LA GESTIONE DELLE EMORRAGIE ALTE NON DA VARICI Livio Cipolletta, Gianluca Rotondano U.O.C. di Gastroenterologia, Ospedale Maresca di Torre del Greco (NA) GESTIONE PRE-ENDOSCOPICA L’adeguato inquadramento clinico è un elemento essenziale per impostare con tempestività misure di supporto emodinamico e/o di terapia farmacologica pre-endoscopia. Stratificazione del rischio (triage) L’impiego di sistemi prognostici è raccomandato per stratificare il profilo di rischio del paziente e migliorare la gestione clinica. La precoce applicazione di sistemi prognostici che utilizzano la combinazione di variabili cliniche ed endoscopiche consente di identificare i pazienti ad alto rischio di risanguinamento e morte (da sottoporre al trattamento endoscopico), e quelli a basso rischio che possono essere dimessi precocemente o addirittura essere trattati in regime ambulatoriale con notevole miglioramento degli outcomes economici (1-4). Fattori predittivi di risanguinamento sono usualmente correlati alle caratteristiche della lesione (sede, dimensioni e presenza di stigmate ad alto rischio). I fattori predittivi di mortalità sono invece essenzialmente correlati alle condizioni cliniche del paziente (Tabella 1) (5,6-8). Tra gli scores di mortalità disponibili, vi è lo score italiano PNED (Progetto Nazionale Emorragie Digestive), derivato da un ampio studio prospettico multicentrico e composto da 10 fattori indipendenti, 8 dei quali clinici (9). Lo score PNED (Tabella 2) va da un minimo di 0, quando il paziente non presenta nessuno dei dieci fattori di rischio indicati, fino ad un massimo di 24 per la contemporanea presenza di tutti i fattori di rischio, con cut off tra basso rischio ed alto rischio di morte per valori inferiori o superiori a 4. Lo score PNED è stato in seguito validato su un secondo campione indipendente, dimostrando di essere robusto e significativamente più accurato in termini predittivi rispetto allo score di Rockall (AUC 0.81 vs. 0.66, p=0.001) (9). Ancora, dati italiani dimostrano l’utilità delle reti neurali nel costruire uno score di rischio con soli elementi clinici, risultato superiore anche al Rockall completo (cioè composto sia da elementi clinici che endoscopici) nel predire il rischio di morte nel paziente con emorragia non varicosa (accuratezza 95% vs. 67%) (10). Tutte le variabili dello score PNED sono state catturate anche nello score finale del sistema d’intelligenza artificiale, a testimonianza che alcune variabili cliniche (in particolare comorbidità severa ed età avanzata) hanno un valore prognostico universale. Stabilizzazione emodinamica Il paziente deve essere stabilizzato dal punto di vista emodinamico prima di procedere con l’esame endoscopico. Tabella 1: fattori predittivi di risanguinamento e di morte nel paziente con emorragia non varicosa Predittori di risanguinamento Predittori di mortalità Dimensione dell’ulcera > 20 mm Età avanzata (> 65 anni) Presenza di stigmate ad alto rischio (emorragia attiva, vaso visibile) Condizioni generali scadenti (ASA 4-5) Sede dell’ulcera (piccola curva, parete posteriore del duodeno) Comorbidità Anemia acuta (Hb < 7 g/dL) Necessità trasfusionale Ematemesi rosso vivo Sepsi ASA: American Society for Anesthesiology Hb: emoglobina Tabella 2: score PNED per la valutazione del rischio di morte Fattori di rischio Score 1 2 3 4 ASA 3 Tempo ricovero-endoscopia <8h Hb ≤ 7 g/dL Età ≥ 80 Insufficienza renale Risanguinamento ASA 4 Neoplasia Cirrosi Fallimento emostasi endoscopica Mortalità < 5% per scores < 4 10% per scores > 5 < 8 33% per scores > 9 Giorn Ital End Dig 2012;35:17-22 Instabilità emodinamica 17 LA GESTIONE DELLE EMORRAGIE ALTE NON DA VARICI Una precoce stabilizzazione emodinamica è associata con una significativa riduzione della mortalità. La gestione iniziale della fase acuta (la cosiddetta golden hour dei rianimatori) prevede una rapida e accurata valutazione dello stato emodinamico, l’accesso venoso duplice e gli esami di laboratorio indispensabili per valutare l’entità della