli USA, rivolti a insegnanti di danza e danzatori, con la convinzione che «la danza nella scuola non è meno impegnativa né ha minor valore della danza professionale» e sia importante quindi sostenere concretamente chi desidera approfondire e ampliare le proprie conoscenze, per valorizzare il ruolo delle attività di danza nella scuola. Anche l’edizione italiana, dal titolo A tu per tu con la danza, traduzione di Laura Delfini e Franca Zagatti, si rivolge a tutti gli insegnanti (di danza, della scuola, agli educatori di area artistica ed espressiva) che desiderano acquisire idee, informazioni, consigli su come strutturare un percorso di educazione alla danza intesa come arte del movimento che mette al centro del discorso la persona. «La persona-insegnante viene guidata e spronata, valorizzata e accudita, a partire dalla storia individuale e dalle caratteristiche personali, di conseguenza i suggerimenti e le tecniche di lavoro illustrate non sono mai delle prescrizioni, ma piuttosto una rosa di possibilità a cui poter attingere e su cui poter ragionare per scegliere liberamente in base all’obiettivo del momento». Nel testo possiamo individuare tre parti: nella prima si evidenziano quali siano gli obiettivi di movimento da perseguire per attivare un’educazione alla danza che non si proponga come generica acquisizione di passi e codici prestabiliti, ma stimoli l’allievo stesso a esplorare, scoprire e familiarizzare con gli elementi base del movimento. Gli obiettivi indicati dalla Gough derivano dall’analisi di tradizione labaniana: corpo, spazio, dinamica, relazione sono i grandi contenitori che forniscono il materiale e gli attrezzi per realizzare la propria danza e costruire nello stesso tempo un rapporto armonico con il corpo migliorando «la consapevolezza di sé e del mondo circostante». Nella seconda parte del testo l’autrice prende in considerazione diverse strategie che concorrono a sostenere la qualità dell’insegnamento e, conseguentemente, l’apprendimento degli allievi. Ad esempio riflette sui diversi stili di conduzione della lezione distinguendone caratteristiche specifi- La trovate qui. Torino, Beethoven Haus Milano, Mitarotonda Padova, Musica e Musica Bologna, Ut Orpheus Firenze, Ceccherini Roma, Hortus Musicus Roma, Musicarte Napoli, Simeoli Palermo, Matilde Sacco Nelle Librerie Feltrinelli di: Ancona, Bari, Bologna, Brescia, Ferrara, Firenze, Genova, Milano, Modena, Napoli, Padova, Pescara, Pisa, Parma, Ravenna, Roma, Salerno, Siena e Torino e nelle Librerie Fernet di: Piacenza, Alessandria e Vigevano 41 Libri e riviste Idee e percorsi per fare danza nella scuola Libri e riviste che; sottolinea l’importanza di una buona presentazione rispetto al successo della modalità di conduzione; giudica fondamentale la cura nello scegliere lo stimolo iniziale che non deve però assumere un ruolo eccessivamente preponderante e ostacolare così la ricerca, l’esplorazione e la rielaborazione degli elementi del movimento; approfondisce infine riflessioni inerenti la valutazione del progredire degli allievi. «La maggior parte degli insegnanti desidera vedere e misurare i progressi e i risultati dei propri studenti. È anche molto comune (e frustrante) l’impressione di non riuscire né ad avanzare nel programma né ad allontanarsi dai primi rudimenti. L’insegnamento rischia così di diventare un percorso a circuito chiuso, in cui l’insegnante si sente in dovere di proporre continuamente sempre nuovi stimoli, il che non fa altro che alimentare negli studenti una richiesta continua di nuovi input. Forse questa è anche la vostra esperienza. Cosa si può fare?». Sempre nella prospettiva di un buon insegnamento vengono approfonditi, analizzati e chiariti da esemplificazioni pratiche i tre pro- cessi base che sostengono l’atto del danzare: la composizione, che per la Gough include il momento dell’esplorazione e dell’improvvisazione; l’esecuzione, ovvero la performance; l’apprezzamento, termine tradotto direttamente dall’inglese appreciating che implica «lo sviluppo di capacità di osservazione e analisi, nonché di elaborazione critica». La terza parte del testo fornisce infine esempi di lezione e di progetti a più ampio respiro che si rivolgono a ragazzi dai 9 ai 13 anni: viene indicato lo stimolo, ossia l’idea da cui partire, l’obiettivo di movimento da esplorare e ne viene suggerito il tipo di accompagnamento musicale, insieme a una serie articolata di attività da proporre. Non mancano utili schemi riassuntivi e numerose immagini fotografiche, estremamente funzionali in un testo che si propone sia come manuale pratico che come strumento di riflessione sul fare e pensare la danza. La lettura risulta piacevole e nello stesso tempo produttiva sul piano della rielaborazione personale: la vasta e approfondita esperienza di insegnamento dell’autrice traspare infatti nella scelta di parole chiare Il punto sugli sviluppi dell’analisi musicale FRANCESCO BELLOMI Il Bollettino di Analisi e Teoria