ANTOLOGIA DELLA SOCIOLOGIA DELLA RELIGIONE ANDREA

ANTOLOGIA DELLA SOCIOLOGIA DELLA RELIGIONE
ANDREA COMMISSO BARILLARO
§§§
Antologia della sociologia delle religioni.
Soomario: § 1. Introduzione alle origini della sociologia delle religioni.- § 2. E. B.
Tylor. - § 3. W. Robertson Smith. - § 4. A. Comte. - § 5. Durkheim. - § 6.
Lévy-Bruhl. - § 7. Arthur Maurice Hocart. - § 8. Malinowski. - § 9. Edward
E. Prichard. - § 10 Carl Marx. - § 11 Feuerbach. - § 12. Engels. - § 13.
Weber e Troeltsch. - § 14. Parsons. - § 15. R. N. Bellah. - § 16. Niklas
Luhmann. - § 17 Peter Berger. - § 18. Luckmann. - § 19. Bryan Wilson. - §
20. Daniel Bell. - § 21. Richard Fenn. - § 22. Roland Robertson. - § 23.
Michel Foucault. - § 24. Antonio Gramsci. - § 25. Louis Althusser. - § 26.
Alberto Melucci. - § 27. André Gorz. - § 28. Jurgen Habermas. - § 29. Max
Horkheimer. - § 30. Claus Offe. - § 31 Alain Toureaine.
1. Il contesto in cui si ebbe a sviluppare l’evoluzionismo economico
nel secolo XIX era quello di un grande fermento commerciale,
culturale e sociale dell’intera Europa, trainata dall’Inghilterra
vittoriana; un periodo di eccezionale incremento di produttività
industriale e di grandi imprese coloniali, quindi di sviluppo dei mercati
internazionali1.
Ne scaturì in conseguenza un’immagine ove l’Inghilterra, perno
dell’economia mondiale, era riuscita ad ottenere, attraverso un
progressivo sviluppo, l’apogeo della civiltà della cosiddetta società civile.
Si pensi, ad esempio, che la filosofia di Herbert Spencer fu, per
molti studiosi del tempo, il punto di riferimento in quanto egli
arrivava a paragonare la società a quella evoluzione biologica che si è
1 L’esperto di Tecnica degli Scambi ed Economia Internazionale ben sa cosa intendo
quando parlo di sviluppo in Europa dell’economia e del commercio, mi riferisco –in
vero- ad un alto grado di interdipendenza economica di beni e servizi fra Paesi diversi.
Esso raggiunse il suo massimo storico nel secondo dopoguerra del secolo XX, ma fu
proprio in epoca vittoriana ad aversi il suo primo e decisivo impulso.
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avuta passando da organismo, quale la monade (organismo semplice),
attraverso un processo di specializzazione e di sviluppo delle varie
componenti, ad un organismo complesso articolato e bene
organizzato.
Così il sociale, da uno stato semplice, si è sviluppato sino ad arrivare
ad un ultimo e più alto stadio di sviluppo del vivente, cioè il superorganico. In breve: la società è comparata ad una sorta di organismo
vivente e quindi, come tale, non è altro che il risultato di un processo
di carattere evolutivo. Le società appaiono in una condizione di lotta
continua tra di esse per la supremazia dell’una sull’altra; ne consegue
la sopravvivenza della società più adatta, ottenuta attraverso quel tipo
di selezione darwiniana, la più forte, cioè, la più evoluta, a scapito
delle altre.
Teorie, queste, che tendevano ad avallare, a legittimare
soprattutto, il dominio della potenza inglese e a dare una
giustificazione scientifica al colonialismo.
L’effetto ideologico della trasposizione filosofia di Spencer consisteva
nel considerare la società inglese come la più evoluta –essendo la più
forte- e, pertanto, in grado di pensare alla sua condizione di
dominatrice dell’economia mondiale (a guisa di una risultante naturale
di una legge universale).
Oltre a riferirsi all’evoluzione spenceriana, gli studiosi si rifacevano
anche a quella di Darwin e cercavano di dare una spiegazione
naturale, in termini di sopravvivenza del più idoneo, agli squilibri
sociali. Da qui i concetti di selezione naturale del più adatto.
La concezione fondamentale degli antropologi evoluzionisti è la
seguente: le leggi che governano l’incremento della produzione
materiale ed intellettuale della società presente devono essere le stesse
di quelle che, dapprima lentamente, poi sempre più rapidamente,
avevano determinato lo sviluppo della società passata e –in breve- il
passaggio da uno stadio culturale inferiore ad uno stadio superiore.
2. Nell’ambito di questo filone di pensiero l’esponente
maggiore degli antropologi evoluzionisti fu senza dubbio E. B.
Tylor, il quale asseriva che la storia fondamentale del genere umano
poteva essere rappresentata da una linea ascendente che, da forme di
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organizzazione sociale più semplice, conduceva a forme di vita
associata sempre più complesse.
Egli dedicò ampi studi all’aspetto intellettuale della cultura cosiddetta
primitiva, quella che a livello antropologico prese il nome di animismo.
Tylor, con tale termine, intendeva la credenza nelle anime e negli
esseri spirituali, ritenendo peraltro che il tendere verso un pensiero
sempre più razionale fosse l’inevitabile risultato di una lenta e
continua maturazione intellettuale del genere umano.
Con l’accumularsi della conoscenza, quindi, con l’emergere del
pensiero razionale, queste credenze andavano man mano ritirandosi
fino ad interessare soltanto il cristiano civilizzato. Da qui l’emergenza
del pensiero razionale andava di pari passo con il progressivo
restringimento della gamma dei fenomeni, mentre l’animismo finiva
per ritrovare e ritornare ad essere esclusivamente la credenza
dell’anima da parte dell’uomo. Egli espose ampiamente queste teorie
nel suo libro Primitive culture del 1871.
3. Altro importante antropologo del’evoluzionismo vittoriano, il
quale si soffermò sull’efficacia sociale della religione, fu W.
Robertson Smith, professore di ebraico e poi di arabo all’università
di Aberdeen e di Cambridge, uno dei padri fondatori
dell’antropologia medio-orientalista. Egli mirò ad elaborare, sulla base
dei materiali inerenti l’aria semitica, una teoria globale dei rapporti tra
società e religione. In Lectures on the Religion of Semites (Lezioni sulla
religione dei Semiti, 1889), raccolse una serie di studi dedicati ai
rapporti tra società e religione, tra antichi ebrei e arabi pre-islamici.
Egli partì da premesse diametralmente opposte rispetto a quelle di
Tylor e di parecchi altri evoluzionisti suoi contemporanei. Mentre
questi ultimi individuavano nella fase aurorale della religione
un’attitudine riflessiva dell’individuo, (si ricordi a tal proposito la
teoria tyloriana dell’animismo), lo Smith preferì concentrare la sua
attenzione sulla dimensione sociale e collettiva, ed in particolare
sull’attività rituale.
Alla teoria della religione primitiva, fondata sullo sforzo di
comprensione della realtà operata dall’intelletto umano, egli
contrapponeva l’idea secondo la quale il dato primario di ogni
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esperienza religiosa è rappresentato dai riti e dalle credenze collettive,
ad essi relativi, che i membri di una determinata società trovano “già
pronti” sin dalla nascita.
Laddove Tylor parte dalla religiosità del singolo, Smith crede in una
religiosità che accomuna tutta la collettività.
L’aspetto pubblico e collettivo del fenomeno religioso, che in Smith è
anteposto a quello riflessivo e individuale, si rileva in quei riti che
coinvolgono l’intera comunità. Egli sottolinea l’esistenza di una
religione a tinte fortemente comunitarie.
Smith evidenzia la sostanziale interrelazione tra religiosità e ritualità,
da una parte, e identità politica e sociale, dall’altra. L’altro elemento
che egli individua nella religione è la coesione che il coinvolgimento
in tali riti porta al corpo sociale e ciò perché gli individui partecipando
a tali riti vedono rafforzare in loro il senso di appartenenza a tale
comunità.
4. Se prendiamo in considerazione l’etnologia classica francese,
ciò che la caratterizza in modo peculiare è innanzi tutto la
convinzione di potere sviluppare una scienza delle società cosiddette
primitive, cioè l’esistenza di una scienza etnologica, in secondo luogo
la possibilità di riscontrare in tali società i fenomeni sociali nella loro
forma più semplice.
Padre fondatore di tale corrente fu A. Comte, il quale, in
conseguenza delle problematiche storico sociali successive alle
vicende della Comune di Parigi, prese in considerazione un progetto di
ingegneria sociale, cioè di gestione della società capitalisticoindustriale francese “sulla base di criteri di natura tecnico-scientifica”.
“Al centro dello schema interpretativo comtiano – scrive Ferrarotti si trovano l’idea di scienza, come principio sociale, e la nozione di
razionalità, come modo di pianificare scientificamente il processo
sociale nell’interesse della collettività e aldilà dei capricci individuali e
degli interessi settoriali”2.
F. Ferrarotti, La Socilogia alla riscoperta della qualità, Laterza, Bari - Roma, 1989,
p. 50.
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La sua tendenza protesa all’indagine degli elementi e dei fenomeni
razionali -a nostro avviso- lo conduce a semplificazioni indebite e a
valutazioni erronee. E’ il caso della “legge dei tre stadi”. Egli teorizzò lo
sviluppo complessivo della società attraverso il passaggio di tre stadi
successivi: una prima fase, quella teologica, in cui la società è
fortemente permeata da credenze irrazionali; una seconda, quella
metafisica, ed infine quello positivo, in cui ogni elemento teologico
metafisico ed irrazionale viene eliminato. Ma se così fosse, dice
Durkheim, come si spiega allora che tale società presentava molte
forze irrazionali che affioravano e venivano palesate dalle tensioni
sociali e politiche e dalle lotte interne religiose?
E come può, ci si chiede, malgrado tali elementi, una società
mantenere una stabilità e perdurare nel tempo?
5. Durkheim individua nella coscienza collettiva, da egli definita
“l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei
membri di una stessa società”3, l’elemento che permette tale stabilità e
durata nel tempo; Comte, invece, individua tale elemento nelle
credenze comuni, le quali però, essendo relegate a elementi ascientifici,
sono destinate a scomparire nello stadio positivo.
Per Durkheim, a seconda delle società, si svilupperà un diverso tipo di
solidarietà <<che si instaura tra i membri di ciascuna di esse. In tal
modo, dove la vita sociale occupa ogni spazio della vita del singolo
eliminandone le scelte ed i sentimenti, la coscienza collettiva riflette
l’esistenza di una solidarietà di tipo meccanico che lega tra di loro i
singoli individui. Forte sarà in questo caso la riprovazione sociale per
ogni atto che trasgredisca le norme sociali di comportamento, mentre
in una società che si presenta come un sistema di funzioni
differenziate e specifiche, unite da rapporti determinati, questo tipo di
coesione sociale è la “solidarietà organica”. La solidarietà non deriva
in questo caso dalla semplice accettazione di un insieme di credenze e
di sentimenti comuni ma dall’interdipendenza funzionale nella
divisione del lavoro>>4. Durkheim, posta tale dicotomia nei confronti
del modello di solidarietà, tende a sottolineare che non esistono
3
U. Fabietti, Antropologia - un percorso, Zanichelli, Bologna, 1979, p. 63.
4
A. Giddens, Capitalismo e teoria sociale, Il Saggiatore, Milano, 1975, pp. 138-139.
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società ascrivibili tout court all’uno o all’altro tipo, ma esse si
dispongono lungo una linea continua che conduce dall’uno all’altro
estremo, attraverso un passaggio dal semplice al complesso.
Ne Les formes élémentaires de la vie religeuse tale concetto viene
evidenziato ed elaborato per la formazione di una teoria generale della
religione e della società: egli sottolinea che le religioni possono essere
semplici o più o meno complesse ma saranno uguali per quanto
concerne l’adempimento delle loro funzioni. “Alla base di tutti i
sistemi di fede e di tutti i culti deve esserci necessariamente un certo
numero di rappresentazioni fondamentali e di atteggiamenti rituali
che rivestono ovunque lo stesso significato oggettivo e adempiono
ovunque le stesse funzioni “5.