perdita ematica e quindi l’entità del reintegro volemico. Si consiglia di iniziare il reintegro della volemia con fluidi avendo come obiettivo quello di mantenere la PA sistolica sopra 100 mmHg e la diastolica sopra 60 mmHg. Supplementare l’ossigeno è buona norma data la ipossia periferica legata alla perdita ematica ed in casi selezionati (ematemesi massiva o alterazione dello stato di coscienza) procedere con la intubazione per proteggere le vie aeree ed evitare la comparsa di distress respiratorio acuto. La inserzione di un sondino naso-gastrico, pur non essendo raccomandata di routine, può rivelare la presenza di sangue rosso vivo in cavità gastrica ed in tal caso è un fattore predittivo di emorragia clinicamente rilevante. In pazienti in terapia anticoagulante è opportuno correggere la coagulopatia senza ritardare l’esame endoscopico. L. Cipolletta, G. Rotondano > La gestione delle emorragie alte non da varici 18 1 La correzione di eventuali coagulopatie è utile, ma non deve ritardare l’esecuzione dell’esame endoscopico (1). Un valore di INR (International Normalised Ratio) al ricovero > 1.5 non rappresenta un fattore predittivo di risanguinamento ma appare associato a un maggior rischio di morte in quanto indicatore surrogato di comorbidità (11). Trasfondere il paziente quando il valore dell’emoglobina è inferiore a 7 g/dL. La stima della perdita ematica è complessa e resa ancor più difficoltosa dall’emodiluizione causata dall’infusione di fluidi. Il ricorso alle trasfusioni è, pertanto, alquanto empirico e va valutato nel singolo caso in rapporto al rischio individuale di complicanze ipossiche più che sulla base di un parametro ematochimico fisso. Vi è indicazione alla trasfusione quando vi sia una perdita stimata > 30% della volemia, nel paziente ipoteso che non risponde a 2 l di cristalloidi, per valori di Hb < 7 g/dL in pazienti giovani o a basso rischio e per valori di Hb < 10 g/dL in pazienti anziani o ad alto rischio con malattia coronarica o cerebrovascolare. Terapia farmacologica L’impiego di PPI pre-endoscopia è utile per ridurre la quota di pazienti con emorragia attiva all’endoscopia e ridurre la necessità di intervento endoscopico, sempre a patto che la terapia non ritardi la esecuzione della endoscopia precoce. Il trattamento precoce con PPI e.v. ad alto dosaggio prima dell’endoscopia è indicato perché la maggior parte degli eventi è dovuta a un’ulcera. Il loro uso sembra associato con una significativa riduzione della prevalenza di stigmate ad alto rischio [OR 0.67 (0.54-0.84)] e la conseguente necessità di trattamento endoscopico [OR 0.68 (0.50-0.93)] (12). Pertanto, pur non modificando i parametri di outcome del paziente, il loro uso sembra costo-efficace. L’impiego di agenti procinetici non va eseguito di routine per incrementare la resa diagnostica dell’endoscopia. Una singola dose di eritromicina 250 mg e.v. 30-60 minuti prima dell’esame endoscopico può essere utile in casi selezionati per migliorare la visione endoscopica. Una recente meta-analisi ha documentato un significativo miglioramento della qualità della visione endoscopica con ridotta necessità di ripetizione dell’endoscopia, ma nessun significativo miglioramento dei parametri di outcome primari quali tasso di emostasi e risanguinamento (13). Timing della endoscopia L’esecuzione precoce dell’esame endoscopico (max entro 24 ore) è raccomandata in tutti i pazienti emorragici. L’endoscopia ha il compito essenziale di confermare la fonte emorragica e fornire elementi morfologici di rischio relativi all’aspetto endoscopico dell’ulcera (i cosiddetti segni di sanguinamento o stigmate). L’esecuzione precoce dell’esame endoscopico è considerata una componente essenziale in un percorso gestionale di qualità (alla stregua della trombolisi precoce per l’infarto del miocardio) ed è raccomandata quale strumento per migliorare l’outcome clinico ed economico nel paziente emorragico (1,2). Una recente revisione sistematica ha puntualizzato che mentre l’endoscopia entro le 24 