Musicale cambia nome: è diventato Rivista di Analisi e Teoria Musicale. Cambia anche editore, che ora è la Libreria Musicale Italiana. Per fortuna non cambia contenuti e si mantiene fedele alla linea precedente offrendo al lettore italiano un prezioso stru42 mento di conoscenza. Nella prima parte della pubblicazione in oggetto il lettore troverà quattro dei cinque contributi italiani presentati al V Convegno Europeo di Analisi Musicale tenutosi a Bristol (UK) dal 4 al 7 aprile 2002. Nella seconda parte sono presenti due delle relazioni pre- e nell’uso di un linguaggio concreto, facilmente accessibile anche ai non addetti ai lavori, che la traduzione è riuscita a mantenere grazie a un’evidente attenzione al dettaglio terminologico. Questa cura lessicale ed espositiva fa di A tu per tu con la danza un testo che potrà sicuramente rispondere alle attese degli insegnanti alla ricerca di indicazioni per fare danza (ma anche riflettere su ciò che si realizza attraverso la danza), per progettare concretamente laboratori con i bambini e ragazzi nel contesto scolastico (tutte le proposte sono frutto di sperimentazione sul campo e arricchite da esempi chiarificatori), per strutturare percorsi di creatività del movimento grazie a riferimenti didattici significativi che collocano «l’apprendimento e la crescita degli studenti al centro del processo educativo, artistico ed estetico». Marion Gough, A tu per tu con la danza, Mousikè Progetti Educativi, Bologna, 2002, pp. 120, 7 20,00. Da richiedere a: [email protected] tel.051-505528. sentate al Secondo Incontro di Studio di Analitica, svoltosi al Conservatorio di Castelfranco Veneto il 30 e 31 marzo 2001. Il primo intervento “La macroforma nella musica post-tonale. Ascolto e Analisi” a firma di Mario Baroni, dopo aver focalizzato alcuni principi dal punto di vista teorico, metodologico e storico (il concetto di macroforma nella musica d’avanguardia, la pratica analitica della segmentazione, gli effetti di tensione e distensione, il tematismo, il concetto di convergenza o coerenza parametrica ecc.) descrive sinteticamente ed efficacemente il lavoro di ricerca scientifica effettuato da alcuni membri del Gruppo di Analisi e Musica Domani 129 – Dicembre 2003 Musica Domani 129 – Dicembre 2003 Libri e riviste Teoria Musicale coordinati da Rossana Dalmonte e dallo stesso Baroni. Nella ricerca tre gruppi di ascoltatori si sono dati l’obiettivo di identificare la forma del secondo tempo del quartetto in due tempi che Bruno Maderna pubblicò nel 1955 presso le edizioni Suvini-Zerboni, secondo le seguenti diverse strategie. Il primo gruppo analizzava la partitura, il secondo gruppo analizzava la partitura e ascoltava anche attentamente l’esecuzione, il terzo gruppo si basava unicamente sull’ascolto dell’esecuzione. I tre gruppi avevano compiti in comune: separazione in parti del brano, «differenziazione» (secondo le teorie di Irène Deliège) delle parti, organizzazione in gerarchie dai livelli più minuti a quelli più ampi. I risultati mostrano somiglianze ma anche differenze significative fra le conclusioni dei vari gruppi. Mettendo a fuoco, ad esempio, come il timbro, la dinamica, la tessitura, il movimento ritmico siano molto più importanti per la percezione dell’ascoltatore che non le altezze e le durate che sono invece al centro nell’analisi basata sulla partitura. Nel secondo intervento, “René Leibowitz e la fedeltà al testo”, Rossana Dalmonte illustra le sottili operazioni analitiche implicite che si possono dedurre dalle annotazioni autografe di Leibowitz sulla partitura della quinta sinfonia di Beethoven. Partitura presente nella biblioteca del Dipartimento di Musica e Spettacolo di Bologna. Molto interessanti le argomentazioni intorno alla presenza di un macro-ritmo interno al capolavoro beethoveniano, ben noto a chiunque si voglia cimentare nella direzione dei questo celeberrimo brano. Il contributo di Piero Gargiulo e Marco Mangani, “Sul protomadrigale di Philippe Verdelot: metodo analitico e primi risultati”, affronta invece, con meticolosa precisione, il problema delle relazioni formali tra musica e testo tenendo presenti le ipotesi di James Haar e di Iain Fenlon sulla “invenzione” del madrigale italiano. DA NON PERDERE di Luca Marconi Vincenzo Perna, “Il fantasma dell’autenticità. Utilità e limiti della world music”, Musica/Realtà, n. 69, 2002/3, pp. 55-77; Paolo Prato, “La musica nell’era della globalizzazione”, Musica/Realtà, n. 69, 2002/3, pp. 127-134; Shuhei Hosohawa, “Salsa no tiene frontera. Orquestra de la Luz e la globalizzazione della musica”, Musica/Realtà, n. 70, 2003/1, pp. 91-122; Maurizio Disoteo, “Ecco s’avanza uno strano meticcio… La musica nel traffico delle culture all’alba del nuovo secolo”, Musica/Realtà, n. 71, 2003/2, pp. 125-137; Maurizio Disoteo, “Intrecci musicali tra globale e locale”, Musicheria, Rivista Telematica di Educazione Musicale, www.csmdb.it/musicheria/default.htm. In questi ultimi anni