Per Durkheim, sia in un sistema totemico australiano sia in un sistema
che rappresenti una “religione positiva”, la religione, e tutto ciò che la
rappresenta, trascende l’individuo ed esprime la forza stessa con cui
la società si impone agli individui: <<Sia che si veneri oggetti totemici
o raffigurazioni più complesse come quelli del mana (Melanesia,
wakan (Sioux), orenda (Irochesi), manitu (Algonkini) ecc., è la
raffigurazione di essi più che essi stessi che viene idolatrata. Questo
dimostra che il totem è soprattutto un simbolo (...) una
manifestazione materiale di qualcosa d’altro>>6.
Attraverso il rito quindi ciò che si venera non è di fatto l’oggetto di
culto, ma la società stessa, è l’elogio ed il tripudio di una distinta
comunità. La società non esercita sul singolo individuo solo un
dominio di tipo coercitivo ma si impone attraverso un rispetto morale
che consiste nel rispetto che gli individui hanno di essa. “Durkheim
non è affatto un liquidatore dell’esperienza religiosa con i suoi riti e i
suoi culti, i suoi simboli e i suoi miti. Egli difende, anzi, la continuità
funzionale del fenomeno religioso che subisce metamorfosi storiche
ma certo non si annulla né si esaurisce nelle dimensioni cognitive del
fenomeno scientifico”7.
La concezione di base di Durkheim è che la religione, il sacro,
simboleggiano la società e, nel momento in cui si adora qualcosa o si
5U.
Fabietti, ibidem, p. 73.
A. Giddens, Capitalismo... cit., p. 189; il quale cita Durkheim.
7 F. Ferrarotti, Manuale della sociologia, Laterza, Bari, 1989, pp. 155-156.
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esplica un rito, si rafforzano i legami sociali e si esalta e venera il
simbolo della società stessa.
Per Durkeim la società idolatra se stessa; la religione non fa altro che
simboleggiare la società come il luogo ove si esplica ogni vita sociale
mentre la moralità incanala l’agire sociale in una serie di norme
consuetudinarie, prevenendo così una condizione di anomia nella vita
quotidiana.
Egli era anche convinto che le istituzioni religiose avessero perso
gradualmente il loro potere, a cominciare dall’era preistorica, e che,
con l’avvento della società industrializzata, questo declino abbia avuto
un' accelerazione.
Ma ciò non sta a significare che le funzioni espletate dalla religione
abbiano avuto anch’esse un declino. Egli riteneva che con
l’accrescersi dei tassi di densità morale, mobilità geografica e
differenziazione sociale, il singolo individuo avrebbe rappresentato
sempre meno il simbolo della matrice fondamentale della società.
Precedentemente i vari simboli religiosi non avevano fatto altro che
esaltare la collettività, la tribù, il clan, la chiesa, la famiglia.
Ecco che l’integrazione e la solidarietà sociale sarebbero venute ad
essere concettualizzate come l’unione fra individui sempre più
autonomi, ma sempre più indipendenti. Quindi si aveva che da una
parte si presentava una maggiore individualizzazione, cioè l’individuo
tendeva a divenire più autonomo, ma contemporaneamente era
presente una maggiore dipendenza del soggetto dalla società.
Secondo Durkheim il problema, per la religione, diviene quello di non
riuscire a cambiare il proprio simbolismo di pari passo con nuove
condizioni sociali e nuove necessità dei singoli individui, continuando
quindi ad esprimere le stesse forme di rituale e codici morali,
procrastinando l’esaltazione di rappresentazioni collettive, ormai
antiquate, cui si aggiunge il problema delle istituzioni religiose, le quali
avrebbero messo in pericolo la capacità di organizzare la vita sociale,
apportando gravi conseguenze alla comunità.
In conseguenza riteneva opportuno che l’apparato religioso
abbandonasse queste rappresentazioni collettive e si formulassero
nuovi simboli di solidarietà sociale, basati su concetti che erano
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Antologia della sociologia delle religioni
presenti in ogni singolo individuo. Tutto ciò affinché le istituzioni
religiose andassero di pari passo con le rapide trasformazioni sociali.
6. L’idea di fondo per Lévy-Bruhl circa il “sociale come entità
provvista di una logica di funzionamento autonomo e indipendente
dalla comprensione che gli individui possono avere di essa” 8
costituisce lo sfondo del suo discorso sulle rappresentazioni collettive
caratteristiche della mentalità primitiva.
L’oggetto centrale della sua ricerca saranno i sistemi primitivi di
pensiero. Ne Les fonctions mentales dans le sociétés inférieures (Le funzioni
mentali nelle società inferiori, 1910) egli elabora una teoria nella quale
asserisce che le rappresentazioni collettive sono comuni ad un certo
gruppo sociale e vengono trasmesse di generazione in generazione.
Esse sono sovradeterminate, cioè preesistono all’individuo e quindi si
impongono ai singoli attraverso la pratica sociale; di conseguenza,
costituiscono un modello sociale ed un preciso atteggiamento
mentale.
“L’universo simbolico del primitivo è, per Levy-Bruhl, omogeneo
all’universo sociale in cui egli si muove. ... Il gruppo sociale primitivo
vive così un’esperienza mistica che si realizza nelle pratiche del culto e
nell’esecuzione del rito. In questo contesto l’individuo non ha la
possibilità di sviluppare un giudizio proprio indipendente da quello
che gli viene imposto dalla sua società attraverso la rappresentazione
collettiva di tipo mistico”9.
7. Nell’ambito dell’antropologia post-vittoriana si colloca Arthur
Maurice Hocart. Egli cerca di studiare fondamentalmente la genesi
delle forme culturali. Rifacendosi, in un certo qual senso,
all’evoluzionismo, egli ritiene che le forme culturali siano delle
istituzioni attraverso le quali gli uomini hanno la possibilità di
organizzare la vita della società.
E’ sua opinione che le forme della cultura assolvano a specifiche
funzioni e che abbiano la caratteristica di evolversi secondo i contesti
culturali in cui emigrano.
8
U. Fabietti, cit., p. 66.
9
Ibidem.
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Rifacendosi quindi ad un certo diffusionismo, egli asseriva che tratti
simili, che venivano ad essere rilevati in contesti dei quali fossero
accertati i contatti, potevano avere la stessa origine e che quindi,
attraverso il metodo della filosofia comparata, si aveva l’opportunità
di risalire all’origine comune di tali istituzioni.
Questi argomenti si possono riscontrare in tutta l'opera di Hocart, ma
è in King and Councillors (Re e Consiglieri), il cui sottotitolo è An Essay in
the Comparative Anatomy of Human Society (Un Saggio di Anatomia
Comparata della Società Umana), che tali argomenti risultano
ampiamente esposti. In esso vengono sviluppate quelle che egli
asserisce siano le origini rituali del potere, cioè quella che egli considera
una spiegazione delle origini del potere governativo, cercando di
esprimere anche quale sia la natura intrinseca del potere. Egli parte
dalla considerazione che presso ogni Popolo, anche senza governo,
esistono le funzioni di governo; eppure tale apparato istituzionale
esiste ed è pronto ad essere utilizzato qualora se ne presenti la
necessità.
Tale opportunità è presente nel rituale ed è antecedente ad ogni
forma organizzativa di governo.
Quest’ultima, quindi, trae origine direttamente dal rituale in quanto,
affinché esso venga eseguito, necessita inevitabilmente di una
organizzazione onde ciascuno svolga le proprie funzioni precipue. Il
rito può essere –quindi- considerato come il primo atto associativo.
Laddove la funzione principale della comunità non è più quella
d'ordinare la natura simbolicamente, ecco che, coloro i quali
espletavano determinati ruoli nell’ambito dell’organizzazione rituale,
esercitano posizioni differenti per far fronte alla diversa funzione.
8. Colui che di fatto diede inizio ed impulso all’Antropologia
moderna è Malinowski. Egli, proprio nel momento di maggior crisi
ed incertezza teorica dell’antropologia vittoriana, apre una nuova fase
dell’antropologia, nel 1922, con la pubblicazione di Argonauti del
Pacifico Occidentale.
Secondo la sua teoria, quella che prima era un'organizzazione, fondata
sulla parità dei partecipanti, è sostituita da un’altra, basata sul rapporto
gerarchico sia individuale che di gruppo. Colui che prima, nel rito, era
10
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Antologia della sociologia delle religioni
la figura primaria, ora diviene leader (the king) ed attorno a lui si
riuniscono i leaders subalterni, i quali collaborano con lui per legiferare
e organizzare la società.
Potremmo dire che si viene a formare un gruppo dominante (da qui
le teorie hocartiane sulla nascita della regalità e delle caste indiane),
mentre il rito rimane in vita, sia perché risulta monopolizzato in
alcune sue parti da tale gruppo allo scopo di mantenere
simbolicamente e praticamente il potere, con in più il consenso dei
sudditi che venerano il sovrano.
In A Scientific Theory of Culture (Una teoria scientifica della cultura, del
1944), i due saggi più importanti ivi contenuti sono Una teoria scientifica
della cultura e la Teoria funzionale. In essi si osserva che Malinowski
cercò di dare un'immagine sia del metodo sia dell’oggetto
dell’antropologia di tipo scientifico (e razionale), e delle procedure di
indagine, che egli aveva adottato nello studio delle popolazioni delle
isole Trobriand.
L’idea di base era che le pratiche sociali primitive consentivano una
integrazione dell’intera società e, quindi, il mantenimento
dell’equilibrio e del funzionamento di essa.
Egli riteneva che la cultura espletasse in ogni modo una funzione, e
che in pratica ogni elemento culturale non fosse altro che una
risposta, da parte dell’uomo, alla vitale esigenza d'adattarsi
all’ambiente circostante. L’analisi della cultura s'esprime allora nella
ricerca e formulazione dei bisogni fondamentali (basic needs) causa della
formazione e dello sviluppo di risposte culturali.
C’è anche da considerare che per Malinowski l’analisi funzionale della
cultura “mira alla spiegazione di fatti antropologici a tutti i livelli di
sviluppo per mezzo della loro funzione, attraverso il ruolo che essi
esplicano entro il sistema integrale di cultura ribadisce perciò il
principio che in qualsiasi tipo di civiltà ogni costume, oggetto
materiale, idea o credenza adempie a certe funzioni vitali, a certi
compiti da realizzare, esplica un ruolo indispensabile all’interno di una
totalità operante”10.
Statera, in La conoscenza socilogica, cita B. Malinowski, Antropologica, Enciclopedia
Britannica, suppl., I vol., Londra, 1936, pp. 132-133.
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A queste premesse si deve far risalire anche la teoria di Malinowski
relativa alla natura della magia.
In Magic, Science and Religion (Magia, scienza e religione) Malinowski
specifica che la magia non è anteriore alla scienza ma come egli stesso
dice “è un possesso primordiale che afferma il potere autonomo dell’uomo di
creare dei fini determinati”11.
Quindi potremmo dire con Malinowski che “la magia consta di pratiche
rituali che tendono a sopperire sempre e ovunque all’incapacità dell’uomo a
controllare gli elementi della propria esperienza operativa”12.
9. Nell’ambito di quella continuità e declino della struttura
britannica si inquadra l’antropologo Edward E. Prichard. Il primo
libro ed anche colui che ha determinato il maggior dibattito
nell’ambito dell’antropologia fu: Witchcraft, Otaclesan Magic among the
Azande (Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande).
Nell’ambito della antropologia, egli “aveva condotto una ricerca sul
campo tra una popolazione stanziata in un territorio compreso tra il
Sudan e lo Zaire.” Aveva studiato quale fosse la sua concezione della
stregoneria e della magia. Come egli stesso asserisce: “fra gli Azande
qualsiasi disgrazia può essere attribuita, come infatti avviene generalmente, alla
magia che essi considerano una condizione organica interna anche se la sua azione
può sembrare di tipo psichico... colui che le disgrazie subisce consulta gli oracoli
oppure gli indovini. ... Gli Azande posseggono tutto un vasto campo di tecniche e
di conoscenze magiche ... cui largamente si ricorre per proteggere persone ed attività
dalla stregoneria. In tale modo stregoneria, oracoli e magia costituiscono un
complesso sistema di credenze e di riti che acquistano un senso soltanto se visti
come parti interdipendenti di un unico complesso. Questo sistema ha una struttura
logica; una volta stabiliti alcuni postulati risultano valide le conclusioni e le
illazioni basate su di essi. La stregoneria provoca la morte. Perciò la morte
costituisce prova di stregoneria e gli oracoli confermano che fu proprio la stregoneria
a provocarla. La magia serve a vendicare la morte”13.