ore ha documentati benefici clinici e consente la valutazione del rischio per una ridotta degenza ospedaliera, l’esame endoscopico entro le prime 12 ore non ha benefici documentati, non riduce il risanguinamento né migliora la sopravvivenza e potrebbe inoltre comportare un uso non necessario dell’emostasi endoscopica (14). TRATTAMENTO ENDOSCOPICO L’emostasi endoscopica non è indicata nei pazienti con stigmate a basso rischio (base detersa o ematina al fondo). Lesioni ulcerose con pigmento ematico al fondo, modesto sanguinamento a nappo dai bordi o, infine, con base detersa hanno un basso rischio di recidiva emorragica e non richiedono terapia endoscopica (1,2). Il reperto di un coagulo al fondo dell’ulcera necessita di irrigazione mirata nel tentativo di rimozione con terapia appropriata della stigma sottostante. Il ruolo della terapia endoscopica per ulcere con coagulo adeso è controverso. La terapia endoscopica può essere considerata, sebbene il solo trattamento conservativo con PPI ad alte dosi può essere sufficiente. In caso di coagulo adeso, si raccomanda il tentativo di rimuovere il coagulo e di applicare il trattamento alla stigma sottostante (il grado di raccomandazione però non è dei più forti e “probabilmente” va fatto, cioè se il coagulo si rimuove In pazienti ad alto rischio (sanguinamento in atto, vaso visibile) la terapia endoscopica è sempre raccomandata. Vi è indicazione assoluta al trattamento endoscopico nei pazienti che presentano stigmate ad alto rischio (emorragia attiva, vaso visibile) perché riduce in maniera significativa il rischio di risanguinamento e morte (1). L’evidenza scientifica derivata da meta-analisi di trials clinici randomizzati documenta con chiarezza che l’emostasi endoscopica comporta un vantaggio clinicamente rilevante solo nel sottogruppo dei pazienti ad alto rischio, cioè in coloro che alla endoscopia presentano emorragia in atto o vaso esposto alla base dell’ulcera (15). Nei primi, il trattamento endoscopico riduce il rischio relativo di risanguinamento e chirurgia rispettivamente del 71% e 75% [RR 0.29 (0.20-0.43), NNT 2 e RR 0.25, (0.13-0.50), NNT 2], mentre nei secondi la riduzione del rischio è del 51% e 59%, rispettivamente [RR 0.49, (0.40-0.59), NNT 5 e RR 0.41, (0.24-0.71), NNT 9] (15). Non si registrano vantaggi clinici significativi nei pazienti con coagulo adeso, probabilmente perché questa stigmata non ha una definizione omogenea (contiene sia pazienti a basso che ad alto rischio) ed anche in relazione alla efficacia del trattamento adiuvante con PPI che stabilizzando il coagulo può in qualche modo far perdere “dignità” di rischio intrinseco contribuendo ad un minor rischio di risanguinamento. Quanto al tipo di trattamento endoscopico, una recente serie di meta-analisi su 41 studi per un totale di 4.261 pazienti ad alto rischio ha confermato che l’approccio endoscopico è significativamente superiore alla sola terapia farmacologica (inclusi i soli PPI) nel ridurre il rischio di risanguinamento [OR 0.56 (0.34-0.92)] (16). La sola iniezione di epinefrina infatti non è raccomandata se non in combinazione con altre metodiche di emostasi all’interno di protocolli di terapia combinata. La terapia iniettiva da sola è inferiore alle altre metodiche di emostasi endoscopica, con un forte trend verso un aumento del rischio di risanguinamento se si utilizza una singola sostanza vs. 2 sostanze [OR 1.40 (0.95-2.05)] (16). Nessuna metodica termica è significativamente superiore all’altra; la terapia termica o meccanica deve essere impiegata da sola o in combinazione con la terapia iniettiva. Per quanto concerne le altre metodiche di emostasi endoscopica, non vi è alcuna differenza in termini di efficacia tra le diverse metodiche di coagulazione termica (16) - la scelta dipende principalmente dalla confidenza che l’operatore ha con i diversi devices. La terapia meccanica con clips è superiore alla terapia iniettiva in termini di maggiore emostasi definitiva [RR 1.14, (1.00-1.30)] e minore risanguinamento [RR 