la parola “globalizzazione” sembra aprire tutte le porte per affrontare un qualsiasi discorso sulla società attuale e sulla sua cultura. Encomiabile è allora la decisione della rivista Musica/Realtà di ospitare nei suoi tre numeri più recenti una serie di saggi che da diverse angolazioni cercano di affrontare dei fenomeni musicali che in qualche modo con la globalizzazione hanno a che fare. Nel numero 69, Paolo Prato apre il suo saggio distinguendo due fondamentali processi ai quali spesso si fa riferimento con il termine “globalizzazione”: da una parte, la moltiplicazione del sapere e dei prodotti culturali propria dell’era della comunicazione di massa e dall’altra la diffusione-imposizione in un’area che si cerca di ampliare sempre maggiormente di particolari modelli culturali. Fornite tali coordinate, si passa poi a mostrare come la globalizzazione della musica sia una realtà da oltre un secolo (individuando alcuni fenomeni socio-culturali avvenuti prima in musica che in altri ambiti) e a elencare alcune sue conseguenze negative rilevabili nella condizione musicale attuale, quali il declino dell’ascolto e la dissipazione sociale del suono. Nello stesso numero, Vincenzo Perna si concentra sulla world music, mostrando come per comprendere a fondo questo genere sia necessario rivedere alcuni cliché assai diffusi sull’esistenza di un sincretismo stilistico globale e di un’autenticità mitologicamente radicata nelle culture locali; Perna annuncia anche una seconda parte dell’articolo più esemplificativa, sul recente boom della musica cubana, che non è apparsa sui due successivi numeri della rivista; si può comunque leggere il suo libro, apparso nel frattempo, Timba – Il suono della crisi cubana (Roma, Arcana, 2003). Di tematiche vicine a quelle trattate da Perna si occupa Maurizio Disoteo, che sviluppa alcune riflessioni da lui esposte nel secondo capitolo del libro Antropologia della musica per educatori (Milano, Guerini Studio, 2001). Con un approccio interdisciplinare, Disoteo affronta non solo la world music ma anche altri fenomeni musicali considerabili come risultati di un processo di meticciato, cioè dell’incontro tra paesi e culture musicali diverse. Un caso emblematico in questo senso è quello considerato da Shuhei Hosokawa, che analizza con notevole acume il successo riscosso sia in patria che all’estero tra il 1990 e il 1997 (anno del suo scioglimento) dal gruppo giapponese Orquestra de la Luz, specializzato in un repertorio, spesso composto dal gruppo stesso, di musica salsa. Anche se si tratta di un esempio molto specifico e poco noto al lettore italiano, alcune delle riflessioni di Hosokawa sulle relazioni tra il globale e il locale nelle musiche d’oggi possono fornire utili spunti per affrontare esempi a noi più vicini e più noti. 43 Libri e riviste Mauro Mastropasqua, in “Fenomenologia dell’ermeneutica analitica. Il caso degli schemi archetipi nelle forme tonali”, tocca un problema di scottante attualità nel mondo analitico: quello del rapporto fra dogmatismo e relativismo delle diverse pratiche analitiche. Mastropasqua si chiede: «Che cosa significa costruire un consenso intorno a una prassi analitica? Non mi sto riferendo a una correttezza formale degli enunciati analitici (delle “regole” del sistema che li sottende): un’analisi può essere giudicata irreprensibile in questi termini, ma perfettamente incapace di cogliere gli aspetti essenziali della musica». La ricca serie di argomentazioni di Mastropasqua tocca vari aspetti e varie teorie, con una attenzione particolare a quelle di Meyer sui meccanismi mnemonici di ritenzione e protensione. In “Appunti per un modello generale di segmentazione melodica” Fabio Cifariello Ciardi affronta un nodo concettuale strategico dell’analisi, non solo musicale: quello delle procedure di segmentazione. Sono le stesse per qualsiasi stile musicale e quindi generalizzabili? Il riferimento alle teorie percettive della Gestalt è d’obbligo. Nell’esaminare l’utilizzo dei principi gestaltici in riferimento ai vari parametri del suono emergono però differenze significative. Ad esempio: «Il parametro forse più significativo e rilevante in una grande varietà di contesti acustici, è la dinamica che influenza fortemente la nostra capacità di localizzazione del suono nello spazio (Scheirer 2000). La sua utilità in un modello di segmentazione è però limitata dal fatto che la nostra sensibilità alle variazioni dinamiche è decisamente inferiore rispetto alla sensibilità che dimostriamo nella percezione dell’altezza e della durata (Patterson 1974). […] Tenendo conto di questo tipo di problemi le categorie legate alla durata e all’altezza del suono sembrano quelle che meglio si prestano a essere utilizzate per prime da un modello generale di segmentazione melodica.» L’articolo passa in rassegna le più importanti ricerche sull’argo44 RASSEGNA PEDAGOGICA di Roberto Albarea Lorena Milani, Peer mediation. Educare alla gestione dei