Il problema fondamentale è quello di capire come una popolazione,
che è solita comportarsi razionalmente nei vari momenti della vita,
U. Fabietti, ibidem, p. 106.
Ibidem, p. 106.
13 U. Fabietti, Storia dell’Antropologia, Zanichelli, Milano, 1990.
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possa fondare dei ragionamento su premesse logiche palesemente
errate.
Per comprendere il problema, Evans-Pritchard suggerisce che
bisogna entrare nella logica pratica degli Azante. Egli dice che il
problema non va posto sulla razionalità o meno che sussiste
nell’ambito della comunità primitiva, ma solo in coerenza interna con
il sistema di credenze. Il Pritchard prende in considerazione le
credenze come un qualcosa di correntemente strutturale al proprio
interno e non in relazione con tutti gli altri aspetti della vita sociale.
10. Per parlare di quel filone dell’antropologia che ha per padre
Carl Marx siamo costretti a tornare indietro nell’800.
Marx fu fortemente influenzato dalle teorie di Hegel. Il fatto che egli
appartenesse al Doktor-Club dell’Università di Berlino fu uno degli
elementi che portò Marx ad aderire alla filosofia hegeliana. Ciò
perché, in questo circolo, Marx entrò in contatto con un gruppo di
giovani seguaci di Hegel, il cui personaggio di spicco era Otto Bauer,
gruppo; che fu definito “Giovani Hegeliani”.
Egli fu molto influenzato anche dalla filosofia di Feuerbach tant’è che
libri quali i manoscritti economici-filosofici del 1844 risentono
fortemente della teoria di Feuerbach. Nell’Essenza del Cristianesimo ed
in altre opere successive Feuerbach cerca di capovolgere le premesse
idealistiche del sistema hegeliano affermando che il punto di partenza
dello studio dell’umanità deve essere l’uomo reale, il quale vive nel
mondo reale e materiale.
11. Mentre Hegel vede il reale come un'emanazione del divino,
Feuerbach sostiene che il divino è solo il prodotto illusorio del reale.
L’essere, l’esistenza, precedono il pensiero nel senso che gli uomini
non compiono riflessioni sul mondo prima d'agire in esso. Sostiene
Feuerbach: “Il pensiero deriva dall’essere e non viceversa”14.
Hegel concepiva lo sviluppo dell’umanità come risultato
dell’alienazione di Dio da se stesso.
“Nella concezione filosofica di Feuerbach, Dio esiste solo nella
misura in cui l’uomo è diviso, alienato da se stesso. Dio è, infatti, un
14
Ibidem, p. 34.
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essere immaginario nel quale l’uomo ha proiettato le sue facoltà più
elevate, e, pertanto, viene considerato perfetto e onnipotente, mentre
l’uomo stesso appare di fronte a lui come creatura limitata e
imperfetta”15.
A parere di Feuerbach, la filosofia ha il compito d'aiutare l’uomo a
ritrovare il suo io alienato, attraverso una radicale critica,
capovolgendo –quindi- quello che era il punto di vista hegeliano e
affermando, di conseguenza, la supremazia del mondo materiale.
La religione quindi sarà sostituita dall’umanismo, e l’amore che prima
era rivolto a Dio sarà indirizzato esclusivamente verso l’uomo,
portando gli stessi esseri umani ad un nuovo vincolo di solidarietà.
“Laddove la vecchia filosofia affermava: ciò che non è pensato non
ha esistenza, la nuova filosofia afferma invece: ciò che non può essere
amato non ha esistenza”16.
Marx, così come i giovani hegeliani, riteneva che uno dei problemi
strutturali dell’attuale forma di Stato riguardasse la “coscienza”; in
pratica egli riteneva che nella prassi rivoluzionaria rientrasse anche
una riforma della coscienza così come fu imposta da Feuerbach.
Prima di lasciare la Germania per andare in Francia, nel settembre del
1843, egli scrisse a Ruge esprimendo la convinzione che “tutti i dogmi
sia religiosi sia politici dovevano essere rimessi in discussione”17.
Egli scriveva a Ruge: “La nostra parola d’ordine deve perciò essere:
riforma della coscienza, non mediante dogma, ma mediante analisi
della coscienza mistica che non ha una chiara visione di sé né in
religione né in politica.. Sarà allora evidente che il mondo ha per
molto tempo sognato qualcosa di cui basta che esso diventi
consapevole perché si realizzi ... perché i suoi peccati le siano
perdonati l’umanità deve solo confessarli per quello che essi sono”18.
Secondo Marx ed Hegel l’uomo era portato a rifugiarsi in un qualcosa
che era aldilà delle prove e delle confutazioni, cioè in un qualcosa di
sovrannaturale, turbato ed impaurito dai terrificanti fenomeni
naturali, oppure dal caotico vivere sociale e dalle preoccupazioni di
15
Ibidem, pp. 34-35.
Ibidem, p. 35.
17 A. Giddens, cit., p. 30.
16
18
Ibidem, p. 30.
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tutti i giorni. Marx infatti ritiene che “la religione è l’opera di una
umanità sofferente ed oppressa, costretta a cercare consolazione
nell’universo immaginario della fede.” e Marx prosegue: “La
soppressione della religione in quanto felicità illusoria del popolo è il
presupposto della sua vera felicità. La necessità di rinunciare alle
illusioni sulla propria condizione, è la necessità di rinunciare a una
condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione è
quindi, in germe, la critica della valle di lacrime di cui la religione è
l’aureola”19.
Bisogna sottolineare ciò che dice il Giddens e cioè che l’affermazione
di Marx per quanto concerne la abolizione delle religioni, dello stato,
dell’alienazione e del capitalismo devono essere prese in
considerazione basandosi sul verbo aufheben (abolire, conservare,
superare); cioè questo verbo presenta una triplice connotazione e,
quindi, l’abolizione della religione, per Marx, implica non la sua
eliminazione pura e semplice, ma il superamento dialettico.
La concezione del materialismo storico di Marx pone la religione in
una condizione tale che non possa essere scissa dal resto del mondo,
non possa presentare una condizione di dominio indipendente
oppure una sua sfera trascendentale; viene negata la possibilità di una
separazione analitica della religione dal mondo; viceversa “si insiste
di continuo sulla possibilità di stabilire rapporti comuni diretti e non
distorti tra gli esseri umani che si potrebbero simboleggiare in una
autentica spiritualità e sulla realtà delle oppressive strutture sociali i
cui concetti e sentimenti religiosi non rappresentano altro se non un
vago riflesso e una maschera ingannatrice”20.
12. Secondo Engels: “forse solo durante la preistoria la
religiosità era un fatto naturale”21.
Ma successivamente, col presentarsi di culture sempre più raffinate, la
religione diviene qualcosa di superfluo, oppure l’espressione di
particolari forme di alienazione che sono presenti proprio nelle
società capitalistiche, stratificate in classi. Engels asserisce che la
19
Ibidem, p. 30.
Ibidem, p. 36.
21 Ibidem, p. 38.
20
ANDREA COMMISSO BARILLARO
15
Antologia della sociologia delle religioni
religione fa parte dell’ideologia e come tale <<è stata spesso
impiegata per la difesa e la promozione degli interessi materiali
predominant>>22.
Quindi per Marx ed Engels la funzione fondamentale della religione è
la sua capacità di proteggere le persone dalla dura realtà e dalle paure
che in vari modi si prospettano all’uomo e, contemporaneamente,
essa favorisce la distribuzione del potere all’interno della società,
oltretutto facendo apparire tale distribuzione come naturale e
necessaria. Essa è stata utilizzata come strumento per esaltare
l'ideologia dei gruppi dominanti, nonchè l’ordinamento sociale
dominante, in forma simbolica.
“All’opposto di Durkeim, - ma questa controversia è solo teorica,
poiché non ha luogo nella realtà - Weber sostiene, con il resto della
scuola tedesca di sociologia, Simmel in testa, che il sociale riposa su
interazioni provviste di senso dagli agenti stessi”23.
13. La concezione di base che accomuna Weber a Troeltsch,
per quanto concerne il rapporto tra religione e società, è che
innanzitutto tale rapporto è contingente e variabile; di conseguenza
non ha alcun senso parlare di religione in generale, ma il rapporto, che
essa ha con la società, va esaminato solo strettamente nell’ambito
storico e socioculturale specifico.
“Troeltsch costruisce, sulla base dell’apporto Weberiano, una
tipologia rotante sulla tensione che esiste nella religione di chiesa
rispetto al mondo. L’idealtipo di chiesa esprime, come è noto, il
compromesso, l’adattamento dei credenti rispetto al mondo;
l’idealtipo di setta rappresenta, invece, il rifiuto e l’atteggiamento di
antagonismo dei credenti di fronte all’ordine costituito”24.
Questi presupposti stanno alla base degli studi compiuti da Weber
sulla capacità delle diverse religioni di razionalizzazione di processi e
strutture sociali e della cultura.
Ibidem, p. 38.
La critica sociologica, 107-108, Autunno-Inverno 1993-1994, tip. Don Bosco, Roma,
marzo 1994, p. 4.
24 A. Nesti, Le fontane e il borgo, editrice Ianua, Roma 1982, p. 12.
22
23
16
ANDREA COMMISSO BARILLARO
Antologia della sociologia delle religioni
Weber “assegna al calvinismo la capacità di aprire la strada all’etica
dell’accumulazione. Il realizzarsi storico del capitalismo è anche
l’affermarsi della razionalità strumentale, impersonale, che assorbe i
suoi presupposti extraeconomici”25.
Egli cerca di dimostrare che la facoltà di razionalità strumentale,
presente nelle diverse grandi culture religiose del mondo, confrontate
con quella del protestantesimo è stata di volta in volta influenzata in
modi diversi secondo le condizione storico-sociali che erano ivi
presenti.
Egli ritiene che la chiave di volta della razionalizzazione del mondo
industriale moderno verranno ad essere particolari aspetti del
protestantesimo, cui si connettono i risvolti culturali che si
presenteranno in Europa nel dopo-Riforma.
Nell’indagare la genesi del razionalismo occidentale e, nel suo ambito,
di quello moderno, Weber fa riferimento alla fede religiosa, da sempre
connessa ad una condotta di vita, ad un’etica del dovere. La religiosità
protestante, col concetto di predestinazione alla grazia, apre la via
all’ascesi intra-mondana, che ha come scopo la fine del godimento
istintuale della vita, considerato peccato, e, come mezzo, l’ordine”26.
Weber, facendo un'analisi delle sette religiose e del tipo di chiesa,
sottolineò come le comunità religiose, che potessero essere assimilate
alla setta, si basasse su atteggiamenti che sostenevano l’esclusività
sociale, la purezza dottrinale ed una rigorosa coerenza etica; viceversa
il tipo di chiesa propugnava la globalità sociale, la libertà dottrinale ed
un certo grado di relativismo etico.
Questa era la caratteristica basilare, secondo Weber, che aveva
determinato il successo di tante sette, in Occidente, e quindi suggeriva
che, affinché quel tipo di chiesa potesse mantenere la sua collocazione
all’interno della società occidentale, avrebbe dovuto adattarsi alle
nuove condizioni della società stessa. Cioè “sacerdoti e religiosi sono
soggetti ad un’etica più severa, ed il carisma, legato alla nuova carica,
li dissuade da un coinvolgimento dal campo politico ed economico.
Ne consegue che il tipo di chiesa riesce a raggiungere un notevole
livello di stabilità, continuità ed autorevolezza, ma a patto di una
25
Ibidem, p. 118.