0.49, (0.30-0.79)], ma assolutamente pari alla terapia termica (17). La superiorità della emostasi meccanica sulla iniettiva è stata confermata anche in un’altra meta-analisi con riduzione del 78% del rischio di recidiva emorragica [RR 0.22, (0.09-0.559)] (15). Nella revisione sistematica canadese, invece, le clips sono risultate significativamente più efficaci della terapia termica nel ridurre il rischio di risanguinamento [OR 0.24 (0.06-0.959)] (16). Nessuna differenza esiste tra le metodiche di emostasi in termini di mortalità, ulteriore conferma che l’evento morte è indipendente dalla tipologia di emostasi endoscopica ed il paziente può morire anche dopo un efficace controllo del sanguinamento se non viene operata una gestione clinica adeguata nell’insieme. La terapia combinata, cioè la esecuzione sequenziale di terapia iniettiva seguita da altra forma di endoterapia (termica o meccanica) è considerata il gold standard della emostasi in pazienti ad alto rischio. La terapia combinata è superiore alla sola terapia iniettiva, mentre non sembra offrire vantaggi clinicamente rilevanti rispetto alla sola terapia termica o alla sola terapia meccanica (18). Questo dato è stato confermato dalla meta-analisi canadese in cui la terapia combinata iniettiva più termica non risulta superiore alla sola termica [OR 0.79 (0.24-2.62)] o alle sole clips [OR 0.82 (0.28-2.38)] (16). In definitiva, la terapia iniettiva da sola non deve essere più considerata sufficiente, ma quale step preliminare alla applicazione di un’altra forma di endoterapia. Se, invece, si opta per un trattamento endoscopico singolo, allora la terapia termica o, quando applicabile, la terapia meccanica rappresentano le opzioni di scelta. GESTIONE POST-TRATTAMENTO ENDOSCOPICO Prevenzione del risanguinamento Dopo emostasi endoscopica somministrare PPI endovena ad alte dosi per 72 ore. Dopo il controllo endoscopico del sanguinamento, la somministrazione PPI endovena ad alte dosi (bolo di 80 mg e poi 8 mg/h in infusione continua per 72 ore) è ormai considerato lo standard di cura per ridurre risanguinamento e morte nei pazienti ad alto rischio (1,15,19). In questi pazienti, infatti, l’uso sistematico dei PPI e.v. ad alte dosi comporta una riduzione del 60% del rischio di risanguinamento rispetto al placebo [OR 0.40 (0.28-0.59)] (15). I pazienti ad alto rischio devono essere ospedalizzati per almeno 72 ore dopo l’emostasi endoscopica. La durata della ospedalizzazione del paziente in cui è stato necessario un intervento endoscopico non dovrebbe essere inferiore ai tre giorni per scongiurare episodi di risanguinamento. L’alimentazione orale con liquidi chiari può essere ripresa circa 6 ore dopo l’esofagogastroduodenoscopia (Esophagogastroduodenoscopy/EGD) se il paziente è stabile, altrimenti la rialimentazione precoce (< 48 ore) andrebbe evitata per la potenziale necessità di un secondo esame endoscopico corredato da retrattamento (1,2). Giorn Ital2 OTTOBRE End Dig 2012;35:17-22 LUNEDì - I SESSIONE agevolmente con l’irrigazione forzata allora il trattamento endoscopico può ragionevolmente essere applicato), ma al contempo se il coagulo non si disloca allora è altrettanto accettata l’ipotesi di una terapia di “consolidamento” con PPI ad alte dosi al posto della terapia endoscopica (1). La materia è in evoluzione e il comportamento da adottare non è univoco probabilmente perché molte delle evidenze che supportavano la rimozione “a tutti i costi” del coagulo erano basate su studi dove non venivano impiegati i PPI. La potenza antisecretiva dei PPI e la loro capacità di stabilizzare il coagulo potrebbero nel prossimo futuro cambiare la raccomandazione verso un atteggiamento più conservativo. 