PSICOLOGIA CLINICA E PSICOTERAPIA NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA MASSIMO GRASSO La psicologia clinica e la psicoterapia psicoanalitica possono ancora offrire qualcosa alla società? Molto sembra dipendere dalla loro capacità di svolgere ancora il compito che Sigmund Freud – pur tra i molti compromessi e contraddizioni che caratterizzarono la sua vita e la storia del movimento psicoanalitico – non smise mai di indicare: disilludere l’umanità dalle produzioni del proprio narcisismo (Grasso, Stampa, 2013, 2014a). Ho dedicato a questo tema, insieme al collega Pietro Stampa, un saggio che funge da introduzione ad un nostro volume di recente pubblicazione (Grasso, Stampa, 2014b). Riprenderò, qui, alcune delle argomentazioni sviluppate in quella sede, a cui rimando chi fosse interessato ad approfondire l’argomento. Il tema che desidero affrontare si può così enunciare sinteticamente: assumendo come sfondo le illusioni collettive su cui si istituisce l’ordine sociale, quale è oggi e quale è in prospettiva il possibile contributo della nostra area disciplinare? Quali, all’opposto, i fraintendimenti e i danni che una psicologia illusa possa suo malgrado produrre? Illusa per una sorta di meccanismo di difesa (dall’angoscia della propria impotenza) che potrei chiamare identificazione con l’illusore, se mi si passa la battuta. Nel discorso che seguirà ho cercato non tanto di dare risposte a un tema così impegnativo – sarebbe stato al di là della portata di questo intervento – quanto di porre il problema nelle sue articolazioni teoriche, epistemologiche e operative attualmente trattabili; e, soprattutto, attualmente sottovalutate o negate (Grasso, Stampa, 2014a). L’impressione di fondo che cercherò di articolare si basa sul seguente enunciato: l’area delle discipline psicologiche risente in maniera rilevante della falsificazione più complessiva sulla quale si basa l’organizzazione complessiva della società che viviamo. Quell’area che per decenni, dalle prime enunciazioni del pensiero freudiano sopra ricordato, si era data come mission il disvelamento e la decostruzione delle illusioni narcisistiche della società come dei singoli esseri umani. Cosa accade, invece, alla psicologia ai nostri giorni? Non riprenderò in questa sede le argomentazioni, per altro assai interessanti, che sono state sviluppate a proposito del ―silenzio‖ della psicologia sui problemi emergenti posti alla società contemporanea dallo sviluppo tecnologico e dai processi della cosiddetta globalizzazione e a proposito del ―fondamentale‖ contributo che la psicologia – a partire dalla strategia di conquista del cognitivismo americano – sta dando ormai da molti anni alla riproduzione di modelli di vita conformistici e alla costruzione del consenso. Rimando per queste riflessioni ad alcuni lavori del collega Stampa, già precedentemente citato (Stampa, 2006, 2011). Mi limiterò a proporre alla vostra riflessione, con un’attitudine critica, i modelli della psicologia che portano acqua a quei mulini. Per esempio l’illusione cognitivista: il ―pensiero positivo‖ con il suo ottimismo banalizzante, e le ricerche che pongono al centro l’idea di ―felicità‖ o quella di ―salute‖; la falsa ingenuità con cui le neuroscienze ripropongono il riduzionismo cerebrocentrico rispetto allo studio della mente come dominio complesso, non riducibile alla dimensione neurofisiologica. Ma anche il compromesso ambiguo tra questi piani realizzato dalla psicopatologia descrittiva dei DSM e degli ICD, con la loro presunzione di codificare e classificare i disturbi in un catalogo neo- o iperkraepeliniano che di edizione in edizione si arricchisce di specifiche sempre più scisse da ogni contesto; la psicoterapia cognitiva e comportamentale, con la sua pretesa di ―oggettivare‖, misurare, semplificare, correggere modelli di condotta trattati come deficit piuttosto che come espressioni