26
La critica sociologica, ibidem p. 40.
ANDREA COMMISSO BARILLARO
17
Antologia della sociologia delle religioni
propria forma e razionalità che aspira ad esercitare un controllo
legittimo ed esclusivo sulle questioni religiose”27.
D’altro canto, per Weber, in contrapposizione a Durkheim, il quale
inquadrava questa problematica ponendo come conditio sine qua non la
solidarietà interindividuale, “il problema fondamentale riguarda il
processo della razionalizzazione della vita sociale e le sue
conseguenze sui comportamenti individuali e sulla legittimazione, in
senso sostanziale, delle istituzioni”28.
In The structure of Social Action del 1937 Talcott Parsons sottolineò
come gli elementi formativi, cioè i valori, le credenze e le norme
fossero la causa prima e la fonte del controllo sociale.
In The Social System del 1951 ed in Toward General Theory of Action del
1951 egli evidenziò l’importanza di una teoria volontaristica
dell’azione sociale; teoria che tendeva ad esaltare: “a) le credenze
cognitive e valutative degli attori, b) il contributo funzionale delle
azioni sociali, normativamente organizzate all’ordinamento
sistematico della società e, c) all’importanza dei valori e delle credenze
in quanto fonti di cambiamento sociale adattativo”29.
14. Per Parsons la religione ha importanza di gran lunga
maggiore in rapporto a quella che aveva tra i primitivi e i behavioristi.
La religione, con Parsons, veniva ad occupare un posto cruciale nei
suoi sempre più complessi modelli dell'azione sociale e dei sistemi
sociali. Il suo orientamento teorico può essere descritto come
”funzionalismo normativo”. Ciò rileva la concezione di base di
Parsons e in pratica che, in ogni sistema d'azione, sono le norme e i
valori che governano e sottostanno ad ogni scelta strategica. Sono
infatti gli orientamenti di valore a determinare la stabilità dei
comportamenti istituzionalizzati.
Parsons condivide un atteggiamento di Durkheim per quanto
concerne la forte relazione che vi è tra la religione e la moralità. Egli
sottolinea che: “l’ordine soprannaturale quindi dà significato
conoscitivo ai sentimenti e alle norme di valutazione morale di un
J. Beckford, Religione e Società industriale avanzata, Borla, Roma, 1991, p. 49.
F. Ferrarotti, Ibidem, p. 151.
29 J. Beckford, ibidem, p. 73.
27
28
ANDREA COMMISSO BARILLARO
18
Antologia della sociologia delle religioni
sistema di azione, non nel senso che sia i sentimenti che le credenze
cognitive hanno una priorità causale, bensì nel senso che tendono ad
integrarsi tra loro, e che questa integrazione ha un importante
rapporto con la stabilizzazione del sistema”30.
Ma, egli aggiunge che in nessun sistema di valori possono essere
evitati conflitti e frustrazioni; che, tutto al più, in ogni sistema sociale
vi è sempre una serie complicata e molteplice di meccanismi che
mitigano la durezza di queste frustrazioni.
La religione, da una parte razionalizza i sistemi di valori
istituzionalizzati, mitigando i divari esistenti tra le aspettative e la
realtà che si è percepita, e, inoltre, crea i vari livelli fra il sistema di
valori e la religione, espletando una funzione dominante. Dà
continuità e forza ai modelli di valori e con esse un senso all’esistenza
dell’uomo.
Escludendo che questa venisse ad essere una forma di
secolarizzazione della religione, nel senso di un'eliminazione della
religione organizzata dalla scena sociale, “nonostante il weberiano
<disincantato>, le istituzioni religiose, tramite i loro valori e le loro
istituzioni, continuano a svolgere uno specifico ruolo di
legittimazione sociale. Anche senza far proprie le tesi di Parsons sulla
natura della democrazia americana e il suo positivo rapporto con la
secolarizzazione, il cristianesimo e il giudaismo plasmano <the
American Way of Life> 31.
Parsons sosteneva che i rapporti con la società erano venuti ad avere
un nuovo tipo d'istituzionalizzazione tale da far sì che la religione
venisse ad avere una nuova collocazione nell’ambito della scena
sociale.
Solo una parte, e relativamente piccola, riguardavano la religione in
modo esclusivo. Egli nutrì un grande interesse per lo studio del
carattere della società industriale moderna, in particolare modo degli
Stati Uniti, e per il ruolo che la religione svolge nell’orientamento
generale di questa società.
Molti dei suoi allievi sono stati indotti a studiare fenomeni religiosi
muovendo dall’ottica del funzionalismo normativo. Ne consegue che,
30
31
T. Parsons, Il sistema sociale, Milano:Comunità, 1965, p. 369.
A. Nesti, ibidem, p. 14.
ANDREA COMMISSO BARILLARO
19
Antologia della sociologia delle religioni
negli anni ‘50 e ‘60, negli Stati Uniti, la sociologia delle religioni fu
vista come un aspetto della socializzazione e del rapporto tra religione
e modernizzazione. In pratica fornì le basi per l’abolizione di nuove
teorie sociologiche sul posto occupato dalle religioni all’interno dei
moderni sistemi sociali.
Dedusse che la condizione indispensabile per giungere alla
industrializzazione fosse, non tanto la ricerca e l’istruzione, che
comunque erano considerate importanti, quanto gli impegni di valori e,
in particolare modo, una forte spinta al successo.
Pertanto, era sua convinzione che un sistema di valori può essere la
chiave di volta per la determinazione di un processo di sviluppo
economico capace di portare a compimento l’industrializzazione.
Viceversa considerava che il maggior ostacolo all’industrializzazione
fosse la riluttanza a modificare le norme e i valori essenziali di una
società. A suo giudizio la cultura giudaico-cristiana (ed in particolar
modo il protestantesimo) favoriva notevolmente lo sviluppo
industriale mentre viceversa le culture delle religioni asiatiche spesso
erano del tutto negative per tale sviluppo.
Tra i suoi seguaci Thomas O’Dea avallò la sua teoria circa la forte
interrelazione tra religione e società, ma volle sottolineare che, in
conseguenza di ciò, poteva verificarsi la possibilità che il corpo
religioso divenisse troppo omnipervasivo.
Egli voleva quindi tenere presente che la stabilità della società, come
sistema regolato da norme e valori, poteva essere raggiunta attraverso
l’equilibrio tra le forze
della religione pura e gli interessi
esclusivamente terreni.
15. Un’influenza ancora maggiore Parsons la esercitò nei
confronti di R. N. Bellah.
Una delle analisi di maggior interesse che Bellah elaborò fu quella di
ritenere che i sistemi di valori, che sono fondamentalmente costituiti
da simboli religiosi, evolvano quasi esclusivamente per mezzo di una
logica e di un processo di sviluppo interno, e, facendo un'analisi
sull'ideologia antimoderna che era presente nel periodo Tokugawa, in
Giappone non esisteva alcuna tendenza di base rivolta alla
modernizzazione, e ciò in quanto le caratteristiche della sua cultura
ANDREA COMMISSO BARILLARO
20
Antologia della sociologia delle religioni
religiosa mancavano delle basi necessarie per la messa in atto
dell’inizio di un processo di industrializzazione.
Viceversa egli sostenne che la riforma protestante dette impulso ad
intensificare l’affermazione
più radicale dei valori religiosi
determinando così una maggiore spinta alla trasformazione sociale, in
quanto, tali valori, venivano istituzionalizzati, assimilandoli nella
struttura della società. Tutto ciò può essere visto come causa che
determina l’automodificazione di una società a carattere democratico.
“L’esperienza religiosa va letta in base al ventaglio più ampio
possibile. <<La verità più profonda che io abbia scoperto - rileva con
molta opportunità R. Bellah - è che se si accettano le perdite, se
smettiamo di aggrapparci a ciò che è irrimediabilmente perduto, allora
il nulla che è rimasto non è sterile, ma enormemente fertile. Tutto ciò
che si è perso, rifluisce nell’oscurità e la propria relazione ad esso è
nuova: libera e priva di legami>>32.
16. Mentre Parsons riteneva che la società fosse
fondamentalmente dominata da elementi di tipo normativo e
conoscitivo, Niklas Luhmann basava la sua teoria sulla
trasformazione del fondamento dell’ordinamento sociale, andando
quindi oltre quella che era l’ipotesi di funzionalismo normativo
sostenuto da Parsons.
Luhmann scorge, alla base della società moderna, una
differenziazione dei suoi sistemi -e sub-sistemi- funzionali. Da ciò ne
deriva che “la società non può essere considerata da un unico
predominante punto di vista. La sua dinamica, piuttosto, appare
evidente per il fatto che i sistemi funzionali relativi alla politica,
all’economia, alla scienza, al diritto, all’istituzione, alla religione, alla
famiglia, ecc. sono divenuti relativamente autonomi e ora si
forniscono reciprocamente l’un l’altro gli ambienti”33.
Secondo Luhmann nelle società pre-moderne il fondamentale e
principale tipo di differenziazione che veniva a presentarsi era
costituto dalla classificazione gerarchica. Viceversa la società moderna
si differenzia, innanzitutto, sulla base della specializzazione funzionale
32
33
Ibidem, p. 38. Cfr. R. Bellah, Aldilà delle fedi, tr. it. Brescia, 1975.
J. Beckford, ibidem, p. 95, cfr. Luhman, 1982, p. XII.
ANDREA COMMISSO BARILLARO
21
Antologia della sociologia delle religioni
e viene a mancare pertanto di quel principio unificatore che è la
gerarchia.
“Da Parsons, ed in generale dal funzionalismo, Luhmann ha
ereditato l’esigenza di studiare la società come un sistema integrato”34.
Ecco quindi che per Luhmann, in una società differenziata, ogni
attività, integrata in questo sistema, trova la sua legittimazione solo
perché essa è resa possibile dall’apporto di un’altra attività dello stesso
sistema.
Ciò sta a significare che una società che presenta tante caratteristiche
di differenziazione funzionali non ha la possibilità di aver alcun
simbolo di unità o di identità suo proprio.
Tale differenziazione, che viene a sussistere tra i diversi sistemi
d’azione, fa sì che non possa uno solo di essi rappresentare l’intero
ordinamento sociale.
Cosicché, in quest’ambito, la religione non ha suscitato lo stesso tipo
di processo di specializzazione, di soggettivazione e internalizzazione.
La tesi fondamentale di Luhmann è <<che quando il principio della
differenziazione era segmentale la religione agiva a livello sociale,
sacralizzando ogni cosa. La si praticava pertanto attraverso rituali,
culti e, infine, miti. Col tempo, tuttavia, e soprattutto quando il
principio di differenziazione si trasformò in stratificazione (o in
integrazione sulla base della posizione gerarchica), nella pratica
religiosa si privilegiò l’osservanza di verità intellettualizzate (dogmi) e
dei loro vincoli sociali. Ma quando nell’era moderna il principio della
differenziazione si trasformò in specializzazione funzionale la pratica
della religione slittò nuovamente nel senso di una scelta personale di
credenze ed atti di devozione sempre più numerosi e complessi>>35.
E ciò in quanto, in quest’ultima fase, diviene possibile concepire la
contingenza del mondo come qualcosa che possa essere ricondotta ad
una trasformazione intenzionale. Si viene a verificare, ad instaurare, il
disordine sociale laddove si ha l’incapacità del sistema dogmatico di
reagire alle trasformazioni generazionali.
34
35
Enciclopedia Garzanti, Garzanti ed., 1981, p. 664.
J. Beckford, ibidem, p. 94.
ANDREA COMMISSO BARILLARO
22
Antologia della sociologia delle religioni
17. Peter Berger ha studiato e scritto molto sulle religioni, ma
ciò che in particolare ha destato il suo interesse è stato il paradosso
per cui nella società occidentale la razionalità ha origine religiosa ma è
andata a detrimento di quelle comunità che hanno da sempre
alimentato idee e sentimenti religiosi.