19 15 LA GESTIONE DELLE EMORRAGIE ALTE NON DA VARICI Il “second-look” endoscopico non è raccomandato di routine. L’obiettivo del controllo endoscopico programmato (second-look) è quello di identificare le ulcere con persistenza di stigmate ad alto rischio da sottoporre a re-trattamento. Nonostante una recente meta-analisi di 7 studi randomizzati (5 con terapia iniettiva e 2 con terapia termica) documenti una significativa riduzione del rischio di recidiva emorragica con l’impiego del re-trattamento termico [RR 0.29 (0.11– 0.73)], il second-look non è raccomandato di routine, ma solo in casi selezionati di fondato sospetto clinico di recidiva emorragica (nuova ematemesi/melena e riduzione della Hb di almeno 2 g/dL dopo iniziale stabilizzazione) o in pazienti a rischio particolarmente elevato (incompleta o dubbia emostasi iniziale, grande quantità di sangue o coaguli in cavità gastrica con visione endoscopica parzialmente oscurata oppure grosse ulcere della parete duodenale posteriore) (1,2,20-22). Tutti i pazienti con ulcera emorragica devono essere testati per l’infezione da H. pylori ed eradicati se l’infezione è presente con conferma della eradicazione. L. Cipolletta, G. Rotondano > La gestione delle emorragie alte non da varici 20 1 L’infezione da H. Pylori è un fattore predittivo indipendente di recidiva emorragica e la sua eradicazione riduce il rischio di recidiva dell’ulcera e di risanguinamento nel lungo termine (2). Pertanto, nell’ulcera emorragica l’H. Pylori va sempre ricercato (con istologia se possibile) ed eradicato se presente. Un test negativo nel setting acuto può essere fuorviante perché vi è un 40-50% di falsa negatività (per effetto battericida del plasma umano). Pertanto, si raccomanda di ripetere il test (urea breath test o test antigenico fecale) a distanza di tempo dall’evento emorragico (1). In pazienti con pregressa ulcera emorragica che necessitano terapia con FANS, si raccomanda di utilizzare un COX-2 inibitore + gastroprotezione con PPI. Se il paziente assume FANS, si dovrebbe idealmente sospendere il farmaco gastrolesivo. In caso ciò non sia possibile è opportuno ricordare che l’impiego di un FANS + PPI o del solo COX-2 inibitore non elimina completamente il rischio di recidiva emorragica. In tale caso si raccomanda di utilizzare un Coxib associato alla gastroprotezione con PPI (ricordare che se il paziente ha elevato rischio cardiovascolare i Coxib non sono appropriati ed è meglio un FANS tradizionale) (1,2). Nei pazienti emorragici che assumono aspirina a basse dosi, la terapia con ASA deve essere ripresa appena il rischio cardiovascolare sopravanzi quello gastrointestinale; nei pazienti che necessitano profilassi cardiovascolare il clopidogrel da solo ha maggior rischio di risanguinamento rispetto alla combinazione di ASA + PPI. Il paziente emorragico ad alto rischio cardiovascolare deve riprendere l’aspirina non appena il rischio cardiovascolare sopravanza quello gastrointestinale (di solito entro 7 giorni) ed in questi casi è preferibile l’associazione ASA + PPI rispetto al solo clopidogrel (1). In pazienti con emorragia da aspirina, la prosecuzione dell’ASA (che non viene sospesa ma associata alla terapia con PPI i.v. per 72 ore e poi per os) anche se aumenta il rischio di recidiva emorragica (10.3% vs. 5.4%, p=0.01), riduce significativamente il rischio di morte globale (1.3% vs. 12.9%, p=0.000) e quello di morte per eventi trombo-embolici (1.3% vs. 10.3%, p=0.000) (23). La portata di questi dati, se confermati ulteriormente, è davvero rilevante in quanto dimostra ancora una volta che il risanguinamento non è un fattore determinante per l’exitus (esso può di solito essere controllato da una seconda procedura endoscopica, mentre un ictus o una trombosi certamente no!!). Gestione della emorragia persistente o recidiva In caso di risanguinamento, effettuare un secondo tentativo di emostasi endoscopica. Ottenere il parere del chirurgo e del radiologo interventista in casi selezionati. In caso di recidiva emorragica un secondo tentativo di emostasi endoscopica va sempre tentato prima di valutare l’opzione chirurgica, che invece diviene ineludibile in caso di emorragia persistente (fallimento del trattamento endoscopico primario) o ricorrente (fallimento del re-trattamento endoscopico). Il chirurgo deve comunque essere