conflitti, Tirrenia Stamp, Torino, 2002, pp. 118, 7 10,00. Questo volumetto indaga sulla difficoltà delle relazioni e, in particolare, della relazione educativa: la conflittualità e la sua gestione. Essa in genere è interpretata come segno di disagio e di sofferenza; invece il libro parte proprio dal presupposto che il conflitto sia una realtà connaturata alle relazioni umane e che costituisca una sfida e una risorsa per la formazione. Rapportandosi alla valenza e all’ambivalenza del conflitto, il fine della ricerca educativa è quello di pervenire a un dialogo autentico che non escluda, bensì accetti la realtà del conflitto. «La sfida della scuola di oggi risiede, in sostanza, nel farsi comunità: l’esperienza comunitaria risulta sempre meno presente nella vita dei soggetti e la socializzazione risulta spesso ridotta a livelli di massificazione e di falsa partecipazione. La conflittualità, paradossalmente, potrebbe divenire una leva positiva se in grado di produrre dialettica e confronto, non solo scontro e violenza» (p. VII). Partendo da questa stimolante ipotesi, l’autrice esplora le diverse forme del conflitto sino a giungere alla Peer Mediation (la meditazione fra i paro) in cui l’ottica è spostata sul livello microsociale dei conflitti. Attraverso la Frame Analysis (E. Goffman) si tenta di interpretare e spiegare la realtà secondo il concetto di frame, una struttura o cornice che dà nuovo senso a gesti, suoni, situazioni e messaggi quotidiani, così che occorra un processo di riflessione e di mediazione che viene denominato reframing, una sorta di riformulazione che consente di mettere in evidenza i punti in comune, rivedere le proprie posizioni, porsi in confronto e in ascolto dell’altro e dell’alterità. La gestione del conflitto è legato altresì all’educazione alla pace, in quanto si perviene a essa solo attraverso la (faticosa) esplicitazione dei conflitti latenti e non con un’ingenua e superficiale posizione di serenità incosciente; possiamo affermare con Luciano Corradini che «cercare la pace non vuole dire stare in pace, ma non darsi pace di fronte alle ingiustizie» (p. 6). Il conflitto si esprime anche in forme paradossali non facili da gestire: l’accettazione incondizionata dell’altro in quanto persona non ha nulla a che fare con una supposta neutralità o una non intromissione. L’educatore può addirittura generare conflitto (sempre nei termini di una sua gestibilità), se questo serve a promuovere la crescita del soggetto: In sintesi il conflitto resta utile quando lascia aperta la possibilità di dialogo e di mediazione. La mediazione prima di essere una tecnica, uno strumento, è un processo; essa tenta di ristabilire un dialogo per consentire di giungere a un obiettivo, passando per il riconoscimento delle parti in questione. Il mediatore a sua volta non è un consulente bensì un facilitatore e un animatore e può adottare diversi stili di mediazione: il modello facilitativo, il modello valutativo, il modello trasformativo, il modello narrativo. La Peer Mediation nasce e si sviluppa dal Peer Helping di tradizione anglosassone: il principio alla base di entrambi è quello di riconoscere a ogni persona la capacità e la competenza di risolvere problemi di relazione e convivenza. Non è sufficiente, perciò, insegna- Musica Domani 129 – Dicembre 2003 Musica Domani 129 – Dicembre 2003 mento e su specifici argomenti a esso collegati, come la percezione dell’accento e del metro, il concetto di continuità e discontinuità. Vengono inoltre richiamate ricerche ormai storiche come quella di George Miller (1959) sul «magico numero 7 più o meno 2». L’articolo si conclude illustrando efficacemente alcune ricerche sperimentali dello stesso Cifariello Ciardi, anche in collaborazione con altri, su «Intensità e soglie per la discontinuità d’altezza, Intensità e soglie per la discontinuità di durata, Intensità e soglie per la continuità della pulsazione». L’articolo di Anna Damiani, Fabio Cifariello Ciardi, Marta Olivetti Berardinelli intitolato “Influenza di tonalità e salienza sul riconoscimento di melodie in età evolutiva” si propone di «verificare se la percezione e la seguente elaborazione di una sequenza musicale discreta siano facilitate dalle microvariazioni temporali e dinamiche inserite nel tessuto sonoro, microvariazioni che si ipotizza agiscano sulle continuità e discontinuità percepite durante l’ascolto». Nelle poche pagine si delineano sinteticamente e chiaramente alcuni problemi e teorie connesse ai meccanismi della memoria utilizzati nel riconoscimento di melodie. Le ricerche citate confermano «l’esistenza di due sistemi di memoria distinti, l’episodica e la semantica, caratterizzati da un diverso livello di consapevolezza, rilevabile, e rilevato, a livello comportamentale mediante due categorie diverse di risposte di riconoscimento». Nella conclusione si afferma: «Il contributo empirico che abbiamo esposto verifica l’ipotesi generale di un miglioramento della