adattive da interpretare perché vengano comprese ed elaborate. E la ricerca improbabile (nel migliore dei casi) sugli effetti dei trattamenti psicoterapeutici, financo a prescindere dalla persona del professionista che se ne fa carico. Molti anni fa un anonimo psicoanalista lacaniano sulla rivista Scilicet (1970 [1977: p. 192]), così si esprimeva: Per un certo tempo il soggetto umano ha creduto di potersi avvalere di quel privilegio che gli competerebbe di essere soggetto della conoscenza e luogo della totalizzazione del sapere. Lo sviluppo della scienza e la scoperta freudiana che sorge all’interno di questo sviluppo, tuttavia, stanno appunto a contrassegnare la profonda inadeguatezza di un tale riferimento […] Questa illusione è costitutiva della psicologia. Punto di vista interessante, per noi, in quanto includeva la psicologia stessa tra i soggetti illusi, che oggi in funzione di tale attitudine di credulità si fanno illusionisti, agenti dell’illusione di massa. Di questa cifra ideologica proveremo ad occuparci. Come si esprime tale illusione? Ad esempio nel fatto che possano sostenersi modelli lineari di definizione di salute/disturbo mentale, e conseguentemente che sia possibile fare acontestuale riferimento a metodi quantitativi nella ricerca sulla psicoterapia. A ciò si collega un’altra ricorrente illusione: un’illusione ideologica che si ripresenta ciclicamente sulla scena del dibattito culturale, con una periodicità oscillante fra i trent’anni e il mezzo secolo. L’ultima volta aveva preso la forma semantica della ―neutralità della scienza‖; oggi riveste quella della sua ―ateoreticità‖. Dilaga nelle comunità scientifico-professionali, e quello che più meraviglia è che accade anche nella nostra, una sorta di repulsione verso le componenti e i prodotti del pensiero non immediatamente quantificabili, in favore di un riduzionismo oggettivante che iper-valorizza la tecnologia, le scorciatoie, gli schematismi; prevale la tendenza a ridurre ogni continuum e ogni complessità a elementi semplici, discreti, misurabili in modo lineare; si ridimensiona drasticamente il peso della soggettività entro i modelli di rappresentazione della realtà — la soggettività diventa ―rumore‖ e per meglio farla fuori, senza essere costretti a riconoscerlo, la si traduce in numeri. E si favoleggia di ―fatti‖ osservabili al di qua di ogni interpretazione. L’illusione cambia nome, ma è sempre la stessa. Uno storico delle idee potrebbe ricostruirne il percorso dal medioevo ai giorni nostri: ma una simile operazione esula dai limiti concettuali del presente contributo — mi limiterò dunque a parlarne in termini di attualità. E, ovviamente, circoscriveremo il nostro interesse all’ambito della ricerca e della pratica professionale della psicologia clinica e della psicoterapia: nel quale la pervasività dell’illusione comporta, come per un ―effetto domino‖, un certo numero di conseguenze concettuali che costituiscono altrettanti vizi epistemologici, dai quali ulteriormente conseguono sistematici travisamenti della realtà nella rappresentazione delle relazioni interpersonali entro contesti istituiti e non, e della vita mentale dei singoli soggetti coinvolti nelle relazioni stesse. Ripercorriamo qui l’argomento centrale. La riflessione sul lavoro clinico in psicologia e in modo particolare sugli esiti dell’intervento psicologicoclinico e psicoterapeutico, e sulle dinamiche iscritte nei relativi processi, va assumendo in questi anni un’importanza crescente; ma all’interno di tale riflessione l’aspetto meno trattato sembra essere proprio quello che più di altri può darle un senso: intendo riferirmi alla sua cornice metodologica. Ad illustrazione di quanto detto, vorrei proporre alla vostra considerazione alcuni esempi. Continua….. Il lettore può trovare l’articolo intero nel volume: Di Sauro R. Mura A. (2015), Quale psicoterapia per l’uomo d’oggi, Aracne, Roma