sempre allertato in presenza di un paziente con emorragia severa ed instabilità emodinamica e coinvolto in ogni fase del processo decisionale diagnostico e terapeutico. In caso di fallimento della emostasi endoscopica, l’approccio chirurgico di salvataggio è virato nel tempo verso una chirurgia sempre più “di minima” per ottenere l’emostasi (73.8% vs. 42.3%; p < 0.005) (24). L’embolizzazione angiografica transcatetere (Angiographic Transcatheter Embolization/TAE) rappresenta, laddove disponibile, una valida alternativa, riducendo la necessità di chirurgia senza incrementare la mortalità globale ed è inoltre associata con minori complicanze. Infatti, un recente studio retrospettivo su 88 pazienti nei quali era fallita l’emostasi endoscopica ha documentato che la TAE era in grado di assicurare l’emostasi nell’88.5% dei casi. La recidiva emorragica era superiore (34.4% vs. 12.5% del gruppo chirurgia, p=0.01), ma le complicanze erano significativamente inferiori (40.6% vs. 67.9%, p=0.01). Non vi erano differenze in termini di mortalità a 30 giorni, durata media della degenza e necessità trasfusionali (25). Figura 1: algoritmo di trattamento delle emorragie digestive alte (EDA) non varicose Emorragia digestiva alta non varicosa Stabilizzazione emodinamica (fluidi / sangue) Considerare inserzione di SNG Valutare l’impiego di IPP e.v. a doppia dose Endoscopia (entro 24h) Coagulo Irrigazione Lesione ad alto rischio Coagulo adeso Lesione a basso rischio Pigmento ematico Terapia endoscopica Base detersa Paziente stabile? Ricovero in degenza monitorata per ≥ 24h IPP bolo ev + infusione continua (8mg/h per 72 h) Degenza ordinaria IPP dose standard per os NO SÌ Rivalutazione quotidiana NO Risanguinamento Dimettere con IPP per os Testare Hp > eradicare se + vo Programmare follow-up SÌ Corrispondenza Livio Cipolletta, Gianluca Rotondano U.O.C. di Gastroenterologia Ospedale Maresca, ASL NA3sud Torre del Greco (NA) Tel. + 39 081 8490102 Fax + 39 081 8490109 e-mail: [email protected] e-mail: [email protected] Bibliografia 1. Barkun A, Bardou M, Kuipers EJ Sung J, Hunt RH, Martel M, Sinclair P for the International Consensus Upper Gastrointestinal Bleeding Conference Group. International Consensus Recommendations on the management of patients with Nonvariceal Upper Gastrointestinal Bleeding. Ann Intern Med 2010;152:101-13. 2.Gralnek IM, Barkun AN, Bardou M. Management of acute bleeding from a peptic ulcer. N Engl J Med 2008;359:928-37. 3.Chiu PW, Ng EK. 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Giorn Ital2 OTTOBRE End Dig 2012;35:17-22 LUNEDì - I SESSIONE Ripetere endoscopia Considerare chirurgia/angiografia 21 15 LA GESTIONE DELLE EMORRAGIE ALTE NON DA VARICI 9.Marmo R, Koch M, Cipolletta L, Capurso L, Grossi E, Cestari R, Bianco MA, Pandolfo N, Dezi A, Casetti T, Lorenzini I, Germani U, Imperiali G, Stroppa I, Barberani F, Boschetto S, Gigliozzi A, Gatto G, Peri V, Buzzi A, Della Casa D, Di Cicco M, Proietti M, Aragona G, Giangregorio F, Allegretta L, Tronci S, Michetti P, Romagnoli P, Piubello W, Ferri B, Fornari F, Del Piano M, Pagliarulo M, Di Mitri R, Trallori G, Bagnoli S, Frosini G, Macchiarelli R, Sorrentini I, Pietrini L, De Stefano S, Ceglia T, Chiozzini G, Salvagnini M, Di Muzio D, Rotondano G; Italian registry on upper gastrointestinal bleeding (Progetto Nazionale Emorragie Digestive-PNED 2). Predicting in non-variceal upper gastrointestinal bleeders: validation of the Italian PNED Score and prospective comparison with the Rockall Score. 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Il questionario potrà essere compilato “on line” sul portale della SIED www.sied.it da tutti i Soci con meno di 35 anni e con non più di 5 anni di attività endoscopica. è anche previsto il collegamento al nostro portale mediante un link per Colleghi di altre Società Scientifiche che si occupano di endoscopia digestiva. La scheda informativa resterà disponibile per 4 mesi dalla data della sua pubblicazione. Italo Stroppa Coordinatore Nazionale del GLS<35