prestazioni di riconoscimento di stimoli musicali conosciuti, quando questi vengono presentati con un’accentuazione e un’articolazione tale da evidenziare una loro possibile segmentazione». Si può ben immaginare quanto un interprete possa essere interessato alla conoscenza di questi risultati strettamente connessi al fraseggio musicale. L’articolo conclusivo di Luisa 45 Libri e riviste re comportamenti, ma occorre far sperimentare la coerenza e l’autenticità delle condotte umane e delle proprie azioni alla luce di valori e criteri guida che mantengano le motivazioni sul piano del rispetto e della dignità umana. «Nella mediazione tra pari coloro che svolgono il ruolo di mediatori non sono professionisti, bensì volontari che, nella maggior parte dei casi, hanno partecipato a un breve, ma non superficiale, iter di formazione» (p. 41). Nel caso di quella scolastica essa è attuata da studenti che aiutano i loro pari a risolvere le dispute. Mi permetto di avanzare qualche perplessità sulle effettive capacità di mediazione raggiunte dopo un breve corso di formazione: ahimè, questa è una ricorrente ed efficientistica impostazione che si ritrova anche nella formazione iniziale e in servizio dei docenti, in cui il possesso e l’esercizio di capacità relazionali non sono da paragonare all’acquisizione di abilità informative intorno a un qualsiasi argomento, in quanto tempi e modalità richiedono processi meno accelerati e più ponderati rispetto a un corso di addestramento: è la differenza tra sapere agito e informazione. Comunque le osservazioni del testo sono un’importante fonte di riflessione e la mediazione tra pari può anche realizzarsi se si utilizza il senso della misura e il concetto di livello soglia. Cioè: fino a che punto un’attività di Peer Mediation può essere assunta da un pari e fino a che punto questa deve essere sostituita o supportata dall’azione autorevole dell’adulto? In un capitolo si focalizza la sequenza delle fasi di attuazione della mediazione fra pari. Fase A: proposta e sviluppo della motivazione del corpo docente: analisi del contesto, definizione dei criteri per la scelta dei mediatori, formazione dei coordinatori, creazione di uno staff allestito all’uopo. Fase B: presentazione agli studenti che coinvolge: motivazione, creazione di una cultura della mediazione, apprendimento di alcune abilità di gestione dei conflitti, presentazione del ruolo e delle abilità del mediatore. Fase C: creazione del gruppo dei mediatori e conseguente educazione all’ascolto, distanziamento e preparazione di esperienze guidate compreso l’esercizio alle capacità di autoanalisi e di critica. Fase D: gestione dei casi che implica: ricerca del luogo per la mediazione, progettazione dell’orario e di momenti di consulenza e di formazione continua dei peer mediators, gestione della fase di follow-up. Fase E che riguarda la verifica e la valutazione, è presente alla fine di ogni stadio della sequenza. La Conflict Resolution Education, con le sue finalità generali e specifiche, si inserisce nella struttura del curriculum effettuando correlazioni con l’educazione multiculturale e antipregiudizi, con la mediazione scolastica tra pari, con le forme all’educazione civica, con l’apprendimento sociale e emozionale e anche con gli aspetti organizzativi. Si tratta in sostanza di un modo di porsi di fronte alle relazioni umane che ne sottolinea l’aspetto interdipendente, il gioco tra le parti, la consapevolezza che l’azione e il pensiero di un soggetto o dei soggetti sono fittamente intrecciati a quelli degli altri, che le scelte e le decisioni in ambito scolastico e sociale devono tener conto non solo delle mete individuali, legittime, di ciascuno, ma anche delle loro conseguenze e che queste scelte e decisioni (atteggiamento sostenibile) hanno un riverbero nella complessa dinamica dello stare insieme, a livello intellettivo, affettivo e operativo, e si traducono in opzioni eticamente fondate. Libri e riviste Curinga, “Percorsi paralleli: contributi storico-documentari e analitici per l’interpretazione di Syrinx di Claude Debussy”, svolge una approfondita analisi di questo celeberrimo brano articolata su due livelli: quello storicodocumentario (con una appassionante ricerca e comparazione delle fonti) e quello propriamente analitico (con una ricca rassegna dei numerosi contributi analitici pubblicati su questo brano). Un articolo che ogni flautista dovrebbe conoscere a menadito. AA. VV., Recenti contributi italiani all’analisi musicale, (a cura di Egidio Pozzi) in Rivista di Analisi e Teoria Musicale (periodico dell’associazione «Gruppo di Analisi e Teoria Musicale» GATM), Anno VII n. 1 – 2002/1, LIM – Libreria Musicale Italiana, Lucca. SCHEDE Aldo Bova, Giocare con la Musica, 95 giochi musicali per insegnanti, educatori, genitori e per divertirsi con gli amici, Erickson, 2003, pp. 139 Giocando si impara, si diceva un tempo. Impariamo a giocare con la musica, questo è l’accorato messaggio che