Egli afferma che per le sette cristiane moderne ciò che evidenzia
maggiormente questa tendenza alla razionalità è il pluralismo, cioè le
organizzazioni religiose non hanno più il monopolio, così come
avevano solitamente avuto, sulla concezione del mondo, e sono
venute sempre più ad affievolirsi quelle certezze concernenti l’autoidentità, la virtù morale e la verità religiosa.
“Fenomeni susseguenti ai nuovi processi sociali, sarebbero la
progressiva decadenza del senso etico e religioso, il prevalere di uno
spirito laico e materialistico, il progressivo distacco delle masse
lavoratrici dalle chiese, il determinarsi di una reale <apostasia> delle
masse lavoratrici”36.
Inoltre, per accrescere la loro fetta di mercato, viene a crearsi una gara,
per accaparrarsi una maggiore credibilità, tra i diversi gruppi religiosi
pluralistici, e fra i gruppi religiosi e non religiosi, dando luogo perciò
ad un’ulteriore razionalizzazione dei metodi utilizzati per tale scopo.
Il tutto è legato a strategie razionali che tendono ad accrescere la
differenziazione marginale dei prodotti religiosi anche se, comunque,
il mercato tende ad una standardizzazione delle preferenze del
consumatore.
“Il lavoratore, cui viene negata la possibilità di realizzarsi tramite il
proprio lavoro, è sollecitato ad <evadere dalla sua condizione di
produttore sociale> e viene stimolato <a ricostruire una falsa
coscienza con un microcosmo privato di cui godere e su cui regnare
in qualità di sovrano solitario”37.
Tutto ciò è interrelato direttamente con la descrizione che Berger dà
della secolarizzazione come di quel “processo attraverso il quale
viene ad espletarsi la liberazione del mondo e delle sue istituzioni
dall’influenza della chiesa”38.
A. Nesti, cit., p. 63.
Ibidem, p. 409.
38 Enciclopedia Garzanti, ibidem, p. 1040.
36
37
ANDREA COMMISSO BARILLARO
23
Antologia della sociologia delle religioni
Per quanto concerne il processo di razionalizzazione, Berger non
definisce che tale processo è storicamente inevitabile o meccanico, ma
ritiene che “una volta scoperto che l’idea di coerenza, nel cercare un
rapporto valido tra mezzi e fini, procurava dei vantaggi: le forze
materiali ed intellettuali sono state mobilitate al fine di perseguire tale
obiettivo”39.
Il concetto di razionalità, che già ebbe sviluppo nell’antico
Giudaismo, fu esaltato dalla Riforma Protestante e dal Rinascimento
e, all’inizio di quello che può essere definito il mondo moderno,
acquisì autonomia propria.
Berger vede questo processo di razionalizzazione aperto e variabile
per quanto concerne la velocità di sviluppo e la intensità di impatto
sui diversi settori della società e della cultura.
Egli ritiene che una delle caratteristiche peculiari del mondo moderno
stia nel fatto che l’avvento della razionalità tecnologica abbia
provocato una crescita economica e, quindi, una modifica delle
istituzioni sociali. In modo particolare, egli ritiene che la burocrazia
sia una delle istituzioni più significative della modernità.
Secondo Berger la crescita della burocrazia, di pari passo con quella
della democrazia, ha “creato un abisso sempre più profondo tra la
sfera pubblica (con lo Stato, la comunità e il lavoro) e la sfera privata
(con la famiglia, la comunità e il sé)”40.
Le grandi istituzioni del settore pubblico hanno invaso il terreno del
privato, destituendo le sue istituzioni di ogni significato. La religione,
che finora aveva sovrastato sia il settore pubblico che quello privato,
non riusciva più a contrastare questa de-istituzionalizzazione della vita
quotidiana, poiché aveva oramai subito un processo di segmentazione
e di pluralizzazione.
“In seguito a ciò Berger finì col temere che la coscienza moderna
sarebbe stata sempre più dominata dalle logiche razionali della
politica, degli affari e dell’occupazione. Ma nella sua interpretazione,
questi fattori non sono adeguati per fornire agli individui delle identità
39
40
J. Beckford, ibidem, p. 108.
Ibidem, p. 109.
ANDREA COMMISSO BARILLARO
24
Antologia della sociologia delle religioni
solide e delle idee convincenti sul senso della vita e sulla spiegazione
della sofferenza e della morte”41.
Le istituzioni più potenti del mondo moderno hanno perso la propria
legittimità etica e religiosa. E’ venuta meno la giusta articolazione tra
pubblico e privato.
Berger sostiene che il capitalismo è legittimato solo sulle basi della sue
conquiste materiali e non su basi ideologiche.
Secondo Berger, la sfera del privato è solo un residuo dell’esperienza
e delle relazioni sociali non dominate dalla razionalità della gestione
formale o della produzione economica.
Questa separazione, tra il pubblico e il privato, ha fatto sì che le
tendenze personali, per quanto concerne lo stile di vita, abbiano
proliferato tanto che le convinzioni e le consuetudini, sino ad allora
obbligatorie, sono divenute puramente facoltative.
Il dover compiere delle scelte, per Berger, può essere considerato, dal
singolo individuo, come una libertà, offrendogli –quindi- un vero
senso di liberazione, ma può viceversa disorientare e dare adito a
sentimenti di alienazione.
Berger ritiene che questa discrasia, questo gap, che si è venuto a
creare, tra pubblico e privato, può essere colmato creando speciali
strutture che affidino ai privati cittadini il compito di controllare le
istituzioni pubbliche.
Tale struttura intermedia verrebbe a porsi come collagene tra i livelli
degli individui e della società, permettendo di portare avanti
determinate credenze, e avallando gli schemi presentati da
Tocqueville e da Durkheim. Egli, insomma, individua una democrazia
fatta di associazioni volontarie, gruppi religiosi, comunità e famiglie.
18. La caratteristica saliente dell’opera di Luckmann è il
tentativo di accostarsi alla religione attraverso la sociologia della
conoscenza.
Egli intendeva andare oltre la storia degli dèi per cercare di analizzare
come gli esseri umani si collocano all’interno del rispettivo ordine
sociale. Egli condivide con Berger che “il compito più importante è
quello di analizzare l’apparato conoscitivo e normativo, mediante il
41
Ibidem, p. 109.
ANDREA COMMISSO BARILLARO
25
Antologia della sociologia delle religioni
quale si legittima l’assetto sociale di un universo, ... cioè la
conoscenza di esso”42.
Egli aderisce così alla tesi di Durkheim secondo la quale il rapporto
tra individuo e società è fondamentalmente di natura religiosa,
rivendicando al contempo il ruolo centrale che la religione riveste
all’interno del processo sociale. “Luckmann argomentava che la
religione è un aspetto tanto strutturale quanto culturale di tutta la
società”43.
Egli, attraverso la sua analisi, arriva a negare che la decadenza delle
istituzioni religiose equivalga ad un inevitabile declino.
Egli asserisce che, probabilmente, le grandi istituzioni religiose, in
Occidente, sono divenute marginali rispetto ai centri importanti di
potere e di influenza. Esse si sono, internamente, secolarizzate,
allineando i loro valori e le loro credenze alle norme delle istituzioni
dell’economia e della politica.
“Luckmann, sulla base di lavori come The religious factor di G. Lenski,
Garden City, 1961, dedicato alla religione negli Stati Uniti, ritiene che
la secolarizzazione in Europa si sia andata manifestando come
prevalente diminuzione di partecipazione alle forme religiose
istituzionalizzate
(di
qui
l’espressione
secolarizzazione
<dall’esterno>); negli Usa la partecipazione avrebbe resistito, per
motivi estranei al tema della <salvezza> religiosa (di qui, ancora,
l’espressione secolarizzazione <dall’esterno>).
Ciò indica solo che “Il processo di differenziazione istituzionale ha
eliminato la possibilità che norme religiose tradizionali possano
tuttavia legittimare ed integrare l’ordine sociale delle società
industriali. I simboli di valori un tempo predominanti ora sono essi
stessi relegati in una situazione a se stante. Ciò non significa
comunque che la diffusa funzione svolta dalla religione sia in
declino”.
Il compito della religione, da un punto di vista sociologico, continua
ad essere, per la moderna società, tanto rilevante quanto lo è stato nei
periodi antecedenti. Egli è fiducioso che un tipo di religione, non
ancora istituzionalizzato, si stia affermando in conseguenza della
42
43
Ibidem, p. 120.
J. Beckford , ibidem, p. 121.
ANDREA COMMISSO BARILLARO
26
Antologia della sociologia delle religioni
diminuzione di considerazione che la religione di chiesa sta avendo
nelle società moderne. Il che non sta a significare che la nuova
religione, a carattere personale, verrà a sostituire quella di chiesa. Egli
ritiene che, invece, quest’ultima continuerà ad esistere. Ad essa si
affiancherà un tipo di religione completamente nuova. Religione
nuova nel senso che in essa non sarà più presente quella coesione o
struttura sovrastante. Essa presenterà, invece, un assortimento di temi
sacri scelti dall’uomo e “inoltre tali scelte esprimeranno adattamenti
elastici e variabili di priorità personali” quasi per nulla appoggiate
dalle istituzioni pubbliche.
Tali temi non saranno mediati da alcuna istituzione particolare, né
direttamente correlati ad istituzioni sociali. “Rappresentano le
preferenze dell’utente e corrispondono quindi alla condizione di
sovranità dell’uomo e alla sua collocazione nella società moderna”44.
<<Questi temi hanno origine nella sfera privata e sono radicati
principalmente nei sentimenti personali>>45.
19. Bryan Wilson ha sottolineato la forte connessione che vi è
tra la differenziazione della società industriale e quella della religione.
Egli esprime tale concetto attraverso una tesi sulla secolarizzazione,
ritenendo innanzitutto che essa si esplichi : “a) come disgregazione
istituzionale delle chiese; b) come contrazione delle istituzioni
religiose, rispetto al controllo sociale; c) come declino, a livello
ideologico, della capacità a porsi come canale espressivo delle
componenti emotive del comportamento. Inoltre, si manifesta come
razionalizzazione pragmatica che sottrae i credenti alle tecniche di
controllo onnicomprensive della religione, in seguito alla rete di
rapporti sociali che si vengono a determinare con la società
industriale”46.
Wilson afferma che la secolarizzazione è direttamente consequenziale
al declino della comunità, in quanto essa determina, per definizione, il
declino della religione. Infatti, asserisce: <<si può dire che la religione
tragga propria origine e ricavi la sua forza dalla comunità, dal
44
45
46
A. Nesti, ibidem, p. 78, nota 43.
J. Beckford , ibidem, p. 121(43).
Ibidem, p. 122.
ANDREA COMMISSO BARILLARO
27
Antologia della sociologia delle religioni
rapporto costante e concentrato in un dato luogo del gruppo che
gode di una relativa stabilità... Mentre un tempo la religione penetrava
nel tessuto stesso della vita comunitaria, nella società moderna essa
opera negli spazi interstiziali del sistema... Si potrebbero, allora,
giustapporre i due fenomeni: la comunità religiosa e la società
secolare>>47.
Egli raggiunge da ciò la considerazione che in una società sempre più
razionalizzata, dove la logica della razionalità e dell’utilità pervade
ogni campo, non si sente più la necessità di una ideologia religiosa.
Infatti, a suo avviso: “la società industriale non ha bisogno di divinità
locali né di santi locali, non di panacee locali o di punti di
riferimento...”48.
Tali concetti della secolarizzazione non stanno a significare per
Wilson che la religione sia destinata a finire. “Gli stessi teorici della
più rigida logica secolarizzante riconoscono che la religione non viene
eliminata, essa sarebbe sottoposta ad una crescente
secolarizzazione”49.
Per egli l’attività religiosa permane in certi piccoli gruppi, venendo
quindi a perdere il peso sociale: non fornisce più i valori fondamentali
alla società, le restrizioni morali e la legittimazione.
20. Daniel Bell afferma che quanto caratterizza la religione sia
innanzitutto un insieme di risposte coerenti ai quesiti esistenziali più
profondi, che ogni gruppo si trova a dover affrontare, finanche l’idea
che la religione rappresenti una “modalità di risposta da parte di
individui sensibili a problemi più profondi che tutti i raggruppamenti
umani si trovano davanti quando acquistano coscienza della propria
esistenza”50.
Egli prende in considerazione la religione più come una ricerca di
unità culturale che come un fatto di rapporti sociali. Rifiuta sia la
teoria che la religione, sia il riflesso del sistema sociale, sia la teoria
secondo cui la religione funge da regolatore funzionale integrativo per
47
48
49
50
Ibidem, p. 122.
Ibidem, p. 123.
A. Nesti, ibidem, p. 9.
J. Beckford, p. 129, cit. B. Wilson, 1982, pp. 154-155.
ANDREA COMMISSO BARILLARO
28
Antologia della sociologia delle religioni
la socialità post-industriale. Sostiene inoltre che, pur diminuendo il
potere e l’autorità esercitati dalle istituzioni religiose, i problemi
esistenziali, che assillano i singoli individui, rimangono. Da ciò si
deduce che, pur rimanendo ciò lo stimolo all’atto religioso,
inevitabilmente, la religione non può scomparire, tutt’al più si
affermeranno nuove forme di religione.
Secondo Bell il processo di trasformazione delle forme religiose segue
la circonferenza di una ruota e quindi il suo futuro sviluppo sarà un
ritorno al passato, al recupero della tradizione, a quelle radici con cui
si cercava di dare un senso logico alla vita e alla morte.
Bell asserisce che “l’orientamento verso la conoscenza teorica,
l’efficienza e la razionalità che riscontriamo nella struttura tipicamente
burocratica nel campo tecno-economico, finisce col predominare
sempre di più sull’orientamento verso il principio di eguaglianza in
politica e quello di razionalizzazione di sé nella cultura, anche se le
due tendenze sono incompatibili tra loro”51.
“Non è più solo la situazione di lavoro la fonte dei conflitti sociali
centrali. I conflitti sono sempre più determinati dalla natura del
dominio esercitato da nuove forme di potere connesse, ad esempio,
col trattamento dell’informazione”52.
Egli prevede che tre settori principali si distaccheranno ulteriormente
l’uno dall’altro, ma, contemporaneamente, i principi del campo
tecno-economico verranno sempre più a prevalere gli uni sugli altri, e
che le nuove forme di religione avranno la funzione di contrastare la
pretesa autonomia di norme e valori puramente utilitaristici.
21. Richard Fenn avalla l’ipotesi di Luckmann, Wilson e Bell,
secondo cui il processo di differenziazione istituzionale è stato
basilare per la società industriale avanzata. Viceversa egli si oppone
alla concezione di Parsons in base alla quale la struttura sociale, la
cultura e la personalità sono guidati da valori comuni.
Fenn si spinge fino ad affermare che la differenza fra gli individui, il
processo di differenziazione, insomma, sia arrivato ad un punto che
51
52
Ibidem, p. 129, cit. B. Wilson, 1982, p. 159.
A. Nesti, ibidem,, cfr. B. Wilson, The secularisation Process, cit.
ANDREA COMMISSO BARILLARO
29
Antologia della sociologia delle religioni
ha eliminato, definitivamente, la possibilità che l’ordine sociale possa
essere basato su impegni normativi comuni.
Egli ritiene che in società integrate, ma non coese, “l’ordine sociale è
–piuttosto- un prodotto del sovrapporsi di vincoli tra soggetti che
hanno ruoli e personalità tra loro diverse”53.
Essendosi ormai determinata una discrasia, un gap tra i settori pubblici
e il privato della vita sociale, ecco che forme introverse di religiosità
personale sono adatte ad un tipo di società dove predomini la
razionalità strumentale nel mondo del lavoro e della politica.
Ma, queste nuove forme di religione non potranno mai svolgere quel
ruolo fondamentale che precedentemente la religione svolgeva
nell’intera società.
A suo avviso la secolarizzazione non tende ad allontanare la religione
dalla società bensì a relegare ad essa una funzione che non sia più così
omnipervasiva ed importante per l’intera società.
L’A. ritiene che in tale società non vi sia più spazio per le asserzioni
autorevoli. Rimane solo la possibilità di effettuare asserzioni di
opinioni personali.
Egli, in contrapposizione ai più che hanno ipotizzato i processi di
secolarizzazione, abbraccia l’idea che la religione continuerà ad
esistere nella società secolare e asserisce, inoltre, che la
secolarizzazione fa sì che si venga a fornire un tipo di religione
particolare che rispecchia lo spirito dei tempi, in opposizione ad
altre tesi che asserivano la religione essere in contrapposizione con
quello spirito. Anzi, egli ritiene persino che sia la natura stessa della
società secolare a determinare quello che egli definisce “la rinascita
paradossale della religione.” Ciò viene a determinarsi in quanto le
regole che governano la maggioranza dei contesti laici “impongono
severe limitazioni ad atti del linguaggio che esprimono ordini e
affermazioni, riservando i suddetti atti del linguaggio a chi è, a rigor di
termini, autorizzato e preparato a pronunciare, giudicare, valutare,
ordinare, indirizzare, implorare, chiedere o anche a dare convincenti
suggerimenti. Alcuni gruppi religiosi ... prosperano proprio perchè
offrono a chi non è autorizzato e preparato, ai laici, delle opportunità
di dichiarare, pronunciare o indirizzare ... I gruppi religiosi,
53
J Beckford, ibidem, p. 131, cfr. Bell, 1980, p. 333, cit.
ANDREA COMMISSO BARILLARO
30
Antologia della sociologia delle religioni
manifestando nei loro atti di linguaggio un fervore ed uno zelo
pentecostali, prosperano forse proprio a causa del successo riscosso
nelle società moderne dalla secolarizzazione delle istituzioni
concernenti l’istituzione, l’economia, o la politica ... Così la
secolarizzazione crea una richiesta del tipo di atti di linguaggio
riservati unicamente all’élite delle società moderne”54.
22. Un aspetto del tutto nuovo per quanto concerne il ruolo
della religione nell’ambito della società industriale è posto da Roland
Robertson. Egli sostiene che il capitalismo ha portato alla
globalizzazione del sistema politico ed economico. Da un punto di
vista politico ed economico il mondo, secondo tale teoria, sta
diventando un tutt’uno, venendosi a determinare un sistema
economico transnazionale, sino ad aversi una integrazione politicoeconomica nel sistema mondiale. Ciò ha portato alla nascita di nuove
tematiche religiose.
Questo nuovo sistema mondiale, anziché eliminare la religione, l’ha
esaltata, creando dei movimenti religiosi transnazionali, grazie
appunto all’integrazione globale. Negli ultimi anni si è avuto sempre
più interesse su scala mondiale per la giustizia sociale, l’uguaglianza e
l’integrità morale. Ne è venuta una nuova linfa vitale per svariate
religioni universali. “Il filo comune che unisce tali argomenti è
<l’umanità>, cioè un interesse per il significato finale dell’esistenza
dell’uomo che trascende il coinvolgimento di particolari ambienti
sociali. E’ un concetto che emerge dal discorso sull’io: non
sopravvive, comunque, in un isolamento imperioso, ma in relazione
con l’umanità intera”55.
23. Michel Foucault era convinto che “la storia non è il
progressivo rischiarimento della ragione; lo sviluppo delle scienze non
coincide con la crescita dell’emancipazione umana, ma comporta
piuttosto nuove forme di assoggettamento”56.
54
55
56
Ibidem, p. 132.
A. Nesti, p. 113.
J. Beckford, ibidem, pp. 134-135.
ANDREA COMMISSO BARILLARO
31
Antologia della sociologia delle religioni
La sua teoria vuole che si abbia una crescita di potere da parte di
particolari organismi, quali la classe dei professionisti, la polizia, il
clero e le organizzazioni demandate alla cura del benessere sociale. La
suesposta concezione porta alla determinazione di una conoscenza,
sempre più specializzata, la cui funzione principale è quella di
controllare vaste aree della vita privata. Tale contorno si determina,
attraverso classificazioni e suddivisioni in categorie che portano a
delle distinzioni sempre più sottili sull’idea di ciò che rappresenta un
normale essere umano.
A Foucault la religione interessava, innanzitutto, per le tecniche che
essa in vario modo forniva all’economia dei rapporti di potere, sia per
il dominio sia per la lotta e la resistenza contro il dominio.
Egli ritiene che la Riforma abbia rappresentato “una profonda crisi
dell’esperienza occidentale della soggettività e una ribellione a quel
tipo di potere morale e religioso che nel corso del Medioevo diede
corpo a tale soggettività. L’esigenza di ricoprire un ruolo diretto nella
vita spirituale, nell’opera di salvazione, nelle verità contenute nella
Bibbia -tutto questo rappresentava una lotta per una nuova
soggettività-”57.
Per Foucault l’ironia sta nel fatto che tale lotta, espletata dalla
Riforma, non ha fatto altro che produrre la nascita dello Statonazione il quale presenta un nuovo complesso di rapporti di potere.
In questo nuova fase si ha che il potere pastorale, che fino ad allora
era in mano alla Chiesa cristiana, apparentemente, passa in mano agli
Stati del dopo-Riforma ma, in realtà, le nuove tecniche religiose che
portarono ad una industrializzazione si combinarono con la tecnica
politica della totalizzazione. E tutto ciò egli lo spiega bene nei
seguenti termini: “il potere di tipo pastorale, che per secoli -per più di
un millennio - era rimasto legato ad una determinata istituzione
religiosa, d’un tratto si diffuse all’intero organismo sociale, trovando
sostegno in una moltitudine di istituzioni. E, al posto del potere
pastorale e di un potere politico, più o meno legati tra di essi, si
affermò una <strategia> individualizzante che caratterizzava una serie
di poteri: quelli della famiglia, della medicina, della psichiatria,
dell’istruzione e dei padroni ... dobbiamo immaginare e sviluppare ciò
57
J. Beckford, ibidem, p. 144, cfr. Foucacault, 1978, p. 213, cit.
32
ANDREA COMMISSO BARILLARO
Antologia della sociologia delle religioni
che potremmo essere per sbarazzarci di questo tipo di <duplice
legame> politico che costituisce al tempo stesso l’individualizzazione
e la totalizzazione delle moderne strutture di potere ... Dobbiamo
incoraggiare nuove forme di soggettività attraverso il rifiuto di questa
forma di individualità che ci è stata imposta per parecchi secoli”.
E’ pur vero che i concetti di individualità che vengono assimilati dai
più siano plasmati in modo tale da essere adeguati a quelli che sono
gli interessi del potere dominante.
A differenza di molti altri autori, Foucault ritiene che il problema
fondamentale non sia nella differenza sociale, oppure nella
separazione che sussiste fra pubblico e privato; anzi, è proprio il
potere disumanizzante delle diverse istituzioni che determina negli
individui la sensazione di essere soggiogati e di essere, quindi, raggirati
per poi conformarsi agli interessi predominanti.
Foucault ritiene che il problema è quindi di una integrazione o di un
controllo eccessivo.
Nell’ambito dei sociologi di lingua inglese, per quanto concerne la
sociologia delle religioni, studi che portano avanti modelli e teorie di
tipo marxista sono praticamente del tutto inesistenti. Ciò, sia perché
spesso le ricerche vengono effettuate laddove vi è probabilità di
finanziamenti e, visto che il marxismo, in molti ambienti, dal punto di
vista politico, non incontra simpatie, è difficile ottenerne ma,
soprattutto, poiché nel modello marxista della società capitalistica la
religione viene relegata ad un epifenomeno. Tuttavia, negli ultimi
decenni, la possibilità che una buona analisi marxista delle religioni
venga espletata è divenuta di gran lunga maggiore.
Si è avuto, inoltre, la crescita di nuove teorie basate sempre più sul
modello marxista della società tardo-capitalistica ove i problemi
religiosi non vengono più considerati marginali ed epifenomenici.
24. Antonio Gramsci ha avuto la capacità di fornire un
approccio diverso al materialismo storico per quanto concerne la
sociologia della religione e altri aspetti ideologici. Gramsci rifiuta gli
estremismi positivistici della sociologia scientifica e di un certo
marxismo volgare. La sua idea consisteva nel fatto che la condizione
di subordine, alla quale il proletariato era assoggettato dal capitalismo,
ANDREA COMMISSO BARILLARO
33
Antologia della sociologia delle religioni
ben presto sarebbe stata chiara nelle menti della stragrande
maggioranza della massa operaia. Era convinto che la sempre migliore
coscienza di classe del proletariato, attraverso l’organizzazione
politica, avrebbe potuto portare ad una era socialista.
Questa sua teoria andava di pari passo con la convinzione che la
cosiddetta filosofia scientifica doveva essere messa da parte per avallare
invece l’ipotesi che ogni verità deve essere presa in considerazione
entro l’ambito storico e culturale ivi presente.
Secondo Gramsci ogni idea può essere considerata veritiera se
rapportata alle particolari circostanze storico-sociali. Egli intendeva
eliminare “la distinzione meccanicistica fra base materiale e
sovrastruttura culturale. Le idee erano giudicate non meno reali dei
rapporti sociali e della forza economica. Egli quindi definiva il
comportamento una propensione storicamente condizionata ad agire
alla luce delle idee correnti ed entro il contesto di circostanze materiali
intese anch’esse nel modo corrente”58.
Egli vedeva che le generalizzazioni più astratte erano troppo aleatorie
e la verità era situata nelle pieghe della vita pratica del particolare
momento e contesto storico-culturale. Non portò quindi avanti la
classica teoria marxista che concerne il predominio della base
materiale su ogni elemento culturale della sovrastruttura. Egli,
insomma, si rifiutò di portare avanti la concezione del determinismo
storico. Egli voleva che gli intellettuali sviluppassero ed elaborassero
una teoria che fosse in assonanza con le condizioni sociali e materiali
predominanti, ponendo sempre dinanzi a sè l’interrelazione fra teoria
e pratica, cosicché solo così poteva essere creato il futuro: attraverso
la prassi e dando priorità all’azione.
Ora, la coscienza di classe che veniva a svilupparsi nella massa operaia
equivaleva ad una coscienza di prassi.
Quindi, egli voleva che si creasse un lavoro intellettuale, che si
svolgesse in parallelo con tale prassi, per ottenere la trasformazione
dell’attuale ordinamento sociale. Egli prese in seria considerazione la
creazione e diffusione delle idee religiose. Riteneva che lo sviluppo
storico della Chiesa Cattolica Romana avallasse la sua tesi del
rapporto tra teoria e prassi. Gramsci analizzò che per secoli la Chiesa
58
Ibidem, p. 136, cfr. Fenn, 1981, p. 119.
34
ANDREA COMMISSO BARILLARO
Antologia della sociologia delle religioni
cattolica aveva saputo plasmare le menti dei fedeli, facendo sì che non
si creassero delle divergenze o spaccature fra la religione formale ed
intellettuale e quella delle masse popolari incolte, e aveva contribuito,
a tale fine, anche l’utilizzo del linguaggio proprio della cultura
popolare, per esprimere il contenuto dottrinale. “Ne consegue che le
contraddizioni e gli stessi antagonismi che si manifestano nei
momenti-vertice della lotta di classe, elaborano il loro messaggio
attraverso una rottura del linguaggio dominante che può essere più o
meno ampia, ma non è mai totale (altrimenti mancherebbe quel
minimo referenziale, necessario per uno scambio di informazioni).
Ma, è l’uso di classe il fattore che diventa determinante per
comprendere la nuova funzione che può assumere una proposizione
ideologica di eventuale, o più probabile, iniziale elaborazione elitaria.
Questo uso di classe può, al limite, sovvertirne totalmente forma,
funzioni, significati, dando respiro a quel momento dinamico,
creativo, “che contribuisce a dare impulso al divenire storico”.
Da tale esperienza, quindi, Gramsci trae che anche la classe operaia
doveva avere i propri intellettuali, i quali portassero avanti le idee e le
esperienze delle masse, con un linguaggio popolare. Il teorema aveva
in seno anche il fine di creare un nuovo potenziale religioso capace di
formare una storica alleanza tra contadini, operai e sacerdoti.
“Per quanto concerne più in particolare la religione delle classi
subalterne, questa non può essere analizzata sulla base di criteri
propri ad una cultura razionale e sistematica com’è il caso della
cultura borghese.
Bisogna tener conto dei codici propri alle classi subalterne; codici che
sono in accordo con il processo di emancipazione in queste classi
rispetto alla coercizione esercitata su di esse dall’ordine sociale
dominante. L’analisi deve tener conto delle aspirazioni libertarie ed
ugualitarie che sono presenti come virtualità in seno alle suddette
classi e che emergono ogni qual volta le lotte sociali lo permettono”.
Gramsci era nauseato da “quello che giudicava il compromesso
ideologico della Chiesa cattolica con lo Stato e i gruppi di potere della
società civile. Criticava, inoltre, l’uso della Chiesa, all’apparenza
spietato, del proprio potere organizzativo per schiacciare resistenze e
autorità non autorizzate”.
ANDREA COMMISSO BARILLARO
35
Antologia della sociologia delle religioni
Riteneva che vi fosse la possibilità di contrastare l’egemonia della
chiesa cattolica attraverso la formazione di una religione non
ecclesiastica “che fosse esente dalla contaminazione ideologica degli
interessi della classe dominante”.
25. Louis Althusser cercò di sviluppare un tipo di marxismo
ridotto e scientifico. Egli riteneva che, per una ideologia marxista
della religione, i fenomeni religiosi, al pari dell’ideologia, dovessero
essere considerati tali da poter diventare una delle condizioni per
l’ordine e il cambiamento sociale. Riteneva anche opportuno che la
religione svolgesse la funzione essenziale di dare immagine mitica -di
ordine sociale unitario-, mascherando le sottostanti contraddizioni e
che essa avesse l’opportunità di contribuire in modo abbastanza
autonomo all’accumularsi di contraddizioni che avrebbero accelerato
il processo di rivoluzione sociale.
Althussur, così come altri facenti parte del marxismo strutturale,
cercava di aprire una breccia nel pensiero marxista, rifiutando quella
teoria che voleva la religione essere un puro riflesso epifenomenico di
forze sociali o la finzione di una coscienza distorta.
Egli volle tener presente che la religione, così come l’ideologia, gode
di una vita propria ed è reale tanto quanto le forze materiali. Egli
prende in considerazione un tipo di struttura sociale più libera di
quella espletata dai modelli di società marxista più tradizionale, ma
non rifugge l’ipotesi che la totalità ha la capacità e la necessità di
premere affinché i propri interressi vengano ad essere parte
importante di quegli elementi che compongono il sistema.
Non mancò di sostenere che “una <mano invisibile> continua a far
muovere il sistema in una determinata direzione, perché si ritiene che
l’ideologia religiosa dia, al senso di identità e di soggettività prevalenti,
una forma che si armonizzi con gli interessi della classe sociale che si
suppone dominino della totalità”.
26. Vi sono studiosi marxisti o para-marxisti che, pur non
potendo essere considerati direttamente dei sociologi della religione,
hanno effettuato diversi studi in tale settore. Ciò che li accomuna è la
convinzione che, nelle società capitalistiche e tardo-capitalistiche, i
36
ANDREA COMMISSO BARILLARO
Antologia della sociologia delle religioni
cosiddetti nuovi movimenti sociali (NSMS) hanno acquistato una
enorme importanza.
Fra essi Alberto Melucci, il quale sostiene che “l’azione collettiva si
sta spostando sempre più dalla forma <politica>, un tempo comune
ai tradizionali movimenti di opposizione nelle società occidentali, al
terreno culturale”.
Egli vuole sottolineare che, mentre finora i conflitti principali, nelle
società industriali erano conseguenza delle rilevanti contraddizioni tra
capitale e lavoro, oggi, in seguito alle forti trasformazioni che il
capitalismo ha subito, i conflitti sociali si sono spostati sul terreno
delle lotte concernenti la qualità della vita e il perseguimento di una
società del futuro.
Tale spostamento verso conflitti culturali è dovuto fondamentalmente
innanzitutto al fatto che le società post-industriali o tardocapitalistiche non si muovono più sul terreno dell’economia ma
vengono ad avere un grande ruolo nei sistemi informativi che
diventano conditio sine qua non per la produzione e la divisione di beni
e lo sfruttamento di mercati e risorse.
“Melucci individua due condizioni centrali perché una condotta
collettiva possa definirsi come movimento sociale. La prima è che
esprima un conflitto, e che perciò non si configuri, funzionalmente,
come risposta adattiva o reattiva a una crisi. Il conflitto nasce come
opposizione per il controllo e la destinazione di risorse e prefigura
domande collettive che investono la legittimità del sistema dominante.
Di qui la seconda condizione: che l’azione collettiva conflittuale
implichi una tensione antagonistica sui limiti di compatibilità del
sistema stesso”.
27. André Gorz sostiene: “il lavoro legato alla gestione e alla
riproduzione dei rapporti sociali si è sviluppato con una rapidità
superiore a quella del lavoro direttamente legato alla produzione
materiale ed è divenuto una precondizione della sua accresciuta
efficacia”.
Inoltre, mentre sinora le lotte di classe e i conflitti erano per un
miglioramento della condizioni materiali e politiche, ora i contrasti
nascono in quanto si vuole un cambiamento della ricerca di una
ANDREA COMMISSO BARILLARO
37
Antologia della sociologia delle religioni
nuova azione sociale per l’intera società. Esse quindi esprimono un
linguaggio profetico e così facendo si accostano al discorso religioso
in quanto come dice Richard Fenn “il linguaggio religioso
<profetico> è decisivo, cioè determina, ricrea ed esprime la realtà cui
si riferisce”.
28. Jurgen Habermas ritiene riduttiva la teoria marxista del valore
secondo la quale vi è una interdipendenza fra la forma merce e il
rapporto capitale/lavoro. Egli ritiene che è venuta sviluppandosi una
nuova forma di capitalismo dopo la seconda guerra mondiale. Essa si
basa sul predominio della differenziazione funzionale e della
razionalità nei sistemi sociali e soprattutto nei principali mezzi di
scambio cioè il denaro e il potere.
“Rifacendosi a quella separazione tra le diverse sfere della razionalità
che era già stata diagnosticata sia da Kant sia da Weber, egli cerca di
pensare i processi della modernizzazione occidentale come uno
sganciamento settoriale della razionalità sistemica (denaro e potere)
dall’orizzonte tradizionale della ragione comunicativa (le strutture preriflessive del mondo della vita). Mentre il sistema è guidato da una
logica funzionale (automatica e de-linguistificata) di autostabilizzazione nei confronti dell’ambiente esterno, le strutture del
mondo della vita appaiono guidate da una logica linguisticocomunicativa orientata all’intesa reciproca”.
Egli sostiene inoltre che i due livelli devono essere considerati come
due forze esterne e distinte, ma il problema fondamentale è che la
logica per lo sviluppo che governa il sistema sociale del tardo
capitalismo si stia
imponendo, sempre più, in campi che
appartengono al mondo della vita.
La conclusione alla quale Habermas giunge è che la cultura del
denaro e del potere sta mettendo a repentaglio il buonsenso e la
ragione.
Ritiene inoltre che sia possibile preservare i benefici che derivano
dalla modernità e dalla razionalità, ma solo se essi vengono sottoposti
ad un attento esame critico continuo. In opposizione alla maggior
parte degli studiosi della scuola di Francoforte egli ritiene che lo
sviluppo della religione abbia preceduto la razionalizzazione dei
38
ANDREA COMMISSO BARILLARO
Antologia della sociologia delle religioni
moderni sistemi sociali e che quindi attraverso la razionalità degli
attori si possa opporre una rilevante fonte culturale a tali sistemi
razionalistici.
Habermas stima che la crescente autonomia del mercato capitalistico
e dello stato burocratico sia avallata dalla sussistenza di determinate
norme e valori presenti nella sfera privata e che sia interesse del
potere del denaro che vengano a sussistere determinati valori e
norme.
Questo fa parte di quel processo che viene definito come “la
colonizzazione del mondo vitale” cioè “vengono imposti sul mondo
vitale i principi nei quali si integra il sistema sociale. Di conseguenza i
settori dell’esistenza, che in precedenza erano stati retti da norme e
valori generati dall’interazione e dalla comunicazione sociale
quotidiana, vengono progressivamente sottoposti a principi e criteri
che trovano le proprie origini nel sistema sociale razionalizzato”.
Il timore di Habermas è che la burocratizzazione del mondo vitale
possa portare alla sua disintegrazione, facendo sì che esso non possa
realizzare più il compito della riproduzione culturale e sociale. Ecco
quindi che Habermas ritiene della massima importanza prendere in
considerazione i movimenti culturali di protesta e di ribellione nei
confronti delle varie forme di razionalità e dei partiti politici che nella
società industriale si basavano sull’appartenenza ad una certa classe.
Insomma la contraddizione capitale-lavoro è stata rimpiazzata dalla
contraddizione che vi è tra l’efficienza e la produttività, che, sempre
più, lo stato e le altre grandi organizzazioni prendono alla base della
loro organizzazione; ed in seno a questi si rileva la necessità di
perseguire valori più sostanziali che considerino la difesa dell’integrità
e dell’armonia della società.
Per Habermas, nella società tardo-capitalistica, tali movimenti sono di
importanza fondamentale ed hanno una capacità e l’interesse di
riscrivere la “grammatica delle forme di vita”, cioè l’enorme valore di tipo
consensuale. Egli dà ad esse tale importanza in quanto la società
industriale, che ha riscosso tanti successi, ha fatto sorgere una serie di
problemi ai quali non ha saputo dare risposta, né offrire alcuna
soluzione. Bisogna riconoscere che nel momento in cui tali
movimenti vengono a riscrivere “la grammatica delle forme di vita”
ANDREA COMMISSO BARILLARO
39
Antologia della sociologia delle religioni
esplicano una funzione che di solito hanno cercato di realizzare
organizzazioni e movimenti religiosi. Essi cercano di realizzare ciò
non attraverso una rivelazione, ma attraverso un ragionamento
critico, che si muove all’interno di uno schema dialettico. I
problemi, nel tardo-capitalismo, si sono spostati nel campo della
socializzazione, dell’istruzione e dell’etica; ecco perché si ritiene che
sia molto importante prendere in considerazione quei movimenti
sociali che riguardano l’ambiente fisico, il potere nucleare, le relazioni
fra i sessi, i rapporti etnici, la pace e i diritti umani.
Altri studioso della scuola di Francoforte che l’avevano preceduto,
quali Theodor Adorno e Herbert Marcuse, credevano che la
religione si fosse calata totalmente nell’ideologia della società
moderna e che fosse uno degli elementi basilari della logica
dell’oppressione e dello sfruttamento sul quale si fonda il capitalismo.
29. Viceversa un’altro predecessore di Habermas cioè Max
Horkheimer riteneva che questi aspetti umanistici della religione
rimanessero essenziali per la realizzazione di una società giusta.
Egli non pensava ci fosse spazio, nel tardo-capitalismo, per una
religione di tipo dogmatico di chiesa, ma pensava fosse indispensabile
quel tipo di reciprocità e solidarietà che una religione poteva dettare.
E’ proprio su questa linea che si muove la Teoria Critica di
Habermas, appoggiando un tipo di religione umanistica che avrebbe
potuto avere positivi effetti sul futuro dell’intera società.
Egli sostiene che “la religione costituirebbe un elemento di
emancipazione se fungesse da veicolo di auto-riflessione critica e se, a
seguito del processo di secolarizzazione, finisse con l’essere separata
dagli interessi dominanti”.
Per Habermas i temi religiosi verranno ad essere sempre più essenziali
per lo sviluppo della società emergente e sopratutto in rapporto ad un
nuovo tipo di etica universalistica.
Habermas, pur avallando la teoria di Weber per quanto concerne
l’analisi di burocratizzazione e formazione per lo stato, critica l’ipotesi
di Weber secondo cui il processo di razionalizzazione avrebbe
compreso tanto il sistema sociale quanto il mondo civile.
40
ANDREA COMMISSO BARILLARO
Antologia della sociologia delle religioni
Egli invece tendeva a sottolineare come il mondo vitale fosse
attraversato da un filo di ragione diverso da quello strettamente
strumentale, cioè di quello che Weber definì un ragionamento
razionale rispetto ad uno scopo. Nella cultura moderna la razionalità
comunicativa va distinta dalla razionalità funzionalistica che viene a
sussistere nel sistema sociale. Ciò lascia aperta la porta alla speranza
che non sia stata annullata nell’uomo la capacità di ragionare in
maniera autocritica.
Per lo stesso motivo, Habermas respinge l’idea di Parsons secondo la
quale l’intero sistema sociale moderno viene regolato da un unico
insieme di valori. Egli non è d’accordo neanche con le teorie che
guardano alla società tardo-capitalistica come al luogo dove è sita la
ragione umana auto-riflessa e un tipo di religione privatizzata. Ritiene
invece che la soluzione si ottenga mediante un’azione collettiva e che
l’azione principale per lo sviluppo di tali problematiche verrà svolta
dai nuovi movimenti sociali.
30. Un altro tentativo del superamento delle teorie marxiste
della società industriale, per poter meglio analizzare i nuovi problemi
che riguardano il tardo-capitalismo, è quello compiuto da Claus Offe.
E’ sua opinione che le società tardo-capitalistiche siano diventate così
complesse, instabili e segmentate che le istituzioni di base, quali la
famiglia, gli organismi religiosi e la scuola, siano divenuti inidonei a
dare spiegazioni e sostegno. Sostiene inoltre che sia lo stato a fornire
le spiegazioni dei problemi ed a indicare le azioni da seguire; che sia
sempre lo stato a permettere le azioni attraverso l’istruzione e gli enti
assistenziali.
Lo stato va sempre più sostituendosi al ruolo espletato dalle
tradizionali norme culturali nell’impartire i dettami del corretto
comportamento per quanto concerne l’alimentazione, la sessualità, la
salute ecc. I classici schemi educativi sono sempre più sostituiti da
campagne effettuate attraverso i vari mezzi di comunicazione di
massa.
Il problema viene ad essere ancora più grave laddove, a causa delle
complessità vigenti in tale società, le leggi invadono il mondo vitale
della gente. Argomenti quali il divorzio, la custodia dei figli, persino la
ANDREA COMMISSO BARILLARO
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Antologia della sociologia delle religioni
decisione di vivere o morire ecc. vengono regolati dalla legge. Ciò si
verifica perché crescendo la complessità della società essa diventa
anche più vulnerabile e quindi necessita di maggiori controlli legali. In
contrapposizione a ciò vi è anche un aumento dell’opposizione a tali
controlli e questo genera un circolo vizioso giacché, in tutta risposta,
necessiteranno ancora maggiori norme per non arrivare ad una
condizione di illegalità generalizzata.
“Un presente che allo studioso tedesco appare segnato da un
fenomeno epocale, la crisi dello Stato di diritto liberale che evolve
nella crisi dello Stato sociale/assistenziale, e dal brulicare di fermenti
antagonistici che - a dispetto di molte letture banalmente
<anticonformistiche> - evidenzierebbero tanto il persistente carattere
capitalistico dello Stato (cosa diversa dall’identificazione dello Stato
come agente del capitalismo, lo Stato borghese classico oggetto
dell’anatema e della profezia del marxismo classico), quanto
l’impossibilità del superamento della forma statuale connessa al
Welfare”.
Ecco quindi che la contrapposizione che verrà opposta allo stato sarà
maggiore ma essa non si basa più su fattori economici bensì viene ad
avere radici culturali e trova la sua espressione in nuovi movimenti
sociali, i quali sono fortemente non-economici, nel senso che mirano
poco alla ricerca dei profitti e della ricchezza materiale, vanno a
considerare la qualità delle condizioni naturali e sociali dell’esistenza.
“Le issues privilegiate, cioè i problemi cruciali affrontati dai nuovi
movimenti sono sostanzialmente ricondotti a quello che - sulle orme
del pensiero fenomenologico tedesco - viene chiamato “mondo della
vita”, o Lebenswelt, dove però l’enfasi è posta sui bisogni del corpo,
della salute, dell’identità sessuale, della tutela dell’ambiente naturale e
del riuso di quello urbano-metropolitano, della difesa etnica e
linguistica della sopravvivenza della specie”.
Questo concetto ci riporta ad Habermas ma, a differenza di quello,
Offe ritiene che le sette religiose non facciano parte della categoria
degli
NSMs in quanto esse “non intendono ottenere il
riconoscimento dei loro valori e interessi specifici come elementi
vincolanti per una comunità più ampia”.
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ANDREA COMMISSO BARILLARO
Antologia della sociologia delle religioni
Egli ritiene che i valori degli NSMs siano: “autonomia e identità ... e
opposizione alla manipolazione, al controllo, alla dipendenza, alla
burocratizzazione, alla regolamentazione” (76).
Questi sono argomenti che hanno una valenza religiosa nel momento
in cui hanno a che fare con valori che sono importanti per l’esistenza
dell’uomo e vanno aldilà di interessi particolaristici e di specifici
accordi sociali.
Quindi Offe, anche se non ne ha l’intenzione offre buoni motivi per
prendere in considerazione la valenza religiosa che sussiste nei NSMS.
31. Anche Alain Toureaine fa parte di quell’area marxista che
esclude i movimenti religiosi dalla categoria degli NSMS, ma la pura
analisi di trasformazione sociale prende in considerazione argomenti
che in modi, sia pure indiretti, sono interrelati con argomenti religiosi.
Egli effettua studi empirici su argomenti sociali moderni:
dall’autonomia regionale a Solidarnosc, al movimento del Maggio ‘68
degli studenti e degli operai ecc. ecc.
Il suo interesse sembra essere quello di “aprire gli occhi di coloro che
fanno parte del movimento sociale alla più ampia rilevanza teorica
della loro attività pratica, catalizzando quindi il potenziale di tali
movimenti verso la creazione di un nuovo tipo di società”59.
E’ convinzione di Touraine che la società si auto-produce anche se in
qualche modo è condizionata dalle circostanze. Egli ritiene che il
processo sociale si sviluppi attraverso lotte e conflitti, e il movimento
sociale è concepito come qualcosa di basilare e centrale per la
struttura della società post-industriale.
“Seguendo un’impostazione definita sociologizzazionista Touraine
sostiene che la società è definita dalla sua storicità e dalla sua capacità
di prodursi da se stessa, attraverso l’azione dei gruppi sociali, le lotte,
le pressioni e i negoziati”60.
Da tutti i conflitti, che si esplicano per raggiungere obbiettivi quale la
riduzione delle imposte, la pena capitale, la vivisezione ecc., egli ha
estrapolato una categoria dalle tendenze più essenziali: il movimento
sociale.
59
60
J.Beckford, ibidem, p. 179; nonché, cfr. Offe, 1985, p. 827-829.
Ibidem, p. 180.
ANDREA COMMISSO BARILLARO
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Antologia della sociologia delle religioni
“Bisogna chiamare movimenti sociali i comportamenti collettivi che
si pongono all’interno di un insieme di orientamenti culturali, ma che
contestano il modello di controllo e di utilizzazione sociale di questi
valori. E’ questa doppia caratteristica, di accettazione di un gioco
culturale comune agli avversari e di affermazione di un conflitto
diretto e centrale tra questi, a definire le azioni collettive a cui
vogliamo riservare il nome di movimenti sociali”61.
La problematica fondamentale sta nel fatto che il fulcro del conflitto
non viene più ad essere l’organizzazione del lavoro, bensì le
motivazioni, i fini e il significato del produrre in una società dove
sono emersi nuovi bisogni e nuovi interessi specifici
concernenti il corpo, la salute, il tempo libero, il futuro e l’idea di
sviluppo.
Non essendo più il fulcro della conflittualità la problematica del
lavoro a livello industriale si ha come conseguenza che si producono
molteplici altri campi conflittuali o potenzialmente tali, e, nello stesso
tempo, viene a mancare ogni principio di unificazione dello scontro.
61
F. Ferrarotti, cit, p. 181.