Aldo Bova vuole trasmetterci per meglio comprendere la vera essenza del fare musica. Giocare con la musica, si rivolge a un’ampia gamma di destinatari – insegnanti, educatori, genitori e gruppi di bambini o adulti – con l’intento di rendere l’esperienza musicale viva ed entusiasmante, di certo priva di meccanismi o di concetti troppo astratti. L’autore propone vari spunti operativi per ascoltare, inventare e fare musica a tutti i livelli, sempre sotto forma di gioco. Il libro è suddiviso in tre parti. La prima è dedicata ai giochi che favoriscono lo sviluppo della percezione e della memoria uditiva, lo sviluppo dell’attenzione e del coordinamento audio-motorio. La seconda riguarda i giochi destinati al fare musica attraverso l’utilizzo di strumenti musicali, della voce o del proprio corpo. Infine, la terza parte punta l’attenzione sulla creatività, proponendo numerosi giochi per comporre brani musicali o rielaborare brani conosciuti. Nella seconda parte del libro l’autore riserva particolare attenzione all’improvvisazione da svolgere in ambito tonale, modale e pentafonico, oppure in ambito ritmico e in taluni casi senza vincoli preposti. Ogni gioco presenta un titolo, il grado di difficoltà – sia per chi propone, sia per chi pratica – e una spiegazione sintetica del tipo di attività con possibili varianti. Il volume si presta a essere utilizzato per trovare idee e materiali da inserire nei propri percorsi didattici, o può essere impiegato nella vita di tutti i giorni, scegliendo un approccio diretto con l’esperienza musicale. Inoltre l’autore inserisce nelle ultime pagine un indice alfabetico di obiettivi e un’utile bibliografia che potrà essere consultata anche dai meno “esperti” del settore. (Sabrina Alberti) Andrea Valle, La notazione musicale contemporanea, no 2003, pp. 224, 8 18,00 NOTIZIE I docenti di Didattica del Conservatorio di Foggia (Gianna Fratta, Augusta Dall’Arche, Massimo Di Sandro, Luciano Di Giandomenico, Michele Gasbarro) hanno fondato CINQUE SPAZI – Giornale della scuola di Didattica della Musica. Cinque Spazi perché cinque sono le materie con le quali riflettere su problematiche legate alla concreta attività didattica. Un bimestrale che allievi e docenti riempiono di progetti, percorsi e saggi del lavoro svolto (partiture, ricerche, sperimentazioni…). L’ultimo numero si è occupato di un musical per bambini andato in scena a Foggia lo scorso giugno, Toys: musical per due orchestre, tre voci soliste, due cori, sei ballerini, tre attori e cinque burattini, completamente inventato dagli allievi della Scuola. Per informazioni: [email protected] – [email protected] 46 EDT/De Sono, Tori- È stato soprattutto negli anni compresi tra 1950 e il 1970 che compositori quali Earle Brown, Cage, Boulez, Logothetis, Stockhausen e molti altri si sono dedicati allo studio di nuovi sistemi di notazione. Dopo questo periodo di intenso fervore, la sperimentazione grafica ha progressivamente esaurito la propria carica di interesse, tanto da apparire ormai come un capitolo chiuso e definitivamente archiviato. Sotto la spinta delle ardite esperienze realizzate in quegli anni, anche la didattica musicale ha iniziato un proprio autonomo percorso di ricerca. Percorso che, per contro, costituisce ancora un oggetto di attenzione, indagine e continuo aggiornamento. Proprio in virtù di questa origine comune, ogni riflessione tesa a ricostruire un panorama della produzione musicale appena trascorsa, ogni ripensamento sulle radici storiche dell’esperienza grafico-musicale non può che arricchire l’approccio didattico. Un contributo in tal senso ci è offerto dal giovane Andrea Valle con La notazione musicale contemporanea pubblicato da EDT in collaborazione con l’associazione De Sono per la collana Tesi – una nuova iniziativa editoriale dedicata a valorizzare i contributi più interessanti emersi dalle tesi di laurea e di dottorato. Il saggio, che non si prefigura affatto come un lavoro dedicato alla didattica, tenta invece di analizzare il vastissimo ambito delle sperimentazioni grafiche essenzialmente sotto una angolazione semiotica e estetica. Piuttosto faticoso, il testo si rivela comunque ricco di materiali interessanti, di esempi (molti dei quali tratti da altri testi famosi sull’argomento: Karkoschka, Lombardi ecc.) capaci di illustrare le innumerevoli direzioni, gli orientamenti e le tendenze percorse (e percorribili) dalla sperimentazione grafica. (Donatella Bartolini) Musica Domani 129 – Dicembre 2003 FRANCA MAZZOLI Quasi sempre i volumi della collana Rai VQPT offrono ai lettori la possibilità di conoscere i risultati di ricerche relative a aspetti specifici del mondo della TV e di acquisire strumenti preziosi per migliorare la propria condizione di fruitore televisivo o, quando si insegna, per elaborare percorsi didattici da proporre ai propri allievi. E anche il testo numero 118, La grana dell’audio, la dimensione sonora della televisione, può essere un libro veramente prezioso per gli insegnanti di educazione musicale, sia per l’originalità e il rigore dell’approccio teorico su cui si basa la ricerca che in esso viene presentata, sia per la grande quantità di spunti operativi che la lettura del testo offre a chi desidera affrontare a scuola un lavoro di ascolto e analisi di ciò che di solito si ascolta davanti (ma sempre più spesso soltanto vicino) al televisore. «La bassa definizione dell’audio televisivo ha sicuramente contribuito a tenere lontani dall’interessarsi al piccolo schermo molti degli studiosi più attenti al suono nella sua complessità e nelle sue potenzialità estetiche [...] e ha forse favorito il radicarsi dell’idea che l’audio, nella televisione, sia effettivamente secondario se non irrilevante.» Da qui la mancanza di studi approfonditi sulle caratteristiche dell’audio della TV, in realtà sempre più importante nella neotelevisione, e il desiderio degli autori di puntualizzarne invece alcune caratteristiche importanti, applicando al medium televisivo le idee e gli spunti critici sviluppati, soprattutto nel mondo anglosassone, sul paesaggio sonoro, sulla radio e sui media legati alla registrazione e riproduzione di suoni. L’audio della televisione viene presentata nel testo come una “grana Musica Domani 129 – Dicembre 2003 sonora” che mescola in modo sempre più complesso il parlato (in italiano, ma non solo) e i suoni d’ambiente, la musica e gli effetti speciali, creando un flusso al tempo stesso continuo e disomogeneo, che richiede all’ascoltatore di attivare processi di interpretazione e ricomposizione pertinenti all’alfabeto sonoro e musicale che ogni genere televisivo ci ha abituato a conoscere e riconoscere. La bassa definizione dell’audio televisivo viene presentata non come una qualità negativa, ma come caratteristica addirittura funzionale alle condizioni di un ascolto domestico, perché più compatibile (e integrabile) con gli altri suoni presenti nelle nostre case: le voci delle persone, i piccoli rumori degli elettrodomestici, la sovrapposizione di azioni e funzioni diverse. Il testo nasce dunque da una ricerca che considera il sonoro come parte essenziale dell’ambiente che la televisione costruisce ogni giorno nelle nostre case «sia per le caratteristiche stesse del sonoro elettronico, sia per la tendenza a una fruizione sempre più sonora della televisione, rilevata da molti osservatori». La ricerca ha finalità conoscitive (la costruzione di modelli interpretativi degli usi e delle forme del suono televisivo e una revisione della dinamica sensoriale e sinestesica della TV), ma anche strategiche, in quanto vuole offrirsi come strumento funzionale a accrescere negli operatori la consapevolezza dei motivi e delle funzioni che determinano scelte audio spesso poco consapevoli. E forse per rispondere a questa duplice finalità, la ricerca fa ricorso a tre diversi strumenti: un’analisi accurata della letteratura esistente sul suono nei media; mo- menti di discussione che mettono a confronto professionisti della radio, della televisione e della musica; e una schedatura approfondita di un centinaio di programmi televisivi di ieri e di oggi. Conseguentemente, anche il testo si offre a percorsi di lettura differenti, alcuni più orientati a un’analisi sociologica (i capitoli Suoni e contesti: modelli interpretativi delle scienze umane e La televisione come oggetto sonoro), altri più specificamente semantici (Suono, produzione e programmazione, L’audio nel sistema dei generi televisivi). Particolarmente interessanti i capitoli 5, Suono, produzione e programmazione, che analizza i motivi per cui l’audio della televisione tende ad appiattirsi su una qualità bassa, determinando così le sue particolari modalità dell’ascolto, e il capitolo 6, L’audio nel sistema dei generi televisivi, che traccia un’interessante storia evolutiva dell’audio televisivo dagli esordi fino ai nostri giorni, attraverso l’analisi della marca sonora dei vari generi televisivi: informazione, intrattenimento, fiction, fino ai microtesti come clip, trailer e spot pubblicitari. In quest’ultimo capitolo, in particolare, gli insegnanti potranno trovare riferimenti analitici molto precisi, facilmente utilizzabili anche per lavorare sul testo televisivo in classi di scuola elementare e media. Vale infine la pena di segnalare le due interessanti appendici che completano il volume, e riportano sinteticamente la prima il lavoro di schedatura dei programmi, e la seconda la trascrizione dei dibattiti radiofonici che mettono a confronto punti di vista professionali differenti. Francesca Chiocci, Giovanni Cordoni, Peppino Ortoleva, Gianni Sibilla, La grana dell’audio – La dimensione sonora della televisione, Rai Eri VQPT n. 188, Roma, 2002, pp. 280, 7 16,00. 47 Libri e riviste Le qualità nascoste del suono a bassa definizione Giornale Siem Percorsi di formazione per operatore musicale a cura di Annibale Rebaudengo ANNA MARIA PRINZIVALLI Dicono che le persone del Sud sono testarde, infatti, riflettendo, si capisce che soltanto la caparbia e la tenacia di alcuni siciliani è riuscita a portare avanti un’iniziativa che sembrava impossibile da realizzare. Il Percorso per Operatore Musicale è frutto di un coordinamento tra le sezioni siciliane della Siem: Agrigento, Catania, Marsala e Palermo. Nasce dalla necessità di porre attenzione alla formazione di una figura professionale musicale adeguata ai bisogni del territorio. Le sezioni citate operano in coordinamento da parecchi anni. In sede di commissione dei corsi estivi nazionali in Sicilia nell’autunno 2001, è stata individuata la necessità di approfondire una proposta di formazione per una figura di sistema chiamata “operatore musicale”. Nella definizione che fa parte del progetto di avvio questa figura viene concepita come un operatore che sappia orientarsi in vari contesti sociali – scuola, scuola di musica, centri sociali in cui l’animazione musicale è presente – utilizzando la musica al fine di attivare processi culturali innovativi. L’operatore dovrà quindi essere in grado di analizzare il contesto e i relativi bisogni di un’utenza; dovrà essere capace di progettare il suo intervento con conoscenza delle risorse e essere in grado di attivare percorsi d’intervento musicale a vantaggio sociale e culturale. Il percorso non si propone di avviare un itinerario esaustivo per la formazione di personale specializzato, ma vuole condurre i giovani a conseguire una solida formazione di base che all’occorrenza, può essere approfondita. Nella fase conclusiva è prevista una valutazione delle competenze raggiunte dai corsisti attraverso delle prove e un colloquio. Il percorso di 120 ore complessive è stato così proposto: una settimana nell’estate 2002 di 42 ore di formazione suddivise in 4 insegnamenti specificatamente musicali, 2 weekend invernali di 12 ore ciascuno di formazione su tematiche trasversali: a) le dinamiche gruppo e la relazione educativa, b) analisi di bisogni e tecniche di progettazione; una seconda settimana nell’estate 2003 di 42 ore che riprendeva gli insegnamenti musicali e il colloquio finale con presentazione di un elaborato e una simulazione di lezione. Le competenze musicali individuate sono state: saper cantare e saper far cantare, saper usare il proprio corpo e il movimento con /e per la musica e saper far usare il corpo e il movimento con/e per la musica, saper 48 suonare con gli altri e saper animare situazioni per fare musica con altri. Si è formato un comitato scientifico costituito da Carlo Delfrati, Elena Asero, Paola Faccidomo, Nino Faro, Anna Maria van der Poel e Anna Maria Prinzivalli. È un vero successo: il percorso pensato per un massimo di 25 iscritti conta più di 50 adesioni. È necessario raddoppiare i corsi appesantendo il lavoro per i docenti che sono Carlo Delfrati, Elisa Posdomani, Sabine Oetterli, Maurizio Spaccazocchi. Durante la settimana si svolge un gran lavoro per collegare e coordinare gli insegnanti che non si erano potuti confrontare precedentemente. Alla fine del corso avviene una magia: i corsisti si esibiscono per gruppi in brevi esibizioni e commuovono organizzatori e docenti. Sono gruppi che suonano, danzano, recitano, cantano e che ci comunicano emozioni forti. Attraverso il loro fare, ci rendiamo conto che hanno rielaborato e prodotto in modo originale espressioni/emozioni utilizzando le forme e le tecniche insegnate loro. Il percorso è proseguito a Palermo il gennaio 2003 con 24 iscritti e poi a Catania nel maggio 2003 con 20 iscritti. Per i due weekend di ambito trasversale, i docenti sono stati la psicologa Giovanna Perticone e l’esperto in progettazione Rosangela Granata. Nell’estate 2003 si iscrivono 24 corsisti che hanno già frequentato nell’estate precedente: è un successo. I docenti hanno proposto un maggior numero di ore, si sono coordinati splendidamente e gli esiti sono stati oltre le aspettative. I corsisti hanno lavorato 8 ore al giorno per 6 giorni frequentando 4 ambiti condotti da Sabine Oetterli, Elisa Posdomani, Paolo Cerlati e Maurizio Spaccazocchi. Lo spettacolo conclusivo ha mostrato un gruppo di persone brillanti nelle proposte musicali, preparate nelle competenze musicali e soprattutto in quelle sociali e relazionali. Nell’imminente autunno è programmato il colloquio finale che attesterà le competenze raggiunte attraverso la sperimentazione di una lezione reale da proporre individualmente agli stessi compagni per dimostrare, oltre le competenze musicali, quelle relazionali, di gestione di un gruppo. I corsisti presenteranno inoltre un elaborato frutto di un’esperienza/intervento musicale in un contesto sociale, dimostrando così le personali competenze di progettazione e analisi. Ancora l’avventura non si è conclusa. Il coordinamento siciliano sta già discutendo sul prossimo percorso per l’estate 2004, perché diversi vorrebbero frequentarlo e ci stiamo già lavorando. Musica Domani 